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X. Tempo, memoria, storia

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La psicologia cognitiva distingue alcuni sistemi fondamentali di memoria: • Memoria a breve termine, che gestisce informazioni nel

raggio di pochi secondi • Memoria a lungo termine

• Procedurale, relativa a capacità incorporate, spesso difficilmente verbalizzabili

• Dichiarativa, verbalizzabile, che mira a rappresentare il mondo e il passato • Semantica, che contiene forme di sapere generale: un repertorio di

conoscenze e i segni e le regole d’uso del linguaggio • Episodica (o autobiografica) che registra in forma narrativa

esperienze collocabili nello spazio e nel tempo

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Memoria dichiarativa e procedurale

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La misurazione delle performance mnemoniche è riconducibile alla psicologia sperimentale di H. Ebbinghaus (1850-1909), che studia in laboratorio la memorizzazione di materiali privi di ogni significato per il soggetto. Si deve invece a F. C. Bartlett, negli anni Trenta, l’introduzione di una visione interpretativa della memoria, che in questo approccio diventa un «lavoro» compiuto dal soggetto, in base al significato che il ricordo può avere per lui. Nell’approccio di Bartlett, più congeniale allo studio della cultura e della società, la memoria appare caratterizzata dalla tensione verso il significato.

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Psicologia sperimentale e interpretativa

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Nella prospettiva psicoanalitica, i ricordi sono fissati immutabilmente nelle profondità della psiche, ma al momento di rievocarli vengono spesso distorti o cancellati da processi psicologici di rimozione. Nella prospettiva cognitiva, invece, non c’è un «ricordo reale» al di fuori del lavoro di memoria che avviene nel presente. Il concetto di schema di Bartlett, o quello successivo di copioni (che ne sottolinea il carattere narrativo), indicano le strutture cognitive che danno forma ai ricordi. Tali strutture cognitive traggono forme e contenuti dal contesto socio-culturale: l’atto psichico del ricordare non è semplicemente individuale, ma è connesso al mondo vitale e delle pratiche comunicative, evidenziando una dimensione sociale del ricordo.

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Il «lavoro di memoria»

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Il sociologo francese M. Halbwachs (1877-1945) è considerato il fondatore degli studi sulla memoria collettiva. Si ricollega al concetto durkheimiano di rappresentazione collettiva, intesa come qualcosa che viene prima delle rappresentazioni individuali ed è radicato nelle istituzioni sociali. Per Halbwachs, allo stesso modo, il ricordare individuale è reso possibile da quadri sociali della memoria, simili agli schemi e copioni della psicologia cognitiva, ma meno astratti. In questa prospettiva, la memoria individuale viene dopo la memoria di gruppo.

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La memoria collettiva

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Le rappresentazioni collettive di Durkheim

«Nozioni essenziali che dominano tutta la nostra vita intellettuale […]. Proviamo a rappresentarci che cosa sarebbe la nozione di tempo, prescindendo dai modi in cui lo dividiamo, lo misuriamo, lo esprimiamo per mezzo di segni oggettivi […]. Una tale organizzazione deve essere collettiva. Questi punti di riferimento indispensabili rispetto ai quali tutte le cose vengono classificate nel tempo derivano dalla vita sociale». E. Durkheim, Le forme elementari della vita

religiosa, 1912

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«Al di fuori del sogno il passato, in realtà, non ricompare allo stesso modo, anzi tutto sembra indicare che esso non si conserva affatto, a meno che non lo si ricostruisca a partire dal presente […]. I quadri collettivi della memoria non sono costituiti dalla combinazione dei ricordi individuali, non sono delle semplici forme vuote dove i ricordi, venuti da altrove, si inseriranno, ma sono, al contrario, esattamente gli strumenti di cui la memoria collettiva si serve per ricomporre un’immagine del passato che si accordi in ogni epoca con il pensiero dominante nella società». M. Halbwachs, I quadri sociali della memoria, 1925.

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I quadri sociali di Halbwachs

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Indirizzi di ricerca di ispirazione fenomenologica, come la cosiddetta discourse analysis, arrivano a negare la centralità dei processi mentali, per identificare la memoria con le pratiche discorsive e simboliche concretamente osservabili. • I ricordi, intesi come fenomeni mentali, sono una specie di

sottoprodotto del modo in cui si parla del passato. • La stessa soggettività è più un effetto che una condizione dei

processi di costruzione sociale della realtà e del passato. Questi approcci hanno il loro punto di forza nella capacità di evidenziare la costruzione cooperativa del ricordo e il modo in cui l’istanza rappresentativa e quella pragmatica risultano intrecciate fra loro. Il punto debole sta nel rischio di mettere da parte il problema della verità, cioè della maggiore o minore esattezza delle rappresentazioni.

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L’analisi del discorso

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La dimensione sociale della memoria si concretizza anche in forme materiali e non discorsive come luoghi e oggetti. Halbwachs fa l’esempio della «topografia leggendaria» della Terrasanta all’epoca delle Crociate, frutto dell’incrocio tra l’immaginario teologico e la realtà fisica dei territori meta dei pellegrinaggi. Gli antropologi, abituati a lavorare in società senza scrittura, hanno una particolare familiarità con i processi di incorporazione della memoria collettiva in oggetti materiali di vario tipo.

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Memorie «concrete»

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Così l’etnologo T. Strelhow descriveva negli anni Quaranta le famose «vie dei canti» della mitologia australiana, percorsi segnati dalle tracce degli eroi culturali : «Le montagne, i ruscelli, le sorgenti e gli stagni non sono per lui aspetti del paesaggio piacevoli o interessanti. Ognuno fu creato da uno degli antenati da cui egli discende. Nel paesaggio che lo circonda, legge la storia dei fatti e delle gesta degli esseri immortali che venera […]. Tutto il paese è per lui come un albero genealogico antico e sempre vivo»

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Le «vie dei canti»

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Sempre dall’Australia, arrivano i churinga, oggetti rituali che rappresentano il corpo fisico di un antenato. Su di essi si sofferma ad esempio C. Lévi-Strauss, scorgendovi un esempio della capacità del «pensiero selvaggio» di ricomprendere la diacronia (il passato) nella sincronia (il mondo materiale che ci circonda).

I churinga

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Per Lévi-Strauss le società si differenziano nell’atteggiamento di fondo che manifestano nei confronti del tempo. I modelli principali sono due: • Società fredde: cercano di annullare l’effetto che

i fattori storici potrebbero avere sul loro equilibrio e la loro continuità. Lo fanno non negando il divenire storico, ma ammettendolo come forma senza contenuto: «c’è sì un prima e un dopo, ma il loro solo significato è di riflettersi l’un l’altro» (tutto è già stato compiuto dagli antenati mitici etc.)

• Società calde: «interiorizzano risolutamente il divenire storico per farne il motore del loro sviluppo». La società calda per antonomasia è naturalmente la società occidentale moderna.

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Società «fredde» e «calde»

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Quella tra società «fredde» e «calde» si inserisce in un ampio repertorio di dicotomie – oggi in gran parte abbandonate o considerate comunque troppo rigide – che, nella storia delle scienze sociali, hanno contrapposto la società moderna a quelle «tradizionali»: • tempo ciclico / tempo lineare • tempo sacro / tempo profano • società senza storia / società storiche • oralità / scrittura • tradizione (folk society) / modernità • società / comunità • pensiero «selvaggio» / «addomesticato»

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Grandi dicotomie

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Negli anni Ottanta lo storico francese P. Nora ha proposto una distinzione tra «luoghi della memoria» e «luoghi della storia». Si parla anche stavolta del passaggio da una comunità che vive in un tempo circolare, ed è come immersa nella memoria, a una società moderna che vive in un tempo vettoriale e organizza una produzione consapevole di memoria storica. I concetti di Nora sono stati molto criticati per la loro somiglianza alle grandi dicotomie del passato. Ma sono stati importanti nella successiva fioritura di studi sulle pratiche commemorative rituali e simboliche, dai monumenti ai musei, dai cortei alle feste.

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I «luoghi di memoria»

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L’egittologo J. Assmann ha proposto una distinzione fra: • Memoria comunicativa, basata sull’oralità e sulla

trasmissione face-to-face, poco istituzionalizzata, capace di risalire indietro nel tempo solo per poche generazioni

• Memoria culturale, che risale fino a un passato lontano, istituzionalizzandone il ricordo, venendo gestita da professionisti, legati in varie forme al potere, e costituendosi come canone di ciò che del passato è importante e fondativo.

La distinzione tra forme di memoria «ufficiali» e «vernacolari» aiuta a far emergere il modo in cui la gestione della memoria si presenta come un processo complesso, negoziato o conflittuale, non la meccanica istituzionalizzazione di un sostrato culturale comune.

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La memoria culturale

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L’interesse per la memoria si incrocia a quello per la nazionalizzazione delle masse (G. Mosse), l’invenzione della tradizione (E. Hobsbawm) e le comunità immaginate (B. Anderson), nello studio della memoria pubblica istituzionale I processi di istituzionalizzazione della memoria, dalle cerimonie pubbliche alle bandiere, alla mobilitazione di un ampio repertorio narrativo e simbolico «ufficiale», consente agli individui di immaginarsi parte di una identità collettiva che vuole corrispondere anche a un’entità politica, come nel caso del nazionalismo. Ad essere condivisa in questo modo non è solo la memoria, ma anche l’oblio, come ad esempio quello delle donne, che nel discorso nazionalista classico appaiono solo come figure allegoriche (la Libertà, la Repubblica) o nella gestione del lutto.

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Memoria e identità collettive

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L’indebolimento del ruolo dello stato-nazione dopo le due guerre e ancora di più con la globalizzazione, apre alla possibilità di memorie e identità «trasversali» all’identità nazionale. La polverizzazione della vita pubblica, la democratizzazione degli strumenti culturali e un’etica individualistica sembrano intrecciarsi in una forte personalizzazione delle pratiche di memoria che va dai diari alle raccolte di souvenir, alle foto e alle riprese video, segnando in modo sempre più evidente la nostra quotidianità.

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L’«esplosione» della memoria

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La cura delle memorie autobiografiche e familiari, che era un tempo prerogativa solo delle élites, diventa un fenomeno di massa che sembra saturare la vita quotidiana con una sorta di bulimia del ricordo. E. Goffman ha a suo tempo proposto di leggere i piccoli rituali della quotidianità nei termini (durkheimiani) di «produzione del sacro». Il sacro, però, non corrisponde più al gruppo, alla comunità o alla nazione, ma al self individuale. Alla storia nazionale si sostituisce una moltitudine di memorie autobiografiche personali, dotate di una loro «sacralità minore».

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Il sacro e la privatizzazione della memoria

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Secondo A. Wieviorka, quella del testimone emerge come figura chiave della memoria collettiva in relazione alla Shoah e tale rimane nel mondo contemporaneo. In questo modo, tuttavia, si crea una tensione tra la natura soggettiva ed empatica della testimonianza e quella distaccata e critica della conoscenza storica. In una prospettiva antropologica il contrasto può attenuarsi, se non altro nel senso che una conoscenza antropologica significativa si raggiunge proprio passando per la dimensione soggettiva degli attori sociali.

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Il problema del testimone

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«In tutto il mondo, il patrimonio culturale risponde a comuni esigenze e incorpora tratti comuni. Ma esigenze e tratti sono definiti sulla base di una gelosia sciovinista. Ci confrontiamo con gli altri corazzati all’interno di identità, le cui somiglianze ignoriamo o non vogliamo vedere, inventando o distorcendo invece le differenze per sottolineare la nostra superiorità. Esaltando le nostre eredità ed escludendo quelle degli altri, creiamo una situazione endemica di rivalità e conflitto». D. Lowenthal, 1994

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Il passato che esclude

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Anche al di là del nazionalismo in senso stretto, gli studi mettono in luce il nesso profondo tra memoria ufficiale e identità collettive. Le pratiche istituzionalizzate di memoria e di patrimonializzazione, con i loro simboli e rituali, possono contribuire a una reificazione dell’identità, connessa a ideologie aggressive e xenofobe. Storici e antropologi si trovano quindi nella delicata posizione degli «specialisti» del patrimonio, da un lato, e dei critici osservatori delle dinamiche identitarie, dall’altro.

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Memoria, patrimonio e identità