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Arturo Graf Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo Edizione di riferimento: Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, Mondadori, Milano 1996 La leggenda di un filosofo (Michele Scoo) Nella quarta bolgia dell’oavo cerchio infernale, Virgilio, redento ormai dalla dubbia fama di mago che per secoli ne aveva infoscato e snaturato il caraere, addita e nomina a Dante gl’indovini ed i maghi che quivi son puniti di lor, tracotanza. Accennatine alcuni antichi, Anfiarao, Tiresia, Aronta, Manto, Euripilo, e deo alcun che dei loro fai, il maestro volge l’aenzione del discepolo sopra un moderno: Quell’altro che ne’ fianchi è così poco, Michele Scoo fu, che veramente Delle magiche frode seppe il gioco [1] ; poi nomina ancora Giudo Bonai e Asdente, e, senza più far nomi, accenna al popol minuto delle faucchiere, alle

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Arturo Graf

Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo

Edizione di riferimento:Miti, leggende e

superstizioni del Medio Evo,Mondadori, Milano 1996

La leggenda di un filosofo

(Michele Sco�o)

Nella quarta bolgiadell’o�avo cerchio infernale,Virgilio, redento ormai dalladubbia fama di mago che persecoli ne aveva infoscato esnaturato il cara�ere, addita enomina a Dante gl’indovini edi maghi che quivi son puniti dilor, tracotanza. Accennatinealcuni antichi, Anfiarao,Tiresia, Aronta, Manto,Euripilo, e de�o alcun che deiloro fa�i, il maestro volgel’a�enzione del discepolosopra un moderno:

Quell’altroche ne’ fianchi è così poco,

MicheleSco�o fu, che veramente

Dellemagiche frode seppe il gioco[1];

poi nomina ancora GiudoBona�i e Asdente, e, senza piùfar nomi, accenna al popolminuto delle fa�ucchiere, alle

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. . . triste che lasciaron l’ago,

La spola e ilfuso e fecersi indovine;

Fecer maliecon erbe e con imago.

Se Dante tornasse almondo, e riscrivesse laCommedia, si può tener persicuro che Michele Sco�o nonsarebbe più posto da lui inquella bolgia, tra quei dannati,quando pure il poetarinascesse così buon ca�olicoquale già fu, e così inclinato acerte credenze come unca�olico non può quasi, nonessere; ma, dato il tempo in cuiil poeta visse e fu composto ilpoema; data la celebritàgrande di cui Michele Sco�oebbe a godere in quei tempo, ele ragioni e l’indole di talcelebrità, era assai difficile, pernon dire impossibile, che ilpoeta non ponesse il filosofo aquella pena. Dante avrebbepotuto bensì non parlarne,come di tanti altri non parla;ma il giudizio ch’egli avrebbepensato sarebbe stato insostanza quel medesimoch’espresse parlando. E se noiporgiamo orecchio alle vociinsistenti della leggenda edella tradizione, intenderemochiaramente il perché [2].

I

Le notizie storichepervenuteci intorno a MicheleSco�o sono molto scarse emolto incerte, e il nome stessodi lui dà luogo a dispareri e adubbiezze. Vuole taluno cheSco�o sia forma italiana del

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cognome Sco�, frequente inIscozia; vogliamo altri cheSco�o sia nome, non difamiglia, ma di nazione, e cheperciò s’abbia a dire e scrivereMichele Scoto, come si dice escrive Duno Scoto, ClementeScoto, Ugo Scoto, ecc. Se nonché è da notare che nel medioevo il nome etnico si scrisseindifferentemente Scotus eSco�us, Scoto e Sco�o; ed io,seguendo l’uso degli antichinostri, scriverò Sco�o, senzaimpacciarmi in questioni, chenel caso nostro, non importangran fa�o.

Del resto, i dubbii circa ilnome debbono essere statipromossi, almeno in parte, dadubbii che si ebbero circa lapatria. Secondo Jacopo dellaLana, Michele sarebbe statospagnuolo; ma gli altricommentatori di Dante lodissero, per la più parte,scozzese; e v’è un anonimo ilquale, non solo il conosce pertale, ma sa pure avere egli sìfa�amente ammaestrati gliScozzesi nell’arte sua, che anchenon fanno passo che arte magicanon seguiscano, e avere pergiunta insegnato loro portarecalze bianche e gonnelle conmaniache cuscite insieme. Deibiografi, alcuni lo volleroscozzese, altri inglese, e laopinion dei secondi ebbeseguitatori recentissimi, comegli ebbe la opinion dei primi.Che Michele Sco�o nascesseitaliano, e più propriamentesalernitano, fu, credo, opinioneparticolarissima di un PierLuigi Castellomata, riferita eacce�ata per buona da Nicola

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Toppi; ma non meritevole dinessun riguardo. La opinionpiù plausibile è insommaquella che fa Michele scozzese,confortata anche dal fa�o chela leggenda di lui serbavasiviva in Iscozia in principio diquesto secolo, come vedremotra poco, e viva forse ci si serbatu�ora.

Per non allungarci troppostringiamo in poche parole inon molti fa�i della vita diMichele che si possono direaccertati, o che si possonoconsiderare come certi fino aprova contraria. Michelenacque verso il 1190, inBelwearie, nella contea di Fife;studiò prima in Oxford, poi inParigi; soggiornò un tempo inToledo, ov’era nel 1217; si recò,dopo il 1240, in Germania,dove fu conosciuto e beneaccolto da Federico II, fecedimora, certamente non breve,in Italia, nella corte diquell’imperatore, e, si puòcredere, in parecchie altre ci�à;si ridusse, non si sa quando, inpatria; morì verso il 1250.Stando a tradizioni scozzesi,egli fu sepolto, o in HolmeColtrame, nel Cumberland, onell’Abbazia di Melrose.

Michele Sco�o occupa unluogo onorevole nella storiadella filosofia del medio evo,sebbene Ruggero Bacone abbiascri�o di lui ch’e’ fu ignaro cosìdelle parole come delle cose, eAlberto Magno ch’ei nonconobbe la natura e non intesea dovere i libri di Aristotele.Ch’e’ non abbia inteso a doverei libri di Aristotele gli è unfa�o; ma quanti furono in

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quella età coloro che non lifrantesero? Un merito, ad ognimodo, non si può togliere aMichele, ed è d’avereefficacissimamente cooperato adiffondere, o, come lo stessoRuggero Bacone si esprime, amagnificar tra i Latini lafilosofia dello Stagirita, ed’essere stato uno degliajutatori di Federico IInell’opera della restaurazionedel sapere da quel principe contanto ardore promossa. PerFederico II egli tradusse ilcompendio che Avicennaaveva tra�o dalla Istoria deglianimali di Aristotele; perFederico II compose un Liberphysionomiae ch’ebbegrandissima celebrità, fumesso a stampa ed ebbe molteedizioni, a cominciare dallaprima di data certa, che è del1477; poi fu trado�o initaliano, e così impresso inVenezia nel 1537. Voltò diarabico in latino parecchi libridi Aristotele, sebbene non tantiprobabilmente quanti, ne’manoscri�i, se ne veggono colsuo nome; un tra�ato diAlpetrongi sopra la Sfera; untra�ato e alcuni commenti diAverroe, che da luiprimamente, secondo avverteil Renan, fu fa�o conoscere aiLatini; compose tra�ati diastrologia e di chiromanzia;tradusse, o compose di suo,parecchi altri libri, de’ qualialcuno, a�ribuitogli certosenza ragione, sta pure a fartestimonianza del gran creditoin che fu tenuto il suo sapere.Certo è calunnia quantoasserisce il già citato Ruggero

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Bacone, che Michele, al parid’altri parecchi ches’arrogarono di tradurre lescri�ure altrui, non avessecognizione né delle scienze, nédelle lingue; nemmeno dellalingua latina; e usurpassel’opera e il merito di un Ebreoper nome Andrea,pubblicando come sue leversioni di costui; sebbene siavero che del sapere e dell’ajutodi questo Andrea egli ebbe agiovarsi. La corte di Federico IInon era corte dove fosseavegole a un ignoranteacquistar credito di sapiente, eperché Federico non era uomoda lasciarsi così facilmenteingannare, e perché i moltido�i ch’egli si raccoglievad’a�orno avrebbero prestoscoperto l’inganno esmascherato l’ingannatore. Percontro noi abbiam prove dellariputazion grande ondeMichele ebbe a godereappresso gli uomini do�id’allora. Leonardo Fibonacci, ilcelebre matematico, dedicò aMichele la seconda parte delsuo Abaco. In una epistola inversi che Federico d’Avranchesscriveva l’anno 1236all’imperatore, Michele ècelebrato quale astrologo,indovino e nuovo Apollo,profetante felicissime sortiall’impero. Finalmente unpapa, Gregorio IX, in unale�era scri�a il 28 di aprile del1227 all’arcivescovo diCantorbery, chiama Michele ilnostro caro figliuolo, e di lui lodalo zelo per lo studio, lacognizione del latino,

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dell’ebraico, dell’arabico, ilvasto sapere.

Fra Salimbene raccontadel sapere, specie astrologico,di Michele una storiellaveramente sbalorditiva.Trovandosi un giorno in certopalazzo, Federico II chieseall’astrologo quanta distanzacorresse da quello al cielo.Michele rispose come lascienza sua gl’insegnava; dopodi che l’imperatore, so�opretesto d’andarne a diporto,lo condusse in altra parte delregno, e quivi lo tra�enne piùmesi, nel qual tempo ordinò aisuoi archite�i, o ai suoilegnajuoli, di sbassare la sala,per modo che nessuno potesseavvedersene; e così fu fa�o.Dopo molti giorni, tornato nelmedesimo palazzo,l’imperatore, volgendoaccortamente il discorso, ripetéall’astrologo la domanda stessadell’altra volta, e l’astrologo,fa�i suoi calcoli, rispose che, oil cielo s’era alzato, o la terras’era abbassata: ed alloraconobbe l’imperatore ch’egliera astrologo davvero.

Avviene della buona edella rea fama degli uominicome delle valanghe: questeingrossano della neve e deisassi che incontrano giù per lachina del monte; quelle, giùper la china del tempo,ingrossano d’infinite opinioni,d’infiniti errori e d’infinitenovelle. Così, in bene e inmale, si formano le riputazionieccessive, che la critica storicascompone e riduce a’ suoielementi; così, in parte, fuoridalla consueta mezzanità

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umana, si levano gli eroi, isanti, i mostri tipici.

Il sapere di Michele parvegrande, fa�a qualcheeccezione, agli uomini del suotempo: agli uomini de’ tempiche seguirono, per lungotra�o, esso parve sempre piùgrande. Di tale fama crescentenoi troviamo le testimonianzein tu�i, o quasi tu�i, gliscri�ori che parlarono di lui; enei più moderni dura ancora ilsuono delle lodi con cui erastato celebrato il suo nome,dura l’ammirazion d’un saperefa�o oramai universale:Michele, oltre la lingua suapropria e qualche altrolinguaggio volgare, oltre illatino, ebbe familiari il greco,l’ebraico, il caldaico, l’arabico;Michele fu matematicoinsigne, teologo egregio,astrologo insuperato, medicomeraviglioso, conoscitoreprofondo di tu�i i segreti dellanatura. Pico della Mirandola,seguendo gli esempii diAlberto Magno e di RuggeroBacone, lo giudicherà, gli èvero, scri�ore di nessun peso,e di molta superstizione; mal’opinion di quelli e suarimarrà opinion di pochissimi.

II

Come mai, di filosofoch’egli fu, Michele si tramutòin profeta ed in mago? Comenacque la leggenda che persecoli fronteggiò intorno al suonome, e che forse conservaancora, mentr’io ne ragiono,alcuno sarmento vivo e alcunafoglia verde? Queltramutamento seguì ne’ modi

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consueti; la leggenda nacquecome molt’altre così fa�enacquero.

Notiamo anzi tu�o che trale opere conosciute di Michelenon ve n’ha nessuna che tra�idi magia; ma notiam pure chenon v’era punto bisogno d’untal documento per dar l’airealle fantasie, sebbene poi laleggenda sel produca da sé.Nel caso presente sono dadistinguere una ragiongenerale e due ragioniparticolari. La ragion generaleè questa, che in secoli dicomune ignoranza la fama dido�o basta di per se stessa aprodur la fama di mago; ondenoi vediamo dalle fantasiedegli uomini del medio evotrasformati in maghi i sapienticosì degli antichi come de’nuovi tempi, e ciò con unprocedimento uniforme esommario che me�e tu�i in unfascio filosofi e poeti ematematici e pontefici e santi epersino uomini così poconecromantici come fu messerGiovanni Boccacci. Libri dimagia furono a�ribuiti anche aSan Tommaso d’Aquino:Alberto Magno e RuggeroBacone, così sprezzanti, comes’è veduto, di Michele Sco�o,furono ascri�i con lui allastessa famiglia di maghi,ispirarono lo stesso rispe�opauroso, ebbero la stessacelebrità. Sarebbe in tu�osuperfluo moltiplicar le provee gli esempii di cosa ormaimolte volte discorsa enotissima: già ebbe a direApulejo, parlando de’ tempi

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suoi, che le plebi sospe�avanodi magia tu�i i filosofi.

Questa, dunque, la ragiongenerale nel caso nostro; leragioni particolari, o, per lomeno, due delle ragioniparticolari, le abbiamopresumibilmente nella dimorache Michele fece in Toledonegli anni della suagiovinezza, e, per qualcheparte, nella dimestichezzach’egli ebbe con Federico II.

Durante tu�o il medioevo la ci�à di Toledo gode�e,in materia di scienze occulte,grandissima riputazione: ivifiorivano l’arti magiche; ivifioriva una scuola di magiacelebre fra quante ne fossero interra di Saraceni o di cristiani;celebre tanto che la scienzainsegnatavi fu de�a perantonomasia talvolta scentiatoletana. Virgilio v’avevastudiato; persuaso dal diavolo,vi studiò Sant’Egidio primadella sua conversione; e così vistudiarono molti altri. Ilmonaco Elinando affermanella sua Cronica che i chiericiandavano «a Parigi a studiarele arti liberali, a Bologna icodici, a Salerno imedicamenti, e in nessunposto i buoni costumi». Neiromanzi di cavalleria Toledo ela sua scuola sono mentovateassai spesso, e Luigi Pulci,ricordandosi di quanto altriassai avevano de�o prima dilui, scrisse nel Morgante (XXV,259):

Questa ci�àdi Tolleto solea

Tenerestudio di negromanzia;

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Quivi dimagic’arte si leggea

Pubblicamentee di piromanzia;

E moltigeomanti sempre avea,

Esperimenti assai d’idromanzia,

E d’altrefalse opinion di sciocchi,

Come efa�ure o spesso ba�er gliocchi.

Il troppo famoso Dalrioricordava ancora quello ocome celebre e detestabile.Michele doveva essere statocondo�o a Toledo daldesiderio di apprendervi l’artemagica.

Federico II diedeargomento a due diverse, anzicontrarie tradizioni, dellequali, l’una si diffuse piùlargamente e prevalse inGermania, l’altra si diffuse piùlargamente e prevalse in Italia;la prima ghibellina ed a luifavorevole; la seconda guelfaed a lui sfavorevole. Di quellanon abbiamo ora a curarci: diquesta basterà notare che peressa Federico II fu spogliato diogni virtù, gravato di ogninequizia, dipinto quale uomodiabolico, identificato persinocon l’Anticristo. Del cara�ereche così la leggenda gli venivaa�ribuendo un’ombra s’avevaa stendere su tu�o ciò che glistava d’intorno; e ch’egli e ifamiliari suoi avesserointelligenza con Satanassodoveva parere presunzione,più che ragionevole,necessaria. Strani uomini sivedevano in quella corte;

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strane cose vi si facevano; dipiù miracoli dell’arti occulte(così dicevasi) vi si dava saggioe spe�acolo. Quivi Saraceni ingran numero, i quali tu�i erantenuti accoliti e serventi deldiavolo; quivi messi, che dapaesi remoti ed incognitirecavano meraviglie non piùvedute; quivi giocolieri d’ogninazione e maestria; quivimaghi, operatori d’inauditiprodigi [3]. Federico II traeva asé gli uomini singolari come lacalamita di ferro. Nell’anno1231, essendo egli alla dieta diRavenna, ebbe a trovarsi (cosìnarra il cronista TommasoTusco) con certo Riccardo,venutovi in compagnia d’altricavalieri d’Alemagna, il qualesi spacciava per iscudiero diOlivieri, del paladino morto daqua�ro secoli, e asserivad’essere stato altra volta inRavenna insieme col suosignore, con Carlo Magno econ Orlando. Richiestodall’imperatore di dar qualcheprova di quanto affermava,fece discoprire certa cappella ecerte arche sepolcrali da grantempo interrate, e scovare suldavanzale di una finestraaltissima certi spronirugginosi, dimenticativi da ungigantesco cavaliere di Carlo[4]. Dei miracoli d’arte che isuoi maestri sapevano oprarediede un saggio Federicoquando, volendo ricambiare ilsoldano di certi ricchissimidoni che n’avea ricevuti, glimandò, oltre a cento stendardid’oro, e cento destrieri diSpagna, e cento palafreni dasollazzo, «uno albero tu�o

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pieno d’uccegli, e tu�i eranod’argento; e quando traevaalcuno vento, tu�i cantavano edirizzavansi e chinavansi, ederano a vedere una grandemeraviglia: e questo albero sicomme�eva tu�o insieme».

Chi sa mai quant’altre cosìfa�e novelle dove�ero narrarsidi Federico II, le quali nonsono venute sino a noi, ma chetu�e dovevano riuscire aquesto effe�o, di sollevare e distendere intorno a lui e allasua corte come una caligine dimeraviglioso, a�issima amutar volto e colore allepersone che ci si movevanodentro, e che già per altreragioni eran disposte einchinevoli al mutamento. FraSalimbene ebbe certo a udirnedi molte, che a noi rincrescesieno state passate da lui so�osilenzio, dicendo egli in dueluoghi della sua Cronica: DiFederico io so molt’altresuperstizioni e curiosità emaledizioni e perversità einganni, dei quali alcuniconsegnai in altra mia cronica,e di cui taccio ora per amor dibrevità, e perché mi rincresceriferire tante sue fatuità.Sebbene di Michele Sco�o nonsia mai ricordo nei Regesti diFederico, se non in quanto siaccenni ad alcuna delle sueversioni; e sebbene non sia dacredere all’AnonimoFiorentino che lo creasenz’altro maestrodell’imperatore; purnondimeno non è da dubitarech’ei non fosse uno de’familiari suoi, unfrequentatore della sua corte, e

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forse uno dei molti astrologiche l’imperatore si tenevad’a�orno. Ma, s’avesse egli, onon s’avesse cotale ufficio, daquella familiarità e da quellafrequentazione doveva venirenuovo argomento e nuovostimolo alla leggenda magicache già, per altre ragioni, eraper formarsi intorno al suonome.

III

La leggenda di MicheleSco�o, simile in questo a tu�ele altre leggende, non nacquecerto già bella e formata, ma sivenne formando a poco apoco, in virtù di svolgimenti edi aggregazioni successive. Inessa si possono distingueredue parti principali: l’una, chenarra di lui come conoscitordel futuro o indovino; l’altra,che narra di lui come mago;ma dire qual delle due precedain ordine di tempo, o seentrambe non sorganocongiuntamente, è cosaimpossibile ora. Gli è vero cheSalimbene ricorda di luisoltanto le predizioni, e nulladice dell’arte magica piùpropriamente de�a; ma ciònon significa punto che l’altraparte della leggenda non fossegià nata, se non cresciuta; oche Salimbene dovesseignorarla; mentre vediamo chePietro Alighieri, fa�o di questaconsapevole, se non da altro,dai versi stessi del poemapaterno che commentava, dicedell’indovino, o, com’eglilatinamente lo chiama, grandeaugure, ma non tocca puntodel mago.

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Dante condanna allastessa pena, promiscuamente,gli indovini ed i maghi; e altrode’ commentatori suoi, quelloche chiaman l’O�imo, giuntoai versi ov’è fa�a menzione diMichele Sco�o, nota: «Quidescrive l’autore di un’altraspecie d’indovini, li qualiusano arte magica». Maindovini e maghi non eranopropriamente la stessa cosa;anzi, tra gli uni e gli altri, piùche diversità, c’era, a rigor dido�rina, opposizione econtrasto; dappoiché, se l’artemagica non si poteva esercitaresenza la cooperazion deidemonii, la divinazioneescludeva ogni loro concorso,essendo opinioneuniversalmente professata chei demonii non conoscessero ilfuturo. Di solito, questiindovini andavano debitori diquella molta o poca cognizionedell’avvenire ch’e’ si vantavand’avere alla scienzaastrologica; ma tal cognizionepoteva, alle volte, avere altraorigine, essere di naturadivina, confondersi col dono diprofezia; e tale essendo,poteva, (la qual cosa parrà, edè forse, un po’ strana)accompagnarsi con l’eserciziodell’arte magica, di un’arteiniqua e dannata. In Virgilio,quale se lo venne figurando lafantasia medievale, c’è ilprofeta di Cristo e c’è il mago;Merlino è profeta e mago adun tempo; e profeta e mago inuno dove�e sembrare a moltiMichele Sco�o. Graziolo de’Bambagioli, o come altrimentisuoni il suo nome, accenna

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senza dubbio a scienzaastrologica, là dove dice: «JsteMichael Sco�us fuit valdeperitus in magicis artibus etscientia auguri, quitemporibus suis potissimestetit in curia FedericiJmperatoris»; ma Salimbeneparla propriamente diprofezie, e così pure Faziodegli Uberti, nel cuiDi�amondo si legge:

Inquesto tempo che m’odicontare,

MicheleSco�o fu, che per sua arte

SapevaSimon mago contraffare.

E se tuleggerai nelle tue carte,

Le profeziech’ei fece troverai

Vere veniredove sono sparte [5].

Non vorrei arrischiarmi inuna conge�ura temeraria; mase Dante non pose nella quartabolgia, insieme con gli altriindovini, anche Merlino, quelMerlino che assai più diAnfiarao, di Tiresia, di Aronta,di Manto, di Euripilo, eraallora noto all’universale, laragione del non averlo postopotrebbe essere questa, che ilpoeta, con altri molti, credevadi origine divina le profeziedell’antico bardo, alle qualisolo una decisione, del conciliodi Trento tolse da ultimo ilcredito e la riputazione.Comunque sia, e’ si vuoleavvertire che noi ci troviamoqui in presenza di cose, diconce�i, di credenze, i cui

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cara�eri, la cui significazione, icui confini, sono per lecondizioni stesse del pensieroe della vita del medio evo,incerti ed instabili, con trapassie straripamenti continui, ecommutazioni infinite, e che intanta mobilità e promiscuitànon può esser luogo adefinizioni troppo rigorose, adistinzioni fisse e perspicue.

E la unione del profeta colmago in persona di MicheleSco�o era agevolata dallaqualità di mago buono ch’egliebbe insieme con altriparecchi. Qui ci si para dinanziun fa�o che nell’argomentonostro è di capitale importanzae vuol essere inteso a dovere.Antichissima, e serbatadurante tu�o il medio evo, è ladistinzione tra la magia divinae la diabolica, o, se si vuol darealla parola magia un piùristre�o significato, tra lateurgia, che moveva da Dio, ela magia, che moveva dalDiavolo. Ma anche questadistinzione non è così costantee sicura come potrebbe aprimo aspe�o sembrare. Lateurgia apparteneva ai santi;ma la magia non appartenevadi necessità ad uomini malvagie diabolici; giacché c’eranomaghi buoni e maghi rei, ealcuna volta è assai difficiledistinguere il santo dal magobuono. E in vero, non solooperavano entrambi, su pergiù, gli stessi prodigi, ma glioperavano ancora con lo stessoanimo e con gli stessiintendimenti. Virgilio, se fossestato cristiano, sarebbediventato un santo; e la

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leggenda narra che San Paolopianse sulla sua tomba, e cheSan Cadoco ebbe quasi laprova ch’egli era salvo. AlbertoMagno, di cui si disse cheesercitasse la magia inbeneficio della fede e conlicenza del papa, al qualeaveva salva in certa occasionela vita, fu canonizzatodavvero. Ruggero Bacone fucosì buon cristiano che unavolta punì certo suo servitoreperché non digiunavaquand’era prescri�o; un’altravolta risca�ò un gentiluomoche per qua�rini s’eraobbligato al diavolo; e daultimo, preso da scrupoli,bruciò tu�i i suoi libri dimagia, e si rinserrò in unacella, donde più non uscì, edove finì di vivere in capo didue anni, tu�i consacrati apratiche di devozione.Avicenna fu un mago buonotra i musulmani. Mago buonoe il Malagigi dei romanzicavallereschi; o�imo ilProspero della TempestadelloShakespeare. Di questi e dialtri maghi, storici oimmaginarii, si può dire ciòche di Cipriano dice uno de’famuli suoi nel drammaCalderon:

Yosolamente resuelvo

Que, si el esmagico, la sido

El magicode los cielos [6].

Come immaginò idemonii servizievoli e amicidell’uomo, così immaginò lafantasia popolare i maghi

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buoni, stimandoli tali anchequando ricorressero ad artiprave ed illecite. La massimache il fine giustifica i mezzi èmassima, in secreto o in palese,professata universalmente;non sempre così malvagiacome molti la dicono; e nontale a ogni modo che se nedebbano considerare inventoried osservatori i soli gesuiti, acui, generalmente, suol farsenecolpa. Oltre di ciò, la opinioneche col cielo si possatergiversare, venire a pa�i ed atransazioni, è ancor essa infondo alla coscienza comune; ese noi lo vediamo accolta comenorma di temperamento, o, adiri�ura, come principioregolativo della vita, in più diuna religione pratica, ciò nonvuol dir altro se non che lereligioni, in pratica, prendendosempre forma dalla coscienzacomune.

C’è, del resto, un criterio,per cui si può abbastanzasicuramente conoscere il magobuono dal mago reo. Il reostringe col diavolo un pa�o, inforza del quale ei si impegnadi dargli l’anima in pagamentodell’ajuto che da esso avrà. Ilbuono non si obbliga con pa�oalcuno, ma riman libero, edesercita l’arte, bensì con lacooperazione del diavolo, main virtù di un alto poterech’egli s’è procacciato. Il primoesercita l’arte da mercante, e,in realtà, serve al diavolo, cuipar che comandi: il secondoesercita l’arte da gran signore,e comanda al diavolo, cui puòchiedere tu�o senza concederenulla. Così è che Salomone

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poteva forzare i diavoli aballargli davanti; e dicono imaome�ani che chi avessel’anello di Salomone potrebbecomandare ai diavoli ogni cosache gli fosse in piacere.Orbene; chi sapeva leggere neilibri magici poteva farealtre�anto [7]. Certo, questicommerci e queste pratichenon erano senza pericolo,come non erano senza peccato;ma il pericolo non era poitroppo terribile, e il peccato, agiudizio almeno di chi nonfosse teologo di professione,non era grandissimo. IlTalmud perme�e d’interrogarei demonii, di chiedere loroconsiglio ed ajuto: i cristianinon potevan certo giovarsidelle permissioni del Talmud;ma certe permissioni, quandoloro faceva comodo, se leprendevan da sé.

Michele Sco�o fu dunqueun mago buono, il qualecomandò ai diavoli periscienza, senza (che si sappia)obbligarsi loro né in vita né inmorte. Non fu, da quantomostra la sua leggenda, cosìlargo benefa�ore degli uominicome l’unico Virgilio, ma nonabusò dell’arte sua, e dove�eessere servizievole uomo eliberale, se a due suoidiscepoli, che lasciò in Firenze,impose (come a�esta ilBoccaccio) fossero semprepresti ad ogni piacere di certigentili signori che l’avevanoonorato, e se quelli, obbediential prece�o, «servivano iprede�i gentili uomini di certiloro innamoramenti o d’altrecose�e liberamente». Di sua

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bontà vedremo qualche altraprova più innanzi. Anche fudabbene cristiano, tu�oché silasciasse vincere in questaparte da altri, e Alberto Magnoaccusi in certo qual modo diempietà un suo libro intitolatoQuaestiones Nicolai Peripatetici,e parecchi notino ch’egli nonera troppo devoto. Vedremo,tu�avia, che un a�o didevozione fu, in parte almeno,cagione della sua morte.

E ora, senza, più oltreindugiarci, prendiamo inesame le predizionidell’indovino, o, se megliopiace, del profeta, e i prodigidel mago: e cominciam dallepredizioni.

IV

Varia e copiosa fiorì inItalia, nei tre secoli XII, XIII eXIV, la le�eratura profetica, edue furono le ragioniprincipali del suo fiorire: ilravvivarsi del sentimentoreligioso; la passione politica.Il sentimento religiosonaturalmente inclina l’uomo aideare un avvenire conforme acerti dati della fede, o a certipostulati della coscienza, e,ideatolo, a palesarlo ebandirlo. La passione politicalo inclina a cercar nellapredizione un conce�o che losorregga e diriga, un’arme dicomba�imento, un principio digiustificazione. Nascono pertal modo due maniere diprofezie, l’una piùpropriamente ascetica, l’altrapiù propriamente politica;sebbene tra le due non siadivario di specie a specie, ma

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solo di varietà a varietà; esebbene delle due se ne facciaassai volte una sola: e nelriguardo della politica è in piùparticolar modo da distinguerela profezia che dirò suggestiva,la quale s’adopera a drizzar glieventi piu�osto per una cheper altra via; e la profeziaretroa�iva, la quale,descrivendo o narrando ciòche assume di predire,giustifica e sancisce, posteventum, un dato ordine difa�i.

Da Gioachino di Fiora, ilquale fu

Di spiritoprofetico dotato,

a Jacopone da Todi, i profetimoltiplicarono in Italia; equasiché i nostrani nonbastassero, furono tra�i aquesta volta e forzati aimmischiarsi nelle cose nostreanche i forastieri. Di ciò nessunaltro esempio più calzante pernoi, e che più, faccia al caso, diquello di Merlino, profeta emago.

Le supposte profezie diMerlino, in grazia dellacompilazione latina che ne feceGoffredo di Monmouth, sidiffusero rapidamente elargamente per l’Europa,acquistando fra disparatissimegenti meravigliosa e durevolecelebrità. Esse furono accoltenelle istorie, come un lumea�o a rischiarare le umanevicende e a guidare il giudizio;furono commentate einterpretate da uomini digrande do�rina ed autorità,qual fu uno Alano de Insulis,

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che consacrò loro un’operadivisa in se�e libri. Esseebbero ad influire più d’unasugli avvenimenti e siserbarono in credito, e siseguitarono a stampare ecitare, finché nonsopraggiunse, come s’è notato,il Concilio di Trento, che ledichiarò false e le proibì. Ingrazia di quella tanta suariputazione, Merlino non fupiù soltanto il profeta deiBre�oni, ma diventò unprofeta universale, a cui sia�ribuirono a mano a manoaltri vaticinii, riguardanti,quando le sorti di unaparticolare nazione, quandoeventi di cara�ere piùgenerate, così fu ch’ei divenneprofeta anche per l’Italia, dove,già nella prima metà del secoloXIII, un Riccardo, che abitavain Messina, compose infrancese, a richiesta diFederico II (si noti questoparticolare), e spacciandola perautentica, una nuova raccoltadi profezie di Merlino, tu�emolto favorevoliall’imperatore e altre�antoavverse alla curia romana.Non so se ad esse si riferiscanoin qualche modo certe paroledel già citato Fiore�o di cronichedegli imperadori, in un luogodove, parlando appunto diFederico II, l’autore, che gli siaddimostra assai favorevole,nota: «E se Merlino o vero lasavia Sibilla dicono veritade, inquesto Imperadore Federigofinì la dignitade». Col titolo diVersus Merlini il Muratoripubblicò in calce al Memorialepotestatum Regiensium sessanta

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versi leonini, assai rozzi, neiquali si accenna confusamenteai casi di molte ci�à e provinced’Italia.

Qualche altra prova sipotrebbe recare della famaonde, come profeta, Merlinoebbe a godere in Italia; maquelle recate potranno bastare.

Certo, Michele Sco�o nonebbe, né poteva avere, perquesta parte, fama eguale aquella di Merlino, il cui nomeera cognito a quanto (ed eranoinnumerevoli) avesseroqualche dimestichezza con leleggende vaghissime, ambagespulcherrimae, come Dante lechiama, del ciclo arturiano, e lacui vita favolosa aveva datomateria a un romanzo famoso,il Merlin di Roberta di Borron,notissimo, come gli altri delciclo, in Italia, e trado�o nelvolgare nostro l’anno 1375. Népure ebb’egli celebritàmeravigliosa onde fruì piùtardi Michele Nostradamus;ma ebbe, ciò nondimeno, comeprofeta, non piccolo nome.Salimbene, che nella suacronica riferisce parecchieprofezie di Merlino e d’altri, neriferisce anche una delloSco�o, in versi contenenteFutura praesagia Lombardiae,Tusciae, Romagnolae et aliarumpartium, e nota in proposito:«Quanto sieno state verequeste predizioni, fu da moltipotuto vedere, ed io stesso ilvidi e lo intesi; e la mente miacontemplò assai cosesapientemente, e fuiammaestrato; onde so che, sealcune poche ne togli, furonovere». Il cronista bolognese

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Francesco Pipino, il quale fiorìnella prima metà del secoloXIV, ricorda che lo Sco�odiede fuori certi versi(probabilmente quegli stessiche Salimbene riporta) ov’eraprede�a la rovina di parecchieci�à d’Italia, con altriavvenimenti; e Benvenuto daImola assicura che parecchieprofezie del nostro filosofo siavverarono.

Le profezie qui ricordatefurono esse veramente operadi Michele Sco�o? o nonpiu�osto furono a lui a�ribuiteper acquistar loro il credito e lacelebrità onde quegli godeva,così come s’era fa�o già, otu�avia si veniva facendo, conMerlino? Che Micheles’arrogasse l’officio di profeta èprovato da quanto dice inproposito Enrico d’Avranches,ricordato di sopra; ma che leprofezie a lui a�ribuite sienoproprio di lui non si puòprovare, e che quella riferita daSalimbene non sia si puòaffermare sicuramente,quando si consideri che essa è,in sostanza, non favorevole,ma avversa a Federico II.Comunque sia, ciò che piùimporta a noi si è che dallacomune credenza e dallaleggenda ei fu tenuto profeta.

E la leggenda altro narrain proposito. Il cronista SabaMalaspina (sec. XIII), avvertitocome Federico II desse moltafede ad astrologi e negromanti,e si governasse con loro parole,soggiunge che essendogli statoprede�o da certi aruspici chemorrebbe sub flore desiderosodi vivere immortale, evitò con

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ogni studio d’entrare così inFirenze, come in Fiorentino diCampania, senza, per questo,poter fuggire alla sorte chel’aspe�ava. Chi quegli aruspicifossero Saba non dice.Giovanni Villani narra: «LoImperadore venuto in Toscananon volle entrare in Firenze, némai non v’era intrato, però chese ne guardava, trovando persuoi augurj, ovvero de�od’alcuno demonio, ovveroprofezia; come doveva morirein Firenze, onde forte netemea»; e alquanto più oltre,narrando come Federicomorisse in Firenzuola,soggiunge: «ma male seppeinterpretare le parole mendaci,che ’l demonio li avea de�e».Giovanni non sa dondepropriamente venisse, di chenatura fosse l’avvertimento;ma inclina da ultimo a crederloavvertito ingannevole didemonio. Altri, e sono ilmaggior numero, a�ribuisconol’avvertimento a MicheleSco�o. Benvenuto da Imola,notato come Michelemescolasse la negromanziacon l’astrologia, e come dellepredizione ch’ei fece alcuneebbero ad avverarsi, dice chemale per altro s’apposequando annunziò a Federicoche morrebbe in Firenze,mentre morì in Fiorenzuola diPuglia (sic). L’autore delFiore�o delle croniche degliimperadori nomina MicheleSco�o, ma non accenna aerrore o equivocazion di nome:«E andando per lo cammino (loimperadore) giunse inCampania a una terra che si

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chiama Fiorentino, e quivimorì. E tu�o ciò gli disse disua morte Maestro MicheleSco�o negli anni dominiMCCL»: e avverte poi cheMerlino parlò di Federico II, eprofetò che vivrebbese�antase�e anni.Sant’Antonino ricordal’equivocazione dei nomi, madi Michele Sco�o non parla;mentre alcuni fra icommentatori meno antichi diDante, come il Landino, ilVellutello, il Daniello, ne fannoespresso ricordo. Taluno d’essiparla, non di Fiorenzuola, madi Firenzuola. Com’è noto,Federico morì veramente inFiorentino di Puglia.

Non ispenderò paroleintorno all’indole di questaprofezia la quale arieggia certiresponsi ambigui degli oracoliantichi: mi basterà notarech’essa ha numerosi riscontri.

A Cecco d’Ascoli, mutatocome Michele Sco�o in mago,furono, come a Michele Sco�o,a�ribuite parecchie profezie,ricordate da Giovanni Villani eda altri.

V

Se celebre come profeta,assai più celebre fu MicheleSco�o come mago.

Abbiamo già udito ilLandino affermare essere stataopinione universale cheMichele «fusse o�imoastrologo et gran mago»; el’Anonimo Fiorentino ch’ei «fugrande nigromante». IlBoccaccio lo fa dire da Bruno«gran maestro innigromanzia», e Guiniforto

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delli Bargigi lo vanta «grandeincantatore nella corte diFederico II». Nel Paradiso degliAlberti, Maestro Luigi Marsilii,facendosi a narrare unanovella che vedremo or ora,dice di voler narrare «un casoassai famoso e notopubblicamente fa�o da tale,che secondo si crede, non fu inItalia già moltissimi secoli piùdo�o e famoso mago». Avevadunque avuto ragione Dantedi affermare che Michele seppeveramente quel gioco, e Faziodegli Uberti ch’ei seppecontraffare Simon Mago,maestro e principe di tu�i imaghi. In sul finire del secoloXV e in sul principiar delseguente questa celebrità diMichele Sco�o non era ancordileguata: Teofilo Folengo,nella maccheronea XVIII ce nefa testimonianza.

La leggenda magica diMichele Sco�o nondove�’essere per certo cosìcopiosa e compaginata comefu quella di Virgilio; ma certofu più compaginata e copiosadi quanto ora appaja a noi, chenon siam più in grado diconoscerla tu�a. Di ciò leprove non mancano.Benvenuto da Imola ricordaavere udito narrar di Michele,de quo jam toties dictum est etdicetur, assai cose, che pajon alui piu�osto immaginate chevere; e l’Anonimo Fiorentino:«Dicesi di lui molte cosemeravigliose in quell’arte». Piùsecoli dopo il Dempster notache ancora a’ suoi tempi sinarravan di lui innumerevolifiabe, innumerabiles... aniles

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fabulae. Avvertasi che laleggenda magica di MicheleSco�o nasceva e prendevavigore giusto nel tempo in cuicominciava ad appalesarsi inmodo più risentito il tristevaneggiamento superstiziosoche tante sciagure procacciò dipoi; quando contro gli stregonie le streghe s’instruivano iprimi processi e s’accendevanoi primi roghi; quando GregorioIX, di cui abbiamo udite le lodidate al filosofo, si levava conimpetuoso sdegno contro l’artedannata e contro i rei cheosavan di professarla. Nascevala leggenda e prendeva vigorein un tempo assai favorevole alsuo nascere ed al suo crescere.

I racconti in cui laleggenda prende corpo ecolore si possono spartire indue gruppi: l’uno, di quellinati in Italia, o, per lo meno,riferiti da autori italiani; l’altro,di quelli nati fuori d’Italia, epiù propriamente nella patriadel filosofo, in Iscozia. Traquesti due gruppi non èdiversità quanto al conce�oche li informa e sorregge; manon è nemmeno continuità: litiene congiunti insieme ilnome di colui che diedeargomento alla leggenda.Volgiamoci primamente alprimo.

Jacopo della Lana,Francesco da Buti, l’AnonimoFiorentino, CristoforoLandino, AlessandroVellutello, narrano, quale piùin breve, quale più in disteso, econ particolarità che varianodall’uno all’altro, come,essendo in Bologna, Michele

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invitasse a banche�o moltigentili uomini della ci�à, senzaapparecchiare vivanda alcuna,e neanco accendere il fuoco incucina, e come, essendo iconvitati, seduti intorno allemense, cominciassero a venirper l’aria serviti di moltevivande, e Michele dicesseloro: questo viene dalla cucinadel re di Francia; quest’altrodalla cucina del red’Inghilterra, e così di séguito;e il tu�o avveniva perdiligenza di spiriti, comandatida Michele.

Il qual Michele, per altro,non potrebbe vantarsi d’esserestato al mondo solo operatoredi tanto prodigio, ché altril’operarono, prima e altri dopodi lui. Di Pasete, il quale superòtu�i gli uomini nell’arte magica,ricorda Suida come facesseroapparire sontuosi banche�i, edonzelli che li servivano, e iltu�o novamente sparire; emiracoli simili narra Origenedei maghi d’Egi�o. NumaPompilio, Virgilio, Tiridate I,re d’Armenia, un re deiBramani, Alberto Magno,Ruggero Bacone, PietroBarliario, Fausto, un rabbinoper nome Löw, conobbero tu�iquest’arte, e la praticarono cono�imo successo. Il diavoloAstaro�e imbandì a Rinaldo ea Ricciarde�o un banche�osontuoso, e avendo i duepaladini domandato

onde l’oste abbia avute

Questevivande che son lor venute;

Risponseil diavol: Questa colezione,

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E levivande che mangiato avete,

Apparecchiavail re Marsilione;

E giunti inRoncisvalle lo saprete,

Che i serviinsieme ne fecion quistione;

E se delvostro imperador volete

Ch’io facciaqui venir lesso o arrosto.

Comandapur, ché ci sarà tantosto [8].

Né potrebbe il nostroMichele vantarsi d’essere statoil solo che sapeva operare ilmiracolo, riferitodall’Anonimo Fiorentino, difar comparire «essendo digennaio, viti piene di pampaniet con molte uve mature», lequali sparvero subito che ipresenti si furono accinti atagliare i grappoli co’ coltelli;perché un miracolo in tu�osimile a questo seppe operareanche Fausto, e altriincantatori seppero, di pienoverno, far comparire interigiardini, verdi e fioriti. Cosìl’Ebreo Sedecia, di cui si dice,nel Paradiso degli Alberti, chel’anno 876 fece sorgere, inpresenza dell’imperatorLodovico, uno stupendogiardino, tu�o odoroso di fiori,tu�o sonante del cantod’infiniti uccelli; così AlbertoMagno, che in un giardinomiracoloso imbandì unmiracoloso banche�o, cosìCecco d’Ascoli, di cui siracconta che «in un convito didame, a tempo d’inverno, feceapparir pergolati, e fiori efru�a, come di primavera e

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autunno». Ma il prodigio piùpomposo e mirabile fu quellooperato dal secondo. Nel cuordel verno, Alberto Magnopregò una volta l’imperatoreGuglielmo di volersi recare,con tu�a la corte, a desinare insua casa. V’andò l’imperatore,e il buon mago lo menò,insieme col seguito, in ungiardino, dove, tra gli alberisfrondati, in mezzo alla neveed al ghiaccio che coprivanointorno ogni cosa, si vedevaapparecchiato il convito. Icortigiani cominciarono amormorare, sembrando lorouno strano scherzo quellodell’ospite che li avevacondo�i a intirizzir di freddo;ma come l’imperatore si fuseduto a mensa, e gli altrisimilmente, ciascuno secondoil suo grado, ecco splendere incielo un sole estivo, eccodisfarsi in un baleno la neve edil ghiaccio, la terra e gli alberigerminare e vestirsi di verzurae di fiori, brillar tra le fronde ifru�i maturi, e l’aria d’intornosonare del canto soavissimod’infiniti uccelli. In breve lacaldura crebbe di sorta, che iconvitati cominciarono atogliersi i panni di dosso, e,mezzo ignudi, ripararonoall’ombra degli alberi. Fornitoil mangiare i numerosi eleggiadri valle�i, che avevanservito sparvero come nebbia,e di subito il cielo si rabbujò, ele piante si dispogliarono, e unorrido gelo ravvolsenovamente ogni cosa, con sìacerba freddura che gli ospiti,tremando, corsero in casa, e si

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accalcarono intorno al fuoco[9].

Non estraneo forse aibanche�i magici di Michele eraun barle�o portentoso, che mainon si votava. Si racconta nellechiose sopra Dante alle quali sidà il titolo di Falso Boccaccio,che nel campo e nel padiglionedell’imperator Federico, ilgiorno in cui questi fu sconfi�oda’ Parmigiani assediati, unpovero ciaba�ino, andatovicon altri infiniti a far preda,trovò un barle�o pien di vinosquisitissimo, e sel portò acasa. Egli e la donna sua ognidì ne spillavano; ma perquanto ne spillassero, nonpotevano vederne la fine: ondeil pover uomo, meravigliato,volle vedere che mai ci fossedentro, e ruppe il barle�o, e vitrovò una piccola figurina diun angelo d’argento, il qualecon l’un de’ piedi premeva ungrappolo d’uva, similmented’argento, e dal grappolousciva quel perfe�issimo vino.Così appagò egli la suacuriosità; ma tosto se n’ebbe apentire, perché dal barle�onon usci più nemmeno ungocciolo; e il barle�o «era fa�oper arte magicha e dinegromanzia, e questo fecieTales, overo Michele Sco�o,per la sua scienza e virtù».L’autore di queste chiose è ilsolo che affibbii a Michele ilnome di Tales (Talete?), né sodire perché sel faccia. Di unaltro bo�icino che non sivotava mai, ma che avrebbeperduta la virtù il giorno in cuialcuno avesse volutoguardarvi dentro, fu autore

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Virgilio, secondo a�estaBonamente Aliprando.

Questi racconti hannopopolare l’origine, popolare ilcara�ere. Stimolata dalbisogno e talora dalla fame, lafantasia vagheggiò nell’artemagica un mezzo sbrigativo esicuro di sovvenire alla fame eal bisogno. Di qui sì fa�e edaltre simili finzioni, le qualiperpetuamente rinascono daldesiderio perpetuo. La borsainesauribile di Fortunato passadi mano in mano: a Pietrod’Abano i denari spesifacevano ritorno da sé,fedelmente; l’antico Pasete, giàricordato, aveva un mezzoobolo che sempre gli rivolavain tasca, e che diedeargomento a un proverbio.

Di tu�’altro cara�ere, epiù romanzesco, men comune,è un altro prodigio che delnostro mago si narra.

Federico II celebrava inPalermo, con solennissimefeste, la elezione sua a re deiRomani. Il giorno della festamaggiore, essendo chiarissimoil cielo, e già seduti intorno allemense i convitati, e cominciatoa dar l’acqua alle mani, sipresentò all’imperatoreMichele Sco�o, insieme con unsuo compagno, entrambi inabito di Caldei, e ricordatocome da un mese circa nonfosse più stato in corte, offersedi dar saggio dell’arte sua.L’imperatore lo pregò di farrinfrescare, con un buonoscataroscio di pioggia, l’aria,ch’era caldissima. Obbedì ilmago, e tosto, rannuvolatosi ilcielo, imperversò una furiosa

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procella, la quale si chetòprontamente, come appenal’imperatore n’ebbe espresso ildesiderio. Ammirato e lieto dital meraviglia, l’imperatoreinvitò i savii a chiedergli qualegrazia più loro piacesse, ch’egliera pronto a concederla eMichele li pregò di voler darloro uno de’ suoi baroni,perché fosse loro campione, eli ajutasse ad aver ragione dicerti nemici, co’ quali erano inguerra. Acconsentì Federico, eli invitò a scegliere tra’cavalieri presenti quello cheloro fosse più in grado, ed essiscelsero un cavaliere tedesco,per nome Ulfo, e subito, conesso lui (così parve alcavaliere) si posero in viaggio,sopra due grandi e magnifichegalere, avendo seco numerosae bella compagnia. Navigandoa seconda, risalirono lungo lacosta occidentale d’Italia,ridiscesero lungo la costaorientale di Spagna, valicaronolo stre�o di Gibilterra, egiunsero «a liti assai domesticie piacevoli», dove si fe’ loroincontro molto popolofestante, ed ebbero, comesignori di quel paese,meravigliose accoglienze; e dilì passarono a un luogo, ov’eraaccompagnato un grandissimoesercito, pronto a muoverecontro il nemico, edell’esercito, Ulfo fu gridatocapitano. Comincia all’ora unamicidialissima guerra. Sicomba�ono due grandiba�aglie campali, a cui tiendietro la espugnazione d’unaci�à. Ulfo uccide di sua manoil re nemico, ne occupa il

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trono, ne sposa la figliuola, eriman d’ogni cosa, per volontàdi Michele, solo ed assoltosignore. Michele e il compagnochiedono allora licenza e sipartono, e Ulfo vive lietissimoin compagnia della moglie, cheadora, e ha da lei più figliuoli,così maschi come femmine.Trascorsi quasi vent’anni,Michele e il compagno tornanoa lui, e lo sollecitano adandarsene con loro in Sicilia,alla corte dell’Imperatore.Ulfo, benché di mala voglia siparta dalla famiglia e dalregno, cede alla loro preghiera,si pone con essi in viaggio,giunge con essi a Palermo, edecco ritrova, con suastupefazione grandissima,nella corte di Federico, le cosetu�e in quella condizionemedesima in cui le avevalasciate, che dai donzelli nons’era ancor finito di dar l’acquaalle mani. Quelli che ad Ulfoerano, per illusion di magia,sembrati molt’anni, non eranostati se non pochi istanti; e lanovella soggiunge che ilpovero cavaliere non potéracconsolarsi mai più dellafelicità che credeva di avergoduta e perduta. In quelpunto medesimo Michele e ilcompagno sparirono, e perquanto Federico, dogliosodella tristezza del suocavaliere, li facesse cercare,non fu più possibile di trovarli.

La novella di cui io ho quidato un sunto, è narrata moltoper disteso nel Paradiso degliAlberti; ma, assai prima che inquesto romanzo, fu introdo�anel Novellino, salvo che qui è

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narrata, come le altre del libro,in forma assai compendiosa, eche il luogo di Michele Sco�o edel suo compagno vi è tenutoda «tre maestri di nigromanzia», di nessun de’ quali si dice ilnome, e un conte di SanBonifazio fa le veci delcavaliere Ulfo. L’avventura, o,a meglio dire, l’incantesimoche le porge argomento,riappare, variato più o meno,in numerosi racconti.

Della valentia di MicheleSco�o nell’arti magiche, e deiprodigi operati da lui, rimaselungo ricordo in Italia. Nellamaccheronea XVIII del Baldo,Teofilo Folengo enumerando levarie figure di maghi ond’eraadorno il libro di Muselina,non dimentica Michele, e facenno de’ suoi incantementi:immagini diaboliche; filtriamatorii; un cavallo invisibile,che rapido come sae�a, ilportava dovunque gli piacessed’andare; certa nave disegnatasulla riva, che si mutò in vera epropria nave trasvolante pelmari; una cappa che facevainvisibile chi la indossava, malasciava scorgere l’ombra delcorpo, se quegli, incauto, sifosse esposto al sole. Non sose, altri, prima del Folengo,avesse a�ribuiti a Michele sìfa�i prodigi, che dagli autoripiù antichi non si vedonoricordati; ma quanto ai prodigistessi, l’invenzione non è delFolengo. Un cavallo moltosimile a quello da lui descri�oci si parerà dinanzi a momenti:il miracolo della nave siracconta di Eliodoro, diVirgilio, di Pietro Barliario, di

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altri: delle immagini, dei filtri,della cappa che rende l’uomoinvisibile, nulla è da dire, tantosono comuni. In principio delsecolo XVII, Antonio MariaSpelta ricordava ancora, maper burlarsene, i banche�imagici di Michele Sco�o.

Ora sarebbe a dire dellamorte di Michele secondo latradizione italiana; maavendosi, circa quella morte,anche una tradizione scozzese,dirò di entrambecongiuntamente più oltre.

VI

I racconti intorno alnostro buon mago dove�eroessere in Iscozia, e anche inInghilterra, assai numerosi.Abbiam veduto il Dempsteraccennare a favole innumerevoli:Gualtiero Sco�, alla cuidiligenza dobbiamo le pochedi cui s’abbia notizia, dice diriferire alcune delle molte chea’ suoi tempi narravansiancora. E sono queste cheseguono.

Certi sudditi del re diFrancia avevano, in danno dicerti sudditi del re di Scozia,commesso non so che a�i dipirateria. Il re di Scozia pregòMichele d’andarne a chiederesoddisfazione e risarcimento, eMichele acce�ò l’ufficio; ma,anziché provvedersi disontuoso equipaggio, comerichiedeva la condizioned’ambasciatore, egli si ritrassenel suo studio, aperse un suolibro magico, evocò undemonio in figura di un grancavallo nero, gli montòaddosso, e lo forzò a volare per

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l’aria alla volta di Francia.Mentre così volavano sopra ilmare, il demonio chieseinsidiosamente al suo cavaliereche cosa mai borbo�assero levecchie donniciuole di Scoziain sul punto di me�ersi a le�o.Un incantator meno espertoavrebbe, risposto: il Paternoster; e subito il nemico se losarebbe scosso dal dorso el’avrebbe precipitato nell’onde.Ma Michele severamenterispose: Di ciò che t’importa?Sali, diavolo, e vola! Giunto inParigi, legò il cavallo alla portadel palazzo, si presentò al re,espose arditamente il suomessaggio. Il re accolse pocorispe�osamente unambasciatore che si mostravain così povero arnese, e stavaper rispondergli con unsuperbo rifiuto, quandoMichele il pregò di volersoprassedere ad ognirisoluzione fino a che il suocavallo avesse dato trezampate in terra. Alla primazampata traballarono tu�i icampanili di Parigi, sonaronotu�e le campane; alla secondatre torri del palazzorovinarono; e l’infernalpalafreno stava per picchiare laterza, quando il re, prima divederne gli effe�i, concesse aMichele tu�o quanto gli avevadomandato.

Questo di un viaggio perl’aria, compiuto con l’ajuto diun diavolo, in brevissimotempo, è tema di raccontoassai comune; e comune lafinzione del cavallo diabolico[10], e l’accorgimento o ilprece�o di non far a�o, o

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profferir parola, che abbiacara�ere religioso. Le streghe,che a cavalcioni d’una granata,o sul dorso di un caprone, sirecavan di no�e, per l’aria, allatregenda, erano precipitate aterra se facevano il segno dellacroce, se invocavano Dio o isanti.

Un’altra volta Michele,mentre dimorava nella torre diOakwood, sul fiume E�rick, acirca tre miglia da Selkirk, udìparlare di una strega, de�a lastrega di Falsehope, la qualeaveva sua stanza sull’altrasponda del fiume. Una ma�inaegli si recò da lei, per me�erlaalla prova; ma fu deluso,poiché quella negò d’averequalsiasi cognizione dell’artemagica. Discorrendo, Micheleposò sbadatamente la vergasopra una tavola, e la strega,datole subitamente di piglio, lopercosse con quella e lotrasformò in lepre. Egli, cosìmutato, sguizzò fuori; ma siimba�é nel suo proprioservitore, e ne’ proprii suoicani, i quali presero a correrglidietro, e in breve l’ebberoserrato così da vicino, che egli,per avere un momento direspiro e poter disfar l’incanto,si dove�e cacciare, dopofaticosissima fuga, in unacloaca. Desideroso divendicarsi, Michele, una bellama�ina, nel tempo delraccolto, andò, co’ suoi cani,sopra di un colle, e mandò ilservo dalla strega, a chiederleun po’ di pane per le bestie,istruendolo di quanto dovessefare in caso che ne avesse unrifiuto. La strega ricusò con

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parole ingiuriose, e il servoa�accò all’uscio un breve,datogli dal padrone, ove,insieme con più parolecabalistiche, si potevan leggerequesti due versi:

Il servitoredi Michele Sco�o

Chiese delpane e invece ebbe unrimbro�o.

Senza por tempo inmezzo, la vecchia, tralasciata laoccupazion sua, ch’era dicuocere il pane pei mietitori,prese a ballare intorno alfuoco, ripetendo que’ versi.Giunta l’ora del desinare, ilmarito di lei, non vedendovenire le provvigioni, mandòl’uno dopo l’altro i suoi uominia vedere quale fosse la cagiondel ritardo; ma tu�i furonocolti dalla stessa malia, e tu�i,senza più pensare a tornarseneindietro, entrarono nelladanza. Da ultimo si mosseanche il marito, ma vedutoMichele sul colle, sapendo delbru�o scherzo fa�ogli dalladonna, fu più cauto degli altri,e non entrò in casa, ma guardòdalla finestra, e vide i suoimietitori, i quali trescandosenza volere, trascinavano lamoglie sua, oramai più mortache viva, quando intorno, equando a�raverso il fuoco,che, secondo l’uso, ardeva nelbel mezzo della stanza. Noncercò altro, ma sellato uncavallo, corse sul colle, siumiliò dinnanzi a Michele, e lopregò di far cessare l’incanto,grazia che il buon mago subitogli concesse, avvertendolo di

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entrare in casa a ritroso, e distaccare con la mano sinistra ilbreve dall’uscio. Così fece ilbuon uomo e l’incanto cessò.

Ci sono due cose inquesto racconto cherichiamano piùparticolarmente la nostraa�enzione: la metamorfosi delmago in lepre; la danza magicaforzata.

È credenza antichissima, ecomune a tu�e le razze umane,che, per virtù di magia, l’uomopossa mutarsi, o essere mutatoin bruto e che una similemutazione possa ancheoperare il volere di un nume.La mitologia classica abbonda,a questo riguardo, di notissimiesempii, a cui fa riscontro,nella Bibbia, il caso diNabucco, e fanno riscontromolti miti fanciulleschi digenti selvagge. Il medio evoconserva sì fa�a credenza, sepur non l’accrebbe, e per secolinessuno dubitò della realtàdella licantropia, nessuno negòche gli stregoni e le streghepotessero prendere la forma diquell’animale che più fosseloro piaciuto, o farla prenderealtrui. La trasformazione eradel corpo propriamente, edicevasi che l’anima, nel corpomutato, serbavasi inalterata;ma anche in questa, come intante altre opinioni del tempo,è dife�o di precisione e dicertezza. Più e più cronistinarrano il caso del re Gontranodi Francia, la cui anima, so�oforma di un topo, fu vedutauscire dalla bocca di luidormente, passare un ruscello,entrare nel cavo di un monte,

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scoprirvi un tesoro, e rientrarpoi d’ond’era uscita; e molte emolte leggende ascetichenarran di anime vaganti informa d’uno o d’altro animale,il più sovente di uccelli. Gli èassai difficile dire dove,secondo le idee medievali,cessi il bruto e l’uomoincominci, tanto quello è fa�oprossimo a questo. Sono senzanumero le pie leggende in cuisi vedono i leoni e le tigririspe�are i martiri; i santianacoreti vivere familiarmentecon le fiere del deserto, avereda esse nutrimento e difesa, etalvolta operar miracoli in lorobeneficio; varii animali esserfa�i messi del cielo, ammonirei peccatori, predir l’avvenire, o,se non altro, osservare le feste.Perciò, come non è ameravigliare dell’uso che ilmedio evo fece degli animaliin servigio dellaesemplificazione e del simbolo,così non è da stupire delleprocedure giudiziali, dellesentenze, delle maledizioni edelle scomuniche cui, piùd’una volta, essi porserooccasione e argomento. PerciòSan Francesco aveva ragione dipredicare agli animali e di farliassistere alla santa messa;aveva ragione di chiamarlifratelli; e non ebbe torto ilgiorno in cui maledisse unatroja che aveva ammazzato unagnello, e che per la forza diquella maledizione morì incapo di tre giornia [11]. Dopo lamorte, l’uomo ritrovava glianimali in inferno; ne ritrovavaqualcuno, secondo la popolarecredenza, in paradiso.

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Di danze forzate sonomolti esempii in leggendarii, :in croniche, in novellepopolari. Sempre hannocara�ere o di burla maligna odi castigo, e chi le promuovepuò essere così un mago comeun sant’uomo. RuggeroBacone forzò tre ladri a ballaretu�a una no�e. Infiniti son iracconti ove si vedono coltesuccessivamente alla stessamalia molte persone, dellequali quelle che giungon dopovengono col proposito divedere che cosa sia occorso allealtre, giunte prima, o conquello di liberarle. Il caso diMichele e della strega porgeinoltre esempio di quelle garedi maghi onde tanti altriesempii si hanno, a cominciareda quello celebre di Mosè e deimaghi d’Egi�o.

Dice Gualtiero Sco� che atempo suo, nel mezzodì dellaScozia, ogni fabbrica antica edi gran lavoro si credeva operadel vecchio Michele, o di SirGuglielmo Wallace, o deldiavolo. Ben s’intende che ilvecchio Michele, come ogni altromago, s’era in ciò giovato dellaforza e della industria deidiavoli. E la leggenda narra diuno di questi diavoli, il qualeera sempre a�orno a Michele,e non voleva mai starsi con lemani in mano, ma loimportunava senza fine perchévolesse dargli faccenda.Michele gli ordinò di costruireuna diga a�raverso il fiumeTweed, a Kelso, e in una no�ela diga fu fa�a. Poi Michelegl’ingiunse di spartire in tre ilcolle di Eildon, e in un’altra

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no�e il colle fu spartito.Finalmente Michele gl’imposed’intrecciar corde d’arena, e aquesta disperata bisogna ilbuon diavolo a�ende tu�ora.Notisi che evocare i diavoli, enon occuparli subito inqualche cosa, poteva portarpericolo. Il famulus di Virgilio,avendone evocati moltistorditamente, e vedendoliimpazienti e minacciosi,ordinò che lastricassero lastrada da Roma a Napoli, ecosì fecero. I ponti, i muri, gliacquedo�i, i palazzi fabbricatidai diavoli sono innumerevoli:tra le opere loro si ha purequalche bella chiesa, e più diun convento.

La morte di MicheleSco�o è narrata in modi affa�odiversi dalla tradizione italianae dalla tradizione scozzese.

Francesco Pipino, giàricordato, racconta: «Dicesi cheMichele Sco�o, avendo trovatod’avere a morire della percossadi un sassolino di pesodeterminato, immaginò unanuova armatura del capo, de�acervelliera, e di quella andavasempre coperto. Un giorno,essendo in una chiesa, nelmomento della ostensione oelevazione del corpo di Cristo,egli, per consueta reverenza, sinudò il capo, e in quellaappunto il fatal sassolino,cadendo dall’alto, il percosse, elievemente il piagò. Postolo inuna bilancia, e trovatolo delpeso che avea preveduto,intese esser giunta la sua fine,e dato ordine alle cose sue, diquella ferita indi a poco morì».

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Con leggiere variantiquesta novella è narrata pureda Benvenuto da Imola, dalCapello, commentatore delDi�amondo, dal Daniello, dalLandino, dal Vellutello, e,riferendosi, senza dubbio, adessa, parecchi cronisti dicono,come il Pipino, Micheleinventore della cervelliera.Questa morte di MicheleSco�o ricorda quella diVirgilio, che avvertito, secondola leggenda, di guardarsi ilcapo, morì d’insolazione.

Stando alla tradizionescozzese, Michele Sco�o morìper la malvagità di una donna,sua moglie, o concubina.Costei riuscì a farsi palesare dalui ciò che, insino allora, egliaveva tenuto a tu�i celato; cioèche con l’arte sua egli potevapremunirsi da ogni pericolo,salvo che dalla velenosa virtùdi un brodo fa�o con la carnedi una troja furiosa. Cotalbrodo per lo appunto ella glidiede a bere, e il povero magose ne andò all’altro mondo;non così presto tu�avia, chenon gli rimanesse tempo dipunir con la morte la traditrice.

Per questo raccontoMichele entra a far parte dellanumerosa famiglia degliingannati dalle donne,famiglia così spesso ricordatada poeti e romanzatori delmedio evo, e nella qualefigurano Adamo, Salomone,Sansone, Aristotele, Virgilio,Merlino, Artù e parecchi altri.

Dei libri magici diMichele Sco�o durò lungo ilricordo in Iscozia. A’ tempi delDempster si credeva che essi

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esistessero ancora, ma non sipotessero aprire senzaspavento, a cagione de’prestigi diabolici che tosto siofferivano a chi li aprisse. Delpericolo che gl’inespertipotevan correre in aprire i librimagici son molti esempi: duenipoti di Pietro Barliario vilasciarono la vita. I libri diMichele, dicevasi erano statisepolti con lui, o siconservavano nel conventoov’egli era morto, o in uncastello, appesi ad arpioni diferro. Del libro magico diCecco d’Ascoli si disse in Italiache fosse conservato nellaLaurenziana, o sopra le voltedi San Lorenzo, assicurato concatene. Nel canto II del suo Layof the last Minstrel, GualtieroSco� narra la storia di uncavaliere, per nome GuglielmoDeloraine, il quale con l’ajutodi un vecchio monaco, che giàaveva conosciuto MicheleSco�o, apre la tomba delmago, e ne toglie il libromagico. In mezzo a una lucemeravigliosa, che riempie latomba, il mago appar lorocome fosse ancor vivo,maestoso nell’aspe�o, col librodel comando nella manosinistra, una croce d’argentonella destra, e quasi co’ segnidella eterna salute nel volto.Tu�o ciò è invenzion del poeta.

VII

De’ prodigi che laleggenda a�ribuisce a MicheleSco�o, non pochi, comeabbiam veduto, si narrano dialtri maghi; e in generale puòdirsi che le numerose leggende

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di maghi pervenute, in tu�o oin parte, sino a noi,presentano, insieme con alcunepicciole parti divariate eproprie, una parte di moltomaggiore, uniforme, ecomune. Di questa uniformitàe comunanza son due ragioni:la prima, che i temi principalidella finzione sononaturalmente di numero assairistre�o, e, in condizioni similidi coltura e di vita, rinascono esi ripetono simili; la seconda,che i temi passano d’una inaltra leggenda, di modo che imaghi nuovi ereditano dagliantichi; i maghi celebriarrichiscono a spese deglioscuri. Abbiamo qui un casospeciale di quel generaleprocedimento di a�razione edi accumulazione per cui tu�ele leggende crescono, e di cuitanti esempii ci porgono lestorie favolose e mirabili deglieroi epici, dei santi, ecc. così fuche la leggenda di Virgiliocrebbe di numerose so�razionifa�e alle leggende di altrimaghi; così fu che crebbe laleggenda di Fausto.

Virgilio, Ruggero Bacone,Pietro Barliario, Ceccod’Ascoli, Fausto, diederomateria a storie popolari, nellequali si pensò d’avere raccoltiordinatamente tu�i i miracoliche loro si a�ribuivano,narrata per intero la vita, dalnascimento alla morte. In essiappare, non più la leggendadisgregata, ma la leggendaintegrata, venuta a termine dicrescenza. Non si sa che diMichele Sco�o siasi scri�a unacotale storia in Italia; ma

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potrebbe darsi che fosse statascri�a in Iscozia. Un poeta, pernome Satchells, ignoto allestorie le�erarie e ai repertoriibibliografici, ma citato, non socon quanta veridicità, daGualtiero Sco�, parla di unastoria di Michele Sco�o da luiveduta.

Come le altre leggende dipresunti maghi, la leggenda diMichele Sco�o cominciò atrovar molti increduli e furisolutamente negata, dopoche la nuova coltura ebbesgombrate le menti dallecaligini medievali. Il Pits, ilDempster, il Leland, il Naudé,altri, schifano la leggenda,esaltano, come s’è veduto, ilsapere di Michele, diconoch’egli fu mago solonell’opinione del volgo. Nel1739, un Giovanni GotofredoSchmu�er scrisse un’appositadissertazione per difendereMichele Sco�o dallaimputazione di veneficio. Perveneficio l’autore inteseprobabilmente, come daiLatini molte volte s’intese,maleficio, sortilegio: a me nonfu dato di vederquest’opuscolo.

In Italia le leggende diPietro Barliario e di Ceccod’Ascoli son vive tu�ora,offron tu�ora alcun pascoloalla curiosità popolare; maquella di Michele Sco�o èspenta già da gran tempo. InIscozia, la leggenda di MicheleSco�o, viva ai tempidell’autore d’Ivanhoe, è forseviva anche ora; ma non andràmolto che e questa, e quelle, edaltre parecchie, andranno a

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raggiungere le innumerevoliche i nuovi tempi, i nuovicostumi e le nuove idee hannocancellate per sempre dal librodella vita. Allora, solo nei libridegli eruditi esse troverannorice�o e riposo.

Note

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[1] «Inf.», XX, 115-7[2] Da piú luoghi del poema, e in particolare modo dal racconto posto

in bocca a Virgilio nel IX canto dell’«Inferno», vv. 22-7, si ricava, parmi,con sicurezza che Dante non dissentiva, per questo caso, dalla comunecredenza dei tempi suoi... Dante vede nella magia un’arte diabolica,nascente dalla mostruosa alleanza dell’uomo con le potenze infernali.

[3] Novellino, nov. XXI del testo gualteruzziano.[4] ... lo stesso Carlo ebbe a dare argomento a qualche leggenda

consimile;[5] L. II, cap. 27[6] «Io soltanto penso / Che, se è un mago, / È il mago del cielo». El

magico prodigioso, giorn. III, in fine[7] I demografi sono p ressoché concordi nel dire che il diavolo non

può essere forzato e che la sua obbedienza ai maghi è finzione ancor essa:ma la credenza popolare contraddisse, in questo, come in altri punti, allaopinione dei tra�atisti di professione

[8] Mogante Maggiore, c. XXV, st. 220-1[9] Cfr. la nov. 5 della giorn. X del Decamerone.[10] Vedi il mio libro Il Diavolo, Milano 1889, pp.239 sgg.[11] Su questo tema ci sarebbe da scrivere un libro non meno istru�ivo

che dile�evole ed io da gran tempo l’ho in mente.

© 1996 - Tu�i i diri�i sono riservatiBiblioteca dei Classici italiani di

Giuseppe BonghiUltimo aggiornamento: 28 agosto

2011