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Il periodo postoperatorio procede attraverso fasi successive che si possono suddividere in:

periodo postoperatorio immediato; periodo postoperatorio intermedio; convalescenza.

Tali fasi non sono nettamente separabili secondo rigidi criteri di classificazione; tuttavia, per convenzione, si definisce che:

il periodo postoperatorio immediato è rappresentato dalle prime 24 ore dopo l’intervento; il periodo postoperatorio intermedio è compreso tra il giorno dopo l’intervento e quello della dimissione; la convalescenza è il periodo successivo, di durata variabile, necessario per il ritorno alla normale vita di relazione.

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IMMEDIATO

I pazienti che sono stati sottoposti ad anestesia generale o loco-regionale devono essere tenuti in sala di risveglio fino a quando:

 · permane il pericolo di complicanze immediate di tipo cardiocircolatorio o

respiratorio; · hanno riacquistato un sufficiente stato di coscienza; · i principali parametri e segni vitali (polso,pressione arteriosa, respiro, sensorio) sono considerati stabili.

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INTERMEDIOPer un adeguato monitoraggio del paziente nel periodo postoperatorio immediato e intermedio, si deve valutare la funzionalità dei principali organi e apparati, al fine di seguire l’evoluzione della risposta al trauma chirurgico e il processo di guarigione postoperatoria. È pertanto necessario valutare ripetutamente, a intervalli periodici che verranno specificati di seguito:

 · parametri e segni vitali; · funzionalità cardiocircolatoria; · funzionalità respiratoria; · temperatura corporea; · funzionalità renale e vescicale; · funzionalità epatica; · funzionalità gastrointestinale; · coagulazione del sangue; · esami di laboratorio generali e particolari.

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DIURESI

È necessario invece procedere al controllo della diuresi mediante cateterismo vescicale a permanenza, preferibilmente con catetere di Foley a palloncino, nel caso in cui vi siano:

 · ostacoli al deflusso dell’urina dalla vescica (per es. adenoma prostatico); · atonia vescicale; · mancato controllo neurologico della vescica (per es. coma); · paziente non collaborante o incontinente.  Il monitoraggio della diuresi mediante catetere vescicale a permanenza è inoltre necessario intraoperatoriamente e nel periodo immediatamente postoperatorio in tutti gli interventi di chirurgia maggiore, di chirurgia pelvica e di chirurgia d’urgenza, allo scopo di monitorare la funzionalità renale e vescicale in modo continuo.

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Posizione a letto e mobilizzazione

Il paziente deve assumere nel letto una posizione che diminuisca il rischio di stasi venosa e di trombosi agli arti inferiori, di comparsa di atelettasia polmonare e di piaghe da decubito.

Nel paziente vigile e cosciente la prevenzione di queste complicanze si esegue invitando il paziente stesso a cambiare ripetutamente posizione nel letto e a muovere gli arti inferiori; se il paziente non è collaborante, si deve provvedere a mobilizzarlo passivamente alternando sui due fianchi il decubito più volte al giorno.

Se il paziente non è ipoteso è opportuno sollevare lo schienale del letto di 45°-60° per facilitare l’esecuzione di atti respiratori adeguati e per prevenire l’atelettasia polmonare. I piedi del letto devono essere sollevati di 15°-20° per favorire il ritorno venoso dalle estremità inferiori.

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Un principio fondamentale di prevenzione delle complicanze tromboemboliche

e atelettasiche rimane la mobilizzazione precoce del paziente dal letto; anche dopo interventi chirurgici complessi (per es. esofagectomia,duodenocefalo-pancreasectomia, pneumonectomia ecc.), se il paziente è cosciente e collaborante, e non è ipoteso, già dalla prima giornata postoperatoria deve essere trasferito dal letto alla poltrona almeno per alcuni minuti al giorno, sotto vigile assistenza del personale infermieristico.

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Somministrazione di liquidi ed elettroliti

L’acqua dell’organismo rappresenta circa il 50-70% del peso corporeo con variazioni dipendenti da età, sesso, costituzione e si distribuisce nei tre compartimenti: intracellulare, extracellulare, intravascolare. La composizione in soluti di questi compartimenti è diversa.

La quantità totale di acqua e di soluti dell’organismo rimane pressoché invariata grazie all’intervento di meccanismi neurormonali (ADH, sistema renina-angiotensina-aldosterone,prostaglandine) che utilizzano il rene come organo effettore.

Il bilancio idrico dell’organismo dipende dall’equilibrio delle entrate e delle uscite.

Le entrate sono rappresentate dalla quota introdotta con i cibi e con le bevande (circa 1,5 l/die) e dall’acqua di ossidazione metabolica (circa 300 ml/die); le perdite avvengono con le feci (circa 200 ml/die), con la perspiratio insensibilis (circa 600-800 ml/die) e attraverso il rene (circa 1-1,5 l/die).

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Per valutare ed eventualmente correggere l’equilibrio acido-base nella pratica clinica il medico deve schematicamente procedere in questo modo:

 · valutare lo stato di idratazione; · studiare il quadro idroelettrolitico e acido-base; · fare il calcolo giornaliero delle perdite e delle entrate di liquidi ed elettroliti; · calcolare il volume delle soluzioni da infondere per compensare il bilancio negativo, definito come differenza tra uscite ed entrate; · calcolare la concentrazione delle soluzioni da infondere per correggere eventuali sindromi da squilibrio idroelettrolitico e acido-base.

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Durante il decorso postoperatorio il paziente necessita di un adeguato supporto nutrizionale che deve mirare a ridurre al minimo il catabolismo, soprattutto proteico, in attesa che l’alimentazione possa riprendere attraverso la via fisiologica.

Tre sono i modi con cui si possono somministrare i nutrienti al paziente che non può alimentarsi per os: nutrizione parenterale periferica (NPP), nutrizione parenterale totale (NPT) e nutrizione enterale (NE).

Queste due ultime modalità vengono riservate ai casi in cui si prevede un lungo periodo di nutrizione artificiale.

La ripresa dell’alimentazione per os avviene in tempi variabili, dipendendo dal tipo di intervento (laparotomico o non, con resezioni gastrointestinali o non); dalle condizioni generali del paziente (per es. importanti squilibri idroelettrolitici, malnutrizione, malattie infiammatorie intestinali); dalla rapidità della ripresa della normale funzione gastrointestinale e dalla comparsa di eventuali complicanze (per es. sepsi).

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Ai fini della prevenzione delle complicanze respiratorie dopo intervento chirurgico si devono pertanto effettuare le seguenti manovre fisioterapiche e riabilitative:

 · mobilizzazione precoce dal letto, frequente cambio di posizione nel letto e posizionamento dello schienale del letto in posizione semiseduta; ciò limita il ristagno di secrezioni nelle parti più declivi dell’albero respiratorio e pone il paziente nelle migliori condizioni per effettuare degli atti respiratori adeguatamente profondi ed efficaci; · impiego di semplici strumenti monouso per esercitare il paziente a compiere atti respiratori profondi (per es. soffiare per gonfiare un guanto di lattice; soffiare per sollevare delle palline di plastica in un cilindro); tali esercizi respiratori vanno compiuti più volte nella giornata; · spiegazione al paziente in modo semplice e convincente della importanza di effettuare atti respiratori profondi periodicamente nella giornata e di mantenere una corretta posizione nel letto, e istruzione per l’uso degli strumenti per gli esercizi respiratori.

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Complicanze di ferita Le complicanze più frequenti che si manifestano a livello della ferita chirurgica sono: · l’infezione; · l’ematoma; · la raccolta sierosa; · la deiscenza; · il laparocele.

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Infezione

È stato riconosciuto che il fattore più importante nel determinare l’insorgenza di infezione di ferita è il grado di contaminazione del campo operatorio. Attualmente, nei centri chirurgici dove si adottano correttamente le misure idonee a prevenire l’insorgenza delle infezioni, si osservano le seguenti percentuali di infezione di ferita, a seconda del grado di contaminazione degli interventi: puliti: 1-3%; pulito-contaminati: circa 5%; contaminati: 15-30%; sporchi: 20-40%.  

I segni locali precoci di infezione di ferita sono l’eritema, la dolorabilità e l’indurimento dei margini; segno locale tardivo è la fuoriuscita di pus dalla rima di ferita o dal tramite di passaggio dei punti di sutura.

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Le infezioni di ferita divengono clinicamente manifeste solitamente tra la V e la VII giornata postoperatoria, .....dolore ed eritema locale, indurimento ed infiltrazione dei margini, fuoriuscita di pus e presenza di segni generali di infezione: febbre e leucocitosi.

Tuttavia in alcuni casi è già possibile rilevare la comparsa di pus dopo 48 ore dall’intervento; ......contaminazione massiva o a inefficienza dei meccanismi di difesa. Alcune infezioni di ferita hanno invece insorgenza lenta e subdola e si manifestano anche molti giorni dopo la rimozione dei punti di sutura, con eritema cutaneo, deiscenza parziale della ferita e fuoriuscita di essudato.

In alcuni casi l’insorgenza dell’infezione di ferita può essere assai tardiva (uno o più mesi postoperatori); ciò è solitamente causato dalla contaminazione del materiale utilizzato per la sutura dei piani profondi della ferita,ed è più frequente quando si impiega filo di sutura non riassorbibile intrecciato (seta, lino). La rimozione dei punti di sutura infetti conduce alla risoluzione dell’infezione.

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In alcuni casi il decorso delle infezioni di ferita si può complicare con la comparsa di: disseminazione dell’infezione: locale (flemmone) o generalizzata (setticemia); deiscenza della ferita (parziale o totale) con possibile eviscerazione; laparocele.

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Ematoma È la raccolta di sangue, misto a coaguli, nel contesto della ferita. È una complicanza meno frequente dell’infezione. I possibili fattori causali dell’ematoma di ferita sono: emostasi incompleta per difetto di tecnica chirurgica; terapia anticoagulante (eparina, dicumarolo ecc.); deficit primitivi della coagulazione. Fattori favorenti la comparsa di ematoma sono i traumi (per es. monconi ossei di frattura, traumi esterni violenti) e l’ipertensione arteriosa elevata.

L’ematoma si può manifestare precocemente, già nelle prime ore postoperatorie, oppure tardivamente.

Inoltre l’ematoma causa un aumento del rischio di infezione di ferita

Il trattamento degli ematomi che non esercitano compressione su strutture vitali è in genere conservativo.

Invece gli ematomi voluminosi ed in accrescimento, oltre a quelli che comprimono strutture vitali, come già detto, richiedono la revisione accurata della ferita.

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Raccolta sierosa È la raccolta di liquido sterile nella ferita, contenente in diverse proporzioni, a seconda dei casi, siero, linfa, liquido trasudato, tessuto adiposo in necrosi, tracce di sangue. La raccolta sierosa si deve differenziare dall’ematoma (costituito pressoché totalmente da sangue e coaguli) e dall’infezione di ferita con raccolta liquida (presenza di pus). La raccolta sierosa tende a formarsi nella ferita dopo interventi in cui si eseguono estese dissezioni del tessuto sottocutaneo o adiposo o nelle sedi di svuotamento linfoghiandolare, per la ricchezza dei vasi linfatici e di tessuto adiposo; in quest’ultimo caso la raccolta può essere costituita esclusivamente da linfa (linfocele). Quando la raccolta è invece caratterizzata dalla presenza di tessuto adiposo colliquato, viene definita “liponecrosi”.

Le raccolte sierose di minime dimensioni tendono a riassorbirsi spontaneamente; quelle voluminose invece devono essere evacuate, mediante aspirazione con ago o chirurgicamente, perché costituiscono terreno favorevole alla moltiplicazione di batteri (infezione) e perché possono determinare deiscenza parziale della ferita e/o ritardarne il processo di guarigione.

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Deiscenza

È l’apertura spontanea della ferita determinata da cedimento parziale o totale della sutura o della cicatrice recente.

La deiscenza può essere solo a carico dei piani superficiali (cute e sottocute) oppure può interessare anche i piani profondi (muscolo, fascia, peritoneo).

Nelle ferite laparotomiche,quando vi è deiscenza di tutti i piani di sutura, può avvenire l’eviscerazione, ossia la fuoriuscita dei visceri dal cavo peritoneale. La deiscenza superficiale di una parte della ferita si verifica spesso in seguito ad infezione o ad ematoma sottocutaneo.

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Per laparocele (o ernia postlaparotomica secondo gli autori anglosassoni) s’intende la fuoriuscita di visceri addominali attraverso una breccia muscolo-aponeurotica della parete, in corrispondenza di una precedente incisione chirurgica.Il laparocele rappresenta una complicanza postoperatoria che si manifesta in circa il 2% di tutte le laparotomie.  La sua incidenza è particolarmente frequente nel caso di infezione della ferita chirurgica; in circa il 50% delle laparotomie complicate da infezione suppurativa della ferita si sviluppa in seguito un laparocele.

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Complicanze respiratorieSono tra le complicanze postoperatorie più frequenti e potenzialmente più gravi. Infatti la riduzione degli scambi gassosi che ne consegue diminuisce l’ossigenazione dei tessuti e aumenta il rischio di ulteriori complicanze a carico di altri organi (per es. infarto miocardico, danno cerebrale). L’incidenza delle complicanze respiratorie è più elevata dopo interventi a carico degli organi toracici e a livello dell’emiaddome superiore, per la compressione che viene esercitata intraoperatoriamente sul parenchima polmonare. Le complicanze respiratorie postoperatorie più frequenti sono l’atelettasia, la polmonite, il versamento pleurico, il pneumotorace e l’aspirazione di ingesti.

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Atelettasia

L’atelettasia polmonare è la complicanza respiratoria più frequente in assoluto; si manifesta in oltre il 50% dei pazienti che hanno subito interventi di chirurgia toracica e in circa il 20% di quelli operati a livello addominale. L’eziologia dell’atelettasia è legata in alcuni casi a cause ostruttive: abbondanti secrezioni bronchiali, intubazione prolungata, aspirazione di sangue o di ingesti, esclusione di segmenti polmonari per ventilazione incompleta attraverso il tubo tracheale. Più spesso l’atelettasia è invece legata alla ipoventilazione di alcune porzioni del parenchima polmonare, sia durante l’intervento chirurgico (per compressione esterna) sia nel postoperatorio immediato (respiro superficiale per reazione antalgica, azione depressiva sul centro respiratorio da parte di farmaci anestetici ed analgesici).

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PolmoniteLa polmonite è una complicanza grave, che si accompagna ad un aumento significativo del rischio di mortalità postoperatoria.

La comparsa di polmonite postoperatoria è favorita dall’atelettasia polmonare.

La polmonite rappresenta una complicanza frequente nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica prolungata nei reparti di terapia intensiva postoperatoria. In generale, i fattori che predispongono allo sviluppo della polmonite sono il ristagno di secrezioni bronchiali, l’ipoventilazione del parenchima polmonare e una diminuzione dei meccanismi di difesa contro le infezioni (lesioni a livello della barriera mucociliare tracheobronchiale e deficit immunitari).

L’insorgenza di polmonite è segnalata clinicamente dalla comparsa di febbre di tipo continuo-remittente, solitamente dopo la terza giornata postoperatoria, associata alla comparsa di iperemia cutanea agli zigomi, di escreato purulento e talora accompagnata da modeste alterazioni del sensorio (agitazione; obnubilamento).

La diagnosi di polmonite viene confermata dai reperti dell’esame obiettivo e radiologico del torace.

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Alterazioni della funzionalità gastrointestinale

Negli interventi laparotomici il trauma chirurgico che comporta l’apertura del peritoneo,la manipolazione dei visceri addominali, la confezione di anastomosi, l’eventuale lesione di rami del nervo vago e la somministrazione di farmaci anestetici condizionano la scomparsa transitoria dell’attività peristaltica gastrointestinale, definita ileo paralitico postoperatorio.

Questo può essere aggravato da uno stato di ipopotassiemia o,più raramente,dalla somministrazione di farmaci oppiacei e anticolinergici,o di antiblastici derivati dalla vinca. Anche dopo trauma a carico della colonna vertebrale a livello dorsale può comparire ileo paralitico, che può durare anche molti giorni, provocando vomito ripetuto e notevole sovradistensione addominale,ma che tende a risolversi spontaneamente.

La durata dell’ileo paralitico postoperatorio è mediamente di 2-4 giorni, con variazioni individuali a seconda della durata e del trauma dell’intervento chirurgico, della presenza o meno di anastomosi intestinali o di focolai infettivi endoaddominali.

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Le complicanze postoperatorie che più frequentemente causano alterazioni della canalizzazione intestinale durante la prima settimana dopo interventi di chirurgia addominale sono: · ascesso addominale; · deiscenza di anastomosi; · infezione profonda e deiscenza di ferita; · perforazione di ulcera peptica; · occlusione intestinale meccanica; · colecistite acuta.

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Insufficienza renale acuta Si definisce insufficienza renale acuta (IRA) una rapida diminuzione della funzionalità renale, caratterizzata da riduzione della clearance della creatinina e/o da aumento della concentrazione sierica della creatinina e dell’urea; nella maggior parte dei casi l’IRA si manifesta clinicamente con oliguria grave o anuria. L’IRA postoperatoria è solitamente conseguente a ipoperfusione del parenchima renale, per effetto di una o più delle seguenti cause:

ipovolemia; riduzione della gittata cardiaca; sepsi; shock neurogeno; occlusione spontanea o iatrogena delle arterie renali; aumento del tono arteriolare renale da stimolazione adrenergica.

Tra le cause più frequenti di ipovolemia, in grado di determinare la comparsa di IRA, si ricordano le emorragie gravi, le perdite di liquidi nel terzo spazio, un apporto idrosalino inadeguato.

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Complicanze urinarie Le complicanze urinarie postoperatorie più frequenti sono la ritenzione urinaria acuta e le infezioni dell’apparato urinario. Ritenzione acuta Infezioni

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Febbre postoperatoria Si definisce febbre l’aumento della temperatura corporea conseguente ad un innalzamento del livello di termoregolazione

La causa più frequente di febbre postoperatoria precoce è l’atelettasia polmonare; in questo caso la febbre si manifesta in genere entro 24 ore dall’intervento.

Le manipolazioni prolungate delle mucose dei visceri cavi (tubo digerente, vie genitourinarie), la contaminazione massiva della ferita o di cateteri, possono causare febbre postoperatoria precoce elevata (> 38 °C).

La febbre postoperatoria tardiva compare dopo alcuni giorni dall’intervento, solitamente entro le prime 2 settimane; in genere è dovuta allo sviluppo di un’infezione. Le cause di febbre postoperatoria tardiva sono, in ordine decrescente di incidenza: le infezioni di ferita, quelle polmonari, quelle endoaddominali (ascessi), quelle urinarie, le flebiti (chimiche, o più raramente settiche, associate alla presenza di cateteri venosi), l’embolia polmonare, la pancreatite e l’infarto del miocardio.

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FEBBRE POSTOPERATORIA

La diagnosi di febbre postoperatoria (> 38°Q dipende dalla giornata Postoperatoria e dalla gravita dello stato del paziente classificazione della American Society of Anesthesiology [ASA]; APACHE II).

Le cause di febbre più comuni sono extra-addominali (60-80%); l'iter diagnostico dovrebbe quindi dapprima escludere una malattia extra-addominale.

Le cause addominali sono comuni nei pazienti ricoverati in terapia intensiva (30-66%).

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Infezioni delle vie urinarie (40%), della ferita (25%) e complicanze polmonari (15%) sono frequentemente responsabili della febbre postoperatoria.

La presenza di leucocitosi, l'azotemia, una storia di trauma, la giornata postoperatoria (S 3), la classe ASA (> III) e la gravita della febbre (> 38°C) sono tutti parametri utili per stabilire la causa della febbre postoperatoria.

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Anamnesi ed esame obiettivo permettono la diagnosi e la terapia nel 66-75% dei pazienti con febbre postoperatoria.

L'anamnesi può essere positiva per situazioni preesistenti (febbre preoperatoria, valvulopatia cardiaca, corpi estranei), trasfusioni, presenza di una via venosa centrale, tipo e categoria (pulito o contaminato) dell'intervento chirurgico, suggerendo la causa della febbre posto-peratoria.

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Complicanze psichiche

Nei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici, diversi fattori psicodinamici, quali il dolore ed il senso di dipendenza totale, concorrono occasionalmente a generare atteggiamenti di paura e di ansia, modulati dalla capacità di autocontrollo del paziente stesso.

Le manifestazioni cliniche compaiono generalmente dopo la terza giornata postoperatoria, più frequentemente come stato confusionale, paura, disorientamento spazio-temporale, fino ad un quadro di delirio con alterazione della coscienza.

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Farmaci comunemente usati in chirurgia

La razionale somministrazione di alcuni farmaci può aiutare il chirurgo nell’adeguata preparazione all’intervento di pazienti critici e nella correzione di alcune alterazioni pre- e postoperatorie che comporterebbero un aumento della morbilità e della mortalità.

Terapia reidratante Antibiotici Analgesici e tranquillanti minori Farmaci anticoagulanti Diuretici Farmaci cardiovascolari

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Emorragie postoperatorie

La comparsa di manifestazioni emorragiche nel decorso postoperatorio costituisce un problema assai rilevante che necessita di un trattamento immediato. Nelle emorragie importanti è indispensabile identificare rapidamente la causa per poter instaurare una terapia adeguata,in grado di correggere tutti quei fenomeni implicati nella genesi del sanguinamento, che porterebbero altrimenti ad exitus il paziente.

Le emorragie postoperatorie riconoscono diverse cause che possono essere suddivise nei seguenti gruppi: cause preesistenti all’intervento chirurgico; cause provocate direttamente dall’intervento chirurgico; cause successive all’intervento chirurgico o a sue complicanze.

Segni di shock perdite dai drenaggio oliguria

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Fine

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EmatomaÈ la raccolta di sangue, misto a coaguli, nel contesto della ferita. I possibili fattori causali : emostasi incompleta per difetto di tecnica chirurgica; terapia anticoagulante (eparina, dicumarolo ecc.); deficit primitivi della coagulazione.

L’ematoma si può manifestare precocemente, già nelle prime ore postoperatorie, oppure tardivamente, dopo qualche giorno.

Si presenta come una tumefazione dolente della ferita; la cute sovrastante assume un colorito bluastro e negli ematomi voluminosi, in accrescimento, vi può essere emorragia dalla ferita.

Vi sono sedi anatomiche dove l’ematoma può determinare un’evoluzione infausta, per compressione di strutture vitali, come per esempio a livello cerebrale e a livello del collo.

Il trattamento degli ematomi che non esercitano compressione su strutture vitali è in genere conservativo. Invece gli ematomi voluminosi ed in accrescimento, oltre a quelli che comprimono strutture vitali, come già detto, richiedono la revisione accurata della ferita.

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Inoltre l’ematoma causa un aumento del rischio di infezione di ferita.

Negli interventi sulle strutture anatomiche profonde del collo (per es. loggia tiroidea, a. carotide, esofago cervicale) è sempre opportuno posizionare dei drenaggi per sorvegliare l’emostasi e consentire il deflusso all’esterno di eventuali raccolte di sangue.

Gli ematomi profondi del collo possono rappresentare un pericolo imminente per la vita, se esercitano compressione sulla trachea; se si verifica tale circostanza si deve immediatamente aprire la ferita ed evacuare l’ematoma.

Il trattamento degli ematomi che non esercitano compressione su strutture vitali è in genere conservativo. Invece gli ematomi voluminosi ed in accrescimento, oltre a quelli che comprimono strutture vitali, come già detto, richiedono la revisione accurata della ferita.

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Raccolta sierosa

È la raccolta di liquido sterile nella ferita, contenente in diverse proporzioni, a seconda dei casi, siero, linfa, liquido trasudato, tessuto adiposo in necrosi, tracce di sangue. La raccolta sierosa si deve differenziare dall’ematoma (costituito pressoché totalmente da sangue e coaguli) e dall’infezione di ferita con raccolta liquida (presenza di pus). La raccolta sierosa tende a formarsi nella ferita dopo interventi in cui si eseguono estese dissezioni del tessuto sottocutaneo o adiposo o nelle sedi di svuotamento linfoghiandolare, per la ricchezza dei vasi linfatici e di tessuto adiposo; in quest’ultimo caso la raccolta può essere costituita esclusivamente da linfa (linfocele). Quando la raccolta è invece caratterizzata dalla presenza di tessuto adiposo colliquato, viene definita “liponecrosi”.

Le raccolte sierose di minime dimensioni tendono a riassorbirsi spontaneamente; quelle voluminose invece devono essere evacuate, mediante aspirazione con ago o chirurgicamente, perché costituiscono terreno favorevole alla moltiplicazione di batteri (infezione) e perché possono determinare deiscenza parziale della ferita e/o ritardarne il processo di guarigione.

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Deiscenza È l’apertura spontanea della ferita determinata da cedimento parziale o totale della sutura o della cicatrice recente. La deiscenza può essere solo a carico dei piani superficiali (cute e sottocute) oppure può interessare anche i piani profondi (muscolo, fascia, peritoneo).

Nelle ferite laparotomiche,quando vi è deiscenza di tutti i piani di sutura, può avvenire l’eviscerazione, ossia la fuoriuscita dei visceri dal cavo peritoneale.

La deiscenza completa di ferita laparotomica è una complicanza grave, fortunatamente poco frequente, che riconosce i seguenti fattori causali: · infezione profonda di ferita;  · ritardo di guarigione della ferita (età avanzata, malnutrizione, diabete, ittero, insufficienza renale, terapia immunosoppressiva o citostatica);  · difetto di tecnica chirurgica impiegata nella sintesi della laparotomia (materiale di sutura inadeguato; punti di sutura troppo fitti o troppo radi; legatura inadeguata delle suture; spazi vuoti residui; lesioni o mancato affrontamento della fascia);  · aumento notevole della pressione endoaddominale (ascite, occlusione intestinale, tosse violenta).

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