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Sezione pre-protostorica Chiave di lettura La sezione pre- protostorica del Museo Archeologico Provinciale di Potenza include una scelta di reperti ascrivibli ad un arco crono - culturale compreso tra il Paleolitico e il Bronzo Finale (550.000 / 500.000 anni fa circa – 1.100/1.000 a. C.), provenienti dall’area del Bacino di Atella -Vitalba, da Filiano – Tuppo dei Sassi, dalle Grotte in località La Calda di Latronico e da Oliveto Lucano. Il percorso espositivo è organizzato (sulla base del progetto della Cooperativa archeologica “Archè”, che operò all’interno del Museo negli anni Novanta), secondo un criterio topo-cronologico ed articolato in tematiche o sezioni “trasversali” alla dimensione spazio-temporale, che consentono, non soltanto di percepire e leggere i reperti in senso diacronico o geografico, ma di coglierne anche le tipizzazioni culturali e i processi di evoluzione tecnologica, strettamente legati a quelli antropologici e naturalistico-ambientali Le tre tematiche, definite come antropico-naturalistica, spirituale e tecnologica, forniscono all’osservatore un’ulteriore chiave interpretativa del cammino dell’uomo preistorico e delle sue relazioni con l’habitat, evidenziando le associazioni tra manufatti e attività legate alla sussistenza, tra tecniche e forme sempre più organizzate di sfruttamento dell’ambiente e di definizione dei ruoli all’interno dei gruppi (sia per il procacciamento delle risorse che per la loro conservazione), tra tipi di materiali e sistemi di scambio (anche di idee), tra contesti e manifestazioni cultuali, rituali e artistiche.

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Sezione pre-protostorica

Chiave di lettura

La sezione pre- protostorica del Museo Archeologico Provinciale di Potenza include una

scelta di reperti ascrivibli ad un arco crono - culturale compreso tra il Paleolitico e il Bronzo

Finale (550.000 / 500.000 anni fa circa – 1.100/1.000 a. C.), provenienti dall’area del

Bacino di Atella -Vitalba, da Filiano – Tuppo dei Sassi, dalle Grotte in località La Calda di

Latronico e da Oliveto Lucano.

Il percorso espositivo è organizzato (sulla base del progetto della Cooperativa

archeologica “Archè”, che operò all’interno del Museo negli anni Novanta), secondo un

criterio topo-cronologico ed articolato in tematiche o sezioni “trasversali” alla dimensione

spazio-temporale, che consentono, non soltanto di percepire e leggere i reperti in senso

diacronico o geografico, ma di coglierne anche le tipizzazioni culturali e i processi di

evoluzione tecnologica, strettamente legati a quelli antropologici e naturalistico-ambientali

Le tre tematiche, definite come antropico-naturalistica, spirituale e tecnologica,

forniscono all’osservatore un’ulteriore chiave interpretativa del cammino dell’uomo

preistorico e delle sue relazioni con l’habitat, evidenziando le associazioni tra manufatti e

attività legate alla sussistenza, tra tecniche e forme sempre più organizzate di

sfruttamento dell’ambiente e di definizione dei ruoli all’interno dei gruppi (sia per il

procacciamento delle risorse che per la loro conservazione), tra tipi di materiali e sistemi

di scambio (anche di idee), tra contesti e manifestazioni cultuali, rituali e artistiche.

a) Sezione antropico-naturalistica (vetrine n. 1, 2)

Le testimonianze antropico-naturalistiche di questa sezione pongono in evidenza le

associazioni tra le attività dei gruppi umani della facies culturale del Paleolitico Inferiore e

gli elementi caratterizzanti di specifici contesti ambientali ascrivibili al Pleistocene Medio

(Bacino di Atella, ,Terranera di Venosa). Tali elementi sono riscontrabili nei resti fossili

esposti di elefante, ippopotamo, iena, orso, rinoceronte,cavallo, che fanno ipotizzare

uno scenario naturalistico molto diverso da quello attuale, dominato dalle glaciazioni

pleistoceniche e dagli interglaciali e caratterizzato da vari fenomeni (incremento rilevante

dell’attività eruttiva del Vulture, costituzione dell’antico bacino lacustre di Atella, suo

successivo svuotamento, massicce migrazioni di grossi mammiferi).

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In questo contesto si colloca l’Homo Erectus una forma di ominide in grado di fabbricare

strumenti litici molto semplici e al quale si riferiscono i reperti esposti. Le sue interazioni

con l’habitat sono legate, essenzialmente, alla sopravvivenza e alla ricerca di sistemi per

procacciarsi cibo. L’economia di sussistenza, pertanto, si basa sulle attività di caccia lungo

le rive del paleolago, dove, secondo quanto attestano le evidenze archeologiche, i grossi

mammiferi si recano in branchi per abbeverarsi. Una probabile strategia di caccia è quella

di spingere il capo del branco isolato verso l’interno del lago, nel quale resta impantanato

senza possibilità di uscirne, con una successiva e conseguente morte per sfinimento nel

tentativo di liberarsi dal fango.

Gli strumenti litici associati ai resti di animali cacciati con una certa frequenza sono le

amigdale, a forma di mandorla, usate come armi da lancio, ma sono presenti anche

grattatoi e altri attrezzi utilizzati per la macellazione. Le tecniche o industrie, che

scandiscono la facies culturale del Paleolitico Inferiore sono la Acheulana, consistente in

una lavorazione su ciottolo spesso con ritocchi sommari anche su entrambe le facce

(bifacciali) e la Clactoniana con una produzione su scheggia.

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Sezione spirituale (vetrina n. 3)

I reperti esposti in questa sezione, ascrivibili alle facies culturali del Paleolitico Medio,

Paleolitico Superiore e Mesolitico nell’area del Bacino di Atella-Vitalba, lasciano percepire

un’evidente evoluzione tecnologica e tipologico-funzionale.

Si arricchisce, infatti, il ventaglio delle classi di manufatti litici e di altri materiali come

l’osso e il legno, ma si amplia anche l’orizzonte dei loro ambiti di utilizzo, che non sono più

soltanto i contesti legati al soddisfacimento dei bisogni primari, bensì anche quelli

appartenenti alle sfere dell’affettività e della creatività, che si esprimono attraverso le

manifestazioni di culto per i defunti, quelle artistiche delle pitture rupestri e quelle, infine,

collegate ai riti magico-religiosi.

L’Homo Neanderthalensis, l’Homo Sapiens e l’Homo Sapiens Sapiens sono i

protagonisti del Paleolitico Medio, Superiore e Mesolitico, individui in grado di realizzare

strumenti più complessi, efficaci e diversificati attraverso tecniche di lavorazione meditate

e non più spontanee e casuali, che discriminano orizzonti cronologici nell’ambito delle

stesse facies culturali di appartenenza. ll repertorio litico esposto include bifacciali, punte,

raschiatoi, bulini, becchi, grattatoi, semilune, dorsi, denticolati, realizzati con tecniche

perfezionate (Levallois, industria su lama, microbulino), caratterizzanti l’industria

musteriana del Paleolitico Medio, la castelperroniana e l’aurignaziana del Paleolitico

Superiore, quella dei microliti e dei geometrici del Mesolitico. Gli uomini possiedono un

elevato psichismo e sono alla continua ricerca del rafforzamento dei legami affettivi tra

individui, comunità e ambiente circostante, del quale percepiscono la ciclicità, il dinamismo

(espresso nelle pitture rupestri). Si identificano con i codici di relazione del gruppo di

appartenenza e sono radicati alla continuità e ripetitività di comportamenti socialmente

approvati, tramandati e diffusi anche ritualmente, necessari allo svolgimento di azioni

individuali sincronizzate con le azioni comuni, al fine di garantire la sopravvivenza del

gruppo stesso, rinnovando un rapporto di armonia e magico- propiziatorio con la natura.

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Sezione tecnologica (vetrine n. 4, 5,6)

Attraverso i reperti di questa sezione (provenienti dal complesso delle Grotte di Latronico,

e da Oliveto Lucano) si illustrano l’evoluzione tecnologica e culturale del Neolitico,

dell’Eneolitico e del Bronzo, sebbene risultino delle lacune, dal punto di vista dei materiali,

che non consentono una percezione totale di continuità tra tutte le fasi.

Questi orizzonti culturali appaiono caratterizzati dalla “specializzazione tecnologica” e “del

lavoro” oltre che dall’innovazione, ossia dalla capacità di sperimentare nuovi materiali e

nuove tecniche, ma, soprattutto, di teorizzare, formalizzare e definire delle regole di

produzione; gli individui dotati di queste particolari abilità cominciano ad avere un ruolo

sociale distinto. Nascono gli artigiani, dapprima itineranti, in seguito stabili nell’ambito

della comunità di appartenenza, ma sempre proiettati verso altre aree geografiche per

ricercare nuovi materiali, confrontarsi, scambiarsi idee. Questo dinamismo si riflette anche

nell’economia, nell’arte, nel rituale funerario, nell’organizzazione insediamentale e sociale

delle comunità neolitiche e delle età dei metalli.

La caratterizzazione tecnologica del Neolitico è data dall’introduzione delle lavorazione

della ceramica (con decorazione impressa e quella dello stile Serra d’Alto e Diana), della

pietra levigata e dell’ossidiana, con una produzione sempre più diversificata di oggetti di

uso quotidiano, personale e di prestigio.

Con l’Eneolitico (nel corso del quale continua la lavorazione della pietra levigata) e il

Bronzo la specializzazione emergente è la metallurgia, consentendo agli artigiani di

occupare un posto ben definito nella società. La nuova tecnologia, infatti, richiede alti livelli

di padronanza tecnica per la realizzazione delle leghe, le cui composizioni variano a

seconda delle classi di oggetti. Anche la ceramica subisce un’evoluzione tecnologica con

l’introduzione del tornio, che consente una sorta di produzione in serie. Gli esemplari

esposti (Eneolitico, Bronzo Medio, Bronzo Finale) presentano caratteristiche (in forma e

decorazione) tipiche delle facies culturali di appartenenza.

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La preistoria e la protostoria in Basilicata.doc

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Pre-protohistoric section

How to read it

The pre-protohistoric section includes a selection of archaeological finds that can be ascribed to a chrono-cuktural period extended from Paleolithic to Late Bronze Age (550.000/500.000 years ago- 1.100/1.000 B. C.) coming from the Atella-Vitalba area, Filiano-Tuppo dei Sassi, from the La Calda Caves near Latronico and Oliveto Lucano.The exhibition is based upon the project by Archè, an archaeological association who worked in this Museum in the nineties, and follows a topo-chronological criterion structured into cross themes or sections which not only enable to chronologically and spatially sense and read the finds, but also to catch their cultural standardizations and their technological evolutionary processes, closely related to the anthropological and naturalistic – environmental ones. The three main themes, anthropic-naturalistic, spiritual and technological, give the observer a further key to understand the journey of prehistoric men and their relationship with the habitat, emphasizing the link between artefacts and subsistence activities, between techniques and more and more structured envinonment exploitation and group role definition forms (in order to either procure food or to preserve it), between materials and trade systems, between envinonment and workship.

Anthropic-naturalistic section (showcases 1 and 2)

The anthropic-naturalistic evidences highlight the links between Lower Paleolithic human activities and Middle Pleistocene specific contexts (Atella area, Terranera di Venosa). We can see these connections in the elephant, hyppopotamus, hyaena, bear, rhinoceros and those fossils on display, evidences which let us imagine a naturalistic scenery ruled by Pleistocene glaciations and other phenomena such as a remarkable increasing of Vulture’s eruptive activity, the setting up of Atella’s ancient lake basin, its subsequent draining and furthermore massive migrations of big mammals. This is the environment the Homo Erectus lived in. He was able to produce very simple stone instruments and he basically had to survive and earn a living by hunting along the shores of the ancient lake where, as testified by archaeological evidences, large mammals would go in droves in order to drink. It’s likely that Homo Erectus used to push the herd-chief in the middle of the lake, in which he would get trapped and die by exhaustion trying to break free of the mud. Stone tools frequentely found and linked with remains of hunted animals are hand-axes (amygdales), almond-shaped tools used as throwing weapons, but there are also endscrapers (grattoirs) and other tools for slaughter. Two different techniques or industries are typical of Lower Paleolithic: the Acheulan, which consists in manufacturing thick stones with clumsy retouches on both faces (biface) and the Clactonian, an industry of flake tool manufacture.

Spiritual section (showcase 3)

The archaeological finds on display, that can be ascribed to Middle Paleolithic, Upper Paleolithic and Mesolithic in the Atella-Vitalba Basin area, document a clear technological, typological and functional development. The range of artfacts and materials gets richer and includes bone and wood. The range of uses gets richer as well because they don’t have to satisfy just primary needs anymore, but also affective and inventiveness necessities, whose main expressions are the cult of the dead, rock painting and magical-religious rites.

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Homo Neanderthalensis, Homo Sapiens, Homo Sapiens Sapiens are Middle Paleolithic, Upper Paleolithic and Mesolithic’s leading actors, able to produce more elaborate, effective instruments. Manufactures cease to be random and spontaneous and become pondered. We can see bifaces, pints, scrapers, burins, beaks, enscrapers or grattoirs, denticulate tools manufactured with specialized techniques (Levallois, blade technology, microburin) typical of Middle Paleolithic Mousterian industry, Upper Paleolithic Castelperronian and Aurignazian industries, and the Mesolithic microlith and geometric industry. At the moment, men have a high psychism and are always in search of stronger bonds of affection, connections between individuals, but also between the community and the surrounding environment. They begin to perceive the cyclicity of nature and its dynamism, which they express in rock painting. Furthermore, they reproduce the cyclicity of natural phenomena in their everyday life with repetitive behaviours and socially sanctioned activities that were ritually handed down. their main purpose was to synchronize individual actions to the community ones in order to ensure survival to the group by renewing a harmonic and magical-propitiatory link to the nature.

Technology section (showcase 4,5,6)

These finds (which come from the Latronico Caves complex and Oliveto Lucano) illustrate

technological and cultural advances from Neolithic, Eneolithic and Bronza Age, although the

current and Bronze Age, although the current exhibition presents some lacks of materials – metals

are quite absent – which don’t allow the visitor to perceive the continuity of the stages. The main

features of these cultural horizons are technological specialization and work, namely the skill to

experiment with new materials and techniques and, most of all, the ability to theorize and set

manufacture rules; such skillful men start to gain a socially distinguished role: it’s the rise of

craftsmen. In the beginning they used to move from village to village, later on they became steady,

though always in search of new materials, ideas and techniques somewhere else. Economy,

funeral rites, settlement organization and social structures during Neolithic and Metal Age reflect

this sort of dynamism as well. Neolithic’s most important technological advances are introduction of

pottery (either with imprinted decoration or in Serra d’Alto and Diana style) and manufacturing of

polished stone and obsidian. Stone tools become more and more diversified and include everyday

use, body care and precious instruments. Eneolithic (in which people keep manufacturing stone

tools) and Bronze Age’s main specialization is metallurgy. The new technology requires high levels

of mastery of making alloys, whose composition depends on the artifact types. The artisan who

own the ability of making different alloys hold a position of prestige in their society. Pottery evolves

very much thanks to rhe introduction of potter’s wheel, which permits a kind of mass production.

The specimens on display (from Eneolithic, Middle and Late Bronze) show shape and decoration

features that are typical of their cultural forms.

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Il Paleolitico in Basilicata

Lo sviluppo dell’umanità ha avuto luogo nel Quaternario, l’era geologica più

recente, della durata di circa 3 milioni di anni e suddivisa in due periodi:

Pleistocene e Olocene. Il Pleistocene è un lungo periodo geoclimatico

caratterizzato dalle grandi glaciazioni e relativi interglaciali (Donau, Günz,

Mindel, Riss e Würm) e termina 10.000 anni fa circa con la fine dell’ultima

glaciazione. I cambiamenti climatici avvenuti durante il Pleistocene comportano

radicali trasformazioni del paesaggio, della fauna, della flora e, di conseguenza

della vita dell’uomo, che in quest’era vive di caccia e di raccolta. Gli aspetti

cono-culturali del Pleistocene sono il Paleolitico (suddiviso in inferiore, medio e

superiore) e il Mesolitico, durante i quali l’economia di sussistenza si basa

esclusivamente su uno sfruttamento non sistematico delle risorse ambientali,

legato ai cicli stagionali. Ciò determina il tipo di insediamento in caverne, grotte,

ripari sotto roccia, capanne all’aperto e un nomadismo stagionale legato allo

spostamento dei branchi di animali. In Basilicata il Paleolitico inferiore è

caratterizzato dai laghi pleistocenici di Venosa Notarchirico e del bacino del

Mercure. Da questi siti provengono resti di Elephas antiquus, Hippopotamus

amphibius, Equus stenonis, Equus asinus. Il Paleolitico medio è ben

documentato dalle industrie musteriane di tecnica levalloisiana (punte e

raschiatoi) e da industrie musteriane di tipo a denticolati.

Il bacino di Atella

Il Bacino di Atella si estende dalle falde meridionali del Vulture (ad una

altitudine di m. 1326 s.l.m.) fin sotto Castel Lagopesole: il territorio rappresenta

il fondo di un antico lago pleistocenico formatosi in seguito allo sbarramento del

corso del torrente Stroppito-Atella avvenuto alla fine dell’Era Terziaria, in diretta

connessione con l’attività del vulcano Vulture, i cui ultimi eventi parossistici

avrebbero comportato, inoltre, lo svuotamento dell’antico invaso lacustre. La

vita del lago è compresa tra i 740.000 e i 540.000 anni fa, un periodo che va

dalla fine dell’interglaciale Gunz–Mindel fino alla seconda metà della successiva

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glaciazione di Mindel. Al momento della sua massima estensione il lago era

lungo 15 km. e largo 6,5 km. L’antropizzazione dell’area era intensa, come

testimoniano diversi documenti preistorici: i più antichi risalgono ad una fase in

cui lo stabilizzarsi del livello delle acque del bacino lacustre favorì

l’insediamento umano e l’arricchimento della vita vegetale e animale. Infatti,

circa 550-500.000 anni fa, gruppi umani vivevano di caccia lungo le rive del

paleolago: le loro prede erano l’elefante antico, il bisonte, l’uro ed il cervo. Gli

archeologi hanno individuato due insediamenti acheulani molto particolari: il

primo, sito in località Masseria Palladino (Filiano), ha restituito numerosi

chopper e bifacciali in quarzite, raschiatoi, grattatoi, bulini, denticolati e punte in

selce, per un totale di circa cinquecento oggetti; il secondo sito, prossimo al

moderno cimitero di Atella, è caratterizzato da strumenti dello stesso tipo, con la

sola differenza che chopper e bifacciali sono ricavati da porosi blocchi di

radiolarite. Sono stati inoltre rinvenuti una difesa di Palaeoloxodon antiquus (un

esemplare di elefante), un molare attribuibile ad un altro individuo, impronte di

zampe di un elefante che, con ogni probabilità, deve essersi impantanato non

lontano dalla riva del lago. L’Homo erectus esercitava la caccia collettiva ai

grandi mammiferi (uri, bisonti, elefanti e rinoceronti) lungo le rive del lago, dove

gli animali si recavano per abbeverarsi. Una delle probabili strategie di caccia

utilizzate era quella di far isolare il capo dal branco, per poi spingerlo con urla,

lancio di amigdale (e forse fuochi) all’interno del lago. In tal modo i grandi

pachidermi si impantanavano nel fango lacustre dove, una volta imprigionati,

non avrebbero più avuto la possibilità di uscire. La morte sarebbe sopraggiunta

per sfinimento nel giro di pochi giorni. Lo conferma la gran quantità di resti ossei

di elefante e di bue primigenio rinvenuta sul sito. Il ritrovamento di schegge,

denticolati e nuclei attesta l’uso di tali utensili taglienti per la macellazione della

carcassa. La presenza dell’homo erectus è documentabile fino a circa 150.000-

100.000 anni fa, anche se si conosce ben poco della sua tarda attività nel

Bacino di Atella, poiché gli insediamenti o i luoghi di sosta sono andati distrutti

dalla continua frequentazione dell’uomo. Intorno agli 80-60.000 anni fa,

compare l’uomo di Neanderthal, che ha lasciato solo alcune testimonianze della

sua presenza, riconducibili a pochi utensili in pietra. Successivamente (32.000-

30.000 anni fa), il passaggio dell’homo sapiens è attestato da tipici manufatti

litici utilizzati principalmente nelle battute di caccia. Seguirà un vuoto di

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presenze umane, interrotto dall’arrivo di alcuni gruppi di cacciatori mesolitici

circa 9.000 anni fa, in un periodo culturale chiamato Castelnoviano. Attribuibile

ai cacciatori mesolitici è una testimonianza unica tra le manifestazioni artistiche

di tale periodo: si tratta di pitture rupestri scoperte dal direttore del Museo

Provinciale Francesco Ranaldi negli anni ’60 in un riparo sotto roccia in

contrada Tuppo dei Sassi (Serra Pisconi – Forenza).

Paleolitico – L’industria litica

L’intensa attività dell’uomo preistorico è rappresentata soprattutto dai suoi

manufatti litici. Durante il Paleolitico inferiore è documentata l’associazione di

strumenti litici bifacciali e su scheggia: i primi erano usate come arma

immanicata per la caccia, i secondi per scarnificare e tagliare. L’industria litica

utilizzata è l’acheulana antica: le amigdale, utilizzate per la caccia, erano

realizzate scheggiando la radiolarite, una materia prima leggera e porosa.

L’utensile si presenta a forma di mandorla – da cui il nome amigdala – e viene

ricavato dalla roccia asportando delle schegge dal perimetro di un ciottolo. La

forma leggermente curva ne facilitava il lancio. La radiolarite è un materiale

estremamente leggero, facile da trasportare e con una lunga capacità di gittata.

Inoltre, la foggia appiattita e la rotazione impartitale durante il lancio favorivano

sicuramente l’aumento della portata ed una traiettoria più precisa. Accanto alle

amigdale sono state spesso ritrovate piccole schegge di selce che si pensa

servissero per smembrare e tagliare le carcasse degli animali. In particolare, da

grosse schegge ottenute con tecnica clactoniana (industria litica del Paleolitico

inferiore antico caratterizzata da strumenti su grandi schegge e su ciottolo)

venivano poi ricavate con la medesima tecnica schegge più piccole ma molto

più taglienti.

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Il Mesolitico in Basilicata

Alla fine del Pleistocene (10.000 anni fa) una serie di importanti innovazioni e

schemi culturali nuovi interrompono la monotonia delle età paleolitiche. Le

evidenze archeologiche di quest’epoca attestano chiaramente un incipiente

processo di sedentarizzazione, l’ampliamento della gamma delle risorse

alimentari, un sensibile aumento demografico e l’insorgere di una crisi

alimentare. Rispetto al Paleolitco superiore si registra un mutamento climatico

che si orienta sempre di più verso le condizioni attuali. Le culture, che si

frazionano differenziandosi in più facies, sono caratterizzate da una maggiore

rapidità e fermento e si adattano più tempestivamente ad un ambiente in rapido

mutamento: sebbene le nuove condizioni climatiche favoriscano la fauna e la

flora, si assiste ad una grave crisi economica e venatoria, al consequenziale

passaggio dalla caccia-raccolta alla sola raccolta e all’insorgere di stress

nutrizionali. L’uomo tende a cibarsi di vegetali e molluschi, trascura pertanto la

caccia e sosta sempre più a lungo in determinati territori: tale sedentarismo,

riducendo gli spostamenti, induce alla conservazione dei semi vegetali

commestibili e porta gradualmente a un diverso processo di sfruttamento delle

risorse ambientali. Le nuove esigenze economiche influenzano anche la

fabbricazione degli strumenti litici: l’esigenza di cavare le radici dal terreno

comporta lo sviluppo di grattatoi, la caccia ai volatili richiede punte di freccia a

tagliente e le valve delle conchiglie vengono schiuse per mezzo di becchi

acuminati. Gli insediamenti di Tuppo dei Sassi e del bacino di Atella attestano la

presenza della facies mesolitica castelnoviana.

Riparo Ranaldi (Tuppo dei Sassi): le pitture rupestri

La contrada Tuppo dei Sassi prende il nome da un rilievo di 880 mt. circa, che

si erge nell’area boscosa di Forenza. In questo sito, tra il 1962 e il 1965, il

direttore Francesco Ranaldi individuò delle pitture rupestri all’interno di un riparo

sotto roccia - oggi conosciuto come Riparo Ranaldi - formato da uno sperone in

arenaria calcarea idrosolubile molto fessurata. Pertanto, gli agenti atmosferici,

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chimici e meccanici hanno molto danneggiato le pitture, determinandone

variazioni cromatiche nero-rossicce. dovute ad ossidazione.

Le pitture sono state realizzate in ocra rossa applicata direttamente e coprono

una superficie a forma di parallelogramma (altezza cm. 52; larghezza cm. 46).

Si articolano in un complesso centrale ed in uno secondario, che fu

probabilmente eseguito in un secondo momento allo scopo di integrare la

rappresentazione originaria. Si tratta di disegni vagamente pettiniformi, punti e

linee che sembrano ricondursi alla rappresentazione zoomorfa centrale.

L’interpretazione della raffigurazione non è unanime: alcuni ritengono si tratti di

una scena di caccia che si discosta dai contenuti espressivi dell’arte paleolitica

per la presenza di figure lobate che rappresenterebbero l’uomo –

nell’iconografia paleolitica predomina, invece, l’animale. Secondo questa scuola

di pensiero, le pitture si riferirebbero al momento in cui le comunità mesolitiche

cominciano a vivere di agricoltura e addomesticano diverse specie animali

(bovidi, cervi, canidi). Nel 1990 l’archeologo Edoardo Borzatti von Löwenstern

ha dato una diversa interpretazione delle pitture di Riparo Ranaldi: gli animali

sarebbero tutti dei cervi e le figure lobate costituirebbero rappresentazioni di

vegetali. Secondo lo studioso, si è voluto rappresentare un bosco popolato da

cervi ritratti nell’atteggiamento tipico del maschio adulto, che ha l’abitudine di

scortecciare la chioma di una quercia, a dimostrazione del possesso del

territorio. Il verismo della raffigurazione lascia ipotizzare una datazione

prossima alla fine del tardo Paleolitico o al Mesolitico, in connessione con

l’industria mesolitica di facies castelnoviana (strumenti geometrici, strumenti a

dorso, rari raschiatoi e grattatoi e micro bulini databili tra il 7000 e il 6000 a.C.)

emersa dal sedimento del riparo. Le pitture rupestri di Tuppo dei Sassi

costituiscono un unicum tra le manifestazioni artistiche del periodo. Se nel

Paleolitico la manifestazione artistica ha una funzione magico-propiziatoria che

richiede grande fedeltà nella resa pittorica, nel Mesolitico l’intento dell’artista

diventa narrativo e commemorativo, come dimostra la scelta di superfici ubicate

in luoghi di passaggio molto frequentati, destinati ad essere visti.

Mesolitico – L’industria litica

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La materia prima utilizzata è la selce, prevalentemente chiara negli strati più

bassi e scura in quelli alti. Il materiale della zona non è mai di buona qualità: si

tratta infatti di piccoli ciottoli raccolti nei greti dei torrenti. Le caratteristiche

fondamentali di tale industra mesolitica sono la frequente presenza di aspetti

geometrici e l’esasperato microlitismo degli strumenti. Il repertorio risulta

piuttosto povero: oltre ai cosiddetti “geometrici” a forma di triangoli, rombi,

trapezi, di piccole dimensioni e immanicati l’uno sull’altro, vi sono schegge e

lame ritoccate, bulini, dorsi, e troncature. Tali strumenti sono utilizzati come

armi da caccia, arpioni da pesca, come utensili per incidere legno e pelli

animali, o graffire disegni sulla roccia. L’enorme quantità di scarto di

lavorazione indica che la selce è stata lavorata sul posto, utilizzato

probabilmente per brevi soste di caccia.

Il Neolitico, l’Eneolitico e l’Età del Bronzo in Basilicata

Il Neolitico (10.000-8.000 anni fa) vede una vera e propria rivoluzione in tutti gli

ambiti dell’attività umana. L’economia diventa produttiva ed interviene

attivamente sulla natura, modificandola in modo spesso radicale. L’uomo si

insedia stabilmente nei pressi delle aree coltivate e abbandona le grotte,

destinate a pratiche cultuali e funerarie.Grazie alla capacità di controllare

l’utilizzo del fuoco, nasce la tecnologia di lavorazione della ceramica che, da

questo momento in poi, è per la ricerca archeologica il “fossile guida”. In

Basilicata l’introduzione dell’agricoltura comporta lo sviluppo di ampie comunità

di villaggio organizzate in gruppi di capanne circondati da fossati, come

testimoniano i siti di Murgia Timone, Tirlecchia, Guadone, Rendina.

Fondamentali per la conoscenza del Neolitico lucano sono, inoltre, le grotte di

Latronico. Verso la fine del III millennio a.C. l’arrivo di nuove genti, che

probabilmente discendono dagli antichi pastori iranici, interrompe bruscamente

la vita degli agricoltori-allevatori neolitici e inaugura la Prima Età dei Metalli,

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l’Eneolitico (2700 - 1800 a.C.). Ne è la prova la mutazione dei riti funerari, più

complessi rispetto alle semplici inumazioni neolitiche: compaiono, infatti, tombe

a grotticella con deposizioni anche plurime, sepolture monumentali che indicano

un’organizzazione sociale di tipo patriarcale. Gli eneolitici sono in grado di

lavorare il rame e si insediano principalmente nei pressi di giacimenti minerari,

hanno rapporti commerciali con le altre popolazioni del Mediterraneo, sono

aperti agli influssi e alle mode esterni, si impongono spesso bruscamente al

sostrato neolitico. La loro organizzazione militaresca, fortemente gerarchizzata,

è testimoniata da corredi tombali straordinariamente ricchi di armi di pietra e di

rame, strumenti necessari al controllo delle greggi e alla conquista violenta del

territorio. Ancora una volta le grotte di Latronico offrono preziosi elementi per la

conoscenza della Basilicata eneolitica. Durante l’Età del Bronzo (1800-1000

a.C.) la Basilicata conosce un notevole sviluppo: le comunità protostoriche si

trasformano profondamente e cominciano a formarsi le varie etnie italiche.

Sono pochi i siti lucani in cui la documentazione archeologica abbraccia l’intera

età del Bronzo. Alcune evidenze provenienti dalle grotte di Latronico si

riferiscono ad un momento piuttosto evoluto del Bronzo Medio e, insieme ai siti

di Toppo Daguzzo, Rendina e Matera, testimoniano la frequentazione di grotte

o strutture ipogeiche (pozzetti con offerte votive) appositamente costruite per

motivi cultuali. Si tratta di monumenti non funerari, luoghi separati e segreti

destinati a pratiche rituali cui partecipa la comunità intera o parte di essa. La

società si è, infatti, stratificata e le élites emergenti sono caratterizzate da

sepolture monumentali familiari, come attestano gli ipogei funerari di Toppo

Daguzzo. La fase finale della Media età del Bronzo coincide con la cosiddetta

“cultura appenninica”, un panorama di grande omogeneità culturale

contraddistinto da una ceramica ad impasto nero e di forma semplice e da

un’attività pastorale con transumanze stagionali affiancata dall’agricoltura. In

questa fase i complessi delle grotte 1 e 2 di Latronico conoscono un nuovo

sviluppo. Durante il Bronzo recente, accanto alla ceramica decorata a intaglio e

ad incisione (ciotole con anse e manici elaborati e arricchiti di appendici

plastiche), compare in molti siti, soprattutto costieri (Termitito, S. Vito), la

ceramica micenea del Tardo Elladico IIIB e IIIC. Durante il Bronzo finale o

Protovillanoviano (1200-1000 a.C.) i nuovi apporti etnico-culturali introducono

forme e ornati vascolari originali come i vasi biconici e le ciotole con orlo

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rientrante, decorate a costolature e solcature. Si pratica l’incinerazione, con la

deposizione delle ceneri all’interno di urne biconiche coperte da una ciotola

capovolta. I siti sulla costa ionica producono ceramiche di tipo “protogeometrico

iapigio”, con motivi attinti al repertorio miceneo (angoli inscritti, fasce alternate a

file di punti, ceramica a tenda).

Le Grotte di Latronico

Situate nell’alta valle del Sinni, le Grotte di Latronico costituiscono una delle più

interessanti documentazioni che riguardano la preistoria recente dell’Italia

meridionale. Le ricerche archeologiche nel territorio di Latronico iniziarono nel

1912 con Vittorio Di Cicco, allora direttore del Museo provinciale di Potenza Il

complesso delle grotte comprende tre cavità (L1, L2, L3) contenenti

un’articolata stratificazione che attesta un periodo di frequentazione che va

dalla fine del Paleolitico sino all’età del Bronzo. Di Cicco estrasse dalla Grotta

Grande (L1) una quantità di materiale preistorico tale da colmare ben

diciassette casse: si tratta di reperti attribuibili sia al Neolitico che al tardo

Neolitico della cultura di Diana. Successivamente, nel 1920, il paletnologo Ugo

Rellini, scavando nelle grotte L2 e L3, portò alla luce ulteriori testimonianze

(ciotole decorate con i classici motivi appenninici a fasce, scodelle

troncoconiche e vasetti ancora ripieni di frutta e di semi, utilizzati dagli antichi

ospiti di quelle caverne per scopi propiziatori) che lo studioso esaminò, catalogò

e ricondusse all’Età del Bronzo, e precisamente al periodo di massimo sviluppo

della cultura appenninica. Di Cicco trovò, inoltre, diversi corredi funerari nelle

cosiddette “grotticelle sepolcrali”: si tratta di luoghi già pronti per la sepoltura

dall’evidente valore simbolico-sacrale. Probabilmente, l’uomo associava alla

forma delle grotte quella del grembo materno e il concetto di ventre della Terra.

Una prima frequentazione dei ripari sotto grotta risale al Mesolitico (12.000 anni

fa), come attesta il ritrovamento nella grotta n. 3, al di sotto degli strati neolitici,

di un’industria microlitica a trapezi e lamelle denticolate, oltre a numerosissimi

resti di molluschi terresti, e di grandi mammiferi.

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Gli abitanti della grotta n. 3 praticano un’economia basata da un lato sulla

caccia ai grandi mammiferi, dall’altro su un’intensa attività di raccolta di

molluschi. I livelli cronologicamente riferibili al Neolitico inferiore hanno restituito

ceramiche decorate ad impressione databili verso la fine del V millennio a.C.,

strumenti litici in selce e ossidiana, ma anche oggetti legati all’agricoltura e

all’allevamento animale come frammenti di macine, elementi di falcetto, accette

ed asce in pietra levigat. Risulta pertanto evidente che i gruppi umani stanziati a

Latronico mutano la loro organizzazione sociale ed economica in risposta alle

nuove condizioni climatiche subentrate dopo la glaciazione di Würm: lo stile di

vita si fa sedentario e non più nomade, si praticano l’agricoltura e la pastorizia,

si produce ceramica e si commercia l’ossidiana. Una ulteriore evoluzione

avviene nella seconda metà del IV millennio a.C., con la diffusione della cultura

detta di Serra d’Alto (collina nei dintorni di Matera). Le raffinate ceramiche, fatte

al tornio lento e dipinte di bruno con motivi complessi, si diffondono nel

territorio: i livelli medi della grotta n. 3 restituiscono ceramiche di questo tipo. La

successiva semplificazione del repertorio decorativo attestata dai depositi del

Neolitico inferiore nella grotta n. 2, si deve, invece, alla diffusione della cultura

di Diana (contrada di Lipari). Le evidenze archeologiche riferibili all’Eneolitico

sono particolarmente ricche a Latronico: le ceramiche della cosiddetta cultura di

Laterza recano fasce di punti impressi, fasce orizzontali e a zig-zag, triangoli,

losanghe. In questa fase le grotte maggiori costituiscono dimore di gruppi,

mentre quelle minori sono adibite ad un uso funerario. Inoltre si registra

un’evoluzione cultuale e funeraria: ai vecchi culti neolitici della fertilità della terra

si affiancano quelli rivolti alla sfera celeste, e alle sepolture individuali

subentrano quelle collettive, che riflettono la struttura patriarcale dei gruppi

nomadi organizzati in “clan”. Alle personalità di spicco vengono dedicate

sepolture singole monumentali.

Con l’età del Bronzo e il fiorire della cultura appenninica, si assiste ad una

omogeneizzazione delle attività, che si manifesta nella maggiore stabilità degli

insediamenti umani e anche nella semplificazione delle forme ceramiche. Se la

grotta n. 3 sembra essere poco frequentata in questo periodo, le altre due sono

sempre più utilizzate, come dimostra la gran quantità di frammenti rinvenuti,

provenienti da ciotole carenate con manici sormontanti, connesse con la

lavorazione del latte. L’economia pastorale vive una fase ottimale, favorita da

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un clima più umido e fresco. La frequentazione delle grotte di Latronico sembra

esaurirsi prima del Bronzo recente (1300-1200 a.C.).

The Paleolithic in Basilicata

The development of mankind took place in the Quaternary, the most recent geological era,

lasting about 3 million years and divided into two periods: the Pleistocene and Holocene. The

Pleistocene is a long geoclimatic period characterized by major glaciations and their

interglacials (Donau, Günz, Mindel, Riss and Würm) and finishing about 10,000 years ago at

the end of the last glaciation. The climate changes during the Pleistocene cause radical

transformations in the landscape, fauna, flora, and consequently in the way of life: men now

lives on hunting and gathering (hunter-gatherer society). The chrono-cultural features of

Pleistocene are the Paleolothic (Lower, Middle, Upper) and the Mesolithic, during which the

subsistence economy is based exclusively on a unsystematic seasonal exploitation of

environmental resources. Therefore men install themselves in caverns, caves, rock shelters,

outdoor huts and usually change place (nomadic way of life) seasonally in chase of herds. In

Basilicata the Lower Paleolithic is characterized by the Pleistocene lakes of Venosa

Notarchirico and Mercure basin. Remains of Elephas antiquus, Hippopotamus amphibius,

stenonis Equus, Equus asinus have been found in these sites. The Middle Paleolithic is well

attested by levallois technique Mousterian industries (points and scrapers) and denticulate

Mousterian industries.

The Atella basin

It extends from the Southern slope of Vulture (at an altitude of 1326 meters above sea level)

to Castel Lagopesole: the area is the bottom of an ancient Pleistocene lake formed after the

weir of the stream Stroppito-Atella at end of the Tertiary Era, in direct connection with Vulture

eruptive activity. Its latest paroxysmal events have led to the emptying of the ancient lake as

well. The life of the lake lasts from 740,000 years ago to 540,000 years ago, that i sto say a

period from the end of the Gunz-Mindel interglacial to the second half the Mindel glaciation.

At the time of its greatest extent, the lake was 15 km long and 6.5 km wide. The human

presence was intense, as evidenced by several prehistoric documents: the oldest date back

to a stage where the lake water level stabilization encouraged human settlement and caused

the enrichment of flora and fauna. Indeed, about 550-500,000 years ago, human groups lived

on hunting along the banks of the lake: their prey were ancient elephant, bison, aurochs and

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deer. Archaeologists have identified two very peculiar Acheulean settlements: the first one,

placed by Masseria Palladino (Filiano), has yielded numerous quartzite bifaces and

choppers, scrapers, grattoirs, chisels, drills and denticulate flint, for an amount of about five

hundred items; the second site, nearby the modern cemetery of Atella, features similar items,

with the only difference that choppers and bifaces are made of porous radiolarite. Other

findings are a defense of Palaeoloxodon antiquus (a type of ancient elephant), one molar

attributed to another individual, footprints of an elephant that probably got stuck not far from

the lake. The homo erectus practised collective hunting for large mammals (aurochs, bison,

elephant and rhino) along the shores of the lake, where the animals went to drink. One of the

most likely hunting strategies was to isolate the herd-chief, then push it in the middle of the

lake by screaming, launching amygdales (almond-shaped throwing weapons) and possibly

with torchs. So the great pachyderms would get stuck in the mud where, once imprisoned,

they would not have the opportunity to exit. Death would come by exhaustion within a few

days. This is confirmed by the abundance of bone remains of an elephant and a primeval ox

found on the site. The discovery of flakes, denticulate tools and cores certifies the use of

such cutting tools for slaughtering the carcass. The presence of homo erectus can be

attested until about 150,000 to 100,000 years ago, even though very little is known about of

his later activities on the Atella basin, because settlements and resting places have certainly

been destroyed by the continued human attendance. Around 80-60000 years ago, homo

Neanderthalensis attended the lake, leaving only a few traces of his presence, some stone

tools. Then (32,000 to 30,000 years ago), the passage of homo sapiens is documented by

typical stone tools, used primarily in hunting; then follows a void of human presence,

interrupted by several groups of Mesolithic hunters around 9000 years ago, in a cultural

period called Castelnovian. A unique evidence of the artistic events occurring in that period is

attributable to Mesolithic hunters: the cave paintings in a rock shelter discovered by the

Museum’s director Francesco Rinaldi in the 60’s in the district of Tuppo Sassi (Serra Pisconi

- Forenza).

Paleolithic - The lithic industry

The intense human activities is represented mainly by its stone tools. In Lower Paleolithic is

well documented the association of bifacial stone tools and flake tools: the first were used as

a weapon for hunting, the second for scraping and cutting. The lithic industry is the ancient

Acheulean: the amygdales, used for hunting, were made by chipping cores of radiolarite, a

lightweight, porous material. The tool shows up almond-shaped - hence the name amygdala

– and is derived from a core by removing the splinters from its perimeter. The slightly curved

shape makes it easy to be launched. The radiolarite is a lightweight material that can be

easily carried and has a long throw-range. In addition, the flattened shape and the rotation

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given to it during the launch certainly increased the range and made the trajectory more

accurate. Next to these tools have often been found small chert flints that probably served to

dismember and cut the carcasses of animals. From large flints obtained using Clactonian

industry (ancient Lower Paleolithic flint tool manufacture) smaller but much sharper chips

were then derived using the same technique.

The Mesolithic in Basilicata

At the end of Pleistocene (10,000 years ago) a number of important innovations and new

cultural patterns interrupt the monotony of the paleolithic age. The archaeological evidence

from this period clearly show an incipient sedentariness, a wider range of food resources, a

significant population growth and the beginning of a food crisis. There is a climate change

which is increasingly oriented toward current conditions. Cultures, which split up into several

differing facies, are more quick and lively and adapt more rapidly to an environmentin

constant change: although the new climatic conditions favour fauna and flora, there’s a

serious economic and hunting crisis, and consequently the hunter-gatherer societies, which

from this moment on can just collect their food, start to suffer from nutrition stress. Man tends

to feed on plants and shellfish, thus neglecting the hunt and stay even longer in certain

areas: this sedentary way of life, that reduces travel, induces the storage of edible plant

seeds and gradually leads to a different exploitation of environmental resources. The new

economy also affects the manufacture of stone tools: the need to extract the roots from the

soil causes the development of grattoirs (scratchers), the hunt for birds requires sharp

arrowheads and the valves of the shells need to be opened by pointed beaks. The

settlements of Tuppo dei Sassi and Atella basin attest the attendance of the Mesolithic

Castelnovian cultural facies.

Ranaldi Shelter (Tuppo dei Sassi): cave paintings

The Tuppo dei Sassi district is named after a relief of about 880 meters, which stands in the

wood of Forenza. On this site, between 1962 and 1965, the director Francesco Ranaldi

spotted the cave paintings in a rock shelter - also known as Ranaldi shelter - which consists

of a water-soluble calcareous sandstone spur, much fissured. Therefore, weather, chemical

and mechanic factors have severely damaged the paintings, determining black-reddish color

variations, due to oxidation.

The paintings were made of red ocher applied directly over a parallelogram-shaped surface

(height cm. 52, width cm. 46). They are divided into a central complex and a secondary one

that was probably made at a later time, in order to supplement the original representation.

The painting features vaguely comb-shaped drawings, dots and lines that seem subsumed

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under the central zoomorphic representation. The interpretation of the drawing is not

unanimous: some scholars believe that it is a hunting scene that differs from the expressive

content of the Paleolithic drawings for the presence of lobed shapes that should represent

human beings, while Paleolithic iconography is characterized exclusively by animals.

According to this school of thought, the paintings relate to the age when Mesolithic

communities begin to live on agriculture and domesticate animals (cattle, deer, canids). In

1990 the archaeologist Edoardo Borzatti von Löwenstern gave a different interpretation of

the Ranaldi shelter paintings: the animals would all be deer and the lobed figures would

represent plants. According to the scholar, the unknown painter wanted to represent a forest

inhabited by deer, portraited in the typical attitude adult male, that has the habit of skinning

the foliage of an oak, in order to demonstrate its possession of the territory. The realism of

the representation suggests a datation close to the end of Late Paleolithic or to the

Mesolithic, in conjunction with the Castelnovian Mesolithic industry (geometrics, backed

tools, rare scrapers and scratchers and microburins dated between 7000 and 6000 BC)

emerged from the sediment of the shelter. The cave paintings of Tuppo dei Sassi are unique

among the artworks of the period. If the Paleolithic art event has a magic-propitiatory

purpose that implies great fidelity in drawing, during the Mesolithic the artist’s intent becomes

narrative and commemorative, as demonstrated by the choice of highly frequented places,

destined to be seen.

Mesolithic - The lithic industry

The raw material is flintstone, mostly clear in the lower layers and dark in the higher. The

stone from this area is never high quality: in fact it is collected in small pebbles on the stream

gravel. The key features of this industry are the frequent presence of Mesolithic geometric

aspects and the abundance of excessively microlithic tools. The repertoire is rather poor: in

addition to the so-called "geometrics" (small triangles, rhombi, trapeziums, socketed one in

another) there are flints and retouched blades, burins, backed tools and segments. These

instruments are used as hunting weapons, fishing harpoons, as tools for engraving wood and

animal skin, or scratching drawings on the rock. The huge amount of waste suggests that the

flintstone was processed on the site, which was probably used for short hunt stops.

The Neolithic, Copper Age and Bronze Age in Basilicata

The Neolithic (10000-8000 years ago) saw a revolution in all spheres of human life. The

economy becomes productive and actively intervenes on nature, changing it often radically.

Men settle permanently nearby cultivated areas and leave the caves, destined to house

funerary and cult practice. Thanks to the ability to control fire, the technology of ceramics

comes to life. From this moment on, pottery is the main fossil for the archaeological research.

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In Basilicata, the introduction of agriculture causes the development of large village

communities organized into groups of huts surrounded by ditches, as evidenced by the sites

of Murgia Timone, Tirlecchia, Guadone, Rendina. To understand the Neolithic in Basilicata

the caves of Latronico are very significant. Towards the end of the III millennium BC, the

arrival of fresh troops, which probably are descendants of ancient Iranian shepherds,

abruptly interrupts the lives of Neolithic farmer-hunters and ushers in the First Age of Metals,

the Copper Age (2700 - 1800 BC). This is testified by the mutation of funeral rites, more

complex than the simple Neolithic burials: in fact, the first cave-tombs with multiple graves

appear and, furthermore, monumental tombs suggest a patriarchal organization. The Copper

Age men are able to process copper and settle mainly near mineral deposits; they have

commercial relations with other Mediterranean populations, are much open to external

influences and trends and often impose fiercely on the Neolithic substratum. Their militaristic

organization, strongly hierarchical, is evidenced by extraordinarily rich tombs full of stone and

copper weapons, tools needed to both monitor the flock, and to crudely and violently conquer

the territory. Once again the Latronico caves provide precious evidence of that. During the

Bronze Age (1800-1000 BC) Basilicata experiences a remarkable development: the

protohistoric communities change deeply and various Italic ethnic groups arise. There are

few sites in Basilicata whose archaeological records cover the whole Bronze Age. Some

evidence from the caves of Latronico refer to a quite evolved period of Middle Bronze Age

and, along with Toppo Daguzzo, Rendina and Matera, testify the attendance of caves or

hypogean structures (small wells filled with votive offerings) purpose-designed for worship.

These places are not funerary monuments, but sites destined to separate and secret ritual

practice involving either the whole community or part of it. The society is already stratified

and the élites are characterized by monumental family tombs, as shown by the hypogea of

Toppo Daguzzo. The final phase of Middle Bronze Age coincides with the so-called

“Apennine culture”, a scenery of great cultural homogeneity marked by a black simple pottery

and a pastoral activity with seasonal transhumance, coupled by agriculture. In this stage, the

complexes of caves No 1 and No 2 in Latronico experience a new development. During the

late Bronze Age, next to the ceramics decorated by carving and engraving (bowls with

elaborate handles, enriched by plastic appendices), the Mycenaean pottery of Late Helladic

IIIB and IIIC appears in many places, mainly coastal (Termitito, S. Vito). During the Late

Bronze Age or Proto-Villanovan (1200-1000 BC) new ethnic and cultural contributions

introduce special shapes and decorations, such as the biconical vases and bowls with

receding edge, decorated with ridges and grooves. Incineration is practiced, with the

deposition of ashes in biconical urns covered by an upside-down bowl. Sites on the Ionian

coast produce Protogeometric-Iapygian pottery, with patterns drawn on the Mycenaean

repertoire (inscribed angles, bands alternating dotted lines, “curtain” pottery).

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Latronico caves

Situated in the high valley of river Sinni, Latronico caves are one of the most interesting

documents related to the recent Prehistory of southern Italy. Archaeological research in the

territory of Latronico began in 1912 with Vittorio Di Cicco, then director of the Provincial

Museum of Potenza. The complex of caves includes three cavities (L1, L2, L3) containing a

comprehensive stratification which attests a period of attendance ranging from the end of

Paleolithic to the Bronze Age. Di Cicco took from the Big Cave (L1) so huge an amount of

prehistoric materials to fill seventeen chests: these findings are attributable both to the Late

Neolithic and to Neolithic culture of Diana. Later on, in 1920, palethnologist Ugo Rellini,

digging caves L2 and L3, brought to light additional evidence (bowls decorated with typical

Apennine band patterns, truncated cone bowls and jars still filled with fruit and seeds, used

by the ancient guests of those caves for propitiatory purposes) which the scholar examined,

catalogued and dated back to the Bronze Age, namely the period of Apennine culture’s

highest development. Di Cicco found also several burial kits within the so-called " burial little

caves ": places that were ready for burial and had an unmistakable symbolic-sacred value.

Probably, the man used to couple the shape of motherly womb and the idea of belly of the

Earth with the shape of the caves. A first attendance of the cave-shelters dates to the

Mesolithic period (12000 years ago), as attested by the discovery - in the cave No 3 - below

Neolithic layers, of a microlithic industry consisting of denticulate blades and trapeziums, as

well as numerous remains of terrestrial molluscs and large mammals.

The inhabitants of the cave No 3 practise an economy based on hunting for large mammals

on the one hand, and on intensive shellfish gathering on the other. Levels chronologically

related to the Lower Neolithic have yielded pottery decorated with impression dating to the

late V millennium BC, flint and obsydian tools, but also items related to agriculture and

animal breeding such as fragments of millstones, sickle elements, polished stone axes and

hatchets. Therefore it is clear that the groups settled in Latronico change their social and

economic organization in response to the new climatic conditions occurred after the Würm

glaciation: the way of life becomes more sedentary than nomadic, agriculture and sheep

farming are usually practised, ceramics is produced, obsydian is sold. A further development

occurs during the second half of the IV millennium BC, with the spreading of the so-called

Serra d'Alto cultural system (named after a hill near Matera). The refined ceramics, shaped

on a slow potter’s wheel, painted brown with complex patterns, spread in the area: the

medium levels of cave No 3 return this kind of ceramics. The subsequent simplification of the

decorative repertoire that is well attested by Lower Neolithic deposits in cave No 2 must,

instead, testify the presence of the Diana cultural facies (Diana is a district of Lipari). The

archaeological evidence related to Copper Age are particularly rich in Latronico: the pottery

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of the so-called Laterza culture, is decorated with bands of imprinted dots, horizontal and

zigzag bands, triangles, lozenges. At this stage, the major caves house groups of people,

while the minor are used for burials. In addition, there is an evolution of worship and funerary

cults: alongside old Neolithic Earth fertility cults, appear those aimed at heaven, individual

tombs take the place of collective burials, mirroring the patriarchal structure of nomadic

groups organized into "clans". Individual burial monuments are dedicated to prominent

personalities. By the Bronze Age and the flourishing of Apennine cultural system, there is a

homogenization of activities, manifested in the increased stability of human settlements and

also by the simplification of ceramic forms. If the cave No 3 seems to be less popular in this

period, the other two are increasingly used, as evidenced by the large number of fragments

found, which come from carinated bowls with upraised handles, associated with the

processing of milk. The economy is going through a very productive pastoral stage,

supported by a more humid and fresh climate. The attendance of the caves seems to end

before the Late Bronze Age (1300-1200 BC).