Valandro Roberto - Di Alcune Leggende, Tradizioni E Superstizioni Nell'Area Monselicense - 1979

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ROBERTO VALANDRO Di alcune leggende, tradizioni e superst izioni nell'Area Monselicense ìrIli"{ MONSELICE MCMLXXIX

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Descrizione di tradizioni locali dell'area monselicense.

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ROBERTO VALANDRO

Di alcune leggende,tradizioni e superst izioninell'Area Monselicense

ìrIli"{MONSELICE MCMLXXIX

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ROBERTO VALANDRO

Di alcune leggende,tradizioni e superstizioninell'Area Monselicense

Edizione patrocinata dalla

BANCA ANTONIANA DI PADOVA E TRIESTEFiliale di Monselice

CLUB CASTH,I'LOBIBLIOT. PARROCC.

Fotogra6e de11o STUDIO E. ZANGROSSI di Monselice

@ 1979. Tutti i diritti riservati all'Autore.

La distribuzione è af/idata alla <<Libreria Editrice Zielo>>di Este.

Che nella scuola debba essere approfondito

il rapporto tra insegnamento delle materie lette-

rarie e patîimonio locale della cultura popolare,

è un'esigenza tanto sentita quanto scarsamente pra-

ticata: ne discutono gli studiosi (1), ma gli inse-

gnanti chiamati a mettere in pratica linee generali

e suggerimenti specifici oppongono resistenze for-midabili dovute a cause molteplici, non ultimaquella della loro completa estraneità a un ambien-

te spesso otiginale e trascurato (2). Conducendo

un'indagine sistematica in tale direzione è possi-

bile ampliarc 7a capacità di avvicinare e ricono-

scere un tipo di cultura che, soprattutto nelle no-

stre campagne. sta forse vivendo Ia sua u]tima sra-

(l) Un esempio, {ra i tanti: P. Toscur, La letteratura po'polare: oúentamenti e probleni, in <La letteratura popolate

nella Va11e Padana>, Firenze 1972, pp. 1.-4.

Rivendica dignità e autonomia al mondo culturale delpopolo, rispetto ai ceti dominanti, I'opera di G. Cocculan,t,Le origini della poesia popolare, Torino 1966.

(2) R. Ve.rlNono, La stoùa locale: una materia trascurata,

in <<Atheste>>, anno XXI n. 4, agosto-settembre 1918, p. 7.

gione (3). D'altro canto, per tale strada, sembrapirì facile risalire a una visione maggiormente com-pleta e problematica di quello che è staro il cam-mino della civiltà occidentale (a) o addiritura losviluppo della storia dello spiríto (s).

Al di 1à di un discorso tanro complesso, chenon ci compete peî catenza di conoscenze e dj at-titudine critica, desideriamo ugualmente propor-rc all'attenzione dei lettori alcuni documenti 7u-meggiari in maniera approssimativa, convinri co-me siamo che possano provare la fertilità di uncampo poco o nulla esplorato. Può interessare in-tanto il contesto originario del loro reperimento.Il presr-rpposto iniziale appariva specificaramentescolastico: offrire 1'opportunità ad allievi dellascuola media superiore di compiere un'esperienzain presa diretta con I'ambiente rurale nel quale vi-vevano e contro il quale mostravano insofferenzae disaffezione, persuasi che <la ricerca eseguita dipersona, a contatto con la vita del popolo, accen-de la passione per lo studío e facilita la compren-

(3) C. CoRR^rN, R. Var,cNlno, Vecchio mondo contadinoe manulatti preìstorici nella Bassa Padouana.. analogie e ipct-tcsi di conuergenza, <<Quaderni del Gruppo Bassa Padovana>>,l, Cittadella 1978, p. 11.

(+) E. te MenrrNo, Magia e ciuiltà, <<I GarzantiArgo-menti>>, Milano 1976.

(5) E. DE Menrrno, IL mondo magico. Prolegomeni a unaslotld dcl mdRtsmrt, I orino 197J.

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sione (ó)> del popolo stesso e delle sue tradizioni'Dopo aver delimitato un'area abbasLanza o'

mogenea, il Monselicense, con ftange che toccavano

temitori limitrofi (Pozzonovo, Schiavonia d'Este,

Baone). ci siamo dedicati alla raccolta del mate-

riale (i) partendo dai capitelli, testimonianze cer'

te del samo (8), e addentrandoci poi nel mondo

della fantasia e della superstizione. L'inchiesta si

è sviluppata con un'indagine a tappeto, Tocalizzan-

do i punti del sacro ufficiale e colloqr-riando con

quanti erano in grado e accettavano di fornirenotizie su di essi. Attraverso questo primo con-

tatto si è sviluppata, quasi naturalmente, la se-

conda fase e molti testimoni hanno preteso diconfidare agli intetvistatori fatti miracolosi, rac-

conti strani. dicerie. scivolando man mano nella

superstizione, delineando un interessante nucleo

narrativo su streghe e stregonerie. E' stato possi-

bile in tal modo articolare un denso dattiloscrit-

(6) P. ToscHr, Guida alLo studio delle tradizìoni popriari,Torino 7974, p. 56.

17) Il gruppo di ricerca era formato clalle studentesse M.Fortin, M. Gobbin, M. Norti, S. Sguotti e A. Veronese. De-sideriamo qui ringraziarle per 1a diligenza e l'entusiasmo dimostrati in un lavoro paziente e diffìcile, ma confortato da ot-timi risultati a livello didattico e non.

(8) G. FR^NcESCHErro, I cdpitelLi di Cittddelld e Campo-

satnpiero. Inàagine suL saoo nell'alto pat)ouatto, Roma 1972.

to (') presentato come lavoro di gruppo agli esamidi maturità: dalf insieme della documentazione ab-bíamo isolato alcuni frammenti oggetto della pre-sente trattazione, ritenendoli i più originali e pre-snanti.

Monselice vanta alcune ttadizioni di deriva-

zione dotta o medioevale: la leggenda della fonda-

zione dovuta a Opsicella, compagno di Anteno-

re (10), oppure I'altra Iegata a Egrna e Sarpedone,

rispettivamente regina della Rocca e re del MonteRicco (11). C'è poi la storia îomanzata di personag-

gi e avvenimenti ruotanti attotno alla figura e

aifattrdiEzzelino III da Romano, vicario dell'im-peratore Federico II e per alcuni anni signore e

tiranno a Monselice (12) e in altri luoghi del Pado-

vano. E ci sono ^ncora

tradizioni affrdate alla pietà

religiosa popolare: il pane di Santa Lucia e lanotte di S. Giovanni.

Il 13 dicembre, durante una funzione mat-

tutina presso la chiesa di S. Martino, viene di-

smibuito da tempo immemorabile un pane a for-ma d'occhio stllizzato, con quattro corti bracci di-

(lo) A. M,{zzAtorLr, Monselice.1,940, p. 7.

1tt; A. Ma.rN, Montericco. Dall'uale, Monselice 1936, p. 8.

(12) F. SARToRT, Fra Gontarino ouuero Monselice nel se-

colo decimoterzo, Monselice 1880.

Notizie storicbe, Padova

epoca antica alla medioe'(9t R. V,qreNono (a cura),ze orali del sacro popolare e

selicense, dattiloscritto di pp.1977-78.

b

Indagine su alcune testimonian-del superstizioso nell'area mon-100, Monselice anno scolastico

sposti a croce intorno a un globo ovoidale. <<Una

volta, rievoca un'anziana, di gente ne veniva mo]-ta, anche dai dir-rtorni, e c'eraÍlo Messe e pane be-nedetto Éno a mezzogiorno. A casa, spiegano al-tre, il pane viene divjso e usanza vr_role che essosi mangi per devozione a S. Lucia e nella fede chela salute, specie quella della vista, ne sia prorer-ra (13)>.

Il 24 giugr-ro ínvece, festa della natività di S.

Giovanni Battista, 1'appuntamenro per tutta la po-polazíone era sul Monte Ricco, dove sorgevanoun eremo e una chiesina dedicati al santo. La vigi-lia si andava su di rìotte per raccogliere la rugiada,quclla stessa che sarebbe servita ad ottenere i\ leuà,

élrosso pezzo dt pasta cruda lievitata dal quale rica-vare nel volgere dell 'anno 11 leuadìn con cui impa-stare periodicamenre 7a Íarina del pane fatto in ca-sa. Inerpícandosi a piedi lungo i viottoli del col-1" (''), le famiglie a gruppi, con i panieri delle vivande, attortriavano giovani canterini d'occasione:I'allegria appariva insolita, vivacissima, mentre laIuna illtrminava ogni più recondito anfratto. La mat-

(r3) Il. ARRtc;otrt, Il pane di Santa Lutiu, in <<padova ela srra provincia>, anno XX n.2, Pad<>va 1914, p.6.

(14) R. VAL^Notto, Per strade antiche, <<Quaderni delGruppo Bassa Padovana>>, 2, Este 1976, p. 70. I1 meritocleìla paginetta consiste nell'aver rammentato Ia cospicua tra-dizione e nell'aver ilrdìrettamente suggerito l'idea di ripro-potla, come è stato fatto, con grande entusiasmo e .successo.

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Monte Ricco - Atlante che solleva il mondo. Il gruppo scul"toreo conclude una ripida gradinata che conduce dall'eremo"S. Domenica" ad un ampio e natutale balcone aperto soprale cave sul versante occidentale del colle.

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Monte Ricco - Eloquente e gradevole prova della trasforma-zione subita dalla vetta del colle dopo il passaggio in proprietà

al conte Cini.

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Monte RiccoBattista e il

- La chiesuola-oratorio dedicatachiostrino ricornposto secondo

tonici classicheggianti.

a S. Giovannimodi architet-

tina presto una cerimonia religiosa conch-rdeva lalunga veglia presso il minuscolo oratorio.

Assai praticata fino a tlltto I'Ottocento, questa

consuetudine si è spenta a poco a poco dopo che

la famiglia Cini ha ridotto a proprietà privata partedel monte, cosffuendo una villa imponente sullacima più alta (ls) e riplasmando il paesaggio attornocon la messa a dimora di piante ornamentali e

d'alto fusto. Ripresa un paio d'anni fa da un grup-po di monselicensi, nella prima riuscita scampa-gnata, che si è protratta fino a tarda notte fra cantie briose esecuzioni musicali, ben due persone anzia-

ne attfaverso i loro ricordi infantili hanno riannoda-to un filo ideale con vicende che sembrereL,bero col-locarsi in una dimensione temporale ancestrale.

Non pare fuor di luogo ipotizzare la fedeltà,ormai inconsapevole, a una cerimonia che si richia-ma al mondo pagano, precristiano, un omaggiocorale alle divinità del colle in una delle nottimagiche dell'anno.

Ci sono dei momenti nodali nella storia di Mon-selice che si mostrano inrinsecamente legati ai

lLroghi, alle cose, al paesaggio: il Monte Ricco, ap-

punto, la Rocca, il Bisatto, certe località finitime cherisvegliano subito ricordi di campagna ma anche

(ls) R. FERRART

p. 5).R. VauNrno, Perduta Terra, Parma 7975,

L2 L)

di piccole comunità gelose della propria individua-lità, dei propri costumi, come Monticelli, Maren-dole. Ca'Oddo. S. Bortolo e S. Cosma. Artraversola ricerca ci è stato facile ffovarne conferma: so-

prattutto Marendole è apparsa una tîa le zone piùconservative, suggerendo insíeme I'ipotesi che l'a-ria di mistero aleggiante attorno ai punti di riferi-mento della frazione (il vecchio ponte, la villa pa-

dronale con la chiesa, la collinetta alle spalle, 1'ora-

torio-capitello ai confini di Baone) non sia disgiun-ta dall'antichissima tradizione abitativa, dai repertipreistorici emersi qua e là nel terreno lavorato, dalvillaggio collocabile tra I'età del bronzo e del ferroe individuato nel corso di scavi oirì o meno siste-matici (tÓ).

A volte sembrano esseîe stati precisi fatti dicronaca a suscitare una teazione apparentemente ir-raztonale tra gli abitanti. Celso Carturan raccontainfatti nella sua inedita cronaca (17) che a71a Crosa-rona di Ca'Oddo venivano giustiziati dagli Austria-ci i condannati a morte: e 1ì attorno abbiamo rac-colto una storia di feroci becàrl, di macellai, <<che

squaîtavano tutti coloro che osassero passare di

(1ó) G. FocoLARr,O,,-u 19572, p. 16.

1tz) C. CanrunaN,(1949 circa), ptesso gli

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Il museo nazionale atestino in Este,

Storia di Monselice, dattiloscrittcreredi ín Padova.

notte per la Crosarona, uomini o animali che fos-

sero>>. Riteniamo opportLrno, a tal proposito, sug-

gerire come da un rinvenimento archeologico sie

probabilmente nata la più radicara úadizione mon-

selicense: I'essere stata fondata, la chiesa di S. Pao-

1o, su di un pteesistente tempio pagano dedicato

a Giove Ammone.

Passando ora a un'analisi dettagliata, I'inda-gine condotta ha evidenziatola persistenza di rac-

conti che si accomunano a quel vasto patrimoniodi credenze e superstizioni studiato con perizia e

passione da Gisla Franceschetto per l'alto Pado-

vano (18). Eccone alcuni rapidi esempi. Di sera, al-

le Crosare di Ca' Oddo, si aggiravano 7e f ate della

notte, che lavavano su lavelli improvvisati la bian-cheria e la stendevano ad asciugare fino all'alba,quando scomparivano ai primi raggi del sole. Poic'era I'orco, un personaggio cattivo che amava le

metamorfosi pirì impensate: si ttas{ormava inmulo onde distribuire calci ai passanti, in caval-

1o per rovinare i raccolti calpestandoli, in uominivestiti di ,bianco per spaventare la gente di notte,in ombre per rincomere gli sprovveduti passanti,

in maiali per ingannare f ingenuo campagnolo:rinchiusi nel porcile, questi si tîamutavano sr-r-

(18) G. FRANcEScHETTo, La società rurale drcaica

tadella e Camposampiero, Roma L971 .

di Cit

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bito in zucche o sparivano addirittura, beffandoamaramenre il malcapitato.

Una mattina un contadino vide in mezzo al suo'spagnaro' ,un bell'agnello. L,uomo se 1o mise sul_

te spr[e tellce e contento e si avviò verso casa. Cam_minando sentì un peso gravarlo sempre più ed escla_mò: .<Che pesante che te si>. Rispose l''agnello: <Aso bè-o grasso ciò>. Udendolo purlu.., il"contadinotercottzzato si scrollò di dosso l,animale e scappò agambe levate: aveva inconÚato l,orcol ll9)

Assieme all'orco mettevano paura gli scampi,on'rbre che si annidavano in mezzo al grunot.,r.o,aI formentòn, rubavano le giacche agli uomini, sisedevano sopra le loro scarpe, facendole diven_tare pesantissime e impedendone il cammino. E in_frne Saluanello, un folletto di spirito, un po' bo_nario e un po' dispettoso.

Una volta c'era un orco di nome Salvanello, ve-stito di losso e con i piedi di bue. Si divertiva afilare la lana. sopra gli alberi. TJna tagazza, che an_ocva^a pascolare le pecore, si incontrava spesso conItri. Sirlvarrello allora la chirmavr dicendole: .Mari_

. (19) I testi di seguito riportati costituiscono i ìlocuwenti

cul accennavamo: verranno man mano distínti dal cofiìmentoattraverso l'uso di carattere minore. La trascrizione, italianjz_z,^ta' cerca di rispettare il più possibile l'andamento sintatticodel racconto colto dalla viva voce del parlante.

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na, vlenl qu1)>, mentre con gesto sgarbato lasciavacadere il fuso affinchè la pastoiella lolaccattasse. Lei,ubbidiente, si chinava per prenderlo in mano, ma

{i cglno I'orco tirava su il fuso: voleva proprio ab-bindolarla. Poi, quasi pentito, raccoglieva p... . -.-le e le gettava alla fanciulla, invitandola a mansiare.Marina lo accontentava, ricordandosi però semp"re dibuttar via l'ultimo pezzettino del frutto, altrimentisarebbe diventata come Salvanello.

Questo mondo popolato di personaggi fan-tastici e irreali sapeva anche creare situazioni estorie più vicine all'uomo, coagulate in episodistraordinari che si esaurivano in se stessi, comefatti di cronaca eccezíonalí: potevano forse ri-petersi, ma intanto rimanevano conclusi e classi-ficati nell'esperienza e nella memoria di tr-rtti.

Una domenica sera un uomo anziano uscì dicasa per andare all'osteria. Allora esistevano a Ma-rendole due osterie: una a destra e l'altra a sinistradel ponte che attaversa il Bisatto. passava il tem-po, ma il vecchio non faceva ritorno. La moslie eil figlio_andarono a cercarlo: all'osteria sepp"ró .h"si era allontanato senza che poi nessuno l,avesse piùvisto. Lo cefcarono dappertutto, per un giorno jntero,e venne ancora sera. Raccoltisi in casa, ad un trattosentirono bussare alla porta. Uscirono pieni di spe-tanza, ma non videro nessuno. Rimasero allora-al_zati, ad aspettare. Ed ecco lluovamente i colpi, il pre-cipitarsi fuori, il cortile deserto: e nel buió, a mez-z'aria e come sospese, due piccole luci, immobili. I1figJio si avvicinò, per vedere rneglio. Sirbito le luci

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cominciarono a muoversi e lui le seguì. Lo portaronoper i campi, si accostarono alla riva di un fosso ricol-mo, si immersero nell'acqua e sparirono. Il giovaneimpaurito rincasò, promettendo tra sé di tornare ap-pena fatto giorno: I'indomani, nel fossato, avrebbetrovato il corpo del padre anrìellaro.

Lungo l'argine del canale che da Marendole por-La a Ca' Barbaro esiste tuttora un pilastro. Ecco lastoria del ponte di legno che un tempo sorgeva 1ì vi-cino, fatto gettare ta le due rive dal nobile del paesee rnaledetto da una srrega per un po'di le-qna chie-sta e non concessa durante i lavori della sua cosrrLr-zione. Da quel giorno erano passati alcuni anni. I1 fi-glio del matchese, da poco nafo, anzichè crescereed ingrassare díventava ogní giorno più magro. Nes-sun medico sapeva curarlo: più mangiava e più sispegneva, come un esile lumino. Una notte il bambino strillò in maniera terribile: 7a balia e i genitoriaccotsero appena in tempo per scorgere una serpeche fuggiva. La sera seguente il marchese vigilò ac-canto al figlio: il sonno lo colse e insieme venne lamorte del primogenito. La piccola salma fu compo-sta e vegliata per una notte ancora. Poco dopo I'unasi accorsero della serpe che, penetrando dalla fine-stra, si avvicinava al corpicino e ne cercava la bocca.Il padre, inorridito, afferrò un candelabro per col-pirla: la serpe alzò il capo, 1o fissò ondeggiando conocchi rossi accecantí e in un attimo si dilesuò. 11 mar-chese corse fuori, la cercò, ma vide solò rrna fiam-mella sospesa nell'aria che si dirigeva verso il pontedi legno. Allora I'inseguì, ma questa, giuntavi sopra,scomparve. L'indomani il bimbo rovò sepoltura nelparco. Di notte però si udirono strani rumori: il siqnore e lo stalliere imbracciarono i fucili e si precipi-

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.)Marendole - La secentesca cappella della villa padronale.Nel cortiletto intetno, una mirabile vera da pozzo in ferro

battuto con il tioico selciato in trachite.

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Marendole - Sul vetusto ponte che attfaversa il Bisatto duelapidi ne ricordano la fondazione (1591) e il rifacimento

(174J) ad opera della nobile famiglia De Buzzaccarini.

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Monte Fiorin - La lapidc trachitica incastrata ai piedidella collinetta ormai semidistrutta con inciso il motto INDOMINO CONFIDO: la soitta, in regolarissimi catatteú,testimoniava fino a poco tempo fa Ia leggenda del drago.

II

Baone - Il minuscolo santuario detto "La Madonna della Tor-re" o "Madonéta déle àve". Recentemente restaurato, si ap-poggia a una casa colonica abbandonata e rimane I'unica pre-senza "viva" tra Monte Buso e Monte Fiorin, attotniato da un

paesaggio sconvolto dalla ingordigia dell'uomo,

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tarono verso la tomba, appena in tempo per scorgervi,attorcigliata sopra, quella maledetta serpe. Uno spa-ro e la sua testa cadde a terfa staccata di netto. Edecco sprigionarsi una fiammata, scivolare leggera eondeggiante verso il ponte e immergersi nell'acquadel canale. Il giorno seguente il por-rte era già abbat-tuto per ordine de.l marchese e da allota tlltto ritornòalla normalità.

Il tema clel serpente appare sviluppato, sem-pre a Marendole, in un contesto denso di signifi-cati, riallacciandosj il racconto popolare a77e sto-rie di dragbl presenti in àmbiti che hanno visto lostanziamento di popolazioni barbariche. E i Lon-gobardi, a Monselice, sono vissuti per quasi duesecoli come dominatori, impiantandovi la capitaledi una vasta giudiciria. Può essere una coinci-denza, può darsi che la tradizione del drago diMonte Fiotin sia abbastanza recente: ci sir con-sentiio r-rgualmente rilevarla come stimolante ipo-tesi di lavoro.

A Marendole, ai piedi di Monte Fiorin e fino a

pochi anni fa, si poteva scorgere una strana lapidesemintemata che portava ir-icisa una frase in latino:IN DOMINO CONFIDO. I giovani non sanno or-mai più niente a proposito della leggelrda sorta ar-torno a quella lapide.(20) Raccontavano un tempo

(20) I1 morto IN DOMINO CONFIDO ò ricordato, co-mc accenna il Gloria, da1 Salomonio a proposito di unasepoltrrra nella chiesa monselicense di S. Paolo: ornava il

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che dei contadini si fossero recati nella zor\ pet ta-gliare i rovi e dissodare il teneno (21), aiutati dalle fa-nriglie al completo. Il lavoro procedeva abbastanzaspedito e a mezzogiorno tutti si riunirono per man-giare. Un bambino, incautamente, lasciò il gruppo esoltento dopo qualche lempo igenirori ne avverti-rono I'assenza: 1o chiamafono, 1o cercarono, rna in-vano. Improvvisamente si udì un sordo brontolio ve-r-iire dalla collinetta e molti si avvicinarono tinorosi.Ad un tratto si fermarono, atterriti da una scena pau-fosa: LÌn gigantesco serpente, con una cresta sulla te-sta, mandava ruggiti uemendi e teneva in bocca ipoveri resti del piccino ucciso. Il temore impose lafr-rga precipitosa verso la chiesa, per cl-riedere al par-roco di scagliare la sua benedízione contro il mostro.La gente, un po' rincuorata, si armò di forche e fiac-cole e si avviò alla volta di Monte Fiorin, guidatadal prete che reggeva in mano, ben stretto, l'asperso-rio. Arrivati sul luogo della uagica apparizione, ilserpente non c'era più: unico segno tangibile, un

vcssillo di Filippo BevilaqrLa capitano dclla veneta Repub-blica morto nel 1615 (A. Gronra, Il territorio padouano il-lttstrato, vol. III, Bologna 1973, ristampa anastatica, p. 147).E' probabile che la frase entrasse anche nello stemma di qual-che nobile fan'riglia e cl're da una loro ploprietà sia venuta lapietra collocata a Monte Fiorin. Di insolito c'è il luogo, cheappariva conìpletamente disabitato e isolato, attorniato davignetí c tcrreni coltivati.

1zt; Tale operazione divenne tipica ne1 nosro tcrritorioin età rnedioevale, quando molti terreni furolro bonilìcatj e

riJotti a colttrra. Esisreva arrzi un lermine appropriato perdesignare il particolare lavoro, runcare, da cui i frequentitoponimí llonchi diÍÍrsi oggigiorno in campagna e sulle col-line (cfr. G. Drvoro, Auuiamento alla etimologia italiana.Dizianario etimologico, Firenze 19602, s.v. roncare).

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grosso foto prima mai visto sulla parete del monti-cello. Passarono giorni, mesi, anni ma del drago nes-suna traccia. Allota i contadini, gtati a Dio per averliliberati, si avviarono in processione e sopra l'aperturadella tana collocarono la lapide, a perpetua memoriadell'accaduto e come pegno che il mostro non si sareb-be giammai ridestato dal sonno eterno (22).

L'ingeuua fede religiosa della popolazione diMarendole e dei dintorni ci pare simbolicamenterappresentata dalla sopravvivenza di un piccolosantuario campestre, in territorío di Baone e of-ficiato la domenica per i vecchi del luogo, trovan-do essi scomodo recarsi fino alla lontana chiesaparrocchiale per la messa. E' I'Oratorio delle dueTorri, detto volgarmente Madonéta déle àue, laMadonna deile api, sorto dieno Motebuso e ad-

dossato a una antica torre del XVI secolo (23). Lo

122; Della curiosa leggenda, in versior.re più cor.rcisa, avc-vamo già parlato ne1 citato volumetto Per strad.e anticha, ac-

cennando in proposito (p. 51 52) alla ricomparsa dcl dragosotto lc vesti di un modcrno cementificio: <(Il n.ìostro staingl'riottet-rdo Ia scaglia con 1e sue enormí bocchc fumanti e

sputa cemcnto: ancora una volta la fantasia popolare ha vistogiusto, ha immaginato qualcosa che poteva príma o poi ec-

cadere, e sta accaclendo, anche se Monte Fiorin non è uncolle importante, come il Monte Ricco. E' soltanto, anzí ua,una collinetta che quasi non si vedc, rrna piccola altura la cuiscomparsa, così si è deciso, non compronetterà 1'equilibr:ioecologico de1la zona nè l'armonia del paesaggio!>

(23) A. CALLEGtw, Guida dei Collì Euganei, Padova 19733,p. 84.

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ricorda il veneziano Marin Sanudo nei suoi Diariiper una apparizione della Vergine che avrebbe da-to vita all'oratorio stesso, efetto nel 1526 ('o).Lafama e la devozione che subito hanno circondatoil capitello si sono tramandate nel tempo, subendoqr-rel primo miracoloso episodio arnplificazioni e

adattamenti. La testimontanza che abbiamo rac-

(24) F. FRANcf.scHL,TTr, Baone e la sutt anticu pieue. Me,morie storìchc, Padova lc))), p. 26-27. <<D:ue pecorai di nomeGzrsparc e Angelo, al servizio di Giovanni Todesco, cittadinodi Estc, tornavano in città la sera de1 venerdì santo clel 1526,clopo essere stati a confessarsi dai Padri Eremitani di Ter-r:alba; giunti cssi nclla località detta Montebuso, dove illolo padrone era ptoprietario di terreni, c precisamente nelsito ove Ìa strada passava fra due antiche torri, videro ivipresso, seduta sopra un sasso, ltnd donna risplendente, coper-ttt tLttt(t dì negro, in habito uiduale - La quale lo da quelligratiosamente saLtttata; a cui la predetta donna rese benigna-mente il saluto, poi disse a loro: "Io vorlei che faccste unaambasciata da n'ria parte al patron vostro, et diteli che alrefiate io Ii ho fatto intenclefe (per un suo di casa) ch'el mi deb-ba far r:n capitello in questo loco, et non 1'ha volllto fare,pcr i1 chc non poca castigatione aspetti a l'anima sua se'l nolrrre farà far Jirro trpitello": a , ui rispr's,ro li dut paslori:"Madonna, nui .t-ror-r li potremo parlate ch'è quattro giolnisor.ro chc'l non parla a nissuno, perché il ditto giace in lettoa l'estremo cii n-rorte, et nui semo poveretti, et non ci sarà

dato fede". A cui rìspose La Madre di gratia: "Io non cogno-sco voi csser poveri, siando sani della persona vostra; andateche entrati che sarete da lui, e1 detto parlerà, et díteli che iosono la Regina del Cielo e de11a Terra, et anÍìunciateli daparte n'ria che presto terminerà la vita sua, et pubblicatealle genti che ciascuno che degiunerà tre sabati, uno dopoI'altr:o a honor mio, et che poi mi atldimandino una gratia che

Itt

colto sembra proporsi infatti come una modestacontinuazione, mantenendone alcuni tratri essen-

ziali. Ma ccco lrt narrazione .

Presso la cappelletta della 'Madonna delle dueTorri' un tempo c'era utt pozzo che forniva acqua allefamigiie e al bestiame di due contadini. Sopravvenneun periodo di grande siccità e 1l pozzo cominciò a

irraridire tanto da destare viva preoccupazioue irì co-loro che 1o usavano. La paura che l'acqua non bastas-se alimentò ben presto diifidenza, sosperìo e infine veroe proprio odio. Cominciarono i dispetti: di notte unorubava l'acqua all'alffo. Una sera un contadino si recr)

honesta sia, senza dubio li sarà concessa, et che'l sabato dopovesparo non si debbia lavorare in Iìno passata la festa".Scomparsa la visionc, i due pecorai alrdarono subito allacasa del Giovanni Todesco e chiesero ai suoi figliuoli di potcr'-gli parlare, e dopo varie insistenze furono ammessi nella stan,za dell'ammalato, il quale miracolosamente leuò il cupo adì-mandando qwello che uoleuano, ed espostigli il messaggio,subito egli ordinò cbe si fabbricasse ditto capitelLo. Il To-desco morì l'ultima festa cli Pasqr-ra, ecl i suoi figliuoli fecelotosto erigere il clesiderato capitello doue concoyre innuncr,tbile populo, et sono stati latti di grandìssini ct eDidenti mi-raculi, di illuminar ciechi et sanar infermi;

- ct iui tpptL!to

corle un acqua di paludo cbe prima era fetente et putritla, atda qaella apparitione in quà è diuenuta perletissima ct bona.Così narra la leggencla raccolta da Marin Sanudo... Il Sanutoaggiunge che lo l'anno 1526 deL mese di apriL que.sto miracolosoprasuitto. Noto che in qr-rell'anno la Pasqua cadeva il gior'-no primo di aprile; si comprende quindi che l'elezione clel-I'oratorio deve essere stata molto rapida, e doveva essere co-sì, perché I'opera di n.ìuratura si era limitata a trasformafein sacello una delle due vecchie torri...>>

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'a.I pozzo portando un grancle rccipiellte , miì con mela-viglia e spavellto scorse una clonna vestita cli nero fer-ma accanto alla cl'iiesettr: mcravigli,r, pe L'cìré era un'orainsolita, e spavento, percl-ré solo le streghe potevanoaggirarsi impunemente di notte in aperta crrnpagna, e

lui delle streghe aveva davvero pallrzì. La clonnr, clLrrsi

inttrendo il suo stato d'anin-ro, lo rassicurò subito:<,Non aver tin-rore di me, ma di ciò che zrccadrà sta-notte. Aspettavo per zrvrrisarti che fra poco bagnetaila terra di sangue. Ascoltami, torna a casa e non muo-verti prima dell'alba>. Il contadino rispose in malomodo: anzi. ie intimò di allontanarsi. E mentre laclonna, senza ubbidirgli, cominciavzì a ptegare, costuìsi avvicinò a\ pozzct per attingere accltra. Proprio inqr:el momento anivò I'alffo contadino, imprecando e

brandendo un coltello. I due uomini si avvinghiarolrocon rabbia, lottando come animali inferociti ; alla 6neil coltello penetrcì nella carne clel prinro contadinoche sfamazzò a terra inanimato. Il feritore rinservìtr-rtto d'un colpo, cominciò a disperarsi, a piangere, a

chiarttarc pcr uomc il corrrl'taAno, a irtvocrre trrtti i

Santi del Paradiso. La donna. che fino a quel momentorrveva assistito alla scenr silenziosr e irr Jisparte. si av-vicinò, raccolse il coltello sporco di sangue e lo con-ficcò per terra: all'.istante si sprigionò unzr pollzr d'ac'c1r-ra. Il n'risterioso personaggio prese un fazzoletto, 1o

bagnò e lavò la ferita del contadino che stette subitomeglio, rnentfe il sangue cessava di sgorgare. Poi sirivolse ai dr-re lítiganti e disse: <Andate a casa e ticor'datevi di questo momento affinchè tra di voi regnisempre la pace. Ora t pozzi sono dr-re e l'acqul non vimancherà piùr>. Il contadino sano aiutò il compagno fe-rito ad aIzarcí e si avviarono insieme verso le loro po-vere dimore. Fatti pochi passi si girarono per salutarela donna, ma inutilmente: efa svanita nel nulla.

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Ca' Oddo - La povolata a primavera inolrata: la folta vege-tazione del vecchio albero allontana immagini di diavoleriee sttegonerie, stehperate in un paesaggio di campagna se-

reno e accattivante.

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Ca' Oddo - D'invetno e con la buràna, caratteristica nebbiadella bassa, ecco che la povolata si trasforma in un immanescheletro dalle braccia protese quasi a sommergere la vicinaparrocchiale sorta, secondo un fantasioso facconto, a protezionedel paese cohtro i misfatti compiuti da una smega imprigio-

f^ta tîa le radici della pianta secolare.

3A

In un ambito rurale tanto conservativo e le-gato a lontane memorie non ci è parso infine stra-no imbatterci in un facconto che consideriamo e-

semplare: la storia della pouolata di Ca' Oddo.La denominazione, ormai caduta in disuso, stava a

indicare Lrn tempo i grandi alberi pianrari pefsegnare j confini della proprietà o 1o sbocco di unavia secondaria sulla strada maestra. La derivazio-ne. dal letno populus - pioppo. resrimoniíì ullílantichità indiscussa per territori che hanno cono-sciuto 7a centuúazione romana e restitr-rito nu-merosi e importanti reperti archeologici (2s). Il pic-colo centro di Ca' Oddo è rimasto fermo da seco-li, legato al latifondo di un'unica grossa proprie-tà, dominato dal palazzo signorile con gli annessirr-rstici e dalla modesta chiesa parrocchiale di re-cente fondazione. In mezzo 7a pouolata, simbolodella frazione. Il grande albero si alza isolato e

getta la sua ombra per un vasto spazio attorno.La leggenda informa di una strega bruciata e se-

poìta sotto le radici la quale, per vendetta, avreb-be impedito l'espandersi della conrada: forse lafantasia popolare ha volurto in ta1 moclo giustifi-care un destino urbanistico poco propizio, ma cre-

(25) R. VALANono, Nuoae testimonianzc rom(tne su Mon-selice, Padova 1972, estratto dagli <Atti e Memorie dell'Ac-cademia Patavina di Scienze Letere ec1 Ar.ti>, vol. LXXXIV(1911-12), parte III, pp. 179-189.

)1

diamo che la piccola saga caoddrana abbia legamiprofondi e lontani con un tipo di cultura arcai-

ca, primitiva, quando agli albeti si tributavano o-

nori divini. E' una eventualità solleticante, che

ripaga intanto del lavoro compiuto e spinge a con-

tinuare una esplorazione che ci auguriamo utile e

fruttuosa.

Raccontano che la povolata sia stata interrata perimbrigliare le forze malefiche di una strega bruciata inquel luogo: costei, morendo, predisse la propria resur-rezione nel momento stesso ín cui la pianta sarebbestata abbattuta e t^gli^ta. Sotto le fronde dell'alberosi riuniscono i gatti a miagolare per notti intere: ripetono i lamenti della strega e dei suoi compagnistregoni. Dai rami si sprigíonano lampi che possonolacerare le nuvole e lasciar cadere tempesta sui campidi coloro che si sono inimicati la strega. E' stata leia far crescere vicino alla pianta gli edifici più irn-portanti del paese, perché odiava la solitudine. Neglíalberi spuntati attorno si celano le anime dei suoicompari. Una donna raccontava di aver visto e udito inuna calmissima notte d'estate muoversi le loro fron-de al chiaro dí luna, una alla volta, e mugolate comese stesseto chiacchierando. Quando imperversava lasiccità e i raccolti inaridivano, gli uomini si riuniva-no sotto la povolata e chiedevano alla strega di man-dare la pioggia in cambio della loro compagnia. Unanotte, sempre d'estate, un uolno scorse un ramo del1a

povolata allungarsi e toccare le campane, facendoleecheggiare per tutto il paese. La chiesa sarebbe sortaappunto per scongiurare gli influssi malefici della stre-ga. L'albero manifesta sensibilità opposte: dicono

che il suo fusto sia caldo d'inverno e freddo d'estate.Sembra che le radici abbjano raggiunto l'Inferno enelle notti di bu{era le cime lanciano fuoco, creanoIampi e fulmíni. Un contadino, volendo togliere unaradice che sporgeva in mezzo al suo cortile 1à vicíno,rimase sbalordito sentendo un lamento al primo colpod'accetta e vedendo uscire del sansue. Molti si dice-vano convinti che i rami della povolata fossero fles-sibili e permetressero alla srrega di indispetrire e im-paurire gli uomini avvicinatisi di notte, togliendoloro il cappello, facendo 1o sgambetto, chiamandoliper nome, battendo dei colpi sulle spalle. A volte lapianta spandeva una strana nebbia che faceva perderel'orientamento a chi doveva necessariamente transita-re per la strada principale del paese; oppure da leiuscivano ombre deformi che inseguivano le persone,menre i prati attorno si coprivano di bianchi len-zuoli. Chissà per quale motivo nessun uccello ha mainidificato ua quei rami! Soltanto un cucúlo visse pa-recchi anni ospite de1la povolata e quando mandavail suo verso, sussurravano fosse la strega che si pren-deva gioco di qualcuno.

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Desideriamo ringraziare per la c'oLlaboruzionc al-cuni amici monselicensi, e in particolare GianîrancoBaso, Aurora Gialain, Sandra Marin, Lucio e NicolettaRaise, Camillo Trevisan , che da teillpo operdno perla saluaguardia e la ualorizzazione del patrimonjo cul-turale delld nostra Città.

Cìralìche [ir:rq.licì P;rcLrv.,