Volume_artemodacultura n. 2

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VOLUME ARTEMODACULTURA 2 Anno I - Numero 2 - Maggio 2008 - Reg. Trib. di Roma n.139 del 27/03/2008 - copia gratuita FREEPRESS NEIL GAIMAN ZEN garden SPECIALE CINA Springstyle Arte a Roma Cinnamon

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Magazine di arte, moda, cultura

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Siamo a Maggio, evviva! Arriva il sole e l’estate, la voglia di staccare la spina, di farsi corteggiare, di vestire colorato, di giornate da trascorrere all’aria aperta in balia, finalmente, della spensieratezza ed eccolo qui, è pronto il numero due di Volume concepito all’insegna di tutte queste voglie più che legittime. Sì, perché le voglie vanno “cavate” come si dice in maremma e per cavarsi le voglie non serve chissà che cosa, spesso bastano i sensi e un cervello pensante perché il piacere c’è quasi sempre, è vero a volte gioca a nascondino ma bisogna riconoscerlo e prenderselo. Nel secondo numero di Volume, questa volta dedicato ai viaggi e alla voglia di “migrare” si vola davvero, si vola vestendoci etnico fra colori forti e copricapi di paglia, si vola dietro gli ibis dalla maremma all’Austria, si fa una tappa nella mitica Grecia beandosi la vista e la mente con un’escursione a Rodi per poi saltare in groppa alla tigre del nostro racconto inedito. Il mondo, amici lettori, non ha bisogno di troppi soldi per essere visitato perché è qui, dietro l’angolo a Roma in P.zza Mattei e in Via Chiavari dove, l’artista Martin Zet usa i libri per camminarci sopra o presso le Gallerie Polacche a Roma dove, in Via Colonna 1 e in Via dei Prefetti,46 ci si potrà perdere dietro “L’eredità del cemento”. E se del cemento ne avete abbastanza fate un salto all’Argentario dove godere della festa delle Oasi del WWF (al Casale spagnolo della Giannella). Leggete, leggete e…. partite e…buon viaggio!

Il Direttore Responsabile

Antonella Monti

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In Copertina:Fotografia di Daniele Porroni

Modella Sara Anastasi

Per comunicare con la Redazionescrivi a:

[email protected]

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Editorialedi Antonella Monti

L’Eredità del Cementodi Alan Santarelli

Zen Gardendi Francesca Eleuteri

A Sud delle nuvoledi Elvira Zollerano

Cinnamondi Neil GaimanTraduzione di Stefano Bertone

Un viaggio di solo ritornodi Massimo Cimarelli

Migrazione primaverile dell’ibis eremita

di Antonella MontiFesta delle Oasi WWFdi Antonella Monti

Springstyledi Paola GrandoniFotografie di Daniele Porroni

Dettagli di Cassie dell’Acqua

Demiandi Stefano Bertone

Il Torodi Veronica Pinzuti

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34Il Museo del Paesaggiodi Sara Gabriele

45Martin ZetGalleria Piomonti

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Il quarto appuntamento di “Transfert Gallerie Polacche a Roma” realizzato in collaborazione con il Centro d’Arte Contemporanea Zamek Ujazdowski di Varsavia.Nel 2007 il Centro ha presentato a Varsavia la mostra “L’eredità del cemento. Da Le Corbusier ai Blokers*” a cura di Ewa Gorzadek e Stach Szablowki. Per la mostra romana è stata studiata una seconda edizione del progetto, L’eredità del cemento. Quartiere radioattivo.

Il progetto è dedicato a una delle più importanti conseguenze legate alle idee architettoniche modernistiche: il fenomeno del quartiere residenziale basato sugli standard tecnologici dell’edilizia prefabbricata. “L’eredita del cemento” si concentra sul caso polacco e gli artisti invitati presentano le più diverse strategie e punti di vista sulla discussione nata intorno a questa edilizia: dalla fascinazione estetica per l’omogeneità e la geometricità dello spazio, ai progetti di tipo documentaristico, sociale e analitico, fino alle speculazioni futurologiche sul destino che attende i quartieri prefabbricati.

L’EREDITA’ DEL CEMENTO

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Da Lunedi 12 maggio 2008 presso l’ Istituto Polacco di Roma visioni futuriste sulle possibili conseguenze dell’architettura moderna: “L’Eredità del Cemento” è un progetto presentato in Polonia per la prima volta che sbarca a Roma con opere inedite. La mostra, a cura di Ewa Gorzadek e Stach Szablowski, presenta 21 artisti.

1: Pawel Althamer, Brodno, 2000, azione2: Julia Staniszewska, Nastro di Mobius, 20013: Julita Wojcik, Blok, 2007

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Di Alan Santarelli

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La mostra è costituita dalle opere di ventuno artisti che qui si rapportano con la storia e col presente del fenomeno: da lavori celebri, addirittura iconici, di Pawel Althamer o di Jozef Robakowski, a progetti nati appositamente per questa esposizione, fino alle opere di Ryszard Gorecki, Maciej Kurak e Julita Wojcik che verranno prodotte e realizzate a Roma.

Nella seconda metà del XX secolo la Polonia è stata uno dei paesi in cui i quartieri, costruiti con blocchi prefabbricati e l’uso di tecnologie simili, furono salutati come “la soluzione definitiva” e universale del problema abitativo. Di conseguenza è in questi quartieri, che rispecchiano l’utopia modernistica, che è cresciuta e ha abitato la maggior parte della popolazione polacca. Il sottotitolo della mostra, “Quartiere radioattivo”, è una citazione ripresa da un brano classico della leggendaria punk band polacca Brygada Kryzys, che descrive in modo lapidario e violento il fenomeno che costituisce il tema curatoriale della mostra: l’eredità del cemento costituita dai caseggiati modernistici.

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74: Ryszard Gorecki, Non preoccuparti, 20075: Nicolas Grospierre, Zory, 2007, fotomontaggio

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L’eredità del cemento. Quartiere radioattivo è il tentativo di vedere questi quartieri come esperienza universale di uno spazio sociale ed estetico: un’esperienza che in Polonia divide milioni di persone. Tra le diverse dimensioni del complesso problema costituito da questo tipo di edilizia abitativa (di cui si può parlare in termini architettonici, politici, sociali, economici, ideologici), ai curatori della mostra interessa soprattutto l’aspetto culturale. “Il quartiere, il palazzo, l’alloggio costruito con blocchi prefabbricati sono la cornice che da generazioni forma la sensibilità, la consapevolezza e l’immaginazione dei residenti: l’impronta che il quartiere moderno ha lasciato sulla cultura polacca”. (Ewa Gorzadek e Stach Szablowski)

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DENTRO C’È MOLTO DI PIÙ.

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Nei suoi Dialoghi in sogno, Muso Soseki ha scritto: “Di chi fa una distinzione tra il giardino e l’ascesi, non si può dire che abbia trovato la vera Via”. Il monaco intendeva dire naturalmente che costruire un giardino è un modo di praticare lo Zen. Una tale asserzione implica l’esistenza di stretti legami tra l’arte dei giardini e la ricerca della verità. E’ importante in tal senso spogliare la natura della sua scorza, eliminare tutto ciò che può essere tale. Riducendo la natura alle dimensioni minime e riportandola alla sua espressione più semplice, si riesce ad estrarne l’essenza. Ed è cogliendo l’essenza della natura che l’uomo può scoprire in sé la sua “natura originaria”. Ecco perché i monaci Zen “scorticarono” la natura, prendendone in considerazione soltanto la pietra, la sabbia e alcune piante. I giardini che costruivano presentavano loro un immagine dell’universo in una forma ridotta agli elementi essenziali, nella quale potevano ravvisare la loro fisionomia. Questi giardini ebbero però anche un ruolo nella effettiva pratica dello Zen. Tra i mezzi che i maestri adoperavano per aprire gli occhi ai loro discepoli vi è anche il kōan, una sorta di enigma apparentemente stupido che si può risolvere soltanto per assurdo.

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ZEN garden Il giardino come forma d’arte ambientaledi Francesca Eleuteri

Lo Zen non è propriamente una religione; è, insieme a una dozzina di altri, uno dei rami principali dell’albero buddista. Lo Zen non è nemmeno una filosofia, almeno nel senso in cui l’intesero prima i greci e poi i tedeschi. Lo Zen sarebbe piuttosto una forma di pensiero o, meglio, un modo di pensare che determina un certo modo di agire. Questo ramo del buddismo è alimentato o comunque ricevette grande influenza dal taoismo, il cui scopo principale è liberare l’uomo dal peso delle regole e delle convenzioni che la società impone e fargli ritrovare la spontaneità del bambino, ossia la sua natura iniziale, il suo essere originario. Un progetto che coincide con quello dell’adepto dello Zen. Il principio sul quale si basa è molto semplice: secondo la dottrina buddistica, ogni creatura racchiude in sé una “natura-di-buddha”, espressione che si potrebbe tradurre in una scintilla generata dal grande fuoco universale, focolare da cui tutto proviene e in cui tutto ritorna. Come prendere quindi coscienza di questa “natura-di-buddha”? La via per raggiungere il Risveglio è solitamente tripla: dialoghi disorientanti con il maestro, lunghe sessioni di meditazione in posizione seduta e, inoltre, attività manuali, in quanto bisogna esercitarsi parimenti con il corpo. 9

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C’erano anche kōan pittorici, come quello dipinto dal monaco Josetsu sul tema : “Come prendere una pesce-gatto con una borraccia?”. Alcuni giardini possono considerarsi dei kōan a tre dimensioni. Quello del Ryoanji, a Kyōto, in Giappone, della fine del XV secolo, è enigmatico come un indovinello Zen. Costruito nell’epoca di Muromachi è considerato, tra i giardini secchi, il più essenziale. Esso rappresenta l’arte del karesansui che significa letteralmente “povero”, “secco” (kare) e “montagna-acqua” (sansui); montagna-acqua è per antonomasia sinonimo di “paesaggio”, per cui karesansui significa in definitiva “paesaggio secco”.

L’arte del karesansui è infatti l’arte di disporre pietre su un fondo di ghiaia: a parte qualche macchia scura di muschio, il mondo vegetale, con la ricchezza dei suoi colori, non è presente. Così l’infinita gamma di grigi compresa tra il bianco e il nero che le rocce e le loro combinazioni offrono, sostituisce “poveramente” la gamma ancor più infinita dei colori prodotta da piante e fiori. Tornando al giardino del Ryoanji esso è costituito da quindici pietre che prese singolarmente non colpiscono per la loro particolarità. Due pietre soltanto sono verticali, ma la loro altezza è modesta ; le altre giacciono orizzontali oppure poggiano sul suolo. Nessuna di loro si impone, tutte si valorizzano reciprocamente, in modo che l’insieme risulta di un equilibrio perfetto. © Yali Shi

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Se i materiali sono semplici, la composizione, invece, è molto complessa. “Il principio che regola la sistemazione delle pietre consiste nel disporre degli elementi con la funzione di satelliti non lontano da una o più pietre centrali, quindi introdurre un terzo gruppo di pietre dette “invitate”. In questo caso il gruppo principale e il gruppo secondario sono controbilanciati da altri tre gruppi, che costituiscono una sistemazione autonoma pur avendo funzione di gruppo terziario”. Questo quadro tridimensionale è spogliato all’estremo, anche dell’elemento acqua, spesso presente in altri, e per questo acquista un’arditezza che è una delle ragioni del fascino che il giardino esercita su chi lo contempla. Ma come leggere questo quadro astratto? Quando da destra si guarda il giardino, siamo trasportati verso il primo gruppo di cinque pietre che è al contempo il più importante. Poi la vista scivola verso un gruppo di due pietre , uno dei più modesti. Da lì, tre pietre rilanciano verso destra lo sguardo, che va a rimbalzare su altre due pietre per giungere al gruppo finale, costituito da tre blocchi. Conviene poi sedersi al centro della veranda e da questa posizione scopriamo che la composizione si sviluppa seguendo un orbe ellittico; si colgono meglio le linee di forza che collegano i gruppi tra loro. A questo punto si può iniziare a leggere a partire da destra, poiché la scrittura sino-giapponese va da

destra a sinistra. Addizionati, i tre gruppi situati in fondo danno un totale di sette pietre. Questo numero è la chiave che permette di decifrare il ritmo che anima lo spazio. Il sette conduce al cinque, che forma il gruppo maggiore. Poi, come un testo in scrittura bustrofedica, la linea torna indietro, riparte come rimbalzando nella direzione opposta e termina a destra , in primo piano, dove è conclusa dalle tre ultime pietre. Così finisce il percorso visivo del giardino. A questo ritmo plastico si aggiunge un ritmo numerico, fondato sulla successione 7-5-3, che ispira la composizione. Cinesi e giapponesi ritengono infatti che i numeri dispari siano propizi. Non posso dilungarmi sul valore simbolico di questi numeri, quantunque molto importante. Una delle formule applicate nei giardini Zen consiste nello stabilire tre gruppi di pietre comprendenti rispettivamente tre, cinque e sette elementi, per un totale di quindici. Nel caso del Ryōanji le quindici pietre sono distribuite da est ad ovest - cioè da sinistra a destra – secondo il seguente disegno melodico: 5,2,3,2,3. Su che cosa possano simboleggiare o significare le quindici pietre sono state avanzate molteplici ipotesi, ma in fin dei conti tutti questi tentativi di interpretazione, alcuni più o meno fondati, non sono così necessari. Il giardino del Ryōanji è innanzi tutto un’opera d’arte e nessuno saprebbe spiegare la sua bellezza , né il fascino che esercita anche quando a priori

© LAURENT BRECHE

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Queste due tipologie di giardini hanno in comune il fatto che generalmente ad ognuno di loro vi sono associati oggetti artistici o luoghi storici. Questo perché si arricchisce l’interesse e la curiosità del visitatore e la passeggiata si trasforma in un’esperienza più completa. Oggetti artistici e giardini sono in questo modo complementari; da una parte infatti si assicura la conservazione dei primi, dall’altra si fa conoscere il giardino in un’altra veste. L’associazione tra paesaggio e opere artistiche non è quindi prerogativa del nostro secolo, ma ha trovato esempi analoghi in altre forme. Altra caratteristica che ricorda i percorsi d’arte ambientale è il fatto che il pubblico è reso partecipe dello spettacolo della natura in modo del tutto fortuito e graduale. Ne sono esempi gli animali che sono lasciati liberi nel parco senza essere costretti in una zona ben visibile al visitatore; se avrà fortuna probabilmente vedrà un panda tra un groviglio di bambù, ma l’incontro non è assolutamente favorito da alcuna disposizione.

né il fascino che esercita anche quando a priori non vi è nulla di attraente. Pasqualotto ne fa essenzialmente una questione di vuoto, egli afferma infatti che “la formazione del vuoto nella mente è un requisito necessario per poter esperire – cioè propriamente “far entrare” – questo tipo di giardino nella propria esistenza”. E’ utile fare un confronto anche con i giardini cinesi, che si differenziano notevolmente da quelli giapponesi. Esistono due diverse tipologie di giardino in Cina: il primo è il giardino “con veduta da fermo”, il secondo è il giardino “con veduta in movimento”. Il giardino “con veduta da fermo” è naturalmente di piccole dimensioni, per facilitare l’accesso a tutti i punti di contemplazione. Tali punti richiedono delle soste momentanee per poter godere del maggior godimento estetico possibile. Il secondo, il giardino “con veduta in movimento”, è caratterizzato da dimensioni maggiori rispetto quello precedente e da percorsi che necessitano di un tempo di percorrenza abbastanza elevato. La veduta cambia ad ogni passo e i sentieri seguono gli elementi naturali; lunghi corridoi invitano il visitatore a percorrerli, guidandolo.

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© ELVIRA ZOLLERANO

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“Guardare la montagna da un punto fisso è come sfogliare un album di dipinti e apprezzare ora questo ora quello attraversare la montagna, invece, è come distendere pian piano un rotolo dipinto. Nel primo caso emerge il paesaggio complessivo, nel secondo la sua continuità”.

Chen Congzhou

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© ELVIRA ZOLLERANO

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In viaggio nell’antica Cina alla scoperta del Lijiang e del paese delle donne

testi e fotografie di Elvira Zollerano

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A SUD DELLE NUVOLE

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“A sud delle nuvole”; è questo il significato letterale di Yun Nan, nome della regione birmano-tibetana che si trova a sud del piovoso Sichuan. Dopo aver attraversato catene di montagne e percorso strette gole, che tratteggiano i lineamenti di questa onirica terra, si giunge nella cittadina di Lijiang, capoluogo del distretto autonomo dell’etnia Naxi.Una pagoda di legno sovrasta la città, dalla collina del Leone. Dayan, la parte antica, mostra come un tempo doveva essere tutta la Cina, quando una fitta rete di canali si intersecava con le strade acciottolate, su cui si affacciavano le piccole e traballanti case di fango e legno.Lijiang oggi è senza dubbio un luogo turistico, ricostruita secondo il vecchio stile architettonico tradizionale dopo che un terribile terremoto l’aveva praticamente rasa al suolo. Eppure l’atmosfera è incantata, e al calar del sole le lanterne dipingono di rosso i viottoli, i portoni di legno e i cortili; il paesaggio irreale fatto di ponticelli e mulini ad acqua incornicia i rivoli che guidano con discrezione le passeggiate “senza meta”, rendendo il tutto armonioso e attraente. Il silenzio è squarciato da canti confusi e urlati a tutta voce provenienti da una stradina laterale alla piazza centrale.

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LIJIANG

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Una fila infinita di locali su due piani traboccano di giovani entusiasti e rumorosi, che si urlano contro filastrocche dai suoni antichi, in una sorta di gara all’ultima nota, che partono dai gruppi provocatori che passeggiano in strada in attesa di risposte da chi si trova sui balconi del secondo piano a bere tranquillamente in compagnia cercando di godersi le finali del reality game Chinese Kung Fu Star Search, dove i concorrenti si contendono la possibilità di esibirsi in un film e in una serie TV, entrambi intitolati Legends of Monk Warriors From Shaolin Temple.Costumi tradizionali e chitarre acustiche si confondono in un unico allegro colore di giocosità.Al mattino le strade si animano nuovamente con il mercato e le donne Naxi, con il loro tipico costume tradizionale, sono ovunque…

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Ad animare la piccola città un brulicante mercato frequentato da donne Naxi in abiti tradizionali. Per questo popolo la rana è un animale totemico, e l’abbigliamento delle donne del luogo ricorda la fisionomia di questo animale. Portano un coprischiena, allacciato sul davanti con due fasce - incrociate o meno, a indicare se al momento la donna è sentimentalmente impegnata - la cui metà superiore è di stoffa blu e quella inferiore di pelle di pecora chiara. Il costume tradizionale presenta nella parte posteriore una specie di cuscino che serve ad attenuare la pressione dei carichi pesanti. La stoffa è adornata da decorazioni circolari, due grandi e sette piccole, che simboleggiano il sole, la luna e le stelle. Come dire che le spalle delle donne Naxi, piegate dai lavori pesanti, sono rivolte verso il cielo giorno e notte.

IL REGNO DELLE DONNE

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Lijiang è la città delle matriarche Naxi, depositarie di una tradizione secolare che sembra riscattare i soprusi e le discriminazioni subite da milioni di donne. Nella società Naxi la donna ha da secoli un ruolo preponderante: è lei a scegliere il compagno, a guidare la famiglia, a lavorare nei campi. Le matriarche hanno mantenuto e continuano a mantenere il controllo attraverso il sistema dell’azhu (amicizia), che consente loro di avere uno o più mariti e amanti senza l’obbligo di vivere sotto lo stesso tetto. Le donne scelgono i propri compagni in occasione di speciali rituali. Per diversi anni i prescelti potranno soltanto “dormire” con le loro donne, continuando a lavorare e a vivere nelle abitazioni materne. Nella loro casa, invece, le donne hanno una propria stanza personale dove ricevono gli amanti, mentre i maschi, quando ospitati, devono accontentarsi di una camera comune. Sono loro che detengono le redini dell’organizzazione sociale e propendono verso la poligamia; sono, infatti, un popolo molto libero ed elastico nei rapporti familiari. Le donne esercitano la loro autorità sugli uomini

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mediante rapporti sessuali piuttosto flessibili e gli eventuali figli vivono nella casa della madre, separata da quella del padre. Non esiste l’istituto del matrimonio, sono le donne che decidono tutto in merito alla gestione dei propri rapporti; l’uomo dal canto suo deve provvedere ai bisogni della donna solo fin quando la relazione permane. Secondo la tradizione di questa etnia, chi detiene il comando nella famiglia è la nonna, e chi eredita il patrimonio familiare è la figlia minore. È facile incontrare in giro gruppi di donne; le vedi assieme e spesso mano nella mano, le vecchiette con le giovani, mentre gli uomini vivono in disparte. I Naxi hanno una struttura matriarcale assoluta, e persino nella lingua il sostantivo femminile indica “forte”, “più grande” o “più importante”. Ma se il potere è nelle mani delle donne, ai maschi resta l’espressione artistica e creativa, senza contare che, nonostante l’assoluto potere femminile tipico delle società matrilineari, tutti i sovrani Naxi sono sempre stati uomini.

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SCIAMANI E DONGBA

L’origine dei Naxi non è ancora ben chiara, ma si pensa che alcune migliaia di anni fa, prima di essere condotti qui dagli invasori dell’Asia centrale, vivessero nel nordovest della Cina, nelle attuali province di Qinghai, Gansu e Sichuan. I Naxi sono per certi versi un popolo unico al mondo, famosi per le attività artistiche e per la sopravvivenza degli sciamani, come nella tradizione delle popolazioni tibetane dalle quali discendono. La lora cultura si chiama Dongba, che significa “uomo saggio” (o più precisamente “colui che canta le scritture nei villaggi montani”) inteso nell’accezione di “sciamano”. In una sorta di sincretismo religioso, si mescolano differenti componenti di religioni primitive a base sciamanica con elementi mutuati dal Buddhismo, dall’Islam e, in misura minore, dal Cristianesimo, giunto nella zona con le missioni di evangelizzazione, francesi prima e inglesi poi, dello scorso secolo. Ma ciò che rende veramente unico questo mite popolo cosmopolita è la scrittura pittografica, unico esempio esistente nel mondo contemporaneo,

ancora oggi in uso almeno tra gli esponenti più saggi e anziani della popolazione e tra gli artisti locali. In giro per la provincia si vedono cartelli stradali e indicazioni cittadine scritte in geroglifici, una cultura vera, esistente e tangibile.“Quando il cielo e la terra non erano ancora separati, gli alberi potevano camminare e le pietre parlare”. Questo proverbio si legge nelle scritture Dongba della gente Naxi, conservate in un antico rotolo dipinto. Grazie all’interpretazione di queste antiche scritture è possibile tracciare la storia di questo popolo, delle origini della loro mitologia, magia ed esorcismi. Attualmente si contano 30 o 40 sciamani Dongba ancora in vita, alcuni dei quali lavorano nell’Istituto omonimo di Lijiang per aiutare gli studiosi a decifrare i rotoli. In occasione di eventi importanti i vecchi sciamani eseguono la “danza del fuoco e dei coltelli”.

Elvira Zollerano

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Ludi yan (Grotta del Flauto di Canne)È uno dei luoghi più pittoreschi di Guilin, per le fantasiose forme delle stalagmiti sapientemente illuminate creando paesaggi fantastici e fiabeschi che le hanno valso il nome di Palazzo d’Arte della Natura. Una volta l’entrata era nascosta da un cespuglio di canne (ludi cao) usate dai locali per creare strumenti musicali, da cui il nome.

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Grotta della Perla RestituitaLa leggenda racconta di un pescatore che tanto tempo fa rubò la perla che apparteneva al drago che viveva nella caverna. Più tardi, sopraffatto dal rimorso, il pescatore restituì la perla e da allora pescò per sempre felicemente. Per lodare la sua onestà la gente chiamò la grotta “della Perla Restituita”. Qui una stalattite partendo dal soffitto arriva a soli 2 cm da terra. Nella grotta ci sono, incise sulla roccia, più di 100 iscrizioni storiche e 250 statue, per la maggior parte lavori risalenti alle dinastie Tang e Song. I pezzi migliori sono considerati l’autoritratto di Mi Fu, un famoso pittore della dinastia Song, e il “Poema del Banchetto”, del famoso poeta della dinastia Song Fan Chengda. I visitatori lasciano preghiere buddiste e “desideri” appesi lungo i muri.

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Buddha gigante di LeshanÈ la più grande statua in pietra di Buddha del mondo (76 metri). La scultura è posta di fronte al Monte Emei, con i fiumi che scorrono ai suoi piedi. La costruzione dell’opera iniziò nel 713, condotta da un monaco cinese di nome Haitong. Egli sperava che il Buddha avrebbe calmato le acque turbolente che affliggevano le navi mercantili che scendevano la corrente dei fiumi. Secondo quanto narra la leggenda, quando i fondi per la costruzione iniziarono a scarseggiare, per non dare adito a maldicenze, il monaco si cavò i suoi stessi occhi per provare la sua buona fede e onestà. La statua venne completata dai suoi discepoli 90 anni dopo. Pare che l’enorme massa di roccia rimossa per la costruzione dell’opera e depositata nei fiumi ai piedi della statua abbia effettivamente alterato il corso delle acque, col risultato che la navigazione divenne più sicura.La catena montuosa in cui la statua si trova, vista dal fiume, ha una vaga somiglianza con le forme di un Buddha dormiente, con la statua gigante al centro.

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Indossa il ciondolo di Pangea per aiutare le donne che subiscono violenze e discriminazioni a costruirsi un futuro diverso.

Anche Vanessa Incontrada ha deciso di sostenerle, poiché crede nella forza e nel talento delle Donne.

Se vuoi sapere come ricevere il ciondolo chiama Pangea allo 02/73.32.02 oppure visita il sito www.pangeaonlus.org

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Vanessa Incontrada per Fondazione Pangea Onlus

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Non volevo cercare di vivere se non ciò che proveniva spontaneamente da me stesso. Perché era così difficile?Con questa frase si apre un libro misteriosamente quasi sconosciuto: Demian. Frutto del cuore e della penna di Herman Hesse, che lo pubblicò sotto pseudonimo nei primi mesi del 1919, è un’opera “sommersa”, dal tempo e dalla produzione del suo demiurgo che il grande pubblico – e spesso anche quello dei suoi estimatori - conosce soprattutto per altri romanzi quali Il Giuoco delle perle di vetro, Il lupo della steppa e quel Siddharta che, perlomeno in Italia, tanto ha spopolato tra una gioventù non sempre pronta a recepirlo.Demian è il più classico dei Bildungsroman, i “romanzi di formazione” nei quali il protagonista parte da una condizione di sostanziale ignoranza (attenzione, non si parla di accademia: l’ignoranza in questo caso riguarda il sé) e, attraverso un doloroso viaggio a volte fisico e sempre spirituale, raggiunge la maturità della sua natura. In questo caso il giovane (all’inizio del libro ha solo dieci anni) è Emil Sinclair, rampollo di una ricca famiglia che si rende ben presto conto di come il mondo e la vita non siano solo quelli che vede nei suoi genitori; avverte le ombre, le gradazioni di grigio e i contrasti che si celano subito al di là delle convenzioni sociali. Sinclair è curioso, inquieto, e il calore e la sicurezza del modello di vita che gli viene proposto e spacciato per “giusto” crea un doloroso dualismo con l’attrattiva esercitata dal mondo giudicato “proibito”. In questo momento di crisi, di rimorsi e sensi di colpa, il fragile protagonista si imbatte in Kromer, un ragazzo più grande che sfrutta la paura per dominarlo e renderlo una sua vittima.Nel momento di maggior disperazione, quando Sinclair sta ormai precipitando verso la perdizione totale (c’è forse qualcosa di peggio che perdere se stessi e divenire succubi?), appare il deus ex machina: Max Demian.

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Questi saprà prendere per mano il protagonista e indicargli la strada da percorrere per scoprire la sua vera natura. Il lettore vedrà così crescere Sinclair, nel corpo e nello spirito, lo seguirà nel suo viaggio doloroso e straordinario che si intreccerà con quello di altri personaggi come Eva, Pistorius, Knauer. E gli verrà posto davanti un mondo vero, tangibile, una realtà nascosta soltanto da un velo, ma così pesante da sollevare che per molti è follia il solo pensarci.Demian è gnosi, nel senso più puro del termine: è Conoscenza. Si può leggere come una bella storia di gioventù, come un racconto fantastico, come un’espressione dell’inquietudine e del disorientamento dei giovani europei sconvolti dalla guerra, ma non è in realtà nulla di tutto questo. L’incomprensione più grande che accompagna questo libro è quella di definirlo, come si legge sovente, “la storia di un giovane combattuto tra il bene e il male”; significa non aver capito nulla. Di bene e male, in Demian, non c’è traccia. E ancor di più non c’è traccia di una lotta del genere; tutt’altro. Ma non sta a chi scrive esplicare il senso del messaggio di quest’opera, perché sarebbe un errore e, soprattutto, una violenza.La potenza di Demian risiede nel fatto che è un libro interamente riassumibile in due sole frasi. La prima è quella citata in apertura. La seconda è:L’uccello lotta per uscire dall’uovo. L’uovo è il mondo. Chi vuole nascere deve distruggere un mondo. L’uccello vola verso dio. Il dio si chiama Abraxas.È difficile da capire. È ancor più lo è farlo davvero. Ma chi lo fa, diventa un uomo libero. Diventa se stesso.

DEMIANdi Stefano BertoneFotografia di Elvira Zollerano

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CINNAMONdi Neil GaimanTraduzione di Stefano Bertone

Dopo “Uno Studio in Verde” un altro appuntamento avvincente con lo scrittore inglese che ci ha affascinato con Stardust.Atmosfere rarefatte, principesse, tigri e tutti gli elementi magici dell’India.

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Cinnamon era una principessa, in un tempo molto lontano, in un paese piccolo e assolato, dove tutto era molto vecchio. I suoi occhi erano perle, che le conferivano una gran bellezza ma allo stesso tempo palesavano la sua cecità. Il suo mondo era fatto del colore delle perle: bianco e rosa pallido, e leggermente iridato.Cinnamon non parlava.I suoi genitori, il Rajah e la Rani, offrirono una stanza nel palazzo, un campo di alberi nani di mango, un ritratto della zia della Rani inciso su legno massiccio smaltato e un pappagallo verde a chiunque fosse riuscito a far parlare Cinnamon. La notizia risuonò per tutto il paese, dalla giungla alle montagne, e raramente si presentava qualcuno nel tentativo di insegnare alla principessa a parlare. Ma a volte qualcuno arrivava: e alloggiava nella stanza del palazzo, coltivava il campi di alberi di mango, dava da mangiare al pappagallo, ammirava il ritratto della zia della Rani (che ai suoi tempi era una bellezza alquanto decantata, anche se ormai era diventata vecchia, burbera e il suo viso smunto era l’emblema del tempo e del disappunto) e alla fine ripartiva frustrato, maledicendo la piccola principessa silenziosa.

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Un giorno a palazzo arrivò una tigre. Era enorme, fiera, un incubo nero e arancione che si muoveva come un dio sceso in terra; è così che si muovono le tigri. La gente era atterrita.- Non c’è niente da temere -, disse il Rajah. - Le tigri mangiauomini sono pochissime.- Ma io lo sono -, disse la tigre. La gente rimase sbalordita, anche se questo servì a poco per diminuire il loro terrore.- Potresti mentire -, disse il Rajah.- Potrei -, rispose la tigre. -Ma non è così. Veniamo al dunque: sono qui per insegnare a parlare al cucciolo di donna. Il Rajah si consultò con la Rani e, nonostante le proteste della vecchia zia che suggeriva di cacciarla dalla città con scope e bastoni appuntiti, alla tigre fu mostrata la stanza nel palazzo e ricevette il dipinto smaltato e l’atto di proprietà del campo di manghi. Le avrebbero dato anche il pappagallo se questo non fosse volato gracchiando sulle travi del tetto, dove si piazzò rifiutandosi di tornare giù. Cinnamon venne introdotta nella stanza della tigre.- C’era una giovane donna di Riga -, gracchiò il pappagallo dall’alto, - che andò a fare un giro a cavallo di una tigre.

© Liu xiang

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vibrare le mura del palazzo. Cinnamon iniziò a tremare.- Amore -, disse la tigre, e con la sua lingua rossa e ruvida leccò il sangue sul palmo della principessa e il suo visino soffice e scuro.- Amore? -, sussurrò Cinnamon, con la voce schiva e cupa di chi non l’aveva mai usata. Allora la tigre aprì la bocca e sorrise come un dio affamato; è così che sorridono le tigri. C’era la luna piena, quella notte. Il sole era già alto al mattino, quando la tigre e la bambina uscirono insieme dalla stanza.I cimbali risuonavano, gli uccellini cantavano festosi, e Cinnamon e la tigre andarono verso la Rani e il Rajah, seduti in fondo alla sala del trono mentre anziani servitori li sventagliavano con fronde di palma. La zia della Rani sedeva in un angolo della stanza, bevendo un tè con cipiglio di biasimo.- È già in grado di parlare? -, disse la Rani.- Perché non lo chiedete a lei? -, ruggì la tigre.- Sai parlare? -, chiese il Rajah.La bambina annuì.- Ah! -, gracchiò la zia della Rani. - Non parla meglio di quanto non riesca a leccarsi la schiena!- Silenzio -, disse il Rajah alla vecchia zia. 27

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Tornarono dalla cavalcata con la donna nella pancia e il sorriso sulla faccia della tigre. (Sono costretto, in nome della correttezza storica e letteraria, a far presente che in realtà il pappagallo citò un’altra poesia, più datata e leggermente più lunga, il cui succo però in definitiva era lo stesso)- Ecco -, disse la vecchia zia. - Lo sanno perfino gli uccelli.- Lasciatemi con la ragazza -, disse la tigre. E, controvoglia, il Rajah, la Rani e la sua vecchia zia con la servitù di palazzo al seguito lasciarono la belva sola con Cinnamon. Questa affondò le piccole dita nella pelliccia dell’animale e ne sentì il respiro caldo sul viso. La tigre mise una mano di Cinnamon sulla sua zampa.- Dolore -, disse la tigre, e allungò un artiglio appuntito sul palmo della bambina. Ne punse la pelle, soffice e scura, e apparve una perla di sangue brillante. Cinnamon mugolò.- Paura -, disse la tigre, e iniziò a ruggire dapprima così piano che a malapena era udibile, poi passò alle fusa, seguite da un rombo sommesso come quello di un vulcano lontano, e infine ruggì talmente forte da far

© Liu xiang

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- So parlare -, disse Cinnamon. - Credo di averlo sempre saputo fare.- E allora perché non lo facevi? -, le chiese la madre.- Non è lei che sta parlando -, bofonchiò la zia della Rani agitando un dito che sembrava uno stecchino. - È la tigre che le mette in bocca la sua voce.- C’è qualcuno che può far smettere di parlare quella donna, per carità? -, chiese il Rajah ai presenti.- Presto fatto -, disse la tigre, e si occupò del problema.Cinnamon disse: - Perché non parlavo? Non avevo nulla da dire.- E adesso? -, chiese il padre.- E adesso la tigre mi ha parlato della giungla, del ciarlare chiassoso delle scimmie, dell’odore dell’alba, del sapore del chiaro di luna e del frastuono di uno stormo di fenicotteri che si libra in volo -, disse. - E quello che ho da dire è questo: me ne vado con la tigre.- Non puoi farlo -, disse il Rajah. - Te lo proibisco.- È difficile, - disse Cinnamon, - proibire a una tigre di fare ciò che desidera. Il Rajah e la Rani, dopo una breve consultazione, concordarono che in effetti aveva ragione.

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- Oltretutto -, aggiunse la Rani, - lei sarà certamente più felice laggiù.- Ma che ne faremo della stanza nel palazzo? E della piantagione di manghi? E del pappagallo? E del ritratto della zia della Rani? - chiese il Rajah, che pensava che al mondo ci fosse ancora posto per il senso pratico. - Dateli al popolo -, rispose la tigre.Così venne emanato un proclama agli abitanti della città, annunciando loro che erano divenuti orgogliosi possessori di un pappagallo, di un ritratto e di una piantagione di manghi, e che la principessa Cinnamon sapeva parlare ma li avrebbe lasciati per un po’per dedicarsi ulteriormente alla sua istruzione. Una folla si radunò nella piazza principale della città, e poco dopo si aprì la porta del palazzo che fece uscire la bambina e la tigre. La belva si fece lentamente strada tra la folla con la principessa in groppa, stretta alla sua pelliccia, e presto vennero entrambe ingoiate dalla giungla; è così che se ne va una tigre. E così alla fine nessuno finì divorato, a parte la vecchia zia della Rani, che venne pian piano sostituita nell’immaginario popolare dal suo ritratto, appeso nella piazza principale, rimanendo così per sempre giovane e bella.

© Thilo Kierdorf

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UN VIAGGIO DI SOLO RITORNOdi Massimo Cimarelli

“L’eterno modo di ritorno è l’essenza della Via”

Lao-Tze, Tao Te Ching, XL

Nel porto di Mandraki, a Rodi, a salutare i marinai in partenza, si ergono maestosi su due colonne due cervi, un maschio e una femmina, il cui sguardo è rivolto a Nord. Gli antichi greci videro nel cervo la manifestazione di Apollo, Dio del Sole, mentre nella mitologia norrena delle Edda lo stesso animale risiede nel Walhalla, il luogo che di diritto spetta ai guerrieri che in battaglia, per coraggio, virtù, capacità e valore, si siano dimostrati degni di tal nome. Qui il cervo bruca, grazie al suo lungo collo, i rami dell’Yggdrasil, l’albero sacro delle antiche popolazioni nordiche, mentre dalle sue corna stillano gocce che cadendo creano fiumi. Il cervo è simbolo solare, di quella Luce del Nord che ancora si propaga al di là delle acque, sempre più agitate e mosse, delle passioni, del livellamento, delle ragioni e delle emozioni. Si propaga dall’isola, apparentemente scomparsa o inaccessibile, che i greci chiamarono Thule e al cui approdo potranno accedere solo quegli uomini che sapranno dimostrarsi Eroi: unicamente con un atto di estremo coraggio, di personale sacrificio, affrontando la morte e morendo come uomini potranno godere nuovamente della natura immortale che gli fu propria nella mitologica età dell’oro di cui il Nord è la rappresentazione fisico-geografica. Questo quindi il saluto dei due cervi all’impresa eroica: un saluto che infonde Fiducia per la possibile riuscita di quel viaggio che è ritorno alla stato iniziale, alle origini, ma che inevitabilmente porta con sé il più estremo dei cambiamenti dal quale nessun altro ritorno è consentito.

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La ChimeraPizzeria - Ristorante - Forno a legna - Cucina alla brace

Via della Volta Buia, 54 (traversa Corso Italia)Viterbo

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MIGRAZIONE PRIMAVERILE DELL’IBIS EREMITADi Antonella MontiFotografie di Fabio Cianchi

Aurelia e Medea, sono questi i nomi dei due esemplari di ibis eremita (Geronticus eremita), che lo scorso 27 marzo, hanno lasciato l’Oasi WWF di Orbetello alla volta dell’Austria. Quest’anno, gli ibis sono partiti con qualche giorno di anticipo rispetto al 2007, e all’Oasi lagunare è arrivata la notizia che la prima ad arrivare è stata Aurelia, che è giunta a destinazione percorrendo a ritroso la rotta migratoria intrapresa tre anni fa, quando insieme agli altri pulcini nati in Austria, sono arrivati in maremma seguendo un ultraleggero che fungeva loro da “mamma”. Scopo dell’intero progetto, era quello di portare gli ibis in volo fino all’oasi WWF di Orbetello da dove, una volta raggiunta la maturità sessuale, sarebbero ripartiti alla volta dell’Austria spinti dal desiderio della riproduzione. Al fine di ricostruire e monitorare l’intera rotta migratoria, percorsa a ritroso dagli ibis eremita, ad alcuni di loro, è stato posizionato sul dorso, uno strumento GPS. Gli ibis eremita, sono una specie minacciata di estinzione ed è per questo che il Waldrappteam, in collaborazione con il Centro di Ricerca Konrad Lorenz ,con altri istituti di ricerca internazionali e con il WWF Italia, cerca di proteggerne la popolazione selvatica, sviluppando un metodo di reintroduzione di animali nati in cattività. Un progetto che si potrà dire veramente riuscito solo quando tale specie imparerà di nuovo a migrare.

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Dal 2004 ad oggi, sono stati trentuno gli ibis che sono stati accompagnati (attraverso una migrazione guidata dalle zone di riproduzione dell’Upper Austria e dalla Bavaria) alla laguna di Orbetello. Un viaggio di oltre 1000 km fatto in volo (a tappe), dietro la mamma-ultraleggero guidato dallo studioso che, i pulcini nati in cattività hanno visto per primo uscendo dall’uovo (imprinting). Durante l’autunno-inverno 2007-8, gli uccelli ospiti dell’Oasi lagunare, sono stati seguiti dalle guardie del WWF, Joseph Crisalli e Pietro Labate, che giornalmente hanno integrato la loro dieta naturale con un cibo specifico, e ne hanno seguito gli spostamenti nelle aree limitrofe. Per meglio conoscere i loro spostamenti locali, ad alcuni di loro sono stati applicati gli zainetti con il GPS anche durante la permanenza nell’oasi e grazie a ciò si è saputo che, gli ibis, seguendo il tombolo della Giannella, raggiungono la località Le Piane, o vanno verso a nord della S.S. Aurelia , per alimentarsi nei prati di un’azienda biologica locale. Altra meta consueta è quella della peschiera di Fibbia. L’anno scorso, quattro degli ibis dell’Oasi WWF di Orbetello, sono ritornati da soli nell’Upper Austria, e lì sono nati tre pulcini di ibis. In autunno, tre degli adulti che avevano imparato nuovamente a migrare, sono tornati all’Oasi WWF della laguna di Orbetello, per trascorrervi l’inverno. L’esperimento austro-italiano, è dunque riuscito e finalmente, dopo 400 anni di assenza, gli ibis sono ritornati a volare in Europa, effettuando una migrazione libera.

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DOMENICA 25 MAGGIO FESTA WWF DELLE OASILAGUNA DI ORBETELLODi Antonella Monti

Una giornata dedicata alla natura, a Orbetello, in provincia di Grosseto.Durante la giornata si avrà la possibilità di fermarsi a parlare della Biodiversità con vari esperti, che consentiranno di approfondire la nostra conoscenza su: pesci, anfibi, rettili, farfalle, uccelli, insetti, ecc., ed inoltre: Stand e laboratori: - Il sole: Energia rinnovabile - Riciclaggio: aiutiamo la Biodiversità riducendo i rifiuti - “Cretiamo” nella Biodiversità: laboratorio di creta - L’ibis eremita: studi e ricerche per contrastare l’estinzione attraverso gli occhi di due adolescenti a cura di Maddalena Ferraro e Martina Federici - Progetto Capovaccaio: un avvoltoio in via di estinzione - Vigilanza WWF: informazioni sulle normative di tutela della Biodiversità - Pittori naturalistici - Postazione interattiva per conoscere il meraviglioso mondo degli uccelli - Educazione ambientale con la Panda Avventure - Commercio equo e solidale - Pro Loco aiutiamo un turismo sostenibile - Aziende Biologiche - Il vimini: laboratorio di materiale naturale - Mostra fotografica Ore 11:00 proiezione sulla biodiversità italiana con Manuel Presti, vincitore del prestigioso premio BBC wildlife Phfotographer of the year 2005 Ore 13:00- 14:00 Pausa pranzo –- sospensione attività ludiche Ore 18,30 conclusione della festa Visite guidate: durante la giornata sarà possibile prenotare due escursioni (ore 11:00 e ore 15:00) per visitare il sentiero natura dell’Oasi. Visto il particolare periodo saranno organizzati piccoli gruppi a numero chiuso in base alla disponibilità delle guide. Per informazioni: [email protected] – tel. 0564.870198 0564.898829 Si ricorda che è possibile raggiungere il casale della Giannella con la bicicletta percorrendo la S.P. della Giannella. Per chi desidera utilizzare il treno, ricordiamo che tutti i treni che fermano alla stazione di Albinia hanno il servizio di trasporto bicicletta.

Oasi di Orbetello (Casale della Giannella e loc. Ceriolo) Dalle Ore 09:00 alle ore 18:30 Apertura Oasi e inizio attività

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Una novità all’interno del panorama nazionale nasce dall’idea di due geografi dell’università di Siena, che nel 1999 istituiscono, in un vecchio macello a Castelnuovo Berardegna,il “MUSEO DEL PAESAGGIO” situato in uno dei più tipici paesaggi senesi, tra il Chianti e il suggestivo panorama di crete. Il museo, attraverso 36 tavole, cerca di far capire al visitatore che il paesaggio non è una “cosa” ma un modo di vedere le cose, ed è appunto partendo dal significato di paesaggio, attraverso video e immagini, intersecando paesaggio estetico, geografico e scientifico, che si arriva a scoprire come l’uomo interagisca con la natura e come le sue azioni siano visibili anche dopo molti anni. Successivamente alla visita del museo senza dubbio vale la pena di continuare immergendosi nel paesaggio senese che merita ogni attenzione. L’itinerario proposto, che permette un forte contatto con la natura, è di dieci chilometri percorribili a piedi, in bici o a cavallo. Questa potrebbe sembrare una semplice passeggiata tra stradine sterrate invece siamo di fronte ad è un vero e proprio museo. La partenza di questo “percorso” si effettua infatti dai “Giardini Leonini” di proprietà dei Medici, giardini cinquecenteschi riconosciuti nel 1996 parco e nel 2003, dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità.

Qui passa la via franchigena, ed è proprio percorrendola che, tra alberi di roverella e di leccio, si giunge ad ammirare il Monte Amiata. A valle è possibile notare l’alternanza di coltivazioni di olivo e di boschi di leccio: la zona infatti fu interamente bonificata prima dagli Etruschi, poi da Mussolini ed infine dalla famiglia Origo. Continuando per la via franchigena si trova il Castello di Vignoli che, dal 1300 ad oggi, è di proprietà della famiglia Chigi. Attraversando il castello e costeggiando le coltivazioni di grano duro e cereali si arriva a valle, tappa finale dell’itinerario, dove si intravede un piccolo paese a cui la via conduce: Bagno a Ripoli, caratterizzato dalla presenza della vasca di acqua termale, che sgorga a 52° grazie all’attività di vulcanismo secondario del Monte Amiata. La vasca è situata nel centro storico tra gli antichi palazzi del paese e l’erboristeria, la cui produzione, interamente artigianale, è basata sulla coltivazione delle piante locali. Un paesaggio che, accompagnato dai canti degli uccelli e dal fruscio delle foglie, vale la pena di vedere con occhi diversi da quelli dei ritmi frenetici della città.

IL MUSEO DEL PAESAGGIODi Sara Gabriele

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Il biennio è finalizzato all’apprendimento delle analisi grafologiche di personalità – il terzo anno prevede due specializzazioni in: 1)Consulenza matrimoniale e familiare e 2) Consulenza grafica – grafologica (attribuzione delle scritture contestate)

Promosso dal Consorzio STEDI, in collaborazione con l’Associazione grafologica Filografia e l’Université Européenne Jean Monnet

Breve presentazione della grafologia e del corso La grafologia è una scienza umana. Studia la scrittura ed il gesto grafico in genere (ad esempio, anche gli scarabocchi e i disegni infantili), ai fini di comprendere la personalità dello scrivente: dal momento che tutti scrivono, è uno strumento assai efficace e potente per penetrare e comprendere la natura umana.E’ provato, inoltre, che lo studio della grafologia ingenera positive modificazioni nell’organizzazione della personalità degli allievi: la loro grafia muta progressivamente ed in modo non consapevole.Nelle relazioni di aiuto è sempre preziosa e, talora, è insostituibile ed indispensabile, come nei casi in cui è necessario comprendere un’interazione tra più persone, con una o più di loro assenti e/o non “collaboranti”. La grafologia, infatti, consente di comprendere la psicologia di una persona, anche in sua assenza.L’altra caratteristica della grafologia è l’economicità: un solo saggio grafico può essere utilizzato per valutazioni che interessano una molteplicità di ambiti applicativi, di tratti e di attitudini psicologiche.L’analisi grafologica, infatti, può essere finalizzata:all’analisi di personalità - all’orientamento scolastico e/o lavorativo - alla selezione del personale e al bilancio delle competenze - alla composizione equilibrata dei team di lavoro - alla consulenza di coppia (compatibilità) - alla consulenza familiare - all’individuazione degli stili educativi che caratterizzano i genitori - alla scoperta dei bisogni educativi dei figli - allo studio psicologico dei personaggi storici - al sostegno psicologico su base grafologica - ai fini giudiziari (separazioni - attribuzioni degli scritti e delle firme contestati).Le conoscenze grafologiche, inoltre, costituiscono una sorta di macro-competenza trasversale, da utilizzare, ad esempio: nei consultori familiari; nelle scuole; in tutti i contesti educativi; nei centri di riabilitazione; nelle comunità terapeutiche; nella formazione dei gruppi di lavoro; nell’orientamento scolastico e formativo; nei centri per l’impiego; nell’ambito di ogni tipo di relazione di aiuto; nell’ambito giudiziario.

La proposta formativaLa proposta formativa è funzionale ad un corso, che è concepito per essere professionalizzante, ovvero per formare validi professionisti, capaci di intraprendere con profitto la professione del grafologo.Di conseguenza, pur essendo contemplati anche moduli di psicologia, di etica e di altre discipline, è incentrata soprattutto sulle discipline grafologiche, sulle esercitazioni pratiche e sul tirocinio.Il calendario delle lezioni è pensato per favorire la frequenza di chi lavora.

Per pre-iscrizioni ed informazioni www.filografia.it– tel. 0761/344123 -339 8473098

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Di FORTE FORTE Vestito in cotone a fiori, sandali bronzo, bracciale dorato e cappello in paglia

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Presentiamo in copertina e in questa immagine una collaborazione tra Volume e Piomonti Arte Contemporanea. La location nella foto e in copertina è in realtà un’installazione presente nella galleria romana, firmata Martin Zet, artista della repubblica Ceca, curata da Marco Scotini.La mostra dal titolo Egalité, inaugurata il 9 Aprile 2008, si sviluppa nelle due sedi della Galleria Piomonti site in Piazza Mattei e in Via dei Chiavari a Roma.Fratello dei personaggi romanzeschi di Milan Kundera e discendente diretto delle azioni anni Settanta di Jirì Kovanda, Martin Zet è autore di situazioni performative perfettamente ordinarie e non spettacolari ma, allo stesso tempo, paradossali.Educato all’interno del regime disciplinare socialista, Zet è attratto dall’aleatorietà degli eventi, dai comportamenti spontanei e imprevisti, dai continui spostamenti.In occasione della personale romana, nella sede di Piazza Mattei di fronte alla Fontana delle Tartarughe, Martin Zet ricopre l’intero pavimento della galleria con migliaia di libri che, una volta persa la loro funzione di passaggio culturale, si trasformano in un semplice attraversamento fisico per lo spettatore che dovrà camminarci sopra per poter accedere al piano inferiore dove sono proiettati i due video. Uno mostra l’autore che, trasformato in pennello nelle mani di altri, usa la testa per scrivere su un lungo pezzo di carta “To be a tool”, mentre l’altro video mostrerà persone ripiegate sul pavimento a formare un alfabeto fatto di corpi umani.

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MARTIN ZETPIOMONTI ARTE CONTEMPORANEA

PIOMONTI ARTE CONTEMPORANEAPiazza Mattei, 18 - Via dei Chiavari, 58

00186 RomaInfo +39 06 68210744

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Mensile Reg. Trib. Roma N. 139/2008del 27/03/2008

Sped. in abb. post.Art. 2 Comma 20/B Legge 662/96

Free PressPublisher: Volume edizioni s.r.l.

Tutti i diritti riservati

Materiali, comunicati e richieste vanno indirizzati a:Redazione Volume Edizioni s.r.l.

Via Enrico Mancini, 3900135 Roma

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www.myspace.com/volumeedizioni

Direttore ResponsabileAntonella Monti

Direttore EditorialeMassimo Cimarelli

Responsabile ArteFrancesca Eleuteri

Responsabile Moda e FotografiaDaniele Porroni

Responsabile CulturaVienna Eleuteri

CollaboratoriStefano Bertone, Sara Sergnese, Giorgia Aniballi, Alessandra Eleuteri, Jeny Fausta Giliberto, Cassie Dell’Acqua, Elvira Zollerano, Anna Teresa Peruzzi,

Giampiero Plini, Veronica Pinzuti, Paul Cheung, Eleonora Angeli, Alan Santarelli, Sara Gabriele, Paola Grandoni, Diletta Nobile, Sara Anastasi

Pubblicità[email protected]

StampaGraffietti Stampati S.n.c.

S.S. Umbro Casentinese km 4,50001027 - Montefiascone (Viterbo)

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La fotografia della testata è diDaniele Porroni

La modella è Sara Anastasi

I materiali inviati in redazione non verranno restituiti,tutti i diritti riservati.

E’ vietata la riproduzione anche parziale di contenuti ed elaborati grafici

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Segnali dallo zodiacoNelle notti limpide prendiamoci un momento per osservare il cielo e lasciamo che l’incanto si sveli. Guardando le stelle, l’occhio più esperto può impegnarsi a tessere la trama della costellazione che caratterizza il periodo, oppure lasciare semplicemente che il pensiero le dia il benvenuto. A lei, come alle sue compagne che la precedettero e che la seguiranno lungo il corso dello Zodiaco, si lega una leggenda. Una storia di antica memoria che può essere narrata ai bambini come fiaba della buonanotte o che può essere trattenuta per sé come sussurratrice di aspetti di un’identità conosciuta, la stessa di colui/lei nati sotto i suoi auspici.

Il segno del meseIl mese di Aprile dà inizio al vero e proprio passaggio dal periodo invernale a quello estivo. Al calare del crepuscolo possiamo scorgere in cielo le nuove costellazioni e durante il dì osservare il Sole accrescere sempre più in luce e calore, permettendo alla Primavera di prendere definitivamente dominio. Il richiamo energico della Natura inebria di sensualità e passione i nati tra il 21 aprile e il 20 maggio. Essi sono protetti dalla costellazione del Toro, segno zodiacale di terra, governato da Venere, pianeta rappresentativo del gusto estetico e dell’amore.

Il mitoMinosse, re di Creta, imprigionò nei labirintici sotterranei del palazzo un Toro mostruoso e sanguinario che esigeva periodicamente un tributo di giovani da divorare. Teseo, vigoroso eroe dell’Attica, scosso dal terrore dei fanciulli destinati al sacrificio e dal dolore dei loro parenti, si offrì volontario per il macabro rituale con l’intento di porvi fine per sempre. Introdotto nel Labirinto, affrontò

TOROdi Veronica Pinzuti

affrontò ed uccise il mostruoso Minotauro, ma la sua impresa non era ancora terminata: il percorso intricato lo avrebbe imprigionato in eterno senza l’aiuto di Arianna, figlia del re. La giovane, innamorata del coraggioso Teseo, gli offrì all’ingresso un gomitolo magico da dipanare durante il cammino, per tenere memoria del tragitto percorso e riemergere alla luce del sole.

Il profilo caratterialeLa caratteristica principale dei nati sotto questo segno è senza dubbio la sensualità. Un modo di essere che coinvolge ogni sfera d’azione e che consiste nella capacità di godere appieno delle gioie dei sensi. Ciò fa del Toro il segno dello Zodiaco più sensibile ai piaceri della carne. Attenendoci al mito narrato osserviamo delinearsi un complesso profilo caratteriale, che emerge dall’analisi incrociata dell’eroe Teseo e del Minotauro. I due personaggi, apparentemente in antitesi, si sommano in un’unica personalità, caratteristica dei nati sotto il segno del Toro e nella quale si evidenzia la presenza di tratti inaspettati per la loro discordanza. Teseo rappresenta la tendenza a proteggere gli altri, la disponibilità, la capacità ad assumersi carichi più o meno pesanti per alleviare la vita di coloro che sono in condizione di debolezza, di inferiorità e che per questo toccano le sue corde più sensibili. Il Minotauro indica invece un tratto della personalità che si nasconde nel temperamento placido, pacato e accondiscendente dei nati sotto questo segno. Infatti, pur cercando di mantenere l’armonia in ogni situazione, il lato passionale e sanguigno represso può esplodere in una manifestazione di rabbia cieca, furibonda e a tratti devastante, proprio come quella dell’animale infuriato. Ritornando sull’eroe Teseo vediamo inoltre quanto in lui prevalga, pur di fronte a notevoli difficoltà, la tenacia nel portare a termine il suo incarico, caratteristica indicativa di virtù quali fermezza, costanza e pazienza della persona-toro. Il fascino che Teseo riscuote nei confronti di Arianna non è poi di secondaria importanza: sembra che i nati sotto questo segno possiedano un certo magnetismo fisico nei confronti dell’altro sesso.

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VOLUMEconcorsi

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Il nuovo concorso “Modella per Volume” offre la possibilità a tutte le ragazze di età compresa tra i 18 e 35 anni compiuti di diventare modella per Volume per la durata di un mese.

La testimonial verrà eletta ogni mese da una giuria sulla base di una scheda di adesione indirizzata alla nostra redazione.

La vincitrice del concorso avrà l’opportunità di:

- realizzare degli scatti fotografici insieme ai nostri fotografi gratuitamente- avere una pagina della rivista Volume, arte moda cultura, dedicata ai suoi scatti- ricevere un abbonamento annuale della rivista

REGOLAMENTO DEL CONCORSO

Art. 1 - Possono partecipare al concorso tutte le ragazze, di qualsiasi nazionalità, che possiedono i seguenti requisiti: - Età compresa tra i 18 e 35 anni compiuti che non siano sotto contratto d’esclusiva artistica. Art. 2 - Le aspiranti modelle potranno iscriversi fornendo:

1. nome, cognome, recapito, data di nascita, una breve descrizione di sé 2. la propria immagine fotografica (un primo piano e una figura intera) 3. la ricevuta del versamento di € 25,00 da effettuare a mezzo bonifico bancario intestato a : Volume Edizioni s.r.l., Monte dei Paschi di Siena, Ag. 1 Rieti, Piazza Vittorio Emanuele II, 15 ABI 01030 CAB 14600 C/C 000008298.58

Inviare tutta la documentazione a:Volume Edizioni s.r.l.Via Enrico Mancini, 39 int. 8 00135 RomaTitolo: Concorso Modella per Volume

Art. 3 - Le ragazze saranno selezionate da una giuria composta da due fotografi professionisti, una fashion stylist, un giornalista e un esperto di comunicazione. Art. 4 – La concorrente che otterrà il maggior numero di voti diventerà testimonial per un mese. Art. 5 – La testimonial poserà per un servizio fotografico spesato dalla redazione.Art. 6 – Le fotografie realizzate saranno pubblicate su Volume nelle edizioni successive.Art. 7 - Nessun contributo di qualsiasi genere o natura può essere richiesto dalle candidate alla Volume Edizioni s.r.l., organizzatore del concorso.Art. 8 - L’organizzazione declina ogni responsabilità di qualsiasi genere derivante da incidenti di diversa natura e genere, diretti ed indiretti, relativi alla partecipazione del concorso.Art. 9 - La testimonial dovrà firmare una liberatoria a favore dell’organizzazione Volume Edizioni s.r.l. per l’utilizzo

delle immagini prodotte.Art. 10 - L’organizzazione si riserva di adottare in qualsiasi momento provvedimenti integrativi o modificativi del presente regolamento.Art. 11 - In caso di controversie relative all’esecuzione o all’interpretazione del presente regolamento unico Foro competente sarà quello di Roma.Art. 12 - La scadenza per l’invio della candidatura è il 10 Agosto 2008, ore 12.00.Art. 13 - L’ISCRIZIONE AL CONCORSO “ MODELLA PER VOLUME “ É SUBORDINATA ALL’ACCETTAZIONE DEL PRESENTE REGOLAMENTO.

modella per VOLUME

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