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La raccolta Testi della Conoscenza Tra-dizionale presenta alcune importanti opere della Tradizione metafisica indiana tradot-te direttamente dal Sanscrito, alcune per la prima volta.

La Uttaragıtå è un importante testo sa-cro tradizionale che tratta della conoscenza e della realizzazione del Brahman, repu-tata ideale continuazione sia della Bhaga-vadgıtå che della Anugıtå.

Rappresenta un testo a sé, dalle carat-teristiche ben definite e distinte da quelle delle altre due gıtå principali, rispetto alle quali forma una sorta di supplemento in-tegrativo, ed è tradizionalmente annovera-ta tra quelle opere indipendenti dai filoni primari della Sm®ti, la Tradizione ‘ram-mentata’ di ordine umano, e della Âruti, la Tradizione ‘udita’, di ordine superumano, ma che ad esse si riallacciano nel contenuto essenziale.

Il termine gıtå vuol dire ‘canto’, da intendersi nel senso di un componimento poetico a sfondo spirituale in cui la istru-zione viene conferita nel corso di un dia-logo tra istruttore e discepolo; l’aggettivo uttara va inteso nel senso di ‘successivo’, ma anche come ‘superiore’, quindi ‘premi-nente’ e, per estensione, ‘conclusivo’. In tal senso la Uttaragıtå costituisce l’essenza ul-tima della istruzione, l’insegnamento fina-le, quello definitivo, basato principalmente sulla conoscenza (jñåna), per quanto vi siano inclusi anche diversi elementi tratti dallo Ha†hayoga, dal Ku~ƒaliniyoga, ecc.

Essa espone la via per la liberazione in una maniera bensì assai sintetica, quasi criptica, anche attraverso astrusi simboli-smi, ma, nello stesso tempo, ne dà una de-

scrizione minuziosa approfondendo nei dettagli l’insieme di diversi metodi – quali meditazione, respirazione, concentrazione, risveglio della energia alla base o altre ‘tecniche’ – impartendo così anche diretti-ve di carattere pratico.

Nella Uttaragıtå si forniscono gli ap-propriati mezzi per arrivare a conoscere Ciò che è ed attualizzarlo coscientemente e quindi per essere, prima attraverso la medi-tazione poi con una reale e definitiva presa di coscienza, ciò stesso che si conosce.

La meditazione è fondamentale perché porta a trascendere la nostra natura mor-tale, cioè la stessa condizione individuata, ma è un mezzo diretto, adatto a pochi. Vi sono però anche numerosi mezzi indiretti e, tra loro, vi è una gradazione, ogni tipolo-gia rivelandosi idonea per una particolare conformazione mentale.

L’opera è distribuita in tre Capitoli per un totale di 121 sintetici versi; pur non complessi, il loro senso ultimo può appa-rire talora astruso e, senza una approfon-dita conoscenza del Vedånta e dello Yoga, ma soprattutto a prescindere dalla illumi-nante spiegazione di Gauƒapåda, esimio advaitin, Maestro del Maestro di Âa§kara e promulgatore della ‘dottrina della non-generazione’ – sua è la celebre ‘Trattazione esplicativa’ (kårikå) della Må~ƒ¥kya Upa-ni\ad – potrebbe rivelarsi arduo comprende-re il significato essenziale di molti dei s¥tra.

A una coscienza matura e sinceramen-te protesa alla realizzazione del Brahman la Uttaragıtå e le parole di Gauƒapåda sa-pranno imprimere un vigoroso stimolo alla intuizione e offrire un efficace strumento operativo.

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Utaragıtå

––––––––––– 7 –––––––––––Testi della Conoscenza Tradizionale

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© 2017 Kevalasa§ghaTuti i diriti riservati

Stampato a Rietida LA TIPOGRAFICA ARTIGIANAVia Poggio Mirteto, 402100 Rieti

Il presente volume è stato compostocon il caratere “Adri”

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UTTARAGÙTÅ

CON IL COMMENTO

DI

GAU‡APÅDA

Traduzione dal Sanscrito, presentazione e notea cura di

Kevalasa§gha

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«Qello, il quale nella essenza è pienezzain alto, pienezza in basso, pienezza nelmezzo e pienezza totale in ogni direzione,è l’åtman»

(U. Gı. 1.38)

«Colui, il quale conosce realmente l’åtmanesente da distruzione. realizza Qello cheè senza-sostegni, [il quale è] percepibile[solo] atraverso la conoscenza»

(U. Gı. 2.39)

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INDICE

Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10

Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12

Elenco Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . » 13

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . » 15

Utaragıtåcon il Commento di Gauƒapåda

Invocazione augurale . . . . . . . . . . . . .pag. 31

Primo Adhyåya . . . . . . . . . . . . . . . » 33

Secondo Adhyåya . . . . . . . . . . . . . . » 79

Terzo Adhyåya . . . . . . . . . . . . . . . » 107

Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 117

Testo sanscrito . . . . . . . . . . . . . . . » 139

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AVVERTENZE

Al testo italiano

Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti:

– tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, lefonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti aiVersi, ulteriori chiarimenti al conceto espresso;

– tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sotintese,fonti di citazioni o di passi presenti nel Commento e non menzionati;

– tra virgolete basse « » le citazioni trate da fonti scrituralirintracciate o meno, i Versi distinti da quello in esame;

– tra virgolete alte “ ” le parti del singolo Verso tratato nelCommento, termini o frasi particolari, espressioni di rilievo;

– tra virgolete semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli,locuzioni esemplifcative, frasi in discorso direto e asserzioni dot-trinali di importanza rilevante;

– in corsivo i termini sanscriti trasliterati, a eccezione di nomipropri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dotri-nario; sono resi con parole unite da tratino termini non perfeta-mente traducibili alla letera con un solo vocabolo;

– nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi oaggetivi, o in quella radicale se si trata di verbi; tutavia, qualorasia preferibile ai fni della comprensione, sostantivi e/o aggetivipossono trovarsi nella forma declinata, i verbi in quella coniugata.

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Inoltre:

– il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale,mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolose indica rispetivamente una Forma divina o un oggeto;

– l’inserimento di Obiezione e Risposta nel Commento – sotin-tesi nel testo originale – è stato ridoto al minimo indispensabileper una più agevole comprensione;

– si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie-gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen-te nell’uso corrente;

– per facilitare la consultazione, è stata adotata la numericadoppia separata da un punto (capitolo.verso);

– per le parole sanscrite è stata adotata la divisione sillabica;

– eventuali diferenze tra passi e/o fonti scriturali sono impu-tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.

Al testo sanscrito

– Le citazioni da fonti scriturali note o meno sono state ripor-tate tra virgolete alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes-sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale;

– La trasliterazione segue i criteri comunemente adotati man-tenendo l’unione grafca delle parole come nel testo originale de-vanågarı e la divisione sillabica;

– L’anusvåra, quando non trasliterato come µ, è stato taloratrasformato nella corrispondente nasale pronunciata.

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FONTI

Per la traduzione della Utaragıtå con il Commento di Gauƒapådae delle altre opere citate è stato consultato il testo sanscrito origi-nale in devanågarı delle seguenti edizioni:

– Utaragıtå and commentary by Gauƒapåda, ed. J.K. Balasubra-hmanyam, Srirangam, 1910;

– Utaragıtå – Gauƒapådıyadıpikåsahitå, Gujarati Printing Press,Sassoon Buildings Fort, Bombay, 1912-1968;

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,by Sri Vani Vilas Press, Srirangam, 1910;

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,Samata Books, Madras, 1982;

– htp://sanskritdocuments.org.

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ELENCO ABBREVIAZIONI

Bha. Gı. = Bhagavadgıtå

B®. = B®hadåra~yaka Upani≤ad

Bra. S¥. = Brahma S¥tra

Chå. = Chåndogya Upani≤ad

Ka. = Ka†ha Upani≤ad

Ke. = Kena Upani≤ad

Må. = Må~ƒ¥kya Upani≤ad

Ma. Bhå. = Mahå Bhårata

Må. Kå. = Må~ƒ¥kya Kårikå

Mu. = Mu~ƒaka Upani≤ad

Tai. = Taitirıya Upani≤ad

U. Gı. = Utaragıtå

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PRESENTAZIONE

La Utaragıtå è un importante testo sacro tradizionale chetrata della conoscenza e realizzazione del Brahman.

Il potente infusso spirituale esercitato nel corso del tempodalla Bhagavadgıtå – considerata unanimemente La Gıtå pereccellenza – ha fato sì che nel tempo forissero innumerevoliopere di caratere flosofco-religioso recanti il nome gıtå, siaincluse in contesti più o meno vasti sia isolate.

La Utaragıtå, ‘Il Canto successivo’, viene tradizionalmen-te considerata la continuazione concetuale sia della Bhagava-dgıtå che della Anugıtå.

Il termine gıtå vuol dire ‘canto’, da intendersi nel sensopiù elevato di un componimento poetico a sfondo spiritualein cui la istruzione viene conferita nel corso di un dialogo traistrutore e discepolo atraverso una concatenazione di do-mande e risposte; l’aggetivo utara (ud+tara) – let. ‘più su’ –va inteso nel senso di ‘successivo’, posteriore, ma anche come‘superiore’, più elevato, quindi ‘preminente’ e, per estensione,conclusivo. In tal senso la Utaragıtå rappresenta l’essenza ul-tima della istruzione, l’insegnamento fnale, quello defnitivo.

Mentre sia la Bhagavadgıtå (Il Canto del Beato, Ma. Bhå.6.25-42) che la Anugıtå (Il Canto seguente, Ma. Bhå. 14.16-51)fanno parte del Mahåbhårata, la Grande Epopea dell’India, ilpiù vasto componimento poetico-spirituale conosciuto, chedescrive le vicissitudini belliche tra i due rami primari dellastirpe di Hastinåpura inserendo narrazioni di caratere mito-logico, religioso ed etico nonché insegnamenti di caratere f-losofco, spirituale e metafsico, la Utaragıtå non è inclusa in

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tale opera – per quanto alcuni studiosi sostengono di poterindividuare alcune decine di versi simili ai suoi in una sezionedel quatordicesimo libro del Mahåbhårata nota come Gıtåsåra.

Nonostante che la dotrina della Bhagavadgıtå concernaanche bhaktiyoga e jñånayoga, in tale opera la istruzione con-ferita al discepolo Arjuna è data con particolare riguardo alsuo ruolo k\atriya, dunque principalmente relativa al karma-yoga; si può dire che la essenza dell’insegnamento ivi espres-so consista nella ‘azione-senza-azione’, in un agire disidentif-cato dalla funzione soggetiva e quindi svincolato dal risultatokarmico imprigionante.

Nella Anugıtå tale istruzione, nella sua integralità, vienenuovamente espressa in termini simili, sebbene con una mag-gior dovizia di episodi più o meno estranei inseriti nella nar-razione, in quanto il vitorioso Arjuna, successivamente alloscontro bellico, prega ancora K®≤ãa di ribadirgli l’intero inse-gnamento, recepibile, ora, con ben altro stato d’animo.

Nella Utaragıtå la istruzione è essenzialmente di caraterebråhmaãa. Infati da un lato Arjuna a causa della prosperità edell’esercizio del potere regale era come ricaduto nel giogodella esperienza, dall’altro emergendo in lui, divenuto ormaianziano, un senso di distacco dalle contingenze per via di unaraggiunta maturità, aveva abbracciato la condizione di saµ-nyåsin, il totale rinunciatario; così l’insegnamento contenutonella Utaragıtå e indirizzato al nuovo stadio coscienziale diArjuna è basato principalmente sulla conoscenza (jñåna), perquanto vi compaiano anche altri elementi trati dallo Ha†ha-yoga, dal Ku~ƒaliniyoga, ecc.

Anche questo che si snoda lungo la Utaragıtå è dunqueun dialogo realizzativo; inoltre, tratandosi in fondo della espo-sizione della conoscenza metafsica, quella del Principio supre-mo grazie al quale il tuto può essere e nel quale la totalitàappare e scompare, la conoscenza stessa non deve restare me-ra concettualità infeconda, ma approdare alla realizzazione;

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non è quindi un tratato teoretico, ma una istruzione praticaperché vi si forniscono gli appropriati mezzi per arrivare aconoscere Qello che è ed atualizzarlo coscientemente, quindiper essere, prima atraverso la meditazione e poi con una realee defnitiva presa di coscienza, Ciò stesso che si conosce.

La Utaragıtå è considerata un testo a sé, dalle carateri-stiche ben defnite e distinte da quelle delle altre due gıtåprincipali, rispeto alle quali forma una sorta di supplementointegrativo, e viene tradizionalmente annoverata tra quellegıtå indipendenti dai floni primari della Sm®ti, la Tradizione‘rammentata’ di ordine umano, e della Âruti, la Tradizione ‘u-dita’, di ordine superumano, ma che ad esse si riallacciano nelcontenuto essenziale; anche i versi iniziali e fnali – direti eprivi di qualsiasi riferimento ad altri contesti – inducono aritenerla un lavoro autonomo e a considerarla appartenentealla famiglia degli scriti ausiliari staccati da qualunque am-bito epico o tratatistico, come la A≤†åvakragıtå, la På~ƒava-gıtå e altre, o al pari di opere come la Avadh¥tagıtå (dal Ma-rkandeyapuråãa), la Uddhavagıtå (appartenente al Bhågavata-puråãa, più noto come Ârımadbhågavatam), la Ù©varagıtå (con-tenuta nel Kurmapuråãa, 2.1-11), la Råmagıtå (dall’Adhyåtma-råmayåãa), la Vyadhagıtå (dal Mahåbhårata), ecc.

Anche la Utaragıtå, come la maggior parte delle operetradizionali, è atribuita a Vyåsa, la simbolica personifcazionedella funzione di Intelligenza universale delegata alla compi-lazione dei Testi sacri in questo periodo del ciclo umano (ma-nvantara), e l’insieme dei Libri in cui il discepolo Arjuna ri-ceve l’insegnamento iniziatico diretamente dal divino Istrut-tore K®≤ãa, incarnazione (avatåra) di Vi≤~u, è tradizionalmen-te conosciuto come la triplice K®≤ãagıtå, Il Canto di K®≤ãa.

Circa le diferenze tra le tre principali gıtå, si può notareche mentre nella Bhagavadgıtå si espongono le vie dell’azio-ne, della devozione e della conoscenza come mezzi per realiz-zare il Divino, accennando anche ad alcune pratiche yoga, ma

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senza entrare nel detaglio, e sebbene il termine yoga sia men-zionato parecchie volte – gli stessi titoli tradizionali dei variAdhyåya vi fanno riferimento – purtutavia non si incontranomai istruzioni particolareggiate sui vari argomenti, e, laddovenella Anugıtå si ribadisce tale istruzione avvalorandola in ba-se ai testi della Sm®ti, la Utaragıtå espone la via per la libera-zione in una maniera bensì assai sintetica, diremo criptica,anche atraverso astrusi simbolismi, ma, nello stesso tempo,ne dà una descrizione minuziosa ed elaborata approfondendonei detagli l’insieme delle suddete pratiche, come la medi-tazione, la respirazione, la concentrazione, il risveglio dellaenergia alla base o altre ‘tecniche’, fornendo così anche di-retive di genere pratico e operativo; si può dire che essa chia-risca e puntualizzi alcune modalità proprie dello yoga intesosia nel senso primario di unione con il Divino, ovvero di rea-lizzazione della natura divina in noi, sia come strumento peroperare tale atualizzazione.

Anche se a deta di alcuni tale esposizione sembra priva diorganicità sistematica, in realtà l’apparente disordine con ilquale sono presentati tali argomenti risponde a una precisalogica didatica, che si propone di innalzare la coscienza deldiscepolo e di adatare la formula espressiva allo stadio manomano raggiunto indirizzando la istruzione su volute semprepiù profonde della spirale coscienziale-realizzativa.

Nel testo originale l’alternanza dialetica nella Utaragıtåsi svolge tra Arjuna e Bhagavat; il nome K®≤ãa non comparemai e in sua vece sono usati i nomi di Ke©ava, Vi≤~u e Âiva:ciò non rappresenta un’anomalia perché K®≤ãa, quale DivinaIncarnazione, è l’åtman supremo, ossia il Brahman, e tradizio-nalmente è indiferente indicarlo con uno qualsiasi dei suoinumerosi nomi.

Per quanto riguarda il contenuto della Utaragıtå, Arjuna,giunto all’ultima, delicata fase della sua vita terrena, maturauna profonda istanza di realizzazione del Brahman, di unione

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con il Supremo, perché, estenuato dall’incessante circolo tra-smigratorio prospetatogli da K®≤ãa nella Bhagavadgıtå, ha ri-conosciuto appieno che solo «Il conoscitore di Qello scon-fggerà la morte e la rinascita» (U. Gı. 1.6).

Così, avvicinato K®≤ãa perché gli impartisse la conoscenzadel Brahman, Arjuna chiese a lui di esporgli «Qello il quale èuno e senza-parti, che è al di là dello spazio, puro, esente dadistruzione e venuta in esistenza, e dalla conoscenza del qualesi viene liberati in quel medesimo istante» (ib. 1.1-2).

Laddove l’azione comporta un fruto diferito e, originan-dosi e svolgendosi nel piano della dualità implicita nel rappor-to soggeto-oggeto, resta lì stesso confnata, la conoscenza haun fruto immediato e trascendente: l’esito di una presa diconsapevolezza è il riconoscimento di una natura, come il ri-trovamento di qualcosa che si credeva perduto, o la indivi-duazione di una persona tra la calca, per cui è ato istantaneoe, pertanto, defnitivo, quindi permanente, e conseguentemen-te immune dal decadere o dal cessare.

La immediatezza della conoscenza-liberazione è dovuta alfato che «.non vi è distinzione tra il jıvåtman e il supremoåtman» (ib. 2.2), per cui tale identità può essere recuperata allapiena consapevolezza in qualsiasi momento esistenziale.

L’åtman, aferma Bhagavat-K®≤ãa, è «La consapevolezza tra-scendente. la natura dell’haµsa, l’essenza del Non-nato» (ib.1.5), cioè il supremo Brahman, indicato con il termine haµsa,il ‘cigno’ ricorrente in molte esposizioni dotrinali quale sim-bolo dell’åtman, e continua dicendo che i conoscitori «con-siderano il Brahman come la identità coscienziale dell’haµsacon il contenuto di consapevolezza di sé stessi» (ib. 1.4), cioèl’autocoscienza del jıva, raggio della coscienza dell’åtman che,come tale, mantiene unità di esistenza con la propria Fonte.

Perché, si domanda Arjuna, il jıva è costreto nella schia-vitù del divenire ciclico, se ha la medesima natura del Bra-hman infnito e immutabile?

Presentazione 19

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Perché ha perduto la consapevolezza di tale vera naturasovrapponendone a questa una falsa, limitata e confituale;così, identifcandosi a un veicolo composito e mortale, si tro-va a sperimentare passivamente una ininterrota esperienzamodifcante, il divenire ciclico, il saµsåra: «Qello, [benché]infnito, [ma tutavia] completamente rivestito, continuamenteerrante [nel divenire ciclico] è denominato jıva» (ib. 2.31).

Credendosi individualità, agisce di conseguenza accumu-lando gli esiti di un agire incatenante che sperimenterà nelleincarnazioni future: l’azione per sua natura è vincolante esolo la Conoscenza può restituire all’essere la sua intrinsecalibertà di Infnito. Pertanto Arjuna – immagine-simbolo del-l’individuo che si sta risvegliando – comprende che deve in-nescare nella propria coscienza un processo autorigenerativodi recupero, di riesumazione della consapevolezza, perché so-lo la Conoscenza proscioglie l’essere dal divenire: «.il saggioarderà defnitivamente il legame dell’azione con il fuoco dellaconoscenza del Brahman» (ib. 2.5).

Qal è, chiede ancora Arjuna, lo strumento più idoneo, «ilgiusto mezzo conoscitivo» (ib. 2.1) per realizzare il Brahman?

Bhagavat aferma senza esitazione che tale mezzo consisteinnanzituto e primariamente nella meditazione, anzi, diremonella direta meditazione su Qello, nella quale il meditante– lo yogin, colui cioè che aspira a realizzare tale Unione tra-scendente – si immerge una volta che abbia pacifcato il cor-po, i sensi e la mente: «avendo reso la mente immobile, si do-vrebbe meditare su Qello...» (ib. 1.12), e tale pratica, che piùche una meditazione proietiva deve essere un fusso continuoe sempre più intenso di consapevolezza, deve essere portataavanti con estrema determinazione: «Si deve ponderare suQello in quanto senza impurità, immune dalle sei futuazio-ni [che caraterizzano gli enti] e benefco, senza manifesta-zione, senza mente, senza intelleto e integro» (ib. 1.13), fno aquando lo yogin, identifcato al Brahman stesso, ha raggiunto

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la piena consapevolezza di essere egli stesso l’Osservatore«consapevole della vacuità di tuto» (ib. 1.14).

Per questa ragione si può e si deve praticare la osserva-zione distaccata e consapevole della mente, perché tale, cioèquella di Osservatore, è proprio la natura dell’åtman: «Gli yo-gin, osservando la mente con la mente, realizzano da sé Qel-lo che è situato nella mente, che sta al centro della mente eche, pur trovandosi al centro [della mente], è distinto dallamente» (ib. 1.32), perché «Il Deva degli esseri incarnati è si-tuato nella mente, è stabilito all’interno della mente» (ib. 1.31). Il supremo åtman, infati, è il Testimone sempre presente,osservatore della totalità (sarvadar©in) indipendente da qual-siasi cambiamento o condizione particolare.

La meditazione, ribadisce K®≤ãa, è fondamentale perché ilsamådhi, la contemplazione identifcativa, è «l’artefce delladistruzione della morte» (ib. 1.34), che porta a trascendere lanostra natura mortale, cioè la stessa condizione individuata.

Qesto è il mezzo direto, adato a pochi. Ma vi sono an-che numerosi mezzi indireti e, tra loro, vi è una gradazioneassai ricca e variata, ogni tipologia rivelandosi idonea per unaparticolare conformazione mentale.

In tale insieme rientra una moltitudine di simboli, formalie non, accuratamente descriti nella Utaragıtå. Inoltre in que-sta, come in altre opere, le immagini e i simboli proposti sonosempre più rarefati, confacenti, cioè, al grado di purifcazionementale del meditante e al raggiunto stato di coscienza.

Mentre l’åtman viene rappresentato con la citata immagi-ne dell’haµsa, il jıva viene simbolicamente assimilato al kåkı,il corvo – è nota la parabola upanishadica dei due uccelli – edi tale immagine Gauƒapåda nel suo commento dà una pro-fonda e interessante spiegazione, densa di implicazioni.

Nella Utaragıtå K®≤ãa aferma esplicitamente che, fn quan-do la coscienza non è in grado di contemplare diretamente ilBrahman nella sua natura non-duale e priva di atributi, lo

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yogin può avvalersi anche di immagini formali, accostando ilconceto dell’Assoluto a quello anche di enti relativi e ogget-tivi perché, in fondo, ogni forma nella manifestazione può es-sere considerata ‘aspeto’ o simbolo del Non-manifestato.

Fondamentale fra tuti i simboli è il praãava, il sacro Mo-nosillabo, l’oµkåra, ovvero la sillaba om, la quale è difusa-mente tratata in diverse Upani≤ad, fra cui sopratuto la Må-~ƒ¥kya e poi la Pra©na e altre.

La sillaba om, come noto, è la sintesi delle tre letere: a, ued m, che rappresentano i tre piani di esistenza – il piano fsi-co-grossolano, il sotile-luminoso e il causale-noumenico – e icorrispondenti stati di coscienza – lo stato di veglia o di dua-lità esterna, quello di sogno o di dualità interna e quello disonno profondo o di unità indistinta. Tale è l’om sonoro, sinte-si ed espressione integrale del manifestato, atuale e potenzia-le. Esso non è autoesistente, ma si basa su ciò che rappresental’om silenzioso, ossia il Sostrato trascendente privo di atributidenominato analogicamente Turıya, cioè il Qarto – in realtàl’Assoluto in sé e per sé – mentre la espressione sonora dellasillaba intera è il relativo che su Qello si staglia e fonda lapropria possibilità e la stessa ragion d’essere.

Tradizionalmente il simbolo non solo esprime una realtàtrascendente, dunque inesprimibile verbalmente e concetual-mente, ma si identifca con essa. È questo il senso in cui si af-ferma che ‘om è il Brahman’, nei termini: «Qesta sillaba ètuto ciò che è» (Må. 2).

Infati, il mondo manifesto è una immensa sovrastruturaproietiva di nome (nåma) e forma (r¥pa) che si erige sul So-strato di Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti (sat-cit-ånanda)del Brahman. Per comprendere la natura del simbolo om, sidice che gli enti oggetivi, cioè gli enti-efeto dotati di forma,vengono indicati atraverso i loro nomi, che sono formati daparole, le parole sono composte di singole letere, le leteresono espressione modifcata di om, ossia del praãava, il pra-

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ãava a sua volta, cioè l’om sonoro, va a riassorbirsi nel puntoesprimente la risonanza causale originante; il punto-bindu,per quanto abbia ancora natura del suono, cioè la forma delnåda, va a risolversi lì stesso dove l’om viene fato oggeto dimeditazione, cioè nella mente che, a sua volta è un aspeto, laparte manifesta o contingente, dell’åtman, ossia del Brahman.Così tuto il manifestato viene riconosciuto promanare da taleFonte e, nonostante questa sia assolutamente trascendente, sipuò realizzarla nella consapevolezza atraverso la sillaba om.

Per rimarcare tale natura totalmente trascendente del Bra-hman, la Utaragıtå aferma che Qello è non soltanto al di làdi nåma-r¥pa, ma anche oltre bindu, nåda e kåla e rappresen-ta Ciò in cui la totalità trova la propria sintesi e soluzione.

Turıya è dunque il Brahman nirguãa, e la meditazione sulpraãava, atuata a livello coscienziale, porta a realizzare pri-ma i tre stati relativi nell’ordine individuale e quindi in quellouniversale, e quindi l’Assoluto non-duale per identità.

Per capire meglio questo ‘passaggio’ ultimativo, in veritàprivo di rapporto con le precedenti condizioni, Arjuna chiedeespressamente: «Dalla eliminazione [anche] della letera m, ache cosa, invero, si perviene?» (U. Gı. 1.7).

Alla dissoluzione fnale (pralaya), e dunque alla integra-zione e soluzione completa delle tre letere-misure, con la to-talità universale che nel loro insieme complessivo e unitarioindicano, ciò che resta è la pura Consapevolezza, il Brahmanquale pura Coscienza, la Realtà in quanto tale, libera da cam-biamento e limitazione, eterna e indistruttibile come il suostesso simbolo: «.quella sillaba [om silenziosa] non si estin-gue in nessun modo» (ib. 1.52). Così, solo «Colui, il quale co-nosce Qello in quanto senza-misura è un conoscitore deiVeda» (ib. 1.16) e, una volta che si sia realizzato il Brahman, leScritture, con i metodi che suggeriscono, non hanno più ra-gione di essere: «.conosciuto Qello, non vi è [più] benefciotramite i Veda» (ib. 1.22).

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Benché il Brahman, per la sua natura sotile, non possaessere percepito come oggeto né aferrato dagli organi sen-soriali, per cui è indescrivibile, tutavia è deto essere ‘auto-luminoso, non limitato da spazio e tempo ed esente dal nessocausale, Pienezza, in quanto onnipervasivo, e indipendente daorigine e cessazione’ ma, a causa della ignoranza della sua na-tura e atraverso il suo stesso potere di måyå, viene associatoal corpo e alla mente. Pertanto la concentrazione della menteè un altro potente mezzo per realizzarlo perché, quando lamente è stata opportunamente purifcata, nella meditazioneprofonda gli yogin Lo percepiscono come Coscienza.

In questo senso la mente si rivela uno strumento basilare;le modifcazioni mentali (v®ti) vanno gradatamente risoltenella loro ‘sostanza’ coscienziale fno a che resti quella cheGauƒapåda chiama la ‘modifcazione ultima’ (caramav®ti),cioè il puro stato di autocoscienza che è il jıva stesso nella suavirtuale universalità: quando la consapevolezza con cui ci siidentifca trascende anche quella condizione, la mente stessasi svela come il Brahman infnito e onnipervadente. Dice Gau-ƒapåda nella sua Må~ƒ¥kyakårikå: «Qando la mente non sidissolve [nel sonno profondo] e non si disperde più [tra glioggeti, ecc.], [quando] è priva di futuazione e non ha [al-cuna] immagine rifessa [di oggeti, ecc.], allora essa si rea-lizza come il Brahman» (Må. Kå. 3.46).

In fondo la mente (cita) è uno stato momentaneo di cri-stallizzazione della coscienza (cit) mantenuto dalla inerzia dellemodifcazioni (v®ti); per questo può essere risolta in quella,quando viene a spegnersi anche l’ultima ‘onda’ di pensiero.

In tale stato, per Gauƒapåda ‘l’obietivo dei conoscitori’, loyogin diventa un jıvanmukta, un ‘liberato in vita’, essendosidefnitivamente afrancato dal legame della avidyå.

Prima di tale evento, invece, quando il jıva si diparte dalcorpo fsico, i semi ativi (saµskåra) posti durante le innume-revoli esistenze individuate, insieme con le impressioni la-

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tenti (våsanå) depositate a livello di subcoscienza, seguono ilcomposto o veicolo sotile, vi aderiscono quali proiezioni ali-mentate per cui «vanno insieme con il jıva fn quando [il jıva]non realizza la realtà» (U. Gı. 1.46), trascinando con la loroenergia il jıva di nascita in nascita perché svolga la esperienzache essi racchiudono potenzialmente; in altre parole, resta in-trappolato nel perenne labirinto del divenire ciclico esisten-ziale, il saµsåra, a causa della propria identifcazione con ilsoggeto agente in questa e nelle precedenti incarnazioni.

Un altro mezzo importante è il controllo della energia vi-tale (pråãa) atraverso quello del respiro: il prå~åyåma. Lamente, l’organo interno (anta¢karaãa) fa parte del veicolosottile e partecipa dei moti energetici interni. Così il controlloritmico del respiro, determinando il ridirezionamento equili-brato della energia vitale comporta anche la pacifcazione e lapurifcazione del mentale, condizione necessaria per poter co-gliere il Divino trascendente.

L’energia vitale fuisce atraverso i condoti sotili costi-tuiti dalle nåƒı che pervadono l’intero veicolo sotile a miglia-ia; le principali sono tre: le laterali ıƒå e pi√galå e la centralesu≤umnå. Qest’ultima, cominciando dal cakra inferiore (il m¥-lådhåra rafgurato alla base della colonna) e terminando inquello superiore (il sahasråra, indicato alla sommità del capo)unisce tuti i cakra intermedi ed è colei che non solo consenteil passaggio della energia potenzialmente raccolta nel cakraquale ricetacolo basale, la ku~ƒalini ©akti, ma è anche simbo-licamente identifcata con essa, con il suo potere manifestan-te, dunque con la stessa måyå.

A tal uopo un ulteriore mezzo può consistere nel dirigerela concentrazione nel cakra associato alla conoscenza, l’åjñå,fguratamente indicato al centro del capo, determinando la fo-calizzazione e la intensifcazione della consapevolezza e laconseguente disidentifcazione da reiterate e consolidate pro-iezioni condizionanti: «Colui il quale anche per un [solo] i-

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stante riesca ad andare con la mente alla radice del naso, su-pera tuto il suo errore, per quanto acquisito in centinaia dinascite» (ib. 2.10).

È ancora in tal senso che si può comprendere come, inbase alla tradizionale corrispondenza analogica tra macroco-smo e microcosmo, le varie sfere di esistenza a livello divino-universale trovino riscontro nella immagine sublimata delcorpo umano. La Utaragıtå fornisce tuta una serie di corri-spondenze simboliche al fne della meditazione con supporto.Meditandole e comprendendole nella loro integralità, e pene-trando il simbolismo che le anima, l’essere atualizza l’univer-salità che virtualmente possiede, atingendo la somma beati-tudine e ponendosi in grado di innalzarsi e risolversi nell’As-soluto, realizzando cioè il Brahman.

D’altra parte, quando l’energia vitale è perfetamente do-minata e la mente del tuto pacifcata, questa può efettiva-mente estinguersi: sorge allora lo stato di trascendenza dellamente, la condizione di manonmanı, in cui si è quella consa-pevolezza al di sopra del mentale nella sua integrale possibi-lità: «Qando [la consapevolezza] raggiunge la condizione ditrascendenza della mente, la dualità non viene più percepita:allora quello è il supremo Stato» (ib. 2.46), il Brahman, il Silen-zio inqualifcato nel quale si sono risolte le modifcazioni del-la mente, per il quale questa e quelle sono eventuale oggeto.

Solo quando la mente è stata compresa nella sua funzione,integrata nelle sue possibilità e trascesa come condizione re-lativa, quindi defnitivamente risolta, si svela allora «la com-pleta consapevolezza: ‘Io sono Brahman’» (ib. 3.14), e soltantograzie a ciò l’intero trascorso individuale, per quanto cristal-lizzato e diremo solidifcato dal tempo, può essere totalmentesciolto: «Colui, il quale, con la mente immediatamente con-centrata, mediti su di Me come ‘Io sono Brahman’, supera [al-l’istante] tuto l’errore [per quanto] prodoto da centinaia dimilioni di kalpa» (ib. 2.37).

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L’errore conoscitivo, dovuto alla ignoranza metafsica, im-plica una ftizia identifcazione con una condizione oggetivasovrapposta e come tale può essere rimosso solo dalla Cono-scenza: «‘Io sono Brahman’ è certamente il mezzo di libera-zione per le grandi anime. Le due espressioni: ‘è mio’ e ‘non èmio’ [portano rispetivamente] alla schiavitù e alla liberazio-ne: con [la idea] ‘è mio’ l’uomo si assoggeta, con [la idea]‘non è mio’ si libera completamente» (ib. 2.45).

Ne consegue che, una volta spezzato il legame identifcati-vo con la falsa soggetività, e con la inerente capacità di espe-rienza, quando cioè l’intero manifestato è stato riconosciutoapparenza, o atuazione di una possibilità, non vi è più ritor-no alla condizione individuata: «Qando c’è assenza di afi-zione nei riguardi dell’oggeto [di esperienza], non esiste più[la possibilità di] una ulteriore nascita» (ib. 3.17).

L’insegnamento contenuto nella Utaragıtå è completo e iltesto può essere considerato un preceto autonomo, benché,per intenderlo a fondo, sia opportuno, anzi raccomandabile,un previo, accurato studio almeno della Bhagavadgıtå.

L’opera è distribuita in tre Capitoli (adhyåya) per un tota-le di 121 versi, la maggior parte di metro anu≤†ubh, taluni neltri≤†ubh, alcuni parziali, la cui numerica varia per redazione.

I versi non sono complessi – per quanto a volte alcuni ri-chiami simbolistici possono ofrire difcoltà di interpretazio-ne – ma il loro senso ultimo può apparire talora astruso. Sen-za una approfondita conoscenza della dotrina Vedånta e delloYoga nonché di alcune pratiche sia di questo che dei Tantrama, sopratuto, a prescindere dalla ‘illuminante spiegazione’(dıpikå †ıkå) di Gauƒapåda, potrebbe risultare arduo compren-dere il signifcato essenziale di molti dei s¥tra.

A una coscienza matura e sinceramente protesa alla rea-lizzazione del Brahman la Utaragıtå e le parole di Gauƒapådasapranno imprimere un vigoroso stimolo alla intuizione eofrire un efcace strumento operativo.

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om

UTTARAGÙTÅ

corredata dalla dilucidazionedi

Gauƒapåda

« Il Canto successivo »

Provvisto ed esaurientemente guarnito della spiegazionecomposta dal venerabile Gauƒapåda,insigne maestro del più alto ordine

dei monaci itineranti

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Sia reso omaggio a ©rı Ga~e©a

Per realizzare Qello che è sommamente ambìto,per prendere rifugio nell’åtman,il Sostrato dell’universo, l’Intero,l’Essere-Coscienza-Beatitudine [assoluti]al di là della parola e oltre la portata del pensiero.

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Primo Adhyåya

In questo contesto1, dato che il godimento degli oggeticontinua di sicuro a ripresentarsi con una certa insistenza, ilglorioso Arjuna, ricordando chiaramente l’istruzione in meri-to a quella realtà che è l’åtman impartita [a lui] da Bhavagatnel ‘campo del dharma’, nel Kuruk\etra, con l’esordire [dicen-do]: «Tu ti stai afiggendo per quelli che non dovrebbero es-sere rimpianti.» (Bha. Gı. 2.11), nuovamente interroga Bha-gavat per conoscere quella stessa realtà che è l’åtman.

Arjuna disse:

1.1. Qello il quale è uno e senza-parti, il Brahman che è aldi là dello spazio e privo di maculazioni, non aferrabile permezzo della ragione, inconoscibile [come oggeto], esente da di-struzione e da venuta in esistenza,.

1.2. .[che è] causa [della totalità], è afrancato da ogni rap-porto, distinto da [ogni] mezzo di produzione, stabilito al centrodel loto del cuore, la cui natura propria è la conoscenza e il co-noscibile, e dalla conoscenza (realizzazione) del quale si vieneliberati in quel medesimo istante: [di Qello] o Ke©ava, parlami.

Di quel Brahman, del Brahman “dalla conoscenza del qua-le”, dalla cui autentica realizzazione “si viene liberati in quelmedesimo istante”, cioè nell’istante immediatamente succes-sivo alla realizzazione della conoscenza, [di quel Brahman]che costituisce la porta di accesso alla estinzione della igno-

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ranza e il conseguimento della beatitudine, di Qello, “o Ke-©ava, parlami”, cioè: mostra [a me Qello] atraverso le [pri-me] due proprietà che costituiscono l’essenza della sua naturapropria (svar¥pa). Qelle stesse [prime] due proprietà [K®≤ãa-Bhagavat] mostra dove [il testo] comincia con: “Qello (ilquale è uno e senza-parti.)”2.

“.uno” (ekam) [signifca] privo della diferenziazione con-cernente la omogeneità e la eterogeneità, mentre “senza-par-ti” (ni≤kala) [signifca] privo di parti costitutive; “al di là dellospazio” (vyomåtıta) [vuol dire] al di là dei ventiquatro tatvache cominciano con lo spazio fsico (åkå©a)3; “privo di macu-lazioni” (nirañjana) [signifca] di per sé risplendente; “non af-ferrabile per mezzo della ragione” (apratarkya) in quanto è ol-tre la portata della mente, come [è dato apprendere] dallaÂruti: «Qello che la mente non pensa.» (Ke. 1.5)4; “incono-scibile [come oggeto]” (avijñeya) in quanto non è oggeto deimezzi di conoscenza validi, come [si apprende] dalla Âruti:«.quello che non è pronunciato dalla parola» (Ke. 1.4)5, «.dalquale le parole recedono.» (Tai. 2.4.1); “esente da distruzionee da venuta in esistenza” (vinå©otpativarjita) in quanto pernatura si estende nei tre tempi (passato, presente e futuro).

“.causa [della totalità]” (kåraãa), poiché determina la ve-nuta in esistenza della totalità in quanto ha natura sia dellacausa sostanziale (upådåna) che della causa efciente (nimi-ta)6 esente da relazione con [qualsiasi] altra entità; “distintoda [ogni] mezzo di produzione” (hetusådhanavarjita), vale adire distinto dalle proprietà, ecc. della natura di causa ef-ciente e della natura di causa sostanziale7; oppure [signifca]distinto dalle due stesse [forme-aspeti causali] in virtù dellapropria natura di eternità (acausalità); “stabilito al centro delloto del cuore” (h®dayåmbujamadhyastha) cioè collocato nelcuore di qualunque essere in virtù del suo costituire il Rego-latore interno di tuti gli esseri; “la cui natura propria è laconoscenza e il conoscibile” (jñånajñeyasvar¥pa): è la cono-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.234

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scenza in quanto illumina l’oggeto, è il conoscibile in quantoè oggeto, dunque sostanzia l’esistenza di ambedue8; di quelBrahman il quale è sifato [parlami].

Essendo stato così interrogato da Arjuna, Bhagavat, plau-dendo al senso della domanda, disse quindi:

Ârı Bhagavat disse:

1.3. Retamente [mi] hai interrogato, o tu dalle possentibraccia; sei saggio, o På~ƒava. Di quello, del quale mi chiedi, lavera essenza Io [ora ti] espongo compiutamente.

Chiamandolo: “o tu dalle possenti braccia” (mahåbåho),[Bhagavat] evidenzia la capacità [di Arjuna] di poter annien-tare tuti i nemici; i ‘nemici’ sono [da intendersi in senso me-taforico come] l’ataccamento e gli altri [difeti].

“.o På~ƒava.”: [tale appellativo] rivela la nascita [di Ar-juna] in una famiglia di alto rango mentre, elogiandolo [neitermini]: “sei saggio” (buddhimånasi), [Bhagavat] evidenzia lacapacità [da parte di Arjuna] di aferrare e determinare il si-gnifcato [delle cose] da lui stesso (Bhagavat) espresso. “Diquello”, dell’åtman “del quale” tu “mi chiedi, la vera essenzaIo” [ora] ti “espongo compiutamente”, cioè così come [essa] è.

Qindi quella stessa essenza dell’åtman espose in questomodo:

1.4. Per coloro il cui desiderio è stato disperso atraverso loyoga, [i Saggi] considerano il Brahman come la natura-identitàcoscienziale (bhåvanå) dell’haµsa con il contenuto di consape-volezza di sé stessi, grazie alla reciproca concordanza.

L’haµsa è ciò che, grazie alla conoscenza della propria na-tura, distrugge (hanti) il divenire ciclico (saµsåra) [che è unprodoto] della ignoranza9; “([i Saggi] considerano il Brahman

Primo Adhyåya1.4 35

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come la natura-identità coscienziale.) dell’haµsa”, quale og-geto di tale signifcato, “con il contenuto di consapevolezza(di sé stessi)”, [contenuto] consustanziato del praãava (la sil-laba om) e in sé compiuto in quanto riferito a sé stessi (å-tmani)10, dunque [la identità dell’åtman individuato, il jıvå-tman, e] di quello che è il supremo åtman, “grazie alla reci-proca concordanza”, cioè in virtù di quella che è la mutuarelazione di identità tra ciò che viene dimostrato e ciò che [lo]dimostra, come si aferma [nel s¥tra]: «Invece Qello [è cono-sciuto dalle Upani\ad] atraverso la concordanza [di passi ap-parentemente contraddittori]» (Bra. S¥. 1.1.4), dove si recita laproposizione relativa alla concordanza [dei passi scriturali],quale si può riscontrare in tuto il Vedånta; [tale identità vie-ne affermata] “Per coloro il cui desiderio è stato disperso conlo yoga”, defnito come la ricerca della natura essenziale del-l’åtman, [yoga] con il quale vengono distrute le sei specie dinemici, per cui viene mostrata la cessazione delle impuritàche sono di ostacolo alla conoscenza11.

I conoscitori della realtà “considerano”, afermano “il Bra-hman come” quella che per costoro è “la natura-identità co-scienziale” (bhåvanå)12 rivelata da sentenze scriturali come«Tu sei Qello» (Chå. 6.8.7) e altre, la quale è [il contenuto diconsapevolezza concernente] la modifcazione [mentale] fna-le13, ovvero la estinzione di ciò [che è modifcazione mentale],o, ancora, la cessazione della ignoranza relativa a tali [modif-cazioni mentali] atraverso la sua eliminazione, o, infne, lostato in cui si ha la [defnitiva] soluzione [della mente]. Tale èla restante parte [del verso].

[Dopo di ciò Bhagavat] espose quella stessa conoscenzadella realtà e quindi la estinzione della ignoranza, cioè la suaeliminazione defnitiva.

1.5. La consapevolezza trascendente, per coloro dotati di cor-po, è la natura dell’haµsa, la quale è l’essenza del non-nato; e

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l’haµsa è questo stesso haµsa imperituro, Qello che è immu-tabile e indistrutibile.

1.6. Il conoscitore di Qello, avendo conseguito l’Imperituro,sconfggerà la morte e la [ri-] nascita.

“La consapevolezza trascendente” (påradar©ana), cioè laconoscenza-realizzazione del Supremo da parte “di coloro do-tati di corpo”, cioè dei jıva, “è la natura dell’haµsa”, cioè lanatura propria del supremo Brahman, “la quale è l’essenza”,ossia la consapevolezza [quale cognizione di sé] “del non-na-to” jıva. L’“immutabile” è sia l’indistrutibile haµsa che il pra-ãava (la sillaba om): Qello, che è il testimone di entrambi, èdeto l’Imperituro (ak\ara)14. Con ciò viene mostrata la incon-sistenza della triplice differenziazione [dei tre stati, sfere, con-dizioni, ecc.].

“Il conoscitore” della natura propria “di Qello”, essendoegli un essere discriminante, “avendo conseguito” Qello, os-sia “l’Imperituro”, la Realtà (vastu), “sconfggerà la morte e la[ri-] nascita”, cioè si afrancherà dal divenire ciclico aventenatura di una successione ininterrota di nascite e morti, equella sarà allora la [sua] liberazione, cioè la [realizzazione, osvelamento, della] identità del jıva e del supremo åtman. Ora,per dimostrare la identità del jıva e del supremo [åtman] allaliberazione, viene spiegato il Brahman, per la verità non sog-geto a spiegazione [essendo privo di atributi], atraverso laeliminazione delle sovrapposizioni.

[Arjuna chiese:]

1.7. Alla terminazione della sillaba ka nell’aspeto del kåkı,si atinge lo stato di una consapevolezza [interna] che è la let-tera u. Dalla eliminazione [anche] della letera m, a che cosa,invero, si perviene?

Primo Adhyåya1.7 37

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Il buono (ka) e il non-buono (aka), cioè i due [termini kaed aka, che uniti danno] kåka (ka+aka), sono il piacere e ildolore (sukhadu¢khe); questi due sussistono in quanto perti-nenti a costui (il jıva).

È per questo che il jıva, quale immagine rifessa [dell’å-tman] atraverso l’ignoranza, è [deto] kåkı15.

Il suo aspeto (mukha) costituisce il rifesso [dell’åtman], ilquale è il Brahman, che appare in quella foggia; tale aspeto,nella parte fnale della sillaba ka, è ciò che Lo esprime, il cheviene messo in relazione anche in questo caso con l’argomen-to relativo al duplice [termine e conceto di] kåka; e così launione del suono della sillaba ka e di quanto costituisce laimmagine (cioè la parola aka) viene a formare il [termine]kåkı16.

Qi la terminazione della sillaba ka, cioè [la letera a chene è] la parte fnale, è quel suono consustanziato della leteraa [nella sacra sillaba om scomposta nelle misure-letere a, ued m], cioè la totalità [fsica-grossolana] che formano i cinquegrandi elementi [quelli cosiddeti] grossolani quintuplicati17 eunitamente ai loro efeti: la totalità [grossolana così formata]viene deta Viråj; questo rappresenta il corpo grossolano (sth¥-la©arıra) dell’åtman, [cui corrisponde] lo stato di veglia (jåga-rita, jågrat) nel quale si ha la percezione degli oggeti atra-verso i sensi, mentre l’åtman [stesso, nel suo rifesso jıva],quando è identifcato con ambedue18, è [deto] vi©va. Qestaterna è il signifcato della letera [e misura] a.

In relazione alla confgurazione che è il kåkı (il jıva), laletera u esprime una forma (åk®ti) di consapevolezza [inter-na] (cetanå). La letera u, che è al di qua (cioè prima) dellaletera m [nella Sacra Sillaba om]19, esprime i cinque grandi e-lementi (quelli sotili), quando non sono [ancora] quintupli-cati, insieme con il loro efeto che è il veicolo sotile (li√ga)composto di diciassete costituenti20: esso è deto Hira~yaga-rbha e costituisce il corpo sotile (s¥k\ma©arıra) dell’åtman,

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda38 1.7

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cioè lo stato di sogno (svapna) con il suo proprio oggeto,ovvero il contenuto di conoscenza (pratyaya) relativo ai semiativi (saµskåra) [prodoti nella condizione di esperienza] del-la veglia che risiedono nei sensi allorché [i sensi con le lorofunzioni] sono riassorbiti [durante il sonno]; mentre l’åtmanche si identifca [tramite un suo rifesso] con questi due21 è[deto] taijasa. Qesta terna è il signifcato della letera u.

La [espressione] ‘stato di una consapevolezza [interna]’(cetanåk®ti) esprime la condizione [assunta da parte] dellaconsapevolezza di taijasa consustanziato di Hira~yagarbha.

Riguardo all’aspeto kåkı della letera m, che qui è statonominato prima della letera u, quella che è la letera m è lanon-conoscenza (ajñåna) dell’åtman, unitamente alla sua fal-lacia, che è la causa dei due corpi [summenzionati]: è detaAvyåk®ta (Immanifesto) ed essa non è né reale (esistente, sat),né non-reale (non-esistente, asat), nemmeno reale-non-reale(sadasat), né separata (bhinna) né non-separata e neppure se-parata-non-separata da checchessia, né priva di parti, né com-posita, né ambedue insieme.

Che cosa è, allora?È lo stato di sonno profondo (su\upti), cioè la condizione

dell’åtman che è causa della buddhi, ovvero lo stato di riassor-bimento della conoscenza in tute le sue modalità il quale vie-ne rimosso [solo] dalla conoscenza (realizzazione) della asso-luta identità del Brahman e dell’åtman [individuato]; quandol’åtman è identifcato con entrambi22 è [deto] pråjña. Qestaterna è il signifcato di quella che è la letera m.

“Dalla eliminazione.”, ossia: [quando] la letera a è [statariassorbita] nella letera u, [quando] la letera u è [stata rias-sorbita] nella letera m, [quando] la letera m è [stata riassor-bita] nella sillaba om, dunque dalla eliminazione [cioè dallaintegrazione-trascendenza ovvero dalla soluzione progressivadelle letere e degli stati di esistenza-coscienza che rappresen-tano] “.a che cosa (si perviene)?”.

Primo Adhyåya1.7 39

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[Ad esempio] quella che è la letera a è superiore alla silla-ba ka e il suo signifcato è la natura propria di quella [sillaba]espressa indiretamente; [così] il signifcato al di là della lete-ra m consiste nella natura propria della Sillaba om espressaindiretamente. Al di là della Sillaba om [espressa, ossia sono-ra, vi è l’om silenzioso, ovvero] vi è il Testimone che è l’åtman(åtmasåk\in)23, la cui natura propria è unicamente Coscienzaassoluta, e non si trata di non-conoscenza unitamente al suoefeto [di conoscenza erronea, falsa o diforme dal vero]24.

Che cosa è, dunque?È il Brahman stesso, eterno, puro, consapevole, libero, ve-

rità, suprema beatitudine e privo di secondo: a Qello “si per-viene”, vale a dire che si consegue tale identità (aikya, quelladel jıvåtman con il Brahman), cioè lo stato naturale espressodai seguenti e altri passi della Âruti: «Qesto åtman è il Bra-hman» (Må. 2), «Qello, il quale è qui nell’essere umano, e ilquale è lassù nel sole, è unico» (Tai. 2.8.5), «Tu sei Qello»(Chå. 6.8.7), «Io sono Brahman» (B®. 1.4.10)25.

Oppure, secondo un’altra letura del passo: “Alla termina-zione della sillaba ka nell’aspeto del kåkı, si ha la forma diuna consapevolezza [interna] che è la letera u. Dalla elimina-zione [anche] della letera m, a che cosa, invero, si perviene?”,[mentre si intende ancora che] il buono (ka) e il non-buono(aka), cioè i due [aspeti del] kåka, sono il piacere e il dolore(sukhadu¢khe) e [che] questi due sussistono appartenendo acostui (il jıva), quello che è [simbolicamente espresso con] laletera k all’inizio della forma, ossia della parola che lo con-tiene (dunque la sillaba ka nella parola kåkı), è già il kåkı, cioèil jıva, e quello che è la sua terminazione, cioè la letera a, è ilBrahman quale [pura] consapevolezza, qual è la sillaba a nel[termine kåkı che esprime il] jıva [cioè come jıva, vale a direnel suo aspeto di jıvåtman]. Qesto è il signifcato26. Inoltre,è il Brahman stesso il quale, a causa della propria ignoranza,trasmigra27; così è secondo ragione.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.740

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Qal è il risultato del riassorbimento e della trascendenza[delle tre letere-misure di om] dalla letera a, indicativa dellacondizione di jıva, alla letera m?28

Il risultato è la [piena realizzazione della] propria naturadi Essere-Coscienza-Beatitudine priva di parti, senza-secondo;cioè ottiene pienamente, vale a dire consegue tale [risultato]ossia diviene perfetamente dotato della consapevolezza dellaidentità [tra sé e il Brahman] atraverso il metodo citato qualè quello della [meditazione sulla] ‘forma di kåkı’, ecc.

Ovvero: ‘o [tu, che sei nella] forma di kåkı, tu sei il Bra-hman’. La terminazione della sillaba ka, cioè la letera che vie-ne subito dopo la sillaba ka (quindi dopo la letera a), è la let-tera u: essa è il Brahman [qualifcato e dunque nell’aspetto]che si intende spiegare.

“.si ha la forma di una consapevolezza [interna] che è laletera u”: tale è la correta interpretazione. La letera u è lacausa originaria [della letera a] in quanto è la consapevolez-za di quel [medesimo] Brahman cioè la [sua] forma, o poten-zialità, che conferisce consapevolezza [allo stato defnito dallaletera a]. Qal è, poi, il risultato [che si consegue] dal rias-sorbimento della letera m (e quindi dello stato cui corrispon-de) per il Brahman in relazione al quale l’ignoranza, suscetti-bile di determinarsi atraverso il mutamento, viene dispersa?29

Il risultato [che si consegue] al riassorbimento di quellache è la letera a al di là della sillaba ka è la natura propriache deve essere tenuta in considerazione30: quella viene rea-lizzata compiutamente, vale a dire che si consegue la identitàcon Qello. Medita in questo modo! [Qesta esortazione, sot-tintesa nel testo, potrebbe legitimamente costituire] la conti-nuazione [della frase].

In tal senso anche la Âruti [sprona nei termini]: «Immergi-ti, inòndati [della conoscenza], torna ad essere l’Uovo [cosmi-co] e cessa d’un trato di esistere come creatura [individuata]!Abbandona con decisione la tua propria citadella [del corpo],

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[mezzo di] piacere e altro, ma ricetacolo di soferenza!». Ilsignifcato di questo [passo] è: ‘O essere vivente (jıva), tu chesei congiunto con la nascita e la morte, immergiti [nella con-sapevolezza del Brahman], cioè diventa un liberato in vita (jı-vanmukta), inòndati [della coscienza onnipresente], divieniimmediatamente libero, torna ad essere di colpo l’Uovo, ossiarientra all’interno dell’Uovo di Brahmå (brahmå~ƒa) e, così[facendo], cessa d’un trato di esistere come essere trasmi-grante, cioè non esserlo più!’.

Se sei [divenuto] un essere trasmigrante, qual è stato l’er-rore? Ponendosi tale dubbio, [il testo] dice: ‘Abbandona condecisione’ quella che è la tua propria citadella, cioè: abbando-na [la identifcazione con] il tuo stesso duplice corpo, sotile(il veicolo psichico) e grossolano (quello fsico-denso), che,per quanto mezzo di piacere e altro, cioè strumento di [ricer-ca ed esperienza del] piacere oggettuale, è un ricetacolo disoferenza in quanto alla fne si rivela solo sede di dolore31.

Così, per il discepolo impegnato nella concentrazione yo-ga, [l’Autore] parla anche del fruto che deriva dall’impegnoprofuso nel prå~åyåma.

[Ârı Bhagavat rispose:]

1.8. Sia che si muova sia che stia fermo, [operando] conti-nuamente l’assimilazione del sofo vitale nella forma più eleva-ta, atraverso la pratica costante, l’uomo può diventare millena-rio.

“.l’uomo.” (nara) – [a tale proposito un passo della Ârutidice:] «Il puru\a di centinaia di anni, ha centinaia di organisensoriali» – [ma] anche colui la cui vita è limitata, “Sia che simuova”, cioè nel momento in cui si muove, “sia che stia fer-mo”, cioè nel tempo in cui ristà immoto, operando “continua-mente”, in ogni momento, anche nei periodi di riposo, ecc.,

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“l’assimilazione del sofo vitale”, il controllo del respiro (prå-~åyåma), “nella forma più elevata”, [trasmutandolo] in unamodalità sublimata, grazie a ciò, “atraverso tale pratica co-stante”, per mezzo della concentrazione sul sofo vitale pro-trata in qualsiasi momento, “può diventare”, può divenire“millenario”, vale a dire che potrà vivere per migliaia dianni32.

Obiezione: Comunque, quando si verifcherà [per costui] ilfruto supremo?

Risposta: A ciò [Bhagavat] replicò:

1.9. Finché concepisce [l’åtman] nella forma di un ente li-brantesi nel cielo, [il puru\a] dovrebbe ponderare distintamente[sull’åtman] come avente quella forma.

“Finché si concepisce [l’åtman] nella forma di un ente li-brantesi nel cielo”, esatamente sino a quando egli concepisce[l’åtman per esempio] soto forma di cigno (haµsa), propriofno ad allora il puru\a “dovrebbe ponderare distintamente”,cioè dovrebbe meditare sulla natura propria del Brahman “co-me avente quella forma”, mediante la concentrazione quale èstata esposta, fno in età avanzata. Qesto è il signifcato.

[Qindi Bhagavat] enunciò la meditazione sull’assenza didistinzione tra l’åtman e l’universo, [da praticarsi] ininterrot-tamente allo scopo di realizzare sifato åtman [nella sua veranatura].

1.10. ...[quindi, tu, o puru\a] realizza l’åtman all’interno del-lo spazio [del cuore] e realizza lo spazio in quanto all’internodell’åtman. Avendo realizzato l’åtman in quanto sostanziatodello spazio [all’interno del cuore], [il jıvåtman] non pensi più anulla.

Primo Adhyåya1.10 43

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“.realizza l’åtman”, cioè il supremo åtman, “all’internodello spazio.”, all’interno del ‘piccolo spazio’ [che è dentro alcuore spirituale]; [il jıvåtman] divenga consustanziato dellapura esistenza [dell’åtman] non distinta da questo [spazio] –tale è il senso – “.e realizza lo spazio” (kha), cioè realizza lospazio [ossia il ‘piccolo spazio’ del cuore] “in quanto all’in-terno dell’åtman” , nel supremo åtman: [il jıvåtman] divengasostanziato di tale [spazio]33.

“Avendo realizzato l’åtman in quanto sostanziato dellospazio”, cioè avendo realizzato il supremo åtman in quantosostanziato dello spazio (quale ‘piccolo spazio all’interno delcuore’, cioè coessenziato di pura spazialità coscienziale, dun-que illimitato soto ogni aspeto), “[il jıvåtman] non pensi piùa nulla”, vale a dire: non mediti più su altro che sia diversodal Brahman.

Oppure con il termine ‘spazio’ (kha) viene indicato il jıva,mentre con il termine åtman viene indicato il supremo åtman,come [si apprende] dalla Âruti: «.quello che ha per corpo lospazio, il Brahman.» (Tai. 1.6.2).

Avendo preso coscienza della loro identità, [il jıva] “nonpensi più a nulla”. Divenuto così grazie al modo descrito, loyogin diverrà certamente stabilito nella conoscenza del Bra-hman; in tal senso [Bhagavat] disse:

1.11. Con l’intelleto fermo e libero da confusione mentale, ilconoscitore del Brahman, stabilito in Brahman, deve sempremeditare intensamente su Qello che è privo di parti, il quale èstabilito al di là del cielo ed è situato alla radice del naso allor-ché il fusso [del respiro] è andato a dissolversi.

“.il conoscitore del Brahman” (brahmavid), essendo coluiche ha realizzato la conoscenza del Brahman (brahmajñånin)nel modo descrito, “Con l’intelleto fermo”, divenuto colui lacui conoscenza-consapevolezza è stabile, “libero da confusio-

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ne mentale”, cioè essendo privo di ignoranza, “stabilito inBrahman”, solamente fondato nel Brahman, “deve sempre me-ditare intensamente su Qello”, cioè deve portare la consa-pevolezza sul Brahman “che è privo di parti”, ossia è al di làdelle [divisioni in] parti, “il quale è stabilito al di là del cielo”,ossia stabilito al di là dello spazio, “ed è situato alla radice delnaso allorché il fusso [del respiro]”, cioè il fusso del sofovitale, “è andato a dissolversi”, ha cioè raggiunto la completaestinzione34.

[Qindi Bhagavat] espose una speciale [forma di] concen-trazione per [raggiungere] la fssità della mente da parte dicolui che è fondato nella conoscenza del Brahman.

1.12. O Pårtha, quando il sofo vitale viene emesso avendololiberato dalle due cavità [delle narici], allora, avendo altresì resola mente immobile, si dovrebbe meditare su Qello, il Signore.

“O Pårtha, quando il sofo vitale viene emesso avendololiberato dalle due cavità [delle narici]”, cioè è uscito dalle dueaperture del naso, per cui va a estinguersi, “(allora) avendoreso la mente (immobile)”, cioè del tuto ferma in questo mo-do, “si dovrebbe meditare su Qello, il Signore”, cioè si do-vrebbe meditare [su Qello] nel modo che verrà descrito35.Qello stesso modo descrisse [di seguito Bhagavat].

1.13. Si deve ponderare atentamente su Qello in quantosenza impurità, immune dalle sei futuazioni [che caraterizza-no gli enti] e benefco, senza manifestazione, senza mente, sen-za intelleto, integro,.

1.14. .consapevole della vacuità di tuto ed esente da men-daci sembianze: [tale] è [anche] la carateristica di colui che èimmerso nel samådhi. Invero, colui che [così] mediti intensa-mente, privo della triade, si afranca dalla schiavitù.

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“Si deve ponderare atentamente”, vale a dire si deve me-ditare “(su Qello) in quanto senza impurità” e in quanto es-senziato di quella Coscienza [assoluta] che stilla dal sensodell’io [quando è discriminato dagli atributi qualifcanti elimitanti sovrapposti (upådhi)] e, perciò stesso, “immune dallesei futuazioni [che caraterizzano gli enti]”, ossia esente dafame, sete, ecc.36, “e benefco”, la cui natura propria è la bea-titudine. Tale è il signifcato.

E, inoltre: “.senza manifestazione”, cioè privo dello splen-dore che sostanzia le modifcazioni e, come causa al riguardo,“senza mente”, ossia privo della mente e, perciò stesso, “senzaintelleto”37, nonché esente da aderenza e quindi “integro” edunque privo di simulazione e, per tale stessa ragione, “esenteda mendaci sembianze” e, poi, immune dal distrarsi; propriograzie a questo, egli è [divenuto] “(consapevole della) vacuitàdi tuto”: grazie alla [riconosciuta] irrealtà di tuto ciò che èdistinto da sé stessi, la contemplazione identifcativa (samå-dhi) è la meditazione [per identità] su Qello che, quale es-senza unica di beatitudine, è il Brahman.

Qal è la carateristica di quegli che è stabilito in tale[samådhi-contemplazione identifcativa]?

Ponendosi tale interrogativo, [Bhagavat] disse: “(Invero)colui che [così] mediti intensamente”, cioè che porti la consa-pevolezza [sul Brahman], “privo della triade” quale è stata e-sposta precedentemente come ‘senza manifestazione, ecc.’ –con tale [espressione: ‘privo della triade’ (tri©¥nya)] si alludealla natura [del Brahman] in quanto trascendente rispeto allaterna di condizioni quali quella di veglia, ecc. – dunque, coluiche mediti intensamente sul Brahman sifato, indicato da tali[specifcazioni come quelle anzidete], seguendo l’ordine deitermini: ‘manifestazione’, ‘mente’ e ‘intelleto’38, costui, stabi-lito nella contemplazione identifcativa, “si afranca dalla schia-vitù” del divenire ciclico, cioè diviene un liberato [in vita, unjıvanmukta].

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.1446

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In questo modo, per il liberato in vita non sussiste [piùalcun] attaccamento alla vita tramite il corpo, ecc.; questoafermò [Bhagavat]:

1.15. Qando il corpo è emerso [come] da sé, l’essere incar-nato, atraverso un samådhi reso perfetamente stabile, puòconoscere chiaramente Qello che è l’Immobile: [tale] è lacarateristica di colui il quale è stabilito nel samådhi.

“Qando il corpo è emerso [come] da sé”, in forza di unprårabdhakarman senza inizio39, per cui produce anche [mo-vimento-atività come quello concernente] l’andare, ecc., “l’es-sere incarnato” (dehin), il jıva, “atraverso un samådhi resoperfetamente stabile”, cioè per mezzo di uno yoga che con-senta una contemplazione identifcativa imperturbabile, come[egli stesso] diviene, così “può conoscere chiaramente Qel-lo” il supremo åtman, “l’Immobile”.

Qesta stessa viene deta essere “la carateristica di colui ilquale è stabilito nel samådhi”, di colui che è stabilito nello yo-ga [mirante alla realizzazione] dell’åtman.

A seguire viene espressa anche la carateristica di coluiche è conoscitore dell’åtman (åtmajña).

1.16. Colui, il quale conosce Qello in quanto senza-misura,separato dal suono, distinto da vocali e consonanti, trascendentele parti concernenti il suono e il punto [nella pronuncia delmonosillabo om], costui è un conoscitore dei Veda.

“(Colui il quale conosce Qello) in quanto senza-misura”(amåtra)40, esente da [ciò che può essere una estensione] pic-cola, grande, piena, ecc., “separato dal suono”, cioè al di làdella parola [quale defnizione o descrizione], “distinto da vo-cali e consonanti”, ossia indescrivibile atraverso parole con-sistenti in combinazioni di sillabe, “trascendente le parti con-

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cernenti il suono e il punto [nella pronuncia del monosillaboom].” – il punto (bindu) è la risonanza pura (anusvåra, µ)[che si emete] quando l’apertura della gola è chiusa [dopo laemissione del suono]; mentre il suono (nåda) è quello che èun difondersi sonoro simile al prolungato risuonare del rin-tocco di una campana41. Le parti (kala) sono il punto specifco[di emissione] del suono, mentre [l’espressione] ‘trascendenterispeto a quelle’ signifca inesprimibile a parole, qualunqueesse siano.

“Colui, il quale conosce Qello.”, cioè il Brahman di talenatura [quale è stata descrita], “è un conoscitore dei Veda”:[solo] costui è uno che ha compreso il signifcato del Vedåntanella sua interezza e nessun altro. Tale è il senso.

[Qindi Bhagavat] afermò che, quando si verifca la ces-sazione dei contenuti mentali, ecc., i quali [essendo fatori]ostacolanti, rendono impossibile la conoscenza della realtàdell’åtman, che invece può essere conseguita così [come èstato deto], non vi è [più] nulla che debba essere fato.

1.17. Qando per mezzo della conoscenza è stata conseguitala chiara consapevolezza e l’oggeto della conoscenza è compiu-tamente stabilito nel cuore, quando il corpo è giunto in unostato di completa pacifcazione, non vi è [più] yoga e neancheconcentrazione mentale [che si debbano praticare].

“Qando per mezzo della conoscenza” di per sé immediata“(è stata conseguita) la chiara consapevolezza” (vijñåna) con-sistente nella spontanea esperienza [dell’åtman], vale a dire:“Qando per mezzo della conoscenza” ingenerata dalla istru-zione delle Scriture e del Maestro “è stata conseguita la chia-ra consapevolezza” consistente nella esperienza [direta del-l’åtman] “e l’oggeto della conoscenza” , cioè il supremo å-tman, che costituisce l’essenza del signifcato autentico di tut-to il Vedånta, “è”, risulta “stabilito nel cuore”, cioè è rifulgente

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda48 1.16

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autonomamente nel cuore, “quando il corpo”, cioè quando iljıva, il quale è caraterizzato da sovrapposizioni limitanti qua-li quella del corpo, “è giunto in uno stato di completa paci-fcazione” , ossia [quando il jıva stesso] ha conseguito per-fetamente la identità con il Brahman, allora “non vi è [più]”né “yoga e neanche” vi è [più] “concentrazione mentale” [chesi debbano praticare] perché, quando il fruto è pienamenteotenuto con il mezzo [anzideto che è la conoscenza], nonsussiste più [utilità nelle pratiche ascetiche]: tale è la ‘iden-tità’ (bhåva).

In tal modo, essendo stato liberato grazie alla conoscenzaimmediata della realtà che è l’åtman, [il jıva] rinasce come ilSignore stesso: così [Bhagavat] espose la sua natura propria.

1.18. Qel suono, [che viene] pronunciato al principio delVeda e posto alla fne del Veda, quello che è trascendente rispet-to ad esso quando è riassorbito nella [sua] natura, è il grandeSignore.

“(Qel suono, che viene pronunciato) al principio del Ve-da”, situantesi all’inizio di tuti i Veda per scongiurare il di-sperdersi [della parola] del Veda con lo sfuggire verso il bas-so, “e posto alla fne del Veda”, collocato alla fne di tuti i Ve-da per scongiurare il disperdersi [della parola del Veda] con losfuggire verso l’alto42 – dalla particella “e” (ca) [si desume chetale suono] è inserito anche all’interno del Veda per protegge-re tuto il Veda – “Qel suono” che consiste nel praãava (lasillaba om) [.è il grande Signore, il Brahman].

“.quello che è trascendente (para) rispeto ad esso quan-do è riassorbito nella [sua] natura”, cioè nella condizione su-prema, riporta alla consapevolezza la quaterna di defnizionicome ‘trascendente’, ecc. [pronunciate nel verso 1.16] e taledesignazione si ha in quanto è Colui che risveglia la moltitu-dine di tuti i pråãa, i sensi e gli organi, è il Regolatore di tut-

Primo Adhyåya1.18 49

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to, l’Ordinatore interno di tuti [gli esseri]: “quello. è il gran-de Signore”. Così è ben noto che solo Costui è un conoscitoredella reale natura dell’åtman e nessun altro. Tale è il senso.

Dunque, tale impegno ascetico va osservato prima dellaesperienza immediata della reale natura dell’åtman mentre,quando tale esperienza si è determinata, quello sforzo non de-ve [più] essere compiuto.

[Qindi Bhagavat] espose un esempio.

1.19. Invero, si è alla ricerca di una barca fn quando non siè passati sulla [opposta] sponda, ma, quando si è sbarcati sulla[altra] sponda del fume, quale vantaggio [può essere consegui-to] tramite la barca?

“(Invero) .fn quando non si è passati sulla [opposta]sponda”, esatamente fno a quando non si riesce a traversareil fume, proprio fno ad allora “si è alla ricerca di una barca”,si è alla ricerca di una imbarcazione quale mezzo per traver-sare il fume, “(ma) quando si è sbarcati sulla [altra] spondadel fume”, vale a dire quando il fume è stato fnalmente tra-versato, “quale vantaggio [può ancora essere conseguito] tra-mite la barca” come mezzo per guadare il fume? Ciò signifcache non vi è più [alcuna utilità nel disporne].

Tal quale, anche in relazione alla immediatezza [della co-noscenza-consapevolezza] dell’åtman, una volta che è sortagrazie alla moltitudine delle Scriture, ecc., qual è [più] la [lo-ro] utilità? Qesto è il senso.

[Qindi Bhagavat] espresse nuovamente tale [signifcato]servendosi ancora di un esempio ma in un’altra maniera.

1.20. L’intelligente, studiato il Testo sacro e totalmente dedi-to alla conoscenza e alla realizzazione, come lascia la pagliaquegli che cerca il grano, [così anch’egli dovrà poi abbandona-re] interamente il Testo.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.1850

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“L’intelligente”, colui dotato di intelleto, “studiato il Testosacro”, compiuto l’ascolto del Vedånta, ecc., ed essendo “total-mente dedito” sia “alla conoscenza”, al conoscere in generale43

sia “alla realizzazione” (vijñåna), alla direta esperienza [del-l’oggeto del conoscere], dovrà [poi] abbandonare “(intera-mente) il sacro Testo”, la intera Scritura. Al riguardo vi è unesempio. Nel modo che “colui che cerca il grano lascia lapaglia”, l’erba raccolta con la spiga, per cui, tolto il feno mi-schiato al grano, otiene subito il grano che intende avere, co-me quello [egli deve fare]. Qesto è il signifcato.

[In proposito Bhagavat] citò un [altro] esempio in relazio-ne al signifcato espresso.

1.21. Come quegli che tiene in mano una torcia, scorto l’og-geto, la geta via, [così] scorgendo l’oggeto di conoscenza conla conoscenza, si dovrebbe poi rigetare la conoscenza.

“Come” nel piano empirico “quegli che”, trovandosi albuio e volendo trovare un dato oggeto, si muove mentre “tie-ne in mano una torcia”, poi, non appena “scorto l’oggeto, lageta via”, [depone] la torcia, così come [fa questi], “scorgen-do l’oggeto di conoscenza”, cioè una volta realizzato in ma-niera immediata il Brahman, “con la conoscenza”, atraversoil mezzo che è la conoscenza, “si dovrebbe poi rigetare laconoscenza”, cioè la conoscenza [concetuale] quale mezzo.Qesto è il signifcato. E quando è sorta la conoscenza (con-sapevolezza) immediata, poiché atraverso quella [conoscenzao cognizione concetuale precedente] non si ha [più] alcunbenefcio, il mezzo [che essa prima costituiva] deve essererigetato: [quindi Bhagavat] mostrò questo [senso] con un al-tro esempio ancora.

1.22. Come, per colui che si è saziato di ambrosia, [ci si puòchiedere] qual giovamento [potrà mai aversi] con il late, così,

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avendo conosciuto Qello, il Supremo, non vi è [più] benefcio[che possa essere otenuto] tramite i Veda.

“Come, per colui che si è saziato di ambrosia”, per quegliche è completamente appagato dall’ambrosia generata dal ri-mestamento dell’oceano [dei Veda], non vi è [più alcun] “gio-vamento” [che egli possa otenere] “con il late”, con il liquidolateo, “così, avendo conosciuto Qello, il Supremo”, avendorealizzato in maniera immediata il supremo åtman, qual “be-nefcio” [potrà otenersi] “tramite i Veda”? ossia tramite Scrit-ture come il Vedånta, e le altre? Nessuno: tale è il signifcato.Inoltre, da parte del conoscitore della realtà, non vi è più pre-scrizione, proibizione o altro che debba essere rispetato; cosìafermò [Bhagavat].

1.23. Per colui che si è saziato del netare della conoscenza,per lo yogin che ha compiuto tuto ciò che si deve compiere, nonc'è [più] nulla che debba esser fato; d’altra parte, se [qualcosaancora] vi fosse, costui non [sarebbe] un conoscitore della realtà.

“Per colui che si è saziato del netare della conoscenza”,per colui che ha conseguito la essenza unica della beatitudine,“per lo yogin che ha compiuto tuto ciò che si deve compiere”,che ha raggiunto il [proprio] fne, [dunque] per il liberato,“non c’è” più “nulla che debba esser fato”, come [l’obbligonel rispetare] prescrizioni, proibizioni o altro, avendo eglisuperato [tuto ciò che è dovere, ecc.] grazie alla [conoscenza-realizzazione della] Realtà. Tale è il senso.

Ma qualora qualcosa dovesse esser ancora fato, sarà sola-mente a benefcio del mondo (lokasaµgrahårtham): se [ciòdovesse farlo] con intenzionalità egoica (abhinive©a), vi sareb-be ataccamento all’azione: allora “costui non” sarebbe “unconoscitore della Realtà”, vale a dire che non è uno che si èelevato [alla realizzazione del Brahman, år¥ƒha]. Senza la co-

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noscenza dell’oggeto (il Brahman), lo stato di ‘conoscitore delVeda’ (vedavid) non si atinge grazie alla sola letura dei Veda;al contrario, la condizione di ‘conoscitore dei Veda’ [si atin-ge] unicamente atraverso la conoscenza (realizzazione) delBrahman quale oggeto del signifcato autentico del Veda.

Così si espresse [Bhagavat]:

1.24. Colui che Lo conosce in quanto ininterroto come ilfusso dell’olio, come prolungato risuonare di campana, comeinesprimibile, quale sorgente del praãava (om), costui è un co-noscitore dei Veda.

“(Colui che Lo conosce) in quanto ininterroto come ilfusso dell’olio”, come un fusso continuo privo di interruzio-ne, “come prolungato risuonare di campana”, e simile al per-durare estremamente lungo di un rintocco di campana, dun-que privo di pausa, “inesprimibile”, al di là della portata dellaparola, “Colui che conosce” il Brahman defnibile “quale sor-gente del praãava”, essenziato della letera a, della letera u edella letera m nonché del risuonare [espresso da parte] delpunto, dunque quale essenza del molteplice Veda, “costui è unconoscitore dei Veda”, è quegli che conosce il signifcato delVedånta e nessun altro. Tale è il senso. [Pertanto Bhagavat]enunciò la natura propria del mezzo che è la contemplazioneidentifcativa (samådhi) del conoscitore della Realtà.

1.25. Avendo reso il sé [individuato] come l’ara~i [inferiore]e il praãava come l’ara~i superiore, atraverso l’esercizio conti-nuo della meditazione, corrispondente all’accensione di un fuo-co per strofnìo, [egli] vedrà così [l’åtman il quale è] come pro-fondamente nascosto [nel cuore].

“Avendo reso il sé [individuato]”, il jıva, [il quale è] dotatodella natura di agente, ecc. atribuita erroneamente all’åtman,

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“come l’ara~i [inferiore]”, cioè avendolo fato diventare l’a-ra~i inferiore, “(e)” avendo reso, avendo fato diventare “ilpraãava”, cioè il suono (la sillaba om) la cui natura propria e-sprime il supremo åtman, “come l’ara~i superiore, atraversol’esercizio continuo della meditazione, corrispondente all’ac-censione di un fuoco per strofnìo”, atraverso la ripetuta me-ditazione (dhyåna) la cui natura è [analoga a] uno strofnìo,colui che [così faccia], quegli soltanto, e nessun altro, “vedràcosì”, nel modo precedentemente enunciato, il supremo å-tman che è “come profondamente nascosto” in virtù del [suo]celarsi all’ordinario sapere44. Qesto è il signifcato.

[Così Bhagavat] parlò della concentrazione sul Brahmanautoluminoso [da praticarsi] fno al momento in cui l’espe-rienza-consapevolezza immediata diviene completa.

1.26. Su sifata suprema natura si mediti, o Pårtha, inverosenza [alcuna] altra ideazione, [quando] si potrà vedere il Devainfnitamente luminoso e splendente simile a fuoco senza fumo.

“.o Pårtha.” quando “si potrà vedere”, quando verrà rea-lizzato “il Deva infnitamente luminoso”, oltremodo raggiante,fulgido come un raggio di luce, “simile a fuoco senza fumo”,che è come un fuoco il cui fumo si sia disperso, dunque il su-premo åtman autorisplendente, allora “Su sifata suprema”,eccelsa “natura”, che è la natura propria del Brahman, e “sen-za [alcuna] altra ideazione”, essendo privi di [qualsiasi] altropensiero, “si mediti” intensamente, vale a dire: si ponga in at-to una [incessante] concentrazione sul Brahman.

[Dopo di ciò Bhagavat] mise in risalto il solo ausilio dellameditazione quale strumento per la realizzazione della pro-pria natura in quanto Brahman (brahmasvar¥pa)45.

1.27. Sebbene [sembri] dimorante lontano, [tutavia] non di-mora lontano; [sebbene sembri] dimorante in una forma indivi-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda54 1.25

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duata, è disgiunto da [qualunque] forma individuata; semprelibero da impurità, l’[åtman] incarnato, onnipervadente, è privodi qualifcazione.

“.l’[åtman] incarnato”, il jıva, “sempre”, in ogni tempo.“Sebbene [sembri] dimorante lontano”, sebbene al non-cono-scitore [appaia] stabilito come se fosse separato, “[tutavia]non dimora lontano”, non è stabilito in modo separato.

In che modo [è stabilito], allora?È nondimeno sempre, totalmente e immediatamente pre-

sente. Tale è il signifcato. Sebbene “[sembri] dimorante inuna forma individuata”, cioè sebbene al non-conoscitore ap-paia come se fosse delimitato dalla relazione, erroneamentesovrapposta, con il corpo, “è disgiunto da [qualunque] formaindividuata”, cioè è privo di [ogni] relazione, erroneamentesovrapposta, con il corpo.

La causa in proposito è perché è “(sempre) libero da impu-rità”, privo di [qualsiasi] impurità, [ma] “onnipervadente”, os-sia perfetamente pieno in qualsiasi direzione, e di per sé lu-minoso. ‘Così si mediti’: [tale] è la connessione con il prece-dente [verso].

[Qindi Bhagavat] afermò che per l’åtman non vi è né unanatura di agente né una natura di fruitore, ecc. che possa[realmente] derivare da una fallace sovrapposizione del corpo:

1.28. Sebbene [sembri] stabilito nel corpo, [l’åtman] non ècircoscrito dal corpo; sebbene [sembri] stabilito nel corpo, nonnasce; sebbene [sembri] stabilito nel corpo, non è il fruitore; seb-bene [sembri] stabilito nel corpo, non [ne] è imprigionato; seb-bene [sembri] stabilito nel corpo, non [ne] viene contaminato;sebbene [sembri] stabilito nel corpo, non [ne] è afito,.

L’[åtman nel suo aspeto-rifesso] incarnato, il jıva, “Seb-bene [sembri] stabilito nel corpo” (kåyastha), cioè sebbene

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[appaia] caraterizzato dalla erronea sovrapposizione del vei-colo fsico, “non è circoscrito dal corpo”, è privo di [qualun-que] limitazione che sia dovuta al corpo; “sebbene [sembri]stabilito nel corpo”, dunque sebbene [sembri] stabilito nelcorpo che possiede nascita, ecc., “non nasce”, vale a dire chenon possiede [alcuna forma di] nascita causata dal veicolo f-sico; “sebbene [sembri] stabilito nel corpo”, cioè sebbene di-mori nel veicolo fsico il quale costituisce mezzo di fruizione,“non è il fruitore”, è esente dalla fruizione; “sebbene [sembri]stabilito nel corpo”, cioè sebbene stia nel corpo fsico-denso, ilquale costituisce causa di schiavitù, “non [ne] è imprigiona-to”, vale a dire che non subisce [per sua causa alcun] impedi-mento. E inoltre, “sebbene [sembri] stabilito nel corpo”, cioèsebbene sia correlato al veicolo fsico-denso, il quale costitui-sce la causa [della esperienza] di piacere, dolore, ecc., “non[ne] viene contaminato”, vale a dire che è immune da [qual-siasi] rapporto con piacere, dolore, ecc.; “sebbene [sembri]stabilito nel corpo”, cioè sebbene dimori nel veicolo fsico do-tato di natura mortale, “non [ne] è afito”, vale a dire chenon muore. Con ciò è stata mostrata la natura [dell’åtman inquanto] esente dalle sei modifcazioni legate alla esistenza[formale] come la nascita e le altre46, dalla cui sovrapposizio-ne [all’åtman] si ha, a causa dell’oblìo dell’åtman [stesso], ilcorso esistenziale trasmigratorio (saµs®ti), mentre [Bhagavat]affermò che l’åtman deve essere atentamente ricercato colàstesso, nel [composto di] corpo, mente, ecc., atraverso la ne-gazione-rimozione di tale [errata sovrapposizione]:

1.29. .[perché l’åtman è] come l’olio dentro al seme di sesa-mo, come il burro nel late, come il profumo nel fore, come ilsapore nel fruto;.

1.30. .come fuoco di legna risplende e come il vento nellospazio si muove.

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L’åtman è “.come l’olio dentro al seme di sesamo”, simileall’olio racchiuso nei semi oleosi del sesamo; come, quando ilseme di sesamo viene pestato con la mola o altro, l’olio, sepa-randosi dal seme, ne scaturisce puro.

“.come (il burro) nel late”, nello stesso modo in cui risul-ta “il burro”, fra diverse quantità di late che racchiudono ilburro, durante la trasformazione [che si otiene quando], alvenir meno della condizione formale come late, cioè allorchéla sua [natura come tale] viene eliminata con il rimestamentoe con una trasformazione in caglio, ecc. per mezzo del con-tato con il fuoco.

Similmente, “come il profumo” è presente nei fori, “comeil sapore” si manifesta “nel fruto” togliendo completamentequelle parti che vanno eliminate, come la buccia, il nocciolo,ecc. Tal quale è il signifcato.

“.come il vento” che, essendo onnipresente, sofa, cioè“si muove” liberamente “nello spazio”.

Similmente, “.come fuoco di legna”, come il fuoco rac-chiuso nell’ara~i che, una volta [che questo viene energica-mente] frizionato, per mezzo di un ripetuto strofnìo, ecc., la-sciata la forma di legno, si palesa attraverso la propria naturaautorisplendente.

Come tale [immagine], anche l’åtman, atraverso la com-pleta rimozione dei fatori da eliminare in relazione ai cinqueinvolucri (ko©a) a partire da quello in continua atività (il fsi-co denso), si manifesta essendo autorisplendente in virtù dellapropria natura essenziale di beatitudine.

Qesto è il signifcato47 che, per quanto fosse stato spiegatoatraverso [diferenti] immagini, [Bhagavat] presentò ancoraper intero e chiaramente.

1.31. In questo modo l’onnipresente essere incarnato è stabi-lito all’interno del corpo. Il Deva degli esseri incarnati è situatonella mente, è stabilito all’interno della mente.

Primo Adhyåya1.31 57

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“In questo modo”, simile all’olio e agli altri [enti] espostiprecedentemente, “l’onnipresente essere incarnato” (sarvaga-ta dehin), cioè il jıva onnipervadente48, “è stabilito all’internodel corpo”, cioè internamente al corpo, ossia ai corpi di ani-mali, ecc. molteplicemente diferenziati49, vale a dire stabilito,come l’olio che, pur essendo unica la sua natura, è [contenu-to] in semi variamente distinti.

“Il Deva degli esseri incarnati”, il Signore (ı©vara) dei jıvadiferenziati atraverso la distinzione dei rispetivi corpi, “è si-tuato nella mente” (manastha), è situato nei propri organi in-terni (le menti degli esseri), “è stabilito all’interno della men-te”, cioè nei rispetivi organi interni sia dei giusti che degli in-giusti, [nei quali] si manifesta atraverso la [sua] natura di te-stimone. Qesto è il signifcato.

[Qindi Bhagavat] afermò che [gli yogin] si liberano gra-zie alla immediatezza di sifato Brahman50.

1.32. Gli yogin, osservando la mente con la mente, realizza-no da sé Qello che è situato nella mente, che sta al centro dellamente e che, pur trovandosi al centro [della mente], è distintodalla mente.

“Gli yogin”, i conoscitori, “osservando la mente”, il devaessenziato di consapevolezza (avabodha), cioè essendo perve-nuti all’ultima modifcazione mentale, che è immediatamenteprossima a Qello51, “con la mente”, con l’organo internocompletamente purifcato, “realizzano da sé” soltanto “Qelloche è situato nella mente” (manastha), che è delimitato nellamente, “che sta al centro della mente” in quanto è il testimonedella mente, e “che, pur trovandosi al centro” in quanto costi-tuisce il testimone della totalità, “è distinto dalla mente”, cioèè esente da determinazione, dubbio, ecc., vale a dire che di-vengono liberati poiché la [loro] ignoranza è stata [ormai]completamente dispersa.

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[Così Bhagavat] enunciò la loro defnizione:

1.33. Qegli [il quale], reso il mentale [puro e infnito come]spazio, resa la mente priva di riferimenti, conosca chiaramentel’Immobile: [tale] è la defnizione di colui che è stabilmente fon-dato nella contemplazione identifcativa.

“Qegli che, reso il mentale [puro e infnito]” come “spa-zio”, cioè [avendo reso] la mente priva di impurità, “resa lamente”, [che è normalmente] sostanziata di determinazione edubbio, “priva di riferimenti”, cioè priva di oggeti, il quale“conosca chiaramente l’Immobile” (ni©cala), cioè il Signoreprivo di atività, quegli soltanto è stabilito nella contempla-zione identifcativa (samådhi); vale a dire che solamente sif-fata conoscenza “è” anche “la defnizione di colui che è sta-bilmente fondato nella contemplazione identifcativa”52.

Espressa la defnizione di colui che si è elevato (år¥ƒha)[allo yoga, successivamente Bhagavat] espose il mezzo per coluiche intende elevarsi [a tale stato, aruruk\u, v. Bha. Gı. 6.3-4].

1.34. Libato il netare d’immortalità dello yoga, nutrendosidel [solo] sofo vitale, è sempre felice; [inoltre egli] pratica con-tinuamente il controllo [della mente]: è il samådhi, l’artefcedella distruzione della morte.

“Libato il netare d’immortalità dello yoga”, avendo cioèoperato la libagione del netare d’immortalità dello yoga at-traverso gli oto mezzi [descriti da Pa†añjali nello Yogas¥tra]quali le restrizioni, le osservanze e gli altri, vale a dire avendoassiduamente praticato le Scriture che tratano di tali rispet-tive [discipline]53, “nutrendosi del [solo] sofo vitale”, cioè as-sumendo come nutrimento il solo sofo vitale – questa è unaespressione metaforica [signifcante] ‘confdando, nell’alimen-tarsi, di quanto di adato gli viene’ – “è sempre felice”, ossia

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essendo completamente appagato in qualsiasi circostanza, co-lui che “pratica continuamente il controllo [della mente]”, la disciplina mentale: tale “è il samådhi”, così viene defnito. Qe-sto samådhi è “l’artefce della distruzione della morte”, vale a dire l’atuatore della distruzione del divenire ciclico, consi-stente in nascite e morti, ecc.

[Dopo di ciò Bhagavat] enunciò la defnizione di colui che è fondato in sifato samådhi.

1.35. Qello il quale per essenza è senza alto, senza basso, senza centro e totale vacuità [di atributi qualifcanti], è l’å-tman: così è [anche] la defnizione di colui che è stabilmente fondato nel samådhi.

“Qello, il quale per essenza”, il quale per propria natura “è senza alto”, privo di [qualsiasi] defnita determinazione concernente una spazialità estendentesi verso l’alto, “senza basso”, privo di [qualsiasi] defnita determinazione concer-nente una spazialità estendentesi verso il basso, “senza cen-tro”, privo di una [qualsiasi] defnita determinazione concer-nente una spazialità mediana, “totale vacuità [di atributi qua-lifcanti]”, cioè privo di una [qualsiasi] distinzione concernen-te lo spazio, il tempo, ecc., “è l‘åtman: così”, cioè questa na-tura “è [anche] la defnizione di colui che è stabilmente fon-dato nel samådhi”. Tale è il signifcato.

[Qindi Bhagavat] enunciò la condizione al di sopra di in-giunzioni e proibizioni di colui la cui percezione (consapevo-lezza) ha oltrepassato [qualsiasi forma di identifcazione con] la individualità corporea, ecc. (quindi anche con la sfera psi-chica, energetica, ecc.).

1.36. Colui il cui åtman è lo stato [di coscienza] permeato dal vuoto [di contenuti], si libera perfetamente da merito e de-merito.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.3460

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Il ‘vuoto’ (©¥nya) è l’essere privo di ogni determinazione(e non la mera vacuità della non-esistenza); lo stato [di co-scienza] (bhåva) ‘permeato’ [signifca che] è pervaso (ossiaperfetamente saturo)54. Lo yogin, “Colui il cui åtman è lo sta-to [di coscienza] permeato dal vuoto”, la natura intrinseca delcui sé è sifata, “si libera perfetamente da merito e demeri-to”, vale a dire che è prosciolto dalle ingiunzioni e dalle proi-bizioni imposte. Qesto è il senso. Pertanto [Arjuna] formulò[un interrogativo presumendo erroneamente] la impossibilitàe la contradditorietà in riferimento al samådhi insegnato daBhagavat.

Arjuna disse:

1.37. In relazione all’invisibile non vi è [possibilità di] con-cezione mentale; [qualora divenisse] visibile, verrebbe a distrug-gersi. In che modo gli yogin meditano sul Brahman privo diqualifcazione ed esente da defnizione?

“In relazione all’invisibile” (ad®©ya), cioè in relazione a unente che non sia nella portata della percezione-conoscenza,“non vi è [possibilità di] concezione mentale”, [non può efet-tuarsi] la meditazione. Qalora, poi, divenisse “visibile”, cioèse percepibile, allora tuto questo [in quanto oggeto di falsapercezione] “verrebbe a distruggersi”, andrebbe [necessaria-mente] incontro a distruzione, come l’argento [erroneamenteimmaginato] nella madreperla.

Così, “In che modo gli yogin meditano sul Brahman privodi qualifcazione” (avarãa), ossia privo di forma (qualità-atri-buti), “ed esente da defnizione?” (asvara), che cioè non rien-tra nella portata della parola? [Qesto interrogativo sorge]perché la meditazione è possibile [solo] in quanto sorretadalla rammemorazione55, mentre essa è impossibile in rappor-to a ciò che non viene sperimentato. Infati noi non sostenia-

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mo che la meditazione è possibile in virtù di una natura for-male, ecc. di ciò che è dunque composto di parti, [restrizione]grazie alla quale diverrebbe legitimo quanto è stato da voiobietato.

Che cosa [sosteniamo] invece?Che essa è possibile in quanto nella portata delle conce-

zioni indote dal Vedånta, quali la [natura] priva di impurità(nirmala), la [natura] priva di parti (ni\kala), ecc., cose cheappartengono solo al supremo Brahman privo di qualifcazio-ne. Con questo stesso signifcato si espresse [Bhagavat nelverso successivo]56.

Ârı Bhagavat disse:

1.38. Qello, il quale nella essenza è pienezza in alto, pie-nezza in basso, pienezza nel mezzo e pienezza totale in ogni di-rezione, è l’åtman: [tale] è [anche] la defnizione di colui che èstabilito nel samådhi.

Con i termini: ‘pienezza in alto, in basso e nel mezzo’ [iltesto] respinge qualsiasi determinazione defnita in relazionealla spazialità e alla temporalità. “Qello, il quale nella essen-za”, cioè l’Ente che è sifato, ossia è Pienezza perfeta in qua-lunque direzione, “è l’åtman”: [anche] quegli, il quale così me-dita, è ‘colui che è stabilito nel samådhi’; questa stessa è an-che la sua “defnizione”. Qesto è il signifcato.

Obiezione: Comunque si ha questo: in merito a ciò, predili-gendo una delle due alternative, o lo yoga con-sostegno (så-lambana) o lo yoga senza-sostegno (nirålambana), [Arjuna]suppose che potesse palesarsi un difeto.

Arjuna disse:

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1.39. Per ciò che possiede sostegni (atributi) si ha una natu-ra di impermanenza, mentre per ciò che è privo di sostegni si hauna natura di vacuità. Poiché in entrambi i casi vi è una dif-coltà, in che modo meditano gli yogin?

“Per ciò che possiede sostegni” (sålambana), ossia per ciòche è dotato di supporti come la forma, ecc. “si ha una naturadi impermanenza” (anityatva), cioè una natura soggeta a di-strutibilità; “(mentre) per ciò che è privo di sostegni” (nirå-lamba), ossia per ciò che è privo di supporti quali la forma,ecc., “si ha una natura di vacuità” (©¥nyatå), una natura ana-loga a quella delle ‘corna di lepre’. Così, “Poiché in entrambi icasi vi è” un impedimento, “una difcoltà”, cioè una condizio-ne esposta a difeto, “in che modo meditano gli yogin?”: tale èil senso della domanda.

Poiché, per una mente purifcata dal sacrifcio, dalla dona-zione, ecc., è appropriata la concezione indota dal Vedånta inriferimento al Brahman in quanto privo di qualifcazione, nonvi è [rischio di incorrere nella] vacuità. Qesto signifcato e-spresse [Bhagavat nel verso seguente].

Ârı Bhagavat disse:

1.40. Avendo reso il cuore libero da impurità e avendo al-tresì portato la consapevolezza su Anåmaya, [essendo] somma-mente beato, [lo yogin] riconoscerà: ‘Io stesso sono tuto questo’.

“Avendo reso il cuore libero da impurità”, cioè [avendo re-so] la mente priva di difeti quali la passione-ataccamento,che sono di ostacolo alla conoscenza, “e avendo (altresì) por-tato la consapevolezza su Anåmaya” (let. ‘Colui che è salu-tare’ , il Benefco, Âiva), cioè meditando sul Signore, essendo“sommamente beato”, trovandosi essenziato della supremabeatitudine, [lo yogin] “riconoscerà”, cioè conseguirà la espe-

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rienza quale una percezione-consapevolezza] immediata: “Iostesso”, unico, “sono tuto questo”, ossia: ‘Io stesso sono l’uni-verso illusorio, non vi è altro di distinto da Me’. Qesto è il si-gnifcato.

Bhagavat ha deto: si mediti sul Brahman che è al di là del-le parti (le tre misure a, u, m della Sillaba om), del suono [de-fnito, espresso dal ditongo o, ossia a+u] e del punto (la riso-nanza indefnita espressa dalla letera m). [Dunque si meditisul Brahman nirguãa, simboleggiato dall’om silenzioso], gra-zie alla corrispondenza, in riferimento al Brahman, dell’uni-verso costituito di oggeti-scopi, della parola, in quanto spie-gabile con [altre] parole, delle letere, in quanto derivanti dal-le classi fonetiche, del praãava, in quanto essenziato del pra-ãava [stesso], del punto, in quanto essenziato del punto [stes-so], del suono, in quanto essenziato di suono; [cioè del mon-do] in quanto consustanziato delle parti che costituiscono [divolta in volta] la sede per la meditazione sul Brahman57.

Ponderato su ciò, [Arjuna] chiede [ancora] per [meglio]comprendere:

Arjuna disse:

1.41. Tute le letere associate alle misure si appoggiano alpunto. Il suono è distinto dai punti. Qel suono da che cosa èdistinto?

O Beato, “Tute le letere associate alle misure.” – [poi-ché] non sono soggete a distruzione (na k\aranti), [le letere]a cominciare dalla a, ecc., sono [dete] ak\ara, mentre [l’ag-getivo] ‘tute’ [impiegato al maschile per motivi metrici, sa-rve] sta per ‘tute’ [declinato al neutro, sarvå~i] secondo unausuale trasposizione di genere.

“.si appoggiano al punto”, vale a dire che le loro misuresono i punti; ma il punto (bindu) si distingue dal suono (nå-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda64 1.40

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da), essendo il suono la loro misura (måtra), vale a dire che [ilsuono] corrisponde esatamente ad ognuna [di loro].

Dunque, tale suono corrisponde alla parte (kalå): ma taleparte a che cosa corrisponde? Qesto il senso della domanda.

Sebbene nel verso [si domandi]: “Qel suono da che cosa èdistinto?”, è evidente che viene richiesta solamente la corri-spondenza del suono. Ora, malgrado sia ben noto che non vi ècorrispondenza della parte con il suono, è in senso metaforicoche la parte viene espressa come carateristica del suono58.

Essendo stato così interrogato circa la corrispondenza inrelazione al Brahman, Bhagavat nel successivo [verso] disse:

Ârı Bhagavat rispose:

1.42. Qello che è il suono della sacra sillaba [om] appartie-ne a quella [stessa] sacra sillaba [quando] non pronunziata.[Allorché] la luce è entrata all’interno del suono, [e quando] lamente è entrata all’interno della luce, [laddove] la stessa menteraggiunge il dissolvimento totale, quella è la suprema dimora diVi\~u (Brahman).

“Qello che è il suono” (dhvani), cioè la sonorità efetiva(nåda) “della sacra sillaba [om]” (©abda), cioè del praãava al-lorché ha raggiunto la suprema condizione, “appartiene aquella [stessa] sacra sillaba [quando] non pronunziata”59.

“[Allorché] la luce (jyotis) è entrata all’interno” di quello,cioè del suono emesso, per cui ha [assunto] la identità delsuono in relazione alla breve sonorità sillabica (kalå) la cuinatura è luce – questo è il signifcato – e “[quando] la menteè entrata all’interno della luce” – [il testo] aferma che [anchela mente] ha [assunto] la identità della breve sonorità sillabi-ca – qui si defnisce la [assunzione] della identità di luce adopera della mente con il divenirne essenziata, ovvero la per-vasione [della mente ad opera della luce] e, in tal senso, la

Primo Adhyåya1.42 65

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[assunzione della] identità (bhåva) consiste nella [atualizza-zione della] corrispondenza delle brevi sonorità sillabiche trala mente e la luce60.

Laddove “la stessa mente”, mente che costituisce la causadel dispiegamento universale consistente nel suono e negli al-tri [oggeti], “raggiunge il dissolvimento totale” (vilaya), cioèladdove raggiunge il dissolvimento delle modifcazioni men-tali nel Brahman, cioè entro la sfera del Brahman privo di dif-ferenziazione (senza contenuto, ancorché virtuale, nirvikalpa-ka) quale è instillato dal Vedånta, “quella”, cioè la condizionein cui si ha il dissolvimento delle modifcazioni, ovvero checonsiste nella soluzione delle modifcazioni, “è la suprema”,eccelsa “dimora”, ossia la natura propria “di Vi\~u”61.

È stato deto che la mente viene distruta dal ‘fuoco corpo-reo’ (il pråãa) , ecc.; [quindi Bhagavat] precisò nuovamentequello stesso [argomento].

1.43. [Praticando continuamente] un armonizzato congiun-gimento del sofo vitale con la emissione del suono della sillabaom, tendendo sempre a Qello che è privo di sostegni, laddove ilsuono è giunto a soluzione [quella è la suprema dimora diVi\~u].

“[Praticando continuamente] un armonizzato congiungi-mento (saµharanåntika) del sofo vitale”, cioè la completa as-similazione (upasaµhåraparyanta) del sofo vitale controllatoatraverso la regolare sequenza di espirazione ed inspirazione,ecc., “con la emissione del suono della sillaba om”, cioè [unen-dolo] insieme alla emissione della sonorità consistente nelsuono [intero] della sillaba om, si mediti “tendendo sempre aQello che è privo di sostegni”, cioè avendo come obietivo ilBrahman privo di qualifcazione; “laddove il suono” stesso “ègiunto a soluzione”, quando cioè sia pervenuto a totale estin-zione, quella [condizione], che è essenzialmente il sostrato nel

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda66 1.42

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quale il suono si estingue, ovvero consistente nella estinzione[o assenza o non-esistenza] del suono, è la suprema dimora diVi\~u. Qesto è il signifcato62.

Così, avendo accertato nella [propria] mente che, quandosiano state espresse sia la [conseguita] identità con il Bra-hman, da parte di colui che, avendo disperso merito e de-merito, si è elevato [allo yoga] e il cui organo interno è statopurifcato atraverso la meditazione, sia la impossibilità di[conseguire] la identità con il Brahman, da parte di colui cheintende elevarsi [allo yoga], per quanto anche il suo organointerno sia stato purifcato63, essendo altresì impossibile [perquest’ultimo operare] la completa eliminazione di dharma eadharma, a causa di cui saranno [per lui] inevitabili morti e[ri-] nascite in successione ininterrota, [Arjuna] domandaancora in merito alla modalità di ritorno [alla esistenza in-dividuata].

Arjuna chiese:

1.44. Qando il veicolo fsico, consistente nei cinque [ele-menti], è andato a decomporsi quintuplicemente nei cinque [co-stituenti], allorché l’organismo viene abbandonato dai sof vi-tali, dove vanno il dharma e l’adharma?

“Qando il veicolo fsico” (deha), quando il corpo grosso-lano (sth¥la©arıra), “consistente nei cinque [elementi]”, com-posto dai cinque elementi [grossolani], “è andato a dissolversiquintuplicemente”, cioè secondo la natura dei singoli [ele-menti costitutivi] quali la terra e gli altri, “nei cinque [costi-tuenti]”, cioè nei cinque elementi [grossolani], i quali restanostabili, “allorché l’organismo viene abbandonato dai sof vita-li”, [venendo lasciato] dai cinque sof vitali come il pråãa egli altri, “dove vanno”, dove giungono “il dharma e l’adha-rma”, ossia il merito e il demerito?

Primo Adhyåya1.44 67

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Essendo stato così interrogato, Bhagavat disse in seguitoche i due restano situati nel ricetacolo costituito dal corposotile.

Ârı Bhagavat rispose:

1.45. Il dharma e l’adharma, e la stessa mente, quelli che so-no i cinque elementi e gli stessi cinque organi sensoriali e quelleche sono le altre cinque divinità.

1.46. .e quelle stesse: tute queste, che [durante la vita] sonoinvero sempre identifcate con la mente, vanno insieme con il jı-va fn quando [il jıva] non realizza la realtà.

“Il dharma e l’adharma”, cioè il merito e il demerito [ac-quisiti], “e la stessa mente”, l’organo interno, “quelli che sonoi cinque elementi” come la terra e gli altri, “e i cinque organisensoriali”, cioè sia gli organi di percezione, come la vista egli altri, che quelli di azione, come la parola e gli altri, “e quel-le che sono le altre cinque divinità” che si identifcano con icinque organi, cioè le direzioni spaziali, il vento e le altre; inmerito a ciò è stato afermato: «Lo spazio, l’aria e gli altri [e-lementi], per quanto sperimentabili atraverso l’ardente pas-sione dei sensi dal sapiente condutore del carro (il jıva), sonodestinati a totale dissolvimento»; “. (e) quelle (stesse)” divi-nità: “(tute) queste”, a cominciare dagli elementi, “che [du-rante la vita] sono invero sempre”, costantemente “identif-cate con la mente”, con l’organo interno, in quanto formano ilcontenuto della nozione del ‘mio’ e del senso dell’ ‘io’, “fnquando [il jıva] non realizza la realtà” (tatva), cioè [fn quan-do] non consegue la consapevolezza del Brahman in manieraimmediata, fno ad allora “vanno insieme con il jıva”, vale adire che cagionano l’andare e il tornare [alla esistenza mani-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda68 1.44

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festa] atraverso il corpo sotile che è una sovrapposizione aljıva. Qesto è il senso.

Così, anche al dissolvimento del corpo fsico-grossolano, ildharma e l’adharma permangono avendo preso dimora nelcorpo sotile.

Deto questo, [Arjuna] chiede: quando avviene la distru-zione del corpo sotile?

Arjuna disse:

1.47. Lo stabile e l’instabile, ciò stesso che è mobile e immo-bile: i jıva esistono in funzione del jıva; [ma] il jıva stesso graziea che cosa esiste?

“Lo stabile e l’instabile” per propria natura, “(ciò stessoche è) mobile e immobile”, ossia ciò che è associato al movi-mento e all’assenza di movimento, dunque la molteplicità u-niversale: i jıva che sono identifcati con la [suddeta] totalitàsi identifcano con il corpo fsico grossolano; [tali] “jıva”, es-senziati della sfera grossolana (vi©va) “esistono in funzionedel jıva” identifcato con il corpo sotile, cioè con la sfera sot-tile (taijasa), allorché abbandonano la identifcazione con latotalità grossolana64.

“.[ma] il jıva” identifcato con la sfera sotile “grazie ache cosa”, grazie a quale causa “esiste” quando abbandona lapropria identifcazione [con il veicolo e con la sfera sotile]?Qesto è il senso della domanda.

Essendo stato così interrogato, [Bhagavat] disse in segui-to, secondo un preciso ordine: taijasa (la sfera sotile) esiste infunzione di pråjña (la sfera causale), mentre pråjña esiste infunzione di Turıya65.

Ârı Bhagavat disse:

Primo Adhyåya1.47 69

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1.48. Il pråãa futua sempre in mezzo tra la bocca e il naso,lo spazio si nutre del pråãa; [ma] il jıva stesso grazie a che cosaesiste?

“Il pråãa”, cioè il sofo vitale “futua sempre”, continua-mente, [muovendosi nella zona del cranio posta] “in mezzotra la bocca e il naso”, nella regione mediana sita tra la boccae il naso fn quando vi è l’ad®\†a; cioè si muove alternata-mente per una quantità di ventunomilaseicento volte ognigiorno in virtù di una condizione in sé priva di japa e senzamantra; [ciò signifca che] fno ad allora l’ad®\†a sussiste nellapropria forza e anche il veicolo sotile66.

Ma quando, in virtù dello yoga, si ha la subitanea cono-scenza del Brahman, per cui si verifca la estinzione-cessazio-ne dell’ad®\†a del jıva, allora “lo spazio”, che ha causa nellacondizione-natura del jıva, “si nutre del pråãa”: in tal caso, “iljıva stesso grazie a che cosa esiste?”.

Ciò signifca che, emersa [alla piena consapevolezza] laidentità con il Brahman privo di qualifcazione (nirañjana) at-traverso la estinzione dell’ignoranza che costituisce la causadella condizione del jıva [come tale], la stessa condizione dijıva non esiste più67.

Obiezione: Ciò nonostante, [Arjuna] domandò ancora: co-me può aversi, per il Brahman onnipresente, qualifcato dasovrapposizioni come l’Uovo di Brahmå (l’Uovo cosmico) ealtre, una natura priva di qualifcazione?

Arjuna disse:

1.49. Il cielo è pervaso dall’uovo di Brahmå e l’universo èavviluppato dal cielo; e quel cielo è sia all’interno che all’ester-no [di ogni cosa]: in che senso il Deva è [defnito] privo di quali-fcazione?

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.4870

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O Venerabile, “Il cielo” (vyoman), cioè lo spazio (åkå©a), “èpervaso dall’Uovo di Brahmå”, vale a dire delimitato dall’Uo-vo di Brahmå, “e l’universo è avviluppato dal cielo”, cioè èpervaso dallo spazio: “e” per tale ragione “il cielo” stesso esi-ste “sia all’interno che all’esterno [di ogni cosa]”.

Così essendo, “in che senso il Deva”, ossia Ù©vara, “è [def-nito] privo di qualifcazione?”68, vale a dire: in che senso è in-dipendente da [qualsiasi] altra manifestazione? ovvero: in chesenso è [deto] privo di relazione [con checchessia (ni¢sa-√ga)]? Tale è il signifcato della domanda.

Risposta: [Bhagavat] rispose in questo modo: ‘La totalitàtroverà compimento atraverso la natura composita dell’inte-ro dispiegamento universale consistente nello spazio e neglialtri [elementi]’.

Ârı Bhagavat rispose:

1.50. Lo spazio e, invero, ciò che ha estensione spaziale e[anche] ciò che dallo spazio è pervaso: dello spazio [così inteso]il suono è la qualità e il Brahman è deto privo di suono.

“Lo spazio” (åkå©a) è il grande spazio (illimitato), “ciò cheha estensione spaziale” (avakå©a) è lo spazio delimitato (laspazialità oggetuale): anche come paio “è pervaso dallo spa-zio”, cioè è riempito dal suono che costituisce la qualità es-senziale (tanmåtra) dello spazio [integralmente inteso]; vale adire che, essendo [il suono] la causa sostanziale di tale [spa-zio], non esiste nulla che sia distinto da quello69.

Obiezione: Allora si deve ammetere la natura distinta del-lo spazio quale causa.

Primo Adhyåya1.50 71

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Risposta: A ciò [Bhagavat] rispose: “il suono è la qualitàdello spazio”. Poiché il suono, il quale costituisce la sua quali-tà essenziale, dello spazio, cioè l’atributo carateristico dellospazio che a sua volta è illusorio, è una causa sostanziale sog-geta a trasformazione, perciò stesso anch’esso costituisce unente di per sé illusorio. Qesto è il signifcato.

Invece “il Brahman è deto privo di suono” (ni¢©abda), percui è privo di manifestazione e, essendo ciò in tal modo, poi-ché per l’indistrutibile (ak\ara) Brahman risulta inesistenteuna [qualunque] relazione con il non-vero, si ammete secon-do ragione la [sua] natura priva di qualifcazione condizio-nante. Tale è il signifcato.

Dopo che fu sentenziato così da parte di Bhagavat, [Arju-na] non avendo consapevolmente aferrato il senso espressoda Bhagavat e ritenendo indistrutibile la natura delle classifonetiche, quale è ben nota al mondo, poiché [da quanto detodivenne a lui evidente che] non è possibile una natura indi-strutibile per tali classi fonetiche, pose una domanda conquesto signifcato.

Arjuna disse:

1.51. Laddove si percepisce la giusta collocazione che compe-te [nell’ambito della espressione sonora dell’organo vocale, allevarie funzioni inerenti] ai denti, alle labbra, al palato, alla lin-gua, donde mai [potrebbe aversi], per tali [classi fonetiche], unanatura di indistrutibilità? [Infati per sifati enti dotati di ori-gine] la natura di distrutibilità sussiste invariabilmente.

O Venerabile, “Laddove si percepisce”, si sperimenta inmaniera immediata, “la giusta collocazione che compete [nel-l’ambito della espressione sonora dell’organo vocale, alle va-rie funzioni inerenti] ai denti, alle labbra, al palato, alla lin-gua”, cioè il naturale luogo di dimora delle oto sedi quali la

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gola e le altre defnite in questo [modo] in riferimento alleletere-indistrutibili70 di cui sono sostanziate le classi foneti-che – e [a tale proposito] si apprende dalla Âruti: «Di quelli (isuoni) che debbono essere emessi tipicamente, la gola [è laprima sede].», ecc. – e, in tal senso, “donde mai [potrebbe a-versi] per tali” classi fonetiche “una natura di indistrutti-bilità”, ossia una natura priva di distruzione, dal momentoche per ciò che possiede origine la distruzione è inevitabile?

“[Infati] la natura di distrutibilità”, cioè la stessa naturasoggeta a distruzione “sussiste invariabilmente”, in qualsiasimomento; così il senso della domanda è: ‘donde mai [potreb-be aversi] per tali [classi fonetiche, di per sé legate a qualcosadi impermanente, come l’organo vocale, alla emissione, ecc.]una natura priva di distruzione?’.

Chiesto in tal senso da parte di Arjuna, che non avevacompreso, Bhagavat rispose chiarendo il signifcato del ‘suo-no indistrutibile’ da Lui stesso inteso.

Ârı Bhagavat disse:

1.52. Non pronunciata, non manifesta e senza suono e ancheal di là di [quanto esprimono] palato, gola e labbra [nella fona-zione] e oltre [la stessa sonorità prodota a livello del] naso, nonriproducibile tramite la scritura, priva [anche] della indefnitasonorità fnale: quella sillaba [om silenziosa] non si estingue innessun modo.

“Non pronunciata” (agho\a), cioè priva degli atributi delleclassi espresse nella pronuncia, “non manifesta” (avyañjana),cioè al di là della manifestazione come entità individuata (ka-kåra) o altro, “senza suono” (asvara), ossia oltre ciò che è ac-centuazione sonora, ecc., “anche al di là di [quanto esprimo-no] palato, gola e labbra [nella fonazione]”, cioè indipendentedalle sedi dal palato alle labbra, ecc. che sono zona di emis-

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sione delle consonanti, ecc., “e oltre [la stessa sonorità pro-dota a livello del] naso”, e trascendente il naso quale sede diemissione della risonanza nasale (anusvåra), “non riproduci-bile tramite la scritura” (arekhajåta), cioè al di là della molti-tudine dei segni grafci che rafgurano le letere, “priva [an-che] della indefnita sonorità fnale” (u\mavarjita), cioè al dilà [persino] delle letere afone [ossia le sibilanti] ©, \, s e [laaspirata] h, o altre mentre, con la espressione ‘indefnita so-norità’ (¥\ma), si intende anche la carateristica che defnisceil sibilo del respiro (©våsa)71. [Infne la sillaba om, che è] “quel-la (sillaba)”, la quale è il Brahman, il Supremo (para) in quan-to trascende le carateristiche delle letere ben note nel pianoempirico, è distinta da [tuto] ciò [che è stato elencato]; essa“non si estingue (na k\arate) in nessun modo”, cioè [non vie-ne a distruggersi] in nessuna maniera né in alcun tempo:“quella” stessa viene espressa come ‘La Sillaba’ (ak\ara) [pereccellenza]; ciò signifca che non si trata, invece, delle sillabe[ordinarie, note e impiegate] nel piano empirico.

Per raforzare la [propria] comprensione, [Arjuna] do-mandò ancora una volta in merito al mezzo per [realizzare] laconoscenza di sifato Brahman.

Arjuna chiese:

1.53. Avendo realizzato il Brahman onnipresente, profonda-mente dimorante in ogni essere, in che modo gli yogin conse-guono la realizzazione atraverso la soppressione [delle funzio-ni] degli organi sensoriali?

“Avendo realizzato”, cioè avendo autenticamente compre-so “il Brahman onnipresente”, che è completa Pienezza all’e-sterno e all’interno [di tuto], “profondamente dimorante inogni essere”, cioè stabilito anche come l’Ordinatore interno(antaryåmin) in tuti gli esseri, “in che modo gli yogin conse-

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guono la realizzazione”, vale a dire grazie a quale mezzo di-vengono liberati “atraverso la soppressione [delle funzioni]degli organi sensoriali?”, ossia atraverso il controllo [dellesingole facoltà] dei sensi?

Essendo stato così interrogato, Bhagavat espose ancorauna volta quello stesso mezzo di conoscenza.

Ârı Bhagavat rispose:

1.54. Atraverso la soppressione [delle funzioni] degli organisensoriali, gli uomini percepiscono [l’åtman già] nel corpo.[Ma] quando il corpo è andato distruto, donde mai [può aversi]la percezione? Qando la percezione è distruta, donde mai [puòaversi] la conoscenza [di qualcosa]?

“Atraverso la soppressione [delle funzioni] degli organisensoriali”, per mezzo del controllo dei sensi, “gli uomini”, gliesseri umani “percepiscono [l’åtman già] nel corpo”, cioè co-noscono (realizzano) [l’åtman] nello stesso corpo (in vita).Perciò la [relativa] stabilità dei sensi nel corpo72 è un mezzoper [realizzare] la conoscenza: tale è il signifcato.

Qando quello (il corpo quale sede dei sensi e della perce-zione) non esiste [più], la stessa [modalità di] conoscenza nonha più luogo, per cui [Bhagavat] disse: “[Ma] quando il corpoè andato distruto”, quando cioè è invisibile, “donde mai [puòaversi] la percezione?”, cioè: in che modo [può realizzarsi] laconoscenza della realtà?

“Qando la percezione è distruta”, cioè se la conoscenzadella realtà non ha modo di essere, “donde mai [può aversi] laconoscenza [di qualcosa]?”, cioè lo stato di conoscitore imme-diato? Perciò il mezzo in riferimento alla conoscenza dellarealtà è costituito proprio dal sacrifcio, dalla donazione, ecc.nonché dall’ascolto, ecc. atraverso i sensi [situati] nel corpo.Qesto è il senso [della risposta].

Primo Adhyåya1.54 75

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Facendo atenzione al dubbio [insito in questa domanda],ossia ‘fno a quando si deve praticare sifato mezzo [consi-stente in sacrifci, ecc.]’, [Bhagavat] disse:

1.55. Proprio fno ad allora vi sarà la soppressione [dellefunzioni dei sensi], cioè fn quando non si realizza la realtà; maquando la suprema realtà è realizzata, [il conoscitore] percepi-sce soltanto l’Uno.

“.fn quando non” vi è la conoscenza della “realtà”, esat-tamente “fno ad allora vi sarà la soppressione [delle funzio-ni]” dei sensi; “(ma) quando la suprema realtà è realizzata”,ossia quando il Brahman che è beatitudine integrale risultaessere immediato, “[il conoscitore] percepisce soltanto l’Uno”,cioè esclusivamente l’Uno, ossia riconosce solamente il Bra-hman in quanto afato distinto da quei mezzi consistenti nel-la pratica, ecc. della disciplina ascetica (sådhanå) compiutaatraverso il corpo e i sensi e non altro. Il signifcato è cheimmediatamente dopo [tale realizzazione] non ci deve esserepiù neanche l’esercizio di [alcuna] disciplina ascetica. Perciò,fno alla [realizzazione della] conoscenza della realtà, fno adallora deve essere posto in ato il mezzo idoneo; se ciò nonavviene, Qello non si può realizzare.

Così [Bhagavat] disse:

1.56. I corpi grossolani, caraterizzati dalle nove aperture,scorrono via come gocce. Finché non è puro come il Brahmanstesso, l’uomo non realizza il Brahman.

“I corpi grossolani”, i veicoli fsici quali strumenti di cono-scenza, “caraterizzati dalle nove aperture”, ossia plasmati coni nove [accessi dei] sensi dotati delle funzioni di scorrere ver-so gli oggeti. – a tale proposito vi è una illustrazione – “co-me gocce”, vale a dire che gocciolano la conoscenza in ogni

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circostanza come recipienti forati. Per colui la cui mente siprotende verso tali oggeti [si ha che], “Finché non è purocome il Brahman stesso”, ovvero fn quando la immagine, ecc.della natura agente [del jıva] non è stata risolta nella natura[non-agente] del Signore e, similmente, [fno a] quando ilBrahman [concepito nel modo suddeto] non è stato portatonella immagine, ecc. [del rifesso-jıva, fno ad allora] “l’uomo”,cioè il rifesso che è il jıva, il quale si identifca con il piacere eil dolore, “non realizza il Brahman”, vale a dire che non espe-risce la piena consapevolezza della beatitudine [brahmanica].

Perciò fn quando non si ha la immediata [presa di co-scienza della] realtà si deve profondere un impegno nel mez-zo [appropriato] mentre, quando è sorta la consapevolezzadella realtà, essendo al di là di ingiunzioni e proibizioni, nes-sun impegno deve essere più compiuto da alcuno. Con questointendimento [Bhagavat] disse:

1.57. Il corpo è del tuto impuro, l’essere incarnato è total-mente puro: avendo riconosciuto la diferenza tra i due, la pu-rezza di quale [fra loro] va tenuta in considerazione?

Fine del Primo Adhyåyadella Utaragıtå

“Il corpo” (deha), consistente dei cinque elementi [grosso-lani], “è del tuto impuro” essendo un ente [di per sé] inerte;questo il senso; “.l’essere incarnato” (dehin), cioè l’åtman, es-sendo privo del senso dell’io [allorché questo è stato] tratovia [da quello], “è totalmente puro” in quanto esente dal dive-nire ciclico, dalla relazione [con altro] e dall’essere carateriz-zato dalla sovrapposizione limitante del senso dell’io: così,“avendo riconosciuto la diferenza tra i due”, il corpo e l’å-tman, laddove l’uno (il corpo) ha natura di proiezione [imma-ginativa sovrapposta] e l’altro (l’åtman) ha natura reale, [da

1.57 77Primo Adhyåya

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parte di] colui, che si impegna in ciò, “la purezza di quale [fraloro] va tenuta in considerazione?”, [quella] del corpo o[quella] dell’åtman?

Se si trata [di quella] del corpo, che è un ente inerte, nonpuò aversi purifcazione atraverso l’acqua, ecc. che è [an-ch’essa] un ente inerte; se si trata [di quella] dell’åtman, ilquale è puro anche prima, non vi è scopo nell’opera di puri-fcazione, ecc. Qesto è il senso.

Fine del Primo Adhyåyadella dilucidazione della Utaragıtå

stilata dal venerabile maestroGauƒapåda

*

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 1.5778

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Secondo Adhyåya

Le due nature peculiari di ‘colui che si è innalzato (år¥ƒha)[allo yoga]’ e di ‘colui che intende innalzarsi (aruruk\u) [alloyoga]’ sono state esaurientemente descrite73.

Così [Arjuna ora] domanda: in che modo sarà [realizzata]la natura di unità assoluta (identità, aikya) [con il Brahman]del rifesso (il jıva) da parte di colui che si è innalzato [alloyoga]?

Arjuna disse:

2.1. Avendo conosciuto il Brahman onnipresente, onniscien-te, il Signore supremo, per determinare [la efetiva presa di co-scienza]: ‘Io sono Brahman’, qual è, al riguardo, il giusto mezzoconoscitivo ?

O Venerabile, “Avendo conosciuto il Brahman”, la Co-scienza assoluta che è [simbolicamente indicata come la luceche irradia] il disco solare, “onnipresente” in quanto è ovun-que Pienezza integrale, “onnisciente” in quanto è il Testimonedella totalità, “il Signore supremo” in quanto è Colui che go-verna su tuto74, avendo dunque compreso chiaramente [ilBrahman] attraverso sentenze come «Tu sei Qello» (Chå.6.8.7) e altre, “per determinare [la efetiva presa di coscien-za]: ‘Io sono Brahman’”, cioè per poter afermare [prenden-done efetiva consapevolezza] che il jıva, cioè l’åtman [nelsuo stato] quale rifesso, è il Brahman, “qual è, al riguardo”,cioè in relazione a tale identità, “il giusto mezzo conoscitivo?”

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(pramåãa); vale a dire: che cosa determina tale [realizzazionecoscienziale]?

Così interrogato, Bhagavat, atraverso la illustrazione dellate, dell’acqua, ecc., afermò che la unità assoluta dell’åtmansi svela [da sé] al dissolvimento delle sovrapposizioni limi-tanti.

Ârı Bhagavat disse:

2.2. Come acqua versata nell’acqua, late [versato] nel late,burro fuso [versato] nel burro fuso, tal quale non vi è distinzio-ne tra il jıvåtman e il supremo åtman.

“Come acqua” atinta da una coppa, divenuta [dapprimaapparentemente] separata atraverso la sovrapposizione limi-tante della coppa, [qualora] quella stessa [venga] “versata nel-l’acqua”, per esempio in un fume o altro, colà stesso, quandoviene versata, a causa del venir meno della sovrapposizionelimitante consistente nella [apparente delimitazione formatadalla] coppa, riacquista la [natura di] identità con la grandeacqua, [o anche come] “late [versato] nel late, burro fuso[versato] nel burro fuso”, così essendo, ciascuno riacquistasingolarmente la [propria] identità con la rispetiva [naturaoriginaria], “tal quale”, sebbene vi sia una [apparente] dife-renza dovuta alle sovrapposizioni limitanti causate dalla igno-ranza, alla sua cessazione “non” può [più] sussistere [alcuna]“distinzione tra il jıvåtman e il supremo åtman”: questo è ilsenso. ‘Così, la conoscenza della identità [tra il jıva e l’åtman]può essere realizzata soltanto [quando espressa] dalla boccadel Maestro, per cui porta ad estinzione la ignoranza, ma nonpuò essere realizzata [se considerata] in relazione a una inve-stigazione indipendente’. Asserendo questo, [Bhagavat] espo-se la meditazione in riferimento al Maestro: ‘Costui avvicini ilMaestro al solo fne di [realizzare la] conoscenza della realtà’.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.180

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2.3. [Anche] mentre in vita, [colui che è] di per sé [qualifca-to, qualora sia stato istruito] da un saggio dalla mente concen-trata per mezzo di espressioni atestate, [può realizzare] la iden-tità con il Supremo, la onnipresente Luce, il Signore, come Ciòche si deve conoscere.

Colui che è “di per sé” qualifcato, qualora sia stato auto-revolmente istruito “da un saggio dalla mente concentrata”,cioè da un maestro stabilito nel Brahman, “per mezzo di espres-sioni atestate” come: «Tu sei Qello» (Chå. 6.8.7), «.Qellodal quale, invero, questi esseri (nascono).» (Tai. 3.1.1), «Qel-lo, il quale è onnisciente e conoscitore di tuto.» (Mu. 2.2.7) ealtre, “[Anche] mentre in vita. [può realizzare] la identitàcon il Supremo”, cioè la identità con il supremo åtman: [in-fati] quando [questa] è stata consapevolmente compresa, im-mediatamente dopo di ciò, [realizza] da sé soltanto “la onni-presente”, onnipervadente “(Luce), il Signore.”, Colui chegoverna la totalità, [dove si intende che] la Luce è l’åtmanautorisplendente: “.(come) Ciò che si deve” distintamente“conoscere”, vale a dire che si diviene in grado di realizzare.

Così [Arjuna], nella evidenza [della propria identità conl’åtman svelatasi] grazie alla sola chiara comprensione dovutaall’immediato risplendere della istruzione del Maestro, chiede:‘che cosa [si otiene allora] con il karmayoga?’75.

Arjuna disse:

2.4. Il conoscibile si realizzerà solamente grazie alla cono-scenza, [allorché lo] si è conosciuto, [poiché] invero nello stessomomento ci si libererà per mezzo della sola conoscenza; a chepro, dunque, la concentrazione yoga?

O Venerabile, “.il conoscibile”, l’oggeto della ricerca, os-sia la identità con il Brahman, “si realizzerà solamente grazie

Secondo Adhyåya2.4 81

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alla conoscenza” impartita esclusivamente da un Maestro e,allorché “[lo] si è conosciuto”, immediatamente dopo la istru-zione del Maestro, conosciuta la realtà, “invero nello stessomomento”, cioè nello stesso istante in cui vi è l’ultima modi-fcazione mentale, quella defnitiva, indota dalle sentenze delVedånta, “ci si libererà (per mezzo della sola conoscenza)”,cioè [il conoscitore] diverrà liberato76.

Così, nell’ammetere che la liberazione [si ha] “per mezzodella sola conoscenza”, [ne consegue la domanda] “a che pro,dunque, la concentrazione yoga?”, cioè: dato che si tratereb-be di qualcosa di superfuo, ‘a quale scopo l’esercizio del ka-rmayoga?’. Qesto è il signifcato.

Così, assunta la inutilità del karmayoga, a meno che la co-noscenza della realtà sia ancora di là dal sorgere, fno adallora l’azione (atività rituale, ecc.) deve essere compiuta alloscopo di purifcare l’organo interno; ma quando la conoscen-za è realizzata, allora il compimento dell’azione deve senz’al-tro cessare.

Così si espresse [Bhagavat]:

Ârı Bhagavat disse:

2.5. Qando il veicolo individuato è illuminato dalla cono-scenza, l’intelleto è saturato dal Brahman; il saggio arderà de-fnitivamente il legame dell’azione con il fuoco della conoscenzadel Brahman.

O Arjuna, “Qando il veicolo individuato è illuminato dal-la conoscenza”, cioè quando il corpo sotile è purifcato, se“l’intelleto”, che è essenziato di certezza, “è saturato dal Bra-hman”, è stabilito nel Brahman, se cioè si è liberato dagli im-pedimenti [a comprendere], ecc., immediatamente dopo di ciò“il saggio”, l’essere discriminante, “arderà defnitivamente illegame dell’azione con il fuoco della conoscenza del Bra-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.482

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hman”, si afrancherà dal vincolo dell’azione per mezzo dellafamma ardente della consapevolezza del Brahman. Qesto èil signifcato.

In proposito è stato deto: «.o Arjuna, (così) il fuoco dellaconoscenza riduce in cenere tute le azioni» (Bha. Gı. 4.37).Infati, che altro può esservi al di là della realtà unica77 unavolta conseguita?

Non vi è ato che debba esser compiuto. Qesto disse[Bhagavat].

2.6. Allora il Divino, denominato Supremo Signore, [si svele-rà come Qello] la cui natura è la Non-dualità, dall’aspeto dicielo terso, come acqua riversata nell’acqua, e ugualmente, [es-sendo] con la natura di åtman, [il conoscitore resterà] stabilitoin quanto libero da [ogni] sovrapposizione limitante.

“Allora”, immediatamente alla [realizzazione della] cono-scenza della realtà, “(come) acqua” confnata in una porzionedi spazio delimitata [quale quella di un fume, ecc.] che, “ri-versata nell’acqua”, nella grande acqua [quale quella dell’o-ceano], ha raggiunto la identità, tal quale “il Divino”, il Puro“denominato Supremo Signore”, cioè sebbene sia defnito co-me il supremo Signore, [metaforicamente rafgurato] “dal-l’aspeto di cielo terso”, cioè simile a spazio incontaminato,privo di relazione [con checchessia, si svelerà come Qello]“la cui natura è la Non-dualità”, ossia come il Brahman privodelle diferenziazioni inerenti a una natura omogenea odeterogenea; “e ugualmente” colui che è entrato nel Brahman,per cui ha raggiunto la identità con Qello e perciò stessoessendo “con la natura di” supremo “åtman”, resterà “stabilitoin quanto libero da [ogni] sovrapposizione limitante”, cioèrimarrà privo della diferenziazione come quella della naturadi agente e altre derivanti dalle sovrapposizioni limitanti, os-sia sarà fondato nella propria assolutezza. Tale è il signifcato.

Secondo Adhyåya2.6 83

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Il senso è, come [si evince] dall’aforisma della Sm®ti, che«.i guãa agiscono sui guãa» (Bha. Gı. 3.28).

Così, solo quando la conoscenza della realtà è sorta [an-che] per mezzo del compimento dell’azione [nel modo] qualeè stato deto, si può conoscere la reale natura del supremo å-tman, ma non prima.

Così disse [Bhagavat]:

2.7. Al pari dello spazio, l’åtman è una entità [infnitamen-te] sotile; al pari del vento, l’intimo åtman non può essere visto.Qello, l’åtman immobile interno a tuto, è [anche] all’esterno[di tuto]; inoltre l’intimo åtman vede tramite la torcia della co-noscenza.

“Al pari dello spazio, (l’åtman) è una entità [infnitamen-te] sotile”: come lo spazio è al di là dei sensi, tale e quale aquello è il supremo åtman. Qi con [l’espressione] ‘entità [in-fnitamente] sotile’ (s¥k\ma©arıra) si vuole intendere la na-tura di [infnita] sotigliezza (s¥k\matva), cioè la natura [to-talmente] al di là [della portata] dei sensi [ivi compresa lamente, il senso o organo interno: anta¢karaãa].

Sifato supremo åtman “al pari del vento”, come il ventonon è oggeto di [percezione per organi sensoriali come la]vista, ecc., tal quale “l’intimo åtman”, ma anche il jıva, “nonpuò essere visto”, vale a dire che, essendo la sua natura pro-pria al di là dei sensi, non può divenire oggeto per i sensi[stessi].

La mente [che come organo interno coordina tuti i sensi]non costituisce un mezzo per [acquisire] una conoscenza va-lida. Tale è il senso.

Obiezione: Allora per mezzo di quale tra i due (ordini difacoltà, i sensi e la mente) [si può conseguire] la immediataconoscenza della realtà?

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.684

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Risposta: A ciò [Bhagavat] rispose: «Qello, l’åtman im-mobile interno ed esterno [a tuto], il quale è l’åtman immo-bile negli oggeti esterni (quelli sensoriali) e negli oggeti in-terni (quelli mentali), non è colui la cui consapevolezza è di-spersa tra gli oggeti»78. Qello, “l’intimo åtman”, Colui la cuicoscienza è rivolta all’interno, “vede tramite la torcia della co-noscenza”, cioè grazie alla luce della conoscenza la cui naturaè il contenuto di consapevolezza immediato della realtà origi-nato dal Vedånta, vale a dire che conosce-realizza la proprianatura come la identità [essenziale] in rapporto a entrambi(sensi e mente)79.

Riguardo a ciò alcuni nutrono la convinzione secondo cuila liberazione consiste nel conseguimento di un mondo ulte-riore atraverso il sentiero che prende inizio dalla famma,ecc. Onde rimuovere tale [idea], dalla Âruti [si apprende]: «.ein questa [esistenza] consegue il Brahman.», ecc. (Ka. 2.3.14).

[Qindi Bhagavat] enunciò la natura propria della libera-zione per il conoscitore quale è stato descrito.

2.8. Ovunque sia morto il conoscitore – di quale morte [sitraterà per costui]? – lì stesso è giunto a dissolversi, [essendo]onnipervadente come il cielo.

“.onnipervadente come il cielo”, [come] lo spazio, [che è]afato diferente da ogni oggeto, alla distruzione della entità(ad esempio un vaso) che determina la diferenziazione, colàstesso consegue il dissolvimento nel grande cielo, la identità[con quello]; allo stesso modo “il conoscitore”, per quantoindividuato dalla separazione indota da sovrapposizioni limi-tanti quali il corpo e le altre, è onnipervadente, non-distintodal Brahman che è dappertuto in quanto perfeta pienezza:egli ha realizzato il Brahman in modo immediato.

Invero, “Ovunque sia morto”, [dovunque] si sia liberato,atraverso la conoscenza, del corpo prodoto dalla ignoranza,

Secondo Adhyåya2.8 85

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“di quale morte [.]?”, [infati] “lì stesso è giunto a dissolver-si” nel Brahman, vale a dire che ha certamente conseguito laidentità [con il Brahman].

In base a ciò si è indicato che, per il conoscitore della real-tà, in relazione alla morte non vi sarà riferimento a spazio,tempo, ecc., [per cui] si deve riconoscere che anche la purif-cazione (pråya©cita) – come, ad esempio, quella imposta adAgni da parte di Bh®gu, dovuta alla grossa insidia corsa [dallamoglie per causa di lui] (Ma. Bhå. 1.5-7) – è indicata specifca-mente [solo] per colui che [ancora] intende elevarsi [allo yo-ga, ma non già per colui che allo yoga si è già innalzato].

Anche per un solo jıva, la [idea di] molteplicità che deter-mina il corpo, ecc., nella concezione della natura infnitesimadel jıva, non è plausibile.

Manifestandosi tale dubbio, [Bhagavat] mostrò la naturapervadente (infnita) del jıva.

2.9. Il cielo ha pervaso il corpo e le quatordici sfere di esi-stenza: immobile, senza impurità, l’essere incarnato, incontami-nato, è onnipervadente.

Come “Il cielo”, cioè lo spazio, “ha pervaso il corpo”, ossiaha pervaso tuti gli enti come il corpo, ecc., in quanto esisteavendo colmato “le quatordici sfere di esistenza”, cioè [le sfe-re denominate] bh¥r, bhuvas e le altre, così, “immobile”, ossiaesente da [qualsiasi forma di] atività, “senza impurità”, inquanto perfetamente puro, “incontaminato” (nirañjana), inquanto autorisplendente, “l’essere incarnato”, il jıva, “è onni-pervadente”, vale a dire che pervade l’universo stesso.

Poiché la immagine rifessa della ignoranza, [immagine]che è causa dell’universo – in quanto l’universo stesso è unatrasformazione della ignoranza – è proprio il jıva, di quello [sideve ammetere] una natura [onni-] pervadente (infnita) enon già una natura infnitesima (fnita). Qesto è il senso80.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.886

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Così, [una volta] descrita la natura propria della libera-zione per il conoscitore della realtà, subito dopo di ciò, percolui che adota i mezzi per [realizzare] la conoscenza dellarealtà, vi è [da descrivere anche] quella stessa purifcazioneda ogni errore. Qesto disse [Bhagavat].

2.10. Colui il quale anche per un [solo] istante riesca ad an-dare con la mente alla radice del naso, supera tuto il suo errore,per quanto acquisito in centinaia di nascite.

“Colui”, quegli che adota i mezzi per [realizzare] la cono-scenza, “il quale anche per un” solo “istante riesca ad andarecon la mente”, con il mezzo che è la mente, “alla radice delnaso”, cioè renda immobile la vista [interiore, la consapevo-lezza, stabilizzandola] alla radice del naso (quindi al centrodella testa) per [realizzare] la conoscenza della realtà, tale yo-gin “supera tuto” quello che è “il suo errore”, il difeto [cono-scitivo] di chiunque sia stabilito nel ‘sigillo del cigno’ (haµsa-mudrå)81, “per quanto acquisito in centinaia di nascite”, ossiaaccumulato in molteplici esistenze, cioè quello che è l’interodifeto, vale a dire che [lo] distrugge [completamente].

Al riguardo è stato deto: «Per colui, la cui mente vienefssata nella consapevolezza del Brahman anche per un [solo]istante, si ha uno stato di stabilità permanente», «Un lignag-gio puro: grazie a tale [pratica meditativa] la [sua] nascita sa-rà perfetamente compiuta, virtuosa e benefca per tuti», ecc.

La liberazione (mukti) è di due specie: la liberazione im-mediata (sadyomukti) e la liberazione diferita (kramamukti).Al riguardo, la liberazione immediata è stata presentata dallaÂruti [nel passo]: «Dovunque lo yogin sia morto.» (v. U.Gı.2.8), e «.e in questa [esistenza] consegue il Brahman.», (Ka.2.3.14) e in altri, mentre in passi come: «Tuti quegli åtmancompiuti, quando [per loro] è pienamente conseguita la com-pleta soluzione nel Brahman, penetrano il più alto stato al-

Secondo Adhyåya2.10 87

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l’interno del Supremo» e in altri si è voluto mostrare la libe-razione diferita.

Qindi [Bhagavat], onde accertare che per colui che per-corre il ‘sentiero che comincia dalla famma’ non vi è [possi-bilità di] ritorno [alla esistenza individuata], mentre, onde ac-certare che per colui che percorre il ‘sentiero che cominciadal fumo’ vi è [possibilità di] ritorno [alla esistenza individua-ta], espose la natura propria di entrambe le vie (mårga) [spe-rimentabili] atraverso la concentrazione yoga82.

2.11. A destra è la pi√galå nåƒı, [situata] nel dominio del di-sco di fuoco (il sole): deve essere conosciuta come il ‘sentiero deideva’, e si persegue con l’azione virtuosa,.

“A destra”, nel lato destro del corpo, “[situata] nel domi-nio del disco di fuoco”, cioè estendentesi fno al disco di fuoco(il sole), [è la nåƒı che] “si persegue con l’azione virtuosa”,cioè si può otenere atraverso gli ati meritori ed è denomi-nata “pi√galå nåƒı”.

Tale nåƒı, che, cominciando dal m¥lådhåra [cakra] segueun percorso laterale fno al sahasråra [cakra]83, “deve essereconosciuta come il ‘sentiero dei deva’” (devayåna). Si deve al-tresì riconoscere che il sentiero [dei deva, indicato come quel-lo] che comincia dalla famma è libero dal ritorno [alla esi-stenza individuata]. Qesto è il signifcato.

[In seguito Bhagavat] espose la natura propria della iƒånåƒı onde stabilire il ‘sentiero del fumo’.

2.12. .mentre la iƒå [nåƒı, cui corrisponde] il fusso oppo-sto, è nel dominio del disco lunare: deve essere conosciuta comeil ‘sentiero dei pit®’; praticando l’ato opposto (quello vizioso) sirimane [in tale sfera di esistenza].

“ (.mentre) la iƒå [nåƒı, cui corrisponde] il fusso oppo-sto, è nel dominio del disco lunare”: otenuta [la condizione di

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esistenza entro] la sfera della luna atraverso la via della nari-ce opposta, “praticando l’ato opposto (quello vizioso) si rima-ne [in tale sfera di esistenza]”.

Tale nåƒı, che, cominciando dal m¥lådhåracakra, si esten-de fno al sahasråracakra [procedendo] dalla parte opposta [ri-speto alla pi√galå nåƒı], “deve essere conosciuta come il ‘sen-tiero dei pit®’; si deve altresì riconoscere che il sentiero [checomincia con il simbolo] del fumo conduce ad un ulterioreritorno [alla esistenza individuata]. E proprio questo è il si-gnifcato84.

Così, dopo aver precisato la collocazione e la natura pro-pria delle due nåƒı, la iƒå e la pi√galå, onde accertare la natu-ra propria della su\umnå nåƒı, [Bhagavat] espose la naturapropria della brahmada~ƒı che con questa [ultima nåƒı] è instreta relazione.

2.13. In questo [corpo], nella parte posteriore della schiena, è[situata] una lunga strutura ossea che ha l’aspeto di un mani-co di liuto [e si estende] fno alla testa: è denominata brahma-da~ƒı.

“In questo” corpo, “nella parte posteriore della schiena”,

nella zona che termina nei pressi del m¥lådhåra [cakra], è si-tuata “una lunga strutura ossea che ha l’aspeto di un manicodi liuto”, tale e quale a quell’asse che costituisce il sostegnodelle corde di un liuto, cioè avente quella forma;

Essa si estende lungo [tuta] la parte posteriore [del tron-co] “fno alla testa”, percorrendolo fno al sahasråra [cakra]:essa “viene denominata brahmada~ƒı” (asse del Brahman) poi-ché costituisce il supporto della su\umnå [nåƒı] la quale per-mete [di realizzare] la identità con il Brahman. Tale è il signi-fcato.

Qindi [Bhagavat] espose la natura propria della su\umnånåƒı.

Secondo Adhyåya2.13 89

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2.14. Alla sua estremità [si trova] una piccola cavità canali-forme: [la nåƒı che la percorre] dai saggi è [deta] brahmanåƒı.

“Alla sua estremità”, all’inizio di quella che è denominatabrahmada~ƒı”, si trova “una piccola cavità canaliforme”, un’a-pertura – qui si conclude [la prima parte della frase]; la nåƒıche percorre tale [cavità canaliforme] “dai saggi”, da coloroche discriminano, “è” deta “brahmanåƒı” in quanto è la nåƒıche permette la [realizzazione della] identità con il Brahman.Qesta è la restante parte [del verso].

[Dopo di ciò Bhagavat] defnì quella stessa [nåƒı]

2.15. In mezzo tra le nåƒı iƒå e pi√galå è la [nåƒı] su\umnå,dalla natura sotile: oltre la sommità di essa è l’Onnipresente, laTotalità, Qello nel quale tuto è stabilito85.

“In mezzo tra le nåƒı iƒå e pi√galå è la [nåƒı] su\umnå,dalla natura sotile”, che è di natura estremamente sotile, si-mile a una fbra di loto e di natura solare in quanto fssata neldisco del sole; essa, cominciando dal m¥lådhåra [cakra e pas-sando] atraverso lo svådhi\†håna e gli altri cakra, giunge fnoal sahasråra [cakra] ed è ben nota come colei che è [il canalein cui scorre, una volta risvegliata] la energia (©akti) [deta]ku~ƒalinı; “.oltre la sommità”, al di sopra “di essa” è il Veg-gente della totalità (sarvadra\†®), Colui che è la totalità, cheessenzia la totalità, Colui che ha lo sguardo rivolto ovunque(vi©vatomukha), lo Splendore, la Luce del Brahman che è “l’On-nipresente” in quanto ha pervaso la totalità, Qello “nel qualetuto” esiste in quanto in Esso “è stabilito”. Tale è il signi-fcato, come [si apprende] dal passo della Âruti: «Al centro delsuo apice.» e dall’altro passo, sempre della Âruti: «Le nåƒıche partono dal cuore sono cento e una. Di quelle, una solapassa per il [vertice del] capo. Ascendendo lungo quella siotiene l’immortalità», ecc. (Chå. 8.6.6).

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda90 2.14

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Onde accertare il conseguimento del Brahman, [Bhagavat]enunciò la natura di quella [stessa energia-©akti] ku~ƒalinı,una volta che [è stata risvegliata ed] è ascesa lungo la via dellasu\umnå, come quella di colei che permea l’universo com-posito, e [quindi descrisse] il suo ruolo nel sorreggere taleuniverso composito, il suo costituire la essenza stessa di tuti ideva e la natura di sostegno per quegli stessi deva.

2.16. Situati all’interno di essa [possono cogliersi] il sole, laluna, il fuoco, il supremo Signore, gli elementi e i mondi, le dire-zioni spaziali, i luoghi sacri, le distese d’acqua e le montagne, icorsi d’acqua.

2.17. .e le grandi terre emerse, i grandi fumi, i Veda, le co-noscenze degli Âåstra, le divisioni del tempo, le consonanti [del-l’alfabeto], le vocali , i mantra, i Puråãa e i guãa: tuti questiinsieme;.

2.18. .[poi] il seme [dell’universo] e ciò che dal seme è es-senziato, i conoscitori del campo e i sof vitali. La totalità ècontenuta all’interno della su\umnå: in essa tuto è stabilito.

“(Situati all’interno di essa [possono cogliersi]) il sole, laluna, il fuoco, il supremo Signore.”, cioè: il disco solare, il di-sco lunare, il disco del fuoco e, stabilito nel loro mezzo, il Si-gnore; “gli elementi e i mondi”, cioè i cinque elementi grosso-lani come lo spazio e gli altri e i quatordici mondi come bh¥r,bhuvas, svar e gli altri; “le direzioni spaziali”, come la direzio-ne orientale e le altre; “i luoghi sacri” come la [cità di] Vå-råãasi e gli altri; “le distese d’acqua.”, sia salate, sia dolci,ecc.; “.e le montagne” come il Meru e le altre; “i corsi d’ac-qua.” come il Fiume Sacro (il Gange) o il Fiume di pietra e glialtri; “.e le grandi terre emerse” (dvıpa) come la Jambu (l’In-dia); “i grandi fumi” come la Jåhnavı e gli altri; “i Veda” come

Secondo Adhyåya2.18 91

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il Íg Veda e gli altri; gli “Âåstra” sono la Mımåµså e gli altri[dar©ana]; “le divisioni del tempo” (kala), come le sessan-taquatro suddivisioni temporali; “le consonanti [dell’alfabe-to] a partire dalla [letera] k; “le vocali” a cominciare dalla a;“i mantra” come la Gåyatrı e altri; “i Puråãa” come il Brahmå-~ƒa [Puråãa] e gli altri; “e i guãa” cioè il [guãa] satva e glialtri; “…[poi] il seme [dell’universo]”, ossia il Pradhåna, “e ciòche dal seme è essenziato”, cioè il mahat e gli altri [tatva];coloro che conoscono il campo sono “i conoscitori del cam-po”, cioè i jıva; “i sof vitali” sono il pråãa e gli altri; [consi-derando] i cinque [sof vitali citati] insieme ai cinque sof[secondari interni al corpo, i någa] assommano a dieci sofvitali.

Poiché tuti questi sono “Situati all’interno della” straordi-naria nåƒı che è la “su\umnå”, pertanto ogni entità esistentenell’universo “è contenuta all’interno della su\umnå”, vale adire che [ogni entità] esiste all’interno della energia ku~ƒali-nı; perciò stesso “in essa tuto è stabilito”, come [si apprende]dalla Âruti: «Alla sua estremità [si trova] una piccola cavità:in essa tuto è stabilito».

[Qindi Bhagavat, con riguardo alla su\umnå e alla ku~ƒa-linı ©akti] enunciò la sua natura di causa della venuta in esse-re dell’universo intero.

2.19. Nella profondità del sé di ogni essere scorre il fusso dimolte nåƒı. Dalla radice in alto e dalla ramifcazione in basso,lungo la via del sofo vitale, [tale fusso] satura tuto.

“Nella profondità del sé”, del corpo, “di ogni essere”, ditute le creature viventi, “scorre il fusso di molte nåƒı”.

“Dalla radice in alto…”; il sito di origine delle molteplicinåƒı è in alto, è il Brahman: Qello stesso è la [loro] origine, illuogo in cui sorgono ad essere, è quello dal quale [il loro cor-so si presenta] “dalla ramifcazione in basso”, cioè: la [sua]

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda92 2.18

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ramifcazione, [procedendo] dall’uno all’altro integralmente,dalla manifestazione come Hira~yagarbha, ecc., si estende pro-gressivamente sempre più in basso dai deva fno agli animali,ecc.; “lungo la via del sofo vitale”, cioè lungo i percorsi deisof vitali quali il pråãa, l’apåna e gli altri, [tale fusso energe-tico] “satura tuto”, in quanto, essendo onnipervasivo, perma-ne come la causa materiale dell’universo. Qesto è il signi-fcato86.

[Poi Bhagavat] espose la superiorità dell’altra nåƒı (la su-\umnå) in virtù del suo costituire la sede per la meditazionesul Brahman87.

2.20. Le sfere di azione del sofo vitale sono le setantadue-mila nåƒı; tramite la via dell’azione i canali sono tortuosi ehanno la natura di condoti.

“Le sfere di azione del sofo vitale sono le setantaduemilanåƒı”, cioè i canali nervosi che ammontano a più di setanta-duemila e permetono il fusso del sofo vitale (våyu, ossia ilpråãa quale energia vitale).

“Tramite la via dell’azione (karmamårga) i canali”, cioè [lenåƒı] in modo simile a canali, conducono a un ulteriore ri-torno [alla esistenza individuata]; perciò stesso sono “tortuo-si”, hanno cioè una disposizione sinuosa e intricata, “e hannola natura di condoti”, cioè hanno natura di condoti in quan-to i principali canali procedono trasversalmente [come nelleirrigazioni e a formare una sorta di rete onnipervasiva].

2.21. [Le nåƒı] sono estese in basso e in alto: il jıva, control-lando con il sofo vitale i nove accessi in quelle, [procedendo]verso l’alto, [ed essendo divenuto] conoscitore, conseguirà la li-berazione.

“[Le nåƒı] sono estese in alto e in basso”, sono difuseovunque [nel corpo], sia nella parte inferiore che nella parte

Secondo Adhyåya2.21 93

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superiore; “il jıva, controllando con il sofo vitale i nove ac-cessi”, cioè controllando tute le aperture come la bocca e lealtre, per mezzo del prå~åyåma “in quelle” nåƒı, cioè in mez-zo alla su\umnå nåƒı, ossia con il sofo vitale indirizzato “ver-so l’alto” lungo la via della su\umnå [nåƒı], [ed essendo dive-nuto] “conoscitore”, cioè essendo colui che ha realizzato laconoscenza immediata del Brahman, “conseguirà la liberazio-ne”, vale a dire che oterrà la identità con il Brahman, come[si apprende] dalla Âruti: «Ascendendo lungo quella si otienel’immortalità», ecc. (Chå. 8.6.6). Tale è il senso.

Allo scopo di praticare la meditazione su questa stessa [e-nergia denominata] ku~ƒalinı [considerata] come il sostegnodell’universo composito e come colei stessa che manifesta l’u-niverso multiforme, [i Saggi] immaginano tute le [divine]cittadelle di Indra e degli altri [deva corrispondere simbolica-mente a parti del corpo umano].

2.22. In questa [nåƒı], nella direzione orientale alla radicedel naso, è il mondo di Indra [deto] Amaråvatı. Il mondo diAgni deve essere conosciuto [in quanto sito] nel cuore, la vista èla citadella Tejovatı.

“In questa” specifca nåƒı, “nella direzione orientale”, nelladirezione rivolta verso oriente, “alla radice del naso”, nellaparte situata alla radice del naso, “è il mondo di Indra” (indra-loka), si trova il mondo che costituisce la dimora dei deva co-me Indra e gli altri, “[deto] Amaråvatı”, chiamato Amaråvatı;tale è la [correta] conclusione.

Similmente, a seguire, “la vista”, ossia l’occhio destro, “è lacitadella Tejovatı”, cioè chiamata Tejovatı: ciò è ben noto,mentre “il mondo di Agni (agniloka) deve essere conosciuto[in quanto sito] nel cuore”, cioè all’interno del cuore si trovail mondo che costituisce la dimora di deva come Agni e gli al-tri. Così è la [correta] conclusione.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.2194

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E inoltre.

2.23. Nell’orecchio è stabilito il mondo di Yama [deto] Saµ-yamanı [essendo] relativo a Yama; infati, poi, vicino a quello, èNair®ta, è fssato il mondo [deto] di Nir®ta.

Qi, “Nell’orecchio”, ossia nell’orecchio destro, “è stabilitoil mondo di Yama” (yamaloka) chiamato “Saµyamanı [essen-do] relativo a Yama”, in quanto associato a Yama, vale a direche si trova il mondo che costituisce la dimora di deva comeYama e gli altri [a lui afni].

“.poi, vicino a quello”, cioè nella parte adiacente all’orec-chio destro, è Nair®ta, “è fssato”, vale a dire che si trova “ilmondo” chiamato “di Nir®ti” (nair®to loka) in quanto relativo aNir®ti.

E ancora.

2.24. Invece, verso occidente nella parte superiore è la cita-della Vibhåvarı [deta] Våru~ikå. Vicino all’orecchio è stabilitoil mondo di Våyu [deto] Gandhavatı.

“(Invece) verso occidente”, in direzione occidentale (corri-spondente al lato posteriore per colui che è rivolto a oriente),“nella parte superiore” del lato occidentale (posteriore) “è lacitadella”, cioè si trova la citadella conosciuta come “Vibhå-varı [deta] Våru~ikå” in quanto associata a Varuãa. Tale è la[reta] conclusione.

“Vicino all’orecchio”, in prossimità dell’orecchio opposto,“è stabilito”, vale a dire che si trova “il mondo di Våyu [deto]Gandhavatı” ossia denominato come la citadella Gandhavatı.

E inoltre.

2.25. In alto è la amabile Pu≤pavatı, [estendentesi] dalla golafno all’orecchio sinistro: invero è il mondo di Soma, [così] deve

Secondo Adhyåya2.25 95

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essere conosciuto una volta che [l’essere] si è stabilito avendopreso dimora nel corpo.

“In alto”, nella parte superiore, estendentesi “dalla gola”,dalla zona della gola “fno all’orecchio sinistro”, fno nei pres-si del padiglione auricolare sinistro, “è la amabile” citadella“Pu\pavatı”, denominata ‘citadella dei fori’ in quanto perti-nente a Kubera, “(invero) è il mondo di Soma”: così “deve es-sere conosciuto una volta che [l’essere] si è stabilito avendopreso dimora nel corpo”.

2.26. Il mondo di Âiva deve essere individuato nell’occhio asinistra, pertinente a Ù©a, come Manonmanı; alla sommità delcapo [si deve riconoscere] Brahmapurı. [Così] è l’Uovo di Bra-hmå rapportato al corpo umano.

“Il mondo di Âiva”, cioè il mondo che costituisce la dimoradi Âiva, “deve essere individuato nell’occhio a sinistra”, nelbulbo oculare sinistro, “pertinente a Ù©a” (corrispondente alladirezione nordorientale per colui che è rivolto a meridione),ossia atinente ad Ù©vara; “alla sommità del capo”, nella testa,si deve riconoscere “Brahmapurı”, cioè il mondo (la citadella)di Brahmå. Così “è l’Uovo di Brahmå” (brahmå~ƒa), ossia losviluppo dell’intero universo, “rapportato al corpo umano”,vale a dire in quanto si trova [simbolicamente rifesso] in ma-niera esata nel corpo umano.

[Qindi Bhagavat] enunciò la concezione relativa ai mon-di, ecc. ancora in relazione al corpo umano.

2.27. Al di soto del piede vi è Ananta, cioè Âiva, che ha lanatura del Tempo, del Fuoco e del Dissolutore, ma anche di Co-lui che è salutare [per eccellenza]: invero Âiva è in basso e in al-to, all’interno e all’esterno [di tuto].

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.2596

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“Al di soto del piede”, nella zona sotostante al piede, sitrova “Ananta”, ossia Mahå©e≤a.

Ma di qual natura è Costui?È “Âiva”, in quanto ha natura di Terrifco (rudra).Qal è, ancora [più specifcamente], la sua natura?“.ha la natura del Tempo, del Fuoco e del Dissolutore”,

vale a dire che è sia la dissoluzione fnale (pralaya), sia il tem-po (kåla), sia il fuoco (agni). Tale è il senso [espresso nel pas-so] della Sm®ti: «.quando il triplice mondo è in famme perl’azione distillante del Fuoco primario.».

Potendosi manifestare il dubbio: ‘che cosa [altro] esiste aldi soto di quello?’, [il testo dice]: “.è in basso e in alto”. L’in-contaminato Âiva, “Colui che è salutare [per eccellenza]” (a-nåmaya), è dappertuto, nello spazio in basso, nello spazio al-l’interno, nello spazio in alto e nello spazio all’esterno [dituto]; vale a dire che esiste come il Brahman stesso dalla na-tura benigna88.

[Poi Bhagavat] espose la concezione riguardante i mondial di sopra di Âe≤a, come [quello denominato] Atala e gli altri.

2.28. Il piede, al di soto, [lo] si conosca come Atala, [men-tre] il piede [intero gli yogin lo] conoscono come Vitala, il fanco[si conosca] come Nitala e la gamba viene deta [dallo yogincorrispondere a] Sutala;.

“Il piede”, [considerato in particolare] nella zona “al disoto” del piede, “[lo] si conosca come” il mondo “Atala”,mentre “il piede [intero lo] conoscono come Vitala”, cioè ilmondo Vitala: [il soggeto della frase, cioè] ‘gli yogin’ è laparte restante [sotintesa]. Invece “il fanco”, ossia la regionedelle anche, si deve conoscere “come Nitala, e la gamba”, cioèla [intera] regione delle gambe, “viene deta [dallo yogin cor-rispondere a] Sutala”.

Secondo Adhyåya2.28 97

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2.29. .mentre il ginocchio sia [considerato come il mondo]Mahåtala, la coscia come Rasåtala; il bacino viene defnito comeTalåtala in base alla denominazione dei sete mondi inferiori.

“.mentre il ginocchio”, ossia la regione delle ginocchia,“sia [considerato come il mondo] Mahåtala, la coscia” si co-nosca “come Rasåtala”. Il trato del corpo che comprende “ilbacino viene defnito come Talåtala in base alla denomina-zione dei sete mondi inferiori”. Il signifcato è che le parti delcorpo devono essere concepite in questo modo in base alladenominazione dei sete mondi inferiori, ecc. [e alla corri-spondenza con loro]89.

E inoltre.

2.30. Il terrifcante inferno di Kalågni, il Påtåla [indicato]con la denominazione di Mahåpåtåla, è il cerchio dei serpentiBhogındra nella parte sotostante all’ombelico.

“Il terrifcante” – [così denominato] in quanto incute ter-rore – “inferno di Kålågni” , quale luogo di Kålågni, ovveroquale luogo infernale impraticabile avente forma-natura diKålågni, “è il cerchio dei serpenti Bhogındra”.

I Bhogındra sono i re dei serpenti, gli altri serpenti sono icobra dal cappuccio. Qel mondo che è [rappresentato come]il loro assise in forma circolare (ma~ƒala), simile a un’adu-nanza, è [simbolicamente collocato] “nella parte sotostanteall’ombelico”, nella zona al di soto dell’ombelico; esso è indi-cato “con la denominazione di Mahåpåtåla” e così [lo] si co-nosca.

2.31. Qello, [benché] infnito, [ma tutavia] completamenterivestito, continuamente errante [nel divenire ciclico] è denomi-nato jıva. Invero il Bh¥loka è l’ombelico, mentre il Bhuvarloka ènell’addome.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda98 2.29

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“Qello. è denominato jıva”, ossia ha la denominazionedi jıva (cioè ‘essere vivente’). D’altra parte, è stabilito, ossia e-siste, in quanto venuto a manifestarsi in una forma individua-le (ku~ƒalåkåra90) con l’essere “completamente”, totalmente“rivestito” [delle varie guaine-corpi (ko©a)], essendo [altresì]“errante [nel divenire ciclico]” (saµsåra). Tale è il signifcato.

2.32. Invero il cuore è lo Svargaloka. [In esso sono stabilitituti] i corpi celesti come il Sole e gli altri astri, cioè: il Sole, laLuna, le Stelle propizie, [e poi] Mercurio, Venere, Marte, Giove.

Si consideri che “il cuore è lo Svargaloka”. Colà sono stabi-liti “[tuti] i corpi celesti come il Sole e gli altri astri, cioè: ilSole, la Luna.”, ecc., ossia [tuti] i corpi celesti come il Sole egli altri astri [vanno visti al suo interno]. Qesto è il signi-fcato; il resto è chiaro.

2.33. .e Saturno, che deve essere riconosciuto come il seti-mo. [Infne] la Stella polare è il limite dello Svargaloka. Lo yo-gin, contemplando [tuto ciò] in quello, cioè nel cuore, oterràogni felicità.

“[Infne] la Stella polare è il limite dello Svargaloka”, valea dire che la Stella polare si trova al termine dello Svargaloka.

[Qindi Bhagavat] enunciò così il fruto della meditazione[su tali corrispondenze]: “Lo yogin, contemplando [tuto ciò]”,ossia i corpi celesti come il Sole e gli altri astri, così, “in quel-lo, cioè nel cuore”, grazie a tale speciale meditazione nel cuo-re “oterrà ogni felicità”, vale a dire che consegue la [formadi] felicità, ecc. relativa al tale e al talaltro mondo.

2.34. Il Maharloka è [al di sopra] del cuore, mentre il Jana-loka è [al di sopra] della gola; in mezzo alla fronte è il Tapolo-ka, il Satyaloka è al di sopra del capo.

Secondo Adhyåya2.34 99

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“Il Maharloka è” al di sopra (upari) – così è la restante[parte sotintesa] – “del cuore”; il resto [del verso] è chiaro.

Dopo aver così esposto la meditazione su tuti i mondi inrelazione allo stesso corpo, [Bhagavat] enunciò il processodella loro dissoluzione.

2.35. La Terra, dalla forma dell’Uovo di Brahmå, si dissolvenell’Acqua; l’Acqua viene prosciugata dal Fuoco; il Fuoco vieneestinto dall’Aria.

2.36. Invero, lo Spazio si nutre dell’Aria e la mente [inferioresi nutre] dello stesso Spazio; l’intelleto, il senso dell’io, la mente[superiore] e il conoscitore del campo [si dissolvono] nel supre-mo åtman.

Qi si deve considerare che la esposizione della dissolu-zione degli efeti del senso dell’io allorché è impregnato ditamas, come la terra e gli altri [elementi], nell’efeto del sen-so dell’io allorché è impregnato di satva, cioè nella mente, se-condo una successione ordinata, segue una espressione fgu-rata, rientrando in un processo determinato dalla [rispetiva]condizione di subordine, in quanto costituiscono oggeto dellemodifcazioni mentali (manov®ti).

Inoltre la stessa mente [inferiore, il manas, si risolve] nel-l’intelleto (la buddhi), l’intelleto nel senso dell’io (ahaµkå-ra), il senso dell’io nella mente [superiore, il cita], la mente[superiore quale coscienza] nel conoscitore del campo (il jıva,ossia l’åtman nel suo rifesso ‘vivente’ quale autocoscienza in-dividuata) e il conoscitore del campo nel Supremo (paramå-tman): in tal modo tuto troverà completa soluzione nell’å-tman. Tale è il senso.

[Subito dopo Bhagavat] espose, per colui che aspira a rea-lizzare la unità assoluta del Brahman, la integrale soluzionedell’impedimento atraverso la pratica continua dello yoga.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.34100

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2.37. Colui, il quale, con la mente concentrata, mediti su diMe come ‘Io sono Brahman’, supera all’istante defnitivamentetutto l’errore [per quanto] prodoto da centinaia di milioni dikalpa.

Il signifcato è evidente. [Qindi Bhagavat] espose la na-tura propria della liberazione in vita (jıvanmukti).

2.38. Simile allo spazio racchiuso da un vaso, quando il vasoviene spostato il vaso si rompe, [ma] non lo spazio, tal quale iljıva [realizzato, quando il veicolo muore, si risolve] qui [stesso]nell’åtman.

“.quando il vaso viene spostato” da un precedente luogoin un altro luogo, cioè “quando il vaso”, allorché viene afer-rato, può andare distruto, per cui “lo spazio [racchiuso] nelvaso” consegue la identità con il grande spazio [totale], “talquale il jıva [realizzato, quando il veicolo muore, si risolve]qui [stesso] nell’åtman” supremo. Qesto è il signifcato.

E inoltre.

2.39. Colui, il quale conosce realmente l’åtman esente da di-struzione come lo spazio racchiuso dal vaso, costui realizzaQello che è senza-sostegni, [il quale è] percepibile [solo] atra-verso la conoscenza; non vi è dubbio.

“Colui il quale conosce realmente”, ossia così qual Esso è,“l’åtman”, ossia il jıva, “come lo spazio racchiuso dal vaso” inquanto ha raggiunto la soluzione nel supremo åtman, “costui”,conoscitore, “realizza Qello che è senza-sostegni”, Qelloche è privo di relazione, “[il quale è] percepibile [solo] atra-verso la conoscenza”, cioè consegue la reale natura dell’å-tman risplendente che è il Brahman; “non vi è dubbio”, vale adire che [in merito a ciò] non vi è incertezza.

Secondo Adhyåya2.39 101

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Non c’è nulla di simile a questo yoga della conoscenza; co-sì [Bhagavat] disse:

2.40. L’uomo, che si sostenga su un solo piede e [così] facciapenitenza seppur per migliaia di anni, non otiene [in tal modonemmeno il risultato che può dare] una [sola] delle sedici formedi meditazione yoga.

2.41. Nonostante abbia rimestato i quatro Veda e i Dha-rma©åstra di ogni tempo, colui che invero non conosce il Bra-hman è come il cucchiaio [che non conosce] il sapore del cibo.

2.42. Come un mulo che porta un carico di sandalo è porta-tore del carico ma non [della essenza profumata] del sandalo,così, invero, quegli, [pur] avendo studiato molte Scriture, [ma]non conoscendo la [loro] essenza, le porta come il mulo.

“.un mulo che porta un carico di sandalo”, che porta il le-gno dalla deliziosa fragranza, non è [consapevole di essere al-tresì] portatore della essenza profumata del sandalo, in quan-to non conosce il suo profumo. Così, pur “avendo studiatomolte Scriture”, ma ignorando “la [loro] essenza”, [l’erudito]non conosce il Brahman; [anch’egli] è da commiserare “comeil mulo”, vale a dire che deve essere disdegnato alla stregua diun essere miserevole.

La onnicomprensiva, totale conoscenza del Brahman devedunque essere realizzata, ma quando [il Brahman] è conosciu-to, tuto [il resto, come meditazione, ato rituale, studio delleScriture, ecc.] è privo di utilità; così afermò [Bhagavat].

2.43. La interminabile atività rituale e la purifcazione, larecitazione di preghiere e così stesso il sacrifcio fno al pellegri-naggio, ecc. in luoghi consacrati, non porta alla Realtà.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.39102

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[Poi Bhagavat] presentò una illustrazione in merito allaunità assoluta dell’åtman anche in relazione a una corporeitàdiferenziata.

2.44. Come vi è una unica specie di late, per quanto di mol-teplici specie di mucche, la conoscenza in relazione agli indivi-dui [diferenti] è vista come il late delle [varie specie di] muc-che.

“Come. il late. di molteplici specie di mucche”, di spe-cie singolarmente distinte da un colore chiaro o altro, ha, nel-la convinzione dei sapienti, una natura unica in virtù del mo-strare una sola natura in rapporto alla qualità – tale è il senso– così viene considerata “la conoscenza in relazione agli indi-vidui”, per quanto singolarmente diferenti, poiché il Bra-hman [del quale essi sono rifessi] è unico. Qesto è il signif-cato.

2.45. [La realizzazione coscienziale] ‘Io sono Brahman’ ècertamente il mezzo di liberazione per le grandi anime. Le dueespressioni: ‘è mio’ e ‘non è mio’ [portano rispetivamente] allaschiavitù e alla liberazione: con [la idea] ‘è mio’ l’uomo si as-soggeta, con [la idea] ‘non è mio’ si libera completamente.

[La convinzione] ‘è mio’ (mama), poiché rende tuto come[realmente] appartenente a sé stessi con il divenire oggetodella [idea di] possessività (mamatå), porta alla schiavitù (ba-ndha). [La idea e consapevolezza] ‘non è mio’ (na mama), a-vendo rimosso la [nozione della] possessività, per cui [ognioggeto, ecc.] viene abbandonato, viene lasciato, [porta] certoalla liberazione (mok\a). Tale è il senso.

[Qindi Bhagavat] enunciò anche il risultato dell’abban-dono del senso dell’io (ahaµkåra).

Secondo Adhyåya2.45 103

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2.46. Invero, da parte della mente, grazie alla [raggiunta]condizione di trascendenza della mente, la dualità non vienepiù percepita. Qando [la consapevolezza] raggiunge la condi-zione di trascendenza della mente, allora quello è il supremoStato.

“(Invero) da parte della mente”, ossia dalla consapevolezzaindividuata (cita), “grazie alla [raggiunta] condizione di tra-scendenza della mente” (unmanıbhåva), dovuta all’abbandonodel senso dell’io, “la dualità non viene più percepita”, in quan-to la diferenziazione è dovuta alla sovrapposizione (upådhi)del senso dell’io: questo il signifcato.

Così, “Qando” la consapevolezza “raggiunge la condizio-ne di trascendenza della mente”, cioè si realizza come la Co-scienza assoluta (caitanya) trata dal senso dell’io [una voltaprivato delle sovrapposizioni limitanti], “allora quello” stessoè il supremo Stato (paramaµ padam), la liberazione: così vie-ne indicato91.

[Invece] per colui che non ha realizzato la consapevolezzadel Brahman, tuto diviene privo di senso. Così disse [Bhaga-vat]:

2.47. [Come] quegli che, tormentato dalla fame, prenda apugni lo spazio o creda di saziarsi con la pula [ma non otienerisultato], [così, per colui che] non conosce: ‘Io sono Brahman’,per lui non sorge la liberazione.

Fine del Secondo Adhyåyadella Utaragıtå

Colui che, per quanto abbia studiato i Veda e gli Âåstra e liabbia anche ascoltati, “non conosce: ‘Io sono Brahman’, perlui” tute le Scriture sono solo produtrici di soferenza. “[Co-me] quegli che, tormentato dalla fame, prenda a pugni lo spa-

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 2.46104

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zio”, ossia non faccia altro che stringere agitando i pugni, manon [otiene alcun] risultato, o come quegli che “creda di sa-ziarsi con la pula” per cui si afatica a trebbiare: [per costui] ilrisultato è solo di una estenuante trebbiatura, ma non la ve-nuta in essere del riso. Tal quale [per colui che non conosce:‘Io sono Brahman’] “non sorge la liberazione”. Tale è il senso.Nel Bhågavata [Puråãa] in merito a ciò è stato deto: «.percostoro resta solo la mera tribolazione e non altro, come perquelli che macinano la spessa pula».

Fine del Secondo Adhyåyadella dilucidazione della Utaragıtå

stilata dal venerabile maestroGauƒapåda

*

Secondo Adhyåya2.47 105

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Terzo Adhyåya

Nel terzo [Adhyåya] viene celebrato lo yogin dalla mentepacifcata che, grazie al completo abbandono delle atività edelle verbosità inutili, ha preso rifugio solo nel Signore.

Ârı Bhagavat disse:

3.1. La Scritura è immensa e deve essere conosciuta appie-no, [ma] breve è il tempo e molti gli ostacoli. Qello [soltanto],il quale è la [sua] vera essenza, è ciò che si deve comprendere,come il cigno [riesce a sorbire] il solo late [sebbene] mischiatoall’acqua.

Da parte dello yogin dotato di discriminazione “Qello chesi deve comprendere” è [solo] lo Âåstra relativo all’intimo å-tman, ossia “la [sua] vera essenza” (sårabh¥ta), ma non altro,per via della impossibilità [di apprenderlo tuto]: infati “LaScritura è immensa”, vale a dire che gli Âåstra sono scon-fnati. Comunque, seppure un limite vi fosse, [la Scritura]“deve essere conosciuta appieno”, vale a dire che debbonoessere compresi i suoi molteplici sensi; tutavia, per quanto cisi trovi nella possibilità di conoscerli, afato “breve è il tem-po” – «Invero, la vita di un uomo è di un centinaio di anni»,come si suole asserire – per cui, avendo esaminato a fondotute le Scriture nella loro vera essenza e accertato che il lorounico oggeto è il Brahman, “Qello” soltanto “.è ciò che sideve comprendere”. A tale proposito è stato deto: «Nono-stante abbia rimestato.», ecc. (U. Gı. 2.41) tute le Scriture

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[ecc.]. Anche nell’Harivaµ©a si è afermato: «Come [ci si pu-rifca] con il [bagnarsi nel] Gange, possiamo noi, grazie aldiscorso proferito da Hari, discernere la parola velata per rad-drizzare il tortuoso sentiero asservito al falso».

Al riguardo [Bhagavat] espone un esempio: “.come il ci-gno” riesce a sorbire “il solo late”, sebbene si trovi in mesco-lanza con l’acqua, escludendo la parte di acqua, così come lui[deve fare il ricercatore]. Tale è il senso.

Dalla Âruti [si apprende]: «.(perciò il bråhmaãa) avendotrasceso la sapienza.» (B®. 3.5.1); dunque, persino la interasapienza (på~ƒitya) deve essere rigetata perché il vanto delsapere [anche in merito ai Veda, ecc.] è di ostacolo alla presadi consapevolezza del Brahman.

Così [Bhagavat] disse:

3.2. Il Puråãa, il Bhårata e le numerose scriture dei Veda,come la ordinaria esperienza mondana concernente i fgli, lamoglie, ecc., [tuto ciò] costituisce un impedimento all’eserciziodello yoga.

“.[tuto ciò] costituisce un impedimento all’esercizio del-lo yoga”, cioè alla pratica continua dello yoga [mirante allarealizzazione] della unità dell’åtman. Il resto è chiaro. E inol-tre, a prescindere dalla ricerca realizzativa dell’åtman, le Scrit-ture che tratano di altro [argomento] non debbono nemmenoesser prese in considerazione, perché è inverosimile [che viconducano anch’esse].

Così [Bhagavat] disse:

3.3. Qegli che voglia conoscere tuto [mirando a conclu-sioni come]: ‘questa è la conoscenza’, ‘questo è ciò che si deveconoscere’, non intenderebbe l’essenza degli Âåstra nemmeno inuna vita millenaria.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 3.1108

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Seppur la vita [di costui] si protraesse per migliaia di anni,“non intenderebbe l’essenza” ultima o il senso autentico di unsolo Âåstra. Che dire, dunque, di quegli dalla vita breve? In-vero non aferrerebbe nemmeno uno tra gli Âåstra!

Obiezione: Allora, si deve respingere tuto, oppure com-prenderlo: che cosa, pertanto, vi è da fare?

Risposta: Sorgendo tale dubbio, [Bhagavat] disse:

3.4. Si deve realizzare Qello che per natura è indistrutibilee, inoltre, [vi è] anche [da considerare che] il vivente è efmero.Abbandonata la congerie degli Âåstra, si deve onorare solo ciòche ne è l’essenza.

“Si deve realizzare Qello che per natura è indistrutibile”,cioè esente da distruzione, in quanto consustanziato di puroEssere, cioè l’åtman. A tale scopo vi è il distacco (vairågya),perché “.inoltre, [vi è] anche [da considerare che] il viventeè efmero”: così si deve intendere chiaramente, [anche] pervia della massima: «Ciò che va fato al tempo dell’ultimo re-spiro, tu fallo sempre!». Perciò, “Abbandonata la congerie de-gli Âåstra, si deve onorare solo ciò che ne è l’essenza”92.

Qando vi è la vitoria sui sensi, il distacco sorge afatospontaneamente.

Così [Bhagavat] disse:

[Arjuna domandò:]

3.5. Qelli che sono gli esseri [viventi] sulla terra hanno co-me sostegno la bocca e gli organi di procreazione. Al completodistacco dalla bocca e dagli organi di procreazione, quale risul-tato [ci si procaccerebbe continuando a stare] sulla terra?

Terzo Adhyåya3.5 109

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“Qelli che sono gli esseri [viventi]” che esistono “sullaterra hanno come sostegno la bocca e gli organi di procrea-zione”, cioè hanno per sostegno la ingestione [del cibo] e l’ac-coppiamento: colui che, per ipotesi, si distaccasse completa-mente da ciò, “quale risultato [si procaccerebbe continuandoa stare] sulla terra?”. Il signifcato è che non vi sarebbe [piùalcuna] utilità, come [si apprende] dal moto: «Tuto è vinto,quando è vinto il desiderio».

Così, per colui che è stabilito nella contemplazione identi-fcativa (samådhi) dell’åtman, vi è solamente la visione-consa-pevolezza del Brahman e nessun’altra percezione. Così disse[Bhagavat]:

[Ârı Bhagavat rispose:]

3.6. Gli yogin dediti esclusivamente alla meditazione sul-l’åtman non tengono in considerazione i luoghi di pellegrinag-gio bagnati dalle acque sacre né i [simulacri dei] deva fati dipietra e creta.

Qando da lui è realizzata la contemplazione identifcativadell’intimo åtman, qual è [più] la utilità del bagnarsi nei luo-ghi di pellegrinaggio o le adorazioni rituali dei deva? Tale è ilsenso. L’altra [parte della sentenza] è chiara. Per lo yogin vi è,in ogni condizione, la sola consapevolezza del Brahman.

[Bhagavat] presenta questo [argomento] tramite la distin-zione di colui che è qualifcato.

3.7. Per i due-volte-nati [la Divinità per eccellenza] è il devaAgni, per i saggi silenziosi la Divinità è nel cuore, per coloro dilimitato intelleto è il simulacro, per coloro che percepiscono laidentità [in tuto] è ovunque.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 3.5110

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“Per i due-volte-nati” (dvijåtin) devoti alla sezione rituale[dei Veda] la Divinità [per eccellenza] “è” lo stesso [deva]“Agni”; “per i saggi silenziosi” (muni), cioè gli yogin costante-mente dediti alla meditazione, “la Divinità” stessa, [benché] dinatura infnita, “è nel cuore”, è stabilita al centro del loto delcuore; invece “per coloro di limitato intelleto”, cioè per gliesseri ordinari, la divinità “è” giusto “il simulacro” fato di ar-gilla, pietra o altro; mentre “per coloro che percepiscono laidentità [in tuto]” (samadar©in), cioè per coloro che hannocompreso [il senso della sentenza]: «Tuto questo è certamen-te il Brahman» (Chå. 3.14.1) atraverso il suo ascolto, la totali-tà stessa è proprio la [manifestazione apparente della] Divini-tà. Tale è il signifcato.

Perciò [il Brahman] deve essere realizzato solamente at-traverso la conoscenza mentre, in assenza della conoscenza,il Brahman non può essere realizzato.

Così disse [Bhagavat]:

3.8. Essendo privo dell’occhio della conoscenza [colui la cuimente è otenebrata dalla ignoranza] non vede il pacifcato Ja-nårdana stabilito ovunque, come un cieco [non può vedere] ilsole che è sorto.

Il non-conoscitore (ajña) “non” vede [il pacifcato Janår-dana benché] “stabilito ovunque”, benché sia pienezza perfet-ta dappertuto. La ragione di ciò [è questa]: “Essendo privodell’occhio della conoscenza”, ossia non possedendo la vistainteriore chiamata conoscenza. Al riguardo [Bhagavat] espo-se l’esempio: “(come) un cieco.”, ecc., il cui signifcato è evi-dente.

[Per quanto riguarda la sentenza] «Tuto questo è certa-mente il Brahman» (Chå. 3.14.1), così [Bhagavat] la presentò:

Terzo Adhyåya3.8 111

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3.9. Dovunque la mente vada errando, colà è il supremo Sta-to, colà è il supremo Brahman dappertuto identicamente pre-sente.

“Dovunque la mente vada errando”, qualunque cosa [lamente] renda oggeto di conoscenza, “colà è il supremo Sta-to”, la condizione trascendente la totalità che deve essere con-seguita, “il supremo Brahman” stesso “(dappertuto) identica-mente presente”.

[Ad esempio, anche nella esperienza ordinaria osserviamosubito] ‘il vaso si rompe’, ecc., dalla [immediata] percezione-consapevolezza del suo frantumarsi. Tale è il senso93.

A un sifato yogin, invero, tuto appare come oggeto dipercezione. Così disse [Bhagavat]:

3.10. Le apparenze [oggetuali] vengono percepite nella con-sapevolezza, laddove la spazialità coscienziale risplende privadi impurità; come [la coscienza] ‘Io’: così è [da realizzarsi] l’I-nalterabile, il supremo Brahman, l’imperituro Vi≤~u.

Colui il quale realizza “il supremo (Brahman)”, trascen-dente la totalità, “inalterabile”, in quanto immune da decadi-mento, “imperituro”, in quanto esente da distruzione, “Vi≤~u”,cioè il supremo åtman, “come [la coscienza] ‘Io’”, afato privadi diferenziazione, per lui, che così realizza, “Le apparenze[oggetuali]”, che si muovono e risplendono consustanziate dinome e forma, “vengono percepite nella consapevolezza”, cioènella conoscenza. Qesto è il signifcato.

Inoltre, [per lui] “la spazialità coscienziale” stessa rifulge“priva di impurità” e, in maniera simile, egli esperisce comecontenuto di conoscenza la stessa totalità. Qesto è il senso.

Dunque questa è la realizzazione yoga che si verifca in-ternamente quando vi è la condizione di aspirazione ad ele-varsi (aruruk\å): così asseriscono i conoscitori della realtà.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda112 3.9

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[Invece] per colui che si è elevato (år¥ƒha) con il fondarsi-risolversi nel Brahman, questo [stato di coscienza è svelato]dalla unione con la [propria] visione, come [si apprende] dal-la Sm®ti: «Qella, che è note profonda per tuti gli esseri.»(Bha. Gı. 2.69). Colui che è stabilito nel Brahman rimarrà cer-to afato indiferente anche nei confronti dell’acquisizione dipoteri come la dimensione infnitesima, ecc. che possa veri-fcarsi conseguentemente94.

Così disse [Bhagavat]:

3.11. Se [il Brahman] viene percepito soto forma di volatile,si ponderi [su Qello] come avente forma di volatile; [ugual-mente si ponderi se percepito come] dotato di parti, privo diparti, sotile, dissolto nella liberazione.

3.12. .[e ancora come] la estinzione [di ogni moto che è pro-pria solo] della liberazione defnitiva, [o come] il Supremo, Vi-≤~u, l’Imperituro, privo di qualsiasi mutamento, ovunque lu-minoso, [come] senza-forma o dotato degli atributi di tuti gliesseri.

3.13. .[o come] supremo åtman che è dappertuto, il Bra-hman quale [il proprio] åtman, il supremo Inalterabile.

“Se” il supremo Brahman “viene percepito”, qualora si ma-nifesti [ovvero sia concepito] “soto forma di volatile”, peresempio come un cigno (haµsa), come [si apprende] dallaSm®ti: «L’haµsa è la ingiunzione, l’haµsa è lo stesso Propizio,l’haµsa è Vi≤~u e l’haµsa è lo stesso istrutore», ecc., allora,dato che il proprio åtman è il Brahman [stesso], cioè [poichéil proprio åtman] ha la natura del supremo Brahman, [se Lo siconcepisce come] “dotato di parti”, ad esempio fato di fuoco,o “privo di parti”, ossia al di là delle parti, “sotile” ovvero ir-raggiungibile con i mezzi di evidenza conoscitiva, o “dissolto

Terzo Adhyåya3.13 113

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nella liberazione”, che cioè alla liberazione si realizza consa-pevolmente come unità [assoluta]95, o ancora come “la estin-zione [di ogni moto che è propria solo] della liberazione def-nitiva”96, cioè in quanto essenziato della beatitudine della libe-razione, come “il Supremo”, Colui che è trascendente, ossia“Vi≤~u”, l’[Essere] onnipervadente, “l’Imperituro”, Colui che èesente da distruzione, come spazio “ovunque luminoso”, cioècome lo spazio dappertuto autorisplendente, [“(come) dotatodegli atributi.” ossia] quale ricetacolo [degli atributi] “.dituti gli esseri” cioè come Ordinatore interno di tuto; [se,dunque, si concepisce e percepisce il Brahman in uno di que-sti aspeti], “si ponderi”, si mediti sul supremo åtman “comeavente forma di volatile”, come se si presentasse, ad esempio,nella sembianza di cigno [ecc.]. Qesto è il signifcato.

Per colui che così ponderi, non persiste il più piccolo erro-re; così disse [Bhagavat]:

3.14. L’uomo che ha sempre la completa consapevolezza: ‘Iosono Brahman’, distruggerà da sé questi [suoi] desideri sebbenepossa aver bramato ogni cosa e benché abbia mercanteggiato dituto; persino avendo commesso qualsiasi [ato] proibito, eglinon subisce coercizione da parte [dei fruti] di [tali] azioni.

Colui “che ha sempre la completa consapevolezza: ‘Io so-no Brahman’, nonostante “possa aver bramato ogni cosa”, oseppur si sia nutrito di tuto ciò che è proibito, “benché abbiamercanteggiato di tuto”, malgrado abbia tratato [persino]ogni genere di cosa proibita, “distruggerà (da sé)”, consacrerà“questi desideri” delle sei classi di nemici97; e “persino avendocommesso qualsiasi” ato “proibito, (egli) non subisce coerci-zione da parte [dei fruti] di” tali “azioni” proibite.

Invero, essendo intento alla meditazione sul Brahman an-che per un solo istante, non prenderà [più] in considerazionealcun’altra [fonte di] felicità, ecc.

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda114 3.13

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3.15. [Come è] la elusione, [per quanto protrata solo] per unistante o per una frazione di istante, [della esperienza] del fred-do e del caldo (la nozione della dualità), [se vi] è una incrollabi-le fede in Ke©ava, per coloro per i quali essa è il [sommo] bene,quale [altro] scopo [potrebbe sussistere]?

Come è “la elusione. [della esperienza] del freddo e delcaldo”, così, tramite la tolleranza delle coppie [di opposti] co-me il freddo e il caldo, [che determinano] il piacere e il dolo-re, “[per quanto protrata solo] per un istante o per una fra-zione di istante”, se vi è “una incrollabile fede in Ke©ava, percoloro per i quali essa è il [sommo] bene”, cioè per quelli lacui felicità sta nella fede indipendentemente dagli oggeti,“quale [altro] scopo [potrebbe sussistere]?”.

Qalora un sifato yogin aspiri [solo] alla liberazione, al-lora egli non dovrà concepire nessun altro oggeto.

Così disse [Bhagavat]:

3.16. Cibo in elemosina per il sostentamento del corpo, unmantello per ripararsi dal freddo [è quanto può avere colui cheanela alla realizzazione]; allo stesso modo lo yogin, se intenderealizzare ciò su cui medita, dovrà considerare con equanimitàun sasso, l’oro, un vegetale e il riso bollito.

“.lo yogin, se intende realizzare ciò su cui medita”, cioè laliberazione, allora “dovrà considerare.”. [Potrà ricevere] “Ci-bo in elemosina” solo “per il sostentamento del corpo”, manon per gratifcare i sensi. Qesto è il signifcato. Altresì po-trà accetare “un mantello per ripararsi dal freddo”, ma nonper adornarsi; “(allo stesso modo.) dovrà considerare (conequanimità) un sasso”, una pietra, “l’oro”, un monile d’oro,“un vegetale e il riso bollito” senza fare alcuna distinzione trail rifuto e l’accetazione: tale è il senso.

E inoltre.

Terzo Adhyåya3.16 115

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3.17. Qando c’è assenza di afizione nei riguardi dell’og-geto [di esperienza] passato, non si impone più [la necessità di]una ulteriore nascita.

Fine del Terzo Adhyåyadella Utaragıtå

Qando è realizzata la impassibilità verso la soferenza, siha la “assenza di afizione” – così è conosciuta – “nei riguardidell’oggeto [di esperienza] passato”, ossia nei riguardi della[nozione della] oggetività ormai dissolta. Qesta è una e-spressione metaforica [che sotintende anche]: ‘quando è rea-lizzata l’assenza di interesse verso l’oggeto [di esperienza]che deve ancora venire’ e ‘quando è realizzata la indiferenzanei riguardi della eccitazione concernente l’oggeto [di espe-rienza] otenuto al presente’; [quando ciò è realizzato, allora]“non si impone più [la necessità di] una ulteriore nascita”98.

Fine del Terzo Adhyåyadella dilucidazione della Utaragıtå

stilata dal venerabile maestroGauƒapåda

A Lui, ©iroma~i del bhaktiyoga,il quale enunciò lo yoga dell’åtman,

mi inchino,come al Signore Nandanandana (K®≤ãa)

che è suprema beatitudine.

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Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda 3.17116

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Note

1 Si allude alla natura del piano empirico evidenziata nel dia-logo realizzativo tra K®≤ãa ed Arjuna nella Bhagavadgıtå.

2 Un’altra redazione riporta: “Ciò stesso [il testo ora] mostra neidetagli” (etadeva lak\aãairdar©ayati).

3 Si trata dei princìpi-tatva del Såµkhya, senza contare il Pu-ru\a, adotati anche dal Vedånta.

4 Il passo originale menzionato (Ke. 1.5) reca: «..quello che nonsi pensa tramite la mente.» (yanmanaså na manute).

5 Qi il testo riporta aniruktam mentre il passo originale è: yad-våcå ’nabhyuditam: «.quello che non è espresso atraverso la pa-rola» (Ke. 1.4).

6 Si allude all’aspeto qualifcato (saguãa) del Brahman.

7 Riferimento all’aspeto inqualifcato (nirguãa) del Brahman, ov-vero alla sua natura incausata e incausante, quale necessario So-strato trascendente, avulso dalla manifestazione ma presente inogni suo aspeto e livello: dunque l’Assoluto metafsico.

8 Secondo un’altra redazione: “ha la natura propria di quei due”(tadubhayasvar¥pam).

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9 Secondo un’altra redazione: “distrugge il divenire ciclico delconoscitore [duale]” (.jnåt®saµsåra).

10 ‘A sé stessi’ ovvero al Sé, cioè al proprio åtman. Tale conte-nuto di consapevolezza è indubitabile e ineliminabile perché costi-tuito dalla consapevolezza stessa; è dunque un contenuto ‘in sécompiuto’ proprio in quanto è il jıva, rifesso direto dell’åtman.

11 Le sei specie o classi di nemici, secondo la visione yoga, sonoi cinque sensi più la mente. Sono antagonisti in quanto, riportandola coscienza a contato con il piano della dualità, la costringono inuna apparente delimitazione; la capacità di afrancarsi da questa di-pende dalla maturità spirituale e dal distacco della coscienza daisensi e dal veicolo in genere.

La ‘concordanza’ (samanvaya) è la corrispondenza di signifcatoin relazione a termini diferenti riferiti al Brahman, ovvero la iden-tità essenziale sotesa dalla apparente diversità formale. In questocontesto è la identità tra sé-jıva e il Brahman.

12 La ‘identità coscienziale’ (bhåvanå), conseguita o svelata nellacontemplazione identifcativa (samådhi), è una ‘natura’ sempre esi-stente e non qualcosa da sovrapporre o da acquisire.

13 La modifcazione ‘fnale’ (carama) designa il contenuto di con-sapevolezza incancellabile, dunque la consapevolezza stessa in séquale contenente o soggetività priva di oggeti. Si riferisce dunquealla estinzione di qualsiasi modifcazione mentale, quindi alla cessa-zione della ignoranza e alla stessa soluzione della mente nella Co-scienza. Gauƒapåda tornerà più volte su questi termine e conceto.

14 Il termine haµsa simboleggia il Brahman, o il supremo åtman,atraverso la immagine del cigno. Il termine è anche una sintesidelle parole aham e sa che, in tale combinazione e nella più elevataloro interpretazione, esprimono una reiterata afermazione di iden-tità: “Io (aham) sono Qello (sa)”. Alcuni maestri yoga assimilano idue elementi alle fasi inalante ed esalante del respiro, sostenendoche, come tale processo è naturale e continuo, così la identità con

Uttaragıtå con il Commento di Gauƒapåda118

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l’åtman che essi simbolicamente esprimono è connaturata all’ente econtinuamente atuale.

Il termine ak≤ara designa sia l’Imperituro, Colui che mai si di-strugge (a-k\arati), sia il monosillabo om (il praãava) che ne è sim-bolo ed espressione, sia, altresì, le sillabe o le letere dell’alfabeto ingenere. V. anche nota 81.

15 Kåkı è anche un uccello, precisamente il corvo, o la cornac-chia, soto il cui aspeto è spesso rafgurato il jıva in talune parabo-le upani\adiche, quale fruitore di esperienze positive e negative, so-stanziate cioè di piacere o di dolore, e forzatamente sperimentate acausa del desiderio e della ignoranza che caraterizzano la condi-zione individuata.

16 Da ka+aka si ha il termine kåka la cui sostantivazione al ma-schile, in riferimento al jıva, diviene kåkin e, al nominativo singola-re, kåkı. L’aspeto kåkı rappresenta dunque il jıva quale rifesso in-dividuato dell’åtman.

17 I cinque elementi grossolani (sth¥labh¥ta) – lo spazio (åkå©a),l’aria (våyu), il fuoco (tejas), l’acqua (åp) e la terra (p®thivı) – risul-tano dalla ‘quintuplicazione’ (pañcıkaraãa) dei corrispondenti cin-que elementi sotili (s¥k≤mabh¥ta) che ne portano gli stessi nomi equesti, a loro volta, dalla commistione dei tre atributi principiali(guãa) – il satva, il rajas e il tamas – questi ultimi contenuti in se-me nella qualifcazione principiale (vi©e≤a), atuazione di una possi-bilità (©akya). Al riguardo si può dare lo schema:

vi©e≤a

satva rajas tamas

åkå©a våyu tejas åp p®thivı

18 Lo stato di veglia e il piano fsico-grossolano o corporeo,dunque la sfera della dualità empirica o esteriore.

Note 119

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19 L’espressione ‘al di qua’, nella successione delle letere a-u-mdella Sillaba om quando viene scomposta nelle sue misure, sotin-tende anche il fato che la letera-misura u si riferisce a un pianoinferiore rispeto a quello indicato dalla letera m.

20 Si considera il veicolo sotile come costituito dai cinque ele-menti sotili, dalle cinque facoltà di percezione, dalle cinque facoltàdi azione, dalla mente e dal senso dell’io.

21 Lo stato di sogno e il piano sotile-energetico o luminoso,dunque la sfera della dualità interiore.

22 Lo stato di sonno profondo e il piano causale-noumenico ounitario-principiale, dunque la sfera della unità indiferenziata; inessa viene meno anche la distinzione tra gli ordini universale eindividuale, tuto restando a livello virtuale-causale o inespresso.

23 La misura composta rappresentata dal ditongo o (a+u) si rife-risce alla manifestazione quale efeto composito grossolano e soti-le, la letera m allude alla causa unitaria. Tute le forme di medita-zione concernenti la Sillaba om suggeriscono di riassorbire le lete-re-misure progressivamente, dalla a alla m, sia separatamente (i trepiani) sia integralmente (il suono intero om quale manifestazione),nell’om silenzioso (Turıya-Brahman); ovvero di riconoscere, pren-dendone ato coscienzialmente, l’om silenzioso come perenne So-strato dell’om sonoro, anche al di là dell’ato meditativo: è il Si-lenzio in cui ogni suono può vibrare, il Brahman in cui ogni manife-stazione può apparire e scomparire grazie al suo potere di måyå.

24 La meditazione tramite la Sillaba om riveste un caratere es-senzialmente coscienziale. Le Scriture spiegano la corrispondenzadelle singole letere-misure (måtrå) con gli stati di coscienza e i ri-spetivi piani di esistenza. La Sillaba om nel suo aspeto sonoro desi-gna la totalità manifesta e non, quale efetuazione formale e infor-male di una causa principiale, per cui comprende efeto e causa,con la conoscenza corrispondente (erronea o diforme, instabile, enon-conoscenza); la Sillaba nel suo aspeto silenzioso indica il So-

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strato trascendente, di là da efeto e causa, il solo che possa dirsiReale, con la Conoscenza assoluta che comporta; la quale, cometale, è la sola vera e permanente.

25 Per una esata e completa comprensione della corrispondenzatra letere e stati, in relazione alla sillaba om, cfr. la Må~ƒ¥kya Upa-ni≤ad con la Kårikå di Gauƒapåda e il Bhå≤ya di Âa√kara. Per mag-giore chiarezza si anticipa questo schema in cui si dà la corrispon-denza tra gli stati di coscienza e i piani di esistenza, nell’ordine in-dividuale e in quello universale:

Turıya-Brahman nirguãa Advaita

su≤upti pråjña Ù©vara Ekatva

svapna taijasa Hira~yagarbha Dvaita jågrat vi©va Vai©vånara

Advaita è la Non-dualità, il Sostrato metafsico, l’Assoluto (kai-valya), ovvero il Brahman-åtman. Ekatva è l’Unità principiale non-diferenziata, prima emergenza dall’Inqualifcato tramite måyå, incui il Brahman saguãa si manifesta come Ù©vara, il Signore dell’uni-verso. Dvaita è la dualità, prima a livello soggetivo (piano onirico-sotile) poi in quello oggetivo (piano empirico-grossolano).

26 La a è conclusione e sintesi della sillaba ka: il suono oltre laletera m è l’om silenzioso, che esprime tacitamente il Qarto o Tu-rıya. Qello è non solo il Sostrato, ma anche il Testimone di puraCoscienza rispeto al quale gli altri tre stati sono modifcazioni ap-parenti sovrapposte, e in Qello debbono essere ricondoti e risolti.In questa ulteriore interpretazione nella stessa sillaba ka sono unitisia il jıva (la letera k) sia il Brahman (la letera a).

Tale letura sta a suggerire intuitivamente la sussistenza del ri-fesso in funzione della Fonte, come la consonante si appoggia allavocale, nella quale termina e si risolve. È dunque un supporto perla intuizione.

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27 Il Brahman immobile sembra muoversi atraverso il suo ri-fesso jıva. Dunque l’asserzione di Bhagavat va intesa in questo sen-so. È il Brahman stesso che, ‘a causa della ignoranza relativa a Séstesso da parte del jıva’, ovvero espressa da parte di un suo stato dicoscienza ponentesi come rifesso jıva, dunque a causa, ancora perquest’ultimo, della ignoranza concernente sé stesso, cioè concer-nente la propria natura di Brahman, ‘trasmigra’ immergendosi insuccessive modalità di esistenza formale ed espletando una indef-nita esperienza secondo un ciclo ininterroto (saµsåra). A trasmi-grare è dunque il rifesso jıva, il quale si sposta in mutevoli condi-zioni di esistenza ed esperienza, e non il Brahman, sua Fonte prima-ria e immutabile.

28 La sequela del riassorbimento e trascendenza delle tre letere– la a, la u e la m – una volta efetuata, cioè allorché ogni letera èstata riassorbita (lupta) e trascesa (apagata), consiste nella soluzio-ne dei piani che rappresentano nell’Assoluto metafsico, rappresen-tato da om nel suo aspeto silenzioso o ‘privo di atributi’.

29 Secondo quest’altra interpretazione simbolica di om, la lette-ra-misura a è l’efeto, la u la causa qualifcata e la m il principio dideterminazione causale esprimente la possibilità. L’om silenzioso èancora il Brahman nirguãa. Sostanzialmente il signifcato non cam-bia, in quanto ogni piano è efeto del superiore.

30 Il riassorbimento della a è la soluzione del suono, integral-mente comprensivo di tuti i piani, nel Silenzio.

31 L’errore sta appunto nel credersi mera corporeità-energia,nell’identifcarsi cioè al veicolo psico-fsico e alla condizione dive-niente che va via via sperimentando; errore dovuto alla ignoranzadella propria natura di åtman; dunque una non-conoscenza, chenon è una negazione – la realtà non può essere negata in alcun mo-do – ma una fallace sovrapposizione reiteratamente imposta.

32 Il controllo della energia vitale per mezzo del prå~åyåma puòfavorire il prolungarsi della vita biologica del veicolo fsico e il dire-

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zionamento equilibrato delle energie sotili a livello dello psichico,ma un prå~åyåma sublimato a livello coscienziale innalza la consa-pevolezza su piani superiori espandendone la comprensività e la ni-tidezza; produce quindi un fruto superiore portando anche la men-te a completa soluzione nell’åtman.

33 Per il ‘piccolo spazio all’interno del cuore’, cfr.: B®. 2.1.17,4.2.3, 4.4.22; Chå. 8.1.1-3; Ke. 2.1; Tai. 1.6.1; Mai. 6.22, 27-28, ecc.

34 L’espressione ‘radice del naso’ (nåsågra) indica approssima-tivamente il centro della testa, dove è tradizionalmente collocato ilpolo principiale dell’atenzione individuata, il centro focale dellaautocoscienza soggetiva (åjñåcakra), il punto da cui l’io emerge al-la esperienza estrovertente e acquisitiva di contenuti o dal quale,astraendosi dalla propria potenzialità karmica, rientra in sé e stessorisolvendosi nella pura autocoscienza del jıva.

Va aggiunto che causa ed efeto, ciò che simboleggiano rispet-tivamente le letere m ed o nella sillaba om, emergono – in appa-renza – in simultaneità (l’efeto è aspeto della causa) e in simulta-neità si riassorbono nell’om silenzioso. Ecco il motivo per cui si ac-cenna a una meditazione in cui l’om risuona per intero e non giàsecondo la successione delle letere-misure, aspeto, questo, riser-vato a coloro che non possono ancora operare una sintesi coscien-ziale dei vari stati. V. nota 41.

L’efeto, secondo la ‘dotrina della modifcazione apparente’(vivartavåda) dell’Advaita, quale aspeto della causa, è una semplicemodalità di apparenza di quella, una modalità vibratoria dell’entecausale.

L’espressione ‘al di là dello spazio’ signifca oltre il piano deglielementi, quindi oltre la sfera delle qualità-guãa e persino quelladella qualifcazione principiale-vi©e≤a; in sostanza, al di là della ma-nifestazione: lo spazio, infati, è proietato nella coscienza.

35 Si allude alla fase recaka del prå~åyåma, cioè alla fase che se-gue allo svuotamento, quella in cui il sofo, completamente emes-so, lascia il vuoto; a tale fase corrisponde un periodo in cui la men-te resta ferma, priva di proiezione-movimento. Atinto tale stadio,

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mantenendo l’asenza di pensiero si dovrebbe riportare il fusso allanormalità, pur conservando una particolare ritmica, mentre si con-tinua ad esercitare il controllo della mente. Il prå~åyåma è dunqueun mezzo per portare la mente alla stabilità contemplativa.

36 Le ‘sei futuazioni dolorose’ (≤aƒ¥rmı) sono: fame e sete, do-lore e illusione, decadimento fsico e mortalità. Sono i duplici a-speti della oscillazione della esperienza ordinaria che carateriz-zano la soferenza fsica e/o psichica degli enti individuati.

37 L’espressione ‘senza intelleto’ signifca ‘al di là della buddhi’,quindi indica uno stato di essere ancora superiore.

38 Gauƒapåda allude a un rientro progressivo in sé stessi, dallapercetività esteriore, alla proietività interiore, alla pura intellet-tualità fno all’autocoscienza priva di contenuto.

39 Il veicolo individuato è il risultato del karman pregresso. Ilkarman è l’efeto dell’azione, determinato non tanto dall’ato in séquanto dalla identifcazione con il soggeto agente con il quale èstato compiuto. È di tre specie: il prårabdha è quello ormai matura-to che ha dato luogo al veicolo e alla condizione atuale e non puòessere eliminato, per quanto ci si possa disidentifcarsene; il sañcitaè quello passato ma non ancora maturato, il cui efeto può esserebruciato dalla conoscenza; l’ågåmin è quello che potrebbe accumu-larsi in un tempo futuro, per cui può essere evitato.

40 Cfr. Må. 12 e Må. Kå. 1.29.

41 Qindi la letera-ditongo o prima della m in om. Il suono omcomprende la sonorità defnita corrispondente alla vocale o (diton-go: a+u) e la sonorità indefnita corrispondente al risuonare di m(µ in termini composti o prima di consonante). Qesta la causa,quello l’efeto; questa il piano causale, quello il piano sotile e gros-solano. Il naturale smorzarsi, estinguersi del suono intero om cor-risponde al riassorbimento simultaneo di causa-efeto nel Sostrato,cioè nell’om silenzioso. Coloro che sono in grado di operare una

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sintesi possono meditare diretamente su tale riassorbimento e, poi,sull’om silenzioso in quanto Turıya-Brahman nirguãa. Gli altri ne-cessitano del mezzo-veicolo sonoro onde pervenirvi in manieragraduale e progressiva. Si torni alla nota 34, 2º capoverso.

42 Lo ‘sfuggire verso il basso e verso l’alto’ indica metaforica-mente la possibilità di disperdersi del contenuto scriturale dallaforma verbale impedendo di carpirne la essenza. La sacra Sillabapredispone la coscienza all’assorbimento e alla penetrazione dellaScrittura, condizione necessaria perché questa, opportunamente me-ditata, divenga strumento di catarsi coscienziale.

Senza l’adeguata disposizione interiore – indota appunto dallapronuncia, orale o mentale, della sillaba om all’inizio e alla fne diun testo, di una frase, di un ‘deto’, e dalla sua costante presenza alivello coscienziale – il suo senso più profondo, sintetizzato in fon-do dal sacro Monosillabo stesso, può mancare di essere compreso.Inoltre la sillaba om all’inizio e alla fne di un testo è sempre dibuon auspicio.

43 Per quanto la realizzazione si compia a livello di coscienza, epossa anche essere immediata, la mente deve pur essere preparata.La conoscenza generale (såmånyajñåna) e concetuale dei princìpi edella verità trascendente deve precedere la loro atualizzazione. Iltermine såmånyajñåna può anche tradursi come ‘conoscenza dellaidentità’.

44 La meditazione sul praãava deve essere un ato ripetuto, co-me quello dell’accensione per strofnìo, che porta alla sublimazionedei contenuti e allo svelamento della pura autocoscienza.

45 Secondo un’altra letura: ‘di sé stessi in quanto aventi lamedesima natura propria del Brahman’.

46 Le sei fasi-modifcazioni progressive che caraterizzano la for-ma sono: nascita, accrescimento, sviluppo delle qualità, maturità,decadimento e morte.

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47 I cinque involucri vengono solitamente descriti come gusciconcentrici (ko©a) che rivestono il jıva; le proprietà che esplicanoconformemente alla loro natura sono via via più sotili procedendodall’esterno verso l’interno. La guaina corporea, quella fata dellaessenza assimilata del cibo (annamayako©a) è la più esterna, poi viè la guaina energetica (pråãamayako©a), quindi quella psichica (ma-nomayako©a), poi ancora quella di intelleto superiore (buddhima-yako©a) e infne quella di beatitudine (ånandamayako©a). La loro e-sauriente tratazione è contenuta nella Taitirıya Upani\ad. Si con-sideri però, che, laddove per motivi didatici si insegna la loro con-centricità in rapporto a un centro di coscienza, in realtà le cosestanno inversamente in quanto l’intero composto veicolare è conte-nuto nell’autocoscienza, data la natura illimitata e informale di que-sta. Il veicolo, in altre parole, rappresenta la precipitazione o atua-zione di una possibilità recata dal jıva, che il contenuto inerzialekarmico concretizza formalmente e dimensionalmente.

48 Si rammenta che per Gauƒapåda il jıva è anch’esso infnito,dato che la sua condizione-natura come tale è apparente in quantopriva di origine. I dharma, cioè i jıva, aferma Gauƒapåda, sono ‘pa-ragonabili al cielo [infnito]’ in quanto la loro apparente moltepli-cità è in realtà la stessa Non-dualità dell’åtman. V. nota 80.

49 Un’altra redazione riporta: “animali, dèi, ecc.” (tiryagdevådi).

50 La pura Consapevolezza è immediatamente infnita. Prenderepiena coscienza di tale natura comporta la cessazione della condi-zione di esistenza come jıva e del suo destino trasmigratorio.

51 Qi l’‘ultima modifcazione mentale’ (caramav®ti) è lo statodi pura Autocoscienza universale, ossia la perfeta consapevolezzapropria della Unità qualifcata o dell’Essere qualifcato, la qualerappresenta la prima sovrapposizione al Sostrato o, da un’altra pro-spetiva, cioè in relazione al processo realizzativo, l’ultima modi-fcazione da risolvere: oltre essa è solo la Non-dualità del Brahman.Qesto è il senso che Gauƒapåda intende quando aggiunge: ‘imme-diatamente prossima a Qello’. L’autocoscienza del jıva è ‘coscienza

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di sé’ a livello individuale, quella di Ù©vara lo è a livello universale.Atinto il suo piano – tramite la sintesi-universalizzazione dellepossibilità individuali – lo si trascende risolvendo la stessa co-scienza di sé a livello universale nella Coscienza assoluta. V. anchele note 13 e 56.

52 Il conoscitore, se realmente tale, è identifcato con la cono-scenza, è uno con essa. Conoscere è essere.

53 Il råjayoga di Pa†añjali contempla oto passi o membri (a≤†å-√gayoga) : yama (osservanze), niyama (restrizioni), åsana (posizio-ni), prå~åyåma (controllo del respiro), pratyåhåra (astrazione sen-soriale), dhåra~å (concentrazione), dhyåna (meditazione profonda)e samådhi (contemplazione identifcativa).

54 Qi il termine ©¥nya, il vuoto di qualità, implica p¥rãa, la pie-nezza di possibilità: è la Non-dualità quale natura dell’åtman, qualecostante, infnita autoidentità libera da qualsiasi atributo limitante.

55 La rammemorazione comporta la proiezione immaginativa diun ente-oggeto di meditazione dotato di carateristiche sperimen-tabili, quindi nell’ambito della dualità.

56 Il termine che Gauƒapåda adopera nel testo è v®ti, ‘modif-cazione mentale’, nel senso esteso di conceto, idea, nozione, ecc.Per meditare su qualcosa è necessario averne una concezione, datrasmutare poi in una consapevolezza di identità nella quale qual-siasi contenuto, idea o pensiero, formale o meno, è assente. Perquesto nel Commento si parla anche di ‘modifcazione ultima’ (ca-ramav®ti) in relazione al fato che tali contenuti non hanno seguitoproietivo ma vanno interamente a risolversi nell’Ente cui si rife-riscono. In un certo senso la meditazione sul Brahman saguãa èsolo un mezzo intermedio.

Qella sul Brahman nirguãa, essendo Qello che è Coscienzasenza-dualità, porta ad essere la Coscienza senza-secondo: il samå-dhi, infati, è contemplazione identifcativa e, come tale, determina,se adeguatamente condoto, a una vera e propria identità a livello

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coscienziale e, di conseguenza, nello stesso piano esistenziale. Sitorni alle note 13 e 51.

57 Poiché per una mente-coscienza ancorata agli attributi è dif-fcile meditare diretamente sull’Inqualifcato, su ciò che non pos-siede qualità, Gauƒapåda, onde pervenire al Brahman nirguãa, pro-cede da taluni aspeti del Brahman saguãa, come quelli apparte-nenti al piano grossolano (corporeità), al piano sotile (energie, mo-vimento), alla sfera del suono (praãava, ecc.).

58 Le letere o misure in relazione al praãava corrispondono aipiani di esistenza e portano a realizzarli quando adeguatamentemeditate. Il suono riassume la manifestazione quale sviluppo di unaqualifcazione principiale: questa la causa, quella l’efeto. Secondoun'otica flosofca sono concomitanti, in quanto il seme-causa por-ta necessariamente con sé l’universo-efeto. L’efeto è la causa vi-sta soto altre coordinate dimensionali o secondo i parametri di unpiano inferiore. La distinzione spazio-temporale viene creata e at-tribuita dalla parte di måyå.

Dire che ‘le letere si appoggiano ai punti’ signifca che il suonodefnito che esprimono, ovvero la loro intrinseca sonorità quandosingolarmente pronunciate, converge verso il suono indefnito e-spresso dalla loro risonanza, indicato grafcamente dal punto postosopra la letera-sillaba. Nel caso di om, il suono defnito di o con-verge verso il suono indefnito di m e quindi va a spegnersi nellarisonanza (anusvåra). È l’efeto che torna nella propria causa. In-fati il punto (risonanza indefnita) è altro dal suono (sonorità def-nita) che, come effeto, ne rappresenta una possibilità, laddove, in-dipendentemente da om, ogni letera corrisponde a un suono def-nito. Inoltre il suono defnito rappresenta, come visto, il piano for-male (grossolano e sotile), l’indefnito quello causale (piano causa-le-noumenico) e il punto, quale causa, trascende tuto ciò che è ef-feto. Per questo si aferma che ‘il punto si distingue dal suono’, nelsenso che l’efeto, dal punto di vista di måyå, dunque dalla manife-stazione, si distingue dalla causa. Invece, dalla prospetiva dellaRealtà, sono il duplice aspeto di una sola entità, vale a dire la qua-lifcazione principiale, quale atuazione di una possibilità. Inoltre,

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dire che ‘il suono è la loro misura’ signifca che l’efeto che le sin-gole sonorità esprimono è delimitato nella sua sfera e che il punto-causa appartiene a un piano superiore. Anche nella manifestazione,atraverso la comprensione-integrazione delle letere-suoni e delpunto-risonanza, tale duplice aspeto si rivela una possibilità che sirisolve nel Sostrato ultimo. Infati, come si è visto, il punto-riso-nanza indefnita, nel quale si risolve il suono defnito, a sua volta sirisolve nel Silenzio (Brahman nirguãa) che, quale Realtà assoluta, èsempre costantemente e incondizionatamente presente e costitui-sce, pertanto, ciò stesso su cui il suono può vibrare e manifestarsi,ossia Qello su cui basa la sua stessa possibilità di essere.

59 Il senso è: l’om silenzioso è il sostrato dell’om sonoro, come ilBrahman lo è della possibilità di måyå e della manifestazione che visi proieta; la måyå appartiene al Brahman in quanto ne costituisceuna possibilità-apparenza molteplice e diveniente stagliantesi sullosfondo della Realtà unica e immutabile.

60 Le ‘brevi sonorità sillabiche’ (kalå) possono intendersi sia inrelazione alle letere-misure (måtra) di om, sia, più in generale, inrelazione alle parole quali designatrici di entità. In sostanza la ‘per-vasione’ della mente, atraverso la ‘luce’ della consapevolezza, ditali sonorità indica la consapevole compenetrazione di tali ‘modif-cazioni mentali’ (v®ti) per mezzo della coscienza – laddove nell’es-sere ordinario, pur costituite di coscienza, sono lasciate esistere ovibrare come se fossero autonome e indipendenti – e quindi la rea-lizzazione della identità con il loro sostrato. Qando sono state pe-netrate e risolte tute, e la mente stessa, quindi, rimasta senza vi-brazioni-v®ti, si è dissolta, resta la Coscienza priva di dualità, cioèla ‘dimora-natura di Vi≤~u’.

61 La ‘suprema dimora di Vi≤~u’ è lo stato di kaivalya, ovvero larealizzazione della identità con l’Essere Non-qualifcato, il Bra-hman nirguãa. Cfr. Må. Kå. 3.46.

62 Gauƒapåda fornisce una indicazione metodologica-procedu-rale: la meditazione su om va condota in modo tale che, identif-

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candosi dapprima al suono om intero – espressivo della manifesta-zione-qualifcazione – alla sua estinzione resti la Coscienza priva dicontenuti quale stato assoluto e inqualifcato identifcato al Silenzioche ne è il sostrato. Si veda l’opera di Âa√kara Pañcıkaraãa, v. 6.

63 Un’altra redazione riporta: “il cui organo interno non è statocompletamente purifcato”.

64 Il grossolano è efeto del sotile-causa. Da un’altra visuale ilgrossolano esprime una delle qualità recate dal sotile; pertanto ilgrossolano è contenuto nel sotile e non viceversa.

65 Il sotile, a sua volta, è efeto del causale in quanto ne espri-me una possibilità. Al di là del piano grossolano, del sotile e delcausale è il Qarto-Turıya, l’åtman, il Sostrato autoesistente dellatotalità esente dal rapporto causale.

66 L’ad®≤†a, il ‘non-visto’, il non-percepibile efeto del residuokarmico ancora inespresso, risiede nel piano sotile determinandola focalizzazione e il direzionamento delle energie del jıva e la suaidentifcazione con il grossolano. Fin quando l’ad®≤†a sussiste ‘nellapropria forza’, cioè recando un carico potenziale di identifcazioneche può esprimersi ativamente, l’ente, conformandosi a tali conte-nuti, è portato ad agire sotometendosi a una norma superiore eobbedendo alle sue leggi universali o subendone inconsapevolmen-te l’azione. L’assenza del japa, la recitazione sommessa di preghie-re, ecc., e di mantra, le formule rituali e di meditazione, da semplicisuoni a composti di parole, sta a indicare che il processo respirato-rio è un ato sacrifcale-meditativo spontaneo, connaturato all’es-sere, che esprime a livello grossolano la presenza di una potenzia-lità sotile a cui è identifcato il rifesso di coscienza.

67 Il jıva esiste come tale, cioè come autocoscienza individuata eapparentemente separata dalla Coscienza unica, quindi in identif-cazione al veicolo-condizione, ecc., a causa della sua ignoranza, oassenza di consapevolezza, di essere l’åtman non-duale. Rimossal’ignoranza l’åtman si svela spontaneamente.

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68 Qi i termini Deva e Ù©vara si riferiscono al Brahman nirguãa.Se il Brahman si manifesta nel mondo – osserva Arjuna – come sipuò dire che è senza qualifcazione, laddove la manifestazione rap-presenta lo sviluppo di una qualità?

69 Si rammenta che la qualità genera l’ente-oggeto, il sotile pro-duce il grossolano, così come, nell’ambito individuale corporeo, lafunzione, manifestandosi, dà luogo al corrispondente organo. Il Bra-hman è non solo oltre la spazialità, ma anche al di là della qualitàche la genera, cioè il suono: è il silenzio della pura Coscienza.

70 La parola ak\ara ha un duplice signifcato, cioè sia: letera, sil-laba, sia: indistrutibile. Le oto sedi della fonazione sono: il peto, lagola, la parte posteriore della bocca, la volta del palato, il retro del-l’arcata dentale frontale, le labbra, la fessura tra lingua e arcatedentali e la cavità retronasale al centro del cranio. Ad ogni sedecorrisponde una specifca classe di letere, tra vocali, consonanti,semivocali e sibilanti nonché aspirate.

71 Qindi la breve aspirazione della ¢.

72 Un’altra letura è: “e del corpo”, nel senso di una massivitàcorporea legante e condizionante.

73 Per le condizioni di ‘colui che intende elevarsi’ (aruruk\u) e di‘colui che si è elevato’ (åruƒha) allo Yoga, cfr. Bha. Gı.: 6.3-4. Sitorni ai vv. 1.33-34.

74 Il Brahman è il sostrato metafsico di là da causa ed efeto maè deto essere il ‘supremo Signore che governa su tuto’ perché nelsuo aspeto qualifcato appare agli esseri come la Persona univer-sale, nel ruolo di Colui che dirige l’universale movimento e assegnaagli esseri il fruto del loro operato.

75 Qi il termine karmayoga designa genericamente sia una di-sciplina spirituale che comprenda atività esteriori, come posizioni,respirazione, meditazione, concentrazione, ecc., sia atività rituali o

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azioni particolari compiute con distacco dalla idea del fruto e dalruolo di agente.

76 L’ ‘ultima modifcazione mentale’, quella defnitiva, è quellarelativa all’autocoscienza pura, priva di contenuti atuali e poten-ziali; è il jıva liberato da qualsiasi contenuto proietivo e percetivoe dalla loro causa che è la non-consapevolezza dell’åtman. È dun-que la v®ti predisposta a risolversi immediatamente nella Coscien-za assoluta e non-duale; è il punto, l’infnitesimo, in cui ogni conf-gurazione geometrica è stata ricondota – e quindi sede di ognipossibilità atuante la qualifcazione – che si risolve nello spazio,cioè nell’Infnito, sede a sua volta di infnita possibilità di qualif-cazione principiale. Si torni alle note: 13, 51 e 56.

77 Secondo un’altra letura: “.per colui che è [divenuto] unocon la realtà conseguita, che cosa può mai esservi oltre quella?”.

78 L’åtman è il testimone di tuto da tuto disidentifcato, il ri-fesso jıva si identifca al contenuto proietivo e percetivo di voltain volta presente. Il jıva, dimentico di essere l’åtman, legandosi al-l’io, ‘la cui consapevolezza è dispersa tra gli oggeti’, persegue l’og-geto di desiderio percepito o proiettato mentalmente e, ponendosidi continuo un obietivo, alimenta incessantemente il proprio mo-vimento identifcativo-empirico.

79 L’åtman è il sostrato di pura Coscienza di entrambi – sensi emente – per cui da un lato rappresenta l’unità comune a loro, dal-l’altro, avendo natura di soggetività testimone, non è conoscibileda loro due come oggeto.

80 Il jıva, in quanto raggio rifesso della coscienza dell’åtman,che sembra costituirsi quale autocoscienza indipendente, si pre-senta secondo una doppia prospetiva: da un lato ha la sua stessanatura, per cui è anch’esso infnito, eterno, ecc., sicché la limita-zione veicolare che esso sperimenta a livello egoico, fsico, psichico,ecc. è apparente e indota dalla sua identifcazione con la condi-zione contingente a causa dell’oblio della propria natura; dall’altro

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la sua stessa esistenza come tale, cioè jıva, è apparente, tanto che alsolo riconoscimento coscienziale della propria vera natura ognicompagine veicolare – o meglio ogni identifcazione condizionantecon essa – si dissolve all’istante e il jıva stesso si riconosce, o realiz-za, come åtman. Per il conoscitore che ha realizzato tale presa diconsapevolezza, il veicolo, o la ‘forma’, può rimanere ma la co-scienza non ne è più delimitata. Si torni alla nota 48.

81 L’haµsa è il cigno quale rafgurazione simbolica dell’åtman.Nella forma mudrå il ‘sigillo del cigno’ (haµsam¥drå) simboleggiala condizione individuale di impedimento-restrizione dell’åtman, omeglio del suo rifesso jıva, il quale è come imprigionato dalla stes-sa condizione contingente sovrapposta. Si torni anche alla nota 14.

82 Le due vie (mårga) sono fate corrispondere alle due nåƒı la-terali e simmetriche rispeto alla nåƒı centrale, associata alla realiz-zazione direta. Lo yogin prende consapevolezza sia delle nåƒı chedei cakra atraverso la concentrazione yoga.

83 Il m¥lådhåra è il cakra basale, situato alla base della colonna;il sahasråra è il cakra sommitale, sulla corona del capo; tra loro sisnoda la su≤umnå nåƒı lungo la quale sono collocati gli altri cakrache, dal basso, sono denominati: svadhi≤†håna, ma~ip¥ra, anåhata,vi©uddha e åjñå. Lo yoga porta alla loro individuazione mentre il di-schiudersi di ciascuno, da parte della penetrazione della ku~ƒalinı©akti, corrisponde al raggiungimento di un dato stato di coscienzavia via più elevato, e quindi a successivi gradi di realizzazione.

84 Per quanto riguarda le due vie, per il corso solare, cfr.: B®.5.10 e 6.2.15; Chå. 4.15.5-6, 5.10.1-2; Mu. 1.2.5-6 e 11 e 3.1.6; Pra.1.10; Mai. 6.30; per il corso lunare, cfr.: B®. 5.10 e 6.2.16; Chå. 5.10.3-6; Pra. 1.9; Mu. 1.2.7-10 e 3.2.9.

85 In un’altra redazione il testo è: “nella quale, onnipresente, ri-volta ovunque, tuto è stabilito” (sarvaµ prati\†hitaµ yasminsarva-gaµ sarvatomukham).

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86 Le Scriture parlano del simbolico albero denominato a©va-tha ‘dalle radici in alto e dalle ramifcazioni in basso’, come imma-gine della manifestazione procedente da un Principio unico tra-scendente. Cfr. Ka. 2.3.1. La Ku~ƒalinı ©akti è l’Energia universaleche esprime la potenzialità dell’Uno e pone in ato il dispiegamentouniversale; ridirezionata nella coscienza, permete la totale integra-zione e soluzione nel Brahman.

87 Dire che la su≤umnå nåƒı costituisce la sede eleta per la me-ditazione sul Brahman signifca che la meditazione che abbia il fruttodi una presa di consapevolezza del Brahman non-duale può com-piersi solo ponendosi ad equidistanza da ogni diretrice laterale del-le energie che agiscono sulla individualità in generale e sulla mentein particolare, energie sintetizzate nei fussi delle due nåƒı poste ailati. Ciò equivale a trascendere il dualismo che permea ogni pianodella manifestazione a partire dalle coppie di opposti che si speri-mentano ordinariamente fno alla stessa dualità realtà-apparenza, oBrahman-måyå, considerando che questa ultima è soltanto un a-speto-possibilità di Qello. Il fusso coscienziale nella su≤umnå nå-ƒı risulta equidistante da ogni dualismo estrovertente e condizio-nante, sia pur a livello virtuale.

88 Âiva viene deto Terrifco e Benigno; non vi è contraddizione,sono due aspeti polari e coesistenti. È il Terrifco (rudra, l’Urlante,Colui che incute terrore) in quanto è il Distrutore della forma –come nella Trim¥rti – cioè Colui che riassorbe la espressione for-male di tuti gli esseri, di tute le cose e dell’universo intero altermine del ciclo, sia nell’ordine individuale che in quello univer-sale; in tal senso è anche il Trasformatore, cioè Colui che, dissol-vendola, porta l’essere al di là della forma stessa, per cui lo conducea risolversi nella pura Essenza; è in tale accezione che diviene il Be-nigno (©iva, il Benefco, Colui che apporta serenità), in quanto con-duce alla realizzazione del puro Essere non-duale.

89 Una diversa redazione riporta: “in base alla suddivisione.”(khya.).

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90 Il termine ku~ƒalåkåra signifca anche ‘in forma arrotolata’,chiaro riferimento alla energia di cui dispone l’ente umano, la qualegiace in posa serpentina alla base della su\umnå nåƒı.

91 Il senso dell’io (ahaµkåra) è una proiezione mentale indotadal trascorso e consolidato pensare-agire, per cui possiede una datapotenzialità o moto inerziale. Ponendosi nella coscienza, e non nel-la visuale della immagine egoica, questa può essere devitalizzata e,una volta privata della consapevolezza, perde ogni energia e, qualeonda-v®ti, si riassorbe ed annulla, liberando la Coscienza dalla suavecchia costrizione determinante.

92 Ciò presuppone il pieno intendimento del loro autentico si-gnifcato al di là della mera forma verbale simbolica o meno, equesto può essere indoto solo dalla direta istruzione ricevuta daun conoscitore che abbia egli stesso realizzato l’Essenza.

93 Il conoscitore ha realizzato la percezione-consapevolezza im-mediata del Brahman, cioè la conoscenza direta per identità che,come tale, non necessita di supporti, mezzi o fatori ausiliari.

94 Il conoscitore che ha realizzato il Brahman non-duale è dive-nuto egli stesso l’åtman, per cui è il Soggeto assoluto per il qualetuto si presenta come oggeto di conoscenza. Tale stato è per luinaturale e spontaneo. Egli si è innalzato (åruƒha) allo yoga in quan-to ne ha conseguito il fne, cioè la unione con la Divinità nel suoessere trascendente, ossia la identità con l’Assoluto.

Qegli che invece ancora aspira ad elevarsi (aruruk\u) deveporsi in tale posizione coscienziale deliberatamente e di continuofn quando, appunto, questa non si instaura da sé.

95 Alla liberazione, cioè alla efetiva realizzazione della Non-dualità, cessa di essere qualsiasi immagine, conceto o altro in rela-zione al Brahman, cioè viene meno ogni possibile ‘secondo’.

96 Altra letura è: “la estinzione del paradiso”. Lo stato trascen-dente di Vi≤~u-Brahman, quale assoluto metafsico (kevala), è al di

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là anche del più alto stato qualifcato concepibile, che in Qelloscompare.

97 I cinque sensi e la mente. Si torni alla nota 11.

98 L’individualità è lo stato della coscienza nel quale vi è iden-tifcazione, con la conseguente limitazione, con il raggio rifessojıva e quindi con il suo carico di modifcazioni mentali (v®ti) in viadi espressione. Finché perdura tale condizione ridutiva e necessi-tante, si impone il bisogno di tornare in esistenza, anche in altripiani, allo scopo di sviluppare tali possibilità.

Le Scriture afermano che anche Prajåpati, in un tempo ontolo-gico, torna a manifestare un nuovo universo per portare in espres-sione i semi karmici non manifestati provenienti dal precedente.

Il contenuto mentale, sia percetivo che proietivo, è una formaassunta dalla coscienza e proprio perché tale esplica potere identif-cativo-vincolante. Ogni sådhanå mira a risolvere in un modo o inun altro il contenuto cristallizzato che forma il cita, il ricetacolodelle tendenze latenti e delle impressioni virtuali (våsanå) indotedai semi ativi (saµskåra), nel puro cit, coscienza priva di conte-nuto identica all’åtman. Dice Pa†añjali: «Lo yoga è la soppressionedelle modifcazioni mentali. Allora per il Veggente si ha uno statostabile nella propria natura» (Yo. S¥. 1.2-3).

Realizzato il Brahman, la dualità che permeteva la possibilità diesperienza e il suo piano di esistenza cessa di manifestarsi essendodefnitivamente risolta nella Non-dualità: in questa non vi sono con-tenuti che premono, né entità oggetive, né piani distinti, né unasoggetività presente, ma solo la Coscienza senza-secondo che ripo-sa permanentemente in sé stessa, priva di identifcazione, di limitee di qualsiasi movimento attuale o potenziale, nella propria eternaAssolutezza (kaivalya).

Gauƒapåda nella sua Må~ƒ¥kyakårikå aferma: “.poiché soltan-to il tenace ataccamento all’illusorio è la causa della nascita, perciò«Qegli, il quale abbia riconosciuto appieno la non-esistenza delladualità, divenuto libero dalla causa», cioè essendo estinto [per lui]il tenace ataccamento alla dualità illusoria, «non nasce più»” (adMå. Kå. 4.75).

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TESTO SANSCRITO

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utaragıtå

gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå

©rımatparamahaµsaparivråjakåcårya©rımadgauƒapådåcåryair-

viracitayå vyåkhyayå sametå saµbh¥≤itå

©rı ga~e©åya nama¢ •

akha~ƒaµ saccidånandamavå√manasagocaram • åtmånamakhilådhåramå©raye ’bhı\†asiddhaye ••

prathamo ’dhyåya¢

iha khalu bhagavånarjuno dharmak\etre kuruk\etre “a©ocyåna-nva©ocastvam” ityårabhya bhagavadupadi\†amåtmatatvopade©aµvi\ayabhogapråbalyena vism®tya punastadevåtmatatvaµ jñåtuµ bha-gavantaµ p®cchati –

arjuna uvåca –

yadekaµ ni\kalaµ brahma vyomåtıtaµ nirañjanam •apravartakyåvijñeyaµ vinå©otpativarjitam •• 1.1 ••

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kåraãaµ yoganirmuktaµ hetusådhanavarjitam •h®dayåmbujamadhyasthaµ jñånajñeyasvar¥pakam •tatk\a~ådeva mucyate yajjñånådbr¥hi ke©ava •• 1.2 ••

he ke©ava yajjñånådyasya brahmaãa¢ samyagjñånåtatk\a~å-deva jñånotarak\aãådeva mucyate ’vidyåniv®tidvårå ånandåvåpti-rbhavetadbrahmabr¥hi • svar¥pata†asthalak\a~åbhyåµ pratipå-dayetyartha¢ • te eva lak\a~e dar©ayati – yadityådinå • ekaµ sajåtı-yavijåtıyasvagatabhedarahitaµ ni≤kalamavayavarahitaµ vyomåtıta-måkå©ådicaturviµ©atitatvåtıtaµ nirañjanaµ svayaµprakå©amapra-tarkyamamanogocaram • “yanmano na manute” iti ©rute¢ • avijñe-yaµ pramå~åvi\ayam “yadvåcå ’niruktam” “yato våco nivartante”iti ©rute¢ • vinå©otpativarjitaµ traikålikar¥paµ kåraãaµ sarvotpa-timannimitopådånar¥paµ yoganirmuktaµ vastvantarasamba-ndharahitaµ hetusådhanavarjitaµ nimitatvopådånatvadharmådi-varjitamityartha¢ • svasya sanåtanatvena tåbhyåmeva varjitamitivå • h®dayåmbujamadhyasthaµ sarvalokåntarniyåmakatayå sarva-lokah®dayamadhyasthaµ jñånajñeyasvar¥pakaµ jñånaµ vi\ayapra-kå©o jñeyaµ vi\aya¢ tadubhayasatåtmakaµ yadbrahma tatkıd®©a-miti pra©nårtha¢ •• evamarjunena p®\†o bhagavånpra©nårthamabhi-nandannutaramåha –

©rıbhagavånuvåca –

sådhu p®\†aµ mahåbåho buddhimånasi på~ƒava •yanmåµ p®cchasi tatvårthama©e≤aµ pravadåmyaham •• 1.3 ••

he mahåbåho iti saµbodhayansarva©atrunibarhaãasåmarthyaµdyotayati • ©atravo rågådaya©ca • he på~ƒaveti satkulapras¥tiµdyotayati • buddhimånasıti stuvansvoktårthagraha~åvadhåraãaså-marthyaµ dyotayati • tvaµ måµ prati yadåtmatatvaµ p®cchasitada©e\aµ yathå bhavati tathå tubhyamahaµ pravadåmi •• tadevå-tmatatvaµ sopåyamåha –

åtmamantrasya haµsasya parasparasamanvayåt •yogena gatakåmånåµ bhåvanå brahma cak\ate •• 1.4 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå140 1.2

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åtmani tåtparyeãa paryavasannasya praãavåtmakasya mantra-sya tåtparyavi\ayasya • haµsasya hanti svatatvajñånenåjñånasaµ-såramiti haµsa¢ tasya paramåtmana¢ parasparasamanvayådanyo-nyapratipådyapratipådakabhåvasaµsargådanena sarvavedåntatåtpa-ryagocaratvaµ “tatu samanvayåt” (bra. s¥. 1.1.4) iti samanvayådhi-karaõoktaµ dar©itam • yogenåtmatatvavicåråkhyena gatakåmå-nåµ na\†åri\aƒvargå~åmanena jñånapratibandhakakalma\aniv®ti-rdar©itå • te\åµ yå bhåvanå tatvamasıtyådivåkyajanyå caramav®-ti¢ tanniv®tirvå tanniv®tyå tajjanyå ’vidyåniv®tirvå tanniv®tya-dhi\†hånaµ vå så brahmetyåcak\ate pråhustatvajñå iti ©e\a¢ •• ta-deva tatvajñånaµ tannivartyåvidyåniv®tiµ cåha –

©arıri~åmajasyåntaµ haµsatvaµ påradar©anam •haµso haµsåk\araµ caitatk¥†asthaµ yatadak\aram •• 1.5 ••

tadvidvånak\araµ pråpya jahyånmaraãajanmanı •• 1.6 ••

ajasya jıvasyåntamavadhibh¥taµ haµsatvaµ parabrahmasva-r¥patvaµ ©arıriãåµ jıvånåµ påradar©anaµ paramajñånaµ haµsobrahma haµsåk\araµ ca praãavaµ caitatk¥†asthaµ yadetadubha-yasåk\ibh¥taµ yatadak\aramityucyate • anena trividhapariccheda-©¥nyatvaµ dar©itam • tatsvar¥paµ vidvånvivekı santadak\araµ va-stu pråpya maraãajanmanı janmamaraãapravåhar¥paµ saµsåraµjahyåtyajediti yåvatså ca muktirjıvaparamåtmanoraikyamiti •• mu-ktau jıvaparayoraikyaµ pratipådayitumadhyåropåpavådåbhyåµ ni-\prapañcaµ brahma prapañcyate –

kåkımukhaµ kakåråntamukåra©cetanåk®ti¢ •makårasya tu luptasya ko ’rtha¢ saµpratipadyate •• 1.7 ••

kaµ cåkaµ ca kåke sukhadu¢khe • te asya sta iti kåkı jıvo ’vi-dyåpratibimba¢ • tasya mukhaµ mukhasthånıyaµ bimbabh¥taµyadbrahma • tatpratipådakaµ yatkakåråntaµ mukhamityetatkåkå-k\inyåyenåtråpi saµbadhyate • tathå ca ©abda©le≤o mukhabh¥taka-kårasya kåkıtyatra pråthamikakakårasyåntamantimaµ yadak\ara-makåråtmakaµ pañcık®tapañcamahåbh¥tåni tatkåryå~i sarvaµ vi-råƒityucyate • etatsth¥la©arıramåtmana indriyairarthopalabdhirjå-

prathamo ’dhyåya¢ 1411.7

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garitaµ tadubhayåbhimånyåtmå vi©va¢ • etatrayamakårasyårtha¢ •ukåra©cetanåk®ti¢ kåkımukhetyatra makaråtparo ya ukåro ’pañcı-k®tapañcamahåbh¥tåni tatkåryaµ saptada©akaµ li√gaµ hira~yaga-rbha ityucyate • etats¥k≤ma©arıramåtmana¢ kara~e≤¥pasaµh®te\ujågaritasaµskårajanyapratyaya¢ svavi\ayasvapnastadubhayåbhimå-nyåtmå taijasa¢ • etatrayamukårasyårtha¢ • cetanåk®ti¢ cetanasyahira~yagarbhåtmakataijasasyå ’’k®tirvåcaka¢ • makårasya kåkımu-khetyatrokåråtp¥rvamabhihito yo makåra¢ ©arıradvayakåraãamå-tmåjñånaµ såbhåsamavyåk®tamityucyate • tacca na sannåsannå-pi sadasanna bhinnaµ nåbhinnaµ nåpi bhinnåbhinnaµ kuta©ci-nna niravayavaµ na såvayavaµ nobhayaµ kiµ tu kevalabrahmå-tmaikatvajñånåpanodyam • sarvaprakårajñånopasaµhåro buddhe¢kåraãåtmanåvasthånaµ su\uptistadubhayåbhimånyåtmå pråjña¢ •etatrayaµ tasya makårasyårtha¢ • luptasyåkåra ukåre ukåro ma-kåre makåra oµkåra evaµ luptasya ko ’rtha¢ kakåråtparo yo ’kå-ra¢ tasya yo ’rtho lak\yasvar¥paµ makåråtparasyoµkårasyårtholak\yasvar¥pam • oµkårådåtmasåk\ı kevalacinmåtrasvar¥po nåjñå-naµ tatkåryaµ ca • kiµ tu nitya©uddhabuddhamuktasatyaparamå-nandådvitıyaµ brahmaiva tatsaµpratipadyate tadaikyaµ pråpnotı-tyartha¢ • “ayamåtmå brahma” “sa ya©cåyaµ puru\e ya©cåsåvådi-tye sa eka¢” “tatvamasi” “ahaµ brahmåsmi” ityådi©rutibhya itibhåva¢ • yadvå på†håntare “kåkımukhakakåråntamukåra©cetanåk®-ti¢ • akårasya tu luptasya ko ’rtha¢ saµpratipadyate” •• kaµ cåkaµca kåke sukhadu¢khe • te asya sta iti kåkı jıva¢ tatpratipådaka©a-bdasya mukhe agre ya¢ kakårastasyånto yo ’kåra brahma cetanåk®-tirjıvåkåravadityartha¢ • brahmaiva svåvidyayå saµsaratıti nyå-yåt • makårasya jıvatvåkårasya luptasyåpagatasya ko ’rtho ’kha-~ƒådvitıyasaccidånandasvar¥po ’rtha¢ • taµ kåkımukhetyådyukta-prakåreãaikyånusaµdhånavånsaµpratipadyate pråpnotıtyartha¢ •yadvå he kåkımukha brahma tvaµ kakårånta¢ kakårasyåntimovarõo ya ukåra¢ tatpratipådyabrahmaivetyartha¢ • ukåra©cetanåk®-tiriti på†ha ukåro m¥laprak®ti¢ tasya brahmaãa©cetanå cetayamå-nå ’’k®ti¢ ©akti¢ • makårasya ca luptasya pariãamamånåvidyålopa-vato brahmaãa¢ ko ’rtha¢ kakåråtparo yo ’kåra¢ tasya yo ’rtho lu-ptasya lak\yasvar¥paµ tatsaµpratipadyate tadaikyaµ pråpnotıtya-rtha¢ • evamupåssveti ©e≤a¢ • tathå ca ©ruti¢ – “åplavasva prapla-vasvå ’’~ƒı bhava ja må muhu¢ • sukhådıµ du¢khanidhanåµ prati-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå142 1.7

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muñcasva svåµ puram” iti • asyårtha¢ he jananamara~ayuktajıvatvamåplavasva jıvanmukto bhava praplavasva såk\ånmukto bhavamuhurå~ƒı brahmå~ƒamantarvartı saµsårı muhurmå bhava måbh¥¢ • saµsårı cetkimaparådha ityå©a√kyåha • sukhådıµ vai≤ayika-sukhahetuµ du¢khanidhanåµ du¢khameva nidhane ’nte yasyå-ståµ svåµ puraµ svakıyasth¥las¥k≤madehadvayaµ pratimuñca-sva tyaja •• evaµ yogadhåraãayopåsakasya prå~åyåmaparåyaãa-sya nåntarıyakaphalamapyåha –

gacchaµsti\†hansadåkålaµ våyusvıkaraãaµ param •sarvakålaprayogeãa sahasråyurbhavennara¢ •• 1.8 ••

nara¢ “©atåyu¢ puru\a¢ ©atendriya¢” iti parimitåyurapi ga-cchangamanakåle ti\†hannavasthånakåle sadåkålaµ sarvasminkåle©ayanådikålåntare paraµ vi©e\eãa våyusvıkaraãaµ pråãåyåmaµkurvantena sårvakålaprayogeãa sårvakålikavåyudhåraãayå saha-sråyu¢ sahasravar\ajıvı bhavedbh¥yådityartha¢ •• nanu parama-phalaµ kadå bhavatıtyatåha –

yåvatpa©yetkhagåkåraµ tadåkåraµ vicintayet •• 1.9 ••

khagåkåraµ haµsar¥paµ yåvatprapa©yedyåvatparyantaµ så-k\åtkuryåtåvatparyantaµ tadåkåraµ brahmasvar¥paµ p¥rvokta-dhåraãayå prav®ddhåyu¢ puru\a vicintayeddhyåyedityartha¢ •• tå-d®©åtmasåk\åtkårårthaµ nairantaryeãå ’’tmajagatorabhedadhyåna-måha –

khamadhye kuru cåtmånamåtmamadhye ca khaµ kuru •åtmånaµ khamayaµ k®två na kiµcidapi cintayet •• 1.10 ••

khamadhye daharåkå©amadhya åtmånaµ paramåtmånaµ ku-rvetadabhinnasatåtmakamiti bhåvayedityartha¢ • åtmamadhye caparamåtmani khaµ kurvåkå©aµ kuru tadupådånakaµ bhåvayet ••åtmånaµ paramåtmånaµ khamayamåkå©åtmakaµ k®två kiµcida-pi brahmavyatiriktamanyadapi na cintayenna dhyåyedityartha¢ •yadvå kha©abdena jıvo ’bhidhıyate • “åkå©a©arıraµ brahma” ityådi©ruteråtma©abdena paramåtmåbhidhıyate • tayoraikyaµ buddhvå

prathamo ’dhyåya¢ 1431.10

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na kiµcidapi cintayediti •• evamuktaprakåreãa yogı bh¥två bra-hmajñånani\†ha eva syådityåha –

sthirabuddhirasaµm¥ƒho brahmavidbrahma~i sthita¢ •bahirvyomasthitaµ nityaµ nåsågre ca vyavasthitam •ni\kalaµ taµ vijånıyåcchvåso yatra layaµ gata¢ •• 1.11 ••

brahmaviduktaprakåreãa brahmajñånı sansthirabuddhirni©cala-jñånı bh¥två ’saµm¥ƒho ’jñånarahita¢ sanbrahma~i sthito brahma-ni\†ha eva nityaµ yatra ©våsa¢ ©våsavåyurlayaµ gato nå©aµ prå-pta¢ tatra nåsågre vyavasthitaµ bahirvyomasthitaµ bahiråkå©a-sthitaµ ca ni\kalaµ kalåtıtaµ taµ brahma vijånıyådbudhyåt •• bra-hmajñånani\†hasya manonai©calyårthaµ dhåra~åvi©e\amåha –

pu†advayavinirmukto våyuryatra vilıyate •tatra saµsthaµ mana¢ k®två taµ dhyåyetpårtha ı©varam •• 1.12 ••

he pårtha pu†advayavinirmukto nåsårandhradvayavinirgato vå-yuryatra vilıyate layaµ gacchati • tasminmårge samyaksthitaµ ma-na¢ k®två tamı©varaµ dhyåyedvak\yamåãaprakåreãa dhyåyet ••tameva prakåramåha –

nirmalaµ taµ vijånıyåt\aƒ¥rmirahitaµ ©ivam •prabhå©¥nyaµ mana¢©¥nyaµ buddhi©¥nyaµ niråmayam •• 1.13 ••

sarva©¥nyaµ niråbhåsaµ samådhisthasya lak\aãam •tri©¥nyaµ yo vijånıyåtsa tu mucyate bandhanåt •• 1.14 ••

nirmalaµ ni\k®\†åhaµkåracaitanyåtmakamata eva \aƒ¥rmirahi-taµ k\utpipåsådihınaµ ©ivaµ ma√galasvar¥pamiti vijånıyåddhyåye-dityartha¢ •• kiµ ca – prabhå©¥nyaµ v®tyåtmakaprakå©arahitam •tatra heturmana¢©¥nyaµ manorahitamata eva buddhi©¥nyamåsa-ktirahitaµ niråmayaµ nirvyåjamata eva niråbhåsaµ bhramarahita-mata eva sarva©¥nyaµ svavyatiriktavastumåtrasya mithyåtvenå’’nandaikarasaµ yadbrahma taddhyånaµ samådhi¢ •• tasya tasmi-nsthitasya kiµ lak\aãamityå©å√kyåha – tri©¥nyaµ p¥rvoktaprabhå-di©¥nyaµ yo vijånıyådbudhyeta • etena jågradådyavasthåtraya©¥-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå144 1.10

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nyatvaµ dar©itam • prabhåmanobuddhi©abdai¢ krameãa tåsåma-bhidhånåtåd®©aµ brahma yo vijånıyåtsa samådhistha saµsåraba-ndhanånmucyate mukto bhavati •• evaµ jıvanmuktasya dehådi\va-bhinive©o nåstıtyåha –

svayamuccalite dehe dehı nyastasamådhinå •ni©calaµ tadvijånıyåtsamådhisthasya lak\aãam •• 1.15 ••

dehe svayamanådiprårabdhakarmavåsanåva©åduccalite gama-nådikaµ kurvatyapi dehı jıvo nyastasamådhinå ni©calasamådhiyo-gena ni©calaµ yathå bhavati tathå taµ paramåtmånaµ vijånıyåt •tadeva samådhisthitasyå ’’tmayogasthitasya lak\aãamityucyate •• i-to ’pyåtmajñasya lak\aãamucyate –

amåtraµ ©abdarahitaµ svaravyañjanavarjitam •bindunådakalåtıtaµ yastaµ veda sa vedavit •• 1.16 ••

amåtraµ hrasvadırghaplutådirahitaµ ©abdarahitaµ ©abdåtıtaµsvaravyañjanavarjitamak\arasam¥håtmakapadånabhidheyaµ bindu-nådakalåtıtamanusvåro bindu¢ saµv®te galavivare yaddhırghagha-~†ånihrådavadanuraãanaµ sa nåda¢ • kalå nådaikade©a¢ tairatıtaµna yathåkathaµcicchabdavåcyamityartha¢ • etåd®©aµ brahma yoveda sa vedavitsakalavedåntatåtparyajño nånya ityartha¢ •• evaµ prå-ptåtmatatvajñånasyåsaµbhåvanåviparıtabhåvanådiniv®tau satyåµna kiµcitk®tyamastıtyåha –

pråpte jñånena vijñåne jñeye ca h®di saµsthite •labdha©åntipade dehe na yogo naiva dhåra~å •• 1.17 ••

jñånena parok\åtmakena vijñåne ’parok\ånubhavåtmake • ya-dvå jñånena ©åstråcåryopade©ajanyena vijñåne ’nubhavåtmake prå-pte sati jñeye ca sarvavedåntatåtparyagocare paramåtmani h®disaµsthite h®dyaparok\atayå bhåsamåne sati dehe dehopådhimatijıve labdha©åntipade saµpråptabrahmabhåve sati tadå yogo ’pi nå-sti dhåra~å nåsti • siddhe phale sådhanena prayojanåbhåvåditi bhå-va¢ •• evamåtmatatvåparok\ajñånena mukta¢ sanı©vara eva jåyataiti tasya svar¥pamåha –

prathamo ’dhyåya¢ 1451.17

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yo vedådau svara¢ prokto vedånte ca prati\†hita¢ •tasya prak®tilınasya ya¢ para¢ sa mahe©vara¢ •• 1.18 ••

vedådau sarvavedånåmådau vedasyådha¢sravaãaparihåråya ni-dhıyamåno vedånte ca sarvavedånåmante coparyutkramaãaparihå-råya prati\†hita¢ saµsthåpita¢ • cakåråtsarvavedarak\a~åya veda-madhye ca nipatita¢ ya¢ svara¢ praãavåtmaka¢ • tasya praãava-sya prak®tau paråvasthåyåµ lınasya ya¢ para¢ parådivåkcatu\†a-yodbodhaka¢ • upalak\aãaµ caitatsarvaprå~endriyakaraãavargapra-bodhaka¢ sarvaniyantå sarvåntaryåmı yo mahe©vara iti prasiddha¢sa evå ’’tmatatvajñånı nånya ityartha¢ •• åtmatatvaparok\ånubha-våtp¥rvaµ yåvatatsådhanaprayatna¢ k®ta¢ • jåte ca tasminnanu-bhåve sa na kartavya iti sad®\†åntamåha –

nåvårthı tu bhavetåvadyåvatpåraµ na gacchati •utır~e tu saritpåre nåvayå kiµ prayojanam •• 1.19 ••

yåvadyåvatparyantaµ påraµ nadıtıraµ na gacchati na saµprå-pnoti tåvatåvatparyantaµ nåvårthı nadıtaraãasådhanaplavanårthıbhavedbh¥yåt • saritpåre nadıtıra utır~e sati nåvayå nadıtaraãaså-dhanena kiµ prayojanaµ kimapi nåstıtyartha¢ • tadvadatråpyå-tmåparok\e jåte ©åstrådibhårai¢ kiµ prayojanamiti bhåva¢ •• tade-va bha√gyantareãa sad®\†åntamåha –

granthamabhyasya medhåvı jñånavijñånatatpara¢ •palålamiva dhånyårthı tyajedgranthama©e\ata¢ •• 1.20 ••

medhåvı buddhimångranthamabhyasya vedåntådi©ravaãaµ k®-två jñåne såmånyajñåne vijñåne vi©e\ånubhave tatpara¢ sangra-nthaµ sarvaµ ©åstraµ tyajet • atra d®\†ånta¢ • dhånyårthı dhånya-sahitaµ t®ãamådåya tadgatadhånyasvıkårånantaraµ palålaµ gata-kaãi©aµ t®ãaµ yathå tyajetadvadityartha¢ • uktårthe d®\†åntamå-ha – kiµ ca

ulkåhasto yathå ka©ciddravyamålokya tåµ tyajet •jñånena jñeyamålokya pa©cåjjñånaµ parityajet •• 1.21 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå146 1.18

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ka©cilloke ’ndhakårasthitadravyadar©anårthı sanyatholkåhastobhavati pa©cåddravyamålokya tadanantaraµ tåmulkåµ yathå tya-jetathå jñånena jñånasådhanena jñeyaµ brahmålokyåparok\ık®-tya pa©cåjjñånaµ jñånasådhanaµ parityajedityartha¢ •• jåte cåpa-rok\ajñåne tena prayojanåbhåvåtsådhanaµ parityåjyamityetadd®-\†åntåntare~åpyåha –

yathå ’m®tena t®ptasya payaså kiµ prayojanam •evaµ taµ paramaµ jñåtvå vedairnåsti prayojanam •• 1.22 ••

yathå ’m®tena sågaramathanådbh¥tenåm®tena t®ptasya santu-\†asya payaså k\ıre~a prayojanaµ nåstyevaµ paramaµ taµ jñå-två paramåtmånamaparok\ık®tya vedairvedånta©åstrådibhi¢ kiµprayojanaµ na kimapıtyartha¢ •• kiµ ca tatvajñånıno vidhini\e-dhådikartavyamapi nåstıtyåha –

jñånåm®tena t®ptasya k®tak®tyasya yogina¢ •na cåsti kiµcitkartavyamasti cenna sa tatvavit •• 1.23 ••

jñånåm®tena t®ptasyå ’’nandaikarasaµ pråptasya k®tak®tyasyak®tårthasya yogino muktasya kiµcidapi vidhini\edhådi kartavyaµnåsti • tatvenotırãatvåditi bhåva¢ • kiµ tu kartavyamapi lokasaµ-grahårthameva yadyabhinive©ena karmåsaktirasti tarhi sa tatvavi-nna bhavatyår¥ƒho na bhavatıtyartha¢ •• arthajñånaµ vinå kevalaµvedapå†hamåtreãa vedavitvaµ nåsti • kiµ tu vedatåtparyagocara-brahmajñånenaiva vedavitvamityåha –

tailadhåråmivåcchinnaµ dırghagha~†åninådavat •avåcyaµ praãavasyågraµ yastaµ veda sa vedavit •• 1.24 ••

tailadhåråmivåcchinnaµ saµtatadhåråvadvicchedarahitaµ dı-rghagha~†åninådavadatidırghagha~†ådhvanyagravacca vicchedara-hitamavåcyamavå√manasagocaraµ praãavasyåkårokåramakårabi-ndunådåtmakasya sakalavedasårasyågraµ lak\yaµ brahma yo ve-da sa vedavidvedåntårthajñånı nånya ityartha¢ •• tatvajñånina¢samådhisådhanasvar¥pamåha –

prathamo ’dhyåya¢ 1471.24

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åtmånamara~iµ k®två praãavaµ cotaråra~im •dhyånanirmathanåbhyåsådevaµ pa©yennig¥ƒhavat •• 1.25 ••

åtmånamåtmani kart®tvådyadhyåsavantaµ jıvamara~iµ k®två’dharåra~iµ bhåvayitvå praãavaµ paramåtmapratipådakasvar¥paµ©abdamutaråra~iµ k®två bhåvayitvå • dhyånanirmathanåbhyåså-ddhyånar¥pamathanena pauna¢punyenaivaµ p¥rvoktaprakåreãanig¥ƒhavatpå~ƒityåpraka†anena yo varteta sa eva paramåtmånaµpa©yennånya ityartha¢ •• yåvadaparok\ånubhavaparyantaµ svayaµ-prakå©abrahmadhåra~åmåha –

tåd®©aµ paramaµ r¥paµ smaretpårtha hyananyadhı¢ •vidh¥mågninibhaµ devaµ pa©yedatyantanirmalam •• 1.26 ••

he pårtha vidh¥mågninibhaµ vigatadh¥mågniriva ©ikhåvaddyo-tamånamatyantanirmalamatisvacchaµ devaµ svayaµprakå©aµ pa-ramåtmånaµ yåvatpa©yedaparok\ıkuryåtåvatåd®©aµ paramotk®-\†aµ r¥paµ brahmasvar¥paµ na cånyadhırityananyacita¢ sansaµ-smaredbrahmadhåra~aµ kuryådityartha¢ •• bhåvanåprakåramevabrahmasvar¥papraka†anavyåjena vi©adayati –

d¥rastho ’pi na d¥rastha¢ pi~ƒastha¢ pi~ƒavarjita¢ •vimala¢ sarvadå dehı sarvavyåpı nirañjana¢ •• 1.27 ••

dehı jıva¢ sarvadå sarvasminkåle d¥rastho ’pyajñasya parok\a-vatsthito ’pi na d¥rastha¢ parok\asthito na bhavati • kiµ tu sarva-dåpyaparok\a evetyartha¢ • pi~ƒastho ’pyajñasya ©arırasaµbandhå-dhyåsåtparicchinnavadbhåsamåno ’pi pi~ƒavarijta¢ ©arırasaµba-ndhådhyåsarahita¢ • tatra heturvimalo nirmala¢ sarvavyåpı sarva-ta¢ parip¥rão nirañjana¢ svayaµprakå©a©ca • evaµ dhyåyediti p¥-rve~a saµbandha¢ •• kiµ ca dehådhyåsåtpratıyamånaµ kart®tva-bhokt®tvådikamåtmano nåstıtyåha –

kåyastho ’pi na kåyastha¢ kåyastho ’pi na jåyate •kåyastho ’pi na bhuñjåna¢ kåyastho ’pi na badhyate •kåyastho ’pi na lipta¢ syåtkåyastho ’pi na bådhyate •• 1.28 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå148 1.25

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dehı jıva¢ kåyastho ’pi ©arırådhyåsavånapi na kåyastha¢ ©arıra-nimitabandharahita¢ • kåyastho ’pi janmådivaccharırastho ’pi najåyate ©arıranimitajanmarahita ityartha¢ • kåyastho ’pi bhogaså-dhanıbh¥ta©arırastho ’pi na bhuñjåno bhogarahita¢ • kåyastho ’pibandhahetubh¥tadehastho ’pi na badhyate bandhanaµ na pråpno-tıtyartha¢ • kiµ ca kåyastho ’pi sukhadu¢khådihetubh¥tadehasaµ-bandho ’pi na lipta¢ syåtsukhadu¢khådisaµbandharahita ityartha¢ •kåyastho ’pi maraãadharmavaddehastho ’pi na bådhyate na mriya-ta ityartha¢ • anena janmådi\aƒbhåvavikåra©¥nyatvaµ dar©itam ••yadadhyåsenå ’’tmamohåtsaµs®ti¢ tadapavådena tatraiva dehå-nta¢kara~ådåvåtmå vicåra~ıya ityåha –

tilamadhye yathå tailaµ k\ıramadhye yathå gh®tam •pu\pamadhye yathå gandha¢ phalamadhye yathå rasa¢ •• 1.29 ••

kå\†hågnivatprakå©eta åkå©e våyuvaccaret •• 1.30 ••

åtmå tilamadhye tailåcchådakatile\u yathå tailaµ • yantrådinåtile ni\pi\†e yathå tilåtp®thaktailaµ ©uddhaµ bhåsate • yathå k\ıra-madhye gh®tåcchådakak\ırå~åµ madhye k\ıratvåpanodakopåya-dvårå dadhipari~åme sati tasya mathanenåpanıte navanıtådipari~å-madvårå agnisaµyogådyathå gh®taµ pratıyate • tathå pu\på~åµmadhye yathå gandha¢ pratıyate • yathå phalamadhye tvagasthyå-dihey嵩aparityågena raso bhåsate tadvadityartha¢ • åkå©e yathåvåyu¢ sarvagata¢ sanvåti saµcarati • tathå kå\†hågnivadara~yådi-sthito ’gnirmathanådinå mathite yathå kå\†habhåvaµ vihåya sva-yaµprakå©atayå bhåsate • tadvadåtmåpya©ramayådipañcako©e\umadhye hey嵩aparityågenå ’’nandåtmakatayå svayaµprakå©a¢sanbhåsata ityartha¢ •• etadeva dar\†åntike sarvaµ spa\†amupapå-dayati –

tathå sarvagato dehı dehamadhye vyavasthita¢ •manastho dehinåµ devo manomadhye vyavasthita¢ •• 1.31 ••

tathå p¥rvoktatailådivatsarvagata¢ sarvavyåpı dehı jıvo deha-madhye nånåbhinnatiryagdehådidehamadhye vyavasthito nånåbhi-

prathamo ’dhyåya¢ 1491.31

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nnatile\u tailavadekatvena sthita ityartha¢ •• dehinåµ tataddeha-bhedena bhinnånåµ jıvånåµ manastha¢ tatadanta¢karaãastha de-va ı©varo manomadhye tataddu\†ådu\†ånta¢kara~e\u vyavasthita¢såk\itayå bhåsata ityartha¢ •• tåd®©abrahmåparok\yeãa mucyantaityåha –

manasthaµ manamadhyasthaµ madhyasthaµ manavarjitam •manaså mana ålokya svayaµ sidhyanti yogina¢ •• 1.32 ••

manasthaµ mano ’vacchinnaµ manamadhyasthaµ mana¢så-k\ibh¥taµ madhyasthaµ sarvasåk\ibh¥taµ manavarjitaµ sa√ka-lpavikalpådirahitaµ mana avabodhåtmakaµ devaµ manaså pari©u-ddhånta¢kara~enå ’’lokya tadgocaråparok\acaramav®tiµ labdhvåyogino jñånina¢ svayameva sidhyanti niv®tåvidyakå muktå bhava-ntıtyartha¢ •• te\åµ lak\aãamåha –

åkå©aµ månasaµ k®två mana¢ k®två niråspadam •ni©calaµ tadvijånıyåtsamådhisthasya lak\aãam •• 1.33 ••

åkå©avanmånasaµ mano nirmalaµ k®två mana¢ sa√kalpavika-lpåtmakaµ niråspadaµ nirvi\ayaµ k®två ni©calaµ ni\kriyamı©va-raµ yo vijånıyåtsa eva samådhistha¢ • tåd®©ajñånameva samådhi-sthasyåpi lak\aãamityartha¢ •• år¥ƒhasya lak\aãamuktamåruru-k\orupåyamåha –

yogåm®tarasaµ pıtvå våyubhak\a¢ sadå sukhı •yamamabhyasate nityaµ samådhirm®tyunå©ak®t •• 1.34 ••

yogåm®tarasaµ pıtvå yamaniyamådya\†å√gayogåm®tapånaµk®två tatatpratipådaka©åstramabhyasyetyartha¢ • våyubhak\o vå-yumåtråhåra upalak\aãametaddhitamitamedhyå©ı sadå sukhı sa-rvadå saµtu\†a¢ sanya¢ yaµ yamaµ manonigrahaµ nityamabhya-sate sa samådhirityucyate • sa samådhirm®tyunå©ak®jjananamara-~ådisaµsåranå©ak®dityartha¢ •• tåd®©asamådhau sthitasya lak\aãa-måha –

¥rdhva©¥nyamadha¢©¥nyaµ madhya©¥nyaµ yadåtmakam •

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå150 1.31

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sarva©¥nyaµ sa åtmeti samådhisthasya lak\aãam •• 1.35 ••

¥rdhva©¥nyam¥rdhvade©aparicchedarahitamadha¢©¥nyama-dhode©aparicchedarahitaµ madhya©¥nyaµ madhyade©aparicche-darahitaµ sarva©¥nyaµ de©akålådiparicchedarahitaµ yadåtmakaµyatsvar¥paµ sa åtmeti bhåvanå samådhisthasya lak\aãamitya-rtha¢ •• etasya dehådåvatikråntad®\†ervidhini\edhåtıtatvamåha –

©¥nyabhåvitabhåvåtmå pu~yapåpai¢ pramucyate •• 1.36 ••

©¥nyamiti sarvaparicchedarahitamiti bhåvito våsito bhåvo ’bhi-pråyo yasyåtmana¢ tåd®©a¢ sañ©¥nyabhåvitabhåvåtmå yogı pu~ya-påpairvidhini\edhaprayuktai¢ pramucyate mukto bhavatıtyartha¢ ••evaµ bhagavadupadi\†asamådhau virodhamasaµbhavaµ cåha –

arjuna uvåca –

ad®©ye bhåvanå nåsti d®©yametadvina©yati •avarãamasvaraµ brahma kathaµ dhyåyanti yogina¢ •• 1.37 ••

ad®©ye jñånågocare vastuni bhåvanå dhyånaµ nåsti • nanu ta-rhi d®©yaµ bhavatviti cedd®©yametatsarvaµ vina©yati nå©aµ prå-pnoti • ©uktikår¥pyavat • tathåcåvarãaµ r¥parahitamasvaraµ ©a-bdågocaraµ brahma yogina¢ kathaµ dhyåyanti • dhyånasya sm®-tyåtmakatvenånanubh¥te tadayogåditi bhåva¢ •• nahi såvayavam¥-rtyådimatvena vayaµ dhyånaµ br¥ma¢ yena tvayoktaµ gha†eta •kiµ tu nirvi©e\aparabrahmaãa eva nirmalaµ ni\kalamityådinå ve-dåntajanyav®tigocaratvena tatsaµbhavatıtyabhipråye~åha –

©rıbhagavånuvåca –

¥rdhvap¥rãamadha¢p¥rãaµ madhyap¥rãaµ yadåtmakam •sarvap¥rãaµ sa åtmeti samådhisthasya lak\aãam •• 1.38 ••

¥rdhvådhomadhyap¥rãa©abdai¢ sarvade©ata¢ sarvakålata¢ pa-ricchedaµ vyåvartayati • yadåtmakaµ yadetåd®©aµ vastu sarvatraparip¥rãaµ sa åtmeti yo dhyåyate sa samådhistha¢ • tasya lak\aãa-

prathamo ’dhyåya¢ 1511.38

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mapi tadevetyartha¢ •• nanvayaµ sålambanayogo vå nirålambana-yogo veti dvedhå vikalpya tatra do\amå©a√kyåha –

arjuna uvåca –

sålambasyåpyanityatvaµ nirålambasya ©¥nyatå •ubhayorapi do\atvåtkathaµ dhyåyanti yogina¢ •• 1.39 ••

sålambanasya m¥rtiyådhårådisahitasyånityatvaµ vinå©itvam •nirålambasya m¥rtyådhårådirahitasya ©¥nyatå ©a©avi\a~ådiva-tvamevamubhayorapi du\†atvåddo\atvåddo\agha†itatvådyogina¢kathaµ dhyåyantıti pra©nårtha¢ •• yajñadånådinå ©uddhånta¢kara-ãasya vedåntajanyanirvi©e\abrahmagocarav®tisaµbhavånna ©¥-nyatetyabhipråye~åha –

©rıbhagavånuvåca –

h®dayaµ nirmalaµ k®två cintayitvåpyanåmayam •ahameva idaµ sarvamiti pa©yetparaµ sukhı •• 1.40 ••

h®dayaµ citaµ nirmalaµ jñånavirodhirågådido\arahitaµ k®-två ’nåmayaµ cintayitve©varaµ dhyåtvå paraµ sukhı sanparamå-nandåtmaka¢ sanneka evåhamidaµ sarvaµ jagajjålamahameva namato vyatiriktamanyaditi pa©yedaparok\ånubhavaµ pråpnuyådi-tyartha¢ •• arthåtmakasya jagata¢ ©abdanir¥pyatvena ©abdasya va-r~åtmakatvena var~ånåµ praãavåtmakatvena praãavasya bindvå-tmakatvena bindornådåtmakatvena nådasya brahmadhyånasthånå-tmakakalåtmakatvena brahma~i samanvayena bindunådakalåtıtaµbrahma dhyåyediti bhagavatoktaµ tadvivicya jñåtuµ p®cchati –

arjuna uvåca –

ak\arå~i samåtrå~i sarve bindusamå©ritå¢ •bindubhirbhidyate nåda¢ sa nåda¢ kena bhidyate •• 1.41 ••

he bhagavansamåtrå~yak\arå~i sarve na k\arantıtyak\arå~ya-kårådıni sarve sarvå~i li√gavyatyaya år\a¢ • bindusamå©ritå bindu-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå152 1.38

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tanmåtrå~ıtyartha¢ • bindustu nådena bhidyate nådatanmåtra¢ sa-ntatra samanvetıtyartha¢ • sa nåda¢ kalåyåµ samanveti • så kalåkutra samanvetıti pra©nårtha¢ • yadyapi ©loke sa nåda¢ kena bhi-dyata iti nådasyaiva samanvaya¢ p®\†a iti bhåti • tathåpi nådasyakalåsamanvaya iti prasiddhatvånnådapadaµ kalopalak\aãam •• e-vaµ p®\†o bhagavånbrahma~i samanvetıtyutaramåha –

©rıbhagavånuvåca –

anåhatasya ©abdasya tasya ©abdasya yo dhvani¢ •dhvanerantargataµ jyotirjyotirantargataµ mana¢ •tanmano vilayaµ yåti tadvi\õo¢ paramaµ padam •• 1.42 ••

anåhatasya ©abdasya paråvasthåpannapraãavasya yo dhvani-rnåda¢ • tasya nådasya jyotirantargataµ tena tejor¥pakalåyåµ nå-dasyåntarbhåva iti tåtparyam • kalåntarbhåvamåha mano jyotira-ntargatamiti • manaso jyoti\yantarbhåvo nåma tanmåtratayå tatravyåpti¢ • tathå ca manaso jyoti\a¢ kalåyå¢ samanvaya iti bhåva¢ •tanmana¢ ©abdådiprapañcakåra~abh¥taµ mano yatra vilayaµ yå-ti yatra brahma~i vedåntajanyanirvikalpakabrahmagocaramanov®-tirlayaµ yåti • tadv®tilayasthånaµ v®tilayåtmakaµ vå vi\õo¢ pa-ramamutk®\†aµ padaµ svar¥pamiti • taduktaµ mana¢ kåyågninåhantıtyådinå •• punastadeva vi©ina\†i –

oµkåradhvaninådena våyo¢ saµhara~åntikam •nirålambaµ samuddi©ya yatra nådo layaµ gata¢ •• 1.43 ••

oµkåradhvaninådenauµkåradhvanyåtmakanådena saha våyo¢saµhara~åntikaµ recakap¥rakådikrameãa niyamitavåyorupasaµhå-raparyantaµ nirålambaµ nirvi©e\aµ brahma samuddi©ya lak\yaµk®två dhyåyet • yatra sa nådo layaµ gato nå©aµ pråpnuyåtannåda-nå©ådhikara~åtmakaµ nådanå©åtmakaµ vå vi\õo¢ paramaµ pada-mityartha¢ •• evaµ dhyånaprakåreãa ©uddhånta¢karaãasyå ’’r¥ƒha-sya pu~yapåpe vidh¥ya brahmasåyujye ’bhihite • åruruk\orapi ©u-ddhånta¢karaãatvena brahmasåyujyåsaµbhave dharmådharmavi-dh¥nanåsaµbhavena taddvårå jananamara~ådikamava©yaµ bhåvi-tavyamiti manasi ni©citya punaråv®tiprakåraµ p®cchati –

prathamo ’dhyåya¢ 1531.43

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arjuna uvåca –

bhinne pañcåtmake dehe gate pañcasu pañcadhå •pråãairvimukte dehe tu dharmådharmau kva gacchata¢ •• 1.44 ••

pañcåtmake pañcabh¥tåtmake dehe sth¥la©arıre bhinne gatesati pañcasu pañcabh¥te\u pañcadhå tatatp®thivyådyåkåre~a sthi-te\u satsu dehe pråãai¢ prå~ådipañcavåyubhirvimukte sati dha-rmådharmau pu~yapåpe kva gacchata¢ kutra yåsyata¢ •• evaµ p®-\†o bhagavåµlli√ga©arırådhåratayå ti\†hata ityutaramåha –

©rıbhagavånuvåca –

dharmådharmau mana©caiva pañcabh¥tåni yåni ca •indriyå~i ca pañcaiva yå©cånyå¢ pañcadevatå¢ •• 1.45 ••

tå©caiva manaså sarve nityamevåbhimånata¢ •jıvena saha gacchanti yåvatatvaµ na vindati •• 1.46 ••

dharmådharmau pu~yapåpe mana©cånta¢karaãaµ yåni ca pa-ñcabh¥tåni p®thivyådıni yåni pañcendriyå~i cak\urådıni vågådınica jñånakarmåtmakåni ca yå©cånyå¢ pañcadevatå¢ pañcendriyå-nyabhimåninyo digvåtådaya¢ taduktam – digvåtådyarkapravetå©vi-vahnipråpyapralıyakå iti • tå devatå¢ • ete sarvabh¥tådayo manaså’ntarindriye~a nityameva sarvadå ’bhimånato mamatåhaµkåravi-\ayatvena yåvatatvaµ na vindatyaparok\abrahmånubhavaµ napråpnoti tåvajjıvena saha jıvopådhinå li√gena saha gacchanti gatå-gataµ pråpnuvantıtyartha¢ •• evaµ sth¥ladehalaye ’pi dharmådha-rmau li√ga©arıramå©ritya ti\†hata ityukte li√ga©arırabha√ga¢ kade-ti p®cchati –

arjuna uvåca –

sthåvaraµ ja√gamaµ caiva yatkiµcitsacaråcaram •jıvå jıvena sidhyanti sa jıva¢ kena sidhyati •• 1.47 ••

sthåvaraja√gamåtmakaµ sacaråcaraµ caråcarasahitaµ jagajjå-laµ sarvasminye jıvåste ’bhimånavanta¢ sth¥ladehåbhimånino vi-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå154 1.44

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©våtmakå jıvå jıvena li√ga©arıråbhimåninå taijasena sidhyanti vi-©våbhimånaµ tyajanti • sa jıvastaijasåbhimåninı kena hetunå si-dhyati svåbhimånaµ tyajatıti pra©nårtha¢ •• evaµ p®\†e sati pråjñe-na taijasa¢ sidhyati pråjñasturıyeãetyevaµkrameãa sidhyatıtyuta-ramåha –

©rıbhagavånuvåca –

mukhanåsikayormadhye pråãa¢ saµcarate sadå •åkå©a¢ pibate pråãaµ sa jıva¢ kena jıvati •• 1.48 ••

mukhanåsikayormadhye mukhanåsikåmadhyata¢ sadå sarva-då yåvadad®\†aµ pråãavåyu¢ saµcarate ’japåmantråtmakatvenai-kaikasya dinasya \a†©atådhikaikaviµ©atisahasrasa√khyayå saµca-rati tåvatparyantamad®\†amahimnå li√gamapi vartate • yadå tu yo-gamahimnå brahmajñånånantaraµ jıvasyåd®\†aniv®ti¢ tadå ’’kå©ojıvatvanimitaµ pråãaµ pibate tadå jıva¢ kena jıvati jıvatvåpåda-kåvidyåniv®tyå nirañjanabrahmabhåve jåte jıvatvameva nåstıtya-rtha¢ •• nanu brahmå~ƒådyupådhivi©i\†asya sarvagatasya brahma-ãa¢ kathaµ nirañjanatvamiti p®cchati –

arjuna uvåca –

brahmå~ƒavyåpitaµ vyoma vyomnå cåve\†itaµ jagat •antarbahi©ca tadvyoma kathaµ devo nirañjana¢ •• 1.49 ••

he bhagavanvyoma åkå©aµ brahmå~ƒavyåpitaµ brahmå~ƒåva-cchinnamityartha¢ • vyomnå cå ’’kå©ena jagadåve\†itaµ vyåptaµtasmåtkåra~ådantarbahi©ca vyomaiva vartate • evaµ sati deva ı©va-ra¢ kathaµ nirañjano ’nyaprakå©anirapek\a¢ kathamityartha¢ •ni¢sa√go vå kathamiti pra©nårtha¢ •• åkå©ådisarvaprapañcasya ka-lpitatvena sarvaµ setsyatıtyabhipråye~åha –

©rıbhagavånuvåca –

åkå©o hyavakå©a©ca åkå©avyåpitaµ ca yat •åkå©asya guãa¢ ©abdo ni¢©abdaµ brahma cocyate •• 1.50 ••

prathamo ’dhyåya¢ 1551.50

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åkå©o mahåkå©o ’vakå©a¢ paricchinnåkå©a ubhayamapyåkå©e-nå ’’kå©atanmåtrabh¥tena ©abdena vyåpitaµ vyåptaµ tadupådåna-katayå tadatiriktaµ na bhavatıtyartha¢ • tarhyupådånasya ©abda-syåtiriktatvamastvityata åha – åkå©asya guãa¢ ©abda iti ©abda ta-nmåtrabh¥ta åkå©asya mithyåbh¥tåkå©asya guãa¢ pari~åmyupådå-naµ yato ’ta eva svayamapi mithyåbh¥ta ityartha¢ • brahma tu ni-¢©abdaµ ni≤prapañcamityucyate • tathå ca satyasyåk\arasya bra-hmaão ’satyena saha saµbandhåsaµbhavånnirañjanatvamupapa-dyata ityartha¢ •• evaµ bhagavatokte ’k\ara©abdasya bhagavadabhi-matårthamajånåna¢ saµllokaprasiddhavar~åtmakåk\arabuddhyå va-r~ånåmak\aratvaµ na saµbhavatıtyabhipråyeãa p®cchati –

arjuna uvåca –

danto\†atålujihvånåmåspadaµ yatra d®©yate •ak\aratvaµ kutaste\åµ k\aratvaµ vartate sadå •• 1.51 ••

he bhagavanyatra var~åtmakåk\are\u danto\†atålujihvånåmu-palak\aãametatka~†hådınåma\†ånåµ sthånånåmåspadamåspada-tvaµ d®©yate pratyak\amanubh¥yate • “akuhavisarjanıyånåµ ka-~†ha¢” ityådinå ©r¥yate ca • tathå ca te\åµ var~ånåmak\aratvaµnå©arahitatvaµ kuta utpatimato nå©åva©yaµbhåvåt • sadå sarva-kålaµ k\aratvaµ nå©avatvameva vartate te\åµ nå©arahitatvaµkuta iti pra©nårtha¢ •• evamabhipråyamajånånenårjunena p®\†esvåbhipretamak\ara©abdårthaµ sphu†ayanbhagavånuvåca –

©rıbhagavånuvåca –

agho\amavyañjanamasvaraµ cå-pyatåluka~†ho\†hamanåsikaµ ca •

arekhajåtaµ param¥\mavarjitaµtadak\araµ na k\arate kathaµcit •• 1.52 ••

agho\aµ gho\åkhyavarãaguãarahitamavyañjanaµ kakårådivya-ñjanåtıtamasvaramudatådivyatıtamatåluka~†ho\†hamapyavyañja-nådyutpatisthånatålvo\†hådirahitamanåsikamanusvårotpåtisthåna-nåsikåtıtamarekhajåtaµ var~avyañjakarekhåsam¥håtıtamu\mavarji-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå156 1.50

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taµ ©a\asahådyatıtam • yadvo\ma©abdena ©våsåkhyo guõo ’bhidhı-yate tadrahitaµ paraµ lokaprasiddhavarãalak\anåtıtaµ yadbra-hma kathaµcitsarvaprakåreãa sarvakåle ’pi na k\arate tadevåk\a-ra©abdenocyate • na tu laukikånyak\arå~ıtyartha¢ •• etåd®©aµ bra-hmajñånopåyamanubhavadårƒhyåya punarapi p®cchati –

arjuna uvåca –

jñåtvå sarvagataµ brahma sarvabh¥tådhivåsitam •indriyå~åµ nirodhena kathaµ sidhyanti yogina¢ •• 1.53 ••

sarvabh¥tådhivåsitaµ sarvabh¥te\vapyantaryamitayå sthitaµsarvagatamantarbahi©ca parip¥rãaµ brahma jñåtvå samyagvibu-dhya yogina indriyå~åµ nirodhenendriyaniyamena kathaµ sidhya-nti kenopåyena muktå bhavantıtyartha¢ •• evaµ p®\†o bhagavånta-meva jñånopåyaµ punaråha –

©rıbhagavånuvåca –

indriyå~åµ nirodhena dehe pa©yanti månavå¢ •dehe na\†e kuto buddhirbuddhinå©e kuto jñatå •• 1.54 ••

månavå manu\yå indriyå~åµ nirodhenendriyaniyamena dehedeha eva pa©yanti jñasyanti • tasmåddehendriyadårƒhyaµ ca jñå-nopåya iti bhåva¢ • tadabhåve jñånameva nåstıtyåha – dehe na\†e’d®\†e sati buddhi¢ kuta¢ tatvajñånaµ kuto buddhinå©e tatvajñå-nåbhåve jñatå ’parok\ajñånitå kuta¢ tasmåddehendriyådibhirya-jñadånådi©rava~ådikameva tatvajñåne kåraãamiti bhåva¢ •• tåd®-©aµ ca kåraãaµ yåvatparyantamanu\†heyamityå©a√kyåvadhimå-ha –

tåvadeva nirodha¢ syådyåvatatvaµ na vindati •vidite tu pare tatve ekamevånupa©yati •• 1.55 ••

yåvatatvajñånaµ nåsti tåvatparyantamindriyanirodha¢ syåt •pare tatve ’kha~ƒånandabrahma~i vidite ’parok\abh¥te satyeka-mevånupa©yatyekameva dehendriyasådhanånu\†hånådisådhanara-

prathamo ’dhyåya¢ 1571.55

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hitaµ brahmaivånupa©yati nånyat • tadanantaraµ sådhanånu\†hå-naprayåso ’pi må bh¥diti bhåva¢ •• tasmådyavåtatvajñånaµ tåva-tsådhanamanu\†heyaµ tadabhåve tanna sidhyatıtyåha –

navacchidrak®tå dehå¢ sravanti galikå iva •naiva brahma na ©uddhaµ syåtpumånbrahma na vindati •• 1.56 ••

dehå jñånakåra~ıbh¥ta©arırå~i navacchidrak®tå vi\ayasråviv®-timannavendriyagha†itåni • tatra d®≤†ånta¢ • galikå iva cchidragha-†å iva sarvadå jñånaµ sravantıtyartha¢ • tåd®©avi\ayapravaãacita-sya brahma na ©uddhaµ syåditi naiva ı©varatvakart®tvabimbatvådi-gha†itaµ na bhavatıti • tathå ca brahma~i bimbatvådigha†ite pumå-nsukhadu¢khåbhimåninı pratibimbo jıvo brahma na vindatyåna-ndånubhavaµ na pråpnotıtyartha¢ •• tasmådyåvatatvåparok\apa-ryantaµ sådhane yatna¢ kartavyo jåte ca tatvåvabodhe vidhini\e-dhåtıtatvena na ko ’pi yatna¢ kartavya ityabhipråyavånåha –

atyantamalino deho dehı cåtyantanirmala¢ •ubhayorantaraµ jñåtvå kasya ©aucaµ vidhıyate •• 1.57 ••

ityutaragıtåyåµ prathamo ’dhyåya¢

deha¢ påñcabhautiko ’tyantamalino jaƒatvåditi bhåva¢ • de-hyåtmå ni\k®≤†åhaµkårarahita¢ sannatyantanirmalo ’haµkåropå-dhikasaµbandhasaµsårarahita ityevamubhayordehåtmanoranta-raµ kalpitatvasatyatve jñåtvå yo vartate taµ prati kasya ©aucaµvidhıyate dehasya vå åtmano vå • dehasya cejjaƒasya jaƒena jalådi-nå na ©uddhi¢ • åtmana©cetp¥rvameva ©uddhasya na ©aucådinåprayojanamiti bhåva¢ ••

iti ©rıgauƒapådåcåryaviracitåyåmutaragıtåvyåkhyåyåµ

prathamo ’dhyåya¢

*

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå158 1.55

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dvitıyo ’dhyåya¢

ar¥ƒhasyåruruk\o©ca svar¥pe parikırtite •tathår¥ƒhasya bimbaikyaµ kathaµ syåditi p®cchati ••

arjuna uvåca –

jñåtvå sarvagataµ brahma sarvajñaµ parame©varam •ahaµ brahmeti nirde\†uµ pramåãaµ tatra kiµ bhavet •• 2.1 ••

he bhagavanbrahma bimbabh¥taµ caitanyaµ sarvagataµ sa-rvatra parip¥rãaµ sarvajñaµ sarvasåk\ibh¥taµ parame©varaµ sa-rvaniyåmakamiti jñåtvå tatvamasıtyådivåkyato vibudhyåhaµ bra-hmeti pratibimbåtmå jıvo brahmeti nirde\†uµ vaktuµ tatra tasmi-nnaikye kiµ pramåãaµ kimupapådakamityartha¢ •• evaµ p®≤†obhagavånk\ırajalådid®≤†åntenopådhiniv®tåvåtmaikyaµ sambhava-tıtyåha –

©rıbhagavånuvåca –

yathå jalaµ jale k\iptaµ k\ıre k\ıraµ gh®te gh®tam •avi©e\o bhavetadvajjıvåtmaparamåtmano¢ •• 2.2 ••

yathå jale nadyådau jalaµ tadeva påtråduddh®taµ påtropådhi-ta¢ p®thagbh¥taµ tatraiva k\ipte påtropådhiniv®tau mahåjalai-kyaµ pråpnotyevaµ k\ıre k\ıraµ gh®te gh®taµ k\iptaµ satata-daikyaµ pråpnoti tadvajjıvåtmaparamåtmanoravidyådyupådhitobhede ’pi tanniv®tåvavi©e\a¢ saµbhavatıti bhåva¢ •• evamaikyajñå-naµ gurumukhådeva saµbhåvitamavidyånivartakaµ na tu svata-ntravicårasaµbhåvitamiti vadaµstatra “tatvajñånårthaµ sa guru-mevåbhigacchet” iti gur¥påsanåmåha –

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jıve pareãa tådåtmyaµ sarvagaµ jyotirı©varam •pramåãalak\aãairjñeyaµ svayamekågravedinå •• 2.3 ••

svayamadhikåryekågravedinå brahmani\†hena guru~å pramå-ãamupadi\†e pramåãalak\aãai¢ “tatvamasi” “yato vå imåni bh¥tå-ni” “ya¢ sarvajña¢ sarvavit” ityådibhirjıve pareãa paramåtmanå tå-dåtmyamaikyaµ bodhite sati tadanantaraµ svayameva sarvagaµsarvavyåpinamı©varaµ sarvaniyantåraµ jyoti¢ svayaµprakå©å-tmeti vijñeyaµ jñåtuµ yogyamityartha¢ •• evaµ gur¥pade©ånanta-rabhåvijñånenaivopapatau kiµ karmayogeneti p®cchati –

arjuna uvåca –

jñånådeva bhavejjñeyaµ viditvå tatk\a~ena tu •jñånamåtreãa mucyeta kiµ punaryogadhåra~å •• 2.4 ••

he bhagavañjñeyaµ vicåryaµ brahmaikyaµ jñånådeva gur¥pa-di\†ådeva bhavetathå ca viditvå gur¥pade©ånantaraµ tatvaµ jñå-två tatk\a~ena tu vedåntavåkyajanyacaramav®tyutarak\aãamevamucyeta mukto bhavet • evaµ jñånamåtre~a muktyupapatau yo-gadhåra~å karmayogåbhyåsa¢ kiµ puna¢ kiµ prayojanaµ vya-rthatvådityabhipråya¢ •• evaµ karmayogavaiyarthye ©a√kite yåva-tatvajñånaµ na sambhavati tåvadanta¢karaãa©uddhyarthamanu-\†heyaµ karma siddhe ca tasmiñjñåne puna¢ karmånu\†hånaµmå bh¥dityåha –

©rıbhagavånuvåca –

jñånena dıpite dehe buddhirbrahmasamanvitå •brahmajñånågninå vidvånnirdahetkarmabandhanam •• 2.5 ••

he ’rjuna vidvånvivekı jñånena dehe li√ga©arıre dıpite ©uddhetato buddhirni©cayåtmikå brahmasamanvitå cedbrahma~i sthitå ’sa-µbhåvanådirahitå cetadanantaraµ brahmajñånågninå brahmajñå-nånalena karmabandhanaµ karmapå©åµ nirdahetyajedityartha¢ •taduktaµ “jñånågni¢ sarvakarmå~i bhasmasåtkurute ’rjuna” iti •• e-vaµ pråptatatvaikasya tata¢ paraµ kimapi na kåryamityåha –

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå160 2.3

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tata¢ pavitraµ parame©varåkhyam-advaitar¥paµ vimalåmbaråbham •

yathodake toyamanupravi\†aµtathåtmar¥po nirupådhisaµstha¢ •• 2.6 ••

tata¢ tatvajñånånantaramudake mahodake ’nupravi\†amai-kyaµ gataµ toyaµ paricchinnodakaµ tadvatpavitraµ ©uddhaµparame©varåkhyaµ parame©varasåµjñaµ tathåpi vimalåmbarå-bhaµ nirmalåkå©avadasa√gamadvaitar¥paµ sajåtıyavijåtıyasvaga-tabhedarahitaµ brahma paraµ brahmånupravi\†a¢ tadaikyaµ ga-tamata eva paramåtmar¥pa¢ sannirupådhisaµstho bhavedaupådhi-kakart®tvådibhedarahito bhavetsvayaµ ni\kriyå ’’sıtetyartha¢ • gu-~å gu~e\u vartanta iti nyåyåditi bhåva¢ •• evaµ yathoktakarmånu-\†hånadvårå tatvajñåne jåte eva paramåtmatatvaµ jñåtuµ ©a-kyaµ na tata¢ p¥rvamityåha –

åkå©avats¥k\ma©arıra åtmåna d®©yate våyuvadantaråtmå •

sa båhyamabhyantarani©calåtmåjñånolkayå pa©yati cåntaråtmå •• 2.7 ••

åkå©avats¥k\ma©arıra åkå©aµ yathå ’tındriyaµ tadvatparamå-tmå s¥k\ma©arıra¢ s¥k\matvamatråtındriyatvamabhipretaµ tåd®-©a¢ paramåtmå våyuvadvåyuryathå cak\urådivi\ayo na tadvada-ntaråtmå jıvo ’pi na d®©yate tatsvar¥pamatındriyamindriyavi\ayaµna bhavatıtyartha¢ •• manaso ’pramåãatvasådhanåditi bhåva¢ •• ta-rhi tayoraparok\atatvajñånaµ kenetyata åha – “sa båhyamabhya-ntarani©calåtmå yo båhyavi\aye\våbhyantaravi\aye\u ni©calåtmåvi\ayavik\iptacito na bhavati” iti so jñånolkayå vedåntajanyata-tvåparok\av®tir¥pajñånadıpenåntaråtmå ’ntarmukhacita¢ pa©ya-ti tadubhayaikyasvar¥paµ jånåtıtyartha¢ •• iha ke\åµciddar©ana-marcirådimårgeãa lokåntarapråptirmuktiriti tanniråkartum “atrabrahma sama©nute” ityådi©rutyå p¥rvoktajñånino muktisvar¥pa-måha –

yatra yatra m®to jñånı yena kenåpi m®tyunå •yathå sarvagataµ vyoma tatra tatra layaµ gata¢ •• 2.8 ••

dvitıyo ’dhyåya¢ 1612.8

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sarvagataµ sarvavastvavacchinnaµ vyoma åkå©aµ yathåva-cchedakavastunå©e tatraiva mahåvyomni layamaikyaµ pråpnotitathå sarvagato jñånı sarvatra parip¥rãabrahmåbhinna¢ ©arırådyu-pådhinå bhinnatvena vyavahriyamåõo brahmåparok\ajñånı yenakena vå m®tyunå yatra kutråpi vå m®to ’jñånopådånakaµ dehaµjñånena nå©ayati tatra tatraiva brahma~i layamaikyaµ gata¢ prå-pta evetyartha¢ • anena tatvajñånino de©akålådyapek\å mara~e måbh¥diti s¥citam • bh®gvagnyådyapam®tyunimitakapråya©citama-pyåruruk\vadhik®tamiti veditavyam •• ekasyåpi jıvasya dehådyava-cchedakabhedena nånåtvaµ jıvasyå~utvapak\e na saµbhavatıtyå-©a√kya jıvasya vyåpitvaµ sådhayati –

©arıravyåpitaµ vyoma bhuvanåni caturda©a •ni©calo nirmalo dehı sarvavyåpı nirañjana¢ •• 2.9 ••

©arıravyåpitaµ ©arırådisarvadravyavyåpitaµ vyoma åkå©aµ ya-thå caturda©abhuvanåni bh¥rbhuvådıni vyåpitaµ sadvartate evaµni©cala¢ kriyårahito nirmala¢ pari©uddho nirañjana¢ svayaµpra-kå©o dehı jıva¢ sarvavyåpı jaganmåtravyåpıtyartha¢ • jaganmåtra-syåvidyåpari~åmatvena jagadupådånåvidyåpratibimbasyaiva jıva-tvena tasya vyåpitvameva nå~utvamiti bhåva¢ •• evaµ tatvajñåni-no muktisvar¥pamabhidhåya tata¢ paraµ tatvajñånasådhanånu-\†håtustadeva sarvapåpapråya©citamityåha –

muh¥rtamapi yo gacchennåsågre manaså saha •sarvaµ tarati påpmånaµ tasya janma©atårjitam •• 2.10 ••

yo jñånasådhanånu\†håtå manaså saha manaså sådhanena sahamuh¥rtamåtramapi nåsågre yo gacchennåsågre tatvajñånårthaµni©calaµ cak\u¢ kuryåtasya tåd®©ahaµsamudråni\†hasya janma-©atårjitamanekajanmasaµcitaµ sarvaµ yatpåpamasti tatsarvaµpåpmånaµ påpaµ sa yogı tarati nå©ayatıtyartha¢ • taduktam • “ya-sya brahmavicåra~e k\aãamapi pråptaµ mana¢ sthairyatåm” • “ku-laµ pavitraµ jananı k®tårthå vi©vambharå pu~yavatı ca tena” i-tyådi •• muktirdvidhå sadyomukti¢ kramamuktiriti • tatra sadyo-muktir “yatra yatra m®to yogı” ityådinå “atra brahma sama©nuta” i-tyådi©rutyå ca pratipåditå • “brahma~å saha te sarve saµpråpte

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå162 2.8

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pratisaµcare • parasyånte k®tåtmåna¢ pravi©anti paraµ padam” i-tyådibhi¢ pratipåditåµ kramamuktiµ nir¥payitumarcirådimårgaµgantu¢ punaråv®tiråhityaµ dh¥mådimårgaµ gantu¢ punaråv®tiµca nir¥payituµ yogadhåraãayå tadubhayamårgasvar¥pamåha –

dak\i~e pi√galå nåƒı vahnima~ƒalagocarå •devayånamiti jñeyå pu~yakarmånusåri~ı •• 2.11 ••

dak\i~e dehasya dak\iãabhåge vahnima~ƒalagocarå vahnima-~ƒalaµ saµpråptå pu~yakarmånusåri~ı pu~yakarmabhi¢ pråptuµyogyå pi√galå nåma nåƒı m¥lådhårådårabhya dak\iãabhågata¢ sa-hasråraparyantaµ vyåmå yå nåƒı så devayånamiti jñeyå • punarå-v®tirahitårcirådimårga iti jñeyetyartha¢ •• dh¥mamårgapråpakeƒå-nåƒısvar¥pamåha –

iƒå ca våmani©våsasomama~ƒalagocarå •pit®yånamiti jñeyå våmamå©ritya ti\†hati •• 2.12 ••

iƒånåƒı våmani©våsasomama~ƒalagocarå våmanåsåpu†amårge-ãa candrama~ƒalaµ pråpya våmamå©ritya ti\†hati • m¥lådhårådå-rabhya våmabhågata¢ sahasråraparyantå gatå yå nåƒı så pit®yåna-miti jñeyå punaråv®tyanuk¥ladh¥mamårga iti jneyetyartha¢ •• e-vamiƒåpi√galånåƒyo¢ sthånaµ svar¥paµ cåbhidhåya su\um~ånå-ƒısvar¥paµ nir¥payituµ tatsaµbandhinyå brahmada~ƒyå¢ svar¥-pamåha –

gudasya p®\†habhåge ’sminvı~åda~ƒasya dehabh®t •dırghåsthi m¥rdhniparyantaµ brahmada~ƒıti kathyate •• 2.13 ••

asmindehe gudasya m¥lådhårasya p®\†habhåge pa©cimabhågevı~åda~ƒasya dehabh®dvı~åyåstantryådhårabh¥to yo da~ƒa¢ tadå-kårabh®tadvatsthitaµ m¥rdhniparyantaµ sahasråraparyantavyå-ptaµ yaddırghåsthi dırghap®\†habhågasthitaµ tadbrahmada~ƒıtikathyate • brahmaikyapratipådakasu\um~ådhårabh¥tatvåditi bhå-va¢ •• ita¢ paraµ su\um~ånåƒısvar¥pamåha –

tasyånte su\iraµ s¥k\maµ brahmanåƒıti s¥ribhi¢ •• 2.14 ••

dvitıyo ’dhyåya¢ 1632.14

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tasya brahmada~ƒyåkhyasyånte ’gre s¥k\maµ su\iraµ ra-ndhraµ vartata iti ©e\a¢ • tadgatå nåƒı s¥ribhirvivekibhirbrahma-nåƒıti brahmaikyapratipådikå nåƒıti kathyata iti ©e\a¢ •• tåmeva nå-ƒıµ nir¥payati –

iƒåpi√galayormadhye su\um~å s¥k\mar¥pi~ı •tasyågre sarvagaµ sarvaµ yasminsarvaµ prati\†hitam •• 2.15 ••

iƒåpi√galånåƒyormadhye s¥ryar¥pi~ı s¥ryama~ƒalaµ pråptås¥k\mar¥pi~yatis¥k\må bisatantur¥pi~ı m¥lådhårådårabhya svå-dhi\†hånådicakradvårå sahasråraparyantaµ gatå ku~ƒalinı ©aktiri-ti prasiddhå yå su\um~å nåƒı tasyå agra upari sarvaµ sarvåtma-kaµ vi©vatomukhaµ sarvadra\†®sarvagaµ sarvavyåptaµ yatejobrahmajyoti¢ tatprati\†hitaµ vidyata ityartha¢ • “tasyå¢ ©ikhåyåmadhye” iti ©rute¢ • “©ataµ caikå h®dayasya naƒyastasåµ m¥rdhå-namabhini¢s®taikå • tayordhvamåyannam®tatvameti” ityådi ©rute¢ ••su\um~åmårgagatasya brahmapråptiµ nir¥payituµ tasyå¢ ku~ƒa-linyå¢ sakalajagadåtmakatvaµ sakalajagadådhåratvaµ sarvadevå-tmakaµ sarvadevådhåratvaµ cåha –

tasyå madhyagatå¢ s¥ryasomågniparame©varå¢ •bh¥talokå di©a¢ k\etrasamudrå¢ parvatå¢ ©ilå¢ •• 2.16 ••

dvıpå©ca nimnagå vedå¢ ©åstravidyåkalåk\arå¢ •svaramantrapurå~åni gu~å©caite ca sarva©a¢ •• 2.17 ••

bıjaµ bıjåtmakåste\åµ k\etrajñå¢ pråãavåyava¢ •su\um~åntargataµ vi©vaµ tasminsarvaµ prati\†hitam •• 2.18 ••

s¥ryasomågniparame©varå¢ s¥ryama~ƒalasomama~ƒalavahni-ma~ƒalåni tanmadhyasthite©vara©ca • bh¥talokå¢ pañcamahåbh¥-tåni vyomådıni • caturda©abhuvanåni bh¥rbhuva¢svarådıni • di©a¢p¥rvådidi©a¢ • k\etrå~i våråãasyådıni • samudrå lava~ek\ådaya¢ •parvatå©ca mervådaya¢ • ©ilå yajña©ilå©cita©ilådaya¢ • dvıpå ja-mbvådaya¢ • nimnagå jåhnavyådaya¢ • vedå ®gvedådaya¢ • ©åstrå-~i mımåµsådıni • kalå©catu¢\a\†ikalå¢ • ak\arå~i kakårådıni • sva-rå akårådayo • mantrå gåyatryådaya¢ • purå~åni brahmå~ƒådıni •

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå164 2.14

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gu~å©ca satvådaya¢ •• bıjaµ pradhånam • bıjåtmakå mahadåda-ya¢ • k\etraµ jånantıti k\etrajñå jıvå¢ • pråãavåyava¢ prå~ådaya¢ •pañcanågådaya¢ pañcå ’’hatya da©avåyava¢ • sarva ete tasya su\u-m~ånåƒıvi©e\asya madhyagatå yasmåtasmåtsarvaµ kåraãaµ jaga-jjåtaµ su\um~åntargataµ ku~ƒalinı©aktyantarbh¥tamityartha¢ • a-ta eva tasminsarvaµ prati\†hitamiti • “tasyånte su\iraµ s¥k\maµtasminsarvaµ prati\†hitam” iti ©rute¢ •• tasyå¢ sarvajagadutpati-kåraãatvamåha –

nånånåƒıprasavagaµ sarvabh¥tåntaråtmani •¥rdhvam¥lamadha¢©åkhaµ våyumårgeãa sarvagam •• 2.19 ••

sarvabh¥tånåµ sarvaprå~inåmantaråtmani dehe nånånåƒıpra-savagaµ nånånåƒyutpatisthånabh¥tam¥rdhvam¥lam¥rdhvaµ bra-hma tadeva m¥lamutpatisthånaµ yasya tadadha¢©åkhaµ hiraãya-garbhådis®\†iparaµparåkhyådadho ’dha¢pras®tadevatiryagådi©åkhaµvåyumårgeãa prå~åpånådivåyumårgeãa sarvagaµ sarvavyåptaµsajjagadupådånatayå ti\†hatıtyartha¢ •• brahmopåsanasthånataye-taranåƒyådhikyamåha –

dvisaptatisahasrå~i nåƒya¢ syurvåyugocarå¢ •karmamårgeãa su\iråstiryañca¢ su\iråtmakå¢ •• 2.20 ••

våyugocarå våyusaµcårånuk¥lå nåƒya¢ ©irå dvisaptatisahasrå-~i dvyadhikasaptatisahasrå~i karmamårgeãa su\irå¢ punaråv®ti-pråpakasu\iravatyo ’ta eva tiryañca¢ tiryagbh¥tå¢ su\iråtmakå¢ ti-ryaggatå¢ su\iråtmakå randhrapradhånå¢ ••

adha©cordhvagatåståsu navadvårå~i rodhayan •våyunå saha jıvordhvaµ jñånı mok\amavåpnuyåt •• 2.21 ••

adha©cordhvagatå adhobhågam¥rdhvabhågaµ ca gatå¢ sarva-tra vyåptå¢ tåsu nåƒı\u madhye su\umnånåƒyå nava dvårå~i ro-dhayanprå~åyåmena mukhådıni sarvå~i dvårå~i rodhayañjıvo vå-yunå saha su\um~åmårgagatavåyunå sahordhvajñånı brahmåparo-k\ajñånı sanmok\amavåpnuyådbrahmaikyaµ pråpnuyådityartha¢ •“tayordhvamåyannam®tatvameti” ityådi ©ruteriti bhåva¢ •• etasyå¢

dvitıyo ’dhyåya¢ 1652.21

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ku~ƒalinyå¢ sakalajagadådhårakatvena sakalajagadbhåsakatvenacopåsanåµ kartumasyåmeva sarvå~ındrådipurå~i kalpayanti –

amaråvatındraloko ’sminnåsågre p¥rvato di©i •agniloko h®di jñeya©cak\ustejovatı purı •• 2.22 ••

asminnåƒıvi©e\e p¥rvato di©i p¥rvasyåµ di©i nåsågre nåsikå-grabhåge ’maråvatyamaråvatyåkhya indraloka indrådidevavåsabh¥-to loko vartata iti ©e\a¢ • tathånantaraµ cak\urdak\i~anetraµ tejo-vatı tejovatı nåma purıti prasiddha¢ h®di h®daye ’gniloko ’gnyådi-devåvåsabh¥to loko jñeya vartata iti ©e\a¢ •• kiµ ca –

yåmyå saµyamanı ©rotre yamaloka¢ prati\†hita¢ •nair®to hyatha tatpår©ve nair®to loka å©rita¢ •• 2.23 ••

atra ©rotre dak\iãakar~e yåmyå yamasaµbandhinı saµyami-nyåkhya yamaloka yamådidevatåvåsabh¥to loka¢ prati\†hito ’stı-tyartha¢ • atha tatpår©ve dak\iãakar~abhåge nair®to nir®tisamba-ndho nair®tyåkhyo loka å©rito ’stıtyartha¢ •• kiµ ca –

vibhåvarı pratıcyåµ tu p®\†he våru~ikå purı •våyorgandhavatı karãapår©ve loka¢ prati\†hita¢ •• 2.24 ••

pratıcyåµ pa©cimadi©i p®\†he pa©cimabhåge vibhåvarısaµjña-kå våru~ikå purı varuãasambandhinı purı vartata iti ©e\a¢ • karãa-pår©ve våmakarãasamıpe gandhavatı gandhavatıpuryåkhyå våyu-loka¢ prati\†hito ’stıtyartha¢ •• kiµ ca –

saumyå pu\pavatı saumye somalokastu ka~†hata¢ •våmakarãe tu vijñeyo dehamå©ritya ti\†hati •• 2.25 ••

saumye utaradi©i ka~†hata¢ ka~†hade©ådårabhya våmakarãevåma©rotre saumyå kuberasaµbandhinı purı pu\pavatı pu\pavatyå-khyå somaloka evaµ dehamå©ritya ti\†hatıti vijñeya¢ •• kiµ ca –

våme cak\u\i cai©ånı ©ivaloko manonmanı •m¥rdhni brahmapurı jñeyå brahmå~ƒaµ dehamå©ritam •• 2.26 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå166 2.21

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våme cak\u\i våmanetre ai©ånı ı©varasambandhinı manonmanımanonmanyåkhya¢ ©ivaloka¢ ©ivåvåsabh¥to loko jñeya¢ • m¥-rdhni ©irasi brahmapurı brahmaloko jñeya¢ • evaµ brahmå~ƒaµsarvaµ jagajjåtaµ dehamå©ritaµ dehe eva vartata ityartha¢ •• de-he eva lokådikalpanåmåha –

pådådadha¢ ©ivo ’nanta¢ kålågnipralayåtmaka¢ •anåmayamadha©cordhvaµ madhyamaµ tu bahi¢ ©ivam •• 2.27 ••

pådådadha¢ pådådadha¢prade©e ’nanto mahå©e\o vartate • satu kıd®©a¢ • ©ivo rudråtmaka¢ • puna¢ kıd®©a¢ • kålågnipralayåtma-ka¢ • pralayakålågnyåtmaka ityartha¢ • “trilokyåµ dahyamånåyåµsaµkar\aãamukhågninå” iti sm®teriti bhåva¢ • tadadha¢ kiµ varta-ta ityå©a√kyåha – adha©cordhvamiti • adhode©e madhyade©a ¥-rdhvade©e ca bahirde©e ca sarvatrånåmayaµ nirañjanaµ ©ivaµ ma-√galåtmakaµ brahmaiva vartata ityartha¢ •• ©e\oparyatalådiloka-kalpanåmåha –

adha¢ pado ’talaµ vidyåtpådaµ ca vitalaµ vidu¢ •nitalaµ pådasandhi©ca sutalaµ ja√ghamucyate •• 2.28 ••

pada¢ pådasyådhode©e ’talalokaµ vidyåt • pådaµ tu vitalaµ vi-talalokaµ vidu¢ • yogina iti ©e\a¢ • pådasandhiµ tu gulphasthånaµtu nitalaµ vidyåt • ja√ghaµ ja√ghaprade©a¢ sutalamityucyate ••

mahåtalaµ ca jånu syåd¥rude©o rasåtalam •ka†istalåtalaµ proktaµ saptapåtålasaµjñayå •• 2.29 ••

jånu jånude©o mahåtalaµ syåt • ¥rude©o rasåtalaµ vidyåt • ka-†iprade©a¢ talåtalaµ proktaµ saptapåtålådisaµjñayå • evaµ dehå-vayavå¢ saptapåtålådilokasaµjñayå kalpanıyå ityartha¢ •• kiµ ca –

kålågninarakaµ ghoraµ mahåpåtålasaµjñayå •påtålaµ nåbhyadhobhåge bhogındrapha~ima~ƒalam •• 2.30 ••

ghoraµ bhayaµkaraµ kålågninarakaµ kålågnide©avatkålågnyå-kåråsahyanarakade©avadbhogındrapha~ima~ƒalaµ bhogındrå¢ sa-

dvitıyo ’dhyåya¢ 1672.30

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rparåjåna¢ pha~aya itare sarpå¢ te\åµ ma~ƒalaµ sam¥havadya-tpåtålaµ tannåbhyadhobhåge nåbhyadha¢prade©e mahåpåtålasaµ-jñayå ’bhihitamiti vidyåt ••

ve\†ita¢ sarvato ’nanta¢ sa bibhrajjıvasaµjñaka¢ •bh¥lokaµ nåbhide©aµ tu bhuvarlokaµ tu kuk\ita¢ •• 2.31 ••

sa jıvasaµjñako jıvasaµjñåvåñ©e\a¢ sarvata¢ sarvaµ ve\†ita¢sanbibhraµ sansthita¢ ku~ƒalåkåre~åv®tya vartata ityartha¢ ••

h®dayaµ svargalokaµ tu s¥ryådigrahatårakå¢ •s¥ryasomasunak\atraµ budha©ukrakujå√girå¢ •• 2.32 ••

h®dayaµ svargalokaµ vidyåt • tatra s¥ryådigrahå nak\atrå~ica ti\†hantıtyartha¢ • ©e\aµ spa\†am • s¥ryasometyådi s¥ryådigra-hanak\atramityasya vyåkhyånam ••

manda©ca saptamo jñeyo dhruvo ’nta¢ svargalokata¢ •h®daye kalpayanyogı tasminsarvasukhaµ labhet •• 2.33 ••

dhruvo ’nta¢ svargalokata¢ svargalokasyånte dhruvo vartata i-tyartha¢ •• evaµ kalpanåphalamåha – yogı h®daye evaµ s¥ryådi-grahanak\atrådıni kalpayantasminh®di kalpanåvi©e\eãa sarvasu-khaµ labhetatallokagataµ sukhådi pråpnotıtyartha¢ ••

h®dayasya maharlokaµ janolokaµ tu ka~†hata¢ •tapolokaµ bhruvormadhye m¥rdhni satyaµ prati\†hitam •• 2.34 ••

h®dayasyoparıti ©e\a¢ • spa\†amanyat •• evaµ dehe eva sarvalo-kakalpanåmuktvå tallayaprakåramåha –

brahmå~ƒar¥pi~ı p®thvı toyamadhye vilıyate •agninå pacyate toyaµ våyunå grasyate ’nala¢ •• 2.35 ••

åkå©aµ tu pibedvåyuµ mana©cåkå©ameva ca •buddhyahaµkåracitaµ ca k\etrajña¢ paramåtmani •• 2.36 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå168 2.30

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atra tåmasåhaµkårakaryå~åµ p®thvyådınåµ såtvikåhaµkåra-kårye manasi krameãa layakathanaµ manov®tivi\ayatvådhınavya-vaharagocaratvådupacåråditi mantavyam • tacca mano buddhaubuddhirahaµkåre ’haµkåraµ cite citaµ k\etrajñe k\etrajñå¢ pa-ramåtmanyevaµ sarvamåtmani pravilåpayedityartha¢ •• evaµ yo-gåbhyåsena brahmaikyånusandhånavata¢ sakaladuritaniv®tirityå-ha –

ahaµ brahmeti måµ dhyåyedekågramanaså sak®t •sarvaµ tarati påpmånaµ kalpako†i©atai¢ k®tam •• 2.37 ••

spa\†o ’rtha¢ •• jıvanmuktisvar¥pamåha –

gha†asaµv®tamåkå©aµ nıyamåne gha†e yathå •gha†o na©yati nåkå©aµ tadvajjıva ihåtmani •• 2.38 ••

gha†e nıyamåne p¥rvade©ådanyade©aµ pråpyamå~e gha†e na-\†e ca yathå gha†åkå©aµ mahåkå©e aikyaµ pråpnotıti tadvajjıva¢paramåtmanıtyartha¢ •• kiµ ca –

gha†åkå©åmivåtmånaµ vilayaµ veti tatvata¢ •sa gacchati nirålambaµ jñånålokyaµ na saµ©aya¢ •• 2.39 ••

ya åtmånaµ jıvaµ gha†åkå©amiva paramåtmani layaµ gataµtatvata¢ yathårthatayå veti so jñånı nirålambaµ ni¢sa√gaµ jñå-nålokyaµ brahmaprakå©åtmatatvaµ gacchati pråpnoti na saµ©a-ya¢ saµdeho nåstıtyartha¢ •• etasya jñånayogasya kimapi na tulya-mityåha –

tapedvar\asahasrå~i caikapådasthito nara¢ •ekasya dhyånayogasya kalåµ nårhati \oƒa©ım •• 2.40 ••

åloƒya caturo vedåndharma©åstrå~i sarvadå •yo vai brahma na jånåti darvı påkarasaµ yathå •• 2.41 ••

yathå khara©candanabhåravåhobhårasya våho na tu candanasya •

dvitıyo ’dhyåya¢ 1692.42

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evaµ hi ©åstrå~i bah¥nyadhıtya •såraµ na jånankharavadvahetsa¢ •• 2.42 ••

candanabhåravåha¢ ©rıgandhakå\†havåha¢ khara©candanasåra-våho na bhavati tadgandhånna jånåtyevaµ bah¥ni ©åstrå~yadhıtyå-pi såraµ tvajånanbrahma na jånåti kharavacchocyo bhavecchocyoåkro©ya ityartha¢ •• brahmajñånaparyantaµ sarvamanu\†heyaµ jñå-te tu sarvaµ vyarthamityåha –

anantakarma ©aucaµ ca japo yajñastathaiva ca •tırthayåtrådigamanaµ yåvatatvaµ na vindati •• 2.43 ••

dehe bhinne ’pyåtmaikye d®\†åntamåha –

gavåmanekavar~ånåµ k\ırasyåpyekavarãatå •k\ıravatpa©yate jñånaµ dehinåµ ca gavåµ yathå •• 2.44 ••

anekavar~ånåµ ©uklådibhinnabhinnavarãånåµ gavåµ k\ıraµyathaikavarãaµ mımåµsakamate guãavyakterekatvåditi bhåva¢ •tathå bhinnabhinnånåµ dehinåµ jñånaµ brahma ekaµ sadd®©ya-ta ityartha¢ ••

ahaµ brahmeti niyataµ mok\aheturmahåtmanåm •dve pade bandhamok\åya na mameti mameti ca •mameti badhyate janturna mameti vimucyate •• 2.45 ••

mameti mamatåvi\ayatvena svık®taµ sarvaµ bandhåya bhava-ti • na mameti mamatvaµ vihåya tyaktaµ mok\åyaivetyartha¢ •spa\†amanyat •• ahaµkåratyågakåryamapyåha –

manaso hyunmanıbhåvåddvaitaµ naivopalabhyate •yadå yåtyunmanıbhåvaµ tadå tatparamaµ padam •• 2.46 ••

manasa©citasyonmanıbhåvådahaµkåratyågåddvaitaµ naivopa-labhyate • ahaµkåropådhitvådbhedasyeti bhåva¢ • tathonmanıbhå-vaµ mano yadå yåti ni\k®\†åhaµkåracaitanyaµ bhavati tadå tade-

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå170 2.42

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va paramaµ padaµ mok\a ityabhidhıyate •• brahmavicåramaku-rvata¢ sarvaµ vyarthamityåha –

hanyånmu\†ibhiråkå©aµ k\udhårta¢ ka~ƒayetu\am •nåhaµ brahmeti jånåti tasya muktirna jåyate •• 2.47 ••

ityutaragıtåyåµ dvitıyo ’dhyåya¢

yo veda©åstrå~yadhıtya ©rutvåpi nåhaµ brahmeti jånåti tasyasarvå~i ©åstrå~i prayåsakarå~yeva • yathå k\udhårto mu\†ibhiråkå-©aµ hanyåcceti karabha√ga eva jåyate na kimapi phalaµ yathå våtu\aµ ka~ƒayedavahanyåt • avahanana©rama eva phalaµ na tu ta-~ƒulabhåva¢ • tadvanmuktirna jåyata iti bhåva¢ • taduktaµ bhåga-vate “te\åmasau kle©ala eva ©i\yate nånyadyathå sth¥latu\åvadhå-tinåm” iti ••

iti ©rıgauƒapådåcåryaviracitåyåmutaragıtåvyåkhyåyåµ

dvitıyo ’dhyåya¢

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dvitıyo ’dhyåya¢ 1712.47

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t®tıyo ’dhyåya¢

yogı vyarthakriyålåpaparityågena ©åntadhı¢ •t®tıye ©araãaµ yåyåddharimeveti kırtyate ••

©rıbhagavånuvåca –

ananta©åstraµ bahu veditavyam-alpa©ca kålo bahava©ca vidhnå¢ •

yatsårabh¥taµ tadupåsitavyaµhaµso yathå k\ıramevåmbumi©ram •• 3.1 ••

vivekinå yoginå sårabh¥tamadhyåtma©åstramevopåsitavyaµ natvanyada©akyatvådananta©åstraµ paryavasånarahitåni ©åstrå~ıtya-rtha¢ • yathåkathaµcitparyavasåne ’pi bahu veditavyaµ tatåtpa-ryå~i bah¥ni veditavyånıtyartha¢ • jñåtuµ ©akyatve ’pi kåla¢ sva-lpa eva “puµso var\a©ataµ hyåyu¢” iti nyåyåt • tasmådyatsårabh¥-taµ sarva©åstrå~yåloƒya yanni©citamakha~ƒaikarasaµ brahma ta-devopåsitavyam • taduktam “åloƒya sarva©åstrå~i” ityådi • uktaµca harivaµ©e “asatkırtanakåntåraparivartanapåµsulåm • våcaµ ha-rikathålåpaga√gayaiva punımahe” •• tatra d®\†åntamåha – haµsoyathå ’mbumi©ratve ’pyambvaµ©aµ vihåya k\ıramevopådate ta-dvaditi bhåva¢ •• “tasmåtpå~ƒityaµ nirvidya” ityådi©rutyå på~ƒi-tyapraka†anasya brahmopåsanåpratibandhakatvena sarvamapi på-~ƒityaµ heyamityåha –

puråãaµ bhårataµ veda©åstrå~i vividhåni ca •putradårådisaµsåro yogåbhyåsasya vighnak®t •• 3.2 ••

yogåbhyåsasyå ’’tmaikyayogåbhyåsasya vighnak®diti • ©e\aµspa\†am •• kiµ cå ‘‘tmavicåramantare~etara©åstrå~i na vicårayita-vyånya©akyatvådityåha –

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idaµ jñånamidaµ jñeyaµ ya¢ sarvaµ jñåtumicchati •api var\asahasråyu¢ ©åstråntaµ nådhigacchati •• 3.3 ••

sahasravar\aparimitåyu\månapyekaikasya ©åstråsyåntaµ på-raµ bhåvani©cayaµ vå nådhigacchati • kimuta vaktavyamalpåyu¢ •sarvå~i ©åstrå~i nådhigacchatıti •• tarhi sarvamapi vihåyådhiganta-vyaµ vå kiµ tarhi kartavyamå©a√kyåha –

vijñeyo ’k\aratanmåtro jıvitaµ cåpi cañcalam •vihåya ©åstrajålåni yatsåraµ tadupåsyatåm •• 3.4 ••

ak\aratanmåtro nå©arahita¢ satåmåtråtmaka åtmå vijñeya¢ ta-tra vairågyårthaµ jıvitamapi cañcalamiti vijñeyam • “carama©våsa-velåyåµ yatk®tyaµ tatsarvadå kuru” iti nyåyåt • tasmåcchåstrajålå-ni vihåya yatsåraµ tadevopåsyatåmiti •• indriyajaye vairågyaµsvata eva jåyata ityåha –

p®thivyåµ yåni bh¥tåni jihvopasthanimitakam •jihvopasthaparityåge p®thivyåµ kiµ prayojanam •• 3.5 ••

jihvopasthanimitikamåhåravyavåyanimitaµ yatp®thivyåµyåni bh¥tåni santi pråya©a¢ tatparityågı cetp®thivyåµ kimapi pra-yojanaµ nåstıtyartha¢ • “jitaµ sarvaµ jite rase” iti nyåyåt •• eva-måtmasamådhini\†hasya sarvatra brahmadar©anameva nånyadda-r©anamityåha –

tırthåni toyap¥r~åni devånpå\åãam®nmayån •yogino na prapadyanta åtmadhyånaparåya~å¢ •• 3.6 ••

tırthasnånådinå devatåp¥jådinå cådhyåtmasamådhau siddhe pu-nastena kiµ prayojanamiti bhåva¢ • spa\†amanyat •• yogina¢ sa-rvatra brahmadar©anamevetyetadadhikåribhedenopapådayati –

agnirdevo dvijåtınåµ munınåµ h®di daivatam •pratimå svalpabuddhınåµ sarvatra samadar©inåm •• 3.7 ••

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå174 3.3

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dvijåtınåµ karmakå~ƒaratånåmagnireva daivatam • munınåµmanana©ılånåµ yoginåµ h®di h®tkamalamadhye sthito ’nantam¥rti-reva daivatam • svalpabuddhınåµ pråk®tånåµ tu m®tpå\å~ådiprati-maiva daivatam • samadar©inåµ tvår¥ƒhånåµ “sarvaµ khalvidaµbrahma” iti ©rutyå sarvamapi daivatamevetyartha¢ •• tasmåjjñåne-naiva jñåtavyaµ jñånåbhåve brahma na pa©yatıtyåha –

sarvatråvasthitaµ ©åntaµ na prapa©yejjanårdanam •jñånacak\urvihınatvådandha¢ s¥ryamivoditam •• 3.8 ••

sarvatråvasthitaµ sarvatra parip¥rãamapyajño na pa©yati • ta-tra heturjñånacak\urvihınatvåjjñånåkhyacak\¥rahitatvåt • tatra d®-\†åntamåha – andha ityådi • spa\†o ’rtha¢ •• sarvaµ khalvidaµ bra-hmeti tadupapådayati –

yatra yatra mano yåti tatra tatra paraµ padam •tatra tatra paraµ brahma sarvatra samavasthitam •• 3.9 ••

yatra yatra mano yåti yadyadvi\ayı karoti tatra tatra paraµ sa-rvotk®\†aµ padaµ pråpya sthånaµ paraµ brahmaiva samavasthi-tam • gha†a¢ sphuratıtyådisphura~ånubhavåditi bhåva¢ •• etåd®©a-sya yogina¢ sarvamapi pratyak\atayå bhåsata ityåha –

d®©yante d®©i r¥på~i gaganaµ bhåti nirmalam •ahamityak\araµ brahma paramaµ vi\~umavyayam •• 3.10 ••

paramaµ sarvotk®\†amak\aramapak\ayarahitamavyayaµ nå©a-rahitaµ vi\~uµ paramåtmånamahamityabhedenaiva yo bhåvayatitasya bhåvayiturd®©i jñåne r¥på~i d®©yante nåmar¥påtmakåni jaga-nti bhåsanta ityartha¢ • gaganamapi nirmalaµ bhåsate tathå ca sa-rvamapi pratyak\e~ånubhavatıtyartha¢ • iyaµ cåruruk\åvasthåyå-mantaråpatitå yogasiddhiriti tatvajñå varãayanti • år¥ƒhasya bra-hmani\†hatvenaitaddar©anåyogåt • “yå ni©å sarvabh¥tånåm” iti sm®-te¢ •• antaråpatitåmapya~imådisiddhimanapek\ya brahmani\†ha e-va bh¥yådityåha –

d®©yate cetkhagåkåraµ khagåkåraµ vicintayet •

t®tıyo ’dhyåya¢ 1753.11

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sakalaµ ni\kalaµ s¥k\maµ mok\advåreãa nirgatam •• 3.11 ••

apavargasya nirvåãaµ paramaµ vi\~umavyayam •sarvajyotirniråkåraµ sarvabh¥tagu~ånvitam •• 3.12 ••

sarvatra paramåtmånaµ brahmåtmå paramavyayam •• 3.13 ••

khagåkåraµ haµsåtmakaµ paraµ brahma “haµso vidhi¢ ©a-√kara eva haµsa¢ haµsa©ca vi\~urgurureva haµsa¢” ityådi sm®te-rd®©yate cedyadi prakå©eta tarhi svayaµ brahmåtmå parabrahmå-tmaka¢ sansakalaµ tejomayaµ ni\kalaµ kalåtıtaµ s¥k\maµ pra-må~ågamyaµ mok\advåreãa nirgataµ mok\amårgaikagamyam •apavargasya nirvåãaµ mok\asukhåtmakaµ paramotk®\†aµ vi\~uµvyåpakamavyayaµ nå©arahitaµ sarvato jyotiråkå©aµ sarvata¢ sva-yaµprakå©aµ sarvabh¥tådhivåsinam sarvåntarniyåmakam • para-måtmånaµ khagåkåraµ haµsåtmakaµ vicintayeddhyåyeditya-rtha¢ •• evaµ vicintayitu¢ påpale©o ’pi nåstıtyåha –

ahaµ brahmeti ya¢ sarvaµ vijånåti nara¢ sadå •hanyåtsvayamimånkåmånsarvå©ı sarvavikrayı •sarvaµ ni\iddhaµ k®tvåpi karmabhirna sa badhyate •• 3.14 ••

ya¢ sarvadå sarvamahaµ brahmeti vijånåti sa sarvå©yapi sarva-ni\iddhabhak\yapi sarvavikrayı sarvani\iddhavikrayyapımånkåmå-nari\aƒvargånhanyåjjayet • sarvaµ ni\iddhaµ karma k®tvåpi tai-rni\iddhakarmabhirna badhyate ca •• k\aãamåtraµ vå brahmadhyå-narata¢ sannånyatsukhaµ cintayedityådi –

nimi\aµ nimi\årdhaµ vå ©ıtå©ıtanivåraãam •acalå ke©ave bhaktirvibhavai¢ kiµ prayojanam •• 3.15 ••

©ıtå©ıtanivåraãaµ yathå tathå ©ito\~asukhadu¢khådidvandva-sahi\~utayå nimi\aµ nimi\årdhaµ vå ke©ave bhaktiracalå cedvi-bhavairbhaktivyatiriktavi\ayasukhai¢ kiµ prayojanamiti •• etåd®-©o yogı yadi mok\amapek\eta tarhi nånyavi\ayacintåµ kuryådityå-ha –

uttaragıtå gauƒapådıyadıpikå†ıkåyutå176 3.11

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bhik\ånnaµ deharak\årthaµ vastraµ ©ıtanivåraãam •a©månaµ ca hira~yaµ ca ©åkaµ ©ålyodanaµ tathå •samånaµ cintayedyogı yadi cintyamapek\ate •• 3.16 ••

yogı cintyaµ mok\aµ yadyapek\eta tarhi deharak\a~årthamevabhik\ånnaµ cintayenna tvindriyaprıtyarthamityartha¢ • vastraµ ©ı-tanivåra~årthaµ cintayenna tvalaµkårårtham • a©månaµ på\åãaµhira~yaµ suvarãam ca ©åkaµ ©ålyodanaµ ca heyopådeyavai\a-myaråhityena cintayedityartha¢ •• kiµ ca –

bh¥tavastunya©ocitvaµ punarjanma na vidyate •• 3.17 ••

ityutaragıtåyåµ t®tıyo ’dhyåya¢

bh¥tavastuni nirgatavastunya©ocitvaµ gatamiti du¢kharåhitye si-ddha upalak\aãametat • ågåmivastuni nirapek\atve siddhe vartamåna-vastuni labdhe har\aråhitye siddhe ca punarjanma na vidyata iti ••

åtmayogamavocadyo bhaktiyoga©iroma~i¢ •taµ vande paramånandaµ nandanandanamı©varam ••

iti ©rıgauƒapådåcåryaviracitåyåmutaragıtåvyåkhyåyåµ

t®tıyo ’dhyåya¢

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t®tıyo ’dhyåya¢ 1773.17

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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Finito di stampare nel mese di Febbraio 2017 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA

Via Poggio Mirteto, 4 – 02100 Rieti

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La raccolta Testi della Conoscenza Tra-dizionale presenta alcune importanti opere della Tradizione metafisica indiana tradot-te direttamente dal Sanscrito, alcune per la prima volta.

La Uttaragıtå è un importante testo sa-cro tradizionale che tratta della conoscenza e della realizzazione del Brahman, repu-tata ideale continuazione sia della Bhaga-vadgıtå che della Anugıtå.

Rappresenta un testo a sé, dalle carat-teristiche ben definite e distinte da quelle delle altre due gıtå principali, rispetto alle quali forma una sorta di supplemento in-tegrativo, ed è tradizionalmente annovera-ta tra quelle opere indipendenti dai filoni primari della Sm®ti, la Tradizione ‘ram-mentata’ di ordine umano, e della Âruti, la Tradizione ‘udita’, di ordine superumano, ma che ad esse si riallacciano nel contenuto essenziale.

Il termine gıtå vuol dire ‘canto’, da intendersi nel senso di un componimento poetico a sfondo spirituale in cui la istru-zione viene conferita nel corso di un dia-logo tra istruttore e discepolo; l’aggettivo uttara va inteso nel senso di ‘successivo’, ma anche come ‘superiore’, quindi ‘premi-nente’ e, per estensione, ‘conclusivo’. In tal senso la Uttaragıtå costituisce l’essenza ul-tima della istruzione, l’insegnamento fina-le, quello definitivo, basato principalmente sulla conoscenza (jñåna), per quanto vi siano inclusi anche diversi elementi tratti dallo Ha†hayoga, dal Ku~ƒaliniyoga, ecc.

Essa espone la via per la liberazione in una maniera bensì assai sintetica, quasi criptica, anche attraverso astrusi simboli-smi, ma, nello stesso tempo, ne dà una de-

scrizione minuziosa approfondendo nei dettagli l’insieme di diversi metodi – quali meditazione, respirazione, concentrazione, risveglio della energia alla base o altre ‘tecniche’ – impartendo così anche diretti-ve di carattere pratico.

Nella Uttaragıtå si forniscono gli ap-propriati mezzi per arrivare a conoscere Ciò che è ed attualizzarlo coscientemente e quindi per essere, prima attraverso la medi-tazione poi con una reale e definitiva presa di coscienza, ciò stesso che si conosce.

La meditazione è fondamentale perché porta a trascendere la nostra natura mor-tale, cioè la stessa condizione individuata, ma è un mezzo diretto, adatto a pochi. Vi sono però anche numerosi mezzi indiretti e, tra loro, vi è una gradazione, ogni tipolo-gia rivelandosi idonea per una particolare conformazione mentale.

L’opera è distribuita in tre Capitoli per un totale di 121 sintetici versi; pur non complessi, il loro senso ultimo può appa-rire talora astruso e, senza una approfon-dita conoscenza del Vedånta e dello Yoga, ma soprattutto a prescindere dalla illumi-nante spiegazione di Gauƒapåda, esimio advaitin, Maestro del Maestro di Âa§kara e promulgatore della ‘dottrina della non-generazione’ – sua è la celebre ‘Trattazione esplicativa’ (kårikå) della Må~ƒ¥kya Upa-ni\ad – potrebbe rivelarsi arduo comprende-re il significato essenziale di molti dei s¥tra.

A una coscienza matura e sinceramen-te protesa alla realizzazione del Brahman la Uttaragıtå e le parole di Gauƒapåda sa-pranno imprimere un vigoroso stimolo alla intuizione e offrire un efficace strumento operativo.