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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXVIII - Numero 3 - Maggio-Giugno 2010
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Rivista di enologia, gastronomia e turismo Anno XXVIII - Numero 5 - Settembre-Ottobre 2010
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speciale VenetoDott. Gianni Zonin
Il Raboso del Piave: un’interpretazione al femminile Luisella Rubin 8
Calabria enogastronomica: tipicità mediterranea Saverio Scarpino 12
I terroir del Barbera - Lorenzo Tablino 16
Il Moscato di Scanzo DOCG - Roberto Vitali 20
Una bevanda che ama la compagnia - Enza Bettelli 24
La terra del vino dei re - Giancarlo Roversi 28
Diario di un viaggio: il mito della Borgogna - Davide Zanette 33
Le notizie di enogastronomia e turismoa cura della redazione di Quality ADV 36
Cantine Nicosia: dall’Etna a Vittoria la Sicilia del vino che guarda al futuro a cura della redazione di Quality ADVa cura della redazione di Quality ADV 40
Cibo e territori protagonisti al Salone Internazionale del Gusto - Luca Bernardini 42
44
19° Merano International WineFestival - a cura della redazione di Quality ADV 122
Stelle del Piemonte - Una squadra di grandi Chef - a cura della redazione di Quality ADV 124
Anteprima dei vini di Bolgheri - Virgilio Pronzati 126
Il grande dei vini Toscani: il Vin Santo Luca Iacopini e Massimo Bracci 130
L’opinione del Presidente Pag. 2
Peccato che il vino non si possa fisicamente accarezzare - Roberto Rabachino 4
L'opinione di Marcello Masi 6
In famiglia 134
La Segreteria Comunica 144
ComuniCazione istituzionale
ENOGASTRONOMIA • TURISMO • CURIOSITà
SCIENZA • TECNICA • APPROFONDIMENTI
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ariospeciale Veneto
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 52
Un fatto che dovrebbe destare una certa preoccupazione collettiva, avvenuto in questi giorni, mentre scrivo, ma per voi che leggete è datato luglio,
non ha avuto la diffusione che merita attraverso i mezzi di comunicazione/informazione, mi riferisco alla vicenda della semina illegale di mais transgenico in Provincia di Pordenone; in pratica uno o forse più agricoltori, sembra, che abbiano seminato del mais transgenico, compiendo una grave violazione della legge in quanto un Decreto Legislativo (il 212 del 24 aprile 2001) prevede, tra l’altro, che la semina di piante geneticamente modificate debba essere appositamente autorizzata e in mancanza di tale necessaria quanto preventiva autorizzazione s’incorre a pesanti sanzioni quali la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o a un’ammenda fino a 51.700 euro. Tali disposizioni di legge mirano a garantire i prodotti dell’agricoltura così detta convenzionale dalla contaminazione con quelli transgenici onde evitare danni all’ambiente, oltre che all’Uomo, perché è bene ricordare che ancora oggi non abbiamo prove sufficientemente convincenti che gli alimenti provenienti da prodotti geneticamente modificati non abbiano “controindicazioni” sulla salute, così come non si conoscono le conseguenze sulla nostra agricoltura che potrebbero in futuro rivelarsi molto gravi. E pensare che l’Italia è anche il maggiore produttore di alimenti provenienti da agricoltura biologica; anche se sarebbe proprio il caso di fare una precisazione: è troppo generico e fuorviante il termine “biologico”, come quando cerchiamo di distinguere l’acqua “naturale” da quella frizzante, come se la seconda fosse “innaturale”. Forse un termine più appropriato potrebbe essere quello adottato in alcuni Paesi, tipo “agricoltura organica” oppure “agricoltura ecologica”, in quanto mettono in evidenza i principali aspetti distintivi dell’agricoltura biologica, ovvero la conservazione della sostanza organica del terreno, l’intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale. Infatti la filosofia che sta dietro a questo modo di coltivare le piante e allevare gli animali non è unicamente legata all’intenzione di offrire prodotti senza residui di composti chimici di sintesi, pesticidi e diserbanti, garantendo così alimenti privi di qualsiasi residuo tossico, ricchi di qualità nutrizionali e gusto, ma anche alla fondata volontà di non determinare impatti negativi sull’ambiente a livello d’inquinamento di acque, terreni e aria. Se tutto questo è vero allora dobbiamo pretendere il diritto alla verità in quanto consumatori a cui vengono venduti i prodotti alimentari, così come gli agricoltori che li forniscono devono anche garantire la “qualità edibile” su cui è fondata anche la
qualità della vita di tutti e pertanto è un nostro diritto, così come un dovere di chi è preposto al controllo, comprendere se la qualità delle sementi così come la qualità delle tecniche alle quali gli agricoltori dovrebbero essere abituati ad applicare sulla base di una sorta di senso comune che deriva dalla tradizione erudita del passato, siano produttrici di vita vera, di autenticità: se il grano è ancora oggi tale e quale a quello consumato dai nostri padri e se le nostre mucche siano ancora tali e via discorrendo. Non vorrei che si pensasse a quesiti gravidi di retorica: vogliamo la certezza che tutto ciò che viene messo a dimora, che germoglia o che viene allevato sia realmente espressione dell’esemplare originale che è stato al centro dello sviluppo e della cultura da parte degli agricoltori per secoli. Oppure qualcuno ci deve dire se qualcosa è cambiato. E se sì, cosa è mutato? È importante poi ricordare che l’agricoltura biologica è quella che l’uomo ha utilizzato ancor prima che l’industria chimica inventasse i fertilizzanti, le sostanze azotate e i fitofarmaci. In ogni caso, da un punto di vista energetico, l’agricoltura biologica è comunque meno dipendente da idrocarburi, contribuisce alla fertilizzazione continua dei terreni anziché favorire processi di desertificazione come nel convenzionale (i quantitativi di fertilizzanti sono in costante aumento a parità di resa) e sopratutto cosa più importante “il biologico” tutela la biodiversità dell’ecosistema ambientale. Come ho avuto modo già di dissertare in un altro mio precedente scritto, non va però dimenticato il problema della fame nel mondo che non dipende da un’insufficiente produzione agricola bensì da un’iniqua distribuzione di essa. Anzi nei paesi occidentali ogni giorno vengono buttate quantità inimmaginabili di derrate alimentari. In realtà è l’attuale sistema di produzione agricolo intensivo che nel lungo ciclo, a causa anche degli ingenti consumi d’idrocarburi per la coltivazione e per il trasporto dei beni da una parte all’altra del globo, a non essere sostenibile. L’agricoltura biologica nasce da un differente schema culturale, critico verso il classico sistema produttivo, e come tale deve essere analizzato presupponendo un cambiamento che va ben oltre l’utilizzo o meno di fertilizzanti di sintesi. L’agricoltura biologica su scala industriale, che si limita a seguire il disciplinare di produzione per ottenere la certificazione e l’etichetta senza rispettare il principio dell’auto pianificazione, appare un controsenso a chi lo vede come inscindibile dal concetto di biologico. Mi congedo augurando la consueta serenità e che il vostro calice sia sempre colmo.
Presidente Vittorio Cardaci Ama
per comunicare con il Presidente:presidente@fisar.com
Il senso della verità e dell’informazione
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 3
Rivista di Enologia, Gastronomia e Turismo
Organo Ufficiale della F.I.S.A.R.Federazione Italiana Sommelier
Albergatori RistoratoriRic. di Pers. Giuridica PI. n° 1070/01 Sett. I del 9.5.01
Editore: Vittorio Cardaci AmaPresidente Nazionale FISARe-mail: presidente@fisar.com
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tramite spedizione gratuita in abbonamento postale.
La rivista è associata al USPIUnione Stampa Periodica Italiana
Hanno collaborato a questo numeroMarcello Masi, Giancarlo Roversi,
Enza Bettelli, Gudrun Dalla Via, Virgilio Pronzati,Luca Iacopini, Massimo Bracci, Silvana Delfuoco,
Saverio Scarpino
Per la fotografiaOliviero Toscani, Saverio Scarpino,
Roberto Rabachino, Enza Bettelli, Alberto Doriae immagini di Redazione.
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Oggi la rappresentazione d’uso del
vino può dar stimolo in particolare a
due letture speculari: una che sfrutta
l’immagine tradizional-culturale del bere,
mirando ad associare tale pratica a momenti
di relax, ai piaceri della tavola, della tradizione;
l’altra si presta come stimolatrice di nuovi piaceri
sovversivi, ribelli, disinibiti facendosi carico
dell’istanza di divertimento, trasgressione,
libertà. Quest’ultima lettura naturalmente errata
ed estrema.
Terreno comune a queste interpretazioni è la
nostra cultura, una cultura del bere dalle radici
antiche, intessuta di elementi mitici e misteriosi,
e per questo luogo privilegiato di costruzione
di mondi ideali nei quali riordinare l’esperienza,
definire gli eventi attraverso anche la ricerca di
una estetica del vino e della possibilità della sua
misurazione estetica.
Riprendendo un’analisi sviluppata da Luigi A.
de Caro si può affermare che la prospettiva
dell’estetica entra in scena non appena il vino
viene considerato non già una mera cosa (un
puro oggetto di natura, un prodotto chimico),
né meramente un alimento, o un farmaco, o una
merce, ma un oggetto estetico, cioè un oggetto
dotato di valore estetico.
L’atto che mira a cogliere e misurare il valore
estetico del vino è la degustazione, consistente
nel valutare le qualità estetiche dell’oggetto,
mediante un esame delle sensazioni visive,
olfattive, gustative, tattili, che esso può offrire.
Della degustazione, intesa come ricerca e
fruizione del valore estetico, vengono distinte
due forme: una forma emotiva, mirante al
godimento emozionale, e una forma giudicativa,
mirante al giudizio, alla conoscenza del valore.
Naturalmente, non è necessario fare il giudice
per assumere il vino come oggetto estetico.
Un oggetto estetico deve lasciarsi apprezzare
per le proprie qualità di limpidezza, trasparenza,
struttura, equilibrio, calore, armonia, eleganza e
possibilità di condivisione.
Poiché il vino mostra, esibisce, questi valori è un
oggetto estetico che spiritualmente ognuno ha
la possibilità di “accarezzare”.
Peccato che il vino non si possa fisicamente
accarezzare
Il vino è tra i prodotti di consumo il demarcatore di contesto per eccellenza, associato - più degli altri -
ad insiemi ricorrenti di elementi sociali, situazionali e culturali “
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per comunicare con il Direttore:direttore@ilsommelier.com
di Roberto Rabachino
Kurhaus5. - 8.11. 2010
www.meranowinefestival.com
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 56
Il simbolo della nostra identità nazionale è
il cibo. La notizia arriva da un sondaggio
commissionato dalla Coldiretti in occasione
dei festeggiamenti per i 150 anni dall’unità
d’Italia. Per il 50 per cento degli intervistati le
prelibatezze enogastronomiche dello stivale
rappresentano il simbolo di maggior successo
del made in Italy. Seguono l’arte e la cultura
con il 24 per cento delle preferenze, la moda
11 per cento, fino ad un 2 per cento riservato al
calcio. Al di là delle suggestioni positive legate
alla buona tavola che rallegrano la vita di tutti il
comparto enogastronomico anno dopo anno,
indubbiamente, sta guadagnando importanza
e coscienza di se. L’agroalimentare è infatti un
settore in continua crescita che rappresenta il
15 per cento del Pil nazionale, con un valore
di 250 miliardi di euro. Le imprese agricole
sono quasi 900 mila e rappresentano il 17 per
cento delle imprese attive nel Paese. Siamo i
primi produttori europei di riso, frutta e ortaggi
freschi; il secondo produttore di vino, mosti,
uova e pollame; il terzo produttore di carne
bovina e frumento, solo per fare qualche
esempio. Inoltre l’agricoltura italiana vanta il
primato dei prodotti tipici con 206 prodotti a
denominazione o indicazione di origine protetta
riconosciuti dall’Unione Europea. Le nostre
Regioni, inoltre, hanno censito ben 4471
specialità tradizionali. Tutto questo ben di Dio,
come è facile immaginare, attira ogni anno un
gran numero di appassionati. L’Unioncamere
attraverso il suo istituto di ricerca sul turismo,
Is.Na.R.T, ha valutato un flusso di 11 milioni
di turisti enogastronomici presenti in Italia ogni
anno. Una cifra destinata a crescere, ma che già
ci permette di essere leader in Europa. L’offerta
enogastronomica italiana attira da sola il 7 per
cento degli stranieri che scelgono l’Italia per le
proprie vacanze, con un impatto economico
stimato in 1,5 miliardi di euro spesi nel 2009.
E a tale proposito sono sempre più frequenti le
richieste di itinerari personalizzati per visitare e
cantine e aziende di produzione agricola, anche
di breve soggiorno. In poche parole non solo
gli stranieri ci apprezzano a tavola, ma vogliono
anche approfondire la conoscenza dei nostri
prodotti attraverso un rapporto diretto con
l’uomo o la donna che c’è dietro un etichetta
amata. Infine a conclusione di questo lungo
snocciolare di numeri e cifre un breve paragrafo
dedicato alla pirateria agroalimentare. La
“
L’Italia è nel piatto
e nel bicchiere di Marcello MasiVice Direttore TG2 RAI
e responsabile rubrica Eat Parade
Nel mondo 3 prodotti di tipo italiano su quattro sono falsi, con un danno di decine di miliardi di euro ogni anno
”
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 7
contraffazione dei nostri prodotti
cresce di pari passo con
l’affermazione del made in Italy.
Nel mondo 3 prodotti di tipo
italiano su quattro sono falsi, con
un danno di decine di miliardi di
euro ogni anno.
Ebbene, con i numeri sopracitati,
i successi incontestabili delle
nostre eccellenze, le prospettive
economiche che possono attivare
in più settori, ci aspetteremmo
più attenzione dalla politica e dai
suoi palazzi per questa grande
risorsa del Paese e di tutti noi.
Registriamo, invece, dibattiti
infiniti, per carità importanti
e legittimi, su stabilimenti
automobilistici. Discussioni
appassionanti, ma sterili, su leggi
elettorali, costituzionali e degli enti
locali. Legittimi impedimenti, leggi
bavaglio, riforme e controriforme.
Una politica vivace e polemica
che continua ad autoalimentarsi,
ma che non sembra accorgersi
di una parte sana del Paese,
una parte grande, che lavora e produce a testa
bassa con fatica e creatività. Non si accorge
che buona parte del nostro prestigio nel mondo
è dovuta proprio a questi uomini e donne. Non
vuole capire che per rilanciarsi dalla crisi si deve
agire, sui nostri punti forza, e tra questi i più
forti di tutti sono l’enogastronomia e il turismo.
Per farlo dobbiamo aiutare tutte quelle persone
che da troppi anni soffrono dell’indifferenza dei
legislatori e dei governi. Un’indifferenza troppo
spesso diventata solitudine. Rubare braccia
all’agricoltura oggi non è più una battuta di
spirito, è una bestemmia. I produttori agricoli
moderni sono gente preparata, colta, capace di
cogliere molto spesso, più e prima degli altri,
tendenze ed esigenze. Oggi questo mondo
poliedrico e pieno di risorse chiede per il bene
di tutti maggiore attenzione e considerazione
e soprattutto interventi in grado di metterlo
in condizione di dare il meglio. Chiede tutela
riguardo alla pirateria e leggi internazionali in
grado di sconfiggerla. Chiede meno burocrazia
e più efficienza amministrativa. Chiede
trasparenza e nuove normative in grado di
aiutarlo a poter competere nel mondo. Non
ascoltarlo sarebbe un errore imperdonabile,
davvero imperdonabile.
Giuseppe Arcimboldo - Vertumnus
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 58
Vitigno autoctono, a bacca nera, di origini antichissime, il Raboso Piave ha trovato la sua culla naturale nel Veneto Orientale da
circa 3000 anni. Protagonista incontrastato della pianura trevigiana sino alla metà degli anni sessanta del secolo scorso, ora viene coltivato solo in un centinaio di ettari da pochi appassionati produttori delle Grave del Piave, che hanno investito molto in questa varietà. Intorno agli anni novanta, proprio grazie alla loro passione, all’interessamento di Enti promotori e alla costituzione della” Confraternita del Raboso Piave”, ha preso avvio un’azione intensa di recupero, valorizzazione e rilancio del Raboso Piave, la cui coltivazione, tra gli anni cinquanta Piave, la cui coltivazione, tra gli anni cinquanta e sessanta, subì una significativa contrazione a
favore dell’introduzione di vitigni internazionali, allora più rispondenti alle esigenze di mercato.Attualmente la sua coltivazione si estende nell’intera provincia di Treviso, dai Colli del Montello e di Conegliano, fino a tutta la vallata del fiume Piave, la cui zona di elezione viene individuata da sempre nell’ area ghiaiosa-sabbiosa della sua sponda sinistra e in quella argillosa di San Donà e Noventa di Piave e nella provincia di Padova dove è conosciuto con il nome di Friularo.Il Raboso Piave storicamente legato alla gente delle terre attraversate dall’omonimo fiume, è il vino della memoria nella tradizione contadina e della cultura locale, espressione autentica di un specifica territorialità.specifica territorialità.L’origine del suo nome, secondo le documentazioni
Ha un profumo che ricorda le violette di campo, la marasca e la mora selvatica. Da giovane si presenta di
corpo robusto, tannico e aspro, ma con l’invecchiamento e la maturazione in legno acquista armonia e nobiltà
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Il Raboso del Piave: un’interpretazione
al femminiledi Luisella Rubin
Consigliere Nazionale
storiche, può essere riconducibile alla forma dialettale”rabioso”, ossia arrabbiato, aggettivo utilizzato per descriverne il carattere un po’ rustico, acido e selvatico. C’è poi chi sostiene che il nome derivi da un piccolo affluente del fiume Piave.Era considerato dai mercanti veneziani “vin da viajo”(vino da viaggio), un vino robusto e resistente, che grazie alla sua capacità di conservarsi a lungo, per una presenza ricca di tannini ed un’alta percentuale di acidità, era adatto al trasporto sulle navi della Serenissima Repubblica di Venezia. Nasce da un’uva forte, che germoglia presto e matura tardi, la si vendemmia infatti a fine ottobre o inizio di novembre.Il vino che ne deriva, è di color rosso rubino con riflessi granati che diventano sempre più intensi con il trascorrere del tempo. In passato per il suo colore carico veniva utilizzato come vino da taglio.Ha un profumo che ricorda le violette di campo, la marasca e la mora selvatica. Da giovane si presenta di corpo robusto, tannico e aspro, ma con l’invecchiamento e la maturazione in legno acquista armonia e nobiltà. Resta il vino più rappresentativo dell’intera area DOC Piave, il cui disciplinare ne prevede un invecchiamento obbligatorio di tre anni, di cui uno in botte.È un rosso scorbutico, difficile da domare, che a causa del suo carattere forte, vede i suoi produttori impegnati in una sfida continua, per produrlo, comunicarlo e commercializzarlo.Il suo ricordo indelebile, ha indotto una imprenditrice vinicola ad interpretarlo con passione ed amore, secondo una visione moderna, mantenendo saldo, però, un legame con il passato.Un’impresa impegnativa e non priva di ostacoli
quella che la brava produttrice Emanuela Bincoletto, ha intrapreso dal 1995, quando entrata nell’azienda agricola “Tessere”, fondata dal padre nel 1979, nel cuore della DOC Piave, ha dovuto lavorare sodo, con competenza, determinazione e sensibilità femminile, per ottenere un vino Raboso di ottima qualità. Il suo spirito innovativo ha trasformato i vigneti da tradizionali ad alta intensità, su sistema di allevamento a guyot, coltivati sulle argille di San Donà di Piave, Grassaga e Noventa di Piave (Ve). Si estendono su una superficie di circa 15 ettari, una piccola realtà, dove, nel rispetto della natura, viene praticata una coltivazione biologica. Già da alcuni anni, l’introduzione dell’antica tecnica agronomica del sovescio, metodo naturale ed efficace per fertilizzare il terreno, contribuisce a salvaguardare il territorio e i suoi prodotti dall’uso di concimi chimici.Il suo obiettivo principale è quello di ottenere una produzione ricercata di un vino di qualità superiore, che le consenta di entrare in un mercato di nicchia, nel quale il Raboso Piave possa essere rilanciato ed apprezzato.La ridotta produzione per ceppo, volta a migliorare la qualità dell’uva e del vino, l’utilizzo di tecniche moderne in vigna ed in cantina, con un occhio sempre attento alla tradizione e l’attuazione di una comunicazione efficace del prodotto, costituiscono le linee guida della sua filosofia aziendale.Ma l’eccellenza del Raboso Piave Doc sarà rappresentata dal “Malanotte”, un Raboso Superiore Piave Doc, il cui nome deriva da una nobile famiglia di Tezze di Piave, che per due secoli ha attuato grandi innovazioni nella viticoltura delle terre del Piave, producendo vini di ottima qualità.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 510
Emanuela Bincoletto
Vendemmiato per la prima volta nel 2008, sarà in commercio alla fine del 2011. Il disciplinare che ne regola la produzione prevede che una parte dell’uva tra il 15% e il 30% sia sottoposta ad un particolare appassimento, per smussare le caratteristiche spigolose del Raboso Piave. L’invecchiamento minimo è di 3 anni, di cui uno interamente in botte. Sarà un grande vino, destinato nei prossimi anni a fregiarsi della DOCG.La produzione dell’azienda Tessere, circa il 65% è riservata al Raboso Piave e la rimanente è rappresentata da Pinot bianco, Chardonnay, Merlot e Cabernet.Conta complessivamente 50.000 bottiglie, che vengono esportate per la maggior parte negli Stati Uniti, Canada, Olanda, Germania e Svizzera.Il suo Barbarigo 2005, prodotto da uve Raboso, affinato in tonneau di rovere francese per 18 mesi, è un’espressione armoniosa delle caratteristiche tipiche dell’uva: acidità, tannini e profumi selvatici.La struttura importante sostenuta da tannini vivaci e da una giusta acidità, lo rende un vino di grande personalità, paragonabile ai grandi rossi italiani. Si abbina con carni rosse, selvaggina, anguilla e formaggi stagionati.Il fiore all’occhiello, frutto della passione e della ricerca dell’azienda Tessere, interpretato in modo perfetto, affinato per quasi due anni in botte, è il Raboso Passito “Rebecca”, il cui nome di donna, è stato scelto dalla produttrice proprio perché ricorda caratteristiche, espresse dal vino, che sono tipicamente femminili: giusta dose di dolcezza e chiara forza di carattere.L’annata 2004 rivela al naso delicati, ma intensi profumi di marasca, uva passa e note balsamiche.Un ottimo equilibrio di sensazioni tanniche e acidule, di misurata dolcezza, lo rendono un vino di rara specialità, che in numerose degustazioni alla cieca, ha sostenuto il confronto con importanti Recioto della Valpolicella, riscuotendo grande successo.Si accompagna bene alla pasticceria secca, al cioccolato, ai formaggi stagionati. È pure un eccellente vino da meditazione.Il percorso innovativo, di ricerca e di sperimentazione che Emanuela ha intrapreso, coadiuvata dal suo bravo enologo Federico Giotto, continua. A Natale uscirà uno spumante metodo classico, prodotto da uve Raboso Piave della vendemmia 2007. Una grande novità!L’attiva imprenditrice fa parte dell’associazione “Donne del Vino”,del “Movimento del Turismo del Vino”, della “Confraternita del Raboso Piave” e di “Fattorie Didattiche”, la cui appartenenza rappresenta per l’azienda Tessere, un impegno importante, fondamentale per un progetto di crescita e di miglioramento della produzione e della comunicazione di un vino, che asseconda le esigenze di un mercato sempre più attento alla qualità, alla tipicità e al giusto rapporto qualità-prezzo.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Consorzio per la Promozione del MARCHIO STORICO DEI VINI REGGIANI
REGGIANO DOCCOLLI DI SCANDIANO e di CANOSSA DOC
EMILIA IGT
Via Gualerzi, 8 • 42124 Reggio EmiliaT. 0522 508903•F. 0522 508919
vini.reggiani@re.camcom.itwww.vinireggiani.it
Soci aderenti:
La Provvidenzadi Meglioraldi Stefanodi Meglioraldi Stefano
Morodi Rinaldini Paoladi Rinaldini Paola
Reggiana S.S.di Ferrari e Colorettidi Ferrari e Coloretti
Azienda Prati Vini
Ca’ De Medici
Cantina Sociale di Rolo
Cantina Sociale Centro di Massenzatico
Cantina Sociale di Arceto
Cantina Sociale di Carpi
Cantina Sociale di Gualtieri
Cantina Sociale Prato di Correggio
Cantina Sociale di Puianello e Coviolo
Cantina Sociale Masone - Campogalliano
Cantina Sociale S. Martino in Rio
Cantine Due Torri nella Val D’Enza
Cantine Lombardini
Cantine Riunite & CIV
Casali Viticultori
Donelli Vini
Ferrarini
Medici Ermete e Figli
Nuova Cantina Sociale di Correggio
Venturini Baldini
sico
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097/10_1/2pag_Sommelier_CVR:097/10 1/2 Pag x Sommelier 27-0
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Tra i paesi che si affacciano sul bacino
del mediterraneo, la Calabria è quello
che oggi esprime il suo meglio in
quasi tutte le variabili costituenti il settore
enogastronomico.
L’amore per le tradizioni è ormai diventato un
punto di forza e gli operatori calabresi lo sanno.
È proprio questa consapevolezza con l’ausilio di
una visione innovatrice che consente al settore
enogastronomico di stare al passo con i tempi
e di proporre, sempre più, prelibatezze sia sotto
il profilo del gusto, sia sotto quello della qualità
dei prodotti.
Negli ultimi decenni questo settore ha raggiunto
importanti risultati. Il fattore che più d’ogni altro
ha permesso di conseguire tali successi è
sicuramente la valorizzazione dei prodotti della
tradizione, per un’offerta enogastronomica che
gli amanti della buona tavola apprezzano e
ricercano oggi sempre di più. Più specificamente,
nell’ambito enologico, questo fenomeno
diventa tangibile degustando i vini oggi presenti
sul mercato. Si può constatare che le aziende
vitivinicole già da tempo capiscono come
raggiungere i livelli di eccellenza e come dare
respiro ai conti economici aziendali, un po’
asfittici in questi ultimi anni di crisi internazionale.
Calabria enogastronomica:
tipicità mediterranea
Ormai dappertutto in questi territori, i menù proposti dai ristoratori, sono rappresentativi
della cultura culinaria tradizionale calabrese“”
di Saverio Scarpino
12
I funghi della Sila
Nulla poteva essere lasciato al caso, e neanche
l’importante storia di questi territori che hanno
lasciato un segno distintivo nel DNA di queste
genti appartenute all’antica Magna Grecia,
terra vocata all’agricoltura e alla coltivazione
della vite, tanto da esserne così caratterizzata
da assumerne, da tempi immemorabili, una
precisa connotazione come terra del vino,
ovvero “Enotria”. È chiaro che parlando di
vino in Calabria ci riferiamo ai vitigni autoctoni
Gaglioppo e Magliocco per i vini rossi e Greco
per i bianchi. Questi vitigni sono alla base di quasi
tutte le 12 DOC (Bivongi, Cirò, Donnici, Greco
di Bianco, Lamezia, Melissa, Pollino, Sant’Anna
di Isola Capo Rizzuto, San Vito di Luzzi, Savuto,
Scavigna, Verbicaro) e delle 13 Igt (Condoleo,
Esaro, Valle del Crati, Valdamato, Lipuda, Val
di Neto, Arghillà, Costa Viola, Locride, Palizzi,
Pellaro, Scilla, Calabria). Ma non è tutto,
esistono altre straordinarie realtà, che sebbene
di nicchia, vanno assolutamente evidenziate. È
il caso del Moscato di Saracena, straordinario
passito prodotto soltanto nell’omonimo paese
situato nell’area del Pollino a due passi da
Castrovillari. Il colore è ambrato e al naso offre
straordinari sentori di miele, fichi secchi e frutta
esotica. È ottimo da abbinare alla pasticceria
secca, ai formaggi stagionati ed è altrettanto
azzeccato come vino da meditazione. La
particolarità di questo moscato è quella di
essere prodotto secondo una metodologia che
Vigneti di Moscato di Saracena
si tramanda ormai da centinaia di anni. Le uve
dei tre vitigni autoctoni che lo compongono
(Malvasia, Guarnaccia e Moscatello) sono
accuratamente raccolte a mano e selezionate,
e la loro vinificazione avviene separatamente.
Al mosto della Malvasia e della Guarnaccia,
che viene concentrato mediante cottura, viene
successivamente aggiunto quello del moscatello
ottenuto mediante appassimento. Le uve di
quest’ultimo vitigno, infatti, vengono raccolte
ed poste ad appassire su appositi graticci
per diverse settimane. Quando poi gli acini
raggiungono il giusto grado di disidratazione
vengono schiacciati, operazione che per alcuni
produttori viene tassativamente fatta a mano,
e quindi, aggiunti al mosto concentrato. Unica
precauzione per questo vino e quella di non
farlo invecchiare: le sue qualità si apprezzano al
meglio se viene bevuto nei primi due anni.
Ci riferiamo ad una Calabria dai gusti mediterranei,
e non potrebbe essere diversamente, con 11
strade del vino e dei sapori che costantemente lo
testimoniano con le loro attività promozionali.
Ormai dappertutto in questi territori, i menù
proposti dai ristoratori, sono rappresentativi
della cultura culinaria tradizionale calabrese.
Nella grande o piccola Sila, per esempio,
la cucina annovera svariate ricette a base
di profumatissimi funghi porcini, così
comunemente denominati ma appartenenti
alla famiglia dei Boletus Edulis che da queste
parti gli antichi romani chiamavano Suillus” e
che gli attuali calabresi continuano a chiamare
“Silli”. Nelle Serre e nell’Aspromonte troviamo i
famosi salumi tra i quali ricordiamo la famosa
“Soppressata” e la N’duja, entrambi caratterizzati
da quel peperoncino piccante che in Calabria
ha trovato la sua patria naturale. Cosi come i
formaggi, dai pecorini ai caprini, tutti da gustare
in tavolozza, con un magnifico e selezionato
Gaglioppo. E per finire, uno sguardo particolare
va alle località di mare, dove oltre alle bellezze
paesaggistiche del territorio si può trovare il
classico pescato mediterraneo, che abbinato
ad un fresco Greco bianco dà soddisfazione ai
palati più esigenti e contribuisce a mantenere
un’alimentazione corretta.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 514
I formaggi della Calabria
Moscato di Saracena
Tipo di Vino: Moscato passito
Zona di produzione: Parco Nazionale del Pollino,
Comune di Saracena
Sistema di allevamento: Controspalliera
Varietà delle uve: Malvasia, Guarnaccia, Moscato
Vendemmia: Manuale tra fine settembre e inizio
ottobre (per il passito raccolta anticipata ed
appassimento su graticci
Vinificazione: Pressatura soffice (Vinificazione
separata tra Malvasia e Guarnaccia e Moscato)
Caratteristiche organolettiche: Alla vista si presenta
con un colore ambrato e brillante. Ha profumo
caratteristico del moscato, intenso. Sentori di miele,
fichi secchi e frutta esotica. Sapore dolce, aromatico,
morbido e molto fine.
Gradazione alcolica: 16% vol
Temperatura di servizio: 18 °C
Abbinamento: Pasticceria secca, cioccolato e
formaggi stagionati.
Durata: Vino da bersi preferibilmente giovane
(entro due anni)
15
Fondata nel 1950 da Giustino Bisol, la cui famiglia vanta una secolare tradizione nonchè profonde radici nella
cultura vitivinicola nel territorio di Valdobbiadene, la cantina Ruggeri è nata per valorizzare, con la spumantizzazione, i vini Prosecco e Cartizze. La cantina oggi possiede oggi 12 ettari vitati a Prosecco, Pinot Grigio e Chardonnay, e un piccolo vigneto di Cartizze, e si avvale della collaborazione di un centinaio di agricoltori del comune di Valdobbiadene. Fra questi, 25 dispongono anche di uve di Cartizze, e infatti Ruggeri è la cantina che opera la maggior pigiatura di quest’uva particolarmente pregiata, ricercata ed unica proveniente da vigneti di alto pregio ricadenti nelle storiche frazioni di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, da sempre riconosciute come l’apice qualitativo dell’intera Docg. All’eccellenza dei vigneti di Valdobbiadene contribuisce la presenza di
numerose viti vecchie e, talvolta, vecchissime che possono essere definite “la memoria del territorio” e che, grazie al loro importante apparato radicale, riescono a bilanciare i più diversi andamenti climatici tipici di quelle colline, assicurando anno dopo anno una elevata costanza qualitativa. L’eccellenza della produzione e i principi tecnici e qualitativi che hanno sempre guidato il modo di operare della famiglia Bisol sono anche serviti come indirizzo per alcuni valenti enologi che si sono formati operando sotto la loro guida e anche per questo motivo, e non solo perché è stata una delle prime a produrre spumante in autoclave, si può veramente affermare che la cantina Ruggeri ha contribuito a “fare” la storia del Prosecco di Valdobbiadene. Un ulteriore motivo di vanto è dato dal fatto che il loro Prosecco Superiore Docg Extra Dry Giustino B. (nome del fondatore della cantina) è stato selezionato per essere servito al G8 dello scorso anno a L’Aquila.
La Cantina Ruggericompiesessant’anni
Da una vigna storica, 4.950 bottiglie numerateper celebrare lo storico compleanno
di una delle più antiche cantine di Valdobbiadene
a cura della redazione di Quality ADV
“”
SSSSessant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma essant’anni ricchi di impegni e di soddisfazioni, come afferma Paolo Bisol Paolo Bisol Paolo Bisol titolare della cantina: cantina: cantina: “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto “Sono orgoglioso e felice di aver raggiunto questo traguardo di eccellenza, frutto
di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad di un costante e preciso impegno volto sempre alla qualità del prodotto. Siamo riusciti ad ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia ottenere tutto questo anche grazie al reciproco rapporto di stima, collaborazione e fiducia che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un che si è creato coi nostri agricoltori conferenti del comune di Valdobbiadene (più di un centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando centinaio), rapporti iniziati da mio padre Giustino negli anni ’50 che ora sto portando avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.avanti con i miei figli Giustino ed Isabella”.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
I terroir del Barbera
In questo ultimi anni è cresciutomolto l’interesse verso questo vino,
in particolare verso i terroir maggiormente vocati“”
di Lorenzo Tablino
16
Vigneti di Barbera nel Monferrato
Barbera: uno dei principali vitigni a bacca
nera del Piemonte, il piu’ coltivato
nelle province di Asti e Alessandria.
Ma e’anche il nome di vino che assume
denominazioni diverse a secondo delle doc-
docg originate.
Barbera: maschile o femminile che sia, è Barbera: maschile o femminile che sia, è
sempre, popolare, tradizionale, quotidiana,
rustica e vigorosa. Oggi assume ad un nuovo
risorgimento grazie ad un netto miglioramento
qualitativo ed ad una nuova immagine correlata
anche all’intelligente attività promozionale di
numerosi enti pubblici e privati.
In Piemonte è l’uva maggiormente a dimora: In Piemonte è l’uva maggiormente a dimora:
C M Y CM MY CY CMY K
origina 9 d.o.c. e 2 docg su oltre 12800 ettari
di superficie per una produzione globale di oltre
500.000 hl di prodotto.
Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato
superiore sono le sono le ultime docg.
In questo ultimi anni è cresciuto molto l’interesse
verso questo vino, in particolare verso i terroir
maggiormente vocati.
D’altronde, dal 2000, sono state legalmente
definite tre sottozone storiche, riguardo alla
Barbera d’Asti docg.
Sono “Nizza”, “Tinella” e “Colli Astiani o Astiano”.
È possibile menzionarle in etichetta.
Vediamo quali sono, allora, le sottozone migliori
per la Barbera limitandoci alle tre denominazioni
piu’note Alba, Asti e Monferrato.
Intendiamo i luoghi ove hanno acquistato, da
sempre, le uve mediatori e produttori. Dove la
domanda supera l’offerta, quindi si spuntano i
prezzi più elevati.
Considerando le vigne con esposizione migliore
(i classico sorì a sud-ovest), con le massime
somme termiche, con terreni vocatissimi,
(calcare, argilla e microelementi in primis), con
altre condizioni microclimatiche favorevoli.
Dove i gradi zuccherini del mosto sempre al
massimo e il colore della buccia nelle annate
buone è solo un meraviglioso velluto bleu.
Null’altro.
Tutto racchiuso in termini francesi intraducibili,
ma stupendi: terroir se riferito a macrozone,
cru se a microzone, (quasi sempre un gruppo
di vigne). Barbera Alba: Quella proveniente da
Monforte - Serralunga d’Alba ha molto colore,
come in genere la Barbera dei paesi vicini,
(siamo nella zona del Barolo). Mentre quella
di Govone, Guarene e Castellinaldo d’Alba
ha molta eleganza e finezza. Nel comune di
Monforte, Pian Romualdo, da tempo, è un cru
famoso. Mitica la Barbera ottenuta. Per decenni,
queste pregiate uve sono state acquistate
dall’enol. Beppe Colla della ditta Prunotto
di Alba. Stesso discorso per la sottozona
Baudana di Serralunga d’Alba. Tra Castellinaldo
e Guarene, nel Roero, pertanto sulla riva sinistra
del fiume Tanaro, troviamo la sottozona “Baraco
de Baranco”, valorizzata, su alcune etichette.
Mentre alla frazione” Madonna di Cavalli”, non
lontano da Canale, le uve barbera danno un
vino dalla incredibile eleganza. Una curiosità:
In queste sottozone particolari e in genere in
tutto l’albese, nelle annate buone e dopo un
invecchiamento, la Barbera può assumere
profumi e sapori particolari che fanno pensare
al Barolo, perciò si dice che “ nebbioleggia.”.
Barbera d’Asti: Spostiamoci di dieci-quindici
chilometri e troviamo il terrior per eccellenza
per detto vino. È quello compreso tra i comuni
di Montegrosso d’Asti, Vinchio, Vaglio,
Castelnuovo Calcea, Agliano, Nizza Monferrato,
Monbercelli. Qui si producono Barbere ricche
di potenza, estratto, acidità fissa, colore. Atte,
anche a lunghi invecchiamenti, in specie nei
grandi millesimi. È il triangolo magico tra i fiumi
Tanaro e Tiglione conosciuto da molti decenni
dai vecchi mediatori di uve e commercianti di
vini.
Barbera Monferrato: sono note, da tempo, le
barbere di Rosignano e San Giorgio Monferrato,
di Vignale e Moncalvo d Asti. Vini di grande
struttura, estratto, perfetti nel loro equilibrato,
con profumi fruttati di grande profilo.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 518
Vigneti in Montegrosso d'Asti
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Ha un solo difetto il Moscato di Scanzo
Docg. Che è poco. Si produce sulle prime
colline a nord della città di Bergamo, su
una superficie vitata che per ora è ferma a 30 ettari,
tutti esclusivamente nel territorio del Comune di
Scanzorosciate. Il risultato è che i 22 soci imbottigliatori
del Consorzio che li riunisce arrivano a malapena a
produrre e mettere in commercio 60 mila bottiglie da
mezzo litro di questo eccezionale vino rosso passito,
ottenuto esclusivamente dalla vinificazione delle uve
provenienti dall’omonimo vitigno
autoctono.
Se la sua produzione è poca (ma
piano piano crescerà, assicurano
i responsabili del Consorzio
di tutela), lunga è la storia di
questa che è tra le più piccole
denominazioni vitivinicole a livello
nazionale. Nel suo testamento
che risale al marzo 1350, il noto
giureconsulto bergamasco Alberico
da Rosciate (1290-1354) scrisse
testualmente: “Lascio al figlio
Tacino la Bersalenda, ove si coltiva
il moscato rosso”. In un carteggio
del 1372 il vescovo feudatario
della Tribulina di Scanzo fa cenno
alla quantità di “moscadello”
che i coloni dovevano fornire
al feudatario. Nel Settecento l’architetto Giacomo
Quarenghi, che ideò i più grandiosi monumenti di
San Pietroburgo, ne fece dono alla zarina Caterina di
Russia che lo gradì moltissimo. Nel 1850 il Moscato
di Scanzo era l’unico vino italiano quotato alla Borsa
di Londra.
Il Moscato di Scanzo ha ottenuto la Doc nel 2002 e
da quell’anno possono produrre e commercializzare
vino con questa denominazione solo produttori che
operano all’interno del Comune di Scanzorosciate.
Nel 2009 è stata concessa la Docg,
diventando così la quinta Docg
della Lombardia, dopo le bollicine
di Franciacorta e Oltrepò Pavese, i
grandi rossi di Valtellina con le Docg
Sforzato e Valtellina Superiore.
Classico vino passito da meditazione,
nasce da un vitigno autoctono
selezionato negli Anni Settanta
del secolo scorso. La produzione
massima consentita di uva è di 70
quintali per ettaro. I grappoli raccolti
sono stesi su graticci sia in ambienti
naturali sia in ambienti condizionati
a temperatura inferiore ai 15 gradi e
umidità controllata. Dopo almeno 21
giorni di appassimento, si procede
alla sgranatura e pigiatura. Non
tollerando il legno, viene invecchiato
Il Moscato di Scanzo DOCG
I grappoli raccolti sono stesi su graticci sia in ambienti naturali sia in ambienti condizionati a temperatura
inferiore ai 15 gradi e umidità controllata“di Roberto Vitali
20
”
Valcalepio Rosso D.o.c. | Valcalepio Rosso Riserva D.o.c.Valcalepio Bianco D.o.c. | Moscato di Scanzo D.o.c.
Grappa Moscato di ScanzoVisita il nuovo shop on-line: www.ilcipresso.info
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Questo è vino.
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Domenica 21 novembre 2010 ~ Domenica 5 dicembre 2010
dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 18.00
siamo aperti per la visita alla cantina e degustazioni
in contenitori di acciaio. Può essere
commercializzato dopo due anni
dalla vendemmia, a partire dal 1.o
novembre. Ha colore rosso rubino
carico con riflessi porpora. Aromi
preponderanti di frutti di bosco,
marasche, salvia sclarea, rosa
canina e leggeri accenni di spezie
e frutta secca. Ottimo centellinato
da solo, si sposa bene con la
pasticceria, soprattutto secca.
Cosa cambia adesso con
l’assegnazione della Docg?
«Sul piano pratico poco -
risponde il presidente del
Consorzio, Giacomo De Toma - nel senso che
per noi l’obiettivo della Denominazione garantita
era soprattutto una questione di prestigio. I
produttori continuano a fare il loro lavoro come
prima. Il disciplinare è stato migliorato con alcune
puntualizzazioni e quindi vi saranno più controlli
sulla produzione e sulla filiera, con maggiori
garanzie per il consumatore. Certo, la Docg
contribuirà a far apprezzare questa minuscola ma
bellissima zona collinare, ancora, per certi versi,
sconosciuta».
«Nell’ultimo decennio anche in Italia si è sviluppato
l’enoturismo - aggiunge Paolo Bendinelli, uno
dei produttori più noti e per anni
presidente del Consorzio - e quindi
potrebbe avere una certa attrattiva
anche la nostra zona dove, nel
raggio di qualche chilometro, sono
concentrati tutti i produttori. A
Scanzo sono nati negli ultimi mesi
un albergo, alcuni ristoranti e sei
aziende di agriturismo, e tutto per
merito del Moscato».
In piena sintonia con il Consorzio
ma con l’interessamento e la
partecipazione diretta del Comune
e di altri operatori privati è nata nel
2004 la “Strada del vino e dei sapori
scanzesi” (tel. 035.654712, fax 035.656228,
www.stradadelvinoscanzo.it). Ha lo scopo di
promuovere e sviluppare le potenzialità turistiche
di Scanzorosciate, in particolar modo legate
al turismo enogastronomico. L’associazione si
propone come punto di riferimento per turisti
individuali, gruppi e operatori, garantendo un
supporto tecnico-organizzativo per ricevere
informazioni e servizi, costruire itinerari e scoprire
più da vicino le svariate opportunità che può offrire
quest’area - situata all’inizio della Val Cavallina -
da sempre vocata sì alla viticoltura ma non solo.
Merito dell’opera dell’uomo, che su queste famose
colline di Scanzo ha prodotto magnifici
muretti a secco, una fitta trama di strade
minori, chiesette e tribuline che si trovano
un po’ in tutto il territorio. Un paesaggio
agreste, bucolico, che i proprietari terrieri
hanno reso ancor più affascinante,
costruendovi fabbricati agricoli e
residenziali, ville e palazzi di campagna,
di elevato gusto architettonico, di
raffinata eleganza, ammirati dai cultori
dell’arte. Negli ultimi anni, proprio sulla
collina, sono sorte numerose aziende
agrituristiche, che puntano a richiamare
gli enoturisti all’assaggio dei prodotti
tipici bergamaschi.
Non manca, però, una preoccupazione:
che la Docg faccia lievitare il prezzo del
Il Presidente del Consorzio Giacomo De Toma
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 23
nettare di Scanzo. In effetti, una bottiglia (da
mezzo litro) costa mediamente 30 euro.
Angelica Cuni, imprenditrice agguerrita e
innamorata di questa terra, componente del
direttivo del Consorzio, afferma: «Escluderei
aumenti di prezzo, soprattutto in questo momento
di congiuntura generale. Vale comunque sempre
il fatto che un prodotto al massimo delle sue
caratteristiche deve avere un certo costo. Di fronte
alla qualità il consumatore attento e buongustaio
non si ferma al prezzo».
«Il costo del nostro vino – aggiunge Stefano
Locatelli, azienda Fejoia – è determinato anche
dalle difficoltà che incontriamo nel coltivare e
raccogliere su queste balze collinari spesso
in forte pendenza, tipo Valtellina. Crediamo
comunque nel nostro prodotto di qualità e
vogliamo tutti insieme fare squadra per farlo
conoscere all’estero, dove possiamo avere nuovi
sbocchi, come ho avuto personalmente modo di
verificare negli Stati Uniti. Da sfatare è inoltre la
convinzione purtroppo diffusa che questo sia un
vino da regalare solo per Natale. Un vino così può
dare gioia ogni giorno e in ogni circostanza».
Info:Consorzio di tutela Moscato di Scanzo
DOCG - www.consorziomoscatodiscanzo.it
Palazzo Roccabruna – Trento, via SS. TrinitàTel. 0461 887101 – www.enotecadeltrentino.it
Ogni giovedì e sabato scopri i vini e i prodotti del nostro territorio.
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Il Principato delle Asturie è situato al nord
della Spagna ed è una regione molto verde,
ricca di fiumi e ruscelli e con alcune sorgenti
minerali. Gli Asturiani bevono quindi volentieri
la loro buona acqua e l’eccellente latte delle
mucche allevate al pascolo, ma preferiscono
il sidro, preparato in casa probabilmente già
in epoca pre-romana, di sicuro durante l’Alto
Medioevo. Inizialmente la produzione era
casalinga, piccoli quantitativi per il consumo
della famiglia che sono via
via aumentati, passando
dalle tradizionali botti
fino alle bottiglie durante
la metà del XIX secolo,
quando il sidro veniva
sì imbottigliato ma
non etichettato e con
il nome del produttore
inciso sul tappo, fino alla
Denominazione di Origine
“Sidra de Asturias” del
2003.
Il sidro si ricava dalla
polpa di mele lasciata
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Una bevanda che ama la compagnia
Antico, probabilmente antichissimo, il sidro è la bevanda tipicadelle Asturie e viene prodotto in varie tipologie che consentono
abbinamenti a tutto menu, ma per rispettare la tradizionebisogna berlo fuori casa e mai da soli
“ Antico, probabilmente antichissimo, il sidro è la bevanda tipica“ Antico, probabilmente antichissimo, il sidro è la bevanda tipica
”
di Enza Bettelli
24
Sidreria ad Oviedo
fermentare per 48-60 ore, quindi pressata per
estrarne il succo che si lascia riposare pià o meno
per 24 mesi a circa 12°C. Si utilizzano fino a 20
tipi diversi di mele, mescolando le varietà più
dolci coltivate lungo la costa con quelle più acide
o amare dell’interno. Dopo la fermentazione, il
sidro raggiunge una gradazione di circa 5-6 gradi
e mantiene l’aroma delicato della mela, fresco e
fruttato. Può essere Naturale, cioè la tipologia
tradizionale, secco e leggermente acidulo,
versato nel tipico e ampio bicchiere cilindrico
di vetro sottilissimo e molto leggero tenendo il
braccio il più in alto possibile. È un modo antico
e spettacolare di servire il sidro sul quale però
i moderni produttori non sono tutti d’accordo.
Il sidro da Tavola ha colore giallo dorato ed è
www.faravetrerie.it
UNA PERSONALITÀCHE TRASPARE
IN OGNI OCCASIONE
vino e olio birra e liquori
acqua e bibite caffè e gelato
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 526
fermo, filtrato, meno acidulo e viene servito nei
normali bicchieri a calice. Quello Spumeggiante è
trasparente, con delicate bollicine e gusto meno
acidulo, da servire nella flûte, mentre quello Brut
si ottiene facendo fermentare il sidro Spumante
con metodo champenois. Distillando il succo
fermentato si ottiene l’Aguardiente de Manzana,
un profumatissimo distillato di circa 40 gradi che
viene lasciato invecchiare da un minimo di un
anno fino a circa 9 anni, prima in botti di legno e
poi in bottiglia.
Nelle Asturie sono presenti circa un centinaio
di produttori, alcuni dei quali dislocati lungo le
diverse Strade del Sidro. Tuttavia, questa bevanda
asturiana è più diffusa al centro della regione e non
si beve a casa ma fuori e in compagnia e viene
considerata l’unico prodotto “sociale” al mondo.
Le sidrerie sono numerose nelle città, addirittura
a Oviedo nella Calle Gascona vi si trovano solo
questi locali. I più tradizionali sono quelle dove
il sidro viene attinto dai clienti direttamente dal
beccuccio (espicha) delle enormi botti collocate
bene in vista. Nelle sidrerie più moderne viene
invece spillato dai commensali dal cannello di cui
ciascun tavolo è dotato.
Le mele tipiche per ottenere il Sidro nel Principato delle Asturie
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Matrimonio di gustoNelle Asturie è presente una piccola
produzione vinicola nella zona di Cangas, un
vino che risale al Medioevo e introdotto dai
monaci, bianco e rosso, oggi IGP. Tuttavia il
consumo di vino in Asturie è inferiore rispetto
quello di sidro che nel 2008 è stato in totale
9,5 milioni di litri e pro capite 8,7 litri. I frutti
di mare e i primitivi percebes pescati lungo
le coste asturiane sono l’accompagnamento
più tipico del sidro Naturale che accompagna
perfettamente anche i molti formaggi locali,
come il Cabrales DOP e i salumi più tradizionali
come El Chosco IGP ottenuto con carne di
maiale aromatizzata con paprica e aglio e poi
affumicata. Ancora sidro Naturale con le ricche
zuppe e i succulenti stufati a base di carne,
fagioli e insaccati mentre con la cacciagione
da penna, ugualmente tipica e molto diffusa, si
serve preferibilmente il sidro da Tavola. Il sidro
va bevuto alla temperatura di 10-11 gradi ed è
tenuto in fresco non in frigorifero ma nell’acqua
che, nelle sidrerie più attrezzate, scorre in
continuazione lungo la parete a vespaio che
accoglie le bottiglie.
Dopo essere sbarcati all’aeroporto
Charles De Gaulle a Parigi con uno dei
tanti voli di Air France collegati con le
maggiori città italiane, un comodo e rapido TGV
in partenza dall’aerostazione porta, in neppure
un’ora, nella regione dello Champagne, una terra
particolarmente amata dai sovrani di Francia.
Una terra che offre al visitatore tante attrattive
naturali, artistiche, storiche, gastronomiche.
Ma soprattutto lo Champagne, il “vino dei re”,
che deve la sua fortuna e la sua fragranza alla
particolare composizione gessosa del suolo,
capace di trattenere acqua garantendo così
alla vite una buona vegetabilità nonostante la
latitudine proibitiva.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
La terra del vino dei re
Aube en Champagne:la culla del Rosé des Riceys “ ”
di Giancarlo Roversi
28
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
I primi vigneti furono impiantati in Champagne in
epoca romana, fra il I e il IV secolo d. C., ma è nel
Medio-Evo sotto l’impulso dei monaci viticoltori
della regione, che lo champagne diventa famoso.
L’invenzione della tecnica di spumantizzazione
viene attribuita al leggendario Dom Pérignon,
monaco benedettino dell’abbazia d’Hautvillers.
Le uve utilizzate nella sua produzione sono lo
Chardonnay, che dona finezza ed eleganza, il
Pinot Nero, che apporta la struttura e gli aromi,
e il Pinot Meunier, cui va il merito di accrescere
la ricchezza e la complessità aromatica con
particolare riguardo al retrogusto fruttato. Le
aree di coltivazione sono cinque: la Montagne
dei Reims, la Côte des Blancs, la Vallée de la
Marne, la Côte de Sézanne e Aube. Con una
attenta zoomata focalizziamo il nostro sguardo
proprio sull’Aube, il dipartimento più a sud della
Champagne dove si coltiva quasi esclusivamente
Pinot Nero da cui si ottiene un vino di carattere,
rotondo e dagli aromi complessi.
Troyes e le case a graticcio L’Aube non significa solo Champagne ma anche
arte e storia a ogni passo. Nel suo territorio
si annoverano infatti 142 monumenti storici
ufficialmente riconosciuti e altri 226 censiti, 5 siti
riconosciuti e 18 censiti e un centro storico di
grande suggestione, quello di Troyes la capitale
del dipartimento. Importante anche il patrimonio
di archeologia industriale, legato allo sviluppo
dell’industria della maglieria nel XIX secolo.
Troyes conquista il visitatore fin dal primo
approccio con la sua sorprendente e rilassante
bellezza, fatta di edifici antichi incredibilmente
sbilenchi, dalle facciate color pastello
segmentate da un sapiente reticolo di travature
di quercia. Sono le case à colombage, ossia a
graticcio ligneo, che rappresentano l’orgoglio
della città, interessate da oltre un trentennio
di un’attenta e imponente opera di restauro,
che sta restituendo al centro storico l’impianto
e il volto architettonico dei secoli XV e XVI. Di
grande interesse anche le grandi chiese gotiche
impreziosite da splendide vetrate istoriate come
la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo, quelle di St.
Nizier, St. Urbain, St. Remy e St. Nicolas.
Senza dimenticare il Museo d’arte Moderna,
situato nell’antico palazzo dei vescovi, dove
sono esposte 2000 opere che rappresentano
le grandi correnti pittoriche dell’inizio del
secolo, da Courbet (1850) a de Stael (1950)
con una predilezione per i movimenti fauve e
espressionista.
Alcuni nomi evocatori: Vlaminck, Derain,
Matisse, Dufy, Modigliani, Rouault, Van Dongen,
Delacroix, Daumier, Maillol, Picasso, Cézanne,
Seurat. Da non perdere la rara collezione di vetri
flaconi, coppe, vasi trasparenti con decorazioni
smaltate, incisioni o in vetro soffiato, screpolato
con decorazioni intercalari) messa assieme da
Maurice Marinot, un vetraio di Troyes.
La culla dei cistercensiL’escursione nel territorio dell’Aube non può
non prevedere una tappa alla celebre Abbazia
di Clairvaux (Chiaravalle), culla dell’ordine
monastico dei Cistercensi, fondata nel 1115 da
Bernardo di Borgogna assieme a 11 compagni
per vivere in totale isolamento e autarchia
nel cuore di un’antica foresta sacra gallica. I
monaci fecero venire dall’Ungheria i ceppi dei
vitigni che fornirono le uve utilizzate in seguito
per produrre lo Champagne. Dell’abbazia
fondata da San Bernardo, trasformata in
prigione nel XIX secolo da Napoleone, rimane
il maestoso edificio dei fratelli conversi con la
sua dispensa e il suo dormitorio. È una delle più
30
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 31
Storiche cantine di Champagne
belle testimonianze dell’architettura cistercense
francese di epoca medievale e rinascimentale
(www.abbayedeclairvaux.com).
La Maison de Champagne DrappierA Urville, nel cuore di un ameno territorio
ondulato e soleggiato, coltivato a vigneti e
punteggiato di belle boscaglie, si trova una delle
più note case vinicole della regione, la Maison de
Champagne Drappier. Ha sede in un bell’edificio
ottocentesco in mattoni con rivestimenti di
legno e grandi vetrate che creano una piacevole
trasparenza. Nel salone di accoglienza degli
ospiti, impreziosito da un grande camino e da
splendide boiserie, troneggia una Melchisedec,
la più grande bottiglia di Champagne del
mondo, con una capacità di ben 30 litri. Nei
sotterranei di quello che era l’antico presbiterio
di Urville, si sviluppano le cantine costruite nel
secolo XII dai monaci cistercensi di Clairvaux.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 532
Fra le sue pareti invecchiano dolcemente
le cuvée speciali e le grandi bottiglie, vanto
della casa, i cui nomi evocano grandi re
biblici Balthazar, Nabuchodonosor, Salomon,
Melchisedec…). La famiglia Drappier coltiva i
suoi vigneti nel territorio di Urville da due secoli.
Michel, l’attuale appassionato responsabile
della maison, sovrintende con sapienza fin dal
1979 alle delicate fasi di vinificazione. Mentre
André, il venerabile patriarca, forte delle sue
60 vendemmie, tiene d’occhio l’azienda col
suo carisma e un grande senso dell’humor.
Conosciuti in tutto il mondo, i magnifici
Champagne Drappier hanno conquistato
personalità prestigiose come il Gen. De Gaulle,
Luciano Pavarotti, Jean-Paul Belmondo e tanti
altri vip (www.champagne-drappier.com).
La Maison de Champagne VézienA Celles sur Ource una tappa d’obbligo è quella
alla Maison de Champagne Vézien, una famiglia
di produttori attivi da oltre 100 anni e arrivati
alla quarta generazione con Jean-Pierre, che è
anche il Gran Maestro della “Commanderie du
Saulte Bouchon Champenois”.
Con passione intatta e grande rispetto per il
suo lavoro, Jean-Pierre continua a proporre
lo «stile della casa», fiero in particolare della
cuvée dedicata al bisnonno, che conquista
gli amanti dei vecchi Champagne con i suoi
aromi di mandorle tostate e di miele. Molto
attivo nell’organizzazione di feste e di attività
promozionali, Jean-Pierre ricorda agli ospiti
delle sue cantine che produrre Champagne
è un’arte molto impegnativa e raffinata. Paul
Verlaine gli ha suggerito una bella citazione sullo
Champagne: «Il vino d’oro che vive nel prezioso
cristallo».
Adora condividere i segreti del suo mestiere,
far sognare i clienti attorno a una coppa di
Champagne e confessa una passione per fiori
e giardini. La moglie Marie-José aggiunge un
tocco di gentilezza e di charme nella visita degli
ospiti alle cantine
(www.champagne-vezien.com).
Il Rosé des Riceys preferito dal Re Sole Nell’ambito dell’Aube il territorio dei Riceys con i
suoi 866 ettari forma il maggior distretto di tutta
la Champagne viticola e si fregia anche del vanto,
quasi unico in Francia, di possedere tre grandi
Champagne D.O.C.: Champagne, Coteaux
Champenois e soprattutto il Rosé des Riceys.
Secondo la tradizione durante la costruzione
della reggia di Versailles, Luigi XIV il Re Sole,
notò un folto gruppo di muratori originari dei
Riceys che stavano bevendo il vino del loro
paese, il Rosé des Riceys, divenuto bel presto
il preferito del re. Oggi è il vino più controllato di
Francia, tanto che non viene vinificato tutti gli
anni, ma solo nella annate di massima qualità.
Frutto di un unico vitigno di Pinot nero raccolto
sulle colline più erte e soleggiate, viene prodotto
in poche decine di migliaia di bottiglie.
InfoComite Departemental du turisme Aube ec
Champagne: www.aube-champagne.com
Ente nazionale francese del turismo
www.franceguide.com
33
Borgogna uguale mito.
È una equazione di una semplicità quasi
banale ma senz’altro efficace.
Non sono necessarie troppe parole o spiegazioni
condite per parlare di una area vitivinicola tra le
più prestigiose in tutto il mondo.
Borgogna che si canta con poche note anzi
solo con due; due i territori che compongono
la mitica Cote d’Or, ovvero la Cote de Beaune
per i vini bianchi e la Cote de Nuits per i vini
rossi, due i vitigni utilizzati, loChardonnay ed il
Pinot Nero; due i colori che dipingono infiniti
panorami del gusto e della eccellenza: il bianco
ed il rosso.
Borgogna che è il riferimento obbligato per tutti
coloro che in ogni angolo del mondo desiderano
vinificare i due nobili vitigni, l’istrionico
Chardonnay ed il burbero Pinot Nero.
La culla del vino è qui, tra i clos, i vigneti
disegnati,nell’aria stessa che si respira in quanto
trasuda storia ed emozioni ed ormai da qualche
secolo ci racconta favole deliziose.
Borgogna di cui se ne parla, Borgogna che
qualche volta si degusta ma Borgogna che
spesso si conosce poco ed è da qui che è
nata l’iniziativa della delegazione di Treviso per
proporre una gita di 4 giorni nel mese di Giugno
nel meraviglioso territorio d’oltralpe.
Una visita che andasse nel cuore pulsante ed
in quei luoghi che si vedono solamente negli
atlanti del vino, spesso osservandoli come mete
irraggiungibili.
Il gruppo composto da circa 20 persone, non
solo della delegazione di Treviso ma anche
dalle vicine ed amiche delegazioni di Venezia e
Pordenone, è partito il 25 Giugno da Conegliano,
ha sostato per il pranzo nei pressi di Mulhouse
in Alsazia, per poi arrivare a destinazione in un
grazioso albergo a pochi passi dal centro di
Digione.
Diario di un viaggio: il mito della Borgogna
Borgogna che è il riferimento obbligato per tutti coloro che in ogni angolo del mondo desiderano vinificare i due nobili vitigni,
l’istrionico Chardonnay ed il burbero Pinot Nero“
”
di Davide Zanette
fotografie di Cecilia Sitran
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 33
Vigneti in Borgogna
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 534
Chateau Clos de Vougeot
Sabato 26 Giugno,dopo la prima colazione, il
gruppo e’ partito per la visita del mitico Clos
de Vogeout, castello sede della Confrérie de
Chevaliers de Tastevin ove ogni anno si tiene
l’asta per aggiudicarsi i grandi Pinot Nero della
Cote de Nuits.
Clos de Vogeout da il nome ad uno dei più
affascinanti Grand Cru e forse il migliore di
tutta la Borgogna. All’inizio nel XII secolo, qui
i cistercensi piantarono qualche vite sui pendii
vicini al loro monastero. All’inizio del XIV secolo le
donazioni di terra avevano portato la tenuta alla
sua dimensione odierna, 50 ettari, delimitandola
con un muro, il clos. Più di due secoli dopo,
all’epoca della Rivoluzione del 1789, il vigneto
fu frazionato e venduto a sei commercianti.
Negli anni ogni appezzamento è stato a sua
volta suddiviso e oggi il vigneto appartiene a
oltre ottanta proprietari.
Dopo aver degnamente pranzato in loco, la
giornata è proseguita con la visita alla deliziosa
azienda Drouhin-Laroze a Gevrey Chambertin
nella quale si è approfondito la conoscenza del
sontuoso Pinot Nero. Nel VII secoli i monaci
dell’abbazia di Beze piantarono viti in questa
zona e vennero presto imitati da un lungimirante
contadino di nome Bertin.
Oggi il Clos de Beze, cinto da un muro, e il
campo di Bertin (Champ Bertin) producono
alcuni dei piu’ raffinati rossi di Borgogna.
Nell’azienda Drouhin-Laroze quindi si è
degustato un gustoso Gevrey village 2007 per
poi passare ai Premier Cru Craipillot e Lavaut
St.Jacques (entrambi millesimi 2007) e si è
concluso con il colossale Grand Cru Latricieres-
Chambertin figlio dell’annata 2004.
Giornata ricca di emozioni che si è conclusa
con una rilassante cena in albergo.
Domenica 27 Giugno ancora grandi momenti,
segnati dalla visita della città di Beaune e delle
sue cantine limitrofe.
Ma prima di tutto si è ammirato una delle più
celebri meraviglie di Francia: l’Hospice de
Beaune. Nel 1443, ansioso di assicurarsi un
posto in paradiso, l’esattore Nicolas Rolin
costruì un hotel-Dieu,un ospedale destinato
ai poveri di Beaune. Per il sostentamento
dell’ospedale regalò anche dei vigneti che oggi,
insieme a quelli donati in seguito da benefattori
di tutta la Cote d’Or, producono ogni anno
oltre 250.000 bottiglie, il cui ricavato viene
tuttora utilizzato per finanziare un ospedale e
una casa di riposo di Beaune. Dopo il pranzo
si è dedicato il pomeriggio alla visita di ben tre
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 35
aziende,dedicate alla produzione del maestoso
Chardonnay.
La prima è stata la nota azienda Patriarche
nella quale sono stati degustati ben 10 vini
comprensivi di tutte le tipologie presenti in
Borgogna. Ed allora Aligote’, Pouilly Fuisse’
2006 e Mersault 2006 per i bianchi, per poi
assaggiare gustosamente i vari Pinot Nero
proposti tra i quali: Marsannay 2004, Chorey-
Les-Beaune 2007,Gevrey-Chambertin 2004 ed
un Vosne Romane’ del 2007.
Quindi la giornata ha visto la tappa presso
Chateau Mersault sita ovviamente a Mersault.
Questa è la patria indiscussa dello Chardonnay
e qui si produce circa un terzo di tutti i vini
bianchi della Cote d’Or.
La successione della degustazione ha visto
passare gli Chardonnay, capeggiati dai Chateau
du Mersault Premier Cru nelle versioni 2004 e
2005 per poi degustare i Pinot Nero tra i quali ha
spiccato per importanza ed eleganza il Beaune
Greves Premier Cru millesimo 2004.
L’ultima azienda ma non per importanza è
stata Doudet – Naudin, squisita e piccola realtà
paragonata ai due colossi precedentemente
incontrati. Anche in questo caso, parecchie
sono state le etichette assaggiate riscontrando
picchi qualitativi molto elevati sia nel caso dei
Chardonnay che dei Pinot Nero.
Tra i nettari bianchi non si può non nominare
i due splendidi ed ancor giovani Premier Cru
dell’annata 2007 quali Pernand Vergelesses-
Sous Fretille ed il Savigny-Les-Beaune-En
Redrescul. Tra i Pinot spicca senza dubbi alcuni
il Pernand-Vergelesses Premier Cru-Les Fichots
dell’anno 2007 e poi per concludere il grandioso
Corton Marechaudes Grand Cru 2007 che a
detta di tutti e’ stato il calice che ha raggiunto la
vetta massima della piacevolezza.
La giornata di Domenica è stata senz’altro
emozionante ma anche un po’ stancante per
cui dopo tanto errare tra quelle terre intrise di
magia, è stato ben apprezzato il ritiro in albergo
nel proprio giaciglio.
Il giorno a seguire il gruppo è partito da
Digione facendo tappa ad Aosta per il pranzo,
passeggiando nel centro storico della provincia
valdostana ancora così ricca di reperti romani in
ottimo stato di conservazione.
Poi verso sera l’arrivo a Conegliano, forse un
po’ stanchi perché no, quattro giorni così intensi
piegano atleti ben allenati, ma la consapevolezza
di aver toccato con mano una terra magica
come la Borgogna era grande.
Come era grande l’affiatamento tra tutti i
partecipanti della gita, rinnovando ancora una
volta lo spirito di coesione e di amicizia che lega
le delegazioni Fisar del Nord-Est.
Una esperienza positiva, ben organizzata e
seguita che da forza e stimolo per pianificare
ulteriori viaggi all’insegna del vino e delle sue
terre nella speranza che diventino sempre più
occasioni per condividere profonde emozioni
tra tutti gli elementi della famiglia Fisar.
Stoccaggio di deposito
Barricaia in Borgogna
Era la fine dell’Ottocento quando il bisnonno dell’attuale proprietario
apriva la prima bottega di vino a Trecastagni, sull’Etna, e già a quei tempi il vino etneo era molto apprezzato sui mercati europei, tanto da essere
utilizzato come prodotto da taglio per i rinomati vini francesi ai quali conferiva la sua forza minerale e la sua “vulcanica” personalità. Per molto tempo l’attività principale dei Nicosia è stata quella di “talent scout”, scopritori di vini siciliani
meritevoli di essere promossi e commercializzati, con una particolare predilezione – già allora – per i vitigni autoctoni siciliani come il Nerello Mascalese. Oggi, a più di un secolo di distanza, Carmelo Nicosia e i suoi figli guidano con
Più di un secolo è trascorso da quando Don Ciccino Nicosia aprì la sua bottega di vino a Trecastagni, sul versante orientale dell’Etna.
Oggi la famiglia Nicosia guida una delle realtàpiù vivaci del panorama vitivinicolo siciliano
“ Più di un secolo è trascorso da quando Don Ciccino Nicosia “ Più di un secolo è trascorso da quando Don Ciccino Nicosia
”
36
a cura della redazione di Quality ADV
Cantine Nicosia:dall’Etna a Vittoria
la Sicilia del vino che guarda al futuro
2010, un anno ricco di premiBerliner Wein TroPhy:
Medaglia d’Oro - Zibibbo Liquoroso Fondo FilaraDecAnTer WorlD Wine AWArDS:
Medaglia d’Argento - Cerasuolo di Vittoria Classico Fondo Filara 2007Medaglia di Bronzo - Etna Rosso Fondo Filara 2008Medaglia di Bronzo - Catarratto Manna Sicana 2009
SeleZione Del SinDAco:Medaglia d’Argento - Etna Bianco Fondo Filara 2009
DoujA D’or:Premio Douja D’Or - Etna Bianco Fondo Filara 2009
Premio Douja D’Or - Etna Bianco Nicosia 2009Premio Douja D’Or - Etna Rosso Nicosia 2006
Premio Douja D’Or - Cerasuolo di Vittoria Nicosia 2008concorSo inTernAZionAle Vini Di MonTAgnA:
Medaglia d’Oro - Etna Bianco Nicosia 2009Medaglia d’Argento - Etna Rosso Fondo Filara 2008
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 37
l’aiuto di un gruppo di giovani collaboratori una moderna realtà vitivinicola, sempre nel rispetto per il territorio e le sue tradizioni, ma con una propensione all’innovazione che già proietta l’azienda nel futuro. Ne è emblema la cantina di Trecastagni che con i suoi 3.000 m2
di moderni impianti di vinificazione, gli spazi riservati all’affinamento in legno e in bottiglia e l’accogliente enoteca è un luogo vivo, pulsante, aperto alle visite degli enoturisti e spesso sede di degustazioni ed eventi che vedono il vino protagonista.A poca distanza dalla cantina, ai piedi del Monte gorna – uno dei tanti coni vulcanici spenti che circondano l’Etna – sorge il più suggestivo tra i terreni dell’azienda; con i suoi curatissimi terrazzamenti e i tipici muretti a secco in pietra lavica, che si inerpicano fin oltre quota 700 m, si è aggiudicato alla 29a edizione di ViniMilo il premio La vigna e il vulcano come miglior vigneto dell’Etna. In esso si coltivano il Nerello Mascalese, base di un elegante etna
rosso, e il Carricante, dalle cui uve nasce un Etna Bianco che con le sue caratteristiche degne dei migliori vini bianchi d’alta quota ha recentemente conquistato un’importante Medaglia d’Oro al Concorso Internazionale dei Vini di Montagna. Ma Cantine Nicosia non è solo Etna: uno dei suoi fiori all’occhiello è infatti rappresentato dal Cerasuolo di Vittoria Classico Docg Fondo Filara, vincitore negli ultimi anni di importanti riconoscimenti a livello nazionale ed europeo. Prodotto con uve coltivate nell’ampio vigneto situato tra Vittoria e Acate nella Sicilia sudorientale, è recentemente entrato a far parte della prestigiosa Cantina Didattica di ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana diretta dal maestro Gualtiero Marchesi.La valorizzazione dei vitigni autoctoni e delle area più vocate nella loro produzione e la ricerca di un giusto rapporto qualità/prezzo sono le principali caratteristiche dei vini di Cantine Nicosia. Tra questi spiccano il Sosta Tre Santi, blend di Nero d’Avola e Syrah dal lungo affinamento, e i vini di territorio della selezione Fondo Filara, una collezione di vini siciliani a Denominazione d’Origine e monovarietali destinati esclusivamente a ristoranti, enoteche e wine-bar.
Alla passione per il vino delle origini Carmelo Nicosia
e i figli hanno saputo aggiungere un nuovo spirito
d’iniziativa, arrivando a produrre ottimi vini siciliani
dall’equilibrato rapporto qualità/prezzo.
Cantine NicosiaCantine ed uffici:Via Luigi Capuana, 49 - 95039 Trecastagni (CT) tel. +39 095 7806767 fax +39 095 7808837 skype: cantine.nicosiae-mail: info@cantinenicosia.itwww.cantinenicosia.it
programma prevede, fra i vari dettagli, la degustazione di grappe
e prodotti aziendali, le visite agli impianti di distillazione (che
nel periodo della manifestazione saranno in piena operatività
con un ricco bouquet di profumi derivanti dalle vinacce locali),
abbinamenti sfiziosi ed originali tra cibo e distillati e i cocktail
di tendenza firmati Mazzetti d’Altavilla. Non mancheranno
esposizioni e curiosità presso il locale sotterraneo adibito ad
Enoteca dei prodotti aziendali.
MAZZETTI D’ALTAVILLA S.r.l. - www.mazzetti.it
MEDAGLIA D’ORO AL MÜLLER THURGAU ATHESIS 2009 KETTMEIRIn occasione del VII Concorso
Internazionale all’interno della
XXIII Rassegna Vini Müller
Thurgau, il Müller Thurgau
Athesis 2009 - Alto Adige DOC
- di Kettmeir ha conseguito il massimo riconoscimento con
la Medaglia d’Oro. È una kermesse enologica di spicco che
mira all’incremento della conoscenza e della valorizzazione di
uno dei più interessanti vitigni della Mitteleuropa, espressione
dei vini di montagna, selezionando le produzioni di pregio
da indicare al mercato dei consumatori. Il premio conferma
l’elevato livello qualitativo che caratterizza lo stile di Kettmeir
nella sua superiorità ed eleganza. Il Müller Thurgau Athesis -
Alto Adige DOC - è il frutto della sapienza enologica
della cantina altoatesina: un vino che colpisce per
un profilo sensoriale di ampia e profonda ricchezza
aromatica. Viene prodotto con le uve di un solo
vigneto situato nel comune di Soprabolzano
e sono le sue caratteristiche pedoclimatiche
uniche, con una altitudine compresa fra i 650 e
i 700 m. s.l.m., l’esposizione a sud e il terreno
porfidico, a conferirgli un carattere particolare.
Un ulteriore riconoscimento per Kettmeir,
realtà d’eccellenza del panorama vitivinicolo
altoatesino, che conferma la validità della sua
filosofia aziendale, fondata sul contatto diretto
col territorio e sul rispetto di una tradizione
produttiva aperta all’innovazione.
SANTA MARGHERITA S.P.A. - www.santamargherita.com
le notizie di enogastronomia e turismo
CANTINE CARPUTO: LA FALANGHINA NELLA SUA MIGLIORE INTERPRETAZIONECollina Viticella, un nome una predestinazione per un’altura
di origine vulcanica che cinge uno dei tanti crateri spenti dei di origine vulcanica che cinge uno dei tanti crateri spenti dei
Campi Flegrei in cui la famiglia Carputo ha realizzato il suo Campi Flegrei in cui la famiglia Carputo ha realizzato il suo
vigneto più bello. Il cru di Falanghina dei Campi Flegrei DOC vigneto più bello. Il cru di Falanghina dei Campi Flegrei DOC
Collina Viticella rappresenta la migliore testimonianza della Collina Viticella rappresenta la migliore testimonianza della
filosofia aziendale. Le caratteristiche irrinunciabili filosofia aziendale. Le caratteristiche irrinunciabili
sono il rispetto del territorio, la cura assoluta delle sono il rispetto del territorio, la cura assoluta delle
vigne e l’impiego di tecnologie all’avanguardia nei vigne e l’impiego di tecnologie all’avanguardia nei
processi di vinificazione. Il risultato è un’armonica processi di vinificazione. Il risultato è un’armonica
ed esemplare sintesi di qualità organolettiche ed esemplare sintesi di qualità organolettiche
d’eccellenza: Collina Viticella, dal lucente e viva-d’eccellenza: Collina Viticella, dal lucente e viva-
ce color paglierino, presenta intriganti profumi di ce color paglierino, presenta intriganti profumi di
frutta fresca locale, come melannurca, nettarina frutta fresca locale, come melannurca, nettarina
e nespola. Grande equilibrio, freschezza e persi-e nespola. Grande equilibrio, freschezza e persi-
stenza ne caratterizzano il gusto. Può accompa-stenza ne caratterizzano il gusto. Può accompa-
gnare tutte le pietanze a base di pesce o carni gnare tutte le pietanze a base di pesce o carni
bianche, oltre ad essere un eccellente aperitivo.bianche, oltre ad essere un eccellente aperitivo.
CANTINE CARPUTO - www.carputovini.it
10/10/10UNA DATA DA RICORDAREAnche quest’anno Mazzetti d’Altavilla - Distillatori dal 1846
aderirà a “Grapperie Aperte”, la manifestazione che consente
di accendere nel mese di ottobre i riflettori sul mondo della
distillazione. Una data facile da ricordare, quella dell’evento
(il 10/10/10), che vedrà aprire le porte di Casa Mazzetti
con un programma ricco di momenti di svago, gusto ed
approfondimento sul distillato italiano di qualità e sulle novità
che Mazzetti
d ’ A l t a v i l l a -
Distillatori dal
1846 ha in serbo
per chi deciderà
di trascorrere
la giornata “In
Cima alla Collina
di Altavilla”. Il
a cura della redazione di
MONTALBERA, NASCE IL “PASSITO DI RUCHE’”
Presentato ufficialmente LACCENTO
PASSITO nuovo vino da uve stramature
della Montalbera, portabandiera a livello
internazionale dell’autoctono Ruchè.
Proveniente dal Bricco Montalbera (collina
del Ruchè LACCENTO eletto miglior
autoctono italiano anno 2010), già raccolto in
sovramaturazione, maniacale è la cura di
appassimento e di vinificazione. Affinamento
prolungato in barrique di media tostatura
che portano questo passito ad evoluzioni
sensoriali uniche ed inimitabili. La dolcezza
palatale è senza precedenti, con un eleganza
tipica (vino-frutto) dei Montalbera. Complimenti a codesto
archetipo di passito.
SOC. AGRICOLA MONTALBERA S.R.L. - www.montalbera.it
LO CHAMPAGNE JACQUART RINNOVA LA SUA IMMAGINEA partire da quest’anno la prestigiosa Maison di Reims
utilizzerà infatti una nuova pagina pubblicitaria molto più
elegante e d’impatto rispetto alla precedente. Su sfondo
blu scuro campeggerà una macro dell’etichetta del Brut
Mosaïque il prodotto–emblema della Casa in tutto il mondo
e una semplice scritta in francese farà da icastica chiusura:
l’essentiel (l’essenziale). I colori dell’immagine saranno soltanto
il blu e l’oro, gli stessi del logo Jacquart. Stabilitasi quest’anno
nello sfarzoso Palazzo di Brimont, in centro a Reims, Jacquart
è entrata nella cerchia delle più
grandi e prestigiose Case di
Champagne. Le tre unioni di
viticoltori che compongono la
Maison Jacquart rappresentano
2400 ettari di vigne ripartite come
un mosaico – da qui il nome
delle cuvée – sulla Montagne de
Reims, nella Vallée de la Marne
e lungo la Côte des Blancs, vale
le notizie di enogastronomia e turismo
a dire uno dei più vasti territori di approvvigionamento della a dire uno dei più vasti territori di approvvigionamento della a dire uno dei più vasti territori di approvvigionamento della
regione champenois. In questo panorama variegato i maestri regione champenois. In questo panorama variegato i maestri
di cantina Jacquart selezionano gli Chardonnay, i Pinot Noir e di cantina Jacquart selezionano gli Chardonnay, i Pinot Noir e
i Pinot Meunier che compongono le cuvée, per dare a ognuna i Pinot Meunier che compongono le cuvée, per dare a ognuna
di loro un’identità inimitabile: lo stile Jacquart, caratterizzato di loro un’identità inimitabile: lo stile Jacquart, caratterizzato
da vivacità e immediatezza, privilegia una vinificazione brillante da vivacità e immediatezza, privilegia una vinificazione brillante
e gradevolissima, e un invecchiamento che va ben oltre le
esigenze della denominazione.
FRATELLI RINALDI IMPORTATORI - www.rinaldi.biz
CANTINA RUGGERI, 60 ANNI E NON SENTIRLIDal 1 aprile il Conegliano Valdobbiadene è diventato D.O.C.G. Dal 1 aprile il Conegliano Valdobbiadene è diventato D.O.C.G. Prosecco Superiore e la cantina Ruggeri, una delle cantine e la cantina Ruggeri, una delle cantine storiche del territorio, festeggerà questo importante avvenimento storiche del territorio, festeggerà questo importante avvenimento assieme ai suoi “primi” 60 anni. La cantina Ruggeri ha infatti, da assieme ai suoi “primi” 60 anni. La cantina Ruggeri ha infatti, da sempre, contribuito a “fare” la storia del Prosecco sempre, contribuito a “fare” la storia del Prosecco d i Valdobbiadene e a farlo conoscere in tutto il Valdobbiadene e a farlo conoscere in tutto il mondo. Numerosi i premi ricevuti nel corso di mondo. Numerosi i premi ricevuti nel corso di questi primi 60 anni; competizioni nazionali ed questi primi 60 anni; competizioni nazionali ed internazionali ma un vanto quello ricevuto dalla internazionali ma un vanto quello ricevuto dalla internazionali ma un vanto quello ricevuto dalla Guida Vini D’Italia “Gambero Rosso” 1997 per Guida Vini D’Italia “Gambero Rosso” 1997 per Santo Stefano Dry premiato con 3 bicchieri: Santo Stefano Dry premiato con 3 bicchieri: era la prima volta, in assoluto, che i 3 bicchieri venivano assegnati a un prosecco mentre il Giustino B. è stato selezionato per essere presente al G8, tenutosi lo scorso anno, 2009, all’Aquila. La cantina Ruggeri detiene un primato, quello di avvalersi di 25 conferitori, viticoltori di uve Cartizze, ed è la cantina che opera la maggior pigiatura di quest’uva particolarmente pregiata, ricercata ed unica. Un vanto che ha fatto conoscere in tutto il mondo questa piccola collinetta, basti pensare che il territorio dove si produce il Prosecco Superiore di Cartizze è di soli 106 ettari. Giustino Bisol, fondatore della cantina, è partito negli anni ’50 con la produzione di poche migliaia di bottiglie per arrivare alla produzione di oggi, al milione di bottiglie l’anno, distribuite per il 60% in Italia e il rimanente 40% su 25 stati esteri. I maggiori acquirenti sono Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna che nel 2007 ha totalizzato
l’importazione di 200.000 bottiglie, un vero record!
CANTINA RUGGERI & C. - www.ruggeri.it
a cura della redazione di
dalla base neutra di un’acquavite di cereali, viene distillata
quattro volte; in questa base vengono immersi gli ingredienti
vegetali, per un periodo di due giorni, dopodiché il tutto viene
distillato una quinta volta in un vecchio alambicco “John
Doore” (conosciuto tradizionalmente a Londra come “la
Rolls Royce degli alambicchi”). Dopo la quinta distillazione,
il liquido rimane a riposo per almeno tre settimane prima
dell’imbottigliamento, per dar modo agli ingredienti vegetali
di amalgamarsi perfettamente. La produzione di Fifty Pounds
London Dry Gin avviene secondo il metodo più antico, per
piccoli lotti, e ogni bottiglia riporta il numero di lotto e l’anno di
distillazione. La gradazione è fissata a 43,5% vol., ideale per
bere il distillato liscio o miscelato: non troppo bassa, cioè, per
non perdere di carattere, non troppo alta per non distorcere
i preziosi aromi vegetali. La bottiglia di Fifty Pounds London
Dry Gin, elegantissima, è la versione moderna delle bottiglie
scure e pesanti del Settecento e dell’Ottocento, prodotte con
sezione quadrata per facilitarne il trasporto.
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ALLEANZA I.G.T. IDEALE EQUILIBRIO TRA LO STILE DEL VECCHIO E NUOVO MONDOUn appuntamento atteso per tutto l’anno da due amici: un paio
di giorni passati indisturbati nella cantina ad assaggiare ogni
vino, barrique dopo barrique, valutare, proporre, assaggiare,
correggere, provare e riprovare, fino a trovare il
giusto equilibrio, l’armonia, il punto di incontro
perfetto. Quello sarà il taglio di quell’annata: un
vino in cui trova la propria espressione ogni uva da
cui nasce e la stessa annata. Lo stile e il talento
di due enologi di lunga esperienza e diversa
provenienza, Giancarlo Roman in Toscana e
Ed Sbragia in California, che si fondono in un
perfetto connubio e danno origine a questo vino
ottenuto dalle migliori uve Merlot, Sangiovese
e Cabernet Sauvignon dei vigneti del Castello
di Gabbiano recentemente rinnovati (2000 e
2001). La macerazione sulle bucce è protratta.
La malolattica si svolge in barriques nuove
di rovere francese con interventi manuali di
batonnage. Al termine, il vino viene trasferito
le notizie di enogastronomia e turismo
CASA VINICOLA SARTORI: QUALITà ED ETICA MATRIMONIO PERFETTOUn forte impegno da Un forte impegno da
parte di Casa Vinicola parte di Casa Vinicola
Sartori nei confronti della
Responsabilità Sociale, Responsabilità Sociale,
iniziato lo scorso anno e iniziato lo scorso anno e
recentemente premiato recentemente premiato
dall’ottenimento dell’importante SA8000. Solo poche dall’ottenimento dell’importante SA8000. Solo poche
aziende nel mondo possono vantare il raggiungimento aziende nel mondo possono vantare il raggiungimento
di questa certificazione che ha lo scopo di migliorare di questa certificazione che ha lo scopo di migliorare
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ARRIVA IN ITALIA FIFTY POUNDS LONDON DRY GIN
Direttamente da Londra arriva in Italia Fifty
Pounds, un nuovissimo London Dry Gin di alta
gamma. Questo London Dry Gin, di elevato
posizionamento qualitativo e d’immagine,
trae il suo nome dai quei tempi lontani in
cui i distillatori londinesi erano sottoposti
al pagamento di una tassa, appunto, di 50
sterline dell’epoca (Fifty Pounds). L’azienda
produttrice, la “Thames Distillers”, è una
piccola distilleria della zona sud–orientale
di Londra, in attività da oltre due secoli
e appartenente a una famiglia di antiche
tradizioni produttive; il Master Distiller
è fra l’altro il Presidente dell’Associazione
dei Distillatori Inglesi. Ottenuto partendo
a cura della redazione di
nelle antiche cantine del Castello, in barriques di primo e
secondo passaggio, per un periodo di 16/18 mesi. Viene
presentato solo dopo un’ulteriore affinamento in bottiglia,
di almeno 6 mesi. Colore cremisi intenso, al naso è pieno e
ricco, con prugna scura, ribes nero con note di cioccolato. Il
palato è intenso con frutta matura dolce e bei tannini morbidi,
lungo e persistente.
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animali attentamente selezionate, insetti-vermi compostate e
bioattivate con specifici microrganismi batterici e fungini non
geneticamente modificati: HUMUS ANENZY®. Testato da
oltre 5 anni, consente di migliorare le caratteristiche chimico-
fisiche dei terreni biologicamente depressi o che hanno subito
accumuli di inquinanti organici dovuti all’intensificazione dei
cicli colturali e a monocolture spinte, contrastare lo sviluppo
dei fitoparassiti e incrementare la qualità dei prodotti finali. È
particolarmente indicato in viticoltura, orticoltura, frutticoltura,
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CANTINE PELLEGRINO: 130 ANNI DI VIGNA E FAMIGLIAPer celebrare in modo indimenticabile i 130 anni dell’azienda,
le Cantine Pellegrino hanno scelto di rendere omaggio alla
propria terra e alla storia del nostro Paese: in concomitanza
con l’anniversario dei 150 anni dello sbarco a Marsala, le
Cantine hanno ospitato i diretti discendenti di Giuseppe
Garibaldi e di Cesare Abba, patriota garibaldino che partecipò
alla spedizione dei Mille. Fondate a Marsala nel 1880 da Paolo
Pellegrino, le Cantine Pellegrino rappresentano oggi una delle
più importanti realtà enologiche della Sicilia, con oltre 22 milioni
di euro di fatturato e circa 7 milioni di bottiglie prodotte. Leader
assoluta nella produzione del Moscato e Passito di Pantelleria
DOC, attraverso una crescita costante si è affermata come una
delle aziende di riferimento nella produzione dei vini Marsala
e vanta oggi una profondità e ampiezza di gamma anche
le notizie di enogastronomia e turismo
nei vini siciliani nei vini siciliani
da tavola: da tavola: da tavola:
ottimi bianchi ottimi bianchi
e rossi che si e rossi che si
trovano con il trovano con il
marchio Duca marchio Duca
di Castelmonte di Castelmonte
sia nel canale
Ho.re.Ca sia Ho.re.Ca sia
nella grande distribuzione, ma con differenti linee di prodotto. nella grande distribuzione, ma con differenti linee di prodotto.
Completano l’offerta i prestigiosi vini Hauner, Malvasia delle Completano l’offerta i prestigiosi vini Hauner, Malvasia delle
Lipari DOC, dei quali seguono in esclusiva la distribuzione. Lipari DOC, dei quali seguono in esclusiva la distribuzione.
“Le Cantine Pellegrino rappresentano una storia di successo, “Le Cantine Pellegrino rappresentano una storia di successo,
frutto della passione e dei sacrifici di tutti coloro che vi lavorano frutto della passione e dei sacrifici di tutti coloro che vi lavorano
e che si impegnano con determinazione e costanza per far e che si impegnano con determinazione e costanza per far
conoscere in Italia e nel mondo l’eccellenza dei vini siciliani”conoscere in Italia e nel mondo l’eccellenza dei vini siciliani” -
afferma Pietro Alagna, Presidente di Cantine Pellegrino – “afferma Pietro Alagna, Presidente di Cantine Pellegrino – “Un Un
traguardo importantissimo che ci fa pensare al futuro come traguardo importantissimo che ci fa pensare al futuro come
ad una sfida possibile, da affrontare uniti nella famiglia dove ad una sfida possibile, da affrontare uniti nella famiglia dove
alla solidità e alla tradizione si accompagnano la freschezza e alla solidità e alla tradizione si accompagnano la freschezza e
l’intraprendenza della nuova generazione appena entrata in l’intraprendenza della nuova generazione appena entrata in
azienda”.
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NOBILITO - UN DELICATO PRIMITIVO PASSITOIl Primitivo, vino pregiato del sud Italia, burbero e molto gradato
trova una sua intrigante versione nel Nobilito, un Salento
Primitivo I.G.P. dell’Azienda Agricola Marinelli produttori in
Carossino (Ta) dal 1943. Cresce
su un terreno calcareo di origine
carsica ricco di sesquiossidi di ferro
ed alluminio (terre rosse tipiche del
Salento) che conferiscono al terreno
calore e danno nerbo e sostanza alle
uve che vengono fatte leggermente
appassire sui ceppi e subiscono
una macerazione di 25-30 giorni.
Dal profumo vanigliato e dal sapore
dolce, aromatico e vellutato, si abbina
perfettamente con formaggi piccanti
e pasticceria secca di mandorle. Con
i suoi 14,5° va servito a temperatura
ambiente.
a cura della redazione di
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
il tema di quest’anno
Il Salone internazionale del Gusto giunge
all’ottava edizione. Si terrà a Torino (Lingotto
Fiere) dal 21 al 25 ottobre.
Il tema si declina in due percorsi fortemente
interconnessi tra loro: cibo e territori. Senza
territorio non esisterebbe il cibo, espressione del
terreno, del clima, del savoir faire; che attraverso il
cibo ogni territorio esprime le sue caratteristiche
peculiari, riconoscibili. Il cibo, come parte
edibile e concreta della nostra identità, come
elemento che plasma il paesaggio, come
espressione culturale. Il territorio inteso come
luogo che appartiene alle persone che vi sono
nate o vi abitano, e di quel luogo hanno cura
e conoscenza. Territorio coniugato al plurale,
però: per esaltare la diversità di luoghi, culture,
conoscenze, coltivazioni, pratiche.
Per rendere visibile e meglio esprimere questa
relazione, lo spazio espositivo al Salone
2010, ed è la novità di quest’anno, è allestito
in funzione dei territori: non ci sono più le vie
tematiche e l’area dei Presìdi, ma ogni regione
o Paese del mondo presenta le sue produzioni,
i suoi progetti, le sue cucine.
Vino e molto altro all’edizione 2010
Si può tranquillamente dire che nella più che
ventennale storia di Slow Food il vino sia stato
il primo amore. E anche per questa edizione
il Salone del Gusto riserva al nettare di Bacco
un posto tutto speciale. In primis le novità: La
sala Slow Wine - Banca del Vino è un’enoteca
dedicata alla degustazione, dove appassionati e
42
Cibo e territori protagonisti al
Luca Bernardini - Ufficio stampa Slow Food
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 43
intenditori possono scegliere tra oltre 300 grandi
etichette di vecchie annate della Banca del Vino
oppure assaggiare i vini Slow, riconoscimento
attribuito dalla nuova guida Slow Wine di Slow
Food Editore. Ogni giorno inoltre questa sala
ospita eventi esclusivi con vigneron internazionali
e le provocazioni gastronomiche di Davide
Scabin del Combal.Zero di Rivoli.
E poi non poteva mancare la grande Enoteca,
assieme al mercato il cuore del Salone. Uno
spazio dedicato al vino di qualità dove si possono
assaggiare le ultime annate, conoscere nuovi
vitigni o nuovi territori scegliendo tra le oltre
2000 etichette italiane ed estere della carta dei
vini.
Anche nei Laboratori del Gusto i grandi vini e
i loro produttori la fanno da padrona. Alsazia,
Portogallo, Borgogna, Istria, Georgia (la patria
natia del vino), Catalogna e ovviamente Italia
con Piemonte e Toscana in testa, sono solo
alcuni dei territori che si potranno esplorare
attraverso famose etichette.
Inoltre agli Incontri con l’Autore, in una saletta
raccolta (non più di 30 persone) con a portata
di mano un bicchiere e un piatto i partecipanti
hanno la possibilità di ascoltare e interagire con
grandi personaggi dell’enologia.
Ultima novità “alcolica” del Salone sarà il
Cocktail Bar: uno staff di barman professionisti,
condotto da Dom Costa (Liquid di Alassio) e
Tommaso Cecca (Trussardi Café di Milano),
ospita nel Cocktail Bar nel padiglione 2 i migliori
bartender da tutto il mondo – tra cui Salvatore
Calabrese, Agostino Perrone, Chris McMillian
– e corsi di formazione sulla storia del bere
miscelato e tanto altro ancora.
Luca Bernardini
Consulta il sito: www.salonedelgusto.it per scoprire le novità della manifestazione e prenotare imperdibili appuntamenti.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 544
spec
iale
Venet
o Una leggenda italiana:
Carpenè Malvolti
di Gladys Torres
Centoquarantadue anni e non li dimostra. Quasi un secolo e mezzo di esperienza per quella che si può definire l’azienda spumantistica italiana
leader del Prosecco nel mondo per eccellenza, ovvero Carpené Malvolti.
Un sogno iniziato nel
1868 con Antonio
Carpené Senior, che
insieme ai soci Caccianiga,
Malvolti e Vianello dette vita alla
“Società Enologica Trevigiana”
ben presto divenuta semplice-
mente Carpenè Malvolti per la
rinuncia degli altri due soci a
proseguire l’avventura di pro-
durre vino spumeggiante con
le uve raccolte sulle colline di
Conegliano e Valdobbiadene.
Un’avventura in cui invece
Antonio Senior ha sempre
creduto profondamente e
alla quale ha dedicato tutta
la sua vita e il suo sapere. Va
a lui il merito di aver introdot-
to, per la prima volta il me-
todo Champenoise in Italia
utilizzando sistemi qualificati
e scientificamente control-
lati e non empirici come era
uso all’epoca e di aver per-
fezionato il metodo Charmat
applicandolo con decisive
ed importanti modifiche per
produrre per la prima volta al
mondo vino spumante da uve
Prosecco, e sempre a lui va il
riconoscimento per aver dato
vita insieme a Giovanni Battista
Cerletti - nel 1877 - alla Scuola
Enologica di Conegliano, an-
cora oggi considerata vero e
Etile Carpenè
45
speciale Veneto
proprio ateneo del vino con le
sue specializzazioni tecniche,
agrarie, professionali e il corso
di laurea in Scienze Viticole ed
Enologiche.
Agli albori del nuovo secolo,
nel 1902, le redini dell’azien-
da passano nelle mani di Etile
Senior - un nome, una garan-
zia - che segue le orme del
padre migliorando i metodi
di produzione e adeguandosi
alle “nuove regole del mercaalle “nuove regole del merca-
to” con vere e proprie campa-
gne pubblicitarie. Un pioniere
di una strada che ben presto
il settore vinicolo intero sarà
costretto a intraprendere per
poter restare concorrenziale.
Intanto, negli anni Trenta, en-
tra in azienda anche la terza
generazione dei Carpenè,
ovvero Antonio Jr, anch’esso
un purosangue dell’innova-
zione grazie all’introduzione
di un metodo Charmat da lui
modificato ad hoc per esalta-
re al meglio le caratteristiche
dei vini italiani quali Moscato
e Prosecco e delle varianti alla e Prosecco e delle varianti alla
spumantizzazione a fermenta-
zione naturale.
La quarta generazione di
Carpené si chiama Etile Jr,
nelle cui mani passa l’azien-
da nel 1986, aprendo le porte
all’odierno sviluppo economico
e produttivo grazie all’interna-
zionalizzazione dei mercati e ai
preziosi investimenti in ricerca
e sviluppo che hanno portato
alla spumantizzazione di viti-
gni mai spumantizzati prima.
Dal 1996 la proprietà decide
di completare il rinnovamento
con una gestione manageriale
dell’azienda, innovazione per
il mondo del vino necessaria
per competere sui mercati
nazionali ed internazionali, af-
fidando la Direzione Generale
ad Antonio Motteran. La pro-
duzione oggi è di oltre 5 mi-
lioni di bottiglie distribuita in
oltre 50 Paesi, ripartite tra
Conegliano – Valdobbiadene
Prosecco Superiore DOCG,
Prosecco Treviso DOC,
Rosé Brut, Kerner, Viogner,
Cserszegi, Petit Manseng,
Talento Metodo Classico Brut
e Brut Millesimato, Brandy e e Brut Millesimato, Brandy e
Grappa.
Proprio da questi investimenti
è nato, nel 2005, il progetto
che prende il nome di “L’arte
Etile Carpenè con la figlia Rosanna e la moglie Nicoletta Montalban
Paesaggi e vigne di Prosecco
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 546
spec
iale
Venet
o
I collaboratori della Carpenè Malvolti
Spumantistica”, divenuto per
Carpené Malvolti un vero e
proprio marchio di riconosci-
mento, tanto da creare una
“linea INNOVAZIONE” di spu-
manti : ogni anno una novità,
prodotta appunto con vitigni
mai spumantizzati in prece-
denza con la “funzione d’uso”
di essere vini spumeggianti da
degustare a tavola, in abbina-
mento a fantasiosi e giovani
menù. Un modo “alternati-
vo” di rinnovare ogni giorno il
più classico degli spumanti,
un’idea geniale per raggiunge-
re ogni fascia di consumatore,
dal tradizionalista all’amante
degli “esperimenti”. Colorate,
intriganti, riconoscibili
immediatamente, sono le
etichette che contraddistin-
guono i magnifici de L’Arte
Spumantistica Carpené
Malvolti, che vanno ad af-
fiancarsi a quelle altrettan-
to fashion del Conegliano
Valdobbiadene Prosecco
Superiore DOCG, già sotto-
poste a restyling dopo il ri-
conoscimento della DOCG
nello scorso mese di aprile,
una modifica epocale che
esalta ancora di più il valore
di quel “vino spumeggiante”
prodotto nella zona storica di
Conegliano Valdobbiadene.
La filosofia produttiva Carpenè
Malvolti si ritrova anche nella
produzione del Brandy di fami-
glia, della Grappa di Prosecco
e Distillato d’uva di Prosecco,
la Finissima Grappa Bianca e la
Fine Vecchia Grappa Riserva e
la Grappa di Prosecco Severa
Imperatrice.
Carpenè Malvolti in 142 anni
ha più volte cambiato pelle,
ha resistito agli scossoni dei
vari eventi bellici e alle muta-
zioni dei mercati ed ha porta-
to avanti con grande forza di
volontà quell’obiettivo sogna-
to dal capostipite Antonio Sr,
perché anche se passano gli
anni e cambiano le persone
che la guidano, il DNA rima-
ne sempre quello di un gran-
de campione, anzi, del leader
mondiale del Prosecco, oggi
divenuto DOCG.
Ricordi di quando, affa-scinato dalle eroiche imprese di “Asterix il
Gallico” abilmente narrate da Goscinny e Uderzo nella omo-nima serie a fumetti, guardavo con simpatia a quel vecchio druido del villaggio la cui spe-cialità era la “pozione magi-ca”: un misterioso intruglio di fantomatici ingredienti che donava una temporanea forza sovrumana a colui che la be-veva. L’origine della pozione si perdeva nella notte dei tempi e la ricetta veniva trasmes-sa solo da bocca di druido a orecchio di druido. Ci ave-vate mai pensato? Il “Mastro Distillatore” paragonato ad una sorta di stregone geloso custode delle proprie tradizio-ni e la grappa come una sorta di “elisir”, capace di corrobo-rare lo spirito e dissipare gli umori dannosi…Oggi però la mia risposta alla stessa domanda non può che essere un’altra. E menomale!!! Certo non possiamo negare che la grappa rimanga il sim-
bolo di un’identità contadina e di tradizioni tramandate di pa-dre in figlio ma, fortunatamen-te, è anche viva la consapevo-lezza che la nostra acquavite di bandiera, distillato di eccellen-za per definizione e internazio-nalmente riconosciuta, possa rivestire nuovi e più moderni ruoli oltre a quello del tradi-zionale consumo al bicchiere o come semplice “correzione” nel caffè. Pensate ad esem-pio agli oramai innumerevoli cocktail a base di grappa, ai possibili e stimolanti abbina-menti in cucina, alla possibilità di usare la grappa come vero e proprio ingrediente per la composizione di ricette quan-to mai suggestive. Non più quindi semplice “digestivo” o fine pasto, ma anche “sogget-to attivo e comprimario” nelle nostre tavole.La grappa perciò, anche se in un momento storico carat-terizzato da una sostanziale contrazione dei consumi, ha saputo in questi ultimi anni affermarsi sapientemen-
te sul mercato evolvendosi nel tempo con una proposta sempre più raffinata e capace di soddisfare esigenze di nic-chia, differenziando addirittura un’offerta di prodotti innovativi accanto a quelli più tradizio-nali ed essendo così anche capace di indirizzare il consu-matore verso una “destagio-nalizzazione” dei consumi, valorizzando ad esempio le grappe morbide, gio-vani ed aromatiche, che possono essere servite leggermente refrigerate o quelle invecchiate, magari accompagnandole ad un buon sigaro e cioccolato fondente.
Sempre in questa direzio-ne, ma in ambito associa-tivo, va invece segnalata la recente presa di posizione dei nostri produttori tradotta con il Reg. UE 110/08 che sancisce il divieto di aroma-tizzazione per le grappe. La grappa si ottiene unicamente mediante sapienti tecniche
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 47
speciale Veneto…e non chiamiamola più
“graspa”! di Nicola Brotto - CentoPerCento srl
L’immagine più significativa che, fino a qualche tempo fa, mi sarebbe venuta alla mente se mi avessero chiesto di
parlare di grappa e, in particolare, della figura del distillatore, l’avrei con molta probabilità rubata ai miei ricordi di infanzia.
di selezione e distillazione delle vinacce, legate all’arte, all’esperienza e alla passione del “Mastro Distillatore”. Una scelta per altro coraggiosa ma necessaria al fine di tute-lare un patrimonio di qualità e tradizione anche se tra non poche difficoltà, considerata la concorrenza sleale di distil-lati stranieri di più largo con-sumo (Rhum e Vodka su tutti) che non sempre perseguono modelli produttivi altrettanto etici e trasparenti soprattutto in un’ottica di informazione e tutela del consumatore.Il ruolo della grappa oggi è quindi un ruolo nuovo, mo-derno, dinamico e che ne-cessariamente si adatta ad un mercato sempre più esigente ed evoluto. Una dimensione a cui forse non eravamo abi-
tuati prima ma che non dob-biamo per questo accogliere con diffidenza. Anzi, tutt’altro. Impariamo a rispettare mag-giormente questa eccellenza tutta italiana e ad elevarne ulteriormente la percezione di distillato di qualità attraverso degustazioni, corsi, master, approfondimenti ma anche singoli assaggi. Cerchiamo di abbandonare i vecchi arche-tipi: oramai sono solamente ciarpame da relegare in soffit-ta. Individuiamo piuttosto nuo-vi strumenti utili a far diventare la grappa ancora più grande. È anche questo il vostro com-pito di sommelier e professio-nisti. E non abbiate paura di essere iconoclasti: la grappa ha tanto bisogno di una nuova dottrina quanto ha bisogno di nuovi profeti e discepoli.
Perché allora continuare a
chiamarla “graspa” o “grap-
pino”? Perché continuare a
“correggere” il caffè quando
si corre solamente il rischio di
rovinare una buona grappa e
bere un caffè cattivo?
Un grande insegnamento che
la storia ci consegna è che la
tradizione è una componen-
te statica della cultura e non
si può certo ereditare sic et
simpliciter, ma chi la vuole
deve saperla conquistare con
grande fatica. Quando chiese-
ro a Papa Giovanni XXIII cosa
fosse per Lui la tradizione, Egli
rispose: “è il progresso che
è stato fatto ieri, come il pro-
gresso che noi dobbiamo fare
oggi costituirà la tradizione di
domani”.
spec
iale
Venet
o
L’orgoglio di BreganzeA Breganze abbiamo il campanile più alto del Veneto, secondo solo a quello di San Marco. Per questo vogliamo che anche nei nostri vini ci sia quanto di meglio il territorio può offrire.Da sempre vanto della Cantina Beato Bartolomeo, oggi Savardo si impreziosisce con una nuova etichetta ispirata alla tradizione. Cabernet, Pinot Nero, Marzemino, Breganze Bianco, Pinot Grigio e Vespaiolo. Orgoglio di Breganze.
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 550
spec
iale
Venet
oArrigo Cipriani,un “prigioniero”
all’Harry’s Bar di Venezia di Roberto Rabachino
Arrigo Cipriani è uno dei ristoratori più conosciuti al mondo. E l’Harry’s Bar è il locale più conosciuto al mondo. Un uomo che ha fatto incontri straordinari:
da Woody Allen a Giorgio De Chirico, da Ernest Hemingway a Frank Sinatra.
Elegante, disponibi-
le, creativo, futurista,
tradizionalista e nello
stesso tempo trasgressivo.
Un Arrigo Cipriani a tutto cam-
po si racconta.
Dr. Arrigo cos’è la cosa più
importante nel suo locale.
Non esito un solo istante nella
risposta: la cosa più importan-
te, il mio valore aggiunto, il
motivo del mio successo sono
i miei collaboratori. Senza la
loro professionalità, la loro di-
sponibilità, la loro eleganza, il
loro amore per questo locale
non sarei nessuno.
Questo locale è 70 mq, il nu-
mero di dipendenti è 70. Uno
ogni metro quadro.
Tutti debbono lavorare con
questa idea in testa: “servi gli
altri come vorresti essere ser-
vito tu”.
Nessuno deve essere prota-
gonista ed ognuno deve svol-
gere al meglio il ruolo che gli è
stato assegnato.
Parliamo della sua cucina.
Partiamo dallo chef. Non deve
essere lui il protagonista. Sono
contrario al professionista che
vuole imporre la sua cucina a
tutti i costi. Sono geneticamen-
te contrario alle imposizione di
tutti i tipi. Credo nella libertà e
nella libera scelta ed applico
questo concetto anche nella
mia cucina. Vede, io conside-
ro il mio locale una trattoria.
Chiaramente una trattoria un
po’ particolare, magari un po’
di lusso ma con ben chiare le
caratteristiche che deve avere
una trattoria. Qualità, tipicità,
tradizione sono le nostre armi
vincenti.
Oggi tutti i locali stanno vi-
vendo un momento di crisi.
come pensa di superare
questo difficile momento.
Anche l’Harry’s Bar di Venezia
fa i conti con la crisi e mi sono
trovato costretto a tagliare
del 10-15% i prezzi. Niente
di strano, le boutique fanno
le liquidazioni, noi ci adeguia-
mo. I clienti comunque hanno
capito e l’hanno presa molto
bene. Se prima venivano una
volta, adesso hanno triplicato
la loro presenza. Un grosso
aiuto lo stanno dando anche
i miei dipendenti che hanno
accettato di tagliarsi del 10% il
loro stipendi. Tutto questo mi
è servito per non licenziare la-
sciando inalterato il servizio ed
offendo la stessa qualità.
Ripercorra la sua vita. A chi
deve dire grazie.
Sicuramente a tutti i miei col-
laboratori in primis. Le dico
una confidenza. In questo lo-
51
speciale Venetocale i miei due direttori sono già in
pensione eppure lavorano ancora
con me. Senza di loro sarei perso.
Il personale è il mio grande patri-
monio: veramente senza di loro
non avrei potuto raggiungere que-
sto successo. Comunque non mi
è mai piaciuto guardarmi indietro.
Preferisco guardare avanti. E avanti
ho, fortunatamente, i miei figli e già
i miei nipoti, la quarta generazione, che sono in
azienda. Vorrei che il destino mi riservasse la
fortuna di trovare il tempo per ringraziare anche
loro.
Arrigo CiprianiNasce a Verona nel 1932. Nel 1957 si laurea
in Giurisprudenza all’Università di Ferrara,
si sposa e dal matrimonio nascono tre figli.
Nel 1950 continua l’attività del padre che
nel 1931 fonda l’Harry’s Bar a Venezia.
Con gli anni Cipriani si diffonde in tutto il
mondo aprendo svariate attività a Londra,
New York, Hong Kong, Los Angeles, Porto
Cervo e Miami (ristoranti, resorts, clubs,
residences). Nel 2001 il Ministero italiano
degli affari culturali dichiara l’Harry’s Bar di
Venezia un punto di riferimento nazionale
per la sua testimonianza agli eventi di un
secolo a Venezia. Scrittore e giornalista
collabora con importanti testate nazionali
ed estere.
Il famoso Carpaccio e Bellini
Interno dell'Harry's Bar di Venezia L'angolo del'Harry's Bar
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
harry’s BarIl nome del bar, come raccontò lo stesso
Giuseppe Cipriani (padre di Arrigo), deriva
da quello del giovane studente americano
Harry Pickering che, trasferitosi negli anni
venti a Venezia con una zia per tentare di
curarsi da un inizio di alcolismo, venne da
questa piantato in asso con pochissimi
soldi dopo un litigio. Giuseppe Cipriani,
all’epoca barman nell’hotel in cui risiedeva
l’americano, impietosito dalla vicenda
prestò al giovane 10.000 lire, somma
considerevole per l’epoca, per consentirgli
di rientrare in patria. Qualche anno dopo,
il giovane, guarito dall’alcolismo, tornò a
Venezia e, rintracciato Cipriani, in segno
di gratitudine gli restituì l’intera somma
aggiungendovi 30.000 lire perché potesse
aprire una sua attività in proprio. Cipriani
decise quindi di chiamare il suo locale
“Harry’s Bar” in onore del suo benefattore,
inaugurando la sua attività il 13 maggio
1931. Il cocktail Bellini e il Carpaccio sono
le due celebri creazione che hanno reso
questo locale unico ed inimitabile.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 552
spec
iale
Venet
o Gianni Zonin:
un uomo capace di affrontare qualsiasi sfida
di Roberto Rabachino
Gianni Zonin è il presidente del più importanteimpero vinicolo italiano a conduzione familiare,
vale a dire la Casa Vinicola Zonin.
Il Cav. del Lavoro Gianni
Zonin è certamente una
figura carismatica e rap-
presenta il capitalismo, nella
sua accezione positiva, del
mondo del vino.
Persona gentile, in splendida
forma e disponibile, ci riceve
nel suo ufficio di Gambellara
e con assoluta disponibilità ri-
sponde alle nostre curiosità.
Dott. Zonin ci descriva la
sua azienda.
Per quanto riguarda la gran-
dezza siamo la più estesa
tenuta famigliare italiana con
i 1.800 ettari di vigne. Per ren-
dere meglio l’idea equivalgono
a 9.000 km lineari, vale a dire
la distanza che c’è dall’Italia al
Texas.
In termini di strategia, posso
dire che siamo tra gli unici a di-
versificare la nostra produzione.
Oggi abbiamo vigne in set-
te diverse regioni italiane che
concentrano la produzione
nelle varietà locali. Non penso
che in Europa ci siano molte
aziende vinicole a conduzio-
ne famigliare che possano
competere in questo cam-
po. Abbiamo tenute in Friuli,
Veneto, Lombardia, Toscana,
Puglia, Piemonte, Sicilia e in
Virginia (USA). Parlando di
commercializzazione, ciò si-
gnifica che possiamo offrire ai
nostri clienti e importatori una
vasta gamma di vini di qualità
a pezzi abbordabili, prodotti
da diversi vitigni tipici e prove-
nienti dalle più importati regio-
ni italiane produttrici di vino.
Ci parli del suo ingresso in
azienda.
Era il 1957. Io avevo 19 anni
e avevo appena finito il mio
diploma in enologia presso la
scuola di Conegliano. Mio zio
Domenico, che a quel tempo
53
speciale Veneto
stava conducendo l’azienda
per conto di tutta la famiglia,
influì molto sulla mia carriera.
Lui era un uomo eccezionale:
saggio, lungimirante e un gran
lavoratore. La mia passione
sin da ragazzo era il mondo
del vino e volevo seguire le
sue orme. Il mio ingresso in
azienda non fu però immedia-
to. Prima dovetti soddisfare
il desiderio di mia madre che
mi voleva vedere laureato e,
all’età di 29 anni, conseguii la
laurea in giurisprudenza.
La sua azienda è sempre
stata molto attenta nel co-
municare un prodotto. Che
ruolo hanno oggi i somme-
lier come veicolo di comu-
nicazione del vino?
In questi ultimi anni molto è
cambiato. Mi viene in mente
una pubblicità fatta alla fine
degli anni ’70. Un poster pub-
blicitario intitolava “Bianco o
Rosso, sempre Zonin”, perché
avevamo notato che la pri-
ma domanda in un ristorante
era sempre: Bianco o rosso?
Riferito al vino bianco o rosso.
La gente allora non era così
“sofisticata” e i camerieri non
erano proprio tutti così prepa-
rati. Oggi i tempi sono cam-
biati e il grande movimento dei
corsi di formazione ha fatto la
differenza. Fondamentale per
la divulgazione della cultura
del bere il ruolo dei sommelier
come è fondamentale per noi
formare la nostra forza vendita
non solo sulle tematiche speci-
fiche del marketing ma anche
sulla capacità di comunicare il
vino tramite una corretta anali-
si organolettica descrittiva.
Dottor Zonin, se io le dico
“cultura del vino” lei cosa
mi risponde?
Cultura del vino significa per-
seguire la ricerca della qualità
partendo dalle scelte che si
fanno principalmente in vigna.
Significa valorizzare e svilup-
pare le produzioni tradizionali
senza snaturarle. Significa ri-
spettare il territorio.
Questa è da sempre la politica
della Zonin. Un vino deve es-
sere la finalizzazione di un per-
corso che vede in primo luogo
il rispetto delle tipicità inserite
in un contesto territoriale ben
definito. La nostra azienda po-
teva far spostare il prodotto.
La nostra scelta è stata spo-
starci verso il prodotto.
Barricaia dei Feudo di Butera in Sicilia
Roberto Rabachino intervista il Cav. Lav. Gianni Zonin
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 554
spec
iale
Venet
o Parliamo per concludere
del presente e del futuro.
Mi parli della nuova gene-
razione degli Zonin.
Io non ho mai imposto nulla ai
miei figli. Ho sempre lasciato
a loro la possibilità di sceglie-
re ed eventualmente sbaglia-
re. Sbagliando si cresce. Non
posso però nascondere che
sono molto felice che i miei 3
figli abbiamo scelto di seguire
la mia strada. Loro rappresen-
tano la continuità.
Domenico e Francesco sono
vicepresidenti e rispettivamen-
te si occupano di produzione,
vendita e marketing. Michele
è a capo della Direzione e si
occupa degli aspetti finanziari.
Sebbene io sia molto attento
ad ogni aspetto degli affari
della compagnia, lascio che
i miei figli prendano delle loro
iniziative e li lascio, come det-
to prima, anche sbagliare. Fa
parte del processo di appren-
dimento. Dopo tutto, anche io
commetto ancora oggi qual-
che, magari piccolo, errore.
gianni Zonin
Gianni Zonin è nato a
Gambellara il 15 gennaio
del 1938. Dopo il Diploma in
Enologia (per seguire le orme
dello zio), si è laureato in
Giurisprudenza (per esaudire il
desiderio di sua madre).
All’età di vent’anni entra in
azienda e, nel 1967, nean-
che trentenne, assume la
Presidenza dell’azienda fami-
liare, che proprio in quell’anno
diventava una S.p.A.
Fu lui a guidare l’azienda verso
il costante e rapido successo
ottenuto negli anni successi-
vi al suo arrivo e a prendere
l’importante decisione di in-
vestire in vigneti di proprietà,
estendendosi in diverse zone
italiane, per dare ancora più
garanzia al consumatore at-
traverso il controllo dell’intera
filiera produttiva. “Abbiamo
puntato ad acquisire aziende
agricole importanti... sceglien-
dole in base alla loro colloca-
zione geografica, in modo da
poter offrire ai nostri clienti
una gamma completa di vini di
qualità provenienti dalle sette
regioni più vocate alla vitivini-
coltura in Italia”.
Secondo Gianni Zonin la chia-
ve di volta imprescindibile per
avere successo è la qualità.
Questo è da sempre l’impe-
gno della famiglia Zonin: la ri-
cerca di un continuo migliora-
mento qualitativo. Per questo
nel 1997 Gianni Zonin scelse
di avere al suo fianco Franco
Giacosa, per proseguire lungo
questa strada.
Dal dialogo tra un uomo dalle
grandi visioni strategiche nel
mondo del vino e l’eccellen-
za del tecnico, Casa Vinicola
Zonin ha potuto raggiungere
i massimi livelli qualitativi, so-
prattutto puntando sui vitigni
autoctoni, ed entrare a far
parte della storia del vino ita-
liano.
Nel 1989, è stato insignito dal
Presidente della Repubblica
Italiana dell’onorificenza di
Cavaliere del Lavoro e dal
1996 è Presidente della Banca
Popolare di Vicenza.
Gianni Zonin con i tre figli
speciale Veneto
VistidaVicino
a cura della redazione di
La storia della prestigiosa azienda valpolicellese, Santa Sofia (1811), è da più di 40 anni connessa a quella della famiglia Begnoni, che la rileva nel 1967 grazie all’intraprendenza del
giovane e promettente enologo Giancarlo Begnoni, diplomatosi al rinomato Istituto di enologia di Conegliano Veneto. Assieme a Giancarlo ora alla conduzione dell’azienda ci sono anche i figli Luciano e Patrizia. Dai vigneti della Valpolicella Classica, Giancarlo esprime vini di struttura, eleganti, equilibrati, con ottimo abbinamento con i cibi, e completa la produzione con uve proveniente dai vigneti delle zone di produzione DOC veronesi: Soave, Bardolino, Custoza, Lugana. Con la vendemmia 1967, produce la prima edizione del Gioè, la sua riserva di Amarone della Valpolicella, a sottolineare la qualità superiore di quell’annata. Da allora ai giorni nostri Giancarlo ne ha prodotto solo 16 edizioni:
l’ultima è la 2003. Tra gli ulteriori vini di particolare pregio, segnaliamo: il Montegradella, Valpolicella Classico Superiore, prodotto con lo stesso processo di produzione dell’Amarone, ma con tempi più brevi di appassimento delle uve e di maturazione in botte; l’Arlèo, Rosso del Veronese, un blend di Corvina (85%), l’uva principe della Valpolicella fatta appassire per 60 giorni, e di Cabernet Sauvignon e Merlot (15%), maturato in
legno per 24 mesi; il Recioto della Valpolicella Classico, vino da dessert indimenticabile, premiato con la medaglia d’oro al Decanter WWA in Inghilterra. Le cantine storiche sono aperte per visite e degustazioni dal lunedì al venerdì dalle 9:30 alle 11:45 e dalle 14:30 alle 17:30. Chiuso sabato e domenica, salvo eventi particolari quali “Cantine Aperte” e “San Martino in Cantina” promosse dal Movimento Turismo del Vino.
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La storia della storica
azienda
Una storia che coinvolge set-
te generazioni nella viticoltura,
che inizia a Gambellara, nel vi-
centino, dove già il vino veniva
coltivato al tempo dei romani e
consumato dai Dogi di Venezia.
Anche se già a partire dal 1821
la famiglia è legata alla coltura
e alla produzione del vino, è nel
1921 che il nome Zonin inizia
una vera e propria rivoluzione:
il commendator Domenico
Zonin specializza nella viticol-
tura i terreni di famiglia, dando
vita alla Casa Vinicola Zonin.
Nei primi anni ‘60, un’altra
grande svolta: lo zio Domenico
viene affiancato dal nipote
Gianni Zonin, che nel 1967
assume la Presidenza della
società.
Vini di alta qualità e accessi-
bilità e scelte commerciali e di
marketing innovative aprirono
la strada a un processo di cre-
scita tuttora in atto.
Risalgono agli anni Settanta
l’acquisto delle Tenute Ca’
Bolani e Castello d’Albola, e il
successivo approdo in Virginia,
USA, con Barboursville
Vineyards, che anticipava la
futura espansione nel merca-
to americano. “Ricordo an-
cora quando acquistammo
la Tenuta Cà Bolani in Friuli –
racconta Gianni Zonin in un’in-
tervista – era il 1970 e c’era
qualche dubbio in famiglia sul
fatto di uscire dai confini del
nostro Veneto. Ma ero convin-
to della mia idea: per produrre
vini di eccellenza è necessario
possedere i vigneti, sceglien-
do i migliori terroir e i vitigni più
tipici. Andai avanti”.
Fu un salto importante, per-
ché l’azienda di Gianni Zonin
passò da realtà di una zona
prestigiosa, ma pur sempre
circoscritta, a una realtà che
si estende dal Veneto al Friuli,
dal Piemonte alla Toscana e
all’Oltrepò, dalla Puglia alla
Sicilia. “Lasciare il Veneto sen-
za lasciarlo” è stata una scelta
di strategia dell’azienda che
ha segnato il destino della fa-
miglia Zonin.
Negli ultimi dieci anni, dopo
sette generazioni, è avvenu-
to un nuovo passaggio: con
l’entrata in azienda dei tre
fratelli Domenico, Francesco
e Michele la famiglia si è in-
grandita ulteriormente, arric-
chendosi di innovazione e di
contemporaneità.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 556
spec
iale
Venet
o Il bacalà alla Vicentina
di Romolo Cacciatori (Membro Venerabile Confraternita Bacalà alla Vicentina, Bailli del Veneto e Consigliere Nazionale Chaine des Rotisseurs)
In tutto il Veneto il baccalà, inteso come stoccafisso, fu accolto con grande interesse, anche e soprattutto
nelle comunità rurali per la possibilità di cucinarlo senza grandi problemi, utilizzando ingredienti del territorio
e con un costo modesto
Si racconta che, nel
1269, i vicentini, che
tentavano l’assalto al
castello di Montebello, difeso
dai veronesi, alle guardie che
gridavano: ”Altola’!”, rispon-
dessero: ”Oh, che bello, noi
portiamo polenta e bacca-
là”. E a quel grido, i veronesi,
ghiottoni, spalancarono il por-
tone. È leggenda o è storia?
Ci rimangono i dubbi legati
alla data dell’arrivo del pesce
essiccato in Italia risalente
solo alla metà del 1400. Nel
1432, una spedizione, agli
ordini del capitano venezia-
no Pietro Querini, naufragò a
Røest, una delle più sperdu-
te isole Lofoten, al largo del-
la Norvegia. Rientrando poi a
casa, nella sua Venezia, portò
con sé il merluzzo essiccato
che aveva trovato nell’isola.
Poi illuminati gastronomi vi-
centini trasformarono questo
pesce essiccato nel famoso
piatto che ora noi conosciamo.
La sua diffusione fu aiutata
anche dalla Chiesa che con
il Concilio di Trento ritrovò la
voglia di mondarsi, anche con
la cucina, e fu un ritorno al
mangiare sano, al mangiare
magro, all’astinenza ed al di-
giuno. La cucina di magro di-
venne una sorta di viatico per
l’anima. Qualcuno osò pensa-
re che questa delibera eccle-
siastica fosse ispirata e spinta
dal fatto che, nel frattempo, le
Valli di Comacchio erano pas-
sate dagli Estensi al Papato, e
lì c’era tanto pesce da consu-
mare e da vendere. I vicentini
videro nello stoccafisso un’al-
ternativa al costoso pesce
fresco, facilmente deperibile.
Un considerevole commercio
del pesce fu messo in moto e
Il Bacalà alla Vicentina al G8 Agricoltura
Vigneto “Conca d’Oro”
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Famiglia Tommasi, 4ª generazioneFamiglia Tommasi, 4ª generazioneFamiglia Tommasi, 4ª generazioneFamiglia Tommasi, 4ª generazioneFamiglia Tommasi, 4ª generazioneFamiglia Tommasi, 4ª generazione
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 558
spec
iale
Venet
o
poiché il pesce secco era fa-
cilmente trasportabile e poco
deperibile, riuscì ad avere un
posto di rilievo. Bastava poi un
po’ d’acqua a rimettere tutto a
nuovo, dopo che era stato tra-
sportato come legna e senza
molti riguardi. Le popolazioni
povere dell’entroterra trovaro-
no nel pesce-bastone (stock-
fish) un facile modo per adem-
piere il precetto del venerdì e
quindi agli obblighi religiosi.
Divenne in questo modo un
oggetto prezioso da scambia-
re fra le popolazioni del nord e
quelle del sud.
Baccalà nel Veneto
In tutto il Veneto il baccalà,
inteso come stoccafisso, fu
accolto con grande interesse,
anche e soprattutto nelle co-
munità rurali per la possibilità
di cucinarlo senza grandi pro-
blemi, utilizzando ingredienti
del territorio e con un costo
modesto. Un’evoluzione do-
menicale e del dì di festa in
alternativa alla “triste aringa”e
alla “sardella” sotto sale che
dava vita ad un piatto sem-
plice ma gustoso: i bigoli in
salsa (spaghetti con sardine
sotto sale sciolte nell’olio o
burro). Non è detto che tutti
eseguissero la “Ricetta Madre
del Bacalà alla Vicentina” o del
“Mantecato alla Veneziana”.
Ogni Paese aveva la sua ricet-
ta: o con pomodoro o con pa-
tate od altro, secondo quanto
si reperiva per fare “strada”
ed accontentare le famiglie
numerose. La polenta era
sempre presente e quindi il ri-
empimento dello stomaco era
assicurato. Molti ingredienti in
comune: sicuramente il latte,
poiché tutti allevavano le muc-
che o le pecore, e questo po-
teva essere un valido sostituto
Cacciatori - Assaggio, affiliazione Confraternita del Bacalà - Sandrigo VI
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 59
speciale Venetodell’olio. Anche il prezzo della
materia prima era per tutti e
quindi molti potevano permet-
terselo, adatto com’era a vec-
chi e bambini. Si riporta che
allo svezzamento dei piccoli
spesso veniva fatto assaggia-
re un piatto di Baccalà, che
aveva sì un po’ di latte come
ingrediente ma presentava
anche altri elementi un poco
impegnativi, e creava spesso,
ai bimbi, qualche imbarazzo,
ma questa è un’altra storia.
Valore della ricetta
vicentina nel mondo ga-
stronomico
Ma cosa dire del valore della
ricetta e del piatto nella storia
della gastronomia? Solo nel
1580 Michel de Montagne,
nel suo celebre “Journal de
Voyage en Italie”, lascia un
piccolo appunto su Vicenza,
“grande città piena di palazzi
gentilizi”, ma il suo entusiasmo
letterario riprende fuoco solo
per un pranzo in cui era inclu-
so il famoso “piatto nazionale”
dei vicentini: il baccalà. L’Artusi
nell' “Arte del mangiare bene e
la scienza in cucina” pur pre-
sentando qualche ricetta sullo
stoccafisso non fa menzione
né del “bacalà alla vicentina”
né del “baccalà mantecato”.
La “Venerabile Confraternita
del bacalà alla vicentina” (sito
ufficiale del baccalà: www.
baccalaallavicentina.it) sugge-
risce la ricetta, frutto di studi e
di comparazioni tra le nume-
rose preparazioni in auge nei
ristoranti e nelle trattorie più
famose del Vicentino, tra gli
anni trenta e cinquanta, senza
naturalmente demonizzare le
varianti, attualmente in servi-
zio. A dire il vero le varie ricet-
te avevano poche differenze e
solo nei particolari: latte, cipol-
la, formaggio sono presenti in
tutte le ricette. C’è chi discute
sulla “sardea”, chi non vuole
l’aglio o il burro, ma c’è tanto
latte ed olio che anche il burro,
forse, non fa tanto male. La
Confraternita ha messo fine
alle discussioni ed ecco la ri-
cetta ufficiale depositata.
Il Merluzzo ed il baccalà
Il merluzzo per tutte le ricette a
base di stoccafisso è la specie
che vive nel Nord Atlantico e nei
mari freddi in generale, a tem-
perature di acqua comprese
fra 0 e 16 max.; se la tempera-
tura si alza diminuisce il livello
della qualità. La taglia media
è fra 50 e 80 cm. Ma qualche
esemplare arriva anche a di-
mensioni maggiori. Il Merluzzo
è fecondissimo: ogni femmina
depone milioni di uova, molte
vanno perdute altrimenti ne
avremmo quantità enormi.
Una volta pescato il merluzzo,
liberato già sul natante della
testa, delle pinne, della coda
e dell’intestino, viene imme-
diatamente messo in barili,
con abbondante sale che ne
garantisce il prosciugamen-
to e la lunga conservazione.
Questo è il baccalà. Quando
invece viene scaricato a riva e
portato a seccare per mesi sui
graticci di legno a temperatu-
ra che si aggira su zero gradi,
esposto quindi all’aria fredda
e ai deboli raggi del sole del
cielo nordico, si ha lo stocca-
fisso, ovvero stock, legno o
bastone di fish, di pesce, tale
apparendo per forma e per
durezza. La qualità migliore
è quella denominata “ragno”,
ma ha poca carne e non lo si
trova praticamente più; attual-
mente si usa la Best Western,
un merluzzo di circa 80 cm. È
corretto fare una precisazione:
i vicentini chiamano lo stoc-
cafisso, pesce secco, con il
nome di Bacalà (con una c
solamente), perchè quando
parlano di baccalà (con due c)
si riferiscono a quello salato.
Il baccalà ha caratteristiche
nutrizionali di buon livello:
contiene vitamine PP e B1,
calcio e fosforo. Una curiosità:
le lingue e le guance del mer-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 560
spec
iale
Venet
oluzzo sono consumate in loco
e difficilmente ci raggiungono
ma sono saporite e da prova-
re; il fegato di merluzzo, incu-
bo di qualche ragazzo che ora
non è più tanto giovane, non
è più usato come ricostituente
ma solo nei paté alimentari. Le
uova sono un’esca formidabi-
le per la pesca delle sardine.
L’abbinamento con il
“Bacalà alla Vicentina”
Anche per il “bacalà alla vicen-
tina” non esiste la perfezione
nell’abbinamento fra piatto e
vino ma sono presenti nel ter-
ritorio una serie di proposte.
Ancora una volta ci vengono
incontro tradizioni locali per i
vini: il detto popolare “la Cucina
mangia la Cantina”. Anche qui
la Venerabile dà qualche indi-
cazione. Questo è un piatto
saporito ma delicato al tempo
stesso; presenza di latte, olio
e dei vari altri ingredienti com-
plicano l’operazione di abbi-
namento. Il vino deve pulire
la bocca ma non sovrastare il
piatto quindi la mia preferenza
(e quella della Confraternita)
va a due vini, entrambi da uve
autoctone vicentine: uno è il
Durello superiore (vino anti-
chissimo e moderno, 100%
dall’ omonimo vitigno) e l’altro
è il Breganze superiore (da
uve Vespaiolo, in purezza). Il
Durello è citato in un editto del
1290 come Uva Durasena ed
addirittura se ne sono rinvenu-
te tracce in alcune ammoniti. Il
Vespaiolo chiamato così per-
ché le Vespe sono attratte dal-
la dolcezza dei sui acini; colti-
vato dai Benedettini in loco
(Breganze - VI) fin dal 1400.
In terza posizione metterei un
altro Vicentino: il Gambellara
Classico (da uve autoctone
Garganega). Mentre direi or-
mai superato definitivamente
l’abbinamento del Tocai Rosso
ora Taj Rosso, con il Piatto
Vicentino. È un vino di struttu-
ra (forse non tutti sanno che è
un Grenache) poco adatto ad
accompagnare con discrezio-
ne questo piatto per i troppi
sentori di lamponi e ciliegie e
con i tannini in evidenza. Se
a qualcuno non piace il vino
direi che almeno un bicchiere
di Birra potrebbe essere un
abbinamento accettabile. Non
siamo né in Belgio né in l’In-
ghilterra o almeno in Germania
per avere molteplici scelte.
Serve una birra che crei sec-
chezza, eliminando l’untuosità
che è in bocca, con alcool e
carbonatazione per garantire
la pulizia del palato, quindi al-
colica o molto alcolica. Potrei
suggerire la Baladin, ambrata
demi-sec, per un matrimonio
italiano; oppure, andando in
Belgio, una Duvel, una strong
ale. Sconsiglio l’acqua frizzan-
te, anche se qualche astemio
potrebbe esserne tentato.
Lo chef Antonio Chemello davanti alla sua storica Trattoria.
Magazzino di stoccafisso a Røest
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 61
speciale VenetoLa Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina La Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina,
si costituisce nel marzo del 1987, con una solenne
cerimonia nella sala consiliare del Comune di Sandrigo,
presente il Sindaco Renato Sperotto e il promotore e
ideatore dell’iniziativa, l’avvocato Michele Benetazzo,
presidente della Pro Loco cittadina. Scopo del sodalizio
è quello di difendere, conservare e promuovere il piatto
tipico vicentino e più in generale, di incoraggiare la
cultura gastronomica locale e il turismo. Uno dei compiti
della confraternita è quello di valutare i Ristoranti che
chiedono di entrare nel club e quindi di poter ottenere
l’ambita targa della Confraternita e un altro è quello di
verificare, a sorpresa, l’aderenza alla ricetta nei ristoranti
della Confraternita. Sono presenti e individuabili nel
sopraccitato sito una quarantina di Ristoranti. La
maggior parte dei locali sono in provincia di Vicenza,
ma anche in varie località del Veneto e in altre regioni.
Sono pervenute alla Confraternita richieste di entrare a
farne parte da parte di ristoratori stranieri. Dopo il suo
recente inserimento fra i piatti che rappresentano la
Tradizione culinaria Italiana (Il Brasato alla Piemontese,
La Torta con il Castagnaccio alla Toscana, La Pizza alla
Napoletana, Il Cannolo alla Siciliana e per l’appunto il
Bacala’ alla Vicentina), si auspica che il piatto, che già
gode di fama, venga ulteriormente ampliata, anche a
livello internazionale. La cittadina vicentina ha dedicato
una piazza all’Isola di Røest e l’isola di Røest e la Norvegia
hanno regalato un’isoletta alla comunità di Sandrigo,
che è stata battezzata Sandrigooja. Ogni anno una
delegazione ufficiale Norvegese arriva a Sandrigo per
assistere, nell’ultima domenica di settembre, alla Festa
del “bacalà” e alla cerimonia della nomina dei nuovi
confratelli. Nel 2007, uno chef Sandricense, Antonio
Chemello, appoggiato ufficialmente dalla Confraternita,
ha organizzato un viaggio-evento, ripetendo la rotta del
Querini, del lontano 1432. Con la barca a vela dal porto
di Venezia, dopo una lunga e difficile navigazione ha
raggiunto Røest. La barca era partita, con un carico
di bottiglie di buon Vespaiolo della Cantina Beato
Bartolomeo, etichettate per l’evento e destinate alle
autorità dei vari paesi toccati nelle tappe del viaggio.
Alcune bottiglie, bevute dall’equipaggio, vuote, sono
state gettate in mare, con un messaggio, che avrebbe
dato la possibilità al fortunato ritrovatore di aggiudicarsi
una fornitura di vino presso la Cantina. A tutto oggi ben
sei bottiglie sono state ritrovate e sei premi pagati, con
piacere, dalla Cantina a persone provenienti da Paesi
diversi.
La ricetta del Bacalà alla vicentinaIngredienti per 12 persone:
kg 1 di stoccafisso secco; g 500 di cipolle; litri 1 d’olio
d’oliva extra vergine; 3-4 acciughe; 1/2 litro di latte
fresco; poca farina bianca; g 50 di formaggio grana
grattugiato; un ciuffo di prezzemolo tritato; sale e
pepe.
Preparazione:Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in
acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3
giorni. Levare parte della pelle. Aprire il pesce
per il lungo, togliere la lisca e tutte le spine.
Tagliarlo a pezzi quadrati, possibilmente uguali.
Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un
tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le
acciughe dissalate, diliscate e tagliate a pezzetti; per
ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato.
Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorarli con il soffritto
preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame
di cotto o di alluminio, oppure in una pirofila (sul cui fondo
si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto);
ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo
anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe.
Unire l’olio, fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli.
Cuocere a fuoco molto dolce, per circa 4 ore e
mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso
rotatorio, senza mai mescolare, questa fase di
cottura si chiama “pipare”, in dialetto vicentino.
Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura
dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare,
può differire di consistenza. Sicuramente il fatto che
si possa ammirare a fine cottura l’olio nuovamente
limpido è segno di una cottura corretta; anche il colore
del Bacalà cotto deve tendente al bianco. Servito ben
caldo, il baccalà è ottimo anche dopo un riposo di 12-
24 ore. Per quanto riguarda l’accompagnamento, non
pane ma polenta gialla non abbrustolita, ma tenera, in
fetta e non al cucchiaio.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
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Venet
o Il baccalà mantecato
Il primo piatto di stoccafisso nato in Italia
Era il 3 febbraio 1432, festa di san Biagio, quando il capitano de
mar veneziano Piero Querini e i mar veneziano Piero Querini e i marsuoi 11 compagni (dei 68 partiti da Creta il 25 marzo 1431), so-pravvissuti ad un tragico nau-fragio, sono salvati da alcuni pescatori e portati nell’isola di Røest, nelle Lofoten, arcipe-lago norvegese oltre il Circolo Polare Artico, dove restano per 101 giorni, fino al 14 maggio. In questo periodo, oltre a ripren-dere le forze, assistono alla pesca del merluzzo e alla sua essiccazione, metodo questo inventato dai Vichinghi già pri-ma del Mille, per conservare quel pesce pescato solo nei primi mesi dell’anno, quando i merluzzi s’avvicinano alla costa per deporre le uova. Querini fa ritorno poi a Venezia, dove giunge il 24 gennaio 1433 e consegna ai Magistrati
un’ampia relazione del suo viaggio. I veneziani, tuttavia, ignorano quel pesce bastone– era infatti chiamato stocfiso – e ciò fino a quando il Concilio di Trento, conclusosi all’inizio di dicembre del 1563, fissa un lungo elenco di giorni nei quali i cristiani dovevano mangiare “di magro”. Allora i mercanti veneziani, come anche i ge-novesi, accorrono con le loro navi a Bergen, città costiera della Norvegia sud-occidenta-le, dove c’era (e c’è) il grande mercato dello stoccafisso e ne portano a Venezia gran quan-tità da vendere nella Penisola. Aveva scritto il Querini nella sua relazione: “I stocfisi seccano al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come il legno. Quando li vogliono mangiare li battono col rovescio della man-nara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie per darli sapo-re; ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Ale-magna.”Una volta a Venezia, le brave cuoche delle case patrizie e borghesi e poi anche popo-lane, seguono le indicazioni del Querini, cioè battono con cura gli stoccafissi, ma scoprono che per eliminare il loro forte e cattivo odore conviene prima metterli in
ammollo per qualche giorno cambiando l’acqua più volte; poi, eliminate pelle e lische, tra-sformano la polpa in una crema deliziosa, ammorbidendola con dell’ottimo olio d’oliva, mesco-lando e sbattendo con cura. Nasce così il più antico piatto di stoccafisso realizzato in Italia e chiamato alla spagnola bac-calà mantecato, che significa esattamente crema o burro di stoccafisso. Perché baccalà(termine riservato più corretta-mente al merluzzo sotto sale) e perché mantecato? Va ricorda-to che dal 1535 al 1706 Milano e la Lombardia sono sotto il dominio spagnolo e la cultura spagnola si diffonde in gran parte dell’alta Italia, anche nel veneziano e ci sono documenti che rivelano come nelle terre della Repubblica di Venezia il termine corretto di stoccafisso è cambiato in quello di baccalànella seconda decade del ‘600. E da allora la crema di stoc-cafisso alla veneziana, sempre presente nella cucina venezia-na e nelle terre limitrofe e anche fuori regione, è chiamata bac-calà mantecato, inimitabile deli-zia della cucina veneziana e ve-neta, in onore della quale il 21 marzo 2001 è sorta a Venezia la “Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato”.
Baccalà mantecato con polenta (archivio fotografico di Giampiero Rorato)
DISTRIBUITO IN ESCLUSIVA PER L’ITALIA DARinaldi Importatori - Viale Masini, 34 - 40126 Bologna - tel. 051 4217811 - fax 051 242328- www.rinaldi.biz
In verità, accanto ad alcuni
nomi ben noti anche fuori
regione – Asiago, Grana
padano, Montasio, Monte
Veronese, Piave, Taleggio, e
pochi altri – la maggioranza
dei formaggi prodotti nelle set-
te province venete, con latte
vaccino, pecorino o caprino,
sono piccoli ma
veri e propri gioielli
di nicchia, la maggior parte dei
quali sono il frutto del lavoro di
piccoli casari operanti princi-
palmente nelle zone alpine e
prealpine, i quali continuano
a produrre come i loro padri,
i nonni, i bisnonni..
Nelle malghe del Massiccio
del Grappa, che interessano
le province di Treviso, Vicenza
e Belluno, si producono,
ad esempio, il Morlacco e il
Bastardo. Il primo venne intro-
dotto da famiglie morlacche,
qui trasferite dai Balcani (ad
est della Dalmazia) in secoli
lontani da Venezia, bisognosa
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 564
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Venet
o Veneto:
grande terra di formaggi Il Veneto è una delle grandi terre di formaggi
e l’elenco ufficiale della Regione ne conta ben sessantanove, una enormità.
Alcuni formaggi tipici del Veneto
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
di ripopolare la montagna e si continua a
produrlo, come nel lontano passato, col
latte delle piccole vacche di razza Burlina,
purtroppo quasi in estinzione. Il secondo
è prodotto sempre dai discendenti dei
Morlacchi col latte un tempo di risulta dopo
aver ottenuto il precedente formaggio
Nel Bellunese, a Livinallongo del Col di
Lana, dove vive una popolazione ladina,
si producono tre formaggi che portano i
nomi di tre borgate locali: Contrin, Fodom
e Renaz e rappresentano delle vere e pro-
prie eccellenze casearie. Altri due formag-
gi tradizionali, prodotti in passato col latte
delle mucche sulla strada dell’alpeggio,
sono lo Stracchino trevigiano (prodotto
anche il altre regioni) e lo Stracon verone-
se, entrambi formaggi freschi e molli.
Nell’Altipiano del Cansiglio, abitato, come
nei Sette Comuni dell’Altipiano di Asiago,
dai discendenti degli antichi immigrati
Cimbri, si producono formaggi buonissimi,
che regalano i profumi degli alti pascoli di
montagna.
Molti dei formaggi tipicamente locali –
Busche, Cansiglio, Comelico, Daniele,
Monte delle Dolomiti, Soligo, Sappada,
ecc. – sono varianti locali del tradizionale
“Latteria”, che è la forma tipica dei caseifici
ottocenteschi..
Dal “Latteria” è poi derivato il Montasio
(DOP dal 1986), formaggio genuino, ga-
rantito dall’Unione Europea. Esso risponde
ad alcuni precisi requisiti: la zona di pro-
duzione è rigorosamente identificata nel
Friuli, nel Veneto orientale nelle province di
Belluno e Treviso, e in alcune aree delle
province di Padova e Venezia. La mate-
ria prima è il latte fresco e il controllo della
qualità e delle progressive trasformazioni
sono effettuati dagli ispettori del Consorzio.
Col Montasio, come già per il Latteria, si
ottengono tre maturazioni: fresco, mezza-
no e stagionato. La marchiatura, apposta
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 566
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Venet
o alla produzione dal Consorzio
di Tutela, garantisce l’identità,
l’origine e il rispetto delle carat-
teristiche dei severi disciplina-
ri. Questi fattori, tutti insieme,
salvaguardano l’origine e la ti-
picità del formaggio Montasio,
uno dei gioielli dell’arte casea-
ria veneto-friulana.
Meritano poi una citazione gli
splendidi pecorini e caprini e le ri-
cotte, molto richieste dal mercato alimentare
italiano.
La rassegna dei formaggi veneti richiederebbe
più spazio, ma il nostro invito ai lettori è quel-
lo di visitare questa regione, percorrerne le
strade, soprattutto nelle Dolomiti, nel Grappa,
nell’Altopiano di Asiago, nella Lessinia e nel
Monte Baldo, per scoprire la ricchezza, bontà
e varietà
dei formaggi veneti.
A tavola sono sempre i benvenuti, anche
da soli. Se freschi, preferiscono vini giovani,
profumati, di contenuta gradazione alcolica,
come il Prosecco e il Bianco di Custoza, il
Pinello padovano, oltre al Pinot bianco o grigio
e vini simili. Il Montasio fresco, e i tanti analo-
ghi “Latteria”, amano vini un po’ più robusti,
come l’ex Tocai (detto oggi per contrazione
“Tai”), il Soave, il Lugana; il Montasio mezzano
e l’analogo Latteria, richiedono vini bianchi più
importanti come il Colli di Conegliano Bianco,
il Soave superiore e vini analoghi, o anche dei
vini rosati, tipo Bardolino Chiaretto o Tocai
rosso (vinificato in rosato); il Montasio
stagionato, al pari degli analoghi
Latteria, richiede vini rossi, come
Merlot, Carmenere, Cabernet
Sauvignon o Valpolicel-la giova-
ne. I formaggi a pasta dura di più
lungo invecchiamento, come
un Monte veronese o il Grana
padano richiedono vini ancora
più impegnativi, come Raboso
Piave, Friularo, Amarone,
Venegazzù e altri bordolesi simili
abbondantemente prodotti dalle
aziende venete.
Forma del famoso Bastardo del Grappa
Una cella di stagionatura
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 67
speciale Veneto
La polenta
Il Veneto, al pari di altre regioni italiane, ama moltissimo questa preparazione di origine preistorica.
Un ricco e interes-
sante volume dello
scrittore e giornalista
Giampiero Rorato, socio Fisar
e già consigliere nazionale,
scritto assieme alla moglie
Liliana, ripercorre la storia di un
alimento che ancor oggi è alla
base della cucina del Veneto,
come anche di altre regioni. E
se fin dall’antichità la polenta
era confezionata con cereali
oggi considerati poveri, come
il miglio e la segale, dalla metà
del Cinquecento essa è otte-
nuta da farina di mais. Rorato
racconta come il mais è arri-
vato all’inizio del ‘500 in terra
veneta e come, dopo essere
stato coltivato come pianta
ornamentale prima e succes-
sivamente come alimento per
gli animali, grazie all’intuito di
un patrizio veneziano, Lunardo
Emo, attorno agli anni 30 dello
stesso secolo venne coltiva-
to più estesamente nelle sue
terre di Fanzolo di Vedelago
(Treviso) proprio per ottenere
una farina migliore di quella
usata in precedenza. Il grande
medico, botanico e studioso
Pier Andrea Mattioli (1501-
1578), vissuto in terra veneta
nei suoi primi cinquant’anni,
a metà dello stesso secolo
scrive che la polenta, pastic-
ciata col formaggio, era già
un piatto abbastanza diffuso
nel mondo contadino ed era
il piatto unico soprattutto del-
la povera gente. E, da allora,
non è più mancata sulle tavole
venete. La polenta, erronea-
mente diffamata per oltre un
secolo a causa della pellagra,
dovuta in verità al mancato
assorbimento delle vitamine
del Gruppo B, in particola-
re della “niacina” (vitamina
PP) e ciò per la mancanza di
sale, di carne e di ortaggi, ha
comunque superato indenne
anche questa tragica prova,
che ha causato tra Veneto e
Lombardia decine di migliaia
di vittime.
Cibo un tempo dei meno ab-
bienti e considerata sostituto
povero del pane, da diversi
decenni la polenta è ritornata
in auge ed è presente anche
nei ristoranti più qualificati del
Veneto. Come ricorda Rorato,
considerato oggi il massimo
studioso veneto di storia ali-
mentare e gastronomica ed
autore di numerosi volumi
sull’argomento, in Veneto ci
sono delle abbinate ormai irrinunciabili, come
“polenta e osèi”, che tuttavia appartiene al pas-
sato, al pari della “polenta e latte” che era la
colazione e la cena dei bambini fino alla metà
del secolo scorso. Molto attuali sono invece:
“polenta e tòcio”, “polenta e pesce”, “polenta
e baccalà”, “polenta e formajo”, “polenta e sa-
lame”, ecc.. Essa è la compagna immancabile
degli umidi sia di carne che di pesce, capace di
esaltare ancor più la bontà dei piatti.
Ma quale polenta? Fino all’arrivo degli “ibridi”
americani, avvenuto a iniziare dagli anni ’60 del
secolo scorso, c’erano nel Veneto centinaia di
biotipi, diversificatisi nel corso dei secoli, poi
quasi totalmente scomparsi per la progressiva
diffusione delle nuove sementi molto più pro-
duttive. Ma alcuni interessanti biotipi sono rima-
sti, come il “biancoperla”, che Venezia ha sem-
pre usato per le sue polente, immancabilmente
bianche (le eventuali gialle erano per la servitù).
Altro biotipo, in verità un felicissimo incrocio,
ottenuto sul finire dell’800 dall’intraprendente
agricoltore Antonio Fioretti di Marano (Vicenza)
incrociando il “Nostrano” locale col “Pignoletto
d’oro” di Caldogno (sempre nel vicentino) è il
Marano o Maranello, come lo chiama il popo-
lo. La produzione ottenuta, circa 40 q/ha, era
ed è molto scarsa, ma dà una farina stupenda
con cui si produce una polenta davvero reale.
Polenta gialla, s’intende, perché lontano da
Venezia e Treviso la polenta è quasi ovunque
gialla, ma una polenta di gran lunga superio-
re a quella ottenuta dagli ibridi americani gialli
importati dopo l’ultima guerra, anche se, ulti-
mamente, grazie ad ulteriori ricerche, si ha del
mais giallo di buona qualità con cui si confezio-
nano in terra veneta delle ottime polente.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 568
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o
Pietro Longhi (1702-1785) - La PolentaVenezia, Ca' Rezzonico
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oUna storia di qualità: le 8 DOCG del veneto
di Giannantonio Puppin - delegato San Donà di Piave
La vite ed il vino sono
parte integrante della
storia, della cultura
e del paesaggio del Veneto.
Esse hanno nobili e profonde
radici,basti pensare ai mer-
canti della Serenissima che
resero il “Vino de Venegia”,
come si diceva allora, famoso
in mezzo mondo fin dal Medio
Evo. Da Oriente ad Occidente,
dal Regno di Persia sino al
nord della Germania, si gusta-
va ed apprezzava il vino pro-
veniente da tutte le province
del Veneto.
Attualmente nel Veneto si è
affermata una cultura enolo-
gica che interpreta in modo
moderno e brillante una glo-
riosa tradizione con una capa-
cità dinamica e imprenditoriale
che ha permesso di compiere
continui progressi, di miglio-
rare le tecniche produttive e
di raggiungere elevati livelli
qualitativi. Oggi il Veneto è la
prima regione italiana in ter-
mini di produzione di vino con
8.174.000 hl (davanti a Puglia
e Sicilia), e la terza regione in
termini di superficie vitata, con
70.300 ettari (dietro a Sicilia
e Puglia) suddivisa in 25.000
Aziende Agricole attive nel ter-
ritorio.
La qualità del vino veneto è
premiata anche da una cre-
scente richiesta da parte dei
mercati esteri più attenti ed
evoluti. Le esportazioni 2009
di vini e mosti da parte degli
operatori del Veneto valgo-
no circa 992 milioni e mezzo
di euro, un dato che rappre-
senta il 28,6% dell’intero ex-
port enologico nazionale. In
quantità, l’export veneto può
contare su oltre 5 milioni di et-
tolitri, pari al 26,6% del totale
nazionale,
La produzione regionale si
qualifica inoltre attraverso una
tipologia assai varia che offre
una vastissima gamma di vini,
molti dei quali vanno classifi-
cati qualitativamente come
vini di pregio garantiti dalla
tutela giuridica della D.O.C e
della DOCG.
Il risultato di questo importan-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
te sforzo qualitativo è rappresentato dalla produzio-
ne di 2.3 m/hl di vini DOC/DOCG i quali esprimono
il 30% dell’intero prodotto regionale e sono spartiti in
25 DOC, 8 DOCG e 10 IGT.
Vediamo ora, in un immaginario percorso da occi-
dente ad oriente, di descrivere brevemente le otto
D.O.C.G presenti in questa Regione.
Bardolino Superiore D.o.c.g.Il vino Bardolino Superiore è stato il primo vino ros-
so veneto ad ottenere la Denominazione di Origine
Controllata e Garantita, raggiunta nel 2001. Questo
vino è un prodotto tipico della tradizione viticola
dell'entroterra gardesano, dove la particolare com-
posizione e natura del terreno, di provenienza more-
nica, e il clima dolce, favorito dalla vicinanza del lago
di Garda, hanno conferito una particolare attitudine
alla coltivazione della vite ed in particolare dei vitigni
locali.
Questo vino prende il nome dall'omonimo paese si-
tuato sulle verdissime coste orientali del lago di Garda
dove la vite viene coltivata fin dall'età del bronzo,
come testimoniano alcuni semi ritrovati nelle palafitte
di alcuni siti archeologici limitrofi. Nel periodo medio-
evale la produzione del Bardolino fu continuata dai
Monaci della Chiesa di San Colombano, che salvaro-
no questo vino dalla sua scomparsa.
Il vino deriva da un'armonica combinazione di uve da
vitigni autoctoni quali la Corvina veronese la quale dà
struttura e corpo con una buccia molto spessa, la
Rondinella che dà colore e il nerbo acido, la Molinara
che fornisce eleganza e sapidità. Invecchiamento ob-
bligatorio di almeno 1 anno. In commercio vi sono
due tipologie di vino a D.O.C.G.: Bardolino Superiore
e Bardolino Superiore classico, quest'ultimo prodotto
nella zona di produzione più antica. Il vino di entram-
be le tipologie presenta un colore rubino tendente al
granato con l'invecchiamento; il profumo è fruttato e
speziato, caratteristico, comunque delicato. Il sapore
è asciutto e armonico, a volte caratterizzato da sen-
tore di legno.
Ottimo vino da pasto che ben si accosta a minestre,
pastasciutte, fritti, pollame e lumache. Va degusta-
to a 16°-18° di temperatura. Il Bardolino Superiore
si sposa splendidamente con i
formaggi saporiti e brevemen-
te stagionati.
Recioto della Valpolicella Docg Amarone della Valpolicella DocgNei primi mesi del 2010 è ar-
rivata finalmente la tanto atte-
sa “Garantita” per il Recioto e
l’Amarone della Valpolicella.
Un traguardo che i produtto-
ri hanno rincorso per ben 15
anni e che ha richiesto molto
impegno e lavoro da parte del-
le oltre 1800 aziende agricole
associate al Consorzio per la
tutela dei vini della Valpolicella.
Posta all’incirca a nord
ovest della città di Verona,
la Valpolicella è la terra che
dà origine ad alcuni dei più
importanti vini rossi italiani;
la zona di produzione com-
prende 19 Comuni dei quali
5 (Marano, Fumane, Negrar,
Sant’Ambrogio e San Pietro in
Cariano) vanno a costituire la
parte più antica,la cosiddetta
“Valpolicella classica”.
Il nome Valpolicella secondo
alcuni deriverebbe dal latino
“Vallis-polis-cellae” e potreb-
be significare “Valli dalle molte
cantine" a significare che in
questa zona si vinificava sin
dall’antichità.
Si chiama Recioto perché
si utilizzano i lati esterni del
grappolo, le «recie», quelli più
esposti al sole e quindi più
maturi,messi ad appassire su
graticci (che in questa zona
si chiamano “arele”) in locali
molto areati affinché non in-
sorgano muffe dannose. La
tecnica dell’appassimento
era diffusissima nell'antichità
e i romani la applicavano per
la produzione di svariati vini
fra cui verosimilmente anche
alle uve destinate alla produ-
zione del vino “Retico”, che
si produceva nella provincia
veronese-romana denominata
«Retia», come scriveva lo stu-
dioso romano Plinio il Vecchio
nella sua grandiosa opera
«Naturalis Historia».
La prima testimonianza scrit-
ta che fa preciso riferimento
alla produzione nel veronese
di vini mediante l’impiego di
uve appassite, risale al V sec.
d.c., quando Cassiodoro,
ministro in Ravenna di re
Teodorico, scriveva ai senatori
del Canonicato Veneziano allo
scopo di ottenere l’approv-
vigionamento del vino chia-
mato “Acinatico, il cui nome
deriva dall’acino” (Acinaticum,
cui nomen ex acino est).
L’Acinaticum è quindi l’arche-
tipo del Recioto o meglio dei
Recioti perché con lo stes-
so nome veniva identificato
anche il vino bianco da uve
passite altrettanto diffuso in
Valpolicella e nell’area collinare
veronese in generale (Recioto
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 572
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o
“Evviva!” è stato il grido dei produttori del Montello e Colli Asolani alla notizia del riconoscimento dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. Superiore per il proprio prodotto da parte del Ministero delle Politiche Agricole.È il Prosecco Doc Montello e Colli Asolani che cambia nome e diventa D.O.C.G.Il livello più prestigioso nella rigorosa scala delle denominazioni è stato ottenuto dopo un lungo percorso fatto di scelte coraggiose e controcorrente effettuate dai produttori negli ultimi anni. In un momento in cui la tendenza era di aumentare le produzioni per sfruttare meglio i vigneti, hanno deciso di rinunciare a una maggiore quantità di prodotto in favore di una qualità più elevata.Tali sforzi sono stati premiati sia nei concorsi enologici, il Prosecco della Cantina Montelliana ha vinto il Nastro d’Argento al Forum Nazionale degli Spumanti a Valdobbiadene, che dal mercato che ha visto crescere il valore del prodotto del 25% negli ultimi anni e l’aumento della produzione del 65% per arrivare a quasi due milioni di bottiglie.“È un traguardo straordinario - dichiara Diamante Luling Buschetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Doc Montello
e Colli Asolani - che aumenta il prestigio di quest’area della Provincia di Treviso da sempre famosa per la qualità del suo Prosecco e dei suoi vini rossi, per la bellezza delle sue colline e dei tanti borghi e opere d’arte da visitare, e fornisce una ulteriore ragione di viaggio di grande prestigio per gli amanti del turismo enogastronomico che sempre di più visitano la nostra bella Strada del Vino del Montello e Colli Asolani”Nel disciplinare dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. Superiorei produttori hanno scelto di darsi le regole più severe tratutti i disciplinari delle nuove Doc e D.O.C.G. del Prosecco.La resa è più bassa (è ammessa una produzione massima di 120 quintali di uva per ettaro) e il vino per essere certificato deve avere un estratto secco di almeno 16 grammi per litro ad indicare un vino bianco che ha una struttura e una maggiore longevità. I nuovi impianti di vigneto dovranno avere almeno 3000 piante per ettaro per garantire una maggiore qualità delle uve.“Grazie ai nostri terreni e all’esposizione delle nostre colline i nostri vini si sono sempre distinti per la loro struttura, ed abbiamo voluto evidenziare questa importante connotazione anche nel nostro disciplinare.”
EVVIVA IL NUOVO NATO !ASOLO PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G.
Comune di Cornuda
IN COLLABORAZIONE CON CON LA PARTECIPAZIONE DEL
CON IL PATROCINIO DI
nova
idea
.it
“Evviva!” è stato il grido dei produttori del Montello e Colli Asolani alla notizia del riconoscimento dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. Superiore per il proprio prodotto da parte del Ministero delle Politiche Agricole.È il Prosecco Doc Montello e Colli Asolani che cambia nome e diventa D.O.C.G.Il livello più prestigioso nella rigorosa scala delle denominazioni è stato ottenuto dopo un lungo percorso fatto di scelte coraggiose e controcorrente effettuate dai produttori negli ultimi anni. In un momento in cui la tendenza era di aumentare le produzioni per sfruttare meglio i vigneti, hanno deciso di rinunciare a una maggiore quantità di prodotto in favore di una qualità più elevata.Tali sforzi sono stati premiati sia nei concorsi enologici, il Prosecco della Cantina Montelliana ha vinto il Nastro d’Argento al Forum Nazionale degli Spumanti a Valdobbiadene, che dal mercato che ha visto crescere il valore del prodotto del 25% negli ultimi anni e l’aumento della produzione del 65% per arrivare a quasi due milioni di bottiglie.“È un traguardo straordinario - dichiara Diamante Luling Buschetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Doc Montello
e Colli Asolani - che aumenta il prestigio di quest’area della Provincia di Treviso da sempre famosa per la qualità del suo Prosecco e dei suoi vini rossi, per la bellezza delle sue colline e dei tanti borghi e opere d’arte da visitare, e fornisce una ulteriore ragione di viaggio di grande prestigio per gli amanti del turismo enogastronomico che sempre di più visitano la nostra bella Strada del Vino del Montello e Colli Asolani”Nel disciplinare dell’Asolo Prosecco D.O.C.G. Superiorei produttori hanno scelto di darsi le regole più severe tratutti i disciplinari delle nuove Doc e D.O.C.G. del Prosecco.La resa è più bassa (è ammessa una produzione massima di 120 quintali di uva per ettaro) e il vino per essere certificato deve avere un estratto secco di almeno 16 grammi per litro ad indicare un vino bianco che ha una struttura e una maggiore longevità. I nuovi impianti di vigneto dovranno avere almeno 3000 piante per ettaro per garantire una maggiore qualità delle uve.“Grazie ai nostri terreni e all’esposizione delle nostre colline i nostri vini si sono sempre distinti per la loro struttura, ed abbiamo voluto evidenziare questa importante connotazione anche nel nostro disciplinare.”
EVVIVA IL NUOVO NATO !ASOLO PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G.
Comune di Cornuda
IN COLLABORAZIONE CON CON LA PARTECIPAZIONE DEL
CON IL PATROCINIO DI
nova
idea
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odi Soave). Antica è quindi la
tradizione di appassire le uve;
varie tecniche venivano usate
in passato: i grappoli erano
appesi a fili, oppure, mediante
uncini in metallo, pendevano
dalle travature delle soffitte,
spesso venivano appesi ca-
povolti allo scopo di mante-
nere gli acini ben separati e
favorirne l’aerazione. Per il di-
sciplinare, la vinificazione delle
uve messe in appassimento
non può avvenire prima del
1 di dicembre; quindi si pra-
tica una soffice pressatura alla
quale segue una fermentazio-
ne a bassa temperatura con
lieviti selezionati. Quando si
raggiungono le percentuali di
zucchero ed alcol desiderate,
si blocca la fermentazione e
si fa affinare il vino in botti di
legno di piccole (barrique) e
grandi dimensioni.
Il Recioto della Valpolicella
Docg è un grande vino dolce
da fine pasto, da “meditazio-
ne”; ottimo per accompagna-
re la pasticceria secca e cro-
state a base di frutta. Da pro-
vare anche con dolci a base di
cioccolato.
L’Amarone della Valpolicella
Docg, oggi unanimemente
considerato come il più pre-
giato dei vini veronesi e come
uno dei più importanti rossi
italiani si ottiene con lo stes-
so procedimento del Recioto
ma con una fermentazione
più prolungata (45-60gg). La
fermentazione trasforma una
quantità maggiore di zucche-
ri in alcol sino a farlo divenire
quasi “amaro”; le caratteri-
stiche peculiari dell’Amarone
sono rappresentate da un leg-
gerissimo residuo zuccherino,
una nota secca con grada-
zioni mai al di sotto del 14%.
Nacque così, prendendo il
nome dalla sua caratteristica
vena amarognola, l’Amarone,
i cui primi esemplari presero
ad essere imbottigliati solo
nei primi anni del Novecento
mentre la commercializzazio-
ne vera e propria ebbe inizio
solo nel dopoguerra e nel
1968 arrivò il riconoscimento
della Denominazione d’origine
controllata (DOC).
Lasciato pazientemente matu-
rare l’Amarone diventa un vino
assolutamente unico dal colo-
re intenso e luminoso, dai pro-
fumi di ciliegia, ribes, cioccola-
to e spezie, ricco di sostanza,
molto strutturato, morbido,
elegante, perfettamente equi-
librato, dotato di una morbi-
dezza al gusto e caratterizzato
da una notevole persistenza
gustativa. Questa tecnologia
di produzione, applicata nella
elaborazione di vini rossi, co-
stituisce pressoché un caso
unico nel panorama della
produzione vinicola mondia-
le. Se ne conosce solamente
un altro esempio nello Sfurzat
della Valtellina (Lombardia)
per il quale si fanno appassire
le uve del nebbiolo chiamato
“Chiavennesca”.
L’Amarone, per le sue caratte-
ristiche, è un vino che si esalta
se accostato a preparazioni a
base di carni rosse, di cavallo
(la classica pastissada de ca-
val veronese, la battuta di pu-
ledro), d’asino (stracotto d’asi-
na), di manzo (brasato, roast
beef), selvaggina (capriolo e
cervo in particolare), pollame
nobile, dall’anatra alla farao-
na, all’oca. Non va dimentica-
to, inoltre, che l’Amarone è un
magnifico vino da formaggi,
soprattutto il Monte Veronese,
stagionato, ma ancora morbi-
di e non piccanti. La sua fortu-
na attuale è dovuta anche alla
capacità di essere apprezzato
come vino da fine pasto, che
chiude e corona una sera-
ta, da centellinare con calma
conversando in compagnia.
I classici vitigni che compon-
gono questi due grandi vini
sono: la Corvina, apprezzata
soprattutto per il suo corre-
do di sostanze coloranti, per
la concentrazione e la sua
grande capacità di adattarsi
all’appassimento, dagli in-
confondibili aromi di ciliegia;
il Corvinone che dona acidità
e fragranza aromatica ed è
ideale per l’appassimento; la
Rondinella dai bei profumi flo-
reali e una buona eleganza. Il
disciplinare di Produzione pre-
vede inoltre l’utilizzo di altri vi-
tigni a bacca rossa fino ad un
massimo del 15% totale come
la Molinara il cui nome deriva
dalla grande quantità di prui-
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speciale Veneto
na che ricopre gli acini, tanto
da sembrare ricoperti di farina
bianca; e ancora la Dindarella,
l’Oseleta, la Forsellina e altre
ancora. Recentemente sono
state introdotte altre varietà,
apprezzate per le loro carat-
teristiche enologiche positive
quali apporto di colore per
alcune, struttura per altre,
note olfattive particolari quali il
Sangiovese, Cabernet Franc,
Cabernet Sauvignon, Merlot,
Teroldego
Soave Superiore Docg La storia vitivinicola di questo
territorio nel Veronese si perde
nei secoli, la sua denominazio-
ne risale agli Svevi o “Soavi” di
Re Alboino che al seguito dei
Longobardi diedero rango alla
cittadina omonima. Un nobile
vino che si è guadagnato il ti-
tolo di “eminente classico vino
bianco d’Italia” grazie anche
ad una particolare morfologia
dei terreni, della loro origine
vulcanica unita ad affioramen-
ti calcarei, un’evoluzione di
milioni di anni capace di re-
galare vini limpidi e dorati. La
zona di produzione è situata
nella parte orientale dell’ar-
co collinare della provincia di
Verona, a nord dell’autostrada
Serenissima. È stata la DOC
bianca italiana più imbotti-
gliata ed esportata. La tutela
dell’identità è stata ribadita
con il riconoscimento della
Denominazione d’origine con-
trollata nel 1968, ottenendo
successivamente nel 2001 la
Docg.
Il vitigno base è la Garganega,
che in queste zone raggiun-
ge livelli di eccellenza as-
soluta, alla quale possono
essere aggiunte Trebbiano
di Soave e Chardonnay
assieme al Pinot Bianc.
L’uso della specificazione
«Classico», in aggiunta alla
denominazione di origine con-
trollata «Soave Superiore» è
riservato al prodotto ottenu-
to da uve raccolte nella zona
di origine più antica. I vini
«Soave Superiore» e «Soave
Superiore Classico» debbono
essere immessi al consumo
dopo un affinamento in botti-
glia di almeno 3 mesi, comun-
que non prima del 31 marzo
successivo alla vendemmia.
Il vino con la qualificazione
«Riserva» deve essere sotto-
posto ad un periodo di affina-
mento obbligatorio di almeno
2 anni, di cui almeno 3 mesi in
bottiglia, a partire dal 1° novembre. Un ottimo
vino bianco di meritata fama dal caratteristico
profumo di frutta bianca, di corpo e dal sapore
asciutto e leggermente amarognolo nel finale.
Caratteristiche che lo rendono idoneo per ac-
compagnare aperitivi, primi piatti, secondi piatti
a base di pesce e di carni bianche e formaggi di
media stagionatura. Va servito alla temperatura
di 10°C circa.
Recioto di Soave Docg Nel 1998 è stato il primo vino veneto ad otte-
nere la Denominazione di origine controllata e
garantita. L’esistenza nel territorio veronese di
un vino bianco dolce, simile all’attuale Recioto
di Soave, è testimoniato ancora nel V secolo,
in una famosa epistola di Cassiodoro,il ministro
di re Teodorico,il quale citava oltre all’acinati-
co “rosso” anche quello “bianco” (cioè l’attuale
Recioto di Soave)il quale si doveva ottenere da
uve “scelte dalle domestiche pergole”, con-
servate in fruttati fino all’inverno inoltrato, con i
grappoli appesi. L’uva con la quale si prepara-
va l’acinatico era, a quel tempo, genericamente
chiamata “retica” e solo nel secolo XIV, nell’ope-
ra del bolognese Pier De Crescenzi, troviamo
citata per la prima volta l’uva “garganica” che
poi si diffuse nel territorio veronese dove la tro-
viamo, ancora ai nostri giorni, predominante.
Recioto è un vocabolo dialettale della gente ve-
ronese, deriva da “recia” che è la parte ester-
na ed alta del grappolo di Garganega,quella
più ricca di zuccheri e meglio esposta all’in-
solazione. Poco prima della raccolta vera e
propria si opera una selezione dei grappoli
migliori che poi vengono posti sui graticci per
l’appassimento. L’uva a riposo viene costante-
mente seguita e pulita dai quattro ai sei mesi
fino al momento della pigiatura. La fermenta-
zione avviene spesso in piccoli botti ed è lenta
e molto lunga. Grande vino da dessert da ac-
compagnare ai tipici dolci veronesi: la fugassa
(focaccia), la sbrisolona o il nadalìn cosparso di
mandorle che si degusta nelle feste di Natale
.Da abbinare poi ai grandi formaggi erborinati
salati e piccanti o al fegato grasso. Nella ver-
sione spumante ottimo l’abbinamento con il
Pandoro e tutti i dolci lievitati. Con il nuovo di-
sciplinare di produzione il Recioto di Soave ha
un profilo più complesso ed elaborato diventan-
do un grande vino da meditazione
Recioto di Gambellara Docg La zona di produzione del Recioto di Gambellara
è rappresentata dalla fascia collinare posta ad
ovest della provincia di Vicenza sulle ultime
propaggini dei Monti Lessini, nei Comuni di
Gambellara, Montebello Vicentino, Zermeghedo
e Montorso Vicentino. In queste località si com-
pleta la rassegna del “Recioto” con la peculia-
rità che qui l’appassimento dell’uva garganega
avviene in sospensione, ricorrendo alla legatura
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Via Valpolicella, 5737029 San Pietro in Cariano (VR) ItaliaTel. 045 7703194 - Fax 045 7703167
www.consorziovalpolicella.itE-mail: info@consorziovalpolicella.it
C T V V
Intervento realizzato con contributodel MIPAAF ai sensi del DM 11435
del 20/07/2009
CONSORZIO DI TUTELA DEI VINI VALPOLICELLA il futuro in crescita
Promozione dentro e fuori i confini nazionali,
valorizzazione del prodotto anche sotto
l’aspetto emotivo e non solo enogastronomico,
gestione dell’offerta per preservare un
equilibrio fra domanda ed offerta e tutela del
consumatore da improvvidi acquisti. Saranno
questi gli obbiettivi che impegneranno il
Consorzio di tutela dei vini Valpolicella per
gli anni a venire. Prospettive di non facile
realizzazione ma non impossibili. Dalla sua
ha un areale produttivo piuttosto esteso
e un buon supporto associativo fatto di
numeri decisamente importanti. La superficie
complessiva della Valpolicella DOC è, infatti,
di circa 30.000 ha., geologicamente suddivisi
in versanti (75%), fondovalle (17%) ed aree
urbane (8%). Gli ettari vitati complessivi sono
circa 6300 (vendemmia 2009), suddivisi in
3150 ha. per la Valpolicella Classica (50%) e
3150 ha. per la zona della Valpolicella DOC
(50%). Gli associati sono suddivisi in oltre 160
imbottigliatori, di cui 6 cantine sociali, e poco
meno di 2000 aziende agricole. Un mondo che
produce ogni anno oltre 50 milioni di bottiglie
per un controvalore di quasi 200 milioni di euro.
Anche se il must della produzione è l’Amarone
della Valpolicella Docg, il Ripasso Valpolicella
Doc sta crescendo molto rapidamente nelle
preferenze dei consumatori. A riprova di ciò,
nell’ultimo triennio, specularmente all’aumento
della domanda è cresciuta l’offerta. Dai 7.4
milioni di bottiglie del 2007 si è, infatti, passati
ai 13.6 milioni del 2009 con un incremento di
più dell’80%. Crescita che sembra continuare
anche nel 2010, considerando che nei primi
6 mesi dell’anno il Valpolicella Ripasso DOC
imbottigliato sfiora già gli 8 milioni di bottiglie.
A ricercarlo sono soprattutto i nord europei,
svedesi, danesi ed inglesi, notoriamente
amanti dei rossi veronesi ed attratti da questo
vino, particolare ed eclettico. Caratterizzato
da una buona alcolicità, da una acidità un
po’ più bassa dell’Amarone ma comunque
sostenuta, da una piacevole rotondità al gusto,
presenta un valore in estratti e in sostanze
fenoliche sostenuto, avvantaggiandosi
dell’invecchiamento di un anno previsto dal
disciplinare.
dei grappoli nei cosiddetti “pi-
cai” cioè appesi alle travi (sui
picai) in arieggiati granai. È una
tecnica molto antica, un’arte
contadina paziente ed accu-
rata propriamente tipica della
zona. E l’unico “Recioto” al di
fuori della Provincia di Verona.
Il disciplinare prevede l’uti-
lizzo del vitigno Garganega
per almeno l’80% e per il ri-
manente da uve dei vitigni
Pinot Bianco, Chardonnay e
Trebbiano di Soave (nostra-
no) fino ad un massimo del
20%. La Garganega è il viti-
gno autoctono e antichissimo
delle colline di Gambellara ed
il più importante della pro-
vincia di Vicenza. Il Recioto
di Gambellara è prodotto
in due tipologie: Classico e
Spumante. Il risultato è un vino
dal colore giallo dorato inten-
so, dai sentori di frutta matura
e passita, con aromi di vani-
glia, dal sapore intenso e per-
sistente, abboccato, morbido
e caldo. Adatto a formaggi,
caprini freschi o più stagiona-
ti e con biscotteria a base di
mandorle. Va servito a 12° C.
Ha ottenuto il riconoscimento
della Docg nel 2008.
Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Il primo Aprile del 2010 è sta-
ta una data storica per que-
sto vino dalle straordinarie
performance commerciali. Da
quel giorno infatti sono state
poste in vendita le prime bot-
tiglie con la Denominazione
Controllata e Garantita che ha
sancito un cambiamento radi-
cale nel panorama viticolo ita-
liano portando alla definizione
di due differenti livelli qualitati-
vi: l’attribuzione della Docg per
il Conegliano Valdobbiadene
comprendente l’area storica e
la creazione di una Doc che va
a includere tutte le altre aree
di produzione (9 province tra
Veneto e Friuli Venezia Giulia )e
sostituendo tutte le attuali Igt.
La zona di produzione del
Conegliano Valdobbiadene
Prosecco Superiore Docg si
estende nella fascia collinare
della provincia di Treviso, ap-
prossimativamente compresa
in un triangolo tra i centri di
Vittorio Veneto, Conegliano e
Valdobbiadene. Un insieme
di catene collinari che dalla
pianura si susseguono fino
alle Prealpi, ad uguale distan-
za dalle Dolomiti - da cui ri-
mangono protette a nord - e
dall’Adriatico, che influenza
positivamente il clima e la na-
tura del paesaggio. La vite è
coltivata solo nella parte più
soleggiata dei colli, ad un’al-
titudine compresa tra i 50 e i
500 metri sul livello del mare,
mentre il versante nord è
spesso ricoperto di boschi.
Il territorio è composto da
15 comuni e si estende su
un’area di circa 18.000 etta-
ri di superficie agricola di cui
5000 a vigneto lavorato da
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circa 2800 vignaioli, con una
produzione di più di 50 milioni
di bottiglie, delle quali 15 mi-
lioni distribuite all’estero per
più di 370.000.000 di euro.
Come tradizione, il vino vie-
ne prodotto con un minimo
dell’85% di uve del vitigno
“Glera” e, per un massi-
mo del 15%, di uve Verdiso,
Bianchetta, Perera. Per la ti-
pologia Spumante Superiore
si possono utilizzare anche le
uve Pinots e Chardonnay.
L’origine di questo vitigno è
affascinante e misteriosa; ori-
ginario della zona di Prosecco
in Provincia di Trieste dove
viene tutt’ora coltivato, sareb-
be successivamente appro-
dato sulle colline Trevigiane e
sui Colli Euganei dove prende
il nome di Serprino. Per alcuni
era addirittura già conosciuto
ai tempi dell’Impero Romano
con il nome di “Pucinum”,
da cui si otteneva un vino
particolarmente apprezzato
dall’imperatrice Livia moglie
di Augusto,la quale visse sino
alla veneranda età di 83 anni.
Solo nel 1773 lo troviamo cita-
to tra i vitigni coltivati nell’Alta
Provincia di Treviso. Nel seco-
lo XX° con l’introduzione della
spumantizzazione con il me-
todo Charmat o Martinotti si è
avuta la nascita del fenomeno
“Prosecco” sino alla creazione
di uno stile che non ha eguali
al mondo nel panorama delle
bollicine. Vitigno semiaroma-
tico di grande freschezza che
ha trovato nella tecnica della
spumantizzazione la sua mas-
sima espressione originando
vini leggeri floreali e fruttati, di
corpo snello e di buona armo-
nia complessiva. La ricorrente
crisi dei consumi che affligge
molti vini non sembra toccare
più di tanto il Prosecco, in un
saggio equilibrio fra fascia di
prezzo medio-bassa e medio-
elevata ma è soprattutto la sua
fragranza aromatica a farne
uno dei più gradevoli, freschi e
gioiosi vini del nostro Paese.
Nella nuova Docg si avranno
le tipologie di vino Tranquillo,
Frizzante, Spumante
Superiore (con il metodo
Charmat).
AI vertice qualitativo della
Denominazione Garantita ri-
mane lo spumante della sto-
rica sottozona del “Superiore
di Cartizze”: si tratta di una
piccola zona (100 ettari a San
Pietro di Barbozza) dove le vi-
gne sono ancor più in vertica-
le, addossate a colline ripide
esposte magicamente a sud.
Il Valdobbiadene Superiore
di Cartizze può essere pro-
dotto soltanto nella tipologia
Spumante,con una resa in vi-
gneto di 120 qli/ha.
La possibilità di abbinamen-
to del Prosecco Docg sono
quasi infinite. È quindi a tutti
gli effetti un vino moderno, di
appeal. Il binomio bollicine ed
acidità presenti nel Prosecco
Docg ha la capacità di pulire la
bocca ed i diversi residui zuc-
cherini per tipologia lo rendo-
no adatto alla cucina salata,
speziata o piccante.
colli Asolani Prosecco o Asolo – Prosecco Docg La zona di produzione delle
uve atte alla produzione dei
vini a DOCG “Colli Asolani o
Asolo – Prosecco” compren-
de 15 comuni trevigiani sparsi
a ovest del fiume Piave: dal
Montello nota formazione bo-
scosa che si leva verso est ai
colli di Asolo,sui confini verso
il Monte Grappa, lungo dolci
colline verdi di vigneti e bo-
schi dove l’antica tradizione
vitivinicola vede nel Prosecco
(da vitigno Glera) il prodotto
di massimo prestigio enolo-
gico, tanto da essere inserito
quest’anno nell’elenco delle
Docg italiane.
Può essere prodotto nelle
versioni: tranquillo, frizzante e
spumante superiore
Dal colore giallo paglierino
brillante,si distingue per una
spuma fine e persistente, dai
gradevoli sentori di frutta(mela
e pera),con bella freschez-
za acida e notevole sapidi-
tà. Perfetto come aperitivo,
accompagna antipasti, primi
piatti e secondi di pesce.
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Da quando la vitivini-
coltura è diventata
oggetto di interesse
economico, il viticoltore ha
cercato di valorizzare la pro-
pria produzione individuando
dei canali di vendita che gli
garantissero dei redditi sicuri
ed appropriati allo svolgimen-
to della propria attività; in un
contesto rurale caratterizzato
da dimensioni aziendali ridotte
(ettari 1,87 la media regionale
delle aziende viticole) e quindi
da scarsa competitività com-
merciale, non esistevano al-
ternative all’associazionismo
che ha quindi trovato terreno
fertile per diffondersi in manie-
ra uniforme in tutte le provin-
ce. Ma da dove nasce, perché
e quando nasce il movimento
cooperativistico?
Il fenomeno cantine sociali è
sorto e si è sviluppato dopo
l’ultimo dopoguerra. Alla fine
della guerra esistevano infatti
solo 6 Cantine sociali: Soave,
Cazzano di Tramigna, Illasi e
S.Pietro in Cariano in Provincia
di Verona e Tezze di Piave e
Cantine Marescalchi a Treviso
ed è proprio in queste due
province che esiste la massi-
ma concentrazione.
Per oltre il 90% la viticoltura
veneta è formata da aziende
familiari a conduzione diretta,
questo ha facilitato la diffu-
sione della cooperazione. Ma
l’ha favorita anche la presenza
in Veneto di un Istituto speri-
mentale per la Viticoltura e di
un Istituto agrario Statale per
la viticoltura e l’enologia che
hanno fornito da una parte un
valido supporto per la ricerca,
dall’altra, un vivaio di uomini
cui ha attinto anche e soprat-
tutto la cooperazione.
Le Cantine Sociali hanno e
stanno adempiendo a due
funzioni basilari: difendere il
socio dalle speculazioni com-
merciali e recuperare e svi-
luppare la tipicità delle produ-
zioni venete. Da strutture che
inizialmente hanno assolto il
compito di recuperare le pro-
duzioni delle piccole aziende
per farne dei vini di massa con
prezzi accessibili destinati ad
un mercato che in quegli anni
assorbiva grandi quantitativi di
vino, si è passati progressiva-
mente al miglioramento quali-
tativo delle produzioni per rag-
giungere, in molte situazioni,
livelli di qualità pari o superiori
Il mondo della cooperazione nella viticoltura veneta
del Prof. Silvio Dalla Torre
Le Cantine Sociali hanno e stanno adempiendo a due funzioni basilari: difendere il socio dalle
speculazioni commerciali e recuperare e sviluppare la tipicità delle produzioni venete.
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a quelli delle Cantine private.
Nel 1970, si è raggiunto il
numero massimo di struttu-
re esistenti con 57 Cantine e
36.000 soci complessivi.
Attualmente il numero si è ri-
dotto a 39 con 26.000 soci,
800 dipendenti e 460 milioni
di euro come valore di pro-
duzione; da segnalare che 7
Cantine sociali rappresentano
il 47% dell’intera produzione
regionale. Questa riduzione fa
seguito ad operazioni di ag-
gregazione e fusioni attuate
a partire dagli anni 90 provo-
ca-te da una parte alla man-
canza di competitività nonché
alla difficoltà di sostenere spe-
se di gestione troppo elevate
in strutture di dimensioni limi-
tate, dall’altra dalla esigenza
imposta dai nuovi orizzonti
del mercato vitivinicolo e dalla
globalizzazione, di fare “mas-
sa critica”, di disporre cioè di
quantitativi di prodotto consi-
stenti per poter asseconda-
re le richieste del mercato in
continua evoluzione. Un primo
tentativo di “mettersi assie-
me” per affrontare il mercato
si è avuto negli anni 80 con la
nascita del Consorzio Cantine
della Marca Trevigiana una
cooperativa di secondo grado
tuttora esistente ed operativa.
Ma le grandi aggregazioni si
sono avute in questi ultimi anni
e fanno riferimento alla provin-
cia di Verona, dove sono state
create delle “megastrutture”
come COLLIS VENETO WINE
GROUP: nasce nel giugno
2008, dalla collaborazione
di due colossi del ramo vini-
colo veneto come la Cantina
di Colognola ai Colli e l’in-
sieme delle Cantine dei Colli
Berici comprendente Lonigo,
S.Bonifacio e Barbarano
Vicentino, assieme all’azienda
Cevico, importante consorzio
di secondo grado con sede a
Lugo di Romagna. Le cantine
continuano ad occuparsi del
rapporto coi viticoltori e della
raccolta dell’uva, demandan-
do al gruppo Collis la trasfor-
mazione e la successiva co-
mercializzazione dei prodotti.
3000 soci viticoltori, 6700
ettari di vigneto, di cui 2800
di Colognola ai Colli e 3900
di Cantina dei Colli Berici – si
affaccia sul mercato nazionale
come un colosso da 1,4 milio-
ni di quintali di uve per un cor-
rispettivo di oltre 1 milione di
ettolitri di vino l’anno lavorati in
6 stabilimenti di vinificazione.
In termini percentuali il nuovo
consorzio vitivinicolo veronese
di secondo grado raggiunge,
con Colognola e la Berici, il
15% della produzione veneta.
Sempre nel veronese altro
colosso è rappresentato dalla
Cantina di Soave dove negli
anni ‘70 incominciò ad esse-
re attuata la politica di cresci-
ta per incorporazione di altre
realtà più piccole della zona.
Così nel 1979, venne acqui-
stato lo stabilimento di Ruffo.
Nel luglio del 1996, attraverso
l’incorporazione della Cantina
Sociale di Valtramigna, la
Cantina di Soave acquista la
dimensione attuale potenzian-
do così la capacità di confe-
rimento dell’uva da parte dei
propri soci. Infine, nel 2006,
è stato approvato anche il
progetto di fusione con la
Cantina di Illasi e recentemen-
te con quella di Montecchia.
Complessivamente Soave
oggi trasforma circa 800.000
q.li d’uva che aggiunti ai
quantitativi di Collis fanno
circa il 30% della produzione
regionale. Indubbiamente due
grosse realtà che creano una
massa critica importante con
la quale si dovranno confron-
tare gli acquirenti locali.
Aggregazioni di più contenuta
entità sono state attuate an-
che in Provincia di Treviso con
la Cantina Viticoltori di Ponte
di Piave che ha aggregato
negli ultimi anni le Cantine
di Villorba, nonché quelle di
Caposile ed Eraclea in pro-
vincia di Venezia; altrettanto
importanti sono risultate le
collaborazioni fra le Cantine
produttori riuniti del Veneto
Orientale, Cantina di Jesolo e
Cantina Produttori di Campo
di Pietra. È indubbio che in fu-
turo anche in questa provincia
si dovrà procedere secondo la
logica e la necessità delle fu-
sioni e delle aggregazioni per
poter competere sul mercato.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 582
spec
iale
Venet
o
Per quanto riguarda la produ-
zione vinicola invece, ormai
da alcuni anni il Veneto è al
primo posto nella graduatoria
nazionale con una media di
8 milioni di ettolitri che deriva
dalla trasformazione di circa
11 milioni di uve prodotte. In
questa graduatoria è seguito a
distanza da Emilia Romagna,
Sicilia e Puglia.
Di questo quantitativo il 54%
è rappresentato da vini bian-
chi, il resto da rossi e rosati;
ancora, il 29% da vini DOC
e DOCG, il 61% da vini IGT
e il 10% da vini da tavola.
Consultando ancora i dati
diffusi dalla Regione Veneto,
si può osservare come la
maggior concentrazione della
categoria più nobile risulta in
provincia di Verona con ol-
tre il 62% del totale regionale
ben rappresentata da deno-
minazioni importanti come
il Valpolicella, l’Amarone, il
Bardolino e il Soave.
Per quanto attiene alle varie-
tà più rappresentate, si indi-
vidua il Prosecco (da ora in
poi chiamato Glera a livello
di vitigno a seguito della rifor-
ma della DO Prosecco con
decisione del D.M. 17 luglio
2009 che riconosce la “riser-
va del nome” per questo vino)
come la varietà più coltivata
(il 25,1% del totale regionale)
e concentrato per il 90% nel-
la Provincia di Treviso (più di
un terzo nella zona classica di
Conegliano e Valdobbiadene)
seguito dal Merlot diffuso in
tutta la Regione specialmen-
La fisionomia vitivinicola del Veneto
del Prof. Silvio Dalla Torre
Il Veneto occupa una posizione importante nel panorama vitivinicolo nazionale.
ProVinciA
BELLUNO 23 0.1
PADOVA 5.326 7.6
ROVIGO 263 0.4
TREVISO 26.403 36. 9
VENEZIA 6.207 8.8
VICENZA 7.212 10.3
VERONA 25.253 35.9
TOTALE 70.686 100
SuPerFicie ViTATA (hA) % Su ToTAle
Dati AVEPA 2009
Alivello di superfici vitate risulta al terzo posto con oltre 70 mila ettari coltivati preceduto
dalla Sicilia (oltre 125 mila ettari) e dalla Puglia (circa 100 mila ettari) e con la seguente
suddivisione per province:
speciale Venetote negli areali di pianura e dal
Garganega ben rappresentato
nel vicentino ma soprattutto
nella zona del Soave.
Una annotazione particolare
riguarda la dimensione del-
le aziende vitivinicole vene-
te; esaminando i dati dello
Schedario vitivinicolo veneto
si può rilevare che le aziende
attive nel 2008 sono risultate
pari a 41.714; ne risulta per-
tanto una superficie media
aziendale regionale di circa
1,7 ettari; a livello provincia-
le la provincia di Verona con
2,93 ettari risulta quella con la
superficie media più elevata
seguita a distanza di Treviso
con Ha 1,86.
Relativamente alle produzioni
soggette a denominazioni, il
Veneto vanta ben 8 DOCG:
Bardolino superiore, Soave
superiore, Recioto di Soave,
Recioto della Valpolicella,
Amarone, Recioto di
Gambellara, Prosecco di
Conegliano e Valdobbiadene
e Prosecco dei Colli Asolani.
Di queste “nobiltà” si parla in
un apposito articolo di questo
speciale. A tutt’oggi risultano
inoltre presenti 27 DOC distri-
buite sull’intero territorio re-
gionale in maniera abbastanza
omogenea.
Secondo i dati della Regione
Veneto, Direzione sistema
statistico regionale, oltre il
50% del vino prodotto (nel
2008 - 4.590.000 ettolitri) vie-
ne destinato all’esportazione;
in termini di valore, sfiora 1 mi-
liardo di euro; in questo ambi-
to si colloca come la regione
italiana maggiore esportatrice
con il 27,6% del totale nazio-
nale, seguita da Piemonte,
Toscana, Trentino Alto Adige
ed Emilia Romagna. I mercati
più importanti sono rappre-
sentati dalla Germania con il
34% della quantità esportata,
seguiti dal Regno Unito, USA,
Canada, Svizzera e Francia.
A conclusione di questa serie
di informazioni sulla situazione
della vitivinicoltura veneta, non
si può non ricordare l’impor-
tanza che nel corso degli anni
ha assunto, in questo settore,
la cooperazione; basta solo
qualche dato: 40 mila ettari
coltivati (il 57% del totale re-
gionale), 39 Cantine Sociali,
26 mila soci.
02 PAGINA VENEZIA 205X137.indd 1 22-07-2010 17:35:01
Padova: la ricca produzione
agroalimentare, oltre 100 prodotti tipici
Chi conosce almeno un
po’ i prodotti agroali-
mentari della provin-
cia di Padova ha certamente
sentito parlare della gallina
padovana e forse anche della
gallina di Polverara.
La prima allevata fin dal 1400,
è inconfondibile per il gran
ciuffo di penne sul capo, una
barba sul mento e dei favo-
riti sulle guance, con un piu-
maggio che può essere nero,
bianco, dorato, camoscio o
argentato. Sorella di questa è
la gallina di Polverara, diffusa
soprattutto nella varietà nera
e dotata con un ciuffetto ritto
sulla testa.
Entrambe hanno carni pregia-
tissime, ricercate dai buongu-
stai e preparate con arte antica
nei migliori ristoranti padovani.
Ma nella “corte padovana” si
trovano anche faraone, tac-
chini, anatre germanate, cap-
poni e capponesse, piccioni,
oche, conigli e maiali, tutte
carni che concorrono al ce-
lebre Gran bollito, vanto della
cucina di questa provincia e
ad altre preparazioni tradizio-
nali e particolari come il pollo
latte e miele, autentica squisi-
tezza allevata nel Conselvano
o i Torresani di Torreglia pro-
dotto dell’area colli.
Di particolare valore, per la sua
ben nota bontà, è il Prosciutto
Veneto Berico Euganeo
DOP,dal profumo caratteristi-
co, gusto dolce e morbido,
colore rosa tenue essenzial-
mente prodotto nell’area della
Bassa Padovana in particolare
nel Montagnanese. Accanto
al Parsuto de Montagnana e
al Prosciutto dolce d’Este, va
ricordata tutta la gamma degli
insaccati prodotti nella mag-
gior parte anch’essa nell’area
del Montagnanese, dell’Esten-
se e del Conselvano, ancora
secondo le antiche tradizioni
di casa, come la Sopressa e il
Salame Padovano, la Spressa
di Cavallo, gli Sfilacci di Cavallo,
il Prosciutto d’Oca, l’Oca in
Onto, la Luganega Padovana,
la Lingua Salmistrata, il
Cotechino di Puledro, i Sisoi,
i Nerveti.
Anche gli orti concorrono ad
arricchire il patrimonio agro-
alimentare del Padovano,
buona parte infatti dei ce-
lebri Radicchio variegato
di Castelfranco, Radicchio
rosso di Treviso precoce,
Radicchio rosso di Treviso
tardivo, Radicchio rosso di
Chioggia, Radicchio rosso
di Verona, l’Insalata di Lusia
e il Radicchio Bianco Fior di
Maserà, tutti IGP, si produ-
cono in provincia di Padova,
dove c’è pure un’ottima pro-
duzione di Asparagi bianchi
IGP, Aglio e il particolare Mais
Biancoperla.
Non tutti sanno che nel pa-
dovano si producono anche
particolari formaggi di pe-
cora nell’area tra Borgoforte
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 584
spec
iale
Venet
o
Gallina Padovana
ed Anguillara e la burrata di
bufala prodotta direttamente
negli allevamenti presenti nel
piovese, vi è anche una buo-
na produzione dei formaggi
DOP, Grana Padano, Asiago
e Montasio.
Fra gli ortaggi un posto impor-
tante è occupato dalla Patata
Merica IGP di Anguillara Merica IGP di Anguillara Merica IGP
Veneta e Stroppare, mentre
per quanto riguarda la frutta,
la provincia di Padova ha dei
prodotti elitari, come la Mela e
la Pera di Castelbaldo, prodot-
te nella zona del Conselvano
e del Monselicense e sempre
nella stessa area, la Pesca
di Pernumia, terra natale del
commediografo e lettera-
to Angelo Beolco, il celebre
Ruzante e ancora la Ciliegia,
la Castagna e Marroni dei Colli
Euganei, il Miele della Bassa e
dei Colli Euganei e la dei Colli Euganei e la dei Colli Euganei Giuggiola
di Arquà Petrarca.
Una citazione doverosa è per
l’Olio extravergine d’oliva dei
Colli Euganei, ottenuto da due
varietà autoctone (Rasara e
Marzemina), mentre negli im-
pianti più recenti si trovano
le varietà Leccino, Frantoio e
Pendolino.
Di materie prime nel padovano
ce ne sono dunque a sufficien-
za per realizzare una cucina
capace di esaltare i piatti della
tradizione, presentati sovente
in forme nuove ed eleganti,
secondo le esigenze delle die-
tetica moderna, senza tuttavia
perdere i profumi e i gusti dei
vecchi piatti di casa.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 85
speciale Veneto
Gallina di Polverara
Padova:il cuore del Veneto
L’Università, Sant’Antonio, le ricchezze artistiche, le attività culturali e il moderno complesso termale fanno
di Padova una delle capitali del turismo italiano
Narra Tito Livio che
Padova fu fonda-
ta nel 1132 a.C. da
Antenore, il principe troiano
fuggito dalla sua città con-
quistata dai Greci. Padova è
uno dei principali centri della
cultura paleoveneta; gli studi
fin qui condotti confermano
che i Paleoveneti arrivarono
dall’Anatolia attorno al Mille
a.C., in un periodo caratte-
rizzato da grandi migrazio-
ni attorno al Mediterraneo.
Di quegli antichi secoli delle
epoche paleoveneta, romana
e medioevale, sono rimasti
molti importanti reperti, gelo-
samente conservati soprattut-
to nel museo di Este (Museo
Nazionale Atestino, www.
ceramicadieste.it/museoat/
museo.htm). Oggi Padova è
un vivace centro culturale e
commerciale, ricco di monu-
menti religiosi e civili, palazzi
di grande pregio, un’Universi-
tà, fondata nel 1222, fra le più
prestigiose d’Europa. Oltre
all’Ateneo, frequentato da
studenti provenienti da tutto il
mondo, la principale attrazione
è la Basilica di Sant’Antonio,
Padova
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 586
spec
iale
Venet
o
Il Prato della Valle
costruita a partire dal 1232,
quotidiana meta di pellegrini
in visita alla tomba del Santo.
Altro luogo di grande interes-
se culturale è la Cappella degli
Scrovegni (www.cappellade-
gliscrovegni.it), affrescata da
Giotto. Capolavoro della pittu-
ra italiana ed europea, quello
degli Scrovegni è considerato
il ciclo più completo di affreschi
realizzato dal grande maestro
toscano nella sua maturità.
Uscendo dalla città si arriva
velocemente nell’area dei Colli
Euganei, comparto di rara
bellezza paesaggistica dagli
scorci stupendi, luogo scelto
dal poeta Francesco Petrarca
(1304-1374) per trascorrere,
nell’affascinante e silente bor-
go di Arquà, gli ultimi anni del-
la propria vita.
Immerse nel verde dei Colli
Euganei, sorgono le città ter-
mali di Abano e Montegrotto,
con attorno i centri mino-
ri di Galzignano, Battaglia e
Monteortone di Teolo. I grandi
alberghi e i complessi termali,
modernissimi e ottimamen-
te attrezzati, luoghi ideali per
ritrovare equilibrio, benesse-
re e bellezza, sono frequen-
tati da un’esigente clientela
internazionale. Da Padova
o da Abano è poi doverosa
una piccola fuga alla vicina
Praglia, sempre sui Colli, per
ammirare il grande comples-
so dell’Abbazia Benedettina,
sorta nell’XI secolo, centro re-
ligioso, culturale e artistico fra i
più importanti del Veneto.
Il territorio padovano offre
itinerari turistici di grande fa-
scino, con le città murate
di Este e Montagnana (sul-
la strada per Mantova) e di
Cittadella (sulla strada per
Bassano del Grappa), con
gli importanti centri agrico-
li, industriali e commerciali
di Camposampiero, Piove di
Sacco, Conselve e Monselice,
che all’interno dei loro centri
storici e tra le verdi campagne
venete, celano tesori di inesti-
mabile valore architettonico,
storico e culturale. E dovunque
antichi Castelli, splendide ville
(a Padova inizia la ben nota
“Riviera del Brenta”), palazzi
signorili, musei con importanti
reperti d’epoca paleoveneta,
romana, longobarda e me-
dioevale, nonché ricchissime
pinacoteche a cominciare dai
Musei civici di Padova (Tel.049
82045450 – 51) e, sempre in
città, il Museo diocesano di
Arte Sacra, (Tel. 049 652855)
anch’esso meritevole di un’at-
tenta visita.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 87
speciale VenetoPadova una ristorazione
d’assoluta eccellenzaPadova ha avuto l’intelligen-
za di conservare il patrimonio
gastronomico tramandato
dalle precedenti generazioni,
difendendo la propria identità
legata alle tradizioni culinarie
del territorio, raggiungendo
nella ristorazione vertici da as-
soluto primato internazionale
con il Ristorante Le Calandre
a Rubano, tre stelle Michelin,
eccellenza raggiunta anche
dai ristoranti Meridiana a
Piove di Sacco, stella Michelin
e La Montecchia a Selvazzano
Dentro, altra stella Michelin.
Nel territorio ci sono numerosi
altri ristoranti assolutamen-
te degni di menzione, per la
professionalità degli operatori,
squisitezza dei piatti ed eccel-
lenza della cantina. Fra tutti
ricordiamo La Montanella ad
Arquà Petrarca e Boccadoro
a Noventa Padovana, sicu-
ramente meritevoli della stel-
la e poi ancora, fra i tanti,
l’Hostaria San Benedetto a
Montagnana; Ai Porteghi a
Padova, Dotto di Campagna
a Padova, La Saccisica
a Piove di Sacco, Piroga
(049.637225) a Tencarola di
Selvazzano Dentro, Antica
Trattoria al Bosco a Saonara,
Montegrande a Rovolon, tutti
uniti da un unico simbolo, la
gallina con il ciuffo, dell’As-
sociazione RISTORAnsociazione RISTORAnsociazione RISTORA TORI
PADOVANI, sinonimo
dell’amore e passione per
una professione che esal-
ta le valenze enogastrono-
miche padovane. Numerosi
sono comunque i ristoranti e
le trattorie di buona qualità,
in città, nell’area termale dei
Colli Euganei e nei vari centri
dell’Alta e della Bassa, che
presentano ricercatezze anche
internazionali, per non parlare
di una rete di numerosi agri-
turismo, per chi a discapito di
alcuni piaceri a volte irrinuncia-
bili, vuole a poco prezzo avere
comunque prodotti agroali-
mentari di qualità a chilometri
zero e nel contempo assapo-
rare una cucina tradizionale,
che si incontra e viene ripro-
posta ovunque, soprattutto
nelle feste e le sagre paesane,
dove nelle locali “bettole” il
volontariato di abili mani casa-
linghe, propone immancabil-
mente, bigoli e gnocchi con i bigoli e gnocchi con i bigoli e gnocchi
vari sughi e le carni alla brace
con polenta, il musso in tocio
con polenta, i fasoi in tocio o
co ea siola, il baccalà in varie
forme sempre e immancabil-
mente con polenta, le trippe
in umido o le trippe in mine-
stra, le verze scaltrie o sofegà.
Una degna menzione bisogna
fare alla pasticceria padovana,
dove l’arte dolciaria dei mae-
stri pasticceri e sempre e co-
munque legata alla tradizione,
con una serie di numerosi pro-
dotti, prevalentemente di pa-
sticceria secca o povera, tra-
mandata da un’antica cultura
contadina, come ad esem-
pio la Fugassa padovana, la
Smejassa, il Pan del Santo,
la Torta Figassa, la Schisotta,
la Rosegota e poi tra i biscot-
ti, i Zaleti, i Pevarini, i Merleti
di santantonio, i Crostoli e le Crostoli e le Crostoli
Fritee. Un mondo di dolcezze
tutte rigorosamente ad alta
conservazione, come si usava
un tempo e possibilmente da
poter “tociar” o sul latte o sul
“vin”.
Gnocchetti di ricotta al Ristorante La Montanella
Ravioli alle erbette del Ristorante BoccadoroRavioli alle erbette Ravioli alle erbette Ravioli alle erbette Ravioli alle erbette del Ristorante Boccadorodel Ristorante Boccadorodel Ristorante Boccadorodel Ristorante Boccadoro
La seppia secondo l'Antica Trattoria dei PaccagnellaLa seppia secondo l'Antica Trattoria dei Paccagnella
Pad
ova
Padova, grande terra di vini
Una produzione enologica di grande pregio, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.
Publio Virgilio Marone
(70-19 a.C.), autore
dell’Eneide, passan-
do per la pianura veneta vide
i filari di vite e scrisse: Le viti
flessibili tessono ombre leg-
gere, disegnando armoniosi
fraseggi nei campi ben lavorati
da sapienti agricoltori. E pochi
decenni dopo Marziale
così scriveva a un ami-
co: Clemente, se tu vai
prima di me a vedere
il paese degli Euganei,
vicino a Padova, quei
colli rossi, di vigneti….
La tradizione vitivinico-
la nel padovano è dun-
que antichissima, ca-
duto l’impero romano,
ci penseranno i monaci
benedettini a rilanciare
la viticoltura nelle terre
annesse alle loro Corti,
dipendenti dall’Abba-
zia di Santa Giustina di
Padova, ad Anguillara,
C o n c a d a l b e r o ,
Correzzola, Legnaro
e in altri centri del-
la provincia, come pure le
terre annesse all’Abbazia di
Praglia. Se le prime testimo-
nianze risalgono al tempo dei
Paleoveneti, come conferma-
no i reperti del Museo di Este,
c’è stata dunque una ininter-
rotta continuità giunta fino ai
nostri giorni.
Le aree DocI vini prodotti in provincia
di Padova sono suddivisi
in 5 zone a Denominazione
di Origine Controllata: Colli
Euganei; Bagnoli; Merlara;
Corti Benedettine del
Padovano; Riviera del Brenta.
Nell’area dei Colli
Euganei ci sono dei Euganei ci sono dei Euganei
vini autoctoni molto
interessanti, a comin-
ciare dal Serprino, so-
migliante al Prosecco,
ottimo fuori pasto, con
gli antipasti magri e col
pesce. Poi c’è il Pinello,
un bianco fresco e deli-
cato che accompagna
benissimo il pesce e
le carni bianche e an-
cora il Moscato (bian-
co) e il Fior d’Arancio
(Moscato giallo), en-
trambi spumantizzati,
ottimi coi dolci e il se-
condo anche passito.
Poi ci sono, sempre
DOC, i vitigni interna-
zionali: Pinot bianco,
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 588
spec
iale
Venet
oP
adov
a
Chardonnay, Merlot, Cabernet
Franc e Sauvignon.
Interessante l’area di Bagnoli,
intensamente coltivata a
vite già in epoca romana.
Qui si produce uno splendi-
do Friularo (vitigno: Raboso
Piave), grande vino, amato da-
gli antichi nobili veneziani e dal
famoso commediografo Carlo
Goldoni, che in alcune sue
opere ne cita le virtù, eccellen-
te con le carni nobili e la cac-
ciagione, come pure, da sem-
pre, il Friularo passito, grande
vino da meditazione, ideale
coi formaggi piccanti e col
cioccolato. Nella produzione
DOC ci sono anche un Bianco
(Chardonnay, Sauvignonasse,
Friulano ed altri), adatto ad ac-
compagnare sia il pesce che
le carni bianche; un Rosso
(Friularo, Merlot, Cabernet),
per carni al forno, cacciagione
da pelo, formaggi invecchia-
ti; un Rosato (stesse uve del
Rosso) per carni bianche, trip-
pe, fritture di pesce, rane, fun-
ghi. E ci sono due Spumanti, il
Brut (Friularo vinificto in bianBrut (Friularo vinificto in bianBrut -
co, Chardonnay e altri) e il
Rosato, ottimi come fuori pa-
sto, aperitivo, pesce, formaggi
a pasta molle.
Più recente è l’apparizione di
un’importante vitivinicoltura
nella zona di Merlara, dove
anche qui, accanto agli inter-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 89
speciale Veneto
I vigneti Colli Euganei
nazionali Merlot e Cabernet,
troviamo il Sauvignonasse
(ex Tocai), la Malvasia (per
primi di pesce, carni bianche
e soprattutto il Prosciutto
Veneto Euganeo, prodotto a
Montagnana), il Marzemino
frizzante (per i dolci della tra-
dizione locale a pasta secca)
e ancora un Bianco (Friulano,
Malvasia, Chardonnay,
Garganega), per primi di pe-
sce, formaggi e salumi legge-
ri; un Rosso (Merlot, Cabernet
e Marzemino) per salumi della
tradizione locale.
Molto ricca la produzione del
consorzio Corti Benedettine
del Padovano, con un ec-
cellente Raboso, anche nella
forma passita; un interessante
Refosco dal peduncolo rosso,
per carni rosse alla brace; un
Moscato spumante (giallo) per
il dessert, presente anche nella
forma passita, ottimo da me-
ditazione e per i biscotti sec-
chi. Non mancano i Cabernet,
il Merlot, i Pinot bianco e grigio
e il Sauvignon.
Ultima Doc nata è quella del-
la Riviera del Brenta, con
la produzione di vini pre-
senti anche nelle altre aree:
Sauvignonasse, Chardonnay,
Pinot bianco e grigio,
Cabernet, Merlot, Refosco dal
p. r. e Raboso.
Padova, dunque, produce vini,
con alte punte di eccellenza,
conosciuti ed apprezzati in
Italia e in molti paesi esteri.
liquori, distillati e birra. Nella provincia di Padova otre
a una florida produzione viti-
vinicola vi è una produzione
secolare di grappe, distillati di
frutta e liquori alle erbe, affidata
prevalentemente a due fami-
glie che hanno saputo impor-
re il loro marchio nel mercato
nazionale ed internazionale.
Le produzioni di questi distil-
lati di assoluta eccellenza, si è
sviluppata adiacente alle pro-
duzione vitivinicole più impor-
tanti della provincia, e dove la
materia prima era disponibile
in gran quantità, vale a dire a
Conselve e a Torreglia, ma poi
anche a Mestrino, a Ponte di
Brenta e a Cittadella. Di par-
ticolare pregio si produce a
Conselve una particolarissima
grappa barricata dal colore
ambrato, morbida e avvolgen-
te nel gusto e nei profumi, uni-
ca nel suo genere, mentre a
Torreglia impera il maraschino
molto usato in pasticceria e il
particolare Sangue Morlacco,
entrambi ricavati dalle ciliegie
abbondanti sui Colli Euganei,
vi sono inoltre nei Colli Euganei
distillati artigianali come il
Brodo di Giuggiole, tipico di
Arquà Petrarca. A Padova c’è
anche un imponente stabili-
mento di un noto marchio di
birra italiana, che qui produce
e commercializza i propri pro-
dotti per il nord Italia e l’est
europeo, mentre ultimamente
stanno prendendo piede nu-
merose piccole realtà produt-
tive di birra artigianale di otti-
ma e particolare qualità, che
durante la fiera del settore che
si svolge negli ampi padiglioni
della fiera di Padova, trovano
un numerosissimo pubblico
pronto a degustare birre di
ogni tipo e genere, stranezze
incluse.
Curiosità: Padova città dei tre senza, capitale dello Spritz.Non tutti sanno che Padova
è anche detta la città dei tre
senza, vale a dire del “Caffè
senza porte” del “Prato sen-
za erba” e del “Santo senza
nome”. Il Caffè Pedrocchi
è uno dei simboli di Padova,
situato in centro è così detto
“senza porte” perché fino al
1916 restava aperto anche
di notte e il suo caratteristico
porticato aperto, permetteva
di attraversarlo liberamente da
un lato all’altro. Recentemente
il loggiato è stato chiuso, ma
per preservarne le peculiarità
originarie, sono state utilizzate
esclusivamente grandi porte
a vetro. Nato nei primi anni
dell’800, il Caffè Pedrocchi
divenne ben presto rinoma-
to per essere l’unico luogo in
cui chiunque poteva fermarsi
a leggere libri o giornali senza
obbligo di consumazione e la
sua vicinanza con l’Università
ne fece il fulcro della vita cul-
turale della città e luogo d’in-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 590
spec
iale
Venet
oPadova
contro di studenti, letterati ed
artisti. Prato della Valle, così
detto “senza erba” perché in
origine non vi cresceva erba,
ma solo alberi, poi questo im-
menso spazio svolse nel tem-
po diverse funzioni: fu teatro,
circo, luogo di combattimenti,
sede di fiere, giostre, mercati
e persino cimitero. È la secon-
da piazza più grande d’Euro-
pa, unica nel suo genere per
la particolare combinazione
di diversi elementi: il verde
dell’isola che si trova al cen-
tro, l’azzurro del canale che la
circonda e in cui si specchia-
no le 78 statue di autorità del
passato, l’equilibrio dei quat-
tro vialetti che portano tutti al
centro dell’isola Memmia ed
infine i ponti che le conferisco-
no uno speciale tocco di ro-
manticismo.
Per i padovani rappresenta il
punto di ritrovo, il luogo per
passeggiare, studiare, disten-
dersi sotto il sole o per fare
acquisti nel grande mercato
all’aperto del sabato o assi-
stere alle grandi feste e mani-
festazioni organizzate durante
l’anno. Sant’Antonio è per i
padovani semplicemente “Il
Santo” e quindi il Santo “senza
nome”. Grande è la devozione
che lega gli abitanti al patro-
no della città e straordinaria
è la basilica di Sant’Antonio,
conosciuta appunto come “Il
Santo” dove giacciono le sue
spoglie e le reliquie. Si trova
anch’essa al centro della città
e la sua struttu-
ra imponente è
caratterizzata
da una per-
fetta fusione
di elementi
romanici e
gotici, ricca
di misticità, ma
anche di piace-
volissimo stupore
nel momento in cui si
scopre d’essere di fron-
te alle opere di artisti come
Giotto, Mantegna e Donatello.
il rito dello SpritzPadova è anche un impor-
tante centro universitario, ciò
significa che una grande con-
centrazione di giovani vivono
e frequentano il centro e le
piazze della città, ma il feno-
meno solo padovano che si
consuma quasi ogni sera tra le
19,00 e le 21,00 e che affolla
in particolare Piazza delle Erbe
e un po’ Piazza dei Signori è
il rito storico e consolidato
dello Spritz. Forse è proprio a
Padova e comunque nel nord
est, che nasce lo Sprtz, duran-
te la dominazione Asburgica, i
soldati austriaci frequentando
le osterie e imparando veloce-
mente anche a bere la grande
varietà di vini locali, mal sop-
portavano però la loro grada-
zione elevata, pertanto era loro
abitudine ordinarlo allungato
con una spruzzata d’acqua,
infatti il nome Spritz derivereb-
be dal verbo tedesco spritzen
che
signifi-
ca spruzzare.
Lo Spritz “liscio” quindi, che
bevevano i soldati di un tem-
po e che ancora si usa bere a
Trieste e a Udine, in altre città
del Veneto invece si è evoluto,
ma in particolare a Padova e
provincia è diventato un vero
e proprio rito irrinunciabile,
motivo di incontro e di relax
in compagnia di amici, proba-
bilmente anche perché sem-
pre qui a Padova nel lontano
1919, nacque e venne pre-
sentato durante la locale fiera
campionaria, l'Aperol, il famo-
so liquore di color arancio a
bassissima gradazione (11°),
che nello Spritz Padovano
è immancabile, la cui ricetta
è composta da una parte di
Aperol, due di prosecco, una
spruzzata o meglio “una bot-
ta” di seltz o acqua gasata,
ghiaccio e fettina di arancio,
ma numerose possono esse-
re le varianti a seconda della
zona o del baretto che si fre-
quenta o del gusto personale
(www.spritz.it)
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 91
speciale VenetoP
adova
Una preziosa gemma:la Mostra Nazionale
dei Vini di Pramaggiore a cura di Luciano Flavio Moretto
La Mostra Nazionale
Vini, società coope-
rativa agricola, è stata
nel tempo ed ancor oggi è ri-
masta, una delle istituzioni più
rappresentative nel settore vi-
tivinicolo del territorio dell’area
D.O.C. Lison – Pramaggiore.
Nasce nel 1946, nell’immedia-
to dopoguerra, come Comitato
per la promozione dei Vini locali.
L’intuizione di poter contare
su prodotti di alta qualità a
quei tempi, è stata di grande
importanza per l’agricoltura
locale in quanto ha posto le
premesse per una coltivazio-
ne più ampia e qualificata nel
territorio stesso.
I primi passi sono stati segna-
ti da raccolte di campioni di
vino dei vari produttori locali,
soprattutto Tocai, Merlot e
Cabernet, che venivano inviati
a Conegliano per l’esame chi-
mico e organolettico, e sotto-
posti poi ad una commissione
di esperti per selezionare e
premiare i migliori.
Due elementi sono stati fon-
damentali fin dall’inizio, e cioè
il contributo tecnico da parte
degli enologi, e le premiazio-
ni dei vini migliori che hanno
sollecitato di anno in anno
l’emulazione tra i produttori e
una sempre maggiore qualifi-
cazione del prodotto.
Le prime esposizioni si sono
tenute in una sala del cine-
ma abbandonata in centro
a Pramaggiore, poi succes-
sivamente presso il Salone
della scuola di avviamento
tecnico – agrario realizzata
dalla Provincia di Venezia in
centro a Pramaggiore, fino ad
arrivare ad essere ospitate nel
nuovo Palazzo costruito dalla
Regione del Veneto e con i
contributi del FEOGA sempre
a Pramaggiore.
Le iniziative di promozione
qualitativa vitivinicola realizza-
te dalla Mostra Nazionale Vini,
hanno avuto come riscontro
la diffusione nell’area Veneto
Orientale della coltivazione
specializzata della vite.
Nel tempo, sono state ottenu-
te le prime tre denominazioni
di origine controllata: Tocai di
Lison, Merlot e Cabernet di
Pramaggiore, successivamen-
te la gamma dei vini D.O.C. si
è ampliata a numerose altre
qualità che sono state tutte
ricomprese nella D.O.C. Lison
– Pramaggiore.
Nel frattempo, è sorto il
Consorzio per la tutela dei Vini
D.O.C. Lison - Pramaggiore
ed il Comitato “Strada dei Vini
D.O.C. Lison – Pramaggiore”
che hanno compiti di tute-
la della qualità del prodotto
e della promozione integrata
agricoltura e turismo.
Notevole impulso allo sviluppo
del settore vitivinicolo nell’area
Veneto Orientale lo hanno dato
le Cantine Sociali Cooperative
sorte a Portogruaro e a
Pramaggiore; esse, oltre ad
un azione di “scuola” per mi-
gliorare la produzione in cam-
po, garantivano l’assorbimen-
to del prodotto, la corretta
vinificazione e la vendita sul
mercato.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 592
spec
iale
Venet
o
La Mostra Nazionale Vini,
nel 1971 diventa Società
Cooperativa, ed allarga la par-
tecipazione alla società oltre-
ché ai privati produttori, anche
alle associazioni dei produttori
più rappresentative dell’area,
ai Comuni, alla Provincia di
Venezia, alla C.C.I.A.A., all’En-
te di Sviluppo Agricolo della
Regione Veneto e si appresta
a diventare la società più rap-
presentativa dell’intera area
Veneto Orientale.
Le selezioni dei vini locali,
nel tempo, sono diventate
Concorsi Enologici Nazionali,
autorizzati di anno in anno dal
Ministero per le politiche agri-
cole ed agroalimentari, mentre
la Mostra Campionaria si am-
plia a rappresentare tutte le
Regioni viticole italiane.
La gestione dei Concorsi
Nazionali viene affidata all’As-
sociazione Enologi Enotecnici
Italiani che garantisce la serie-
tà e la correttezza degli stes-
si.
Dal 1979, la Mostra Nazionale
Vini inizia una nuova attività in
accordo con la Regione del
Veneto, all’interno del Palazzo
Mostra, che è l’Enoteca
Regionale del Veneto.
La motivazione e la scelta di
Pramaggiore, non sono state
casuali ma dovute alla dispo-
nibilità di una sede ed alla vi-
cinanza al grande serbatoio
turistico delle spiagge dell’Alto
Adriatico.
Attualmente, la Cooperativa
Mostra Nazionale Vini gesti-
sce anche programmi di pro-
mozione per i prodotti tipici
del Veneto quali il Formaggio
Montasio, i vini biologici ed al-
tri prodotti veneti con progetti
finanziati dalla Regione Veneto
e dalla Comunità Europea.
Recentemente la proprietà
del Palazzo che è pubblica,
ha investito nel rinnovamento
esterno ed interno del Palazzo
per renderlo più funzionale ed
accogliente.
Ciò indica la volontà pubblica
di mantenere a disposizione
del territorio per la promozione
dei prodotti tipici del Veneto
Orientale in particolare, e del
Veneto, la struttura immobilia-
re che è a disposizione di tutti
i soggetti che operano per la
valorizzazione del territorio e
dei suoi prodotti.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 93
speciale Veneto
Concorso Enologico
Portogruaro
Terre dellaVenezia orientale: il Portogruarese
a cura di Annalisa Venturuzzo
Punto di partenza dell’iti-
nerario alla scoperta
del nostro territorio è
la città di Portogruaro, che
conserva nel suo centro sto-
rico l’originario impianto ur-
banistico medievale, davvero
suggestivo per la sua elegante
omogeneità, per la caratteri-
stica impronta veneziana dei
suoi palazzi e per gli scorci sul
fiume Lemene, che attraversa
tutta la città, articolata su due
assi viari principali che seguo-
no il corso fluviale sulle rive
opposte. L’origine del nome
composto di Portogruaro è
facilmente spiegabile nella pri-
ma parte facendo riferimento
all’antico porto commerciale
sul fiume Lemene; la seconda
parte, invece, come del resto
accade per il vicino comune di
Gruaro, è di difficile interpre-
tazione. Non essendoci una
soluzione certa, rimane nella
tradizione popolare il legame
con le gru che compaiono
nello stemma della città ai lati
della torre campanaria. Tradi-
zionalmente il documento del
10 gennaio 1140 con cui il
vescovo Gervino concesse a
un gruppo di mercanti (“por-
tolani”) una vasta area sulla
Portogruaro
tolani”) una vasta area sulla
Portogruaro
sponda sinistra del Lemene
Portogruaro
sponda sinistra del Lemene
Portogruaro
per la realizzazione di un porto
Portogruaro
per la realizzazione di un porto
Portogruaro
e delle relative strutture com-
Portogruaro
e delle relative strutture com-
Portogruaro
merciali viene considerato
Portogruaro
merciali viene considerato
Portogruaro
l’atto di fondazione della città.
Portogruaro
l’atto di fondazione della città.
Portogruaro
Determinanti furono il ruolo e
Portogruaro
Determinanti furono il ruolo e
Portogruaro
la posizione strategica della
Portogruaro
la posizione strategica della
Portogruaro
città nei traffici commerciali tra
Portogruaro
città nei traffici commerciali tra
Portogruaro
la lagune di Venezia e i paesi di
Portogruaro
la lagune di Venezia e i paesi di
Portogruaro
area germanica, come punto
Portogruaro
area germanica, come punto
Portogruaro
di passaggio delle merci dalla
Portogruaro
di passaggio delle merci dalla
Portogruarovia d’acqua alla via di terra. Fu
Portogruarovia d’acqua alla via di terra. Fu
Portogruarosoprattutto durante la domi-
Portogruarosoprattutto durante la domi-
Portogruaronazione veneziana che la città
Portogruaronazione veneziana che la città
Portogruarosi arricchì notevolmente. Oggi
Portogruarosi arricchì notevolmente. Oggi
Portogruaro
conta poco più di 25.000 abi-
Portogruaro
conta poco più di 25.000 abi-
Portogruaro
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 594
spec
iale
Venet
o
Scorcio di Portogruaro
tanti.
Giunti in piazza della Repub-
blica, va segnalata l’elegante
facciata gotica del palazzo
municipale, costruito nella
sua parte centrale tra il 1372 e
il 1379. Interamente in mattoni
a vista, l’edificio si caratteriz-
za per la merlatura a coda di
rondine e il piccolo campanile
a vela alla sommità per richia-
mare le adunanze pubbliche.
Sul retro del municipio, in riva
al Lemene, dove un tempo si
svolgeva il mercato del pesce,
sorge l’oratorio della Pesche-
ria, dedicato alla Madonna per
volontà dei pescatori di Caro-
le. Poco più avanti i due mo-
lini, sicuramente tra gli edifici
più antichi della città, men-
zionati già in una bolla papa-
le del 1186, dal 1970 sono di
proprietà del comune e, dopo
il restauro, sono divenuti Gal-
leria Comunale d’Arte Con-
temporanea. Da qui si vedono
molto bene l’abside del duo-
mo e il campanile, contraddi-
stinto da una forte pendenza
verso la chiesa, dedicata al
patrono sant’Andrea aposto-
lo, in onore del quale si tiene
ogni anno una Fiera a fine
novembre (Antica Fiera delle
Oche e degli Stivali). Inoltre,
da più di vent’anni, tra la fine
di agosto e gli inizi di settem-
bre, un prestigioso Festival
Internazionale di Musica da
Camera, denominato “Estate
Musicale”, richiama musicisti
di fama internazionale da tutto
il mondo.
A breve distanza da Por-
togruaro, il centro urbano
intorno al quale gravitano
i paesi circostanti, si segna-
lano le frazioni di Pradipozzo
e Lison,entrambe parte del
territorio comunale. La zona
a Denominazione di Origine
Controllata “Lison Pramaggio-
re”, riconosciuta ufficialmente
nel 1985, comprende i territori
di gran parte dei comuni tra i
fiumi Livenza e Tagliamento e
prende il nome dal borgo di
Lison e dal paese di Pramag-
giore, “Città del Vino” (insieme
ad Annone Veneto e Santo
Stino di Livenza). Il toponimo
(dal latino pratus maius “pra-
to di maggiore estensione”)
allude chiaramente alla vo-
cazione prettamente agricola
del territorio, caratterizzato da
terreni pianeggianti formatisi
in seguito a depositi alluvionali
trasportati dalle acque.
All’interno dell’area di produ-
zione è sorta la Strada dei Vini
DOC “Lison-Pramaggiore”,
chiamata anche Strada dei
Vini dei Dogi, lungo la quale
un’apposita segnaletica indica
le aziende produttrici associa-
te al Consorzio di Tutela dove
è possibile degustare e acqui-
stare i vini locali. Pramaggio-
re ospita anche la prestigiosa
Mostra nazionale dei Vini ed
Enoteca Regionale dei Vini
del Veneto, realtà nella quale
sono disponibili gli oltre 300
vini prodotti in regione, oltre a
rinomate specialità enogastro-
nomiche.
Le scoperte archeologiche
a Concordia Sagittaria, l’an-
tica Iulia Concordia, colonia
romana fondata nel 42 o 40
a.C. presso l’incrocio tra le vie
consolari Annia e Postumia,
lungo il Lemene, ci rivelano
che in queste zone il vino era
prodotto e apprezzato già dai
tempi dell’impero romano, in
cui assumeva un grande si-
gnificato di ritualità collettiva e
convivialità.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 95
speciale Veneto
Portogruaro - il Porto fluviale
Probabilmente diffuso in que-
ste campagne dai monaci
benedettini insediatisi a Sum-
maga, abitato che dista solo
quattro chilometri da Porto-
gruaro, intorno alla fine del pri-
mo millennio, un’altra tipicità, il
Montasio DOP, si lavora come
è stato tramandato nei secoli
dai casari. In tavola trova po-
sto in ogni momento. Anche
Ippolito Nievo nel romanzo Le
confessioni di un italiano rac-
contava che nella cucina del
castello di Fratta, in comune
di Fossalta di Portogruaro, il
cameriere era impegnato per
buona parte della giornata a
grattugiare lo stravecchio.
Altro prodotto tipico dell’area
territoriale a cavallo tra Veneto
e Friuli è il lingual, un insacca-
to a base di lingua di maiale la
cui tradizione nasce ai tempi
della Serenissima Repubblica
ed è stata tramandata fino ai
nostri giorni dalla cultura con-
tadina. È tradizionalmente
consumato in occasione del-
la festa dell’Ascensione e, nel
portogruarese, in località Cinto
Caomaggiore, nel 2005 è nato
il Consorzio di Tutela.
Si tratta di un territorio
che ha molto da dire,
a partire dal proprio
patrimonio enologico di viti-
gni autoctoni, primo fra tutti il
Lison Classico (noto come to-
cai fino a qualche anno fa), ma
anche grazie alle interessanti
interpretazioni delle varietà in-
ternazionali.
Il territorio è anche un’area
fortemente vocata al turismo,
in perfetto equilibrio fra mare
e terra, che offre dalle spiagge
della riviera adriatica di Caorle
e Bibione ai vasti scavi arche-
ologi, dalle oasi naturali anco-
ra incontaminate ai numerosi
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 596
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iale
Venet
o
Lison Pramaggiore: una terra dei vini da scoprire
a cura di Francesca Amadio - Presidente della Strada Vini Doc Lison Pramaggiore
Una denominazione vinicola e un territorio tutti da scoprire, che in questi anni hanno saputo mantenere le proprie radici antiche ma guardare anche al futuro,
divenendo un polo moderno e avanzatodella viticoltura veneta. È questo il Lison Pramaggiore,
la “Doc di Venezia”.
Portogruaro
percorsi d’acqua che bagna-
no città d’arte.
L’area fu scelta già dai Romani
come uno tra i più importan-
ti poli del Veneto Orientale,
come dimostrano ancora oggi
le numerose testimonianze, e
proprio a loro si deve l’intro-
duzione della vite.
E se in epoca romana il centro
principale era Julia Concordia,
in quella medievale
Aquileia e Sesto al
Reghena assunsero
un ruolo di primaria
importanza.
Risale al tardo Me-
dioevo, il centro sto-
rico di Portogruaro,
una delle cittadine
più caratteristiche del
Veneto, con il suo
municipio merlato, i
suoi portici, le ruote
dei mulini sul Lemene.
I Veneziani giunsero qua nel
XV secolo e i principali centri
si arricchirono di chiese e pa-
lazzi.
Il territorio divenne quindi la
“Terra dei vini dei Dogi”, quali-
fica ancor oggi usata per iden-
tificare il territorio. Pramaggio-
re in particolare, con il borgo
di Belfiore, divenne il “Vigneto
della Serenissima” perché
vocato alle produzioni di alta
qualità.
Avvicinandoci ai nostri giorni,
la viticoltura contribuì a risolle-
vare il territorio dopo la Prima
Guerra Mondiale e negli anni
Trenta una vasta azione di
bonifica e di modernizzazio-
ne della produzione agricola
e vinicola rese l’area di Lison
Pramaggiore all’avanguardia
nella produzione vitivinicola.
Oggi il Lison Pramaggiore si
è ulteriormente evoluto nel
rispetto per l’ambiente e ciò
ha portato i produttori ad in-
trodurre per primi l’agricoltura
biologica (oggi presente con
circa 400 Ha).
La Strada Vini Doc Lison
Pramaggiore in collabora-
zione con i suoi soci punta a
far visitare questo incantevole
territorio e presentarlo nella
sua complessità di ricchezze
artistiche, storiche, architet-
toniche e, ovviamente, eno-
gastronomiche, vero segreto
per la nostra promozione.
L’obiettivo è far conoscere
l’intera area che of-
fre davvero molto.
Tra tutti i numero-
si eventi che ogni
anno mettiamo in
calendario vorrei
ricordare la rasse-
gna Vinosofia, de-
dicata a turisti ed
appassionati. Dai
primi di giugno e
per 2 mesi gli ospiti
delle località balne-
ari possono divertirsi all’inse-
gna del ritmo slow e del bere
consapevole, con degusta-
zioni di buoni vini, musica e
letture presso gli alberghi, le
cantine e gli agriturismi e le
piazze dei Comuni nostri soci.
Ogni anno questa iniziativa ha
registrato migliaia di presenze
complessive.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 97
speciale Veneto
Scoprire il territorio lungo la Strada Vini Doc Lison Pramaggiore.I percorsi tematici.La Strada dei Vini D.O.C. Lison Pramaggiore è attiva fin dal 1986 ma ha ottenuto il riconoscimento ufficiale grazie alla legge Regionale del Veneto (17/2000) nel 2002. Si snoda idealmente lungo il percorso della romana Via Annia, da Venezia fino al confine con il Friuli. Il simbolo del Leone di S. Marco guida il visitatore nel riconoscere i produttori, le botteghe, gli alberghi e i ristoranti che compongono l’offerta turistica.Non si propone solo come zona di produzione di Vini a denominazione di origine controllata, ma vuole essere anche utile strumento per la valorizzazione dell’area nel suo complesso.Attraverso la Strada dei Vini doc Lison Pramaggiore il turista entra in luoghi di produzione che garantiscono la qualità dell’accoglienza accompagnandolo alla scoperta di un territorio ricco di risorse uniche, di storia e di paesaggi. Un territorio ricco di risorse, quello di Lison Pramaggiore, dove la cultura del vino è strettamente legata alla storia e all’ambiente. Una zona unica e tutta da scoprire, fra terra e mare...
Preparare e cucinareil pesce a Caorle è una tradizione
a cura di ciaocaorle
L’enogastronomia
offerta negli hotel
e negli alberghi di
Caorle rappresenta un moti-
vo per visitare Caorle e nel-
la maggior parte dei casi, un
motivo in più per ritornare a
Caorle anche fuori stagione
per assaporare un delizioso
piatto di pesce al ristorante in
una occasione speciale. Ecco
allora svelati i segreti dei piatti
tipici di Caorle, le più famose
ricette della tradizione che, a
seconda della stagione, ven-
gono proposte sulle tavole dei
nostri ospiti.
Gli Spaghetti al nero di SeppiaLa Pasta al nero di seppia” è
una specialità veneziana che
usa il nero delle seppie per le
sue qualità aromatiche e per il
colore dei piatti. Il nero conte-
nuto nella sacca delle seppie
serve non solo come protezio-
ne al mollusco per confondere
il campo visivo ai predatori,
ma anche a dare qualità e gu-
sto particolare alla pasta.
Il MoscardinoIl “Moscardin” è una qualità di
mollusco tipico del mare anti-
stante Caorle. Si pesca tutto
l’anno con le reti a strascico,
a “tirate brevi”, e con l’utilizzo
di attrezzi a ridotte dimensio-
ni. La tecnica di pesca usata
serve a dare minimo stress,
maggiore qualità e morbidez-
za al prodotto. È nella cottura
in lesso che si apprezza mag-
giormente il “Moscardin” ed è
per questo che è considera-
to una delle specialità tipiche
della cucina caorlotta.
Il Broèto(ovvero Pesce in umido)Questa vecchia ricetta veneta,
trae le sue origini nella zona di
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 598
spec
iale
Venet
oLa doc Lison PramaggioreL’area Lison Pramaggiore è per antonomasia la D.O.C. di Venezia.
Il territorio di produzione comprende gran parte dei comuni del Veneto Orientale e si estende dai terreni vicini al mare
fino ai confini con le province di Treviso e di Pordenone.
La Denominazione d’Origine Controllata viene attribuita oggi alle produzioni di 14 vitigni e ad altri 4 vini prodotti
nell’area, che il Consorzio Vini D.O.C. LisonPramaggiore promuove e tutela. Le uve destinate alla produzione dei vini
Lison Pramaggiore devono essere prodotte nella zona comprendente, nelle rispettive province, i comuni di Annone
Veneto, Cinto Caomaggiore, Gruaro, Fossalta di Portogruaro, Pramaggiore, Teglio Veneto e parte del territorio
dei comuni di Caorle, Concordia, Portogruaro, S.Michele al Tagliamento, S. Stino di Livenza(In prov. Di Venezia),
Meduna di Livenza, Motta di Livenza (in provincia di Treviso), Cordovado, Pravisdomini, Azzano Decimo, Morsano,
Sesto al Reghena(in provincia di Pordenone).
Ad oggi si fregiano della doc le seguenti tipologie:
Lison, Pinot bianco, Chardonnay, Pinot grigio, Riesling, Sauvignon, Verduzzo, Merlot, Malbech, Cabernet,
Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Refosco dal peduncolo rosso, Novello, Prosecco, Spumante, Riserva.
Por
togr
uaro
Caorle. Essa veniva prepara-
ta dalle famiglie di pescatori
con il pescato meno costoso,
mentre quello di valore era
venduto al mercato ittico del-
la città. Il “Broeto” prevedeva
in passato una sola qualità di
pesce, ma oggi si è arricchi-
to con l’aggiunta di molti pe-
sci pregiati, Rombo, Anguilla,
Passera, Cannocchia, per
citarne alcuni, e veniva nor-
malmente cotto in barca, in
un recipiente di coccio su car-
bonella, o a casone (cason) su
un paiolo sopra il fuoco.
le Sarde in Saòr Piatto di antica tradizione,
sono le “Sardèe in Saòr”, o
più semplicemente il “Saòr”.
Le sardine vengono fritte,
messe a macerare con olio,
cipolla affettata fine ed appe-
na soffritta, sale ed annaffiate
di aceto. È un piatto delicato
e nello stesso tempo forte,
autentica invenzione dei po-
veri pescatori che, in passato,
per poter mantenere a lungo
le sardine non vendute, erano
soliti friggerle a mezza cottura
e conservarle immerse nello
stesso olio.
il canestrello ai FerriIl canestrello è un mollusco bi-
valvo raccolto in tutto il Nord
Adriatico e, negli ultimi anni,
in quantità consistenti al largo
delle coste di Caorle, dove il
prodotto è particolarmente ap-
prezzato e consumato sia cru-
do che cotto. Due sono i tipi di
canestrello prodotti in questa
zona di mare; essi vengono
distinti dalla marineria locale in
canestrello bianco e rosso che
si differenziano, oltre che per
la specie, anche per caratteri-
stiche organolettiche e moda-
lità di commercializzazione. La
forma del canestrello richiama
vagamente quella di un venta-
glio, con due valve convesse,
di cui quella inferiore a con-
vessità più pronunciata; la su-
perficie si presenta finemente
striata longitudinalmente e di
colore variabile dal bianco al
giallo fino al rosso e al bruno,
con macchie e sfumature di
tonalità diverse. La raccolta
del mollusco si pratica tutto
l’anno ad eccezione dei pe-
riodi di fermo biologico. L’area
di pesca, al largo del litorale di
Caorle, si estendeda 3 a 8 mi-
glia marine dalla costa.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 99
speciale Veneto
Moscardini in umido
Pesca e Lagunaa cura di Fabrizio Tonon - Vicepresidente della Proloco di Caorle
La pesca a Caorle è
un’arte antica e ri-
spettata, frutto della
convivenza della gente caor-
lotta con l’Adriatico.
I Pescherecci salpano alle pri-
me ore del mattino e rientrano
nel primo pomeriggio. L’antica
tradizione marinara unita al ri-
spetto per il mare e la pesca,
che contraddistinguono da
sempre il Pescatore Caorlotto
consentono al pescato di rag-
giungere il Mercato Ittico in
perfette condizioni igienico-
sanitarie.
Anche la vendita al Mercato
Ittico segue antiche tradizioni,
con la caratteristica asta “a re-
cia” (cioè con una offerta sus-
surrata dai ristoratori e dai gros-
sisti all’orecchio degli astatori).
Dopo neanche dodici ore il
pesce viene presentato in pre-
libate ricette nei ristoranti ca-
orlotti per il piacere dei nostri
Ospiti.
Il Porto è uno dei luoghi più
suggestivi di Caorle: rimasto
pressoché immutato nei se-
coli. Passeggiando durante
il giorno, si possono vedere i
pescatori rammendare le reti e
la sera, con le luci dei lampioni
che riflettono sull’acqua, l’at-
mosfera romantica del porto
ci rimanda a tempi passati.
La Laguna di Caorle è un pic-
colo angolo di paradiso, dove
in tempi remoti i primi abita-
tori trovarono possibilità di
sopravvivenza affinando l’arte
della pesca. Fu frequenta-
ta negli anni ‘50 e ‘60 anche
dal grande scrittore america-
no Ernest Hemingway che, in
questo angolo di
natura, trovò l’ispirazione per il
famoso racconto “Di là dal fiu-
me e tra gli alberi”. Uno spazio
magico dove il silenzio, la pace
e la tranquillità regnano sovra-
ni e dove nulla può intervenire
a spezzare l’incanto, neppure
il trascorrere del tempo. La la-
guna si estende ancora oggi
per migliaia di ettari tra can-
neti e distese d’acqua che
creano scorci paesaggistici di
indimenticabile bellezza. Qui
sorgono i “Casoni”, antiche
dimore dei pescatori, costruiti
in canna palustre, interessanti
da visitare in bicicletta o con
imbarcazioni e visite guidate.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5100
spec
iale
Venet
o
Prodotti della terra e cucina dei sapori nella
Marca Trevigiana
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 101
speciale Veneto
Il paniere agroalimentare
trevigiano è ricchissimo,
offrendo una gamma di
prodotti di assoluto valore in
tutte le stagioni dell’anno. Allo
sbocciare della primavera, ac-
canto alle tante erbe sponta-
nee (radicee,
zimoe, Bruscandoi, Sparesi da
Rust..), ancor oggi impiegate
nelle cucine di casa e nei ri-
storanti, ecco il raffinato e de-
lizioso Asparago bianco Igp di
Cimadolmo e del Sile. E, subito
dopo, le primizie degli orti che
offrono ormai tutta la serie degli
ortaggi coltivati in Italia e que-
sto continua per tutta l’esta-
te. Intanto, a giugno, quando
maturano le ciliegie (Colline
Asolane), si iniziano a raccoglie-
re, dopo le prime piogge, i fun-
ghi porcini dei boschi di latifoglie ghi porcini dei boschi di latifoglie ghi porcini
della Pedemontana. D’estate
matura anche la frutta – pe-
sche, mele, pere, albicocche,
susine, ecc. – e poi le celebri
noci “Lara”, le migliori in asso-
luto, nei grandi noceti della pia-
nura e soprattutto a Chiarano.
La fine dell’estate e l’incipiente
autunno sono il momento dei
Marroni (castagne) di Combai,
dei funghi chiodini del Montello funghi chiodini del Montello funghi chiodini
e ancora della Pedemontana,
accanto a tante altre squisite
varietà e c’è la prima raccolta
del Radicchio rosso di Treviso
Precoce, in attesa di dicembre,
quando arriva sulle tavole lo
straordinario Radicchio rosso
di Treviso Tardivo e il Variegato
di Castelfranco, che accompa-
gneranno le cucine trevigiane
fino a marzo.
Anche in questa terra c’è ab-
bondanza di animali da cortile
– polli, galline, faraone, tacchi-
ni, anatre, oche, conigli - e poi ni, anatre, oche, conigli - e poi ni, anatre, oche, conigli
maiali, che regalano salumi fra i
più richiesti d’Italia.
Cucina del territorioCon questi e altri prodotti è
comprensibile che la cucina
trevigiana resti radicata nel
territorio, anche se i primi piat-
ti tradizionali sono a base di
riso – un tempo nel Trevigiano
c’erano moltissime risaie – e ci
sono poi le carni degli animali
da cortile (pollo in umido, ana-
tra rosta e lessa, oca al forno,
faraona con la salsa peverada,
salumi e soppresse di squisita
bontà, ecc.). È una cucina che
segue il ritmo delle stagioni,
per cui ci sono tanti piatti con
gli asparagi e le erbe di campo
a primavera; con i funghi e gli
ortaggi d’estate e in autunno e
con i radicchi dall’autunno agli
albori della primavera. Cucina
semplice nella materia prima,
che è fresca, sana e genuina,
ma intelligente e spesso raf-
finata nelle preparazioni. Una
cucina che si presenta di alta
qualità in numerosi ottimi risto-
ranti.
Segnaliamo, tra i tan-
ti il Ristorante Gellius
(0422713577), metà ristoran-
te e metà museo, con prezio-
si resti archeologici romani. È
stella Michelin e presenta una
cucina giovane, fresca, a base
di prodotti sceltissimi, con piatti
sapientemente elaborati e otti-
mamente presentati.
Fra i tanti altri eccellenti ristoran-
ti trevigiani ricordiamo: Gigetto
(0438.960020), a Miane, con
splendida cantina; Sansovino
Castelbrando (0438-976093),
a Cison di Valmarino, in un an-
tico turrito Castello; Da Gerry
(0423 545082) a Monfumo;
Casa Brusada (0423.86614),
Treviso
a Crocetta del Montello;
La Giraffa (0422.809303) a
Fontanelle; Villa Giustinian
(0422 850244) a Portobuffolè,
in splendida villa veneta; Villa
Foscarini (0422.208007) e Foscarini (0422.208007) e Foscarini Villa
Revedin (0422.800033) en-
trambi a Gorgo al Monticano,
in storiche ville venete;
Bertacco (0422.861400) e
Disarò (0422.766023) a Motta
di Livenza; Parco Gambrinus
(0422 855043) a San Polo di
Piave; Le Calandrine (0422
748010) a Cimadolmo;
Rino Fior (0423 490462) a
Castelfranco Veneto; Osteria
dalla Pasina (0422 382112)
a Dosson di Casier; Antica
Trattoria da Procida (0422
797818) a Spercenigo di San
Biagio di Callalta, Da Tullio
(0438587093) ad Arfanta di
Tarzo.
La Marca Trevigiana, a
ridosso di Venezia e
della sua laguna, ha
una storia che si perde lontano
e che offre i primi documenti
con l’arrivo, circa tre millenni
or sono, dei Paleoveneti che in
questa terra ebbero tre grandi
insediamenti: Montebelluna,
Oderzo e Ceneda (attuale
Vittorio Veneto) e numero-
si villaggi sparsi dalla pia-
nura alle Prealpi. I Musei di
Montebelluna e Oderzo ne
mostrano i preziosi reperti, fra
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5102
spec
iale
Venet
oRadici e Fasoi,
tipico piatto Trevigiano
Treviso, una terra ricca di fascino
Treviso
TrevisoT
revi
so
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 103
speciale Veneto
cui lo scheletro di un cavallo
con la sua bardatura, risalente
a 2500 anni fa, recentemen-
te venuto alla luce a Oderzo.
Poi arrivarono i Romani che
costruirono nel 148 a.C. la
via Postumia (da Genova ad
Aquileia) e centuriarono il ter-
ritorio attorno ad Opitergium
(Oderzo), Ceneta (Ceneda),
Acelum (Asolo), Tarvisum
(Treviso) e Altinum (Altino),
da dove partì, nel 15 a.C. la
Claudia Augusta, una impor-
tante via militare e commer-
ciale che raggiunse Augusta
Vindelicorum (Augsburg, in
Baviera), costruendo altre
strade, popolando la pianura
e le colline e dando un forte
impulso all’agricoltura e alla
viticoltura. Da allora la storia e
l’intraprendenza degli abitanti
hanno regalato a questa terra,
definita “gioiosa et amorosa”,
città belle e ospitali, come il ca-
poluogo Treviso; Conegliano,
“la perla del Veneto”; Vittorio
Veneto, “la città della vitto-
ria”; Oderzo, “l’antica Ob-
terg”; Motta di Livenza, “la
città dell’Apparizione” (della
Madonna avvenuta nel 1510);
Montebelluna, “la città paleo-
veneta”; Castelfranco Veneto,
“la città del Giorgione”; Asolo
“il balcone sulla pianura e sul
Grappa” e tanti paesi arricchiti
negli ultimi decenni da quello
sviluppo produttivo che ha
fatto gridare a un secondo mi-
racolo economico.
Oggi nelle cittadine e nei paesi
del Trevigiano ci sono, accan-
to a fiorenti attività produttive,
chiese ricche di opere d’arte,
firmate da Tiziano, Giorgione,
Cima da Conegliano, Paris
Bordone, il Pordenone,
Pomponio Amalteo, Lorenzo
Lotto, Palma il Giovane
e altri grandi Maestri del
Rinascimento.
Il paesaggio poi è partico-
larissimo. Le colline che da
Conegliano e Vittorio Veneto
s’inseguono dolci verso
Refrontolo, Pieve di Soligo,
Follina, Col San Martino, Miane
e Valdobbiadene, oltre alle
splendide vigne dove nasce
il Prosecco, mostrano scorci
mozzafiato, chiesette antiche
sapientemente affrescate,
torrioni longobardi immersi
nei boschi di latifoglie, turriti
castelli ancor oggi vissuti, ville
e palazzi dei secoli andati. E
poi c’è la pianura, le Terre del
Piave, con i tanti segni dell’an-
tica presenza dei signori me-
Monte Pizzoc
Castelfranco Veneto
Treviso
Treviso: giardino di Bacco
Terra del celebre Prosecco e di altri vini straordinari,conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo
dioevali, dei Cavalieri Templari
e della Repubblica di Venezia
e, ovunque, vigne rigogliose
e ancora le Bellussere, vigne
nate sul finire dell’Ottocen-
to per alzare il più possibile i
grappoli d’uva dalla terra. Le
strade percorrono paesi lindi
e ridenti, con chiese che con-
servano tele di grandi pittori,
maestosi palazzi, case genti-
lizie, giardini fioriti, prati e ampi
parchi che danno il senso del-
la pace, pur accanto alle im-
mancabili zone industriali.
In questa provincia, salendo da
Vittorio Veneto o da Cappella
Maggiore a fianco del Monte
Pizzoc, si arriva in Cansiglio,
dove, attorno a un’incante-
vole “piana” s’estende uno
dei boschi più importanti
d’Italia, riserva dei legni della
Serenissima. e lo stesso era
per il Bosco Montello e i gran-
di alberi di entrambi servivano
a Venezia per le fondamenta
dei suoi palazzi e per il fascia-
me delle sue tante navi.
Terra bella e gioiosa, vivace
e operosa, terra di cultura e
d’arte, luogo di civiltà e di alta
gastronomia, ricco ancora dei
valori umani e sociali che ne
hanno caratterizzato la sua
lunga storia.
È proprio vero: la provin-
cia di Treviso è un gran-
de giardino enologico,
impreziosito da istituzioni che,
soprattutto negli ultimi tempi,
hanno contribuito a lanciare i vini
trevigiani fra le più interessanti
new entry del panorama enolo-
gico italiano. In questa provin-
cia ci sono due aree a Docg:
Prosecco di Conegliano e
Valdobbiadene e Prosecco
Montello e colli Asolani. E
ci sono 5 aree a Doc: Piave,
Montello e colli Asolani,
Colli di Conegliano e lison
Pramaggiore. A queste aree si
è aggiunta la recentissima Doc
Treviso, riservata al Prosecco
prodotto in provincia di Treviso,
fuori dalle zone a Docg.
Si può dunque tranquillamente
affermare che in provincia di
Treviso,si va dai grandi vini da
aperitivo e fuori pasto come
il Prosecco DOCG, ai vini da
Dessert come il Refrontolo
passito Doc e soprattutto il
Torchiato di Fregona Doc.
E fra quest troviamo un’ampia
scelta di vini bianchi e rossi,
fra i quali il grande autoctono
raboso Piave, che si prepara
a conquistare mercati sempre
più ampi.
Ma andiamo con ordine.
Il Prosecco Conegliano-
Valdobbiadene Docg si pro-
duce nel comparto collinare
che va da Conegliano e Vittorio
Veneto a Valdobbiadene, in
quella che è denominata la
Pedemontana Trevigiana. Oltre
al Prosecco, nome del vino
che nasce dall’antichissimo
vitigno glera, portato in terra
veneto-friulana dai Paleoveneti
tre millenni or sono e chiamato
Pucinum dai Romani, nella col-
lina di San Pietro di Barbozza si
produce il Prosecco superio-
re di cartizze o, semplicemen-
te, cartizze, splendido e raro
vino per incontri amicali e da
fine pasto, orgoglio della vitivini-
coltura trevigiana. Il Prosecco
può essere prodotto nella ver-
sione tranquilla, ma anche friz-
zante e, soprattutto, spumante,
ed ancora brut, dry e extra dry.
Quando è secco può accom-
pagnare benissimo un intero
pranzo di pesce, purché non
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5104
spec
iale
Venet
oT
revi
so
salsato.
L’area Doc Piave è caratterizzata da una ricca
produzione. Innanzitutto c’è il vino più antico, il
raboso Piave, figlio di un vitigno portato dai
Paleoveneti e il cui vino i Romani chiamarono
“Picina omnium nigerrima” (nero come la pece,
più nero di ogni altro). Un tempo re incontrastato
delle Terre del Piave, dopo aver lasciato il posto,
nella seconda metà del secolo scorso, ai vitigni
internazionali, è ora in netto rilancio, specie col
Malanotte, che potremo degustare fra un paio
d’anni. Questo è un vino per carni nobili, grandi
arrosti e selvaggina e ci sono alcune aziende che
lo presentano anche Spumante, preparato in ver-
sione Metodo Classico. Altro vino autoctono è il
Verduzzo Trevigiano o Verduzzo Motta, ora
in rilancio anche nella forma passita e spuman-
te Metodo Classico, ottimo col pesce. A far da
corona, nell’area Doc Piave, ci sono: cabernet
Sauvignon, Carmenere, Chardonnay,
Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Tai (ex
Tocai, da vitigno Sauvignonasse).
I medesimi vini sono nel comprensorio Doc
Montello e colli Asolani, nella cui area si pro-
duce un ottimo Asolo Prosecco Docg, come
pure un vino rosso straordinario, di stile bordo-
lese, che è il Venegazzù, esclusivo dell’azienda
conte loredan-gasparini, stupendo con il
pollame nobile, la selvaggina di pelo e i formaggi
molto invecchiati.
Nell’area Doc Colli di Conegliano ci sono quat-
tro vini importanti: il Bianco (Manzoni Bianco,
Pinot Bianco e/o Chardonnay, Sauvignon e/o
Riesling renano), eccellente compagno di primi
piatti importanti e con carni bianche; il rosso
(Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc,
Marzemino), per carni nobili; il Torchiato
di Fregona, uno straordinario “vin santo”
(Prosecco, Verdiso e Boschera) e il Refrontolo
passito (Marzemino). Questi due vini sono ottimi
con i dolci ed il Torchiato accompagna degna-
mente il cioccolato, come, del resto, il raboso
Piave passito.
Infine, ma marginalmente nel trevigiano, c’è l’area
Doc Lison-Pramaggiore, nella quale, in comu-
ne di Motta di Livenza, si produce un Merlot,
che negli ultimi anni ha dominato il concorso di
Aldeno in Trentino dedicato ai vini dell’intero re-
parto Italia prodotti con il noto vitigno di origine
bordolese.
Una parola di grande elogio, infine, sui vini
Manzoni, in particolare il Manzoni bianco, il
Manzoni rosso e il Moscato-Raboso, viti-
gni nati da studi di impollinazione fra gli anni 20
e 30 del secolo scorso da Luigi Manzoni, uno
dei grandi scienziati che lavoro’ a Conegliano,
nell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura e nella
celebre Scuola Enologica, fondata nel 1876, dal
garibaldino Antonio Carpenè, che è pure fonda-
tore dell’azienda vitivinicola Carpenè Malvolti,
uno dei gioielli dell’enologia trevigiana.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 105
speciale Veneto
Vigne di Prosecco e Cartizze
Vigneti a Rolle
Vigneti di Prosecco
VeneziaCalle de la Malvasia
di Annalisa Ricevuti
Per Shakespeare il vino
era “una buona e pia-
cevole cosa”, Goethe
precisò che “dopo il denaro il
vino è la più importante delle
cose”, Bismarck invece con-
sigliò ai tenenti prussiani “una
buona bottiglia di spumante
al giorno per ravvivarli e tenerli
desti...”.
Secondo Diego Valeri, vene-
ziano di adozione, che visse a
Venezia assolutamente inna-
morato dei colori, ritmi, tempi,
voci e scorci veneziani, il più
bel piacere che ci si può pren-
dere in Città è girare senza iti-
nerario. Andare dove le gambe
portano lasciandosi stupire dal
continuo variare del panorama
di questa città, scoprire, pas-
sando attraverso una stretta e
buia calle, un arioso e soleg-
giato campo dove giocano i
bambini. Perdersi in un dedalo
di viuzze fino ad arrivare ad un
canale, magari mentre passa
leggera e silenziosa una gon-
dola.
Scrivere su Venezia non è
mai banale, su Venezia è sta-
to scritto tutto e anche di più.
Perciò quando gli amici della
federazione Fisar di Venezia mi
hanno chiesto di spendere al-
cune parole sulla mia città, dal
punto di vista storico cultura-
le, focalizzandomi soprattutto
sul vino, ho sentito tremare le
vene dei polsi.
Non ritengo per questa ragio-
ne interessante presentare un
elenco di quei luoghi che qui
ancora oggi chiamiamo “fu-
ratole”, “osterie” o “bacari”, lo
stesso è infatti facilmente re-
peribile in qualsiasi buona gui-
da della città.
Per prima cosa vorrei spiegare
il significato di queste parole:
Il bacaro è un tipo di osteria
veneziana semplice, dove si
trova una vasta scelta di vini
in calice e piccoli cibi e spun-
tini. Il nome bacaro viene dai
“bacari” (singolare: bacaro), un
termine, che a sua volta deri-
va dal “Baccho”, dio del vino.
Secondo un’altra teoria deriva
da “far bàcara”, espressione
veneziana per “festeggiare”.
“Bacari” si chiamavano una
volta dei vignaioli e dei vinai,
che venivano a Venezia con
un barile di vino a venderlo in
Piazza San Marco, insieme con
dei piccoli spuntini. Il bicchiere
del vino che si beveva, si chia-
mava “ombra”, perché i vendi-
tori del vino seguivano l’ombra
del campanile per proteggere
il vino dal sole. Per evitare il
trasporto faticoso ogni giorno,
si cercava in seguito un locale
fermo, che si usava come ma-
gazzino e come mescita.
Alcuni bacari sono frequen-
tati da turisti, ma ve ne sono
altri, più nascosti nei picco-
li vicoli, che sono frequentati
da Veneziani a cui piace fare
il “giro d’ombra”, che vuol dire
andare al bacaro, trovare degli
amici e bere un “ombra”. Il vino
della casa si chiama sempre
“ombra”; al bacaro non si trova
solo del vino semplice ma an-
che una grande scelta dei vini
di alta qualità, talvolta a buon
prezzo.
Il termine osteria viene da
“oste”, dall’antico francese
oste, ostesse che a sua volta
deriva dal latino hospite(m).
Una delle prime attestazioni
del termine hostaria si trova nei
capitolari della magistratura
dei “Signori della Notte”, che,
come suggerito dal nome, ve-
gliava sulla tranquillità notturna
della Venezia del XIII secolo.
L’etimologia della denomina-
zione attuale richiama la fun-
zione del luogo che è appunto
quella dell’ospitalità.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5106
spec
iale
Venet
oVenezia
Le osterie sorsero come punti
di ristoro, nei luoghi di passag-
gio o in quelli di commercio che
nella fattispecie sono strade,
incroci, piazze e mercati. Ben
presto divennero anche luoghi
di incontro e di ritrovo, di rela-
zioni sociali. Gli edifici, spesso
poveri e dimessi, assumevano
importanza in base al luogo
dove sorgevano e alla vita che
vi si alimentava. Il vino era l’ele-
mento immancabile intorno
al quale tutti gli altri facoltativi
giravano: il cibo, le camere da
letto, la prostituzione.
Furatola, era una botteguccia
così nominata, quasi simile a
quella del pizzicagnolo, dove si
vendono commestibili di poco
prezzo, cioè minestre, pane,
minutaglia fritta, ed altri cibi
ad uso della gente meno ab-
biente. Alcuni fanno derivare la
parola furatola dal “furare” per
le frodi nella vendita che si per-
petravano in queste botteghe.
(tratto da Wikipedia).
All’osteria, davanti a un gene-
roso calice di vino, non impor-
ta se bianco o rosso, frizzante
o novello, si sono stipulati con-
tratti, tramandati ricordi, sug-
gellate nuove amicizie. Vino e
osterie fanno parte della tradi-
zione, della storia e dell’econo-
mia di Venezia, nel duecento i
vigneti erano prosperi in tutta
la campagna veneta, c’erano
filari in pianura, in collina, perfi-
no in piazza San Marco.
Oggi all’ombra della basilica
non ci sono vigneti, ma è ri-
masto il culto del vino: all’inizio
del secolo scorso nella Città
dei Dogi c’erano più di 1200
tra mescite e rivendite di vino.
Ai tempi della Serenissima
Repubblica le osterie si distin-
guevano anche per i vini che
commerciavano: nelle malva-
sie, ad esempio, si vendeva-
no i cosiddetti “vini navigati”
provenienti da Malvasia, nel
Peloponneso. Nelle furatole
si servivano piatti semplici ed
economici, ma non vino; i ba-
stioni erano cantine d’infima
categoria dove si smerciava
vino scadente, spesso diluito.
I bàcari erano frequentati e ap-
prezzati da uomini di cultura,
scrittori e da musicisti come
Stendhal, Richard Wagner e
Carlo Goldoni che, proprio in
quei modesti locali, trovò ispi-
razione per molte sue comme-
die.
Per descrivere l’osteria
Veneziana poi, chi meglio di
Diego Valeri mi può aiutare?
“… al fondo sta seduto il soli-
to vecchietto dalla gran barba
bianca, […] Ha i gomiti sulla ta-
vola e le mani immerse dentro
la barba; pensa e beve, beve
e pensa. L’ostessa è apposta-
ta vicino al finestrone, e volge
ogni tanto verso i passanti
quella sua grinta inumana di
vecchia sbirra…”
Tra tutte le tipologie di vino
presenti nei bacari, autocto-
ne e non, trovo interessante
spendere qualche parola su di
una in particolare, perchè me-
glio di tutte si identifica, secon-
do me, con la città di Venezia:
il Malvasia.
Il Malvasia ha una lunga storia,
anche se diverse sono le ipote-
si sulla sua origine.
Secondo la maggior parte
degli studiosi il vitigno sa-
rebbe originario della Grecia
ed in particolare di una città
sulla costa sud-occidentale
del Peloponneso, chiama-
ta in antichità Monemvasia o
Monembasia.
Il porto della città protetto da
un’alta roccia a strapiombo sul
mare, aveva un ingresso stret-
tissimo e pertanto molto diffici-
le da conquistare.
Così un potente principe gre-
co, per espugnare la fortezza,
chiese aiuto ai veneziani, che,
dopo la conquista, correva l’an-
no 1655, rimasero in quel terri-
torio e si spinsero nell’entroter-
ra. I veneziani seppero subito
apprezzare il vino Malvasia, ne
attuarono un intenso commer-
cio e trapiantarono il vitigno a
Creta, loro possedimento, e in
altre isole dell’Egeo.
Questo vitigno fu poi trapianta-
to nel Veneto; il vino prodotto
era molto richiesto nelle locan-
de di Venezia tanto che que-
ste furono chiamate “Malvasie”
proprio perché lì veniva bevu-
to il profumato “vino navigato
greco”.
In Veneto il Malvasia è un vitigno
caratterizzato da un grappolo
di forma cilindrica mediamente
compatto. Il colore è giallo pa-
glierino con riflessi verdognoli.
Al naso presenta un corredo
aromatico piuttosto comples-
so; al gusto si presenta fresco
e poco stringente. Dopo la
pigiadiraspatura e pulizia del
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 107
speciale VenetoVenezia
Venezia
mosto, segue la fermentazio-
ne a temperatura controllata
intorno ai 18° C, l’affinamento
avviene in serbatoi d’acciaio.
La Gradazione alcolica è circa
12% vol.
Il vino malvasia veneto si spo-
sa con primi piatti delicati e
secondi di pesce e pollo con
formaggi freschi. Va servito
fresco, ad una temperatura di
8-10° C.
Ancora oggi a Venezia questo
termine è presente nella topo-
nomastica e si può percorrere
la Calle della Malvasia e il pon-
te della Malvasia vecchia.
Sfogliando il pratico ed istrut-
tivo libretto di Piero Pazzi: “La
bussola del viandante” ho in-
contrato ben 19 siti che porta-
no il nome Malvasia, dislocati
nei 6 sestieri della città: 6 a
San Marco, 6 a Castello, 3 a
Cannaregio, 3 a San Polo, 1 a
Dorsoduro. A Santa Croce e
alla Giudecca nemmeno uno.
A Cannaregio per esempio, tra
fondamenta degli Ormesini e
fondamenta della Sensa tro-
viamo il ponte della Malvasia,
appena giù del ponte si arriva
in campo Sant’Alvise, dove la
chiesa di S. Alvise merita si-
curamente una visita. La chie-
sa, considerata a torto come
opera minore è una semplice
costruzione gotica in mattoni
a vista, non molto grande ma
assai ben inserita nel contesto
che la circonda. Si possono
ammirare tele di Tiepolo, Paolo
Veneziano e della scuola del
Veronese. Li vicino si apre il
campo dei Mori con le statue
del sior Rioba, Sandi e Afani e
Veneziadel sior Rioba, Sandi e Afani e
Veneziada li si raggiunge la chiesa della Veneziada li si raggiunge la chiesa della Venezia
Misericordia, il campo dell’Ab-
bazia dove si ammirano le co-
struzioni e i portali del ‘200 in
gotico veneziano.
A Dorsoduro la calle della
Malvasia ci porta direttamente
in campo San Barnaba, qui c’è
solo l’imbarazzo della scelta su
cosa vedere, io consiglierei di
perdere del tempo ammiran-
do palazzo Rezzonico, sede
del museo del ‘700 venezia-
no, anche per la posizione
assolutamente strategica di
questo museo, in canal gran-
de di fronte alla chiesa di San
Samuele. Interessante è il pon-
te che congiunge campo san
Barnaba a santa Margherita: il
Ponte dei Pugni, chiamato così
perché era teatro della famosa
sfida annuale tra Castellani (re-
sidenti a Castello) e Nicolotti
(residenti a Dorsoduro). Le due
fazioni ogni anno si misurava-
no in prove di forza affrontan-
dosi sul ponte in violentissime
zuffe.
A Castello la calle della Malvasia
sbocca in Campo San Filippo
e Giacomo, da questo punto è
veramente un attimo giungere
a San Marco, ma consiglierei
prima una sosta alla chiesa
di San Giorgio dei Greci, e al
museo delle icone dove alcu-
ne di queste risalgono al X e XI
secolo, sopra il museo si trova
la sala riunioni dell’Arciconfra-
ternita la cui scala di accesso è
del Longhena.
A metà del ‘500 a Venezia vive-
vano più di 4.000 greci in una
popolazione di 150.000 abi-
tanti. Nel 1539 la Serenissima
iniziò la costruzione di una
Veneziainiziò la costruzione di una
VeneziaVeneziachiesa per il culto ortodossoVenezia
A San Marco invece la calle
della Malvasia ci accompagna
fino al Gran Teatro la Fenice, di
cui mi sento di consigliare una
breve ma interessante visita,
se non altro per poter parago-
nare il risultato del restauro al
teatro prima dell’incendio.
Oggi nelle osterie si beve
l’”ombretta” (il calice di vino) e
si mangiano “cicheti” (assaggi-
ni tipici) o piatti più o meno raf-
finati, legati alla tradizione ga-
stronomica veneziana di cui il
gastronomo Giuseppe Maffioli
fu cultore lasciandoci deli-
ziose ricette doverosamente
accompagnate dal vino, dalla
malvasia in particolare quando
illustrava ricette di piatti di pe-
sce, di molluschi e di crostacei
conditi in guazzetti che la mal-
vasia esalta e rende prelibatez-
ze regali.
Di osterie autentiche ne resta-
no poche: la gran parte sono
state trasformate in più redditi-
zie, ma sicuramente più anoni-
me, paninoteche.
Anche se a Venezia, per for-
tuna, non tramonterà mai il
piacere di un goto (bicchiere)
bevuto in compagnia, “ragio-
nando” dei propri o degli altrui
problemi.
Il giro “dee ombre” a Venezia
comincia presto, alle dieci del
mattino. Bere un calice con
l’amico incontrato in calle è
un rito sacro al quale nessun
veneziano si sottrae. Le oste-
rie continuano ad essere un
importante luogo d’incontro,
un fulcro della vita sociale e
culturale di Venezia, elemento
aggregante di una città che si
Veneziaaggregante di una città che si
VeneziaVeneziaspopola sempre di più.VeneziaVeneziaIl Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5108
spec
iale
Venet
o
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 109
speciale Veneto
Venezia tra orti e mare
di Lucio Chiaranda
Quando il turista ‘el
foresto’ (come lo
chiamano i vene-
ziani) pensa a Venezia da un
Qziani) pensa a Venezia da un
Qpunto di vista della produzio-
ne alimentare quasi sicura-
mente pensa al pesce visto
che la città sorge all’interno
dell’omonima laguna divisa
dal mare Adriatico solo dalle
sottili strisce delle isole di Lido
e Malamocco.
Questo è vero e sul pesce tor-
neremo, ci piace però presen-
tare un luogo poco noto ai non
residenti ma che per la città è
stato di vitale importanza nei
secoli scorsi: l’isola di Sant’
Erasmo. Si tratta di un isola
della laguna nord, quella parte
di laguna dove sorgono le ben
più famose Murano, Burano e
Torcello.
Sant’Erasmo è stata da sem-
pre l’orto della città, specie nel
periodo in cui la Repubblica
di Venezia non aveva posse-
dimenti oltre mare né tanto
meno nella terraferma che si
affaccia sulla laguna.
Ancor oggi a Sant’Erasmo
l’agricoltura è l’attività princi-
pale e tra le tante produzioni
che si susseguono tutto l’an-
no – insalate, pomodori, ce-
trioli, peperoni, radicchi, ecc.
- svetta per peculiarità e quan-
tità la ‘castraura’.
Strano nome? Di certo sì, ma
a Venezia l’uso del dialetto è
profondamente radicato tra
gli abitanti e ancora in molti lo
usano come prima lingua, per
cui i termini che identificano
i prodotti alimentari locali si
sono mantenuti inalterati nel
corso del tempo.
La castraura, per l’esattezza
il carciofo violetto D.O.P. di
Sant’ Erasmo e Cavallino, è
il primo fiore della pianta del
carciofo che nasce all’apice
della pianta stessa, raccolto
ancora piccolo, castrato nella
crescita, per offrire un prodot-
to di eccellenza per qualità,
sapore e tenerezza.
La si trova in un breve lasso
di tempo a cavallo tra i mesi
di aprile e maggio e la si può
gustare come si vuole: cruda
accompagnata da una vinai-
grette o da una citronette,
affettata e poi panata e fritta,
spadellata con poco olio, aglio
e prezzemolo, oppure può es-
sere l’ingrediente principale
per risotti, frittate o paste.
Castraura
L’abbinamento con il vino,
trattandosi di carciofi non è
tra i più semplici, ma date le
caratteristiche di particolare
dolcezza si può suggerire un
Sauvignon non eccess i va -
men te aromatico ad esempio
un Doc Lison-Pramaggiore. E
la castraure, assieme ai bo-
toli e sottobotoli (i successi-
vi carciofi offerti dalla pianta)
è solo uno dei circa cinquan-
ta ortaggi prodotti negli orti
della provincia di Venezia, a
Chioggia e a Cavallino-Treporti
soprattutto.
Nel periodo delle castrau-
re visitare al mattino presto
il mercato del pesce a Rialto
è un’esperienza che non si
dimentica: si trovano i ‘bo-
voéti’, chioccioline dal guscio
bianco striato di marron scuro
o nero. In quel periodo sono
particolarmente gustosi per-
ché, trovandosi numerosissi-
mi nelle carciofaie, assorbono
l’amarognolo della pianta del
carciofo. I bovoéti si servono
bolliti, conditi con aglio, prez-
zemolo ed olio e si mangiano
come sfizio aiutandosi con
uno stuzzicadenti per estrarli.
Dall’isola di Sant’Erasmo arri-
vano anche i piselli che sono
alla base di un piatto della
tradizione veneziana, i ‘risi e
bisi’ uno splendido piatto che
sta tra la minestra ed il risot-
to e che preannuncia l’estate
quando lo si porta in tavo-
la, da abbinare ad un Lison
Classico od un Soave giova-
ne; era il piatto con cui il Doge
iniziava il pranzo del 25 aprile,
festa di San Marco patrono
della città.
Abbiamo iniziato parlando del
pesce e su questo torniamo
essendo l’elemento distintivo
e più rappresentativo della
moderna cucina veneziana
nel mondo. Al pesce di la-
guna si alterna quello dell’al-
to Adriatico, al pesce nobile
quello cosiddetto povero (in
verità: poco costoso), il tutto
presentato in piatti spesso ac-
compagnati dalla polenta, ele-
mento tipico della cucina non
solo veneziana ma di tutto il
Veneto.
Ed ecco altri piatti interes-
santi della cucina veneziana.
Le ‘schie’ (gamberetto gri-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5110
spec
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Venet
o
Risi e bisi
gio di laguna) sono minuscoli
gamberetti che sui banchi del
mercato saltellano e si agitano
a testimonianza della loro fre-
schezza, si preparano in due
modi: quelle più piccole rigo-
rosamente infarinate e poi frit-
te, quelle di pezzatura supe-
riore lessate, pazientemente
sgusciate e successivamente
condite con olio sale pepe
aglio e prezzemolo tritato, da
abbinarsi ad un Pinot Grigio
Doc Lison-Pramaggiore di
media struttura. In entrambi
i casi si accompagnano alla
polenta, naturalmente bianca,
che per l’occasione viene ser-
vita morbida. Le schie sono
servite come antipasto e la
classe degli antipasti di pesce
è a Venezia particolarmente
varia e numerosa, ad essa ap-
partengono anche le sardee
in saor.
Le ‘sardee in saor’ sono un
piatto che nasce dalla cucina
ebraica di Venezia, per la pre-
parazione si usano sardee (le
sarde) freschissime che, ade-
guatamente mondate e lava-
te, vengono infarinate e quindi
fritte nell’olio non completan-
do la cottura. Nel fondo di cot-
tura (o, meglio in altro olio ) si
fanno appassire delle cipolle
affettate finemen-te, sfumate
con aceto, poi, a freddo si ag-
giungono pinoli ed uvetta. Le
sarde vengono adagiate in un
contenitore a strati alternate
alle cipolle con i pinoli e l’uvet-
ta e il tutto viene ricoperto dal
fondo di cottura e si lascia ri-
posare per almeno tre o quat-
tro giorni in luogo fresco prima
di essere servito.
Allo stesso modo si preparano
i ‘sfogieti in saor’ (i sfogieti
sono pesci di piccola pezzatu-
ra simili alle sogliole), e questo
è il vero piattino di antica tra-
dizione veneziana, nato nelle
case dei pescatori della par-
rocchia di Santa Marta. Negli
ultimi tempi si è poi diffuso
l’uso di presentare ‘in saor’
anche altri pesci o crostacei,
ad esempio gli scampi, ma
queste preparazione non ap-
partengono alla tradizione. Il
“saor” è un metodo di cottu-
ra che permette di mantenere
il cibo più a lungo: Venezia è
città di mare, e questa tecnica
è presente anche in altre zone
d’Italia dove prende nomi di-
versi: a scapece, in carpione,
ecc. Per questo piatto l’abbi-
namento con il vino si fa arduo
per la presenza dell’aceto che
in alcuni casi risulta eccessiva-
mente preponderante sul gu-
sto del pesce. Le regole ben
note in proposito suggerireb-
bero di accontentarci dell’ac-
qua, ma questa non riesce a
pulire la bocca dal ‘freschin’
(termine veneto con cui si indi-
ca il gusto e l’odore del pesce,
ma anche del pollame, quan-
do è crudo). Si potrebbe tut-
tavia azzardare un Sauvignon
questa volta però dell’Alto
Adige profumato ma non
troppo alcolico o un Verduzzo
trevigiano spumante.
Che dire delle ‘masanete’, dei
‘gransipori’ e delle ‘moeche’?
Ecco altri piatti tipici veneziani.
Le ‘masanete’ sono le fem-
mine dei granchi che arrivano
sulle tavole nei mesi di ottobre
e di novembre, si servono bol-
lite e possono essere gusta-
te condite in modo classico
oppure ‘nature’ tiepide con
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 111
speciale Veneto
Sardee in Saor
solo l’umidità della cottura per solo l’umidità della cottura per
assaporare appieno il gusto, assaporare appieno il gusto,
lo stesso dicasi per i ‘lo stesso dicasi per i ‘gransi-
poripori’ (granchi con dimensioni
simili a quelle delle grancevo-simili a quelle delle grancevo-
le), preparazione che richiede le), preparazione che richiede
un vino non troppo strutturato un vino non troppo strutturato
ma allo stesso tempo con una ma allo stesso tempo con una
certa personalità, un Bianco di certa personalità, un Bianco di
Custoza o un Doc Lison.Custoza o un Doc Lison.
Le ‘Le ‘moéche’ sono i maschi
dei granchi quando mutano dei granchi quando mutano
e perdono la corazza, per cui e perdono la corazza, per cui
risultano morbidi e si mettono risultano morbidi e si mettono
vive nel tuorlo d’uovo battuto vive nel tuorlo d’uovo battuto
di cui sono ghiotte e di cui si di cui sono ghiotte e di cui si
nutrono, una volta assorbito nutrono, una volta assorbito
l’uovo vengono fritte, in que-l’uovo vengono fritte, in que-
sto caso il vino sarà più di cor-sto caso il vino sarà più di cor-
po, più deciso, come il piatto, po, più deciso, come il piatto,
un Lison Classico ad esempio un Lison Classico ad esempio
o un Manzoni bianco.o un Manzoni bianco.
All’inizio di questo breve All’inizio di questo breve
escursus sul pesce si accen-escursus sul pesce si accen-
nava al pesce povero; ecco il nava al pesce povero; ecco il
‘gò’ (ghiozzo) è uno di questi,
vive nel fango della laguna ed vive nel fango della laguna ed
oltre a non essere particolar-oltre a non essere particolar-
mente bello ha una lisca par-mente bello ha una lisca par-
ticolarmente ricca di spine, ticolarmente ricca di spine,
eppure da questo pesce si ot-eppure da questo pesce si ot-
tiene quello che io considero tiene quello che io considero
il miglior risotto di pesce che il miglior risotto di pesce che
si possa preparare, gustoso si possa preparare, gustoso
e saporito ma nello stesso e saporito ma nello stesso
tempo delicato, non aggres-tempo delicato, non aggres-
sivo, direi suadente, anche il sivo, direi suadente, anche il
vino dovrà avere queste ca-vino dovrà avere queste ca-
ratteristiche e per rimanere ratteristiche e per rimanere
in Veneto consiglio un Soave
classico.
Chiudiamo questo breve pa-
norama sul pesce con un pro-
dotto che strettamente vene-
ziano non è ma che a Venezia
ha avuto ed ha ancora un
notevole successo anche tra i
turisti: il baccalà.
Una precisazione, a Venezia
come in tutto il Veneto, si
chiama baccalà quello che nel
resto dell’Italia si chiama stoc-
cafisso, stiamo parlando del
merluzzo messo ad essiccare
all’aria e non di quello che vie-
ne salato.
Si è detto prima che il baccalà
non è un prodotto veneziano,
come si legge in altra parte
della rivista e qui ci limitiamo a
suggerire idonei abbinamenti
col vino.
Anche se si tratta di un piatto
di grande eleganza presenta
una certa untuosità dovuta
alla presenza dell’olio, indi-
spensabile per la preparazio-
ne ed anche qui abbiniamo
un vino bianco, un eccellente
Lison Classico o un Colli di
Conegliano bianco.
Per chiudere un brevissimo
accenno ai dolci veneziani,
oltre alle classiche fritole (frit-
telle) ci piace ricordare due
prodotti da forno: i baicoli ed
i zaleti.
I ‘baicoi’ sono fettine di pane
moderatamente dolci che ven-
gono ricotte in forno, usate un
tempo nei viaggi per mare per
la loro caratteristica di mante-
nersi a lungo visto che si tratta
di un biscotto estremamente
secco.
I ‘zaeti’ di forma ovoidale
ed appiattita sono preparati
anche con farina di polenta
gialla, da qui il nome (zaeti in
veneziano significa giallini),
nell’impasto è presente anche
l’uvetta sultanina, che un tem-
po i veneziani importavano dai
possedimenti greci.
Per entrambi i dolci proponia-
mo una D.O.C.G. Ramandolo
o un Recioto di Gambellara
o un Torchiato di Fregona
o anche un Torcolato di
Breganze.
Non abbiamo parlato della
carne, un tempo quotidiana-
mente sulla tavola dei patrizi
e delle famiglie benestanti e
a Venezia continua ad esser-
ci, anche in piatti particola-
rissimi come la castradina,
mangiata obbligatoriamente
a Venezia il 21 novembre,
solennità della Madonna del-
la Salute, accompagnata da
un buon Merlot Doc Lison-
Pramaggiore di 2-3 anni o da
un Colli di Conegliano rosso.
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speciale Veneto
Michel Thoulouze:“un sogno in mezzo
alla laguna”di Franco Jurassich
L’isola di Sant’Erasmo
è un grande orto nel-
la laguna veneziana
che per secoli ha fornito ver-
dure e ortaggi freschi alla città
di Venezia e ancora oggi con-
tinua ad offrire delle eccellen-
ze come le “castraure” e il car-
ciofo violetto di Sant’Erasmo,
famosi in tutta Italia.
Qui Michel Thoulouze ha rea-
lizzato la prima e per ora unica
cantina di Venezia e dal 2006
produce e imbottiglia il suo
piacevolissimo vino “Orto”
che raccoglie tutte le migliori
caratteristiche legate a questo
speciale territorio della laguna
di Venezia.
Michel ha ripreso ad “allevare
la vite”, già presente nell’isola
nel 1700, utilizzando i metodi
tradizionali degli agricoltori lo-
cali e la competenza tecnica di
Lydia e Claude Bourguignon,
“dottori della terra” prima che
ingegneri agrari e Alain Graillot
produttore di un Crozes
Hermitage famoso in tutto il
mondo.
Prima di impiantare il vigneto,
i terreni sono stati “preparati”
in successione con orzo, ra-
vanello, avena e radice cine-
se secondo il metodo “duro
su duro” cioè senza mai ara-
re, seguendo le indicazioni di
Claude Bourguignon “mai un
segno d’aratro, mai natural-
mente concimi ne’ diserbanti”.
I terreni sono calcarei e argillo-
si, con notevoli concentrazio-
ni in profondità di conchiglie
fossili frantumate. Le viti sono
state piantate direttamente in
questi terreni a piede franco.
È stato rinnovato l’antico si-
stema di drenaggio, l’acqua
piovana viene raccolta entro i
canali che passano tra i filari
delle vigne e poi fatta fluire in
laguna con la bassa marea,
attraverso sistemi idraulici di
“chiuse”.
Il vino nasce da un “cultivar”
di antichi vitigni italiani dove
domina la Malvasia Istriana
assieme a Vermentino e
Fiano. La Malvasia è un viti-
gno che i veneziani portaro-
no nel 1300 a Venezia dal-
la città di Monembasia nel
Peloponneso.
Il vino fatto con questa varietà
era molto popolare a Venezia,
tanto che le osterie erano chia-
mate “malvase” e ancora oggi
sono rimaste molte le calli di
Venezia con il nome “calle de
la malvasia”.
“Orto” viene vinificato in accia-
io, è un vino con alti contenuti
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5114
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odi minerali, che concentra ed
esalta i sapori di questa isola
della laguna e ben si abbina a
tutti i piatti del territorio e della
tradizione veneziana.
Come dice Michel “le cose
genuine sono le più difficili da
trovare e hanno un prezioso
valore a lungo termine che
non bisogna abbandonare.
Ci sono voluti secoli per avere
certi valori e questi oggi fan-
no la differenza”. È stato per
noi un gran piacere conoscere
Michel Thoulouze ed ascoltare
le sue parole, seduti all’aper-
to attorno al tavolo della sua
casa, con di fronte a noi l’isola
di San Francesco del Deserto,
Burano, Torcello, il campa-
nile di Murano e sullo sfondo
le Dolomiti degustando il suo
“Orto 2007” un vino non im-
mediato, spesso è proprio
questo l’impatto che abbiamo
con i “vini naturali”, un vino
che non vuole stupire, che ha
bisogno di aprirsi lentamente,
con dei ritmi che sono propri
di questa isola, una finezza
di naso molto francese unita
alla lunghezza di gusto e alla
sapidità minerale della laguna
veneziana, un vino di grande
piacevolezza, che si fa bere
anche con un secondo bic-
chiere.
“Le cose semplici hanno un
valore che dura nel tempo”
continua Michel e questo
“Orto 2007” ha secondo noi,
il gusto della semplicità di un
sogno in mezzo alla laguna...
Ivitigni autoctoni, i vitigni della tradizione, i ‘vitigni scomparsi’: se ne sente
parlare e discutere sempre con maggior frequenza, c’è chi è entusiasta fautore del recupero di questi vitigni e chi invece ne ha una visione ridut-tiva.È giusto cedere alle logiche di mercato e quindi puntare sulla coltivazione di vitigni econo-
micamente sicuri oppure è più giusto ricercare e recuperare i vitigni che fanno parte della storia e della tradizione di una regione?Perché i vitigni antichi sono stati abbandonati? Perché il vino prodotto era di scarsa qualità oppure perché l’im-pianto di altre tipologie di viti-gno risultava essere più remu-nerativo?
La famiglia Bisol e l’Uva Dorona
di Lucio Chiaranda
Gianluca Bisol
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 115
speciale Veneto
Probabilmente ciascuna di queste ipotesi ha un suo contenuto di verità ma l’intento di que-ste poche righe non è quello di dare risposte bensì di parlare dell’esperienza di una grande azienda. Trovo infatti sia giusto che una gran-de azienda vitivinicola, quando ne ha l’occa-sione, dedichi tempo, energie e risorse eco-nomiche alla riscoperta di vitigni in cui crede ed in cui vede delle potenzialità.Sperimentazione che affianca la produzione tradizionale come dovrebbe avvenire i tutti i settori dell’economia.Non so se si possa definire sogno, ostinazio-ne o caparbietà, preferisco la parola sogno, ci riporta all’infanzia, alle fantasie di quando si era bambini, fantasie che per alcuni, da adul-ti, si realizzano.Gianluca Bisol appartiene ad una famiglia che storicamente ha legami con i vigneti e di conseguenza con il vino, non è ve-neziano Gianluca perché la famiglia Bisol vede le sue origini nella zona di Valdobbiadene, ri-maniamo però nella stessa regione, il Veneto.Ed a Venezia Gianluca ha potuto concretiz-zare un suo sogno, la creazione di un vigneto frutto del recupero di poche piante di un viti-gno antico, l’Uva Dorona.Venezia: laguna, acqua salata a quota del terreno, e si pensa di realizzarvi un vigneto? Sì, ma l’idea di Gianluca Bisol non è nuova, la città di Venezia nel corso della sua storia ha ospitato vigneti non ornamentali, da cui si pro-duceva vino, erano presenti vigneti in alcune parti della città stessa come a San Francesco della Vigna, negli orti/giardini di conventi e monasteri, nell’Isola della Giudecca, nell’Iso-la di Sant’Erasmo, nell’Isola delle Vignole e nell’Isola di Mazzorbo. Mazzorbo è unita da un ponte di legno alla più famosa Isola di Burano ed è stata da sempre
luogo di meditazione spirituale e di coltivazione
della terra tra i cui prodotti era presente anche
l’uva, proprio qui Gianluca Bisol, affiancato dal
winemaker Roberto Cipresso, ha voluto ridare
vita al vitigno.
Nell’Isola di Mazzorbo sorge la tenuta Scarpa-
Volo, un’antica “vigna murata” risalente al
1400, sorvegliata da un campanile secolare,
un’oasi di tranquillità fuori dal tempo, se fossi-
mo in Francia potremmo definirla un ‘close’.
Questa la sede prescelta per il reimpianto, la
stessa tenuta è stata oggetto di un intervento
di recupero e valorizzazione.
Nell’avventura non è coinvolto solamente
Gianluca ma tutta la famiglia Bisol, in partico-
lar modo il fratello Desiderio.
I primi passi risalgono al 2002 quando è inizia-
ta la ricerca delle piante di Uva Dorona ancora
presenti nelle isole della laguna.
L’Uva Dorona, o uva d’oro per il colore brillante
degli acini, è caratterizzata da grappoli gran-
di e spargoli ed è lontana parente delle uve
garganeghe, è uva sia da tavola che da vino
ed era presente sulle tavole della Serenissima
Repubblica sin dal 1400 circa, diffusa anche
nell’entroterra fino alla zona del fiume Livenza.
La famiglia Bisol ha già iniziato la produzione
vinicola e la prima vendemmia ufficiale sarà
quella di quest’anno, 2010, le prime bottiglie
saranno sul mercato nel 2011, il vino si chia-
merà Venissa, in omaggio ad Andrea Zanzotto
che anche con questo nome indica, nei suoi
scritti, Venezia.
L’ambiente peculiare, con un terreno che trae
la propria vitalità dall’acqua salmastra della
laguna, ci darà certamente modo di assapo-
rare un vino bianco unico, sicuramente sapi-
do, che sarà in grado di ritrasmetterci tutti i
profumi che caratterizzano il luogo in cui vie-
ne prodotto. La famiglia Bisol si auspica che
il prodotto possa entrare nel mondo del vino
con un livello di eccellenza, credo che questo
sia l’augurio di tutti gli appassionati di vino ed
anche il modo migliore per dare un contributo
alla causa dei ‘vitigni scomparsi’.
L’oro del Garda a cura del Consorzio di Tutela Olio DOP Garda
All’interno di una bottiglia di olio del Garda è racchiusa cultura, storia, tradizione ed assaporarne
il gusto delicato ed avvolgente è un “emozione”.
Di antica e famosissima tradizione, l’olio del Garda viene prodotto
alla latitudine più a nord del mondo, grazie alla conformazione
del territorio ed al microclima del lago.
Numerose fonti documentali risalenti a periodi storici differenti, a partire
dal Medioevo, e diverse opere letterarie di Catullo, Bonfadio, Goethe,
Carducci e D’Annunzio, testimoniano la rilevante presenza della pianta
d’olivo sul territorio bagnato dalle acque del Garda.
L’olio extra vergine di oliva Garda ha ottenuto il riconoscimento
di Denominazione di Origine Protetta dalla Comunità Europea nel
novembre del 1997.
Il Consorzio di Tutela è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali nell’anno 2004. È nato per tutelare il
prodotto, assistere ed aiutare i soci nello svolgere le pratiche per ottenere
la certificazione: dalla raccolta all’imbottigliamento. Una tracciabilità
completa volta a garantire l’origine e la provenienza dell’olio, verificando
il rispetto del disciplinare di produzione e collaborando con l’organismo
di controllo preposto.
Questo è un consorzio giovane, in principio erano circa una trentina di
soci e nel corso di pochi anni è cresciuto molto, oggi sono circa 480 i
soci tra olivicoltori, molitori ed imbottigliatori.
Il consorzio opera su tre regioni lambite dalle acque del lago e sono:
Veneto, Lombardia, Trentino e quattro rispettive provincie, Brescia,
Verona, Mantova, Trento che danno denominazione all’olio di oliva Dop
Garda.
Una volta prodotto l’olio, l’ente certificatore preleva dal contenitore di
stoccaggio alcuni campioni di olio e lo chiude con dei sigilli che saranno
tolti dopo il risultato delle analisi. L’olio è sottoposto all’analisi chimica da
parte di un laboratorio ed al panel test (gruppo di assaggiatori esperti)
riconosciuti dal MIPAAF, che determinano se l’olio rientra nei parametri
dettati dal disciplinare della Dop, e se rispetta la tipicità del Garda.
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Altro importante compito è la valorizzazione del
prodotto “Olio DOP Garda”, della sua olivicoltura
e del bel territorio gardesano, attraverso fiere,
manifestazioni e comunicazione.
Professionalità, ragione, passione, testa sono doni
essenziali per praticare una buona e sana olivicoltura
e produrre un olio sempre migliore. Queste sono le
caratteristiche dei nostri olivicoltori e grazie al loro
lavoro manteniamo il territorio, sano, bello e curato
elementi necessari anche per lo sviluppo del turismo
e orgoglio per i suoi abitanti.
Agricoltura e prodotti tipici, territorio, turismo,
ristorazione e cultura,sono settori molto importanti
legati tra loro e collaborando possono creare una
forte economia ma la mancanza e la trascuratezza di
uno solo di questi metterebbe in crisi anche gli altri.
“È importante pensare globale nella promozione ma
consumare locale”.
All’interno di una bottiglia di olio Dop Garda è
racchiusa cultura, storia, tradizione ed assaporarne
il gusto delicato ed avvolgente è un “emozione”.
Le caratteristiche sensoriali dell’olio sono: odore
fruttato medio leggero di erba fresca, erbe
aromatiche, fieno, carciofo che si fondono in un gusto
delicato con note di amaro e piccante percepibile
in gola equilibrati tra loro ed un retrogusto tipico di
mandorla.
Queste caratteristiche delicate e persistenti sono
date grazie alla particolarità della zona di produzione
con presenza del lago e delle montagne che rendono
unico l’olio del Garda.
Studi recenti eseguiti da ricercatori e medici, han-
no dimostrato che l’olio extra vergine di oliva, pro-
dotto seguendo attente modalità di raccolta e
produzione,contiene antiossidanti naturali come la
vitamina E, polifenoli; ha un azione antinfiammatoria,
stimola le secrezioni gastriche predisponendo l’or-
ganismo ad una migliore digestione quindi più di-
geribile rispetto ad altri grassi; contiene acido oleico
che è l’ acido grasso monoinsaturo più importante,
presente anche nel latte materno; contribuisce a ri-
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
durre l’eccesso di colesterolo
nel sangue; è un energetico,
più digeribile anche in età se-
nile.
Il consumo di olio extra ver-
gine di oliva aiuta a prevenire
e proteggere anche dalle ma-
lattie cardiovascolari (contiene
vitamina E) e dall’arterioscle-
rosi, ovviamente abbinato ad
una dieta sana ed equilibrata.
Altra sostanza molto impor-
tante contenuta nell’olio è lo
squalene, presente anche nel
pesce di lago, che ha una fun-
zione antiossidante naturale
e protettiva per la pelle, svol-
gendo una protezione natu-
rale contro le radiazioni solari,
comportandosi come un filtro
biologico.
Altro importante fattore è che
l’olio extra vergine di oliva
possiede un elevato punto di
fumo, cioè resiste di più alle
alte temperature rispetto ad
altri grassi che bruciano più
velocemente.
Si può affermare che l’olio
extra vergine di oliva è molto
più che un condimento, è un
ottimo medicinale e prodotto
di bellezza per il nostro orga-
nismo.
L’olio extra vergine Dop Garda
può essere utilizzato per mol-
te preparazioni in cucina, sia
a crudo che per cucinare e,
grazie al suo gusto delicato, si
abbina a molte preparazioni. È
fondamentale per accompa-
gnare piatti a base di pesce di
lago, pinzimoni, carni, strac-
chino, formaggi magri, carne
salada, carpaccio di carne e
pesce, salse, bruschette; per
preparare dolci, sorbetti, gela-
to e molto altro.
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speciale VenetoRiso Vialone Nano
Veronese IGPa cura di Giovanni Lazzari
La risicoltura veronese
nata ai primi del XVI
secolo, importata dal-
la Lombardia, si è affermata
nelle terre della Serenissima
assieme al mais.
Sino a pochi anni fa, nella pia-
nura veronese, il risotto era il
piatto della domenica, spesso
cucinato esclusivamente dal
capo famiglia.
Quando l’Adige veniva utiliz-
zato come via d’acqua per il
trasporto di merci, la sede del
mercato del riso lavorato era
Legnago perché da li partiva-
no i Burchi per Venezia.
La Serenissima ha sempre
avuto una propensione al
commercio che certamente
ha influenzato l’agricoltura, i
proprietari terrieri spessi era-
no commercianti: il riso assie-
me alla seta era un prodotto
da esportazione e ciò perdu-
rò anche con la dominazione
Austriaca.
Sino all’ultimo conflitto mon-
diale una grande riseria aveva
sede a Trieste, la Riseria di
Trieste tristemente conosciuta
come “Risiera di San Saba”
era la prima esportatrice ver-
so i paesi del nord ed est
Europa.
Non dimentichiamo che fino
gli anni cinquanta la Curti ave-
va una riseria ad Adria, dove
lavorava il Vialone del Polesine
e l’ Arborio di Ferrara.
Nel veronese una moderna e
grande riseria la Brena, nata
nel XVIII secolo lavorava il 70-
80 % del Vialone nero veneto,
per commercializzarlo poi in
tutta Italia
Il “Vangelo” di cucina delle
nostre mamme o nonne era
“L’Artusi”, il libro che indi-
cava come unico riso da ri-
sotti il Vialone nero coltivato
nel Polesine, in Veneto e nel
Mantovano.
Il Vialone o nero di Vialone o
Vialone nero, nasce a Pavia
nella Cascina Vialone sele-
zionato dagli agricoltori De
Vecchi che moltiplicarono un
cespo di riso trovato in una ri-
saia di Ranghino (1901) che fu
subito apprezzato dai pilatori
che lo pagavano di più della
varietà Novarese.
Il Vialone nero non si adatta-
va al trapianto e forse anche
per questo la sua applicazione
non entrò nella tecnica di col-
tivazione del riso in veneto e
mantovano.
Negli anni cinquanta la col-
tivazione del Vialone nero
andò sempre più diminuendo,
poiché il ciclo vegetativo era
lungo, facile all’ allettamento,
sensibile al brusone e non ul-
tima l’impurità varietale, esso
veniva sostituito con il P.6,
il Precoce Rossi, il Rinaldo
Bersani, e per ultimo il Vialone
nano, portato dal prof. Romeo
Piacco allora direttore del-
la “Stazione Sperimentale di
Risicoltura” di Vercelli.
Il Vialone nano, nasce alla
S.S.R., costituito nel 1927
dall’ing. Giovanni Sampietro
dall’ ibrido nano x vialone; ini-
zia la coltivazione nel 1937
Con il nome simile al genito-
re, la taglia minore, maggiore
produttività, più precoce, in
genere caratteristiche agrono-
miche migliori e buone quali-
tà culinarie, si convincono sia
gli agricoltori a coltivarlo che i
cuochi a preferirlo in cucina.
Negli anni sessanta un valido
risicoltore veronese Adriano
Olivieri, che vide sparire il
Vialone nero anche dalle sue
risaie, si dedicò al manteni-
mento in purezza del Vialone
nano. Si mise in contatto con il
direttore della Sezione specia-
lizzata in risicoltura dell’ Istituto
per la Cerealicoltura di Vercelli
(ex S.S.R.) dr. Salvatore
Russo, per ottenere pannoc-
chie della varietà Vialone nano
dalle quali partire e moltiplica-
re in purezza il seme.
Iniziò così a seminare pannoc-
chia fila per passare poi al nu-
cleo, prebase e base, control-
lando ed eliminando in campo
e nei mazzetti, impurità varie-
tali, grana rossa, fusarium.
Proprio per opera del com-
pianto Adriano Olivieri abbia-
mo ora il Vialone nano. Questo
avvenne quando il contributo
per risi da seme non veniva
ancora elargito dalla C.E.
Sempre l’Olivieri nella metà
degli anni settanta si muove
per costituire un consorzio
per la tutela del Vialone nano;
riunisce i risicoltori di Verona e
di Mantova.
Con Mantova la collabora-
zione cessa quasi subito, sia
per mancanza di interesse;
ma anche perché essendo
nel frattempo divenuta la ma-
teria agricoltura delegata alle
Regioni, era più difficoltoso
colloquiare con uffici di due
regioni diverse.
Nel 1979 nasce il “Consorzio
per la tutela del “Vialone nano
Veronese” il primo presidente
è Adriano Olivieri per poi suc-
cedergli Ernesto Artegiani.
Nel 1981 le risaie Veronesi
hanno segnato il minimo sto-
rico con 366 ha. Ciò non sco-
raggia i pochi risicoltori rima-
sti, convinti che il loro Vialone
nano Veronese sia sempre
un ottimo riso da risotti ed un
prodotto da valorizzare. Le
superfici coltivate a Vialone
nano aumentano e si assesta-
no nel breve periodo intono ai
1.500 ha.
Nel 1992 la Comunità Europea
emana il regolamento per la ri-
chiesta delle Denominazioni di
indicazione geografica.
Il presidente del consorzio di
allora, Ernesto Artegiani, con il
valido aiuto dei funzionari della
Regione si attiva subito, in ar-
monia con agricoltori e riserie,
per avviare la pratica del del
riconoscimeno di qualità per il
Vialone nano Veronese.
Nonostante l’inesperienza di
chi ha preparato la documen-
tazione, nel 1996 viene otte-
nuta la Indicazione Geografica
Protetta per il Nano Vialone
Veronese assieme al fagiolo
di Lamon, il Radicchio ros-
so di Treviso, ed il Radicchio
Variegato di Castelfranco.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5120
spec
iale
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TORINO - Via A. Di Francesco, 13 - Tel. 011.4074411NICHELINO (TO) - Via XXV Aprile, 206 - Tel. 011.3982811BUROLO (TO) - S.S. Lago di Viverone, 36 - Tel. 0125.675311ALESSANDRIA - Via Pavia, 69 (Strada per Valenza) - Tel. 0131.36061ACQUI TERME (AL) - Via Circonvallazione, 74 - Tel. 0144.359811NOVARA - C.so Vercelli, 91 - Tel. 0321.521811POLLEIN (AO) - Loc. Autoporto, 10 - Tel. 0165.3045211VADO LIGURE (SV) - Via G. Ferraris, 137 - Tel. 019.21641VIGEVANO (PV) - Viale Artigianato, 10 ang. Via P. Bertolini - Tel. 0381.340611DESENZANO del Garda (BS) - Via Oglio - Tel. 030.915061
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Abbinato alla cultura del vino e l’interesse crescente per questa
preziosa bevanda cantata dai padri della nostra storia suggerisce
il nostro messaggio. Una grande varietà di vini e spumanti per
ogni momento della giornata e della vita, perché il vino è un
compagno insostituibile.
Ogni pietanza vuole il "suo" vino. Solo così, infatti, aromi e sapori
si esaltano traendo reciproco beneficio. L'abbinamento, cioè la
scelta del vino adatto ad accompagnare un piatto, deve prendere
in considerazione l'intero menu. Prima si degusteranno vini bianchi
giovani, freschi, tenui e aciduli, per proseguire con vini bianchi più
strutturati, rosati o rossi giovani, di buona intensità e offrire poi i
rossi invecchiati di buon corpo, con sapori intensi, decisi e di no-
tevole persistenza.
Per concludere, il dessert verrà accompagnato da vini intensi,
aromatici, amabili, abboccati o dolci.
Da Noi puoi trovare offerte speciali settimanali e quindicinali,
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Il sommelier_21x29,7:il sommelier 21x29,7 23-07-2010 17:28 Pagina 1
Palcoscenico per questo incontro esclusivo, nell’ambito del quale produttori selezionati italiani ed
internazionali presentano e propongono in degustazione le loro migliori produzioni enologiche e culinarie ad un pubblico amante del vino e del buon gusto di tutto il mondo, saranno nuovamente le eleganti sale del neoclassico palazzo del Kurhaus di Merano e le piazze circostanti.Evento d’apertura del 19° MIWF, nella giornata di venerdì 5 novembre 2010, sarà la bio&dynamica, (dalle ore 10-18). 50 aziende vitivinicole italiane ed internazionali selezionate, certificate biologiche e/o biodinamiche, propongono
in degustazione i loro vini, nella maggior parte con riferimento alla filosofia del mondo di Rudolf Steiner.Ad inaugurare ufficialmente la 19esima edizione del MIWF nella serata inaugurale di venerdì 5 novembre (dalle ore 19 alle 22, solo su invito) sarà Philippe Casteja, presidente dell’organizzazione Conseil de Grand Cru Classés 1855.
Da sabato 6 novembre (dalle ore 10-18) a lunedì 8 novembre (dalle ore 10-17) all’interno del Kurhaus di Merano batte il vero e proprio cuore del Merano International WineFestival, cioè la presentazione e la degustazione di vini elitari ed unici da tutto il mondo, selezionati dopo le numerose degustazioni dalle apposite commissioni d’assaggio.Quest’anno sono oltre 500 i produttori di vino selezionati italiani ed internazionali che presentano e propongono in degustazione le loro migliori produzioni enologiche.Particolarmente interessante sarà la presenza dei 35 Château dell’Union des Grands Crus de Bordeaux, la maggior
parte dei quali rientrano nella famosa classificazione dei Grand Cru Classé del 1855, nelle giornate di sabato 6 e domenica 7 novembre (ore 10-18) e le aziende vinicole selezionate della Germania (sabato 6 novembre, ore 10-18), organizzato in collaborazione con il noto giornalista enogastronomico Gianluca Mazzella. Il Merano International WineFestival,
organizzato per la prima volta nel 1992 da Helmuth Köcher (Gourmet’s International), il presidente, ed alcuni amici, oggi non è più dedicato esclusivamente agli ottimi vini, ma ha accolto nella sua proposta esclusiva anche altre prelibatezze e piaceri di benessere.Nell’ambito della Culinaria, per esempio, 100 artigiani e piccoli produttori presentano e propongono in assaggio selezionate prelibatezze gastronomiche e tipicità, birrifici selezionati presenteranno le loro birre artigianali, mentre nella Aquavitae&Liquores sarà possibile degustare l’offerta più selezionata dell’alcolico mondo dei distillati e liquori.Novità all’interno del 19°Merano International WineFestival sarà l’integrazione di aziende enoturistiche, le quali oltre ad offrire camere di charme e gastronomia di spicco siano anche produttori di vino di alta qualità: WineResorts. Anche la 19esima edizione del MIWF brillerà con diversi seminari interessanti, presentazioni straordinarie ed esclusive degustazioni guidate.Un ricco panorama di eventi collaterali arricchiscono il Merano International WineFestival 2010 prima e dopo la data del 5 novembre 2010.
5-8 novembre 2010Da venerdì 5 novembre a lunedì 8 novembre 2010 la rinomata cittadina termale di Merano, adagiata nella splendida cornice alpina, ospiterà la considerevole 19esima edizione del Merano International WineFestival, una delle manifestazioni più esclusive ed eleganti non solo a livello italiano ma anche europeo.
122
a cura della redazione di Quality ADV
(Ulteriori informazioni sul sito www.meranowinefestival.com)
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
International19°
“Stelle del Piemonte” è un progetto della Regione Piemonte, sostenuto e
realizzato dall’Assessorato Regionale al Turismo, nato nel 2005 con lo scopo di
creare un gruppo di professionisti che promuovano il Piemonte e comunichino al
mondo le eccellenze, le peculiarità e i tesori enogastronomici del territorio. Un’iniziativa
unica in Italia: un team di cuochi d’eccellenza di una Regione, “ambasciatori” nel
mondo dell’enogastronomia del territorio, che racchiude in sé anche la cultura, la
storia, le tradizioni. Se il cibo è linguaggio universale capace di comunicare cultura
e stili di vita, le “Stelle” sono i testimonials dei sapori, dei saperi, della storia, ma
anche del futuro del Piemonte, una terra che guarda avanti traendo forza dalle
radici del passato. La squadra dell’eccellenza enogastronomica piemontese ha
già “firmato” eventi importanti: dalla serata di gala delle Paralympics Night
a Dusseldorf, alla consacrazione durante i Giochi Olimpici Invernali 2006
con il P Food&Wine, spazio hospitality della Regione Piemonte, dalle 11
tappe europee del Road Show di Promozione Internazionale della Regione,
al Torino+Piemonte Food Festival presso l’ONU a New York nel maggio
2007 fino alla gestione nelle stagioni teatrali 2009 e 2010 del Foyer de “il
Teatro Regio a Racconigi”.
Il progetto prosegue con successo: un gruppo di 6 nuovi cuochi arricchirà
la squadra dell’eccellenza enogastronomica piemontese, ambasciatrice di
gusto, professionalità e creatività culinaria.
a cura della redazione di Quality ADV
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5124
“ ”Una squadra di grandi cuochi per far brillare
e comunicare nel mondo l'identità di un territorio
@alessandra t inozzi@alessandra t inozzi
125
i protagonisti
www.stelledelpiemonte.net
www.piemonteitalia.eu
eVenTi enogASTronoMici 2010 in PieMonTe
SeTTeMBre 2010♦ 10-19 Douja d’or - Salone nazionale di vini selezionati (Asti) ♦ 21-25 Salone internazionale del gusto e Terra Madre (Torino)oTToBre 2010♦ 1-3 Alé Chocolate (Alessandria) ♦ 2-17 Fiera Int.le del Tartufo bianco d’Alba e Asta Int.le del Tartufo (Alba) ♦ 14-17 Fiera nazionale del Marrone (Cuneo) ♦ 24 e 31 Fiera Mostra Mercato Nazionale del Tartufo (Moncalvo - AT) noVeMBre 2010♦ 7 Fiera Nazionale del tartufo bianco del Monferrato (Montechiaro - AT) ♦ 14 e 21 Fiera Nazionale del tartufo - Trifola d’Or (Murisengo - AL) ♦ 21 Mostra Mercato Nazionale del tartufo (S. Sebastiano Curone - AL) DiceMBre 2010♦ 16 Fiera Nazionale del bue grasso (Carrù - CN)
Riccardo Aiachini e Andrea ribaldone, Ristorante La Fermata Resort, Spinetta Marengo (AL) - Ugo Alciati, Ristorante Guido, Pollenzo (CN) - Giuseppina Bagliardi e Piero Fassi, Ristorante Gener Neuv, Asti - Piero Bertinotti, Ristorante Pinocchio, Borgomanero (NO) - Piercarlo Bussetti, Ristorante Pier Bussetti al Castello di Govone, Govone (CN) - Massimo camia,Ristorante Locanda nel Borgo Antico, Barolo (CN) - Antonino Cannavacciuolo, Ristorante Villa Crespi, Orta San Giulio, (NO) - Carla Chiodo e Massimo Milano,Ristorante Cacciatori, Cartosio (AL) - elide Mollo cordero, Ristorante Il Centro, Priocca D’Alba (CN) - Mariuccia Ferrero, Ristorante San Marco, Canelli (AT) - Marco, Canelli (AT) - Walter Ferretto, Walter Ferretto, Ristorante Il Cascinale Nuovo, Isola d’Asti (AT) - Stefano Gallo, Ristorante Barrique, Torino
Maurilio garola, Ristorante La Ciau del Tornavento, Treiso (CN) - Giovanni Grasso e Igor Macchia, Ristorante La Credenza, San Maurizio Canavese, (TO) - Marta grassi, Ristorante Tantris, Novara - Pieraldo Manetta, Lo Scoiattolo, Carcoforo (VC) - Alessandra Strocco e Massimiliano Musso, Ristorante Vittoria, Tigliole (AT) - Davide Palluda, Ristorante All’Enoteca, Canale (CN) - Alfredo Russo, Ristorante Dolcestilnovo alla Reggia, Venaria Reale (TO) - Marco Sacco, Ristorante Piccolo Lago, Verbania (VB) - Davide Scabin, Ristorante Combal.Zero, Rivoli (TO) - Mariangela Susigan, Ristorante Gardenia, Caluso (TO) - Matteo Vigotti, Ristorante Novecento, Meina (NO) - Sergio Vineis, Vineis, Ristorante Il Patio, Pollone Ristorante Il Patio, Pollone (BI) - giampiero Vivalda, Ristorante Antica Corona Reale, Cervere (CN) - Angelo Angiulli
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Un banco d'assaggio molto interessante dove è stato possibile fare delle comparazioni
tra vini delle stesse tipologie e capire l'influenza del terroir sui vini
il nobile pioniereSe i vini di Bolgheri hanno raggiunto una
notorietà internazionale, il merito è del marchese
Mario Incisa della Rocchetta. Pioniere in quella
terra sassosa che, dopo 24 anni dall’impianto
del vigneto, produsse la prima bottiglia di
Sassicaia. La sua sorte per 26 anni è stata quella
di un re senza corona: infatti, benché vincente
in concorsi e tasting di livello internazionale
il Sassicaia era un “vino da tavola”. Otterrà
il blasone della doc solo nel 1994. Un vino
portabandiera che ha fatto proseliti, portando a
54 il numero dei produttori, di cui trentaquattro
aderenti al Consorzio di Tutela.
le nuove annateQuest’anno, cambio della location: dalla storica
Tenuta di San Guido al Campastrello Hotel
Sport. Un complesso ideale per l’ospitalità e per
l’impegnativa degustazione. Come di consueto,
con la regia di Paolo Valdastri direttore del
Consorzio di Tutela, si è tenuta l’anteprima dei
vini di Bolgheri delle annate che sono messe
in commercio nel corso del 2010. Attese, in
particolare, quelle del 2007 del Bolgheri Rosso
Superiore e del 2008 per Il Bolgheri Rosso,
nonché diversi IGT (bianchi, rosati e rossi di 4
annate) di pregio. Ma i vini in degustazione passati
al vaglio di un folto gruppo di giornalisti nostrani
ed esteri, erano ben di più. Centodiciannove vini
di 4 annate, così suddivisi: 29 bianchi (18 del
2009, 2 del 2008 e 1 del 2007) di cui 10 Doc
e 19 IGT (5 di questi di produttori associati ma
fuori zona); 8 rosati 2009 di cui 6 Doc e 2 IGT, 36
Bolgheri Rosso di cui 2 del 2009, 22 del 2008 e
12 del 2007. Ventitre i Bolgheri Superiore di cui
19 del 2007 e 4 del 2006; infine 23 IGT rossi di
cui 8 del 2008, 12 del 2007, due del 2006, ed
altri tre (dei produttori associati ma fuori zona),
rispettivamente del 2009, 2008 e 2007.
Anteprima dei vini di Bolgheri
”
126
“di Virgilio Pronzati
Paolo Valdastri - Direttore Consorzio Bolgheri DOC
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5128
le valutazioni Dovendo fare una valutazione sui vini degustati,
quelli di buon livello (eccellenti, ottimi e buoni),
rappresentano circa il 31% del totale. Può
sembrare un giudizio negativo, ma non lo è, in
quanto in quel 31% non rientrano quei vini ancora
disarmonici per gioventù (eccesso dì acidità fissa
e tannicità, carenza di morbidezza) per eccesso
di boisé, per il precoce imbottigliamento, ect.
La degustazione ha validità nel momento in cui
è fatta. E se questo metro, lo usiamo per altre
manifestazioni, il risultato sarà simile. Entriamo
nel dettaglio. Dei 29 bianchi: dei ventisei 2009
due ottimi, cinque buoni, dieci medio-buoni,
9 appena sufficienti; mentre degli altri tre,
sufficienti i due del 2008 e buono l’unico 2007
vendemmia tardiva. Dei sette rosati: 6 buoni e 2
appena sufficienti. Passando ai Bolgheri Rosso,
di livello medio i due 2009, dodici 2007, cinque
ottimi, tre buoni e quattro medio-buoni. Gli altri
presentavano sentori fruttati e vegetali piacevoli
e buona armonia in bocca. Di seguito i Bolgheri
Rosso: i ventidue del 2007, risultavano sette
ottimi, cinque buoni, sei medio-buoni e 4 discreti.
Mentre dei dodici del 2006: sei ottimi, due buoni,
tre medio-buoni e uno appena discreto. Ora è
la volta dei 21 Bolgheri Superiore: dall’annata
2006, sei ottimi, due buoni, dieci medio-buoni
e tre discreti. Da quella del 2005, tre medio-
buoni. Infine, quindici IGT di cui 6 del 2007
e 9 del 2006. Della prima annata, due ottimi,
uno buono e tre medio-buoni. Della seconda,
Zona di produzione: il territorio amministrativo del comune di Castagneto Carducci per la parte ad est della SS1 Aurelia vecchio tracciato, in provincia di Livorno. Bolgheri Biancouve trebbiano toscano, vermentino e sauvignon dal 10 al 70% per ognuna, con eventuale aggiunta d’altre uve a bacca bianca raccomandate o autorizzate per la provincia di Livorno, fino al 30%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%.Bolgheri Vermentinouve vermentino minimo 85%, altre max 15%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%.Bolgheri Sauvignonuve sauvignon minimo 85%, altre max 15%, con resa massima di 100 ql per ettaro. Gradazione minima 10,5%.Bolgheri Rossouve cabernet sauvignon dal 10 all’80%, merlot max 70%, sangiovese max 70%; altre max 30%, con resa massima di 90 ql per ettaro.
Gradazione minima 11,5%. Bolgheri Rosato come per il Rosso. Bolgheri Vin Santo Occhio di Perniceuve sangiovese dal 50 al 70%, malvasia nera dal 30 al 50% ed altre max 30%, con resa massima di 90 ql per ettaro. Gradazione minima 16%.Bolgheri Superiorequalificazione del Bolgheri Rosso se ottenuto con resa massima in uve di 80 ql per ettaro, presenti una gradazione alcolica minima complessiva di 12,5%, un estratto secco minimo del 24 per mille, ed un affinamento minimo di 2 anni, a decorrere dal primo gennaio successivo alla vendemmia, di cui minimo 1 in botte di rovere e almeno 6 mesi in bottiglia. Gradazione minima 12%.Bolgheri Sassicaiaottenuto da uve cabernet sauvignon 85% e cabernet franc 15%, con resa massima di 60 ql per ettaro, provenienti dalla sottozona Sassicaia, collocata nella parte collinare della
Tenuta San Guido di Bolgheri, con un affinamento minimo di 2 anni di cui almeno 18 mesi in botte di rovere da 225 litri, e altri 6 mesi in bottiglia. Gradazione minima 12%.
La proposta della modifica del disciplinare, votata all’unanimità dall’Assemblea dei soci, riguarda le seguenti norme: Bolgheri Rosso e Bolgheri Superiore, senza citare l’uva impiegata. Entrambe le tipologie potranno essere prodotte anche in purezza, mentre con syrah e sangiovese non dovranno superare il 50%. Il Bolgheri Rosso potrà essere immesso al consumo non prima dell’1 settembre dell’anno successivo a quello della vendemmia. Nel Bolgheri Superiore resta invariato l’affinamento minimo di 24 mesi. I vitigni di sangiovese e syrah saranno presenti fino ad un massimo del 50%. Sarà introdotta la menzione in etichetta del nome della vigna. Per i bianchi e i rosati si potranno utilizzare tappi sintetici.
DiSciPlinAre Di ProDuZione Bolgheri Doc
tre ottimi, due buoni, uno medio-buono e tre
appena discreti. Oltre che in cinque bianchi, dei
molti rossi o quasi tutti, Doc e non, elevati in
barriques, più di un quarto prevaleva il boisé,
con note troppo tostate e balsamiche.
Comunque un banco d’assaggio molto
interessante, dove è stato possibile fare delle
comparazioni tra vini delle stesse tipologie, capire
l’influenza del terroir sui vini, la caratterizzazione
conferita dai vitigni di origine bordolesi, la
cresciuta qualità (più omogenea da alcuni anni),
e non certo ultimo, il piacere di degustare dei
vini che possono confrontarsi con i cosiddetti
grandi dei cinque continenti.
I francesi nelle vignedel Bolgherese Dei 102 vini degustati, quelli ottenuti totalmente
da vitigni italici sono solamente 13. Mentre
quelli ottenuti da vitigni esteri, quasi totalmente
francesi, sono risultati ben 81. Otto erano i vini
di cui uno su due o tre, era italiano.
I Bolgheri Doc in cifreLa superficie totale Doc è in questo momento
di 1.148 ettari, di cui 962 dei soci del Consorzio
di Tutela. Di questi, 857 ettari sono iscritti
all’albo Doc, mentre i rimanenti 105 sono ad
IGT. La superficie vitata d’aziende non iscritte al
Consorzio Doc ammonta a 186 ettari. I vigneti
iscritti alla Doc dei soci aderenti al Consorzio di
Tutela sono così composti: cabernet sauvignon
387 ettari, merlot 206,52 ettari, cabernet franc
66,58 ettari, petit verdot 63,98 ettari, syrah 61
ettari, sangiovese 11,38 ettari, vermentino 52
ettari di cui 46,23 Doc, sauvignon 5,87 ettari
di cui 3,03 Doc, viognier 4,92 ettari di cui 4,54
Doc, chardonnay 2 ettari circa e trebbiano
toscano 1 ettaro.
La potenzialità produttiva compresi gli IGT, si
può stimare in 6.000.000 di bottiglie. Parlando
dei consumi, poco più del 30% è consumato
in Italia, il restante 70% prende la strada per
l’estero.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 129
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5130
È un vino che ha bisogno di molte attenzioni e soprattutto ha bisogno di molto tempo per poter
esprimere i massimi livelli qualitativi
Il grande dei vini Toscani:
il Vin Santodi Luca Iacopini e Massimo Bracci
“”
Nel mese di giugno nello splendido panorama del lago di Massaciuccoli a Torre del Lago si è svolta una degustazione
organizzata dalla delegazione FISAR di Viareggio sui Vin Santi toscani. Quale migliore occasione poteva prestarsi per scoprire un vino così tanto legato alla Toscana e forse, insieme al Chianti e al Brunello, il vino più conosciuto e rappresentativo di questa regione?Premettiamo che per parlare di Vin Santo toscano occorrerebbe forse un intero libro per quanto è ricca la tradizione storica. Le origini di questo vino risalgono all’epoca medioevale quando si impose una crescente richiesta da parte delle classi medie di vini dolci sul tipo di quelli del mediterraneo orientale che venivano bevuti dalla nobiltà e i cui prezzi non erano certamente alla loro portata. Proprio in molte zone vocate all’appassimento delle uve si cominciò la produzione di questa tipologia di vino che diventò ben presto il vino più venduto e diffuso del medioevo. Sul nome ci sono varie teorie: la prima si fa appunto legare all’origine orientale come i vini Greci, Xantos (giallo) che identificava quei vini dolci che mediante appassimento venivano usati dalla Chiesa Bizantina e a sostegno di questo vi è una famosa affermazione fatta da un patriarca greco che a un concilio a Firenze degustando un vino dolce della zona esclamò: “Questo è un vino di Xantos”
proprio a identificare il vino tipico della sua regione. Ma i commensali compresero erroneamente l’affermazione del patriarca orientale con: “Questo è un vino Santo” tanto erano buono e di grande
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qualità. Da qui il nome Vin santo. Più probabile però che il nome derivi dal periodo in cui l’uva appassita viene pressata per la produzione del mosto ossia proprio nelle vicinanze della Settimana Santa.In Toscana ne esistono due tipologie regolamentate da disciplinare : Vin Santo Chianti (DPR 28.08.97) e il Vin Santo Chianti Classico (DPR 24.10.95) che rispecchiano la territorialità del vino rosso.Le uve utilizzate sono il Trebbiano Toscano e la Malvasia per almeno il 70% e il restante uve a bacca bianca, mentre per la tipologia Occhio di Pernice c’è l’apporto per almeno il 50% del vitigno principe della Toscana il Sangiovese e per il resto è possibile utilizzare sia un uva a bacca bianca che a bacca nera. Le uve normalmente vengono raccolte anticipatamente per avere una buccia più spessa e non far staccare gli acini dal raspo .È un vino che ha bisogno di molte attenzioni e soprattutto ha bisogno di molto tempo per poter esprimere i massimi livelli qualitativi. Per questo, dal punto di vista commerciale per chi lo produce, non è un vero e proprio affare, nel senso che se si considerasse interamente il tempo dedicato, le attenzioni, le pratiche di cantina, avrebbe prezzi a dir poco proibitivi e i Vin Santi di alta qualità oggi non sono certamente economici. È semmai una
missione, una sfida, una forte passione che spinge a produrlo, senza fare tanti calcoli di guadagno; è il risultato quello che conta ed è quello che ti ripaga di tanto lavoro e di tanta pazienza per aspettarlo. Ma vediamo brevemente cosa c’è dietro questo vino speciale. Anzitutto si parte dai vitigni le cui rese devono essere ovviamente basse e di grande qualità. Un volta raccolte e selezionate con grande cura vengono collocate su cannicci o appesi (penzane) negli appassitoi, locali in cui il ricambio dell’aria è fondamentale affinchè avvenga il processo di surmaturazione. Con l’appassimento delle uve viene a diminuire l’acqua dagli acini e conseguentemente a aumentare il contenuto zuccherino. Questa operazione è difficile e costosa che non può essere industrializzata. Il periodo di riposo di questi grappoli è abbastanza variabile, che può arrivare anche fino a sei mesi, si procede poi alla pigiatura e alla collocazione del mosto in speciali botticelle: i caratelli. I caratelli, definite le piccole botti, esistono di varie misure da 50 a 200 l, possono essere costruiti con diversi legni (rovere, castagno, ciliegio) e di diverse età. Ogni legno ha la sua porosità, riesce più o meno a far passare ossigeno che negli anni trasforma, modifica il bouquet e la struttura del prodotto finale.
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5132
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Non sono fermentazioni tumultuose come i normali vini ma visto che opera in luoghi ridotti ed esistono grandi quantità di zuccheri, sono fermentazioni di carattere lento.Il caratello viene riempito per circa 80-85% e sigillato ermeticamente con tappi e sigillati con ceralacca, il restante 20% nel tempo sarà riempito dall’anidride carbonica che si sprigiona dalla fermentazione. I caratelli sono collocati in locali denominati vinsantiere (normalmente sottotetto) dove la temperatura ha un estrema importanza.Visto che nei caratelli il Vin Santo deve riposare per almeno tre anni nel corso dell’inverno-autunno, il clima freddo genera una lenta e graduale fermentazione mentre durante la primavera, con l’aumento della temperatura aumenta la produzione di anidride carbonica e in estate quest’ultima satura il caratello provocando il blocco della fermentazione che ripartirà poi con l’inverno. Questo ciclo si ripete dalle tre alle otto volte. Da far presente che esiste una diminuzione del volume iniziale dovuto all’evaporazione (8/15%) e all’essiccazione (20/25%). A volte il produttore può decidere di fare dei travasi da caratello a caratello.La fermentazione nel caratello usufruisce di un deposito feccioso derivato da precedenti fermentazioni ovvero la madre. È un particolare sedimento, scuro e molto denso che rimane all’interno del caratello dopo la svinatura e viene tramandato di generazione in generazione. È in realtà un insieme di lieviti ed altri batteri che riescono a far fermentare il mosto anche con alti livelli zuccherini. Senza l’uso continuativo dei caratelli non esisterebbe la madre. È questa che segna una linea di continuità qualitativa al Vin Santo negli anni.La degustazione si è svolta con 9 vini di alta qualità, di cui 5 vin santi doc della provincia di Pisa e Pistoia (La Regola, Pietro Beconcini, San Gervasio, Sorelle Palazzi, Marini), e 4 Vin Santi Classici doc (San Giusto a Rentennano, Isole e Olena, Montegrossi e Sant’appiano), tutti vinsanti vincitori di concorsi o oggetto di menzioni d’onore al Vinitaly.La degustazione è stata affrontata sia con appassionati, sia con i produttori e il risultato finale è stato che i “veri Vin Santi” hanno aromi e profumi
di grande intensità, che spaziano dalla frutta come l’albicocca, alla noce moscata, al miele alla frutta candita. In bocca si percepiscono grandi concentrazioni, il vino scivola in bocca in modo vellutato, elegante e potente, lasciando per minuti e minuti sentori di frutta matura, frutta candita, caffè, residui di cioccolato. Il tutto accompagnato da una buona mineralità e freschezza. I Vin Santi del Chianti Classico hanno denotato una maggiore concentrazione e ricchezza di zuccheri che sicuramente gli permette di essere bevuti anche oltre i dieci anni.Più che un semplice vino da dessert, il Vin santo è un modo di vivere, di concludere degnamente un pranzo o semplicemente di fare due chiacchiere con gli amici. I Vin Santi più giovani possono essere accompagnati con della pasticceria secca come i famosi cantuccini, i durissimi biscotti alle mandorle. Ma li abbiamo degustati anche abbinandoli con un Roquefort o a un Fois Gras e vi possiamo confermare che ne è risultato un abbinamento perfetto. I Vin Santi invecchiati sono invece dei veri vini da meditazione da bere semplicemente quando siamo in buona compagnia seduti in un bel salotto.È un vino in cui la tradizione svolge un ruolo fondamentale che lo ha reso immutato nei secoli. In genere per la maggioranza dei vini, certi cambiamenti per migliorare la qualità ed aggiornare la tecnica sono quasi scontati e con le generazioni sono ben evidenti. Per il Vin Santo i cambiamenti sono minimi e la tradizione prevale. Forse perché queste piccolissime produzioni sono basate solo su fenomeni naturali come l’appassimento delle uve e la lenta fermentazione nei caratelli o forse perché il Vin Santo, secondo tradizione, ha una sua perfezione che piace e che non sarebbe saggio modificare.
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in famiglia
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news dall'ItaliaA Biella si consegnano gli attestati
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5134
in famiglia
Il 25 giugno scorso la Fisar
delegazione storica di Volterra,
ha festeggiato presso Il ristorante
Enoteca Del Duca, nostro socio, in
una serata piena di entusiasmo, di
ottimi vini e buona cucina, la fine del
II° livello del corso per sommelier. Alla
presenza di 18 dei venti corsisti si è
svolta la consegna degli attestati di
partecipazione da parte del delegato
avv. Flavio Nuti, del direttore di Corso
Enrico Del Testa, del responsabile
dei sommelier Bartolini Renzo,
coadiuvato dai sommelier Fausto
Bacci e Gamberucci Francesca.
Era presente tra l’altro l’assessore
alle attività produttive del Comune
di Volterra, già sommelier Fisar,
Graziano Gazzarri. Alcuni dei corsisti
si sono cimentati nel servizio ai
tavoli scegliendo in abbinamento
ai piatti degli Chef Genuino e Ivana
Delli, i vini messi a diposizione della
delegazione, a partire dai vini locali
dell’Az. Marcampo, ai vini della Doc
Montescudaio: Sorbaiano, Ginori
Lisci, Poggio Gagliardo e Podere la
Regola, ad alcune selezioni di vini
di Bolgheri, Satta e le Macchiole,
e delle Colline Pisane, dalla Tenuta
di Ghizzano a Giusti e Zanza; per
finire una selezione di vin santi: az.
Agr. Santa Maria, Sorbaiano e Il
Conventino di Montepulciano nonché
un ottimo Sauterns 2001. La serata
si è conclusa con la consegna da
parte del delegato, ai titolari del
ristorante Enoteca Del Duca, per la
loro adesione alla nostra Federazione,
dell’insegna con lo stemma FISAR
recante l’incisione di “Locale
Associato”, come già l’anno passato
era stato fatto per l’Hotel-ristorante
“Villa Nencini” altro noto locale nostro
socio di Volterra. In ottobre riprenderà
il terzo ed ultimo livello del corso che
culminerà nell’esame e diploma finale
di sommelier.
A Volterra cerimonia di consegna degli attestati
Notizia inviata da Flavio Nuti della Delegazione storica di Volterra
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 135
news dall'Italia
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti
di primo livello l’augurio di
completare il percorso formativo
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti
di primo livello l’augurio di
completare il percorso formativo
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
in famiglia
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 135
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti di
primo livello l’augurio di completare il
percorso formativo.
La “Festa del Sommelier” è un
appuntamento tradizionale e
importante per la delegazione Fisar
di Livorno, la serata tanto attesa da
quanti hanno superato il rigoroso
esame finale e nel corso della
quale si consegnano gli attestati.
23 neo sommelier hanno ricevuto
l’ambito riconoscimento. Tra questi si
sono particolarmente distinti Rossella
Ghelardi, Chiara Tosi, Alessandro
Biondi, Francesco Sassano e Nadia
Ucciferi.
Prima del convivio presso il ristorante Da
Sandro e Elisa (nel complesso Tennis
Club Libertas, con la collaborazione
del Gruppo Montresor di Verona),
si era svolta la tavola rotonda: “Uno
strumento di comunicazione: la carta
dei vini”, tenuta da Fabio Baroncini
su una esperienza fatta su richiesta
di un amico ristoratore. Il delegato
Mario Albano ha ricordato il successo
riportato nella storica Fortezza Vecchia
(una imponente costruzione voluta dal
cardinale Giulio de’ Medici iniziata nel
1521 e terminata dal duca Alessandro
de’ Medici nel 1534, ora parzialmente
restaurata) con la manifestazione
Un mare di vino presenti 56 aziende
e 30 sommelier per un servizio
professionale ed elegante. Il
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
23 nuovi sommelier a Livorno
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in famiglia
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news dall'Italia
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti
di primo livello l’augurio di
completare il percorso formativo
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5136
consigliere nazionale Filippo Terrasini
aveva puntato il dito sul prezzo che i
ristoratori praticano per la bottiglia del
vino. “Anche se molti ristoratori, ora,
presentano il vino al bicchiere, o la
bottiglia da mezzo litro o il rimanente
vino da portare via”.
Fabio Baroncini ha parlato della carta
dei vini come una guida turistica.
“Bisogna dare un senso logico
alla carta: con il nome del vino ho
aggiunto, l’uvaggio o in purezza,
se Doc o Docg, l’annata e i gradi. Il
ristoratore aveva in cantina dei vini
che non riusciva a vendere. Per ogni
piatto ho proposto in abbinamento
3-4 vini di diverso prezzo per fornire
al commensale il piacere di scegliere.
Dopo qualche mese il ristoratore mi
ha chiamato e mi ha detto che ha
venduto anche quei vini che non
riusciva a proporre e mi ha ringraziato.
Il suo esempio è stato seguito già da
altri due ristoratori”. Ed ha concluso:
“La Fisar è disponibile a collaborare
con la ristorazione per una migliore
presentazione del vino in tavola”. A
questo incontro era presente anche
il dott. Rolando Ceccotti, revisore
nazionale Fisar e sommelier onorario.
La proposta della cucina: Aperitivo di
benvenuto (Chardonnay Spumante
Brut Montresor Linea Storica),
involtini di salmone fresco con
spuma di branzino alla riduzione di
aceto balsamico e flan di asparagi
in vellutata; primo: scialatelli al ragù
bianco di mare (Montefiera Bianco
di Custoza Doc Giacomo Montresor
2009); involtini di pera e ricotta salata
con fonduta di caprino (Sauvignon
Sansaia, Giacomo Montresor 2009);
sella di vitella alla principe Orloff
con sformatino di patate, piselli e
prosciutto cotto (Teroldego Rotaliano
Doc Conti di Wallenburg 2008) e
bavarese al caffè (Moscato Spumante
Contessa Giulia).
Questi i neo-sommelier: Alessandro
Biondi, Luca Biondi, Riccardo
Castellani, Costanza Cominu,
Francesco D’Oriano, Dario Filidei,
Paola Finocchiaro, Rossella Ghelardi,
Luca Giovannetti, Elena Marengo,
Claudia Meini, Francesca Nieto,
Ewa Olewcynska, Gabriele Pedroni,
Giovanni Raimondi, Francesca
Sassano, Gabriele Selmi, Chiara Tosi,
Nadia Ucciferi, Lorenzo Valenti, Bruna
Vinci, Silvia Volpe e Marco Vozzolo.
Notizia inviata da Gianfranco Grossi
Nella suggestiva scenografia di Piazza S.Michele sotto il loggiato di Palazzo Pretorio nell’ambito del Settembre Lucchese si svolge la tradizionale mostra dell’agricoltura e del territorio lucchese ( 11 – 29 settembre 2010). La mostra si tiene ormai da più di 30 anni e rientra tra gli appuntamenti “storici” del Settembre Lucchese. L’evento si presenta come un’importante operazione di marketing territoriale, in quanto costituisce l’occasione per far
conoscere la lucchesia ai numerosi turisti che affollano la città nel mese di settembre. Proprio per questo sotto il Loggiato sarà allestito un info point in cui saranno presenti la FISAR Lucca-Garfagnana, l’Associazione Strade del Vino e dell’Olio di Lucca Montecarlo e Versilia e le associazioni agrituristiche che distribuiranno ai visitatori pubblicazioni e guide utili a far conoscere al meglio la città ma anche il territorio circostante. Tutti i Giorni i Sommelier della FISAR Lucca-Garfagnana Guideranno i visitatori alla degustazione dei vini delle Colline Lucchesi e del vicino comune di Montecarlo a far scoprire i vini DOC e IGT e l’olio extra-vergine d’oliva di queste zone. Anche quest’anno più di 40 aziende partecipano alla mostra e saranno presentate oltre 100 etichette in degustazione. La FISAR Lucca –Garfagnana organizza in questi giorni sotto il Loggiato in un apposito spazio degustazioni guidate da prenotare al desk, dove è anche possibile ritirare il calice da degustazione e il portacalice griffati a ricordo dell’evento. Inoltre tutti i giorni dalle 11:00 alle 19:30 al Banco degustazioni i Sommelier FISAR saranno a disposizione dei presenti per servire i vini del territorio e l’olio prodotto in dette zone.
La delegazione di Lucca Garfagnana“Al Settembre Lucchese”
Notizie inviate da PIERONI DAVID - Delegazione Lucca-Garfagnana
in famiglia
news dall'Italiain famiglia
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news dall'ItaliaA Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della
Delegazione di Biella
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 137
Iniziativa enogastronomica nel
fantastico Castello Medioevale
di Ceri, lo scorso 25
Giugno: la Trattoria “Sora
Lella” ha messo a disposizione
una splendida sala
panoramica sulla vallata che si
estende dalla Rocca di Ceri al mare
verso Ladispoli, e naturalmente la
sua cucina tradizionale, per una
cena che ha celebrato tre importanti
iniziative: la consegna degli attestati
di primo livello, la consegna dei
diplomi dei nuovi Sommelier della
delegazione di Manziana Monti
Sabatini e la presentazione in
anteprima della nuova annata dei vini
dell’Azienda Vinicola Torre del Pagus.
L’azienda Torre del Pagus si trova a
Paupisi, un piccolo centro nel Sannio
Beneventano situato alle pendici
del Monte Taburno, dove dispone
di vigneti coltivati ad aglianico e
falanghina su terreni di proprietà,
interamente ristrutturati secondo
le più scrupolose tecniche
agronomiche e utilizzando il
metodo dell’agricoltura biologica.
La falanghina Taburno doc 2009,
imbottigliata dopo oltre quattro mesi
di affinamento sulle fecce fini, ha
accompagnato l’antipasto a base
di salumi, bruschette, zuppetta
di fagioli e verdure, tipico della
tradizione gastronomica della zona:
una lode particolare va al prosciutto
tagliato a mano e alle “mitiche”
melanzane in umido della Sora Lella.
La falanghina ha continuato a sostenere
la Zuppa di Funghi e Legumi, mentre
l’Aglianico del Taburno doc rosato
2009, fresco di imbottigliamento,
ha sposato un colorato piatto di
Maltagliati all’ortolana. Il potente
aglianico del Beneventano
IGT “Impeto” 2006 ha invece
accompagnato una grigliata di carne
locale e patate al forno come secondo
e contorno. Per concludere il pasto,
prima dei grandi festeggiamenti,
crostate di frutta e ciambelline al vino
in abbinamento con la falanghina
del Beneventano IGT “Lacrime di
Luna” 2007, una vendemmia tardiva
di uve selezionate, successivamente
appassite e parzialmente attaccate
da muffa nobile.
Nel corso della cena il direttore di
corso Vincenzo Cincotti, il delegato
Anna Borrelli e i consiglieri Giancarlo
Albarello e Stefania Sidoretti,
hanno consegnato gli attestati di
partecipazione agli allievi del corso
di primo livello appena concluso.
Quindi sono stati festeggiati i dodici
nuovi SOMMELIER FISAR che hanno
ritirato l’attestato di qualifica, avendo
superato positivamente l’esame finale
di terzo livello: Martina Bernardini,
Claudio Bugliazzini, Alberto Combusti,
Carlo Cotini, Alessandra De Marco,
Monica Gennaro, Luciano Giuliani,
Maria Lotito, Pasquale Ranieri, Mario
Scarafoni, Giuseppe Sebastianelli,
Carlo Vincenti.
La serata si è conclusa in un clima di
generale allegria, di soddisfazione degli
ospiti e con un “pizzico” di dispiacere
da parte dei nuovi sommelier per la
fine del corso. Tutto il gruppo dei
nuovi sommelier si è ripromesso di
proporre alla delegazione iniziative
di approfondimento e di collaborare
nell’organizzazione per poter
mantenere il contatto e per migliorare
sempre le proprie competenze.
La Delegazione di Manziana consegna gli attestati
Notizia inviata dalla Delegazione di Manziana Monte Sabatini
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news dall'Italia
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori
auguri per il
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5138
Nella magnifica cornice del castello
medievale di Serravalle a Vittorio
Veneto in occasione del Festival
Teatrale di Serravalle, giovedì 1 luglio
i ns sommelier Michela Taffarel, Sonia
Bettiol e Massimo Titton hanno avuto
il piacere di poter offrire alla notissima
attrice Deborah Caprioglio il Prosecco
Superiore extra dry Docg “X”
dell’Azienda Zardetto di Conegliano.
L’attrice ha presentato, insieme al
collega Giancarlo Marinelli, “Love
Story” liberamente tratto da Erich
Segal; la serata e lo spettacolo si
sono svolti all’ aperto, nel parco del
castello, e favoriti dal clima favorevole
e fresco circa 300 persone hanno
potuto godere dell’ aperitivo offerto
dalla nota casa vinicola prima di
assistere alla piece teatrale.
Dopo attori, regista e amici hanno
cenato nel giardino dell’Enoteca
Castrum, situata all interno del
castello e sapientemente gestita, in
concomitanza con il festival, dai ns
colleghi di Treviso.
Anche questo anno la delegazione ha scelto come luogo
di ritrovo per la cena di inizio estate lo splendido ristorante
Butterfly, locale che non ha bisogno di presentazioni
e oramai conosciuto a livello nazionale grazie alla guida
Michelin “ locale stellato”, alle magie dello chef Fabrizio e
alla professionalità di sala di sua moglie Mariella.
Il delegato quest’anno ha consegnato nelle mani del
proprietario la preziosa e ambita targa di locale associato
Fisar (nella fotografia).
Alla cena era presente anche il Sindaco di Capannori Del
Ghingaro a cui è stata consegnata la tessera di sommelier
.
Durante la cena presente tra gli ospiti si è esibito in diversi
momenti Claudio Menconi campione mondiale di intagli su
vegetali,frutta e salumi, creando in pochi attimi stupende
opere “commestibili”, che anno stupito e sorpreso i
presenti.
In rappresentanza di Vinolia (di cui Fisar Lucca - Garfagnana
ne parte) e Strade del Vino e olio di Lucca Montecarlo e
Versilia, era presente Fabio Tognetti.
Tutte le portate sono state sublimi e ben curate, e questo
anno grazie all’azienda Mirabella di Rodendo Saiano (BS)
rappresentata da Luca Amato le bollicine hanno dominato
sui tavoli partendo da un Brut per poi passare ad un
Saten per poi arrivare ad un Rosè con 48 mesi sui lieviti,
e per finire il dessert è stato bagnato con un passito della
medesima azienda che già il nome dice tutto Incanto.
Nel corso della serata sono stati consegnati gli attestati
di partecipazione agli allievi del 1° livello del corso per
Sommelier Fisar.
Un ringraziamento va a tutti gli associati che ogni anno e
sempre più numerosi ci permettono di poter continuare a
raggiungere obbiettivi sempre più grandi.
Un sentito plauso anche ai Sommelier Fisar che hanno
prestato servizio e sono stati il valore aggiunto alla serata.
La Fisar Treviso a Teatro…
Festa alla Delegazione di Lucca - Garfagnana
Inviato da Michela Taffarel della Delegazione di Treviso
Notizie inviata da Pieroni David della Delegazione Lucca - Garfagnana
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news dall'Italia
Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti
di primo livello l’augurio di
completare il percorso formativo
A Biella si consegnano gli attestati
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5 139
Mercoledì 30 Giugno 2010 c/o il
Ristorante “Boma” di Varazze, dei
F.lli Alessandro e Giovanni Patanè e
sede del ns. corso di terzo livello, si è
svolta la cerimonia di consegna delle
Qualifiche di Sommelier.
Hanno partecipato all’evento i Sigg.
Terzago Luigi (presidente della
sessione di esame) e Ceccardi Omero
(rappresentante del CTN).
Presenti anche per il consiglio di
Delegazione i Sigg. De Belat Brunello
(Delegato), Piaggesi Luigi (Segretario),
Malaspina Flavio (Direttore del corso),
De Gasperis Angelo (Cons.)
Si ringrazia espressamente il Sig.
Terzago per aver portato i saluti del
Presidente Nazionale Vittorio Cardaci
Ama e unitamente al Sig. Ceccardi per
aver dimostrato durante la sessione
di esame un’altissima professionalità
mirata innanzitutto a far sentire gli
esaminandi completamente a loro
agio durante l’interrogazione.
Durante la cena di fine corso mirata
alla presentazione della
Enogastronomia ligure:
Zimino di ceci, Capra stufata alla
maniera di Pigna e Gubelletti al
cioccolato. Sono stati serviti i vini
Rossese di Dolceacqua della Azienda
Vinicola Altavia, presenti i titolari della
cantina, Sigg Formentini.
Oltre ad accompagnare il menù il
Rossese di Dolceacqua Superiore è
stato oggetto di una degustazione
verticale per le annate 2007 - 2006 -
2005 - 2004 raccogliendo nell’ordine
i seguenti risultati: 82/100 - 84/100 -
83/100 - 89/100.
Hanno conseguito la qualifica di
Sommelier:
Ansaldi Lisetta, Brossa Maria Teresa,
Confortola Federica, Corosu Maria,
Frassine Marco, Freddini Gloria,
Gorziglia Roberto, Marrapodi Simona,
Patané Giovanni, Pellegrin Alessandro,
Ribaudo Donatella, Volpe Massimo,
Zinno Antonio.
Un particolare encomio agli allievi che
hanno ottenuto le valutazioni più alte:
Sig.ra Freddini Gloria e Sig. Zinno
Antonio 1° classificata/o, Sig.na
Corosu Maria 2a classificata e Sig.
Volpe Massimo 3° classificato.
L’incontro di gemellaggio fra la Marca Trevigiana e le Marche, avvenuto in due diversi momenti, si è felicemente concluso. Protagonisti sono stati la Delegazione Fisar di Treviso e la Delegazione Fisar Castelli di Jesi nelle Marche. La seconda tappa, dopo quella di Treviso dello scorso autunno, è avvenuta sabato 29 e domenica 30
maggio 2010, con la Cena di Gala presso il Ristorante Relais Marchese del Grillo di Fabriano (AN) e la visita alle cantine del territorio in occasione di Cantine Aperte.È d’obbligo ricordare che le Delegazioni di Treviso e Jesi si sono conosciute “combattendo” al primo torneo di Divinando nel lontano
2008, e tra la simpatia e l’ amicizia appena nate è sbocciata l’idea di gemellare le delegazioni. Iniziano così preparativi per il primo incontro: “Le Marche nella Marca”, che ha avuto il suo culmine in una cena con prodotti enogastronomici marchigiani degustati in terra trevigiana. Incontro riuscitissimo, per l’ ottima accoglienza
F.I.S.A.R. Delegazione di Varazze
La Delegazione di Treviso e di Jesi gemellate e festanti
Notizia inviata da Brunello De Belath della Delegazione di Varazze
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Mercoledì 16 giugno 2010 presso
la Trattoria Doria, nella splendida
cornice del ricetto di Candelo, antico
borgo medioevale, alle porte di Biella,
si è tenuta l’assemblea dei soci per
la consegna degli attestati ai nuovi
sommelier della delegazione di Biella
unitamente ai corsisti di 1°livello a cui si
è consegnato l’attestato di frequenza.
I nuovi sommelier della delegazione
sono: Alpino Claudio, Canton Fiorenza,
Carta Giuseppe, Castaldelli Corrado,
Corda Elvio, Decci Mirko, Deiro
Corrado, De Rossi Eliseo, Iapichino
Barbara, Mazzia Paolo, Mosca
Giuliana, Passarella Erika, Ruschena
Riccardo, Zerbola Adriano.
A tutti i neo sommelier sono stati
formulati i migliori auguri per il
traguardo raggiunto, e ai corsisti
di primo livello l’augurio di
completare il percorso formativo
A Biella si consegnano
Notizia inviata da Ennio Pilloni della Delegazione di Biella
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5140
del ristorante ospitante (La Croce di Negrisia di Ponte di Piave) e le numerose presenze (ben 101 persone) e la serata è stata un tale successo che ha invogliato gli organizzatori a prepararsi al meglio per il ritorno.I prodotti enogastronomici della Marca Trevigiana portati con fierezza ed orgoglio agli amici marchigiani hanno ricevuto il meritato successo fin da quando sono entrati nella cucina del ristorante ospite; la location fortemente voluta dalle organizzatrici per il fascino immediato dell’edificio storico e del panorama mozzafiato sulle dolci colline marchigiane. Il “Marchese del Grillo”, edificio fatto costruire dal celebre nobiluomo romano per sfuggire alla noiosa vita della capitale (come ben si vede nell’omonimo film) è, tra l’altro, il luogo di nascita della Fisar Marche. Tra i 23 sommelier trevigiani scesi in pullman la Fisar di Treviso ha avuto l’onore di ospitare ben 4 visitatori venuti appositamente dall’ Olanda (molti colleghi a malincuore hanno dovuto rinunciare per la richiesta di servizio presso le cantine nella giornata di Cantine Aperte), ed i 9 amici marchigiani partecipanti al gemellaggio, si è creato un gruppo affiatato che ben ha apprezzato l’impegno messo dalle organizzatrici dell’ evento, le sommelier trevigiane Laura Minato e Michela Taffarel, nella ricerca dei vini e degli abbinamenti tra le eccellenze gastronomiche del territorio veneto. Il menu della serata prevedeva infatti: i Bibanesi e la Casatella Trevigiana Dop con Prosecco Cuveè Storica Carpenè Malvolti Docg; gli ottimi Salumi De Stefani, i pluripremiati Formaggi della Latteria Perenzin con Prosecco San Fermo Bellenda Docg; Risi&Bisi e Fagottini agli Asparagi (Riseria La Fagiana, Bisi di Borso e Asparagi di Cimadolmo) con il Manzoni “Svejo” di Italo Cescon e il Verdiso di Candido Paoletti; la Farona ripiena con patate novelle e polenta Bianco Perla e Formajo Ciok abbinati al Raboso Piave Doc “Autentico” di Bellussi e Raboso Piave Casa Roma ed infine i dolci con la Pinza del Panificio Tami e Segno-Dolce al Radicchio Rosso Trevigiano Igp con Prosecco Passito Bellenda e Refrontolo Passito di Toffoli; brindisi finale con il Cartizze Docg di AndreolaSuccesso confermato anche dal patron del Marchese del Grillo, Lanfranco D’Alessio, che ha ricevuto da parte della Delegazione di Treviso una targa a ricordo della magnifica serata e della calorosa accoglienza e per la possibilità avuta di poter ammirare la favolosa cantina specchio di una carta dei vini ai massimi livelli.Non possiamo certamente però non sottolineare la
fantastica accoglienza ricevuta dalle cantine visitate, avendo appunto unito al dilettevole del gemellaggio, anche l’utile di Cantine Aperte domenica 30 maggio, in maniera da poter meglio apprezzare, per noi veneti, dei prodotti a volte poco valorizzati.La Fisar di Treviso desidera ringraziare la Cantina Mancinelli e Stefano Mancinelli per la calorosa ed amichevole accoglienza, il magnifico pranzo e la degustazione a noi dedicata dei loro migliori prodotti di cantina, frantoio e distilleria; Filippo Maraviglia e il padre per il tempo dedicatoci nella visita alle vigne di proprietà, della piccola ma modernissima cantina produttrice di ottimi vini e per aver fatto trovare le “fave” legumi poco conosciuti in terra veneta; Azienda Colonnara e Daniela Sorana per il pranzo tipico ed il presidente Massimiliano Latini per la personale accoglienza e compagnia nella visita della cantina e bottaia e per ultima ma non meno importate l’Azienda Montecappone per gli ottimi vini e i particolari prodotti gastronomici offerti.Un grande grazie va da queste colonne a Sonia Bettiol, sommelier e grafica d’eccellenza che ha creato i programmi, i menù e le tovagliette di degustazione che tanto successo hanno riscosso; la Giroingross per i bicchieri di degustazione, lo staff del Marchese del Grillo per la cortesia ed il servizio professionale anche dei vini degustati, a tutte le aziende amiche sopracitate che con il loro generoso, prezioso e goloso contributo hanno fatto si che il gemellaggio con la Delegazione di Jesi fosse un successo ed ancora alla Regione Veneto per il patrocinio accordato e, naturalmente alla Fisar Nazionale. La voglia di fare gemellaggi non ci è passata: Delegazioni Fisar Italiane, aspettateci!!!
Notizia inviata da Michela Taffarel della Delegazione di Treviso
in famiglia
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Organo Ufficiale della FISARFederazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori
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142
news dall'ItaliaA Biella si consegnano gli attestati
Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5142
in famiglia
La Delegazione di Vercelli ha
organizzato Venerdì 4 giugno 2010
la cena per la consegna ufficiale degli
attestati ai numerosi corsisti che con
grande impegno hanno frequentato i
corsi di Sommelier di primo livello a
Borgosesia (VC) e di primo e secondo
livello a Vercelli.
Location della serata un locale di
prestigio quale il Ristorante “ Il Vigneto”
di Gattinara in Piazza Paolotti 2, di
proprietà del Socio Ristoratore Mauro
Colli.
Dopo i saluti di benvenuto da parte del
Delegato Claudio Valenza per conto
di tutto il Consiglio, il Consigliere di
Giunta Luigi Terzago ha trasmesso il
saluti e i complimenti ai premiati da
parte del Presidente Nazionale Vittorio
Cardaci Ama.
Ospiti della serata sono stati il
Direttore dell’Agenzia Formativa
Co.Ver.Fo.P. il Dott. Claudio Osenga
ed i responsabili del Gruppo Santa
Margherita il Dott. Massimo Tonin,
Capo Area ed il collaboratore Agente
di Zona il Sig. Gianfranco Piazza,
che hanno presentato i vini proposti
dell’Azienda Kettmeir di Caldaro
(BZ) in abbinamento ai magnifici
piatti elaborati dallo Chef. Con gli
antipasti un “Metodo Classico Brut
Rosè Athesis Alto Adige DOC”, con
i primi il “Muller Thurgau Athesis Alto
Adige DOC”, con il secondo un “Pinot
Nero Alto Adige DOC”, ed infine con il
dessert un “Moscato Giallo Vallagarina
IGT”.
Le congratulazioni da parte della
nostra delegazione ai corsisti che
hanno ricevuto l’attestato:
Per il primo livello di Borgosesia,
Baratto Andrea, Barbaglia Loredana,
Bergamasco Monica, Berta Gian
Mario, Boggio Marcello, Boggio
Vanni, Broggini Andrea, Carli Oriano,
Carlone Davide, Casarotti Alessia,
Cocchini Oscar, Conti Giuseppina,
Costa Andrea, Crivelli Sara, De Gregori
Corrado, Gagino Laura, Giacobino
Diego, Gilardi Valentina, Grassone
Raffaella, Grosso Gloria, Iacolino
Laura, Longhi Gabriele, Losito Ivan,
Manfredi Claudia, Marchesi Giuseppe,
Montagner Giovanni, Negroni Pier
Luigi, Pattaroni Mirco, Peroni Daniele,
Peterle Alessia, Pianori Cristian, Prato
Gabriele, Quazzola Fulvio, Scozzari
Emanuele, Siviero Andrea, Tisato
Elisabetta, Uffredi Matteo, Zimnicka
Halina, Zucca Guido.
Per il primo livello di Vercelli, Boffino
Maura, Boffino Paola, Bordonaro
Salvatore, Dorelli Stefano, Fanini
Fabio, Gabutti Carla, Gamasco
Cesare, Limina Monica, Mastronardi
Antonella, Merlin Claudio, Olmo
Alessandro, Ottaviani Andrea,
Ottaviani Valentina, Rijitano Filippina
Rosalba, Rondano Monica, Rossi
Simone, Sartore Adriana, Schiboni
Dario, Sedini Gabriele, Soldera Marco,
Spalla Roberta, Tosi Barbara, Tricerri
Giampiero, Vaudagna Marisa.
Per il secondo livello di
Vercelli,Baldisseri Patrizia, Bellavia
Elisa, Bonato Valentina, Brusasca
Cinzia, Capellino Laura, Ferrara
Roberto, Franchini Ezio, Gerbaudo
Marco, Giuliano Roberto, Grigolon
Marzio, Mattivi Alessandro, Moretti
Daniela, Novello Nicolò, Omodei
Zorini Luigi, Pavese Maria Grazia,
Porta Guido, Quadrio Alberto, Rosso
Barbara, Saggia Stefano, Saggia
Simone, Spata Anna, Vecchio Anna
Maria.
Inoltre nella serata è stato premiato
con il “Tulipano d’argento” il Sommelier
Giovanni Torta. Un Ringraziamento
particolare va ai nostri sommelier che
hanno magistralmente provveduto
al servizio dei vini, il capo servizio
Paolo Baltaro ed i sommelier Andrea
Carpani, e Marco Rondinelli.
Consegna degli attestati ai corsistidella Delegazione di Vercelli
Notizia inviata da Claudio Valenza e Corrado Pasqualin
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FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI
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FEDERAZIONE ITALIANA SOMMELIER ALBERGATORI RISTORATORI
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Il Sommelier Settembre-Ottobre 2010 • n. 5
Venerdì 12 novembreEntro le ore 17:00
ARRIVO DEI PARTECIPANTI
Ore 18,30 APERTURA UFFICIALE DEL CONGRESSO E BRINDISI DI BENVENUTO
Ore 20,30Cena Sociale
Sabato 13 NovembreOre 9,30
Partenza in Pullman per Conegliano visita turistica e visita presso la Cantina CARPENE’ MALVOLTI
Ore 12,30Pranzo in compagnia di Carpenè Malvolti sulle Colline del Prosecco
Ore 15,30Torneo Divinando e Concorso Miglior Sommelier FISAR 2010 Trofeo Rastal nei saloni di CastelBrando(nel pomeriggio per gli accompagnatori visita alla Abbazia di Follina e tempo libero)
Ore 20,00Aperitivo
Ore 21,00Ristorante LA FUCINA - CASTELBRANDOCENA DI GALA Cerimonia di premiazione squadra vincitrice Torneo Divinando ed incoronazione Miglior Sommelier FISAR 2010 – Trofeo Rastal
Domenica 14 NovembreOre 9,30
Convegno sul tema“ENOTURISMO:UN’IMPORTANTE RISORSA ECONOMICA”
Ore 11,00 COFFEE BREAK
Ore 11,30INCONTRO CON I DELEGATIpotranno accedere alla riunione i quadri organici della FISAR ed i Delegati (o loro rappresentanti)
Ore 14,00DEGUSTAZIONE VINI E PRODOTTI TIPICI DELLE COLLINE TREVIGIANE E DEL VENETOAl termine: rientro presso le rispettive destinazioni.
CONGRESSONAZIONALE FISAR
a Castelbrando
Dal 12 al 14 Novembre 2010, presso lo storico Castello Brandolini di Cison di Valmarino (Tv) si terrà il
Congresso Nazionale FISAR. Ecco il programma.“”
La Segreteria comunica
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il programma dettagliato ed il modulo di prenotazione sono disponibili su www.fisar.com
Venerdì 12 novembreEntro le ore 17:00
ARRIVO DEI PARTECIPANTI
Ore 18,30 APERTURA UFFICIALE DEL CONGRESSO
Ore 20,30
Sabato 13 NovembreOre 9,30
visita turistica e visita presso la Cantina
Ore 12,30
Ore 15,30Torneo Divinando e
Trofeo Rastal nei saloni di CastelBrando
alla Abbazia di Follina e tempo libero)
Ore 20,00Ore 20,00Aperitivo
Ore 21,00
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