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Relazione

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  • SOCIET DEI VERBANISTI

    La Societ dei Verbanisti per statuto una libera associazione senza fine di lucro. Raggruppa coloro che per amore di Lago ne coltivano

    storia e arte e ne promuovono la cultura.

    Comitato direttivoPresidente: Ettore Brissa

    Vice presidente: Fabrizio PanzeraConsiglieri: Giovanni Boracchi (segretario), Vittorio Grassi,

    Giorgio Margarini, Leonardo Parachini, Gianni Pozzi

    [email protected]

    www.societaverbanisti.it

    Sito segnalato nel portale dellUNESCO

  • VERBANUS 34

    Hanno collaborato alla redazione di questo numero

    Giancarlo Andenna, Sergio Baroli, Ettore Brissa, Debora Chiarelli, Pierangelo Frigerio, Enrico Fuselli, Monica Gagliardi, Vittorio Grassi, Giorgio Margarini,

    Leonardo Parachini, Gianni Pozzi

    Direttore responsabile

    Benito Mazzi

    Pubblicazione annuale registrata presso il Tribunale di Verbania il 4 gennaio 1991, n. 219

    La rivista aperta a tutti. Ogni genere di collaborazione senza compenso. La rivista non responsabile dei manoscritti inviati che comunque non saranno restituiti.

    Gli autori si assumono la piena responsabilit dei loro scritti.

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    ALBERTI EDITOREPER LA

    SOCIET DEI VERBANISTIVERBANIA MMXIII

  • In copertina:Carlo Rapp, Verbanus, xilografia elaborata in digitale

    2013, Autori degli articoli

    ISBN 978-88-7245-292-9

  • 9Amici cercansi. Per i primi 100 anni di Vittorio Sereni e Piero Chiara

    Arrivato alla sua 34a edizione, Verbanus non fa questua di nobili ascendenze o di numi tutelari. Ma di amici. Amiche e amici. E, per co-minciare, di quanti non sono pi fra di noi.

    Di questi ultimi bello fare memoria e reperire nel loro lascito lettera-rio uno stimolo al progetto culturale che sta alla base della nostra rassegna.

    In spirito di amicizia vorremmo che il lettore trovasse iscritti ideal-mente nel frontespizio di Verbanus i due nomi di Vittorio Sereni e Piero Chiara, di cui ricorreva nel 2013 il centenario della nascita, a Luino (ma entrambi con il genitore proveniente da contrade lontane).

    Poeta, il primo. E la sua statura percepita, specie nelle ultime deca-di, con crescente nettezza nel panorama letterario italiano novecentesco. Narratore e critico darte, il secondo: chiosatore di varie indoli e costumi, che si distingue per la ricca vena, la felicit dellispirazione ma anche per rigore di scrittura.

    Gli insiemi di significati che si ricollegano a queste due presenze sul nostro Lago, tutelari, certamente, anche se non necessariamente numino-se, formano loggetto dei contributi presenti in questo numero, a cura di Giorgio Buridan (Sereni) e Beppe Galli (Chiara). Per chi, poi, desiderasse disporre di una mappa dei referti luinesi presenti nella produzione sere-niana segnaliamo lo studio di Pierangelo Frigerio dal titolo Luino, paese di frontiera (in Luoghi di una amicizia, Mimesi edizioni, Milano-Udine 2011).

    Vi sono autori che con il luogo dove sono nati hanno un rapporto che va poco oltre lanagrafe. Altri, invece, ne traggono, in una lunga fedelt, il materiale della propria scrittura, pur essendo consapevoli della fallacia della memoria e dei trabocchetti tesi al rammemorare dai ricordi

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    in prima persona e dalle testimonianze altrui. Sono questi gli autori che a un certo punto del percorso personale, scelgono di spostare il centro della loro attivit in citt non troppo remote dai paesi dellinfanzia. E saranno la Varese di Chiara e la Milano di Sereni.

    Si vuole che entrambi, raggiunta una notoriet conseguita anche gra-zie al multiforme operare in campo editoriale, andassero una volta al mese a visitare la loro Luino: allinsaputa luno dellaltro e senza avvi-sare i conoscenti. Un modo per rendersi conto de visu delle sottrazioni e delle aggiunte alla fisionomia del paese, nel suo divenire una cittadina. E per rendersi conto, dolorosamente, con il poeta maudit che il viso della citt muta, ahim, pi rapidamente dei tratti di una donna.

    Sarebbe dare prova di una forte miopia laccreditare una lettura che si proponesse di ridurre al solo mondo concluso luinese la produzione poetica di un Sereni (per intenderci: dopo la prima raccolta di Frontiera) o la narrative di un Chiara (per intenderci: dopo Il piatto piange). In en-trambi la visuale si stacca dallo scenario della prima giovinezza, punto di partenza e di approdi per la voga e il nuoto e abbraccia in cerchi sempre pi ampi il bacino intero del Lago. Un libero zigzagare a bordo della bar-ca Tinca, fra la sponda magra e quella piemontese ne La stanza del Vescovo, preludio a fosche avventure in un giallo allitaliana.

    Si prenda, di Chiara, il racconto che si intitola Il mio paese (1978). questo il tema del componimento scolastico che riveler la vocazione di scrittore al giovane Pierino e al suo professore di italiano, nel collegio di Arona. Il richiamo del paese natio, distante da Arona quattro o cinque ore di battello e nascosto dai promontori che segnano le contorsioni del Lago Maggiore, offre al nostro scrittore lo spunto per segnare sulla carta della Navigazione gli approdi toccati dal battello a ruote Regina Madre, agli ordini del capitano Caccia.

    A sua volta ecco, gi presente nei versi che suggellano il componi-mento Terrazza, il gesto che nella poesia di Vittorio Sereni allude a una realt che travalica i confini di Luino. Gesto che convoca sulla pagina la presenza, entro il tacito evento, di quel raggio della torpediniera che ci scruta, si gira e se ne va.

    Ettore Brissa, febbraio 2014

  • lettere, arti, scienze

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    Emilio Rossi

    Antonio da Tradatepittore locarnese sulla riva orientale del Verbano

    Piero Bianconi lo definisce fecondissimo artigiano e in realt Antonio da Tradate pu essere considerato uno degli ultimi pittori che girovaga-vano nelle valli ticinesi e lungo le sponde del Lago Maggiore per rispon-dere ad una committenza meno esigente culturalmente rispetto a quella delle corti rinascimentali italiane:

    proprio quando Michelangelo frescava la volta della Sistina, Raffaello pensava le armonie miracolose delle Stanze, e da tempo Leonardo aveva nella vicina Mila-no portato il fermento dellarte toscana pi eccelsa, qui da noi ingenui mestieranti dipingevano ancora, per devozione dumile gente vallerana, Santi e Madonne gotiche e pur commosse da incerti presentimenti, mescolando curiosamente lan-tico e il nuovo. Anzi lattivit di questi artigiani ligi a tradizioni antiquate giunge quasi a toccare lepoca in cui anche da noi si spiegava il fiore del Rinascimento, con lopera di Bernardino Luini in Santa Maria degli Angeli a Lugano.

    Un inquadramento storico che ben definisce il ruolo della pittura in una fase di trapasso dal gotico medievale allaurora del Rinascimento. Non abbiamo a disposizione dati incontrovertibili n sul luogo dorigine, n sullanno di nascita di Antonio da Tradate. Lunico affresco dove egli si firma per esteso Antonius de Tredate habitator Locarni fu realizzato su una parete esterna di unabitazione a Curaglia (frazione di Medel, vicino a Di-sentis, nei Grigioni). Sembra comunque evidente che la sua famiglia fos-se originaria di Tradate. In tre documenti notarili degli anni 1497, 1510, 1511, Antonio citato come magister et pictor. Negli ultimi due atti,

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    accostato al figlio Giovanni Taddeo, anche lui pittore e abitante a Locar-no.1 Sembra inoltre assodato che la sua attivit pittorica si dispiegasse tra lultimo quarto del secolo XV e il primo del successivo.2 La sua bottega, rispetto a quella di Cristoforo e Nicolao da Seregno, attivi nel Ticino prima della conquista elvetica, mostra radici cittadine e una densit di penetrazione molto alta nelle valli che confluiscono verso Locarno, nel Malcantone e in Val di Blenio.3

    Anche in assenza di firma, apposta saltuariamente e in modo in-completo, riesce facile identificare i suoi dipinti, osservandone le figure dal volto largo e gonfio, si direbbe quasi imbottito; il gusto di certi da-maschi lussuosi molto decorativi; il ripetersi di rocce gotiche, colorate e sfaldate, accanto a certe nicchie di sapore rusticamente rinascimentale nelle quali il pittore impianta le sue figure di Santi.4

    Nel 1492 il suo nome compare nella decorazione dun lato del coro della chiesa di S. Martino a Ronco sopra Ascona, nella teoria degli Apo-stoli, sopra la rappresentazioni dei mesi nello zoccolo: 1492 die ultimo augusti hoc opus Antonius de Tredate pinxit de ista parte. Nello stesso periodo realizza gli affreschi di San Michele a Palagnedra, il ciclo pi completo e coerente della sua attivit, con firma frammentaria. Una successione di santi dipinge anche nella chiesa di Santa Maria della Misericordia nel Collegio Papio di Ascona. Al primo decennio del Cinquecento risale in-vece la presentazione di Ges al tempio in Santa Maria in Selva a Locar-no nella quale, rispetto ai Seregnesi, costituisce motivo di novit il ten-tativo di inserire la rappresentazione scenica in uningenua architettura rinascimentale. Limportante ciclo di affreschi di San Michele di Arosio, che risale al 1508, autografato congiuntamente da Antonio e dal figlio Giovanni Antonio Taddeo. Nel 1511 con ogni probabilit decora lab-side della chiesa di Santo Stefano al Colle di Miglieglia, che comprende una teoria di Santi inquadrati da archeggiature e una Crocifissione con un

    1 P. Bianconi, La pittura medievale in Canton Ticino. II, Il Sottoceneri, IET, Bellinzona 1939.2 L. Broggi, Antonio da Tradate. La pittura tardo-gotica tra Ticino e Lombardia, Macchione,

    Varese 2012.3 M. natale, La pittura rinascimentale a Como e nella Svizzera Italiana, in Pittura a Como e nel

    Canton Ticino dal Mille al Settecento, Cariplo, Milano 1994, p. 37.4 Bianconi, La pittura medievale ..., cit., pp. 41-42.

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    inconsueto paesaggio urbano sullo sfondo. Stilisticamente, scrive An-drea Di Lorenzo, il nostro artista, che si avvale di schemi narrativi ar-caici, mostra un innegabile e sicuro talento di decoratore nellutilizzo di una gamma cromatica accesa, che copre senza soluzioni di continuit le superfici murarie.

    Ci limitiamo a questi cenni, trascurando le opere disseminate sulla sponda piemontese e nellAlto Ticino, nella val di Blenio in particolare. Scopo di questo lavoro la completa documentazione delle opere riferi-bili ad Antonio da Tradate, sia pure con qualche incertezza, nel Luinese, talune pressoch inedite e comunque poco note.5 Va accolta in ogni caso la raccomandazione di Romano Broggini a non tracciare linee di de-marcazione nette e a guardare al mondo culturale del Verbano di quel periodo storico come un mondo senza suddivisioni, asse daccesso ver-so le Alpi.6 Resta il fatto che la vicinanza dei luoghi interessati, tutti allinterno o ai confini del feudo dei Rusca, anche signori di Locarno, sembra denotare committenze innescate, sia pure in tempi successivi, una sullaltra dal successo della prima.

    Madonne del latte (Indemini, Curiglia, Graglio)

    Il tema pi ripetuto quello della Madonna del latte, quattro opere a Indemini (in valle Veddasca, ancorch in territorio svizzero), Curiglia (2), Graglio Veddasca.

    5 Tralasciando le citazioni giornalistiche, le opere qui considerate sono state segnalate, anche con alcune riproduzioni, e ritenute attribuibili ad Antonio da Tradate o alla sua cerchia, in: L. giampaolo, Storia breve di Maccagno Inferiore corte regale degli imperatori, terra per s e di Maccagno Superiore, Galli, Varese 1962, pp. 144 sgg., 191 sgg. (Maccagno, chiese di S. Antonio e S. Stefano; Campagnano); V. gilardoni, LAlto Verbano. II. I circoli del Gambarogno e della Navegna, Monumenti darte e di storia del Canton Ticino, III, Birkhauser, Basilea 1983, pp. 46 sgg. (Indemini); P. viotto, Guglielmo da Montegrino e la pittura ad affresco in Valtravaglia tra Quattrocento e Cinquecento, Loci Travaliae, V-1996, p. 53 (Curiglia Tronchedo, Graglio); P. Frigerio, Storia di Luino e delle sue valli, Macchione, Azzate 1999, p. 465 (Curiglia parr., casa Maccagno Sup., Cunardo Raglio); Broggi, Antonio da Tradate..., cit., p. 123 (Cunardo via Vaccarossi).

    6 R. Broggini, Per una visione unitaria della pittura antica sul Verbano, Verbanus, 20-1999, pp. 119-131.

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    Il culto della Madonna del latte, Galaktotrophousa, impone il confronto con il mondo pagano, Iside che allatta Horus. La figurazione cristiana si rif ai vangeli apocrifi, come il Protovangelo di Giacomo (II secolo d. C.); anche il vangelo di Luca, tuttavia, rileva il grido di una donna che si rivolge al Maestro: Beatus venter qui te portavit et ubera, quae suxsisti: beato il seno che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato! La pi antica effigie di Maria, venerata come Virgo lactans, si trova nelle catacombe di Priscilla, a Roma e risale al II sec. d. C. Molti autori cristiani, in Oriente e poi in Occidente, hanno svolto riflessioni teologiche sul tema del divino allattamento, sino alla mariologia medievale.

    Fra XIII e XVII secolo in tutta Europa si assiste a uno straordinario ritorno a quella devozione, alla Domina, la Domina nostra, la Nostra Donna, la Madonna, cui si dedicano chiese e cattedrali. Nei secoli Maria per tante donne ha rappresentato il riferimento fisso durante la gestazione, il tra-vaglio del parto e lallattamento al seno, in una societ connotata da una forte mortalit infantile. Linsufficienza o la mancanza del latte materno rappresentava un serio pregiudizio per la sopravvivenza del bambino e poteva configurarsi come una maledizione divina. La paura di vedersi disseccare le mammelle era cos inveterata da indurre lo stesso cardinal Federico Borromeo, nel 1604, con il decreto Contra maleficos et sortilegos, a condannare chi con incanti havesse levato o seccato il latte a donna, o bestia. Da qui le raffigurazioni in edicole sacre, allinterno e alle-sterno delle chiese della Madonna del latte, tra le quali ricordiamo quella di Re in valle Vigezzo, famosa per la miracolosa effusione del sangue. Il tema avrebbe impegnato nel Rinascimento i maggiori artisti; solo nel clima di rigorismo instauratosi dopo il Concilio di Trento, essendo vie-tate le immagini profane e lascive, Carlo Borromeo nel 1577, nel cap. VII delle Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae De sacris imaginibus pic-turisve, censur i racconti apocrifi, non esclusa la raffigurazione della Madonna del Latte che ad essi soprattutto si ispirava. A sua volta Fede-rico Borromeo nel trattato De Pictura sacra del 1624, affermava: appare ancora la sconvenienza di quelli che effigiano il divino Infante poppante in modo da mostrare denudati il seno e la gola della Beata Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che con molta cautela e

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    modestia.7 Il carattere censorio della norma fin per scoraggiare la de-vozione alla Madonna del Latte, le cui immagini vennero spesso alterate o addirittura coperte da altri soggetti.8

    Indemini La Madonna del Latte delloratorio sullAlpe Cedullo di Indemini rappresentata in posizione frontale e posa matronale, come solitamente le Madonne di Antonio da Tradate, sotto un baldacchino sorretto da due angeli. Una raffigurazione analoga quella della Madon-na di Loreto a Fosano Gambarogno, caratterizzata per da una mag-giore disinvoltura pittorica. Lespressione denota una certa fissit dello sguardo. Il seno risulta anatomicamente posticcio, stretto tra lindice e le altre dita, nella classica posizione della puerpera che dispensa il latte, con materna naturalezza. Sul capo della Vergine, ricoperto da un bianco velo e circonfuso da unaureola dal colore dorato, rifulge una corona re-gale. Adagiato sulle sue ginocchia, il divino Infante, le cui mani poggiano sul libro sacro, sugge compunto il latte. Particolare significativo: sulla sinistra del dipinto una piccola montagna a cono, elemento ricorrente nelliconografia di Antonio da Tradate. Una raffigurazione semplice e dai tratti popolareggianti in cui il pittore non usa ancora quei solenni troni sui quali colloca in altri casi la Vergine.

    Curiglia Anche la Madonna della chiesa parrocchiale di S. Vittore di Curiglia deplorevolmente inquadrata da cornice posticcia si rif agli stessi stilemi pittorici. La Vergine, sempre in posizione frontale, seduta su un trono turrito ed rivestita da un manto, profilato con una fila di perline (ripetute nelle aureole) e damascato a motivi di foglie di quercia. Pi realistica la rappresentazione del Bambino che intreccia le sue mani con quelle della madre, mentre succhia il latte dal suo seno. Laltra mano della Vergine invece si posa in atteggiamento protettivo sulla spalla del figlio che indossa una candida veste ornata di decorazioni a stella. Anche qui la raffigurazione del seno risulta piuttosto simbolica: una piccola apertura del corpetto lascia intravvedere una rotonda coppa, anatomicamente improbabile.

    7 Federico Borromeo, De pictura sacra, 1624, edizione a cura di Carlo Castiglioni, introduzione di Giorgio Nicodemi, Sora 1932.

    8 N. perego, Una Madonna da nascondere, Cattaneo, Oggiono 2005.

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    Della stessa mano laffresco del santuario del Tronchedo che sorge alle porte di Curiglia. Un volto dolce e nel contempo austero, consono alla sua dignit regale di madre del Salvatore, evidenziata dallaurea co-rona e dal trono dallo schienale turrito. Rispetto alla precedente, quella del Tronchedo rivela una maggiore padronanza della tecnica pittorica nei particolari ben curati: i capelli che incorniciano il volto, lo sguardo penetrante, le labbra atteggiate ad un tenue sorriso, la mano pi realisti-camente premuta sul seno per facilitare la lattazione, la figura del com-mittente che emerge appena nellangolo destro del dipinto. Inizialmente laffresco, strappato dalla sua sede originale e pur esso recentemente in-corniciato, si trovava probabilmente in un tabernacolo ai margini di una strada, come sembra indicare il cartiglio nelle mani del Bambino: O ti che va per questa via, saluta la madre mia con uno pater et una ave maria, la medesima rima che appare nel cartiglio della cappella de Bernardi di Corzoneso.9

    Graglio Veddasca Di dubbia attribuzione la Virgo lactans che ap-pare sulla facciata dellantico oratorio di Penedegra a Graglio Veddasca. La tunica del Bambino, damascata a motivi di foglie di quercia, il manto profilato della Vergine, il gesto stereotipato dellallattamento farebbero pensare alluso di un cartone abituale, semplificato nei particolari. A mio avviso, per, come attestano le fratture di una maldestra ricomposizione, laffresco stato oggetto di un improprio intervento di restauro. Lo atte-stano eloquentemente linconsistenza dellimpianto scenico di fondo e la sottostante presenza nel dipinto di una incongrua copertura della chiesa in tegole rosse. Il volto della Madonna mostra tuttavia tratti somatici morbidi ed aggraziati. Un lavoro modesto nellimpianto che, fatte salve le riserve espresse, sembrerebbe indicare labbandono della consolidata iconografia della Madonna in veste regale.

    Non possiamo trascurare due Madonne del Latte presenti in unarea contigua a quella presa in considerazione, ancora in territorio elvetico, a Ronco Gambaro-gno. La prima, in precario stato di conservazione, si trova allinterno dellora-torio di S. Bernardino, dove il frescante ha lasciato unindicazione significativa: la data dell11 maggio 1485 e la firma frammentaria Antonius, interrotta da una finestra aperta in seguito. Nella chiesa peraltro si trova un secondo affresco,

    9 Broggi, Antonio da Tradate..., cit., pp. 127 sgg.

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    una SantAgata coi seni sanguinanti a testimonianza del supplizio a cui era stata sottoposta. La martire catanese era invocata soprattutto dalle balie, dalle nutrici contro le malattie del seno, a riprova, ancora una volta, dellimportanza dellal-lattamento nelle societ arcaiche. La seconda Madonna del Latte ben con-servata sulla facciata di una vecchia abitazione. Siamo probabilmente di fronte alle prime prove di Antonio da Tradate, come testimonia la data del 1485. Il soggetto della Madonna del latte, di diversi autori, appare in altre localit della Valtravaglia e della Valcuvia, come ad esempio nella chiesa di S. Michele al Monte e a Cantevria.

    Antonio da Tradate a Maccagno

    Maccagno Inferiore chiesa di S. Stefano Leopoldo Giampaolo attribuisce ad Antonio da Tradate la Madonna in trono nella chiesa di S. Stefano a Maccagno inferiore, allora Imperiale. Laffresco rimanda alla lunetta sulla facciata del S. Antonio a Maccagno Superiore, di cui al se-guito, soprattutto per quanto riguarda le campiture damascate a foglie di quercia, motivo decorativo spesso usato dallartista. Ricorda peraltro an-che la Madonna in trono con i santi Sebastiano e Giovanni Battista di Ponto Va-lentino (frazione di Sommacorte in val di Blenio) o quella di Palagnedra. Palesi le analogie: il trono di gusto tardogotico, dagli aguzzi pinnacoli, lattenzione ai particolari dellarredo e dellabbigliamento: la fodera da-mascata della parte alta del trono che sembra far da baldacchino, in uso di solito per la cattedra vescovile, qui a sottolineare la maest di Maria. Classica la posizione frontale della Madonna, avvolta in un manto blu riccamente bordato e stretto da un fermaglio floreale, che nelle pieghe e nei risvolti cerca di imprimere movimento alla figura. Sotto si intravvede una vivace veste rossa pieghettata, legata in vita da un laccio.

    La mano destra della Vergine si posa delicatamente sulla spalla del Fi-glio in amorevole gesto protettivo. Il Bambino e la Vergine tengono nelle loro mani un libro, simbolo consueto nelle raffigurazioni mariane, che rinvia alla parola di Dio, in particolare al Libro della Sapienza. Lesegesi religiosa medievale suggerisce anche una lettura pi simbolica, collegata alla chiusura o allapertura del libro stesso. Nel primo caso alluderebbe

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    alla materia vergine, nel secondo caso alla materia fecondata. Il lin-guaggio allusivo dei frescanti, in sintonia con la sensibilit del tempo, cercava di volta in volta di evidenziare sia la verginit della Madonna sia la sua divina maternit.10

    Maccagno Superiore - casa Marchione Nellantica casa al limi-tare dellabitato, non lontana dallattuale parrocchiale di S. Materno, un committente privato aveva voluto su un muro, probabilmente esterno ed esposto al sole pomeridiano, immagini sacre di sua devozione; poi il cortile, compreso fra la casa e quella adiacente, fu coperto a formare un atrio e ora gli affreschi si affacciano su un ballatoio interno. Affiancati si trovano una Annunciazione e un San Sebastiano.

    LAnnunciazione, dai vividi colori, mostra sulla sinistra un corpulen-to angelo annunciante, in ampia veste damascata con il solito motivo delle foglie di quercia, che stringe nella mano destra un cartiglio con lannuncio Ave gratia plena, Dominus tecum, mentre lindice della sinistra richiama lattenzione dellosservatore sulla centralit del messaggio. Il cartiglio sembra uscire fuori da un vaso dal quale si alza un giglio, candi-do simbolo della verginit di Maria. LAnnunciata, raccolta in preghiera davanti a un inginocchiatoio, le mani incrociate sul petto, manifesta la sua sottomissione al volere divino. Sullinginocchiatoio, coperto da un drappo damascato, campeggia un libro squadernato con la scritta: Ecce ancilla Domini (del valore simbolico del libro aperto abbiamo appena det-to). I capelli castani, raccolti a mo di treccia in una spirale metallica, in-corniciano il volto. Lampio manto profilato di verde lascia intravvedere una sobria veste rossa. Il viso dolce e mite circondato da unaureola bulinata. La scena si svolge allinterno di unarchitettura sommaria, con pavimentazione a losanghe, al centro della quale risalta una colonna mar-morea esagonale che funge da diaframma separatorio tra le due figure. La pavimentazione romboidale a scacchiera pare voler creare un effetto prospettico che tuttavia non convince per la posizione innaturale della colonna. LAnnunciazione di Maccagno richiama in maniera esplicita quel-la della Chiesa di S. Martino a Malvaglia, gi da Piero Bianconi attribuita

    10 G. Heinz-moHr, Lessico di iconografia cristiana, Milano, I.P.L. 1984.

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    ad Antonio da Tradate. Identica la postura della Vergine e dellangelo, il cui volto per alquanto pi raffinato nei tratti somatici.

    Ben conservato anche laffresco di un San Sebastiano, legato mani e piedi e trafitto dalle frecce. Il volto tuttavia mostra una fissit innatu-rale, come se il supplizio non potesse scalfire la serenit interiore del martire. Il tentativo di creare uno scorcio prospettico evidente nella scelta di collocare la scena, ancora una volta, su una pavimentazione a motivi romboidali. A questo proposito Paola Viotto nota11 che il motivo a losanghe,

    il modo pi corrente usato nella nostra zona nella seconda met del Quattro-cento per rendere lidea di pavimento. un modo, sia detto per inciso, che non permette di dare alcuna indicazione prospettica, e in questo si differenzia dai pavimenti a scacchi bianchi e neri, come si vedono a Voldomino e a Brissago [in Guglielmo da Montegrino] che almeno intenzionalmente comunicano uni-dea di spazialit. Guglielmo ha usato questa soluzione soltanto una volta, nella sua opera pi antica, il San Bernardino di Montegrino.

    Maccagno Superiore. Chiesa di S. Antonio Ospita il pi com-plesso ciclo daffreschi tradateschi della sponda orientale, purtroppo perduto in buona parte. Il pittore si annuncia allingresso con una Ma-donna, posta nella lunetta che sovrasta la porta dentrata della chiesa. Si tratta di una pittura alquanto deteriorata, tanto da non consentirne una soddisfacente leggibilit. Pur frammentario, il dipinto presenta gli ele-menti tipici della bottega tradatesca: broccati a foglie di quercia, tratti fisionomici della Vergine caratterizzati da fronte ampia, occhi con palpe-bre in evidenza, bocca piccola e naso delineato con pochi, semplici tratti.

    Tre le sequenze: Scene della Passione, Ciclo dei mesi, Teoria degli Apostoli.La prima serie corrisponde alla Biblia pauperum di cui parlava papa

    Gregorio VII; alla pittura stata spesso affidato dalla Chiesa il compito di narrare le storie della Sacra Scrittura con il linguaggio efficacemente emotivo, chiaro e comprensibile da chiunque in modo tale che anche un analfabeta potesse accostare testi sacri. Gli analfabeti daltra parte costi-

    11 P. viotto, Guglielmo da Montegrino e la pittura ad affresco in Valtravaglia tra Quattrocento e Cinquecento, Loci Travaliae, V-1996 (pp. 25-55), p. 46.

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    tuivano la maggioranza della popolazione. Lintento didascalico reso evidente dai cartigli esplicativi posti sopra i dipinti, alcuni dei quali facil-mente leggibili. Chi sapeva leggere poteva aiutare i conterranei a com-prendere il senso della scena, reso peraltro evidente dallinsegnamento dei rettori della chiesa e comunque tramandati oralmente dagli anziani.12

    Queste le scene, pi o meno complete, a noi pervenute:

    I - Lingresso in GerusalemmeII - Lultima cena: com dio atauora [con] gli apostoli III - Lorazione nel Getsemani, Com dio la orazio[ne]; in fumetto la citazione di Matteo, 26, 39: Pater, si posibile est, transiat a me ca[lix iste] 13IV - La cattura di Ges, il bacio di Giuda, Pietro taglia lorecchio al servo di Caifa: [C]om Zuda baxa dio per tradilo in le mani de farixeiV - La flagellazione, lincoronazione di spine, VI - Cristo di fronte a Pilato: Come li farixei ano menato dio de nante a Pilato VII - Pilato si lava le mani: [Pilato si lava le] mane de di(cend)o bene de lui. Un fumetto spiega: Innocens est

    La Viotto, prosegue nel confronto tra Antonio da Tradate e Gugliel-mo da Montegrino, fra Maccagno e Brissago:

    compaiono tanto didascalie in volgare, che spiegano le singole scene, quanto cartigli con scritte in latino che riportano le parole dei vari personaggi. Ma per quanto riguarda Guglielmo la presenza delle scritte forse anche da mettere in rapporto con uninfluenza della miniatura sulla stampa.14

    Ieratica la figura del Cristo nellultima cena, circondato dagli apo-stoli; san Giovanni, secondo liconografia tradizionale, reclina il capo sul petto del Maestro. Una scena di apparente serenit conviviale, anche se dal volto di Cristo traspare lamara consapevolezza della fine imminente. La grande omogeneit compositiva richiama con evidente chiarezza laf-

    12 S. Ferrari, Dizionario di arte e architettura, Bruno Mondadori, 2006.13 Archivio Comunale Maccagno (ACM), Immagini di fede sulle strade dei pittori itineranti, testo

    di conferenza di P. Frigerio, 2008.14 viotto, Guglielmo da Montegrino..., cit., p. 40.

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    fresco del San Michele di Arosio. Identica la figura del Cristo, identica la disposizione degli apostoli a semicerchio attorno alla tavola imbandita. Ora nella pavimentazione c un tentativo di prospettiva, si comprende che le rette di ogni fila di piastrelle devono avere inclinazioni contrappo-ste agli estremi del riquadro, devono cio convergere a un punto di fuga, ma questo non individuato, tanto che la variazione brusca di inclinazio-ne isola a un certo punto una piastrella triangolare. Tuttavia le piastrelle sono correttamente riportate sul piano frontale nella loro forma quadra-ta. Comuni sono alcuni aspetti a livello decorativo e perfino fisionomico. Il termine di paragone per entrambe le rappresentazioni potrebbe essere lUltima Cena conservata nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Brione Verzasca, opera del Trecento di un maestro legato alla scuola giottesca, da avvicinare, secondo il Bianconi, a Pietro da Rimini, per le affinit con lUltima Cena della Badia di Pomposa.

    Nella scena del tradimento di Giuda, i due volti accostati manifesta-no in tutta la loro drammaticit la tensione emotiva: nellespressione di sconforto del Cristo che volge il suo sguardo altrove gi presente la sconfessione dello spergiuro, mentre il traditore avvicina la sua guancia a quella di Ges e tende le sue lunghe mani in un abbraccio infido. Pi in basso il focoso Pietro colpisce allorecchio il servo del sinedrio, incuran-te della condanna del Maestro, mirabilmente espressa dallindice puntato verso di lui.

    Purtroppo - osserva giustamente Lara Broggi - le immagini si tro-vano in un pessimo stato conservativo e risultano di difficile lettura. Auguriamoci pertanto che qualche mecenate si faccia carico di un re-stauro conservativo, perch questo prezioso documento pittorico, testi-monianza di un lontano passato, possa essere fruibile anche dalle gene-razioni future.15

    Nella fascia inferiore delle pareti viene rappresentata la serie dei mesi. I dipinti presentano per un forte impoverimento dello strato pittorico, tanto che alcune parti sono irrimediabilmente perdute. Si conserva, in-fatti, la superficie pittorica del solo mese di Gennaio e piccoli frammenti dei mesi di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre e Ottobre. Per i mesi

    15 Broggi, Antonio da Tradate..., cit., p. 125.

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    di Febbraio e Aprile rimane solo la sinopia. comunque possibile una ricostruzione virtuale dei dipinti mancanti o deteriorati, ricorrendo ad analoghe raffigurazioni, che hanno unorigine comune, conservate for-tunatamente integre a Palagnedra e a Ronco sopra Ascona.

    La rappresentazione delle varie fasi dellanno, attraverso personificazioni o sce-ne corrispondenti a ognuno dei dodici mesi un tema iconografico che affon-da le proprie radici nellantichit. Tra le fonti arcaiche possiamo citare i Fasti di Ovidio e le Georgiche di Virgilio, il De mensibus di Draconzio (496-523), la Laus omnium mensium del secolo VI. Una produzione poetica e scientifica che so-pravvisse nel Medioevo, soprattutto attraverso la tradizione enciclopedica delle scuole dei monasteri e delle cattedrali e che ispir nuovi componimenti poetici, in cui si osserva una marcata tendenza alla descrizione dellattivit agricola in relazione ai dati meteorologici e alle caratteristiche paesaggistiche. Unaltra fon-te antica che sembra aver influito nellelaborazione dei calendari fu il repertorio tematico dei mesi della Gallia Romana, in cui ricorrono vivaci scene di raccolto, vendemmia, allevamento e uccisione del maiale, che ritroviamo anche in An-tonio da Tradate. solo per alla fine dellXI secolo che la rappresentazione dei mesi, fino ad allora presente solo nei codici miniati e negli arazzi, acquist consistenza nella pittura e nella scultura. Memorabili il tema del mietitore nel portale della cattedrale di Chartres e il ciclo di Benedetto Antelami nel battiste-ro di Parma. Tali rappresentazioni potrebbero avere un loro riferimento nelle pi belle pagine dei libri dore francesi o fiamminghi, come nelle Trs Riches Heures o nelle perdute Heures de Turin del 1414-1417. I libri dore generalmente contenevano un calendario con le attivit mensili e otto miniature con le pre-ghiere associate alle diverse ore del giorno. Se ne trova traccia nelle Alpi, nelle Prealpi e nel Canton Ticino. La grande diffusione del calendario nelle chiese rurali risulta di rilevante interesse anche dal punto di vista sociologico.16

    Romano Broggini osserva che le raffigurazioni dei mesi documenta-no la vita quotidiana nel suo annuale, ritmato procedere che viene ad assumere il significato esemplare dello scorrere del tempo riprodotto attorno allaltare. Per sottolineare il valore emblematico delle rappre-sentazioni di Antonio da Tradate, ad esempio, Broggini le confronta con

    16 M.A. castineiras gonzales, Mesi, in Enciclopedia dellarte medievale, s.v. Mesi, VIII, pp. 327 sgg.

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    frammenti poetici del maggior poeta dialettale lombardo del 200, Bon-vesin da la Riva, che permettono di renderci conto come la rappresenta-zione letteraria e quella iconografica abbiano una relazione strettissima ed una carica simbolica precisa. In tal modo lanno torna ad essere scandito dai lavori della campagna secondo un ritmo chera ancora nel ricordo dei nostri nonni. In conclusione I mesi ricordano il ciclo dei lavori che ritmano lanno, le opere e i mesi costituiscono il procedere ciclico delluomo nella sua vita.17

    Sandrina Bandera, seguendo il Gilardoni, riscontra luso dei libri di modelli; luso ripetitivo dei cartoni costitu una prassi operativa con-tinua sino alla fine del secolo, tanto che alcune delle raffigurazioni di Monte Carasso, come per esempio il mese di Marzo, si ritrovano nelle rappresentazioni dei Mesi di Antonio da Tradate del 1492 in San Marti-no a Ronco sopra Ascona.18 Con ogni probabilit nel ciclo maccagnese erano riprese o esemplificate le rappresentazioni citate di Palagnedra e di Ronco sopra Ascona. Analoghe saranno state le scene di mietitura, trebbiatura, preparazione delle botti, macellazione e lo sventramento del maiale. Alla scialbatura del ciclo di Maccagno (quanto si vede deriva da ricuperi dellanteguerra) si giunse probabilmente dopo lordine del ve-scovo Politi che proprio a Maccagno nel 1566 aveva giudicato disdicevoli le innocenti scenette dei mesi e ne aveva ordinato la cancellazione.19 A Maccagno, come a Palagnedra, Gennaio rappresentato come un uomo allinterno della sua casa che si riscalda dinanzi a un fuoco scoppiettante; linverno impedisce ogni lavoro nei campi e si pu trar frutto dalla previ-denza: una rozza tavola frugalmente imbandita con i prodotti della sua terra. Rifacendoci allaccostamento voluto da Broggini, in Bonvesin da la Riva, Gennaio cos descritto:

    Stagand Zen al fogo per tema del fregior/ Li mis an fag capitulo a ira e a furor,/ Pur per cason dinvidia de quel k so segnor,/ Zo de ser Zen ke viv

    17 Le rappresentazioni dei mesi nella Svizzera Italiana nella serie di Antonio da Tradate a Palagnedra, a Ronco sopra Ascona e in quella di Mesocco con un commento frammentario tratto dalla Disputa dei mesi di Bonvesin da la Riva, a cura di R. Broggini, Gaggini-Bizozzero, Lugano-Muzzano 1992.

    18 S. Bandera, Il Tardogotico, in Pittura a Como..., cit., pp. 19-27.19 Broggi, Antonio da Tradate..., cit., p. 127; ACM, Immagini di fede sulle strade..., cit.

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    senza lavor [Mentre Gennaio se ne stava (vicino) al fuoco, per paura del fred-do, i mesi si son riuniti adirati e infuriati proprio per linvidia di colui ch loro signore, cio ser Gennaio, che vive senza lavorare). Ma anche nella miniatura della raffigurazione dei mesi che si trova allsterreichische Nationalbibliothek di Vienna, Gennaio rappresentato come un giovane accoccolato per terra che si scalda davanti a un fuoco di sterpaglie.20 La patristica dal canto suo riserv allargomento unabbondante letteratura allegorica che si tradusse, durante tut-to il Medioevo, in scritti esegetici, nei quali il tema quello del trascorrere del tempo e del progresso della storia umana tra lincarnazione e la seconda venuta del Cristo. La collocazione delle rappresentazioni dei mesi nel presbiterio ri-sponde ad una scelta ben precisa: il sacerdote, durante la liturgia, si pone come lindispensabile mediatore tra il tempo umano e quello di Dio. Nel prologo dei Commentari allApocalisse di Beato di Liebana, lalternarsi durante lanno delle stagioni e dei mesi viene letto come prefigurazione di Cristo, degli evangelisti e degli apostoli. A questa impostazione si deve linterpretazione allegorica dei lavori dellanno agricolo, inteso come metafora della lotta del buon cristiano.21 La storiografia del sec. XIX consider i cicli dei mesi come documenti di un rinnovato interesse scientifico per la natura, ma anche come lezione didattica e morale ai contadini da parte della Chiesa per ricordare loro la fugacit del tempo e non ultimo lobbligo del pagamento delle decime. Gli studi pi recenti tendono invece a ravvisare nella iconografia dei mesi una traccia della rivolu-zione agricola e della rivalutazione del lavoro manuale nel Medioevo. Anche Guglielmo da Montegrino, nel S. Giorgio di Brissago, propone il tema dei mesi. Siamo nel 1522. La loro disposizione nei riquadri dello spazio architettonico per molto diversa, rispetto a quella di Antonio da Tradate.22

    Sulla parete sud della chiesa di S. Antonio restano alcune teste della mutila teoria degli Apostoli. Forse anche a Maccagno si teneva il rito del-lapostolare, implorazione della grazia tramite la mediazione dei santi apostoli. Si trattava di una devozione propria delle gestanti che invoca-vano protezione sulla vita del nascituro, nella scia forse di riti pagani di fertilit. Sopravvisse in Canton Ticino fino agli anni 50, a Santo Stefano al Colle di Miglieglia, a Croglio, Corzoneso, Comano e Rovio. La futura

    20 castineiras gonzales, Mesi..., loc. cit.21 raBano mauro, De Universo, XIX, I, 4; cfr. Codex Calixtinus, I.22 viotto, Guglielmo da Montegrino..., cit., p. 40.

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    mamma, insieme ai parenti, riceveva in chiesa dodici candele che accen-deva sotto ogni immagine degli apostoli. Veniva poi celebrata una messa, si cantavano le litanie dei santi, accompagnando in preghiera il lento con-sumarsi delle candele. Lapostolo davanti al quale la candela si spegneva per ultima indicava il nome da imporre al bambino, affidato quindi alla sua protezione. NellOratorio di SantAmbrogio di Camignolo, ad attesta-re la presenza di questa pratica devozionale, si possono ancora osservare le tracce nere lasciate dal fumo delle candele tra un Apostolo e laltro. Sembra che anche donne senza figli praticassero la devozione dellaposto-lare per implorare la grazia di una gravidanza e del suo buon esito.23

    Campagnano di Maccagno A Campagnano, oggi in comune di Maccagno, era ancora presente nel 1966, sul muro dellantica casa Gatti, un affresco della Crocifissione; il Giampaolo ne riferisce la data (1511) da lui veduta anni prima. Laffresco fu salvato con intervento demergenza durante limprovvida demolizione della casa, quando una epigrafe mo-raleggiante del committente (nota da trascrizione precedente) era or-mai perduta. Il dipinto, assai menomato, fu restaurato ed ora collocato nella sala Astini del municipio di Luino. La figura del Cristo crocifisso, solo parzialmente conservata, dal momento che presenta un solo strato pittorico, campeggia solenne nello spazio disponibile. Ai lati due angeli raccolgono il sangue effuso dal Redentore. In primo piano Maria Mad-dalena, coi lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle che contrastano col rosso del mantello, simile alla Maddalena della Crocifissione di Arosio e a quella di Palagnedra. Dietro di lei, in piedi, vicina al figlio morente, la Vergine con le mani giunte in preghiera, col volto straziato dal dolore, avviluppata in un manto che lavvolge interamente; sul lato sinistro, Gio-vanni, il discepolo prediletto, col capo sorretto dalla mano destra in un gesto di composta mestizia. Lara Broggi coglie in questa crocifissione evidenti analogie con quelle di Curaglia, Arosio e Palagnedra, senza rile-vanti variazioni narrative.24

    23 M. martino, Famiglia e nuova evangelizzazione, tesi di dottorato Facolt teologica dellItalia Settentrionale, 2013 (a c. di P. Tassinari), www.teologiamilano.it: C. pirovano, Una passeggiata tra il Romanico in Ticino, www.stradaregina.ch, 2007.

    24 Broggi, Antonio da Tradate..., cit., pp. 136 sgg.; Frigerio, Storia di Luino..., cit., p. 465.

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    Antonio da Tradate a Cunardo

    Frazione Raglio Molto simile nello schema iconografico a quella del Santo Stefano di Maccagno la Madonna in trono di Raglio, frazione di Cunardo. Laffresco si trova un precario stato di conservazione che non consente di apprezzare pienamente lopera. La Madonna si presenta nella consueta posizione frontale e stringe con la mano sinistra un libro chiuso. Sul capo, ricoperto da un velo dal quale fuoriescono ciocche di capelli castani, reca una corona gemmata. Il manto era in origine di co-lore blu; stretto da un fermaglio floreale, al di sotto del quale si scorge un abito rosso, ricade sullintera figura. Nella identica posizione il Figlio che indossa una veste a foglie di quercia come quella dellaffresco di Gra-glio. Dalle sue mani si dispiega un cartiglio con la scritta: In gremio Matris sedet sapientia Patris, la stessa che appare nellaffresco della Madonna di Re e che Antonio da Tradate ebbe certo modo di vedere durante i suoi soggiorni nelle Centovalli. Non si dimentichi che la miracolosa effusio-ne del sangue risale allaprile del 1494 e che levento diede vita ad una sentita devozione popolare. Due angeli, purtroppo sbiaditi, con le mani giunte e le ali dispiegate, campeggiano ai lati del trono che culmina con un drappo, sempre a motivi di foglie di quercia: un fondale per conferire maggiore solennit allimmagine. Stupisce in questo affresco la sontuo-sit degli ornamenti preziosi, pi ricchi rispetto agli altri dipinti presi in considerazione.

    Nelliconografia europea, a partire dal Medioevo, compaiono sul capo delle figure femminili accessori e gioielli fastosi, spesso come palese ostentazione di lusso e di opulenza. La testa era la parte del corpo umano maggiormente degna di riguardo, quale sede delle facolt intellettuali, tant vero che proprio sul capo erano posti i simboli distintivi del potere spirituale e temporale quali la mitria vescovile e la corona regale. Nel XV secolo un sistema codificato di or-namenti era in grado di comunicare una miriade di significati, legati soprattutto alla condizione sociale e personale. Inizialmente i gioielli da capo sono presenti quasi esclusivamente nella pittura profana. La Madonna invece quasi sempre pesantemente velata, senza preziosi e senza capelli sciolti. La Chiesa dal canto suo non si opponeva alluso degli ornamenti, a condizione che non costituisse-ro elementi del costume distintivi di precise categorie sociali.

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    La maggioranza dei preziosi visibili nella ritrattistica, e quelli di cui si fa menzione nelle fonti scritte, richiamano caratteri nuziali. Ricorro-no nei ritratti, dipinti in occasione dei matrimoni, perle, oro e pietre di colore rosso. La centralit del matrimonio nella societ del tempo ha portato alla rappresentazione della Vergine con gioielli tipici della sposa. La Madonna era per le nubende esempio di castit e purezza. Alle pietre preziose erano inoltre riconosciute propriet apotropaiche e propizia-torie, codificate in trattati specifici. La perla era in particolare emblema di castit e purezza e, nel vangelo di Matteo, paragonata al Regno dei Cieli. Ugo di San Vittore la pone a diretto confronto con lImmacolata Concezione e Rabano Mauro la definisce specchio di castit. La Madon-na sovente rappresentata con gli accessori da testa in voga, specialmen-te con il frenello e il fermaglietto. La ritrattistica fiorentina ci dimostra la diffusione di tali gioielli in Toscana, probabilmente importati dalla Lom-bardia: i Medici acquistavano gioie a Milano, uno dei pi rinomati centri di produzione orafa dItalia.25

    Tale carattere, rilevato a Raglio, potrebbe deporre in favore di una datazione pi tardiva rispetto alle Madonne precedenti, considerando altres che la conterranea Deposizione, di seguito considerata e con ogni probabilit eseguita in stretta continuit di tempo, datata 1503.

    Cunardo via Vaccarossi Altra testimonianza della presenza di An-tonio da Tradate una Piet, restaurata nellagosto 1999; reca lepigrafe: Mccccciij die ultimo agusti hoc opus fecit fieri Iemolus et frater eius filius condam Petri Betami (Gemolo figlio del fu Pietro Betami e suo fratello fecero eseguire il giorno ulti-mo di agosto 1503).26 Non sfuggono ad un occhio attento, come sottolinea Lara Broggi, evidenti analogie con la Piet di Arosio, purtroppo lacunosa a causa di un progressivo deterioramento della pellicola pittorica nella zona centrale, sotto la quale si leggono distintamente i nomi di Antonio e del figlio e la data di esecuzione: 1508. Identica la posizione della mano che sorregge il capo del Figlio, un volto straziato, molto simile nei tratti somatici al Cristo morto di Arosio. Identica la foggia del manto bluastro

    25 S. Franzon, I gioielli da capo nelle raffigurazioni quattrocentesche della Vergine Maria, in OADI Rivista dellOsservatorio per le arti decorative in Italia, giugno 2013.

    26 Broggi, Antonio da Tradate..., cit., p. 32, attribuisce lopera al 1504, forse interpretando le cifre finali .iv. e non .iij. secondo luso dominante.

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    finemente orlato che ricade sopra una veste rossa dalla quale emergono le esili calzature della Vergine. Con ogni probabilit ad Arosio il pittore us gli stessi cartoni con le consuete variazioni e integrazioni, data la maggiore ampiezza dello spazio a disposizione.

    Pi duna furono dunque le trasferte di Antonio e dei suoi allievi nonch, a un certo punto, del figlio, sulla riva orientale del Verbano, per operare fra due diocesi, di Milano a Maccagno e in Valle Veddasca, di Como nel Gambarogno sino a Indemini, poi in Val Marchirolo e nel Malcantone (Arosio), allora ancora parte di Lombardia. Le separazioni di confine intervenute hanno scisso le unit, per cui ci siamo limitati a considerare qui lopera svolta nellattuale Lombardia (con lunica ag-giunta di Indemini, geograficamente parte della valle Veddasca). Si pu pensare che molte di queste opere siano state eseguite nello stesso torno di tempo, essendo il pittore via via richiamato da un paese allaltro, dalla riva alla montagna, comunque tutti compresi (salvo Maccagno Inferiore, feudo imperiale dei Mandelli) dalla stessa dipendenza feudale ai Rusca, conti di Locarno.

    Nella pagina a fianco:

    1 Ronco Gambarogno (casa privata): Madonna del Latte2 Ronco Gambarogno, chiesa S. Bernardino: SantAgata3 Indemini (CH), alpe Cedullo: Madonna del Latte

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  • Curiglia con Monteviasco, chiesa S, Vittore:

    Madonna del Latte

    Curiglia con Monteviasco, santuario di Tronchedo:

    Madonna del Latte

  • Graglio Veddasca, chiesa di Penedegra: Madonna del Latte

    Maccagno Inferiorechiesa S. Stefano

    Madonna in trono

  • Maccagno, chiesa S. Antonio: Entrata in Gerusalemme e Ultima Cena

    Arosio, chiesa S. Michele: Ultima Cena

  • Maccagno, chiesa S. Antonio: lavanda dei piedi e Ges nellorto

    Maccagno, chiesa S. Antonio: Ges portato davanti al Sinedrio

    Maccagno, chiesa S. Antonio: Ges davanti a Pilato

  • Maccagno, chiesa S. Antonio: Flagellazione e incoronazione di spine

    Maccagno, chiesa S. Antonio: resti della Madonna sopra lingresso

  • Maccagno, chiesa S. Antonio: Cattura di Ges

    Maccagno, chiesa S. Antonio: ciclo dei mesi, gennaio

    Maccagno, chiesa S. Antonio: ciclo dei mesi, febbraio (sinopia)

  • Maccagno, casa Marchione: Annunciazione

    Malvaglia, chiesa S. Martino: Annunciazione

  • Maccagno, casa Marchione: San Sebastiano

    Cunardo (Raglio); Madonna in trono

    Cunardo, via Vaccarossi: Piet

  • Luino (palazzo comunale): Crocifissione (gi a Campagnano di Maccagno)

    foto a cura di Oliviero Baroni

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    Stefano Martinella

    Due commissioni di Giovanni Andrea Merzagora e qualche considerazione su alcuni altari lignei di secondo Cinquecento nel Verbano

    Il fiorire dellinteresse per la scultura in legno del Rinascimento lombar-do un fenomeno relativamente recente, in sostanza da riferire allultimo mezzo secolo; lattenzione degli studi si concentrata in particolare su due fronti, da una parte il mondo delle botteghe a cavallo tra il Quattro e il primo Cinquecento, dallaltro la grande stagione barocca, a partire dal Seicento. rimasta poco indagata quella fase intermedia della se-conda met del XVI secolo, che costituisce un fondamentale snodo di passaggio per tutta la cultura figurativa (specie poi nel contesto sacro), per il confronto ineludibile con le istanze e le politiche portate avanti in materia di immagini dalla Controriforma.

    Nel contesto locale il caso pi significativo per seguire questa evolu-zione quello costituito dai Merzagora, intagliatori e scultori di lontana origine aronese ma stabilitisi gi dalla fine del Trecento a Craveggia, in Val Vigezzo: le vicende dei membri di questa famiglia infatti si snoda-no, attraverso almeno tre generazioni, dalla fine del quindicesimo allo scorcio del sedicesimo secolo. Il capostipite di questa impresa, o quanto meno il primo dei Merzagora a emergere con qualche dato documen-tario, un Domenico il cui nome viene oggi tendenzialmente associato a quellartista indicato per molti decenni dalla critica come Maestro di Santa Maria Maggiore, autore del gruppo ligneo del Compianto esposto al Museo Civico dArte Antica di Torino, proveniente dalla chiesa dellAs-

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    sunta nellomonimo borgo vigezzino.1 La figura di Domenico, sfuggente anche per la mancanza di riferimenti a opere sicure, non sembra confi-nata al contesto locale ma pare anzi intrecciarsi con le vicende delle pi note e celebrate botteghe di intagliatori del Rinascimento lombardo: ba-sti considerare come un altro Compianto che viene a lui attribuito, quello realizzato per la chiesa di San Francesco a Locarno e ora nel Santuario della Madonna del Sasso a Orselina, nel 1485 viene indicato come mo-dello per un gruppo ligneo di identico soggetto commissionato dalla confraternita del Sepolcro di Cristo di Gallarate allo scultore Giacomo Del Maino, personaggio chiave per la storia della scultura in legno in quanto protagonista di alcune tra le pi significative imprese artistiche milanesi del secondo Quattrocento.2 Ai due Compianti ora a Torino e a

    Voglio ringraziare di cuore il personale dellArchivio di Stato di Verbania (in particolare Vale-ria Mora e Debora Chiarelli) e dellArchivio Diocesano di Novara, Gabriella Iorio, Leonardo Parachini, Massimiliano Cremona, Giorgio Margarini, Lorella Giudici, Gianni Pizzigoni, don Egidio Borella, Franca Maltempi, Davide e Fabrizio Vitello. Un sentito ringraziamento a Gio-vanni Agosti, Jacopo Stoppa, Camilla Sancio, Paola Angeleri, agli amici e colleghi della Scuola di Specializzazione. Cresce il mio debito di riconoscenza verso Rossana Sacchi che continua a vegliare su quello che faccio: a lei e a Silvio Leydi un enorme grazie per il fondamentale supporto nella trascrizione dei documenti.

    1 Il primo inquadramento genealogico dei Merzagora si deve agli studi di don Bertamini, a partire da T. Bertamini, I Merzagora di Craveggia. Maestri dei legnamari ed i misteri di S. Bar-tolomeo di Villadossola, Illustrazione Ossolana, 1-1964, pp. 7-12. Per il gruppo ligneo oggi a Torino si pu vedere da ultimo P. venturoli, scheda 41, in Il tesoro della citt. Opere darte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, catalogo della mostra (Stupinigi, 31.3/8.9.1996), a cura di S. Pette-nati e G. Romano, Allemandi, Torino 1996, pp. 26-27 (ripubblicato in P. venturoli, Studi sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento, Allemandi, Torino 2005, p. 72). La proposta di riconoscere il Maestro di Santa Maria Maggiore in Domenico Merzagora avanzata per la prima volta in T. Bertamini, Il pianto sul Cristo morto, Illustrazione Ossolana, 4-1968, pp. 4-9, quindi ripresa da diversi studiosi e oggi generalmente accettata: per una ricostruzione della vicenda critica si possono vedere G. romano, Novara, in Guida breve al patrimonio artistico delle province piemontesi, Soprintendenza per i beni artistici e storici del Piemonte, Torino 1979, pp. 57-74, R. casciaro, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Skira, Milano 2000, pp. 288-289, A. gu-glielmetti, Scultura lignea nella diocesi di Novara tra 400 e 500. Proposta per un catalogo, Provincia di Novara, Novara 2000, pp. 29-36 e P. venturoli, scheda 38, in Tra Gotico e Rinascimento. Scultura in Piemonte, catalogo della mostra (Torino, 2.6/4.11.2001), a cura di E. Pagella, Citt di Torino, Torino 2001, pp. 112-113 (poi in P. venturoli, Studi, pp. 93-94).

    2 Il contratto per il perduto Compianto di Gallarate (P. torno, Documenti inediti per Giacomo Del Maino e la scultura lignea in provincia di Varese, in Giovanni Antonio Amadeo. Scultura e architettura

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    Orselina sono state poi accostate diverse opere presenti sul territorio, in sostanza solo per le strette analogie stilistiche riscontrate: tra queste van-no ricordate almeno i Crocifissi della chiesa di SantAntonio a Locarno, della Parrocchiale di Masera e quello esposto a Muralto, il gruppo del Calvario (ovvero il Cristo crocifisso, la Vergine e San Giovanni) nella basi-lica dellIsola di San Giulio e due statue raffiguranti un Cristo morto e una Pia donna attualmente nelloratorio di Santa Caterina a Cosasca, frazione di Trontano, gi parti di un ulteriore Compianto perduto o disperso. Pi controversa lattribuzione della Madonna col Bambino di Orselina.3

    Alla morte dellartista, nella bottega famigliare sono attivi due figli, Giovanni Pietro Antonio e Andrea; per incontrare notizie certe per in pratica necessario attendere la generazione successiva. Andrea infatti padre di cinque figli, tra cui Giovanni Andrea che resta al momento lu-nico tra i discendenti di Domenico ad avere una personalit artistica defi-nita, non solo dal punto di vista documentario ma legata ad alcune opere

    del suo tempo, a cura di J. Shell e L. Castelfranchi, Cisalpino, Milano 1993, pp. 439-449) costi-tuisce un documento fondamentale poich fornisce un termine ante quem per lesecuzione del gruppo locarnese, cronologicamente successivo a quello ora a Torino, dai tratti pi arcaici, fissato da Venturoli ai primissimi anni Ottanta del XV secolo: P. venturoli, Scultura lignea a Orta, in Archeologia ed arte nel Cusio, atti del convegno (Orta San Giulio, 27.6.1987), LArtistica, Savigliano 1989, pp. 47-58 (poi in P. venturoli, Studi, pp. 48-52). Per la fondamentale figu-ra di Giacomo Del Maino rimando almeno a P. venturoli, Del Maino, ad vocem in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVIII, Istituto dellEnciclopedia Italiana, Roma 1990, pp. 103-111 (poi in P. venturoli, Studi, pp. 54-61); il figlio di Giacomo, Giovanni Angelo, il pi grande scultore del Rinascimento lombardo insieme al Bambaia, lautore del Compianto attualmente nella chiesa di San Martino a Cuzzago, databile allinizio del quarto decennio del Cinquecento (per cui rimando a G. agosti, J. stoppa, scheda 52, in Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bra-mantino a Bernardino Luini, catalogo della mostra (Rancate, 10.10.2010/9.1.2011), a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi, Officina Libraria, Milano 2010, pp. 216-221). Da menzionare inoltre la significativa presenza in Ossola dellaltra grande bottega di intagliatori lombardi, quella dei De Donati: ricordo lattestazione di Giovanni Ambrogio De Donati a Vocogno, frazione di Craveggia, l11 maggio 1514 per la commissione di unancona lignea destinata al monastero benedettino di Santa Maria degli Angeli; sulla questione J. sHell e P. venturoli, De Donati, ad vocem in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIII, Istituto dellEnciclopedia Ita-liana, Roma 1987, pp. 650-656 (poi in P. venturoli, Studi, pp. 38-42), P. venturoli, Scultura lignea a Orta, pp. 47-58 (anche in P. venturoli, Studi, pp. 48-52) quindi A. guglielmetti, Scultura lignea , pp. 37-42.

    3 A. guglielmetti, Scultura lignea , pp. 37-42.

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    certe4. La prima attestazione riguardante la sua attivit legata alla realiz-zazione del coro ligneo nella chiesa della Madonna di Campagna, impresa che va collocata nella prima met degli anni Ottanta del Cinquecento.

    La chiesa verbanese, ricostruita nelle forme attuali a partire dai primi anni Venti del Cinquecento ma consacrata solo nel 1547, al centro di unaccesa contrapposizione tra le comunit di Suna e della Villa di Pal-lanza che se ne contendono il possesso; nel tentativo di sanare lannosa questione (destinata comunque a trascinarsi nei secoli successivi e forse di fatto mai definitivamente risolta) il vescovo di Novara Giovanni An-tonio Serbelloni stabilisce nel 1572 la creazione di due distinte prebende, officiate dai curati dei due borghi. Sembra che da questo momento abbia inizio un periodo di relativa distensione tra le parti, nel quale si scalano alcune importanti commissioni artistiche, tra cui appunto il coro ligneo del Merzagora, del quale qui si presenta il primo contratto di commissio-ne.5 Il 2 dicembre 1580 Giovanni Battista Cadolini di Pallanza e Giaco-mo Zono di Suna, rappresentanti della Fabbriceria per le due comunit, si incontrano con Giovanni Andrea il quale sottopone allesame della committenza una serie di disegni per il coro da realizzare: alcuni di questi non vengono approvati, in particolare alcune teste (da identificarsi con le protomi umane e ferine poste come capitelli a sormontare le paraste che dividono gli scranni), alcuni modioni (o modiglioni, le mensolette che sostengono il gocciolatoio del cornicione) e alcuni quadri ovvero i pannelli intagliati con le raffigurazioni delle litanie lauretane. Allartista si richiede di modificare questi disegni rifiutati e di provvedere allaggiunta delle non meglio definite spallazze; il compenso, fissato in sei scudi doro per ognuno degli scranni, verr corrisposto in tre porzioni, allini-zio del lavoro, alla met dellimpresa e al momento della messa in opera. Nessun anticipo viene versato alla sottoscrizione dellatto, segno forse

    4 La ricostruzione quella presentata in Bertamini, I Merzagora, p. 7.5 ASVb, Fondo Notai, Giovanni Francesco di Bernardo Boralli, b. 521. Le vicende storiche rela-

    tive alla Madonna di Campagna si possono ripercorrere nella datata e spesso imprecisa mo-nografia del 1961 (Madonna di Campagna. Pallanza, a cura della societ Rhodiatoce, Istituto geografico De Agostini, Novara 1961) e nel manoscritto di Carlo Muzio in parte pubblicato in de vit, vol. 4, pp. 515-528.

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    che non si prevedeva limmediato inizio dei lavori, tanto pi che strana-mente nemmeno viene fissato il termine per la loro conclusione. Due anni pi tardi tuttavia un secondo documento del 17 settembre 1582 vede i fabbricieri, rappresentati dal parroco Orazio Bossi, lamentarsi per il mancato compimento dellopera e rifiutarsi conseguentemente di cor-rispondere lultima parte del compenso, richiesta dallartista.6 La soluzio-ne raggiunta grazie allintervento, in qualit di garante, del padre dello scultore e nella promessa che i due fanno di dedicarsi alacremente al la-voro, asserendo di poter contare sulla collaborazione di altri tre artigiani (altri membri della bottega): si stabilisce che i fabbricieri verseranno la quota del saldo in rate mensili di 7 scudi doro ciascuna sino al raggiun-gimento della cifra pattuita. Vengono inoltre fissate le successive opera-zioni di stima del lavoro, da effettuarsi dopo la messa in opera del coro e da affidare come consuetudine al giudizio di due persone esperte. Non sono noti ulteriori documenti relativi ai pagamenti, n possediamo la stima del lavoro.7

    Il primo documento del 1580 risulta particolarmente interessante in quanto consente di fissare un ulteriore punto fermo nella cronologia del ciclo di affreschi che occupa il tamburo e i pennacchi della cupola, le tre absidi e le campate terminali delle navate laterali della chiesa. Pochi mesi prima di commissionare il coro al Merzagora la Fabbriceria si era rivol-ta a un altro scultore, Giovanni Battista Materno, originario di Pallanza ma residente a Vercelli, per la costruzione di un tabernacolo ligneo da collocare sullaltar maggiore, che doveva essere consegnato entro la fine

    6 Latto del 1582, gi segnalato in T. Bertamini, I Merzagora di Craveggia, pp. 8-9, pubblicato in G. F. BiancHetti, Il coro ligneo cinquecentesco dello scultore ossolano Andrea Merzagora nella chiesa della Madonna di Campagna a Pallanza, Oscellana, 1980, pp. 181-208; il documento originale si trova in ASVb, Fondo Notai, Cadolini Bernardino, b. 281.

    7 La pi dettagliata analisi del coro ligneo si legge in BiancHetti, Il coro ligneo cinque-centesco, pp. 181-208; a testimonianza del giudizio positivo e del grande pregio attribuito allopera, voglio segnalare la tavola con il rilievo della struttura (in Ricordi di Architettura, 1894-1895, vol. IV, serie II, tavola 6), realizzata da Giuseppe Benzoni (Rovereto 1852 Pallanza 1938), artista e irredentista, insegnante di disegno e calligrafia in diverse scuole tra Pallanza e Intra, autore di altre tavole dedicate a monumenti del territorio pubblicate sulla medesima rivista.

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    dello stesso anno:8 la commissione contemporanea e la successiva messa in opera di coro e tabernacolo dovevano necessariamente prevedere il compimento dei lavori di pittura e soprattutto lo smontaggio dei relativi ponteggi, almeno per quanto riguarda la zona del presbiterio. Ancora non sono emersi documenti in grado di far luce su questa campagna pittorica (la seconda dopo quella coeva alla consacrazione della chiesa)9:

    8 Il documento pubblicato in G. colomBo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Guidetti, Vercelli 1883, pp. 365-368 e registrato in A. Baudi di vesme, Schede Vesme. Larte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, volume 4, Societ Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Torino 1982, pp. 1400 sg. Gli stessi fabbricieri Cadolini e Zono sottoscrivono il contratto con il Materno, cui si affianca lanziano Bernardino Lanino (morir tre anni pi tardi), autore del disegno preparatorio e responsabile dei lavori di pittura e doratura della macchina lignea. Laltare non sopravvissuto (lunica descrizione quella riportata nellinventario redatto per il vescovo di Novara Ferdinando Taverna nel 1618, ASDN, Inventari Taverna, III, 3, 65, trascritta in E. tea, Storia, in Madonna di Campagna, p. 14) come perduto laltare della chiesa vercel-lese di San Francesco che nel contratto viene indicato al Materno come modello da seguire. Lorigine pallanzese dellintagliatore risulta da un altro contratto, redatto a Vercelli nel 1582, con il quale Gio. Battista di Pallanza, abitante a Vercelli subappalta al falegname Giovanni Giacomo di Novara alcune opere che si era impegnato a realizzare nella chiesa novarese di San Francesco (G. colomBo, Documenti, p. 369).

    9 La prima campagna decorativa testimoniata dagli affreschi nei fusi della cupola, raffi-guranti i Dottori della Chiesa alternativamente a quattro coppie di angeli musicanti: la data-zione fissata da Paolo Venturoli agli anni della consacrazione, dal momento che gli affreschi sono realizzati sfruttando i ponteggi alzati per la costruzione del tiburio e della cupola (P. venturoli, La cupola di Madonna di Campagna, in Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Piemonte. Restauri, Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Piemonte, Torino 1990, s.p.). Lautore un pittore che risente in maniera decisa della cultura di Gaudenzio Ferrari ed stato a lungo riconosciuto nella figura, per certi aspetti pi leggendaria che reale, di Giulio Cesare Luini, di recente indagata da Paola Angeleri (P. angeleri, La chiesa di San Marco a Varallo, De Valle Sicida, 19-2010, pp. 77-96). A questa prima fase decorativa della chiesa appartengono poi le due belle vetrate raffiguranti lAngelo annunciante e la Vergine Annunciata, esposte alla celebre mostra curata da Vittorio Viale a Torino nel 1938 (Gotico e Rinacimento in Piemonte, catalogo della mostra, Rotocalco Dagnino, Torino 1939, pp. 110-111), vicine ai modi di Gio-vanni Agostino da Lodi (S. valle parri, scheda 39, in Il Rinascimento nelle terre ticinesi, pp. 168-169); ad anni intorno al 1547 si data la tela di Fermo Stella raffigurante Santa Barbara tra i Santi Giovanni Battista e Bartolomeo, ora nella chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano di Suna (M. caldera, Fermo Stella, LEco di Bergamo, Bergamo 2009, pp. 18 e 58) ma proveniente dalla Madonna di Campagna, data la sicura identificazione di questo dipinto con una delle ancone vecchie descritte dal citato inventario del 1618 (ASDN, Inventari Taverna, III, 3, 65) e con quella descritta allinterno della chiesa dal canonico Muzio, nella seconda parte inedita delle sue memorie, ancora conservata nellArchivio parrocchiale (Del Santuario della Madonna di Campagna (parte seconda). Memoria postuma del Teologo Coll.to Cav. Carlo Muzio, capitolo III, p.

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    come gi attestato dal Morigia, lautore del ciclo affrescato nella fase iniziale il milanese Aurelio Luini, il pi giovane tra i figli di Bernardi-no, che si avvale della collaborazione di un secondo artista che acquista sempre maggiore autonomia e che procede poi autonomamente (o con laiuto di altri collaboratori) negli anni successivi anche ad affrescare le campate terminali delle navate laterali. Giulio Bora aveva identificato questo collaboratore con il cremonese Carlo Urbino: questa proposta stata accolta in maniera pressoch unanime, tuttavia ora pare pi fonda-to convenire con Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa che in questi mesi hanno pensato di riconoscere in questo ciclo accanto ad Aurelio lallievo e collaboratore Giovanni Pietro Gnocchi.10

    28); ulteriore conferma mi pare derivare dal riferimento invero solo incidentale a un altare dedicato a Santa Barbara, collocato nei pressi dellingresso della chiesa, contenuto negli Atti della Visita Pastorale del Vescovo Romolo Archinto del 1575 (ASDN, Visite Pastorali, tomo 4).

    10 Sono stati Pierangelo Frigerio e Pier Giacomo Pisoni (P. Frigerio, P. G. pisoni, Il Verbano del Morigia. Un commentario alla Historia verbanese di fra Paolo Morigia a parte ristampata per comodo del curioso lettore, Alberti, Verbania 1977, pp. 74-80) a recuperare un ignorato tassello della Nobilt di Milano di Paolo Morigia del 1595 nel quale lo storico barnabita ricorda lattivit di Aurelio presso la chiesa verbanese (P. morigia, La nobilt di Milano, Pacifico Pontio, Milano 1595; curioso che la notizia sia completamente tralasciata otto anni pi tardi nella Historia della nobilt del Lago Maggiore). Giulio Bora (G. Bora, Un disegno di Brera e alcune precisazioni sul percorso grafico di Carlo Urbino, Associazione Amici di Brera e dei Musei Milanesi 1978/1979, pp. 17-32; ID., Un ciclo di affreschi, due artisti e una bottega a S. Maria di Campagna a Pallanza, Arte Lombarda, 52, 1979, pp. 90-106) il primo a collocare correttamente i lavori al tamburo e allabside prima del 1580, considerando la commissione dellaltare al Materno, e altres a distinguere il primo intervento piuttosto limitato del Luini da quello del collaboratore attivo poi anche nelle cappelle laterali, prima comunque del 1590 quando le pitture sono annotate nella Visita Pastorale del vescovo Cesare Speciano (ASDN, Visite Pastorali, tomo 15). Per una rilettura della figura di Aurelio Luini e per la nuova proposta circa il suo collaboratore nel ciclo della Madonna di Campagna rimando al catalogo della mostra Bernardino Luini e i suoi figli curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, in fase di allestimento presso Palazzo Reale di Milano, e alla mia scheda dedicata alla chiesa verbanese nel volume di Itinerari accompagnato allo stesso catalogo. La ricerca darchivio per quanto riguarda la chiesa verbanese parecchio complessa, a partire dalla presenza di diversi notai che rogano atti riguardanti lamministrazio-ne. Particolarmente interessante il ruolo svolto della famiglia Cadolini: un Giovanni Battista Cadolini fabbriciere della chiesa per Pallanza almeno tra il 1574 e il 1580, e il notaio Bernar-dino Cadolini (di cui non al momento ricostruibile il legame di parentela con il fabbriciere e il cui interessante materiale comunque frammentario e piuttosto malridotto) rogita anche ulteriori atti riguardanti la fabbriceria: il forte legame della famiglia con la chiesa daltra parte gi testimoniato dal De Vit (de vit, vol. 4, p. 74) e soprattutto dallo storico cremonese Vincenzo Lancetti (V. lancetti, Biografia cremonese, Borsani, Milano 1822, vol. III, p. 15), che

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    La risistemazione che allinizio degli anni Ottanta del Cinquecento interessa larea del presbiterio della Madonna di Campagna rappresenta un precoce aggiornamento della Fabbriceria sulle istanze controrifor-miste portate avanti da Carlo Borromeo a Milano e da l irradiatesi alle diocesi vicine: la politica artistica dellarcivescovo (che trova massima espressione nelle Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae, pubblicate nel 1577), mira a ribadire ed esaltare il ruolo dellEucarestia, anche at-traverso la centralit che nella nuova progettazione o nel riassetto degli spazi sacri viene data allaltar maggiore, fulcro ideale di ogni allestimento. Particolarmente interessante poi la battaglia sostenuta dal Borromeo

    ricorda tra gli altri un Giacomo Cadolini morto nel 1570 (con ogni probabilit padre del fab-briciere Giovanni Battista), fondatore del sepolcro di famiglia allinterno della chiesa, posto di fronte allingresso del presbiterio: la pista risulta quindi meritevole di ulteriori indagini, specie per i legami che la famiglia intreccia gi in questi anni con Milano, al punto che pu non essere estranea alla commissione milanese degli affreschi del presbiterio.

    Giuseppe Benzoni, Stalli del Coro nella chiesa della Madonna di Campagna presso Pallanza (Lago Maggiore),

    Ricordi di Architettura, vol. IV, serie II, 1894-1895 (esemplare posseduto dalla Biblioteca di Scienze Tecnologiche dellUniversit

    di Firenze, diritti riservati).

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    gi nel sinodo della provincia ecclesiastica lombarda del 1565 perch la conservazione delle specie consacrate avvenga non in luoghi apparta-ti bens in tabernacoli costruiti direttamente sullaltar maggiore: queste particolari prescrizioni stanno alla base del grande fiorire di commissioni di nuovi altari e di tabernacoli testimoniato a partire da questi anni nel territorio della diocesi novarese, anche nel Verbano come peraltro in Valsesia; tra queste anche la successiva impresa del giovane Merzagora qui di seguito analizzata.11

    Conclusi i lavori alla Madonna di Campagna, lo scultore ossolano ri-sulta infatti ancora presente nel Verbano il 19 marzo 1585, quando riceve da Giacomo e Martino Alberti, rappresentanti della Scuola del Corpo di Cristo, la commissione di un tabernacolo per laltar maggiore della chiesa di San Pietro di Trobaso.12 Il contratto indica le dimensioni della struttura lignea e stabilisce il compenso in 110 scudi doro, da corrispon-dere allo scultore in occasione della Pasqua, al primo di settembre e alla messa in opera del tabernacolo, prevista per il Natale dello stesso anno. Il disegno preparatorio presentato dallartista e approvato dai commit-tenti, perduto come la maggior parte dei disegni menzionati nei contratti di allogazione, riportava oltre alla struttura della macchina lignea anche indicazioni relative alla decorazione pittorica, segnalando ad esempio con le iniziali dei materiali le parti da rifinire in oro (o), in argento (a) e in zurro (z). Stabiliti gli obblighi delle parti, segue poi una postilla con lelenco delle statue da realizzare e da porre sullaltare, ovvero due imma-gini di Cristo, due serie di angeli, sei leoni con il compito di sostenere la struttura e una schiera di dieci santi (Giovanni Battista, Giuseppe, Pietro, Paolo, Andrea, Giacomo, Bartolomeo, Rocco, Gregorio e Vittore). Sullo

    11 Per i risvolti della politica borromaica nel contesto della diocesi novarese si possono vedere tra gli altri almeno S. steFani perrone, La riforma cattolica e i lignei arredi sacri delle comunit valsesiane, in Artisti del legno. La scultura in Valsesia dal XV al XVIII secolo, a cura di G. Testori e S. Stefani Perrone, Valsesia, Borgosesia 1985, pp. 19-29 e S. Borlandelli, Premessa, in O sacrum convivium. Mostra sugli altari lignei piramidali, La Terra Promessa, Novara 1989, pp. 5-9.

    12 Il contratto stilato dal notaio Gabardini di Cambiasca ma non appare segnalato nel re-lativo indice (ASVb, Fondo Notai, Gabardini Giovanni Battista fu Giovanni, b. 698/2): contenuto come allegato in un secondo atto che fissa alcuni particolari dellaccordo, redatto da un altro notaio il 15 luglio dello stesso anno: ASVb, Fondo notai, De Notaris Giovanni Antonio di Gauden-zio, b. 719.

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    stesso foglio del contratto una nota, con la data del 14 aprile, attesta il versamento allartista di un primo acconto di 25 scudi. Non sono emersi ulteriori dati riguardanti i successivi pagamenti per lopera n sappiamo se lattivit del Merzagora a Trobaso sia proseguita negli anni seguenti:13 di fatto i successivi riscontri documentari dellartista testimoniano il suo ritorno stabile in Ossola.

    Il 13 marzo 1588 infatti, lo scultore riceve la commissione per lin-taglio dellorgano ovvero la cantoria della chiesa di San Francesco a Domodossola: don Tullio Bertamini proponeva di riconoscere una parte superstite di questopera, andata dispersa, nel pannello ligneo raffigu-rante San Francesco che riceve le stigmate presente nelle collezioni civiche domesi.14 Nello stesso anno, il 20 dicembre, Giovanni Andrea, indicato come residente nel capoluogo ossolano, prende a bottega presso di s per tre anni il giovane Giacomo, figlio di Domenico Gianino di Albo; importante in questo documento la comparsa del fratello Giovanni Domenico, indicato come collaboratore sebbene in un ruolo decisamen-te subalterno.15 Lultima impresa documentata dei fratelli Merzagora ri-sulta essere, allo stato attuale, la grande ancona lignea con episodi della vita di San Bartolomeo realizzata per lomonima chiesa di Villadossola, nella quale era parroco il fratello Antonio: la realizzazione del retablo, commissionato a Giovanni Andrea e a Giovanni Domenico l8 febbra-io 1592,16 destinata a trascinarsi a lungo tanto che sar consegnata e messa in opera soltanto nel 1596, analogamente a quanto accaduto per

    13 A questo proposito pare utile segnalare lindicazione invero non molto chiara di una confessio effettuata da un Merzagora, registrata alla data del 17 febbario 1587 nellindice dello stesso notaio De Notaris (ASVb, Fondo notaiDe Notaris Giovanni Antonio di Gaudenzio, b. 732/2): non sono tuttavia riuscito a rintracciare nel faldone corrispondente il documento in questione, che potrebbe anche essere legato ai pagamenti per laltare (ipotizzando un signifi-cativo ritardo nella consegna dei lavori, tuttavia non sorprendente se si considerano i tempi del coro della Madonna di Campagna o quelli della successiva ancona di San Bartolomeo di Villadossola) se non a qualche altra opera realizzata dallartista nella chiesa.

    14 Bertamini, I Merzagora di Craveggia, p. 9. Franca Maltempi, del Comune di Domodos-sola, mi segnala gentilmente che il pezzo registrato nellinventario delle Collezioni Civiche come opera seicentesca dello scultore antronese Giulio Guaglio.

    15 Ibidem, p. 8.16 Ibidem, pp. 9-12 e in T. Bertamini, Storia di Villadossola. Testo e documenti, Oscellana,

    Domodossola 1976, pp. 500-501, documento 60. La collocazione archivistica attuale del do-

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    il coro della Madonna di Campagna, soltanto dopo la stipulazione di un secondo accordo.17

    Il santuario realizzato dal Merzagora per Trobaso compare menzio-nato negli Atti delle Visite Pastorali dei vescovi Cesare Speciano (1590) e Carlo Bascap (1595) semplicemente come un tabernacolo ligneo:18 interessante per rilevare che i testi di queste due prime Visite descri-vano una chiesa diversa da quella oggi esistente, definita piccola e non sufficiente per la popolazione che vi fa riferimento, a due navate con un altare dedicato a SantAndrea in quella meridionale. Nel 1595 infatti il Bascap ordina di intervenire sulledificio riducendolo a una sola navata e provvedendo allaggiunta di un coro: lordine eseguito dal momento che gi nel 1602, gli atti di una seconda visita compiuta dal Vescovo de-scrivono un ambiente a navata unica dotato di un nuovo coro quadrato, al centro del quale stato trasferito laltare maggiore con il suo taberna-colo.19 Linventario redatto il 22 gennaio 1618 per il vescovo Ferdinando Taverna contiene una prima descrizione meno sintetica dellopera del Merzagora: nel testo si precisa che lAltare maggiore ha uno santuario di legno indorato daltezza brazza 4 et mezzo in circa sopra il quale vi sono figure picole n 25 di legno indorate, et sei leoni mezzo indorati quali so-stengono detto santuario.20 Le misure qui segnalate non corrispondono esattamente a quelle indicate nel contratto di commissione: lo scarto certamente legato allo spostamento del manufatto e alla probabile sopra-

    cumento ASVb, Fondo notai, Olivetti Bartolomeo di Pietro, b. 357/1; non ho invece rintracciato nelle buste corrispondenti i due documenti del 1588, bench registrati nel relativo indice.

    17 Bertamini, Storia di Villadossola, pp. 504-506, documento 63.18 ASDN, Visite pastorali, tomo 15 e tomo 78.19 ASDN, Visite pastorali, tomo 56. Il testo della Visita descrive una costruzione in via di

    completamento (per esempio dice che il pavimento deve ancora essere realizzato): tra le altre prescrizioni il Bascap ordina ledificazione di una cappella per il battistero (il fonte battesi-male esistente a questa data probabilmente in legno) e la realizzazione dellarchitrave con il Crocifisso da porre nellarco trionfale.

    20 ASDN, Inventari Taverna, III, 56; lo stralcio pubblicato anche in L. galli, Bartolomeo Tiberino e Antonio Pino. Opere nella chiesa di S. Pietro a Trobaso, Verbanus, 22-2001, pp. 79-103. Spiace che la descrizione inventariale non sia dettagliata quanto quella dellaltare del Materno della Madonna di Campagna.

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    elevazione dellaltare mediante qualche gradino.21 Di una decina danni successiva una seconda descrizione, contenuta allinterno degli Atti di Visita del vescovo Volpiano Volpi (1629), dove il tabernacolo descritto forma sexangulari, inauratum et decens, intus serico panno albi coloris tulerabili vistitum, cum statua Christi resurgentis in summitate, in cuius capiti est diadema affractum et renovandum:22 il testo significativo per la precisazione della forma esagonale del tabernacolo, gi comunque intuibile dal riferimento ai sei leoni indicati nel contratto del 1585 come supporti per la struttura.

    La commissione di questopera e la successiva ricostruzione delledi-ficio vanno riferite a un particolare momento nella storia della chiesa che, insieme alle altre parrocchie del Verbano, assiste al lento disgregarsi del sistema pievano e al conseguente progressivo allontanamento dalla chie-sa matrice, la collegiata di San Vittore di Intra; la parrocchia di Trobaso poi una di quelle che gi nel 1568 ottengono dal vescovo Giovanni An-tonio Serbelloni lautorizzazione a celebrare battesimi.23 La costruzione di un nuovo tabernacolo rispecchia dunque gi la volont della comuni-t locale di contribuire allabbellimento della propria chiesa (avviata ad acquisire sempre maggiore autonomia) destinata poi a manifestarsi in maniera pi eclatante con la sistemazione architettonica; nel primo caso ci avviene con il coinvolgimento di un artista locale, gi impegnato in unaltra importante chiesa del territorio quale la Madonna di Campagna, mentre nei decenni successivi, dimostrando un continuo aggiornamento sulle istanze figurative provenienti dai centri maggiori, la fabbriceria si rivolger a una personalit di ben pi ampio respiro come Bartolomeo

    21 La visita del vescovo Taverna del 1617 (ASDN, Visite pastorali, tomo 88) descrive lal-tare maggiore come posto su un piano sopraelevato cui si accede attraverso alcuni gradini. Quanto al numero delle statue menzionate nel 1618, pi numerose rispetto a quelle indicate nel contratto del 1585, si pu pensare a un qualche cambiamento intervenuto in corso dopera o forse, pi semplicemente, alla presenza di ulteriori elementi darredo dellaltare, come per esempio una coppia di angeli reggicandelabro.

    22 ASDN, Visite pastorali, tomo 124.23 Per la situazione religiosa del Verbano rimando a G. andenna, Unit e divisione territoriale

    in una pieve di valle: Intra, Pallanza e la Vallintrasca dallXI al XIV secolo, in Novara e la sua terra nei secoli XI e XII: storia, documenti, architettura, a cura di M. L. Gavazzoli Tomea, Silvana Editoriale, Milano 1980, pp. 285-308.

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    Tiberino (Milano 1585-Arona 1654). Lartista, architetto e ingegnere di casa Borromeo, attivo oltre che nel Verbano anche nel Cusio, in Ossola, nel Biellese e nel Canton Ticino, infatti attestato in rapporto con la chiesa di Trobaso in almeno tre occasioni: tra il 1632 e il 1634 per la rea-lizzazione dellarchitrave, pochi anni pi tardi tra il 1636 e il 1638 per il ciborio battesimale24 e a partire dal 1648 per la costruzione di un nuovo altare. Su questultimo punto lobiettivo dei committenti chiarissimo: quella che i fabbricieri (tra i quali ancora un Alberti, Giovanni Battista) richiedono al Tiberino un opera laudabilissima et sentuosissima con-forme che potr capire il luogho del choro che sii con ogni suntuosit lodabilissima, di qualsivoglia altra che si ritrovino in questi contorni et molto maggiore di quella della parochiale di Orta.25

    Significativo poi nel testo dellaccordo del 1648 il punto sesto, dove si precisa che il medemo sig.r Tiberino sii obligatto a ricevere in pa-gamento il santuario vecchio, che si ritrova in detta chiesa, al prezzo che sar stimatto dalli estimatori, che stimarno il novo.26 Laltare del Merzagora viene dunque ceduto al Tiberino e il suo valore sar detratto dal compenso destinato allartista: non si tratta di una condizione straor-dinaria, se gi nel contratto del 1585 il vecchio altare veniva a sua volta affidato allo scultore ossolano (probabilmente per ricavarne i materiali),

    24 Lanalisi di queste opere, cos come dellaltare e delle successive imprese di Antonio Pino, allievo e collaboratore del Tiberino, in L. galli, Bartolomeo Tiberino, pp. 79-103.

    25 Il contratto per laltare emerso solo in anni recenti tra le carte dellArchivio Borromeo e pubblicato in C. A. pisoni, Prime risultanze su artisti e artigiani del legno da riordini e catalogazioni dellArchivio Borromeo Isola Bella, in La scultura lignea fra 600 e 700 nella valli alpine e prealpine tra Piemonte e Lombardia, a cura di M. DellOmo e F. Mattioli Carcano, Associazione Cusius, Miasino 2008, pp. 231-246.

    26 C. A. pisoni, Prime risultanze, pp. 245 sg. Avevo inizialmente immaginato che fosse possibile riconoscere qualche pezzo superstite dellaltare del Merzagora nellopera del Tiberino, in particolare per quanto riguarda le statue, data la corrispondenza di molti dei Santi indicati nel contratto del 1585 con le statue attuali: Davide e Fabrizio Vitello, impegnati in questi mesi nel restauro dellopera, che si erano posti prima di me la questione proprio in relazione alla particolare clausola del contratto, mi confermano tuttavia che anche dal punto di vista stilistico le statue ora presenti a Trobaso appartengono tutte alla medesima fase e vanno quindi riferite al Tiberino e ai collaboratori della bottega. Tre di queste, raffiguranti San Gregorio e due Apo-stoli, sono state rubate in anni non troppo remoti (L. galli, Bartolomeo Tiberino..., p. 92).

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    tuttavia il riferimento a una stima per entrambi gli altari nel 1648 lascia supporre che al pi antico manufatto si continuasse comunque ad at-tribuire un qualche valore, anche da parte del Tiberino. Le motivazioni della committenza per il nuovo incarico sembrerebbero essere quindi esclusivamente di natura estetica: laltare cinquecentesco, creato per un ambiente di dimensioni ridotte come la chiesa prima della ricostruzione, doveva in qualche modo perdersi nellambiente pi ampio del nuovo coro quadrato; per questo nuovo spazio i fabbricieri richiedono quindi al Tiberino unopera grandiosa, adeguata alla moda imperante dei grandi altari piramidali barocchi che proprio lo scultore milanese sta dissemi-nando in questi decenni nel territorio della diocesi.

    Una situazione per certi versi sovrapponibile a quella di San Pietro a Trobaso si verifica in pratica nei medesimi anni anche nella vicina chiesa di San Martino di Vignone, come si evince da una serie di documenti in parte ancora inediti. Anche qui infatti esisteva un primo altar maggiore ligneo, che sappiamo oggi commissionato dalla locale Scuola del Corpo di Cristo il 3 luglio 1577 a un intagliatore milanese, Giovanni Battista Alberio, indicato nel contratto come residente a Porta Comacina nella parrocchia di Santa Maria Segreta: la data davvero precoce (tre anni prima di quello della Madonna di Campagna e otto prima di quello di Trobaso), ed significativo il coinvolgimento di un artista proveniente dalla capitale del Ducato.27 Nel corso degli anni Quaranta del Seicento

    27 ASVb, Fondo notai, Baratti Giovanni Pietro, b. 662. E interessante rilevare come a questa data la committenza si rivolga al milanese Alberio cos come nel 1580 i fabbricieri della Ma-donna di Campagna commissionino il tabernacolo al Materno attivo a Vercelli: pare plausibile immaginare un pi lento aggiornamento delle botteghe locali sulle nuove istanze artistiche (si consideri come soltanto nel 1585 entrer in gioco il Merzagora, che pure doveva cono-scere bene lopera del Materno nella chiesa verbanese). Giovanni Battista Alberio appartiene a una bottega familiare di pittori e scultori di una certa rilevanza nella Milano di secondo Cinquecento: nel 1576 lo stesso scultore riceve lincarico di provvedere allo smontaggio, allo spostamento e al riadattamento dellancona della confraternita dellImmacolata Concezione nella distrutta chiesa milanese di San Francesco Grande (M. C. passoni, Nuovi documenti e una proposta di ricostruzione per lancona della Vergine delle rocce, Nuovi Studi, 11-2004/2005, pp. 177-197). La complessa macchina, commissionata nel 1480 al gi ricordato Giacomo Del Maino, inglobava sculture lignee e tavole dipinte tra cui una delle due versioni della Vergine delle rocce di Leonardo: sulla vicenda, una delle pi spinose del Rinascimento lombardo, rimando a passo-ni, Nuovi documenti, pp. 177-197 e per lintervento leonardesco a A. Ballarin, Le due versioni della Vergine delle rocce, in Id., Leonardo a Milano. Problemi di leonardismo milanese tra Quattrocento e

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    anche a San Martino viene messo in opera un nuovo tabernacolo, pure realizzato come di recente emerso grazie alle ricerche di Camilla Sancio dal Tiberino: il Libro delle spese della Confraternita del Rosario della chiesa di Vignone registra infatti alla data del 24 giugno 1646 un paga-mento di 400 lire imperiali allo scultore per la fabrica del santuario che di presente si va fabbricando.28 Di questo altare, scomparso e sostituito pi avanti da una struttura marmorea, possiamo in qualche modo sup-porre laspetto, non dissimile da altre imprese del Tiberino quali appunto quelle messe in opera a Trobaso, Masserano (1654) o come i precedenti esempi di Bironico (1625), Medeglia (1620/1630), Borgnone (1640).29

    Pi complicato risulta invece al momento stabilire lassetto dei primi tabernacoli post-tridentini, data la loro pressoch totale scomparsa e la loro progressiva sostituzione, inizialmente con strutture lignee adeguate al mutare del gusto (come a Trobaso e a Vignone), pi tardi con il ricorso alluso del marmo: resta insomma da chiedersi quanto gli altari dellAlbe-rio, del Materno e del Merzagora differissero da quelli del Tiberino rea-lizzati mezzo secolo dopo. Analizzando brevemente il caso dellaltare del Materno per la Madonna di Campagna, mi sembra interessante notare le fortissime analogie che ricorrono