tesi sulla scienza cognitiva

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Giuseppe Trautteur UNDICI TESI SULLA SCIENZA COGNITIVA Traduzione di Matteo Codignola retrovie (5) Adelphiana www.adelphiana.it 29 marzo 2002

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Giuseppe Trautteur

UNDICI TESI SULLA SCIENZA COGNITIVA

Traduzione di Matteo Codignola

retrovie(5)

Adelphianawww.adelphiana.it

29 marzo 2002

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Il termine «cognitivo» è superato, come lo sono i termini«cibernetica» e «intelligenza arti$ciale». Lo studio sepa-rato di percezione, deduzione, apprendimento, e così via –cioè della cognizione –, non si consolida in una unitàdisciplinare ben de$nita e dalla crescita bene indirizza-ta. Risulta quindi opportuno aprire l’indagine – come difatto sta accadendo – ad altri, più problematici aspettidella mente: emozione, processi inconsci, intenzionalità,attitudini, dolore. In una parola: coscienza.

Negli ultimi cinquant’anni vari assalti sono stati sfer-rati alla conquista della mente, assalti che in mol-ti casi hanno assicurato ricchi bottini collaterali, masenza raggiungere la meta principale. Il tratto co-mune di questi tentativi è l’interdisciplinarità in-trodotta dalla cibernetica. Questa interdisciplina-rità si con$gura come una sorta di alleanza tra di-scipline e saperi dalla improbabile convivenza, chea tutt’oggi rimane allo stato incoativo. Ne fanno par-te la $loso$a – e in particolare la $loso$a della men-

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te e la $loso$a del linguaggio –, la linguistica, leneuroscienze – coacervo la cui recente legittima-zione può considerarsi un esito davvero felice –, lapsicologia, la logica, l’informatica, l’intelligenza ar-ti$ciale, la scienza cognitiva, appunto – che a leg-gere le de$nizioni potrebbe ritenersi l’erede dellacibernetica, esauritasi per la mancanza di risultatipropriamente «cibernetici» e dissipatasi in moltirivoli di carattere o biologico (la prima rivista delcampo, «Kybernetik», da anni ha preso atto di que-sta tendenza cambiando il suo nome in «Biologi-cal Cybernetics») o sociale, spesso compenetrando-si con la sistemica –, e in$ne la $sica, sia in proprio,sia come grande madre nel cui seno tutto nasce etutto ritorna.Vari tentativi all’interno dell’accademia europea eamericana di fondere in un’unica, credibile disci-plina – o almeno in una federazione coesa –- questaalleanza hanno avuto vita breve, evolvendo rapida-mente in istituzioni nell’ambito dell’informatica,sola vera disciplina nuova inopinatamente emersada questa temperie. Tuttavia, pur avendo procuratostrumenti utilissimi all’assalto sferrato cinquant’an-ni fa, l’informatica presenta problemi molto rilevan-ti e molto singolari. Innanzitutto, non siamo certidella sua identità culturale. È una scienza della na-tura| E se sì, qual è il suo oggetto, l’algoritmo| Op-pure dobbiamo considerarla una disciplina dell’in-gegneria| In secondo luogo, i suoi strabilianti effet-ti sociali rendono complessa una valutazione serenadei suoi metodi e dei suoi risultati.Va detto che nei documenti del CNR le scienze co-

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gnitive, tutte neurologiche o psicologiche – di cuila scienza cognitiva simpliciter è certamente la capo-$la –, vengono de$nite nei seguenti termini: «LeScienze Cognitive rappresentano un approccio in-terdisciplinare allo studio del comportamento e deiprocessi mentali individuali e sociali...». Per partesua, il MIUR caratterizza gli obiettivi formativi qua-li$canti della Classe di Lauree in Scienze Cogniti-ve come: «... approfondite conoscenze di natura teo-rica e operativa per l’approccio interdisciplinare al-lo studio della mente e del comportamento degliorganismi...».Nei fatti, poi, ho l’impressione che oggi in Italia lascienza cognitiva sia molto vicina alla – o si svilup-pi negli ambienti della – psicologia, principalmen-te cognitiva, de facto di ascendenza freudiana, e siasolo secondariamente legata all’intelligenza arti$-ciale funzionalista (o nouvelle o grounded o neuraleche sia), o ad aspetti teorici, $sici, biologici, $lo-so$ci dell’elaborazione simbolica. In ambiti locali,o sghembi rispetto all’obiettivo principale – la men-te che comprende –, sono stati raggiunti risultati dinotevole interesse. Peraltro, forse a causa del suoincoercibile fascino intellettuale, l’area tematicache sottende le discipline coinvolte nell’assalto al-la mente è diventata di moda anche senza aver rag-giunto risultati veramente propri e innovativi, quan-to piuttosto ammantandosi dei grandi e reali suc-cessi dell’informatica e della neurobiologia. In par-ticolare, nell’ultimo decennio è diventata social-mente accettabile nel mondo scienti$co – ed è suc-cessivamente esplosa anche all’esterno – la pubbli-

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cistica sulla coscienza. Libri sull’argomento – dallaraccolta di inappuntabili saggi scienti$ci a liete di-vagazioni d’opinione – escono dai torchi al ritmodi decine e decine all’anno. Nessuno ha veri risul-tati da comunicare, ma ci si affanna a ripetere cheil problema della coscienza (spesso in consorziocon l’indagine $sica estrema) è il più importante eil più profondo di tutti, e che per la sua soluzioneoccorreranno idee interamente nuove, se pure. Do-podiché passano a esporre, come niente fosse, laloro teoria della coscienza.Ma di una cosa siamo sicuri: nel complesso, nono-stante le molte opinioni divergenti, si può dire chenon si sa cosa sia la coscienza, o anche solo cosapossa signi$care il saperlo. Pure, ogni tanto, qual-che passo avanti si registra. Tale va considerata adesempio l’osservazione di James secondo cui la co-scienza non è una «roba» (stuff ), ma un processo.A pensarci bene, si tratta di un’osservazione sovver-titrice, perché signi$ca realmente qualcosa solo inun contesto culturale in cui si sia disposti a conside-rare un moto, un cambiamento come qualcosa disostanziale, e quindi in certo modo permanente,benché non necessariamente in senso temporale.(Anche da questa sponda, oltre che da quella della$sica, sembra imporsi una revisione della meta$si-ca. Si noti come tale prospettiva, apparentementecontraria al comune buon senso, diventi più accet-tabile in ambito relativistico, nel quale processi co-me quello coscienziale di James possono essere assi-milati alle linee d’universo nello spaziotempo. Tral’altro, parliamo di idee nate anch’esse attorno al1905; si vedano sotto, i commenti al par. 2).

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Quello che si può fare, allora, è indagare le condi-zioni alle quali un’entità che si dica cosciente do-vrebbe sottostare. Consideriamo l’introspezione ela riflessione. Normalmente si ritiene che la rifles-sione – cioè quella sorta di presenza a se stessi checonsiste nell’agire, pensare o percepire sapendoche si sta pensando, agendo, percependo (ma siveda anche poco oltre) – sia un gradino verso lacoscienza vera e propria. Tentandone un’indaginepuramente neurologica, Damasio de$nisce questostadio «coscienza nucleare», mentre de$nisce «au-tobiogra$ca» la coscienza dispiegata nella quale sicompie l’introspezione consapevole. Ma l’introspe-zione si compie a condizioni meno stringenti di quel-le che rendono possibile la riflessione. Se un pen-siero è un processo nel quale possiamo identi$ca-re un contenuto, ad esempio un puntatore a un al-tro processo o elemento di conoscenza, un pensierointrospettivo è un processo il cui contenuto è un pro-cesso che si sta svolgendo nel sistema medesimo, oche vi si è svolto (il contenuto è allora una tracciamnestica, il che rende contigue l’introspezione e ilrichiamo dalla memoria).Certamente il processo introspettivo non è di sem-plice realizzazione, tuttavia esiste già, ed è persinocommercializzato, in quegli artefatti computaziona-li – i sistemi operativi – che danno conto del pro-prio stato o esplicitamente si modi$cano in vista diuno scopo in un ambiente che varia.Ben diverso il caso della riflessione, che la nostraesperienza fenomenologica ci suggerisce essere un

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monitoraggio disatteso, anche se richiamabile a pia-cere, del processo primario (se esperisco consape-volmente il cielo azzurro non sto intrattenendo ilpensiero di star facendo esperienza del cielo azzur-ro: quella sarebbe introspezione, magari coscien-te, ma diversa dall’esperienza primaria del cielo az-zurro). Pertanto il processo riflessivo deve esserecostruito in modo che nella sua attività occorra in-tegralmente il processo stesso. Diversamente dallasoluzione gödeliana, nella quale l’ente autoreferen-ziale contiene non se stesso, ma un nome di se stes-so (ciò che risulta essere possibile attraverso la fun-zione di sostituzione e la numerazione gödeliana),nel caso della riflessione: a) il nome solo non ba-sta, perché l’esperienza del nome e l’esperienza delprocesso medesimo sono due cose ben diverse, epresumibilmente l’esperienza si realizza, o consi-ste, nel fluire del processo; b) l’eventuale ricorso al-la valutazione del nome – rivivere il processo – por-ta a una ricorsione non terminante. Benché certepatologie coattive mettano in evidenza lo scatenar-si di una ricorsione incontrollata, normalmente ciònon accade e quindi si rimane ingabbiati da unaparte dalla necessità di un auto-inglobamento tota-le – una mise en abîme completa e in$nita che nean-che Escher è mai riuscito a realizzare –, dall’altradalla conseguente violazione del principio di iden-tità, in quanto un ente materiale non può essereidentico a una sua parte.Si badi che tutto ciò non vuole presentarsi comeuna teoria della coscienza: spero di non peccare diquel peccato che ho denunciato qualche riga sopra.

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Anche se in ambito algoritmico questo problemapotesse venir trattato (si vedano le osservazioni al-la $ne dei commenti al par. 8), rimarrebbe pur sem-pre il passo più lungo: come e perché l’esperienza sirealizza, o consiste, in processi che nella prospet-tiva scienti$ca e $loso$ca attuale appaiono mate-rialmente impossibili e meta$sicamente contraddit-tori| (Propongo di leggere in questa chiave i passidella sesta Meditazione che portano Cartesio a con-cludere, mancandogli la conoscenza degli algorit-mi come entità autonome, che la mente non puòessere extensa).

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Il nodo di tutti gli assalti al mentale sferrati da una ba-se $sico-algoritmica (nonché di quelli neurobiologici) ri-siede nel problema della soggettività consapevole. Gli al-tri trattamenti del mentale presuppongono una conni-vente familiarità con esso.

Sembra che la mente sia immateriale. Questa con-cezione pare ripresentarsi in ogni cultura, a comin-ciare da quella occidentale. Si considerino la res co-gitans del dualismo cartesiano, l’anima della Scola-stica, gli enti intenzionali come trattati dalle leggipsico$siche recenti (Chalmers, Koenderink), e poi,in ordine sparso, la psiche, gli ordinamenti giuri-dici, la responsabilità, la libertà, le dichiarazioni deidiritti di questa o quella classe di entità – per esem-pio i primati non umani –, solo apparentemente e-

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saurite nella loromaterialità. Nel-la sfera dell’im-materiale vengo-no fatti rientrare,d’abitudine, en-ti inerti o passi-vi, cioè pensati:concetti, univer-sali, forme astrat-te, numeri e cosìvia, insieme a en-ti attivi, cioè pen-santi: anime, spi-riti, coscienza, an-geli, Dio. (C’è quiuna qualche as-sonanza tra gli«immateriali iner-ti» e i contenutidel ben noto Mon-do3 di Popper. Sepoi gli «immate-riali attivi» asso-miglino agli abi-tanti del Mondo2di Popper è assai

più discutibile). Gli immateriali inerti non sembra-no esistere in forma autonoma, e le loro asserite ca-pacità causali possono sempre essere sciolte con at-tribuzioni di causalità al parlante/pensante che liha menzionati o ad altri enti materiali connessi,sintatticamente o referenzialmente, al nome del-

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l’immateriale stesso. Per fare solo un esempio, «lasua bellezza lo affascinò» viene sciolto nelle rea-zioni neurobiologiche scatenate dall’analisi, presu-mibilmente visiva, della forma della donna. La pa-rola «bellezza» è un mero codice linguistico perindicare una catena causale complessa, ma epi-stemicamente innocua. Naturalmente si tratta diun’operazione di codi$ca del tutto inconsapevole,il cui funzionamento risale a fasi animistiche, mapersistenti nella cultura della società – nella Greciadi Omero, secondo Onians, parole come pneûma,phrén, thymós denotavano sia parti o funzioni delcorpo umano, sia le corrispondenti potenze im-materiali.Sappiamo che Snow parlava di due culture – ma laseconda, quella scienti$ca, in realtà non esiste.Esiste solo la cultura umanistica, la Kultur. Un let-terato, un $losofo, un critico d’arte non può nonessere colto, mentre per l’uomo di scienza esserecolto è irrilevante (come pure lo è, stranamente,per l’artista visivo, o per il musicista). Perché| Per-ché nella scienza la fruizione in prima persona deicontenuti è superflua. Se un risultato scienti$co vie-ne percepito come «bello», oppure viene contem-plato, la cosa sotto il pro$lo operativo e sociale èirrilevante. Non così in ambito umanistico, dove icosiddetti valori, cioè le fruizioni in prima personadei contenuti oggettivi, sono cruciali per l’econo-mia sociale del milieu colto. E allora il punto nonè fondere le due culture, ma raggiungere un obiet-tivo forse più modesto – recuperare alla Kultur icontenuti scienti$ci. Alcuni esempi. Il Mann ohne

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Eigenschaften di Musil una caratteristica, almeno u-na, ce l’ha: è un matematico. C’è chi fa critica d’ar-te usando non solo le forme nello spazio delle im-magini, ma anche quelle nello spazio coniugatodelle frequenze. Zeki da anni lavora a un’interpre-tazione dell’esperienza estetica visiva in terminineurocognitivi. Senza una formazione scienti$canon si possono gustare appieno le non poche pa-gine in cui Gadda dimostra di essere, innanzitutto,un ingegnere.La cultura umanistica è strutturata in modo tale danon dover tematizzare la differenza tra prima e ter-za persona: la distinzione certo non le è estranea,ma non ne tocca i gangli vitali. I due punti di vistaconvivono senza attriti distruttivi. Non così per lascienza, che nasce e per quasi tre secoli si sviluppaesclusivamente in terza persona. I primi, grandio-si scostamenti da questo regime avvengono con-temporaneamente nel 1905, quando in meccani-ca quantistica e nella relatività la prima persona en-tra nella descrizione in terza persona, mentre la psi-coanalisi promuove l’indagine in terza persona del-la fenomenologia della prima persona. Pochi annidopo emerge l’evidenza che la crisi dei fondamen-ti della matematica dipende in modo cruciale dauna situazione analoga, e il lavoro di Gödel per-mette, con le ben note conseguenze, l’introduzionedi una sorta di punto di vista in prima persona nel-lo studio dei sistemi logico-algoritmici (codi$candonel metalinguaggio il sistema dall’interno del siste-ma stesso). Naturalmente, non è questa la sede perdar conto delle complesse relazioni tra autorefe-

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renzialità, riflessione e rapporti in prima e terzapersona (si vedano anche i commenti al par. 1).Ora, l’esistenza autonoma di enti immateriali atti-vi è il nodo tuttora irrisolto. La connivenza cui si èfatto cenno risiede nel presupporla non, ovviamen-te, come fatto esperienziale insopprimibile, ma co-me una datità conoscitivamente accertata. Se ci sipensa, Cartesio e Husserl hanno voluto affrontareproprio questa esigenza di rigore intellettuale.

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Tutto quello che accade nel mentale dipende dall’esisten-za prioritaria di una qualche soggettività. La situazioneè però molto diversa da quella che si presentò nelle fasiiniziali della meccanica quantistica.

È chiaro che mentre la mente può studiare moltienti diversi, fra tutti gli enti solo la mente può stu-diare la mente. L’asimmetria non è banale quantoappare al senso comune, perché in linea teoricapotrebbero esistere varie specie del genere mente:umana, di primate non umano, angelica, di mam-mifero, arti$ciale, consapevole, risvegliata (nel sen-so dell’ascesi indiana), risvegliata (nel senso dell’a-wareness anglosassone), e così via, e alcune di que-ste specie potrebbero conoscerne alcune altre, manon tutte, come nei casi di personalità multiple. I-noltre, alcune specie potrebbero non esistere o coa-lescere nella mente umana – l’unica, francamente, dicui $no ad ora si abbia notizia. Qui non intendiamo

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rivolgere l’attenzione allo studio delle «altre men-ti», né chiederci se la mente arti$ciale sarà funzio-nalmente omologa a quella umana o no. Il puntoche ci interessa è che quando l’oggetto di studiodi una mente è un’altra mente o addirittura la me-desima sorgono circolarità preoccupanti (cui ab-biamo già accennato nel par. 1).Nella de$nizione di informazione proposta, seria-mente, da von Weizsäcker («Informazione è ciò cheviene capito oppure ciò che viene prodotto dal-l’informazione») ritroviamo sia il circolo viziosodella ricorsione non terminante, sia il riferimentoalla soggettività: sta qui l’origine dei problemi del-l’autoriferimento e della tematizzazione del meta-linguaggio che percorrono tutto il Novecento.La millenaria questione se l’idea sia ante rem o postrem certo non sarà decisa qui. Nonostante quantoasserito nel par. 2 sullo scioglimento degli immate-riali inerti, alcuni a priori sembrano ineluttabili.Per esempio la contemplazione dell’aritmetica la-scia perplessi sulla possibilità della naturalizzazionedei numeri naturali.La via qui auspicata è quella di una naturalizzazio-ne metodologicamente inesorabile e al tempo stes-so memore del buon senso. Per esempio i teoricidell’identità, o altre varietà di eliminativisti, forsenon hanno lavorato abbastanza a delineare in modointelligibile cosa potrebbe essere un mondo men-tale totalmente privo di soggettività.Ci si trova come di fronte a un koan: considerare ilsoggetto come la datità primaria donatrice di sen-

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so e anche come la meta di un cammino di spiega-zione che si fonda sulla materia.Fenomeni analoghi furono dibattuti nella primameccanica quantistica e ripresi oggi, in parte ancheper la possibilità di eseguire esperimenti dif$col-tosi. Ma l’interpretazione coscienziale del cosid-detto collasso del pacchetto d’onde nel processodi misurazione, sostenuta per esempio da PascualJordan o E. Wigner e dibattuta nella vasta lettera-tura sul gatto di Schrödinger, oggi appare margi-nalizzata. Certamente una grande acquisizione del-la $sica fu la scoperta fattuale della necessità, chea priori è di natura metodologica e non fattuale, diconsiderare il processo di misurazione alla streguadel processo in esame. Ma la dif$coltà sembra risie-dere piuttosto nella transizione dalla coerenza difase del mondo microscopico alla statistica termodi-namica del mondo macroscopico. E nel perché so-lo il secondo sia accessibile all’esperienza diretta.Purtroppo confusione e super$cialità hanno porta-to alcuni autori a sfruttare erroneamente l’analo-gia epistemica tra meccanica quantistica e coscien-za, con esiti imbarazzanti (si veda anche il par. 9).

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È errore fatale confondere lo studio del mentale presuppo-nendo la soggettività con lo studio del mentale in quan-to soggettività. Si tratta di uno spartiacque intrinseca-mente discontinuo. Studiare il mentale ignorando la sog-gettività equivale a studiarlo presupponendola, ancorchéinconsapevolmente.

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Si ripropone qui il tema della «connivenza». La di-stinzione la cui mancanza qui si lamenta è, di fat-to, la mossa iniziale, e ormai familiare, di ogni pro-cedimento analitico: sono coinvolto anch’io neldominio dell’analisi| (ne abbiamo un esempio incorso nella cosiddetta politica italiana). Per quan-to detto sopra la risposta, in questo contesto, è cer-tamente sì, e quindi vanno prese opportune pre-cauzioni. Per esempio, appena si abbandona il pro-cedurale per abbracciare una «tecnica» denotazio-nale, si introduce surrettiziamente una soggettivi-tà nell’artefatto che si sta studiando: come se la se-mantica esistesse al di fuori di una comunità disoggetti che capiscono consapevolmente! Tutti glisforzi di naturalizzazione dell’informazione, dellaconoscenza, dell’intenzionalità a me noti fallisco-no o, banalmente, per difetti di argomentazione,oppure per petizione di principio, perché – conun’onestà e una chiarezza spesso autodistruttive –vi si presuppone, con Cartesio e Brentano, un aliudquid oltre la materia.

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I considerevoli risultati raggiunti in anni recenti dal «co-gnitivo puro» sono stati ottenuti in una situazione di pru-dente ed esplicita «epoché» della soggettività consapevole:questo è il presupposto che rende impossibile lo sviluppo deltrattamento della consapevolezza in tale direzione.

Il termine epoché che qui compare richiama il lavo-ro $loso$co, profondamente af$ne all’assalto al

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mentale menzionato più sopra, che portò Husserlalla riduzione fenomenologica. Per motivi chenon sono in grado di sondare, è accaduto che laderiva antiscienti$ca del movimento fenomenolo-gico e il suo ancorarsi alla nozione di intenzionali-tà abbiano condotto in primo luogo alla dicotomiatra $loso$a analitica e $loso$a continentale e, perquel che qui ci concerne, all’inimicizia tra la feno-menologia (Dreyfus, Searle e altri) e qualsiasi at-tacco al mentale su base $sico-algoritmica. Eppurealcune analisi fenomenologiche recenti, ma anchequelle di Kohler, della Gestalt, di Merleau-Ponty,sembrano tendere verso le stesse mete dell’intelli-genza arti$ciale o della neurobiologia. Basta riflet-tere, per esempio, alla formulazione del problemadella percezione visiva nel «binding problem», che,com’è noto, tematizza la dif$coltà di capire comegli elementi sensoriali, spezzettati in numerosissimirivoli analitici dal sistema nervoso centrale (SNC),vengano poi ricomposti – dove| come| da chi| – inuna percezione unitaria. C’è un’incomprensionedi fondo originata, forse, dall’ignoranza dei reci-proci risultati e dalla sottolineatura prematura, ec-cessiva e ostentata dei due rispettivi caposaldi: l’og-gettività del simbolo $sicamente realizzato (calcola-bilità effettiva, Physical Symbol System Hypothesisdi Newell e Simon) e il primato dell’intenzionalitàche, sotto il travestimento delle leggi psico$siche,sfocia in una cosmologia animistica. Questi due ca-posaldi sono la manifestazione colta del fenome-no prima persona/terza persona, che appare per-fettamente gestibile nel contesto del senso comune

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e della vita quotidiana, ma presenta quelle interdi-pendenze antinomiche in cui identi$chiamo unodegli aspetti sinora impenetrabili della soggettività.

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Nella maggior parte degli scienziati-cognitivi l’infatua-zione per il calcolatore nasconde l’ignoranza persino diquel poco che si conosce dell’elaborazione simbolica e del-l’algoritmo in informatica.

Siamo qui in presenza di uno di quegli effetti so-ciali non dominati, scaturiti dall’informatica, cui sialludeva nei commenti al par. 1. Il calcolatore siimpone come il $ne dei mezzi, se così si può dire.In altri termini, per qualunque scopo sia necessariauna elaborazione simbolica – o spesso anche in as-senza di necessità – si ritiene che tale elaborazionedebba essere compiuta con il calcolatore (il cosid-detto «computer»). Tuttavia, il calcolatore stesso –in linea con i prodotti della tecnologia avanzata –non si fa dominare da coloro che credono di usar-lo, e ne sono invece largamente usati. Il problema,affrontato in letteratura meno estesamente di quan-to sarebbe auspicabile, è quello dell’homo faber difronte al suo artefatto.

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Questa ignoranza, come pure la scarsa familiarità conla scienza di base – la $sica –, svuota di fatto la cosid-

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detta interdisciplinarità. E pone un problema di strate-gia didattica per lo sviluppo della ricerca futura sullacoscienza.

Le neuroscienze che – giustamente – propongonodi coordinare diverse discipline biologiche nellostudio integrato del processo mentale non si sonoaperte ad altri campi disciplinari. In generale ma-nifestano dif$denza verso il trattamento omoge-neo del biologico e dell’inanimato, e addiritturaostilità verso la nozione di algoritmo, in diretto con-trasto con la loro ispirazione cibernetica.Esiste una posizione di prima persona «sociale» checonsiste nel partecipare alle votazioni «credendo-ci», nel prendere per vero il contenuto esplicito delcontratto sociale o, in presenza di un minimum discetticismo, nel considerarlo auspicabile, dovero-so e così via. Ovviamente le cose non stanno così,ma c’è a dir poco una forte riluttanza a guardarerealmente il mondo sociale ed economico, per tace-re di quello politico, in terza persona. Pochi l’han-no fatto – certamente Marx e, di recente, Bateson,con il suo uso singolare dell’ideologia cibernetica.Questa temperie stinge su tutte le scienze cosiddet-te «soft», e il suo influsso è particolarmente nocivosu medicina e biologia.Pregiudizio e dif$denza non fanno predisporrel’opportuna didattica, la cui mancanza genera asua volta ignoranza e dif$denza. Il problema è a-nalogo a quelli, per esempio, dello sviluppo auto-nomo del Terzo Mondo o del superamento degliintegralismi cristiani e islamici. Sorge inopinata-

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mente, in ambito scienti$co, il problema della di-versità. La diversità è la base del razzismo o la metadella tolleranza| (Aporia della tolleranza: non può/deve tollerare l’intolleranza). E che ruolo può ave-re la diversità in un luogo in cui (ci) si (illude di)persegu(ir)e la verità| Come mai nell’intelligenzaarti$ciale, negli studi sulla coscienza, nella scienzacognitiva, sussistono scuole di pensiero diverse – e-liminativista, connessionista, misteriana, simbolico-computazionalista, A-Li$sta – tutte volte a indagaree denunciare come e perché le altre sbaglino e per-ché, attenzione, il loro metodo sia quello giusto|È auspicabile la creazione di lauree specialistichee dottorati che, a partire da una base scienti$cagenerica (matematica, logica, informatica, $sica,biologia), costruiscano l’interdisciplinarità all’in-terno dei singoli individui, anche in mancanza diuna disciplina uni$cante. A questo proposito, nonposso dimenticare la mia formazione prima nelGruppo di Cibernetica, creato da Eduardo Caia-niello presso l’Istituto di Fisica teorica dell’Univer-sità di Napoli – dove chi piantava microelettrodi neltetto ottico delle rane comunicava con chi scrivevaquadruple di macchine di Turing o regolava con po-tenziometri le connessioni di reti neuroniche –, epoi presso il programma in Communication Sci-ences della University of Michigan, presto «evoluto»in Dept of Computer Science, dove mi furono fat-te studiare linguistica, psicologia sperimentale, me-tamatematica, teoria dell’informazione. Esempi diquei tentativi di breve durata menzionati all’inizio.

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L’elaborazione simbolica è insieme strumento e argomen-to di studio. Si studia la mente insieme alla natura del-l’algoritmo. Le divisioni oggi in voga fra simbolico, neu-rale, sistemico, e così via, derivano da una lettura super-$ciale che sceglie di ignorare il problema ancora inson-dato del fondamento materiale dell’algoritmo.

Nelle formule dei manuali (il Rogers, tanto per fa-re un nome) l’algoritmo si presenta come un’enti-tà matematica ben de$nita, con istruzioni, ordina-menti, esecuzioni... Ah, esecuzioni. In un algorit-mo i collegamenti del mentale con il $sico sonoassai più complessi di quelli, pure assai oscuri, delnumerale con il numero o del simbolo con la cosasimboleggiata, perché l’algoritmo non è solo mate-riale – il problema della circoscrizione dell’effet-tività tematizzato nella Tesi di Church-Turing –,ma attivo. Un momento: è attivo l’algoritmo, chein fondo dovrebbe essere un ente astratto, o il pro-gramma, indubitabilmente materiale| In aperturadel suo libro Vision, e introducendo la sua inter-pretazione del processo visivo, Marr propose di di-stinguere fra l’algoritmo in senso astratto o intuiti-vo e le sue possibili realizzazioni materiali nei pro-grammi – distinzione che sembra richiamare quel-la tra enunciato e proposizione. Ma nell’ambitodella semantica dei linguaggi di programmazione,la semantica denotazionale indica come ente di ri-ferimento dell’oggetto «scrittura programma» unafunzione, e non l’algoritmo di cui la «scrittura pro-gramma» doveva essere presumibilmente un «nu-

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merale». Proposta operativa: considerare le locu-zioni «algoritmi», «programma» e «procedura effet-tiva» come sinonimi che denotano un’entità dallafenomenologia straripante, molto vicina al mondomentale ma radicata nella materia. Rientrerebbe-ro così negli algoritmi i programmi Lisp, le CPU,le api bottinatrici quando eseguono o interpreta-no la loro tipica danza, le reti neurali di Aplysia, ilsoftware in genere.Il radicamento nella materia va poi consideratosotto due pro$li. Da una parte si devono demarca-re gli enti materiali che sono (sede di) procedureeffettive (per irridere il funzionalismo, ameni $lo-so$ hanno «dimostrato» che una parete muraria èun automa $nito); dall’altra occorre de$nire le pro-prietà $siche di tali enti in termini di dissipazioneenergetica, reversibilità, e così via, che è ciò di cuisi occupano Landauer, Bennett e altri. E qui va de-cisa la natura della materia algoritmica: è continuao discreta| Nel caso delle reti neuroniche arti$cia-li, che Kleene ha dimostrato essere algoritmi in unacerta loro varietà originaria, si è ad esempio pen-sato che la continuità ne arricchisse la natura.E se l’ipotesi algoritmica della mente deve soprav-vivere, un problema in merito alla coscienza, nonancora tematizzato e analogo a quello dell’unitàpercettiva o «binding problem», è posto dalla perce-zione del primo dei continui fenomenologici (quinel senso proprio della $loso$a fenomenologica),cioè del tempo. Forse, nello spirito di Bergson, lacoscienza si può identi$care con la percezione delpresente: ma che cosa signi$cano esattamente fra-si di questo genere|

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Mentre $n dai tempi della Scolastica la materia èprincipio di individuazione, il problema dell’iden-tità di un algoritmo è tutt’altro che chiaro. Le copiedi un programma pongono lo stesso tipo di pro-blema, e di risposte al problema, dei libri e delle o-pere d’arte (soprattutto dopo le indagini di Benja-min sulla loro riproducibilità), ma gli accessi ri-corsivi (è sempre l’attività dell’algoritmo ad arric-chire le cose), o le invocazioni di un oggetto, o lasemplice rilocazione virtuale di una procedura pon-gono interrogativi al tempo stesso banali e inquie-tanti. Banali perché alla $ne tutto viene risolto conl’uso di pile. Inquietanti perché vi compare seria-mente la nozione di livello, in genere fuorviante inquanto usata come una sorta di panacea per moltienigmi meta$sici (si pensi, per esempio, alla recen-te invenzione $loso$ca della supervenienza). Ora,de$nire cosa sia letteralmente un livello, al di quadel suo valore metaforico – tranquillizzante perchéfondato sulla nostra dimestichezza con il campo digravità –, è generalmente dif$cile quanto la situa-zione «spiegata» dall’uso della parola livello.La problematicità del concetto di identità per laprocedura effettiva potrebbe essere un buon avvioalla comprensione della coscienza – questa stranacosa in cui ciò che pensa è identico e distinto daciò che viene pensato.

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Non c’è differenza ontologica tra hardware e software. Il «grounding» e la «situatedness» sono false piste, dispe-

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rati tentativi di procacciarsi un’illusione di senso senzaaffrontare il nodo della coscienza. Il nuovo fascino per lamateria occulta una fame di spirito, presente anche al-trove nella società, che però si piega a soddisfacimenti ba-nalmente consumistici, come la New Age. La soggettivitàè legata al sistema nervoso centrale e solo al sistema ner-voso centrale. Il cui collegamento con il mondo – dallacorteccia somatosensitiva verso l’esterno – è fungibile. Lastruttura del sistema nervoso centrale, e soprattutto laforma dell’elaborazione del segnale-simbolo che vi si svol-ge, non lo sono.

In ambito neuropsicologico circola da alcuni annila metafora – ma si tratta piuttosto di una falsa a-nalogia – che propone di considerare il cervel-lo come l’hardware di cui la mente sarebbe il soft-ware. L’analogia [Es] ist nicht einmal falsch, non ènemmeno erronea, come sembra dicesse il grandePauli delle teorie $siche dilettantesche e cervelloti-che. Infatti la distinzione tra hardware e software, tramacchina $sica e programma, è lungi dall’esserechiarita, e i suoi con$ni sono mobili: basta riflette-re a questa distinzione nel caso di un’architetturabanale con CPU e RAM rispetto ad architetture piùesotiche e ricon$gurabili, per esempio le FPGA.Una possibile interpretazione di tale apparente di-cotomia è quella degli invarianti adiabatici nelsenso di Ehrenfest, o dei moti secolari in meccani-ca celeste, oppure ancora della dinamica seconda,cioè dei parametri invece che delle variabili liberenella teoria delle catastro$. Alcuni sistemi $sici pos-sono essere descritti in (almeno) due riprese suc-

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cessive, e ciò rende assai più intelligibile il sistemarispetto a tentativi direttamente globali. L’esempiopiù noto è quello di due corpi gravitanti in pre-senza di un’altra interazione. In questo caso è fa-cile determinare il moto dei due corpi nel sistemadi riferimento del loro centro di massa e in assen-za dell’altra interazione. Successivamente li si con-sidera concentrati in questo centro di massa, e sistudia il loro comportamento rispetto all’altra in-terazione. (Sole, Terra, Luna. Dapprima Terra/Lu-na come sistema isolato, poi Sole/(Terra+Luna)).L’orbita $nale si ottiene come l’orbita della Lunaattorno alla Terra che si sposta lentamente attornoal Sole (lo studio diretto del sistema a tre corpi,com’è noto, non si dà). Tutto ciò è comunque pos-sibile solo se la velocità dei due corpi sulle loro or-bite è molto maggiore di quella del loro centro dimassa, cosicché il moto di quest’ultimo «pertur-ba» di poco la forma delle orbite.Ora, l’hardware sarebbe la parte della dinamica avariazione più lenta, il software quella rapida, disuper$cie. L’esecuzione di un programma sarebbeassimilata all’orbita del pianeta a parametri dina-mici congelati, quella dell’hardware – per esempiol’evoluzione del repertorio di istruzioni di macchi-na (transizione a macchine RISC, ecc.) – darebbeluogo a un fascio di esecuzioni assimilabili alle va-riazioni secolari delle orbite planetarie sotto di-versi influssi perturbativi. Nella prassi informatica,è il problema della «upward compatibility».Ma nel modesto arsenale matematico della teoriadella calcolabilità non abbiamo strumenti potenti

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e generali quanto quelli della $sica matematica, eanche questa interpretazione – che deriva da una«Adiabatic learning hypothesis» formulata da Caianiel-lo nel 1961 per le reti neuroniche – va presa conmolta circospezione. Il suo punto nodale è comun-que la sottolineatura del fatto che, nella prima ri-duzione meta$sica – quella contro cui ex post oggimolti si scagliano pur tranquillamente vivendone –,hardware e software sono entrambe entità mate-riali. E dal momento che non si sa con precisionecosa sia un algoritmo, le loro differenti fenomeno-logie sono ardue da dipanare quanto quelle del cer-vello e della mente.Eppure si continua a insegnare – credo a ragione –che il mondo della elaborazione simbolica è stra-ti$cato in livelli. In tale contesto, non a caso, sipuò dare una de$nizione accurata di livello in ter-mini di macchina di Turing universale. Il più bas-so è l’hardware, quelli intermedi sono il sistemaoperativo, l’interprete, e così via (si vedano i com-menti ai parr. 8 e 11), mentre il più alto è il top levelche tutti conoscono. Le relazioni tra questi livellisono omologhe tra loro e danno luogo al concettodi virtualità. Ciò potrebbe rivelarsi una chiave uti-le per l’interpretazione di quegli enormi spazi dilavoro (reminiscenze del lavoro di Baars|) che so-no le cortecce associative. Non potrebbe essere in-teressante considerare il tessuto nervoso sede diprocessi che sarebbero gli «hardware virtuali» ap-propriati alla – straordinariamente diversi$cata –attività cerebrale|Evitando analogie semplicistiche, i neuropsicologi

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di cui sopra eviterebbero anche il riferimento, as-sai più ambiguo e deleterio, alla sussistenza di unadualità mente-spirito, che immancabilmente com-pare quando si propongono spiegazioni del gene-re obscurum per obscurius. (Un altro luogo topico diqueste dubbie procedure si riscontra nelle elucu-brazioni sulla mente alla Penrose, o alla Hameroff,che chiamano in causa la meccanica quantistica ol’inesistente teoria della gravità quantistica).I tentativi di costruire senso ancorando ambigua-mente le strutture algoritmico-simulative – per loronatura effettive, quindi materiali (si vedano i parr.8 e 9) – una seconda volta nella materia sono unregresso considerevole nel processo di chiari$ca-zione della soggettività. Una dimestichezza men chesuper$ciale con la $sica teorica svela infatti la pro-fonda oscurità del concetto di materia.Il senso si ha solo nella «middle distance» ontologica,per usare una frase suggestiva di Brian C. Smith.Harnad, Brooks e altri ancora incappano in unapetitio principii usando nello smontaggio analiticodel senso comune un materiale concettuale tipicodel senso comune, la cui saldezza addirittura pro-viene dalla solidità esperienziale della materia, giàlargamente contestato $n dall’antichità classica eil cui superamento costituisce uno dei successi delmoderno. Un’altra possibile donazione di senso èquella inerente alla fenomenologia husserliana,che per essersi allontanata dallo spirito scienti$cocostituisce tuttavia un tassello affascinante, ma nonimmediatamente integrabile nel mosaico delle co-noscenze sulla mente.

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La materia invocata nel grounding sembra essere unprincipio fondante, che riaf$ora da qualche co-smologia «alla Giordano Bruno» per contrapporsiall’«algoritmo». (C’è qui qualche analogia con l’e-levazione della materia biologica di cui fa usoSearle). Ciò che a noi interessa non è tanto la ma-teria come principio fondante, ma quella comunemateria di cui è interessante conoscere come sicomporta nel SNC, e non nell’ambiente – ambien-te al quale in ogni caso il SNC risulta somatotopi-camente connesso, e che è da esso (SNC) «rap-presentato». Be’, non rappresentato, perché aparte microelettrodi, PET, SQUID o fMRI, non c’ènessuno che guardi l’attività materiale del SNC ene possa fruire come se «rappresentasse» l’am-biente. Il quale ambiente, peraltro, è largamentecoinvolto nel funzionamento del SNC attraverso lecodi$che neurosensoriali e neuromotorie.

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Con poche eccezioni, che riguardano lo studio della per-cezione e dell’elaborazione visiva, la neurobiologia conti-nua a ignorare come i segnali neurali vengano elabora-ti. Tutt’al più prende in considerazione l’intensità della«segnalazione» neurale e, spesso appiattendo lo studiodinamico su quello anatomico, non immagina neppurela smisurata ricchezza che può separare una proceduradalla sua esecuzione. Ciò è causato dall’ignoranza o dal-la dif$denza istituzionali – in quanto determinate dallastruttura dell’attuale processo formativo – della e versol’informatica e, più in generale, l’elaborazione simbolica.

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Dalla nascita della cibernetica, verso la $ne degli anniQuaranta, a oggi, nessun centro di ricerche ha mai in-trapreso un progetto di dimensioni veramente vaste. Incompenso, spesso si è lamentata l’inettitudine della tec-nologia rispetto alla raf$natezza della «natura», purnella constatazione di una crescita imprevista delle ca-pacità tecniche, che oggi permetterebbero la costruzione dimacchine confrontabili quantitativamente con il sistemanervoso centrale. Ma perché non sono stati intrapresiprogetti simili a quelli per acceleratori di particelle, lamappatura del genoma, le sonde spaziali, il telescopioHubble, o i quarantennali – e peraltro fallimentari –tentativi di ottenere la fusione termonucleare controlla-ta| Per mero terrore, come ha $nalmente detto Minsky inun messaggio a una lista in rete l’11 ottobre scorso| Que-sto progetto avrebbe dovuto tentare la realizzazione, conqualunque metodologia, di una entità arti$ciale perci-piente e senziente. Sarebbe stato l’unico modo per renderematuro il cosiddetto metodo simulativo, a tutt’oggi al-quanto privo di riscontri sperimentali.

Che risorse ingenti siano state investite nell’infor-matica e nelle sue applicazioni non legate all’in-dustria, al commercio o all’intrattenimento è cosaovvia. Per fare solo un esempio di applicazioni «in-terne» e scienti$che, si pensi agli strabilianti risul-tati nel trattamento dell’immagine visiva, alle sva-riate forme di tomogra$a, oppure alle capacità deimotori di ricerca, che sembrano talvolta superarele capacità di associazione mentale dell’uomo. E,

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in chiave un po’ diversa, alla nascita di un atteg-giamento intenzionale – alla Dennett, ma reale –verso le macchine, assieme al manifestarsi nei pro-grammi di tratti, voluti o «accidentali», nettamentepsicologici: tutti sottoprodotti del lavoro in HumanComputer Interaction.Il rammarico è piuttosto rivolto alla mancanza diuna ricerca concentrata sulla conferma di ipotesi,teorie o intuizioni ancora fluide, come invece acca-de, con più o meno successo, negli esempi citatisopra. Se ne sente parlare da sempre, ma appuntosoltanto parlare. La sensazione di chi ha alle spal-le quattro decenni di frequentazione e meditazio-ne nel campo è quella di una specie di Gioco dell’O-ca nel quale, in modo inopinato ma sistematico, siviene ogni volta retrocessi alla casella n. 1, e si è co-stretti a ricominciare tutto daccapo.L’attuale ripresa dalla casella n. 1, dove si passadalla locuzione «intelligenza arti$ciale» a quella«scienza cognitiva», trae speranza da parole comeneurocomputing, softcomputing, agenti intelligenti, sit-uatedness, A-Life, XML, grounding, dall’abbando-no, spesso non motivato, di altre parole quali fun-zionalismo, Soar, retroazione, Information proces-sing psychology, e dalla promozione – quantome-no sul piano tecnologico – di altre ancora, cometheorem proving, rappresentazione della conoscen-za, percezione e, in$ne, emozione. I meccanismiche collegano – o secondo Damasio identi$cano –quest’ultima con la coscienza nucleare sfuggonoperò all’indagine e alla simulazione. Francamentenon si sa da dove cominciare a costruire un arte-

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fatto come quello la cui mancata realizzazione hoappena lamentato. Forse la vera causa di questastasi è l’assoluta mancanza anche solo di un puntodi partenza per affrontare l’abisso che divide la co-scienza, sede della prima persona, dal resto delmondo. Per tacere della percezione del dolore, aproposito della quale l’indagine algoritmico-neu-rologico-funzionalista è ancora ferma a Dennett.La soggettività o coscienza vive poi una sua vita ric-chissima di parole, come accennato all’inizio, inun suo mondo $loso$co e neurologico senza con-tatti, anzi quasi ostile all’informatica.In realtà, se volessi riassumere questi quattro decen-ni di assalti alla mente, direi che il processo cono-scitivo si sta svolgendo autonomamente, senza unprogetto euristico consapevole. La «crescita impre-vista delle capacità tecniche» appena menzionatanon si è certo realizzata da sola. È l’esito, oltre chenaturalmente dell’interesse mercantile, anche del-la seguente mossa, più volte ripetuta nel mondo in-formatico: quando non si sa fare qualcosa si passaa preparare un ambiente generico (qui, come an-che nella nozione di virtualità, si avvertono disat-tese ombre teoriche delle numerazioni gödeliane),nel quale, come non è chiaro, sarà più facile farlo.Da mosse simili sono nati negli anni Cinquanta i lin-guaggi ad alto livello e poi i sistemi operativi, i si-stemi di gestione delle basi di dati, la programma-zione logica e così via. È da notare che si tratta dimosse diverse dal semplice – si fa per dire – mi-glioramento di un sistema dato. Ad esempio nelsettore «hard» – sì, ci sono differenze tecnologiche

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tra «hard» e «soft» – il cablaggio di una intera mac-china universale (CPU) su un solo chip o il rad-doppio della memoria per area di wafer ogni tantianni sono «semplici» miglioramenti. Viceversa, al-l’unico sgambetto mai tentato nel settore «hard»,le strutture parallele, è toccata una storia di succes-so analoga a quella del reattore a fusione termo-nucleare controllata.Molti risultati di questa crescita volta alla sostitu-zione arti$ciale delle attività mentali o alla lorosempli$cazione e al loro incremento, realizzati ascopo di lucro, presentano un enorme interesse co-noscitivo. In altri termini, il programma mai scrit-to dell’intelligenza arti$ciale si sta realizzando nongrazie a sforzi intenzionali, ma come effetto colla-terale del processo tecnico-industriale. Un fenome-no analogo si realizzò tra gli ultimi decenni del Set-tecento e i primi dell’Ottocento, quando lo svilup-po impetuoso delle macchine termiche precorse dimolti anni la teoria termodinamica. Forse la storiasi sta ripetendo|Che la scienza cognitiva si «riappropri» dunque diquesti risultati, servendosene per rilanciare, piùconsapevolmente, la sua indagine.

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Attratto per natura dagli artefatti – orologi, ferrovie,congegni ottici e acustici – Giuseppe Trautteur ha com-piuto studi di $sica. Attualmente, ma da sempre, lavo-ra all’ipotesi algoritmica per discernere, se c’è, l’articola-zione fra mente e materia.

© 2002 adelphi edizioni s.p.a.

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