Miti e Leggende Alberi

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LA FAVOLA DELLA QUERCIA E DEL DIAVOLO Una leggenda popolare sarda ha come protagonista la quercia. Un giorno il diavolo si recò dal Signore dicendogli: "Tu sei il signore e padrone di tutto il creato, mentre io, misero, non possiedo nulla. Concedimi una signoria, pur minima, su una parte della creazione; mi accontento di poco. "Che cosa vorresti avere?" chiese Dio. Dammi, per esempio, il potere su tutto il bosco propose il diavolo. "E sia” decretò il Signore "ma soltanto quando i boschi saranno completamente senza fogliame, ovvero durante l'inverno: in primavera il potere tornerà me. Quando gli alberi a foglie decidue dei boschi seppero del patto, cominciarono a preoccuparsi; e con il passare del tempo la preoccupazione si mutò in agitazione. "Che cosa possiamo fare?" si domandavano disperati. "A noi le foglie cadono in autunno. Il problema pareva insolubile quando al faggio venne un'idea: "Andiamo a consultare la quercia, più robusta e saggia e di noi tutti la più anziana. Forse lei troverà un espediente per salvarci" La quercia, dopo avere riflettuto gravemente, rispose: "Tenterò di trattenere le mie foglie secche sui rami finché sui vostri non spunteranno le foglioline nuove.

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LA FAVOLA DELLA QUERCIA E DEL DIAVOLO

Una leggenda popolare sarda ha come protagonista la quercia. Un giorno il diavolo si recò dal Signore dicendogli: "Tu sei il signore e padrone di tutto il creato, mentre io, misero, non possiedo nulla. Concedimi una signoria, pur minima, su una parte della creazione; mi accontento di poco. "Che cosa vorresti avere?" chiese Dio. Dammi, per esempio, il potere su tutto il bosco propose il diavolo. "E sia” decretò il Signore "ma soltanto quando i boschi saranno completamente senza fogliame, ovvero durante l'inverno: in primavera il potere tornerà me. Quando gli alberi a foglie decidue dei boschi seppero del patto, cominciarono a preoccuparsi; e con il passare del tempo la preoccupazione si mutò in agitazione. "Che cosa possiamo fare?" si domandavano disperati. "A noi le foglie cadono in autunno. Il problema pareva insolubile quando al faggio venne un'idea: "Andiamo a consultare la quercia, più robusta e saggia e di noi tutti la più anziana. Forse lei troverà un espediente per salvarci" La quercia, dopo avere riflettuto gravemente, rispose: "Tenterò di trattenere le mie foglie secche sui rami finché sui vostri non spunteranno le foglioline nuove. Così il bosco non sarà mai completamente spoglio e il demonio non potrà avere alcun dominio su di noi". Da allora le foglie secche della quercia, coriacee e seghettate, rimangono sui rami per cadere completamente soltanto quando almeno un cespuglio si è rivestito di foglie nuove.

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La maledizione del pioppo tremolo

Il pioppo tremolo (Populus tremula) è detto così dalla caratteristica delle sue foglie, molto sottili e dotate di un picciolo lamellare molto lungo ed appiattito  tale da farle agitare,  “tremare”,  con il minimo soffio di vento.  Il tremolio deriva, secondo un’antica leggenda di tradizione cristiana, dalla vergogna. Il pioppo tremolo fu infatti l’unico albero che non si inchinò,  peccando di superbia, davanti ai  primi evangelizzatori cristiani. Il Signore lo punì condannandolo a tremare per l’eternità. Il motivo della vergogna ritorna anche nella tradizione russa, un antico proverbio dice: “c’è un albero che trema anche quando il vento non soffia”, il tremolio cominciò da quando Giuda Iscariota, dopo aver tradito Gesù,  si impiccò per la vergogna ad uno dei suoi rami.  Le leggende negative nei confronti di quest’albero non gli rendono del tutto giustizia, paradossalmente dalla corteccia e dalle gemme del pioppo tremolo si ricavano preparati molto utili per l’uomo ad esempio nella cura dell’influenza.

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IL NOCCIOLO L’ALBERO CHE ALLONTANA LE SERPI

Già fra i greci ed i romani era diffusa la convinzione che il nocciolo avesse la proprietà di scacciare le serpi. Scriveva Castore Durante: “ E’ stato sperimentato che toccandosi le serpi con una vergela di nocciolo, restano stupide, e finalmente si muoiono. Sospese l’avellane, scacciano da quel luogo gli scorpioni.“ La stessa convinzione ritorna nelle tradizioni popolari abruzzesi dove i pastori, come ricordato anche dal D’Annunzio in Alcyone, utilizzavano sempre bastoni di nocciolo proprio per tener lontane le vipere. C’è una leggenda che associa il nocciolo alla Madonna. Un giorno Gesù Bambino dormiva tranquillamente nella sua culla. La Vergine volle allora recarsi nel bosco per prendere delle fragole per il figlio. Giunta su un prato ricco di frutti venne colta all’improvviso da

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una vipera che prese ad inseguirla, quasi inferocita. La Madonna fuggì e riuscì a trovare rifugio tra le fronde di un nocciolo. Una volta scampato il pericolo disse: “Come oggi la pianta di nocciolo fu un rifugio per me così lo sarà per altri in futuro” . Da quel giorno la pianta del nocciolo ebbe il dono di allontanare le serpi.

ROSASPINA: LA BELLA ADDORMENTATA

La favola di Rosaspina narra di un re ed una regina che tentarono per molti anni ma  senza successo di avere un figlio. Quando stavano per perdere le speranze nacque loro una figlia bellissima che chiamarono Rosaspina. Vollero subito indire una grande festa  invitando gli amici, i parenti e le dodici fate del regno perché fossero propizie alla nuova nata. Si accorsero però di possedere solo

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undici piatti d’oro per il banchetto e quindi decisero di non invitare l’ultima delle fate. In men che non si dica la fata esclusa, furibonda,  si presentò al banchetto e pronunciò un incantesimo contro la piccola Rosaspina predicendo che la giovane sarebbe stata punta da un fuso e da quel giorno lei e tutto il castello  sarebbero caduti in un sonno interminabile, lungo cento anni. Il re fece eliminare tutti i fusi dal regno, e ne vietò la fabbricazione. Ma, in un angolo nascosto del castello,  una vecchina, ignara, continuava a filare. Il giorno del suo quindicesimo compleanno Rosaspina, all’insaputa dei genitori, capitò nella stanza della vecchina ed incuriosita da quell’arnese mai visto se lo fece porgere tra le mani. Da quell’istante tutto il regno si addormentò ed il castello venne avvolto da una barriera impenetrabile di rovi. Molti furono i principi che, saputa la storia della bella addormentata, vollero cimentarsi nell’impresa di oltrepassare il muro di rovo ma nessuno ebbe successo, il rovo con le sue spine aguzze tenne lontano chiunque tentava di avvicinarsi.  Dopo che esattamente cento anni furono trascorsi, un ardimentoso principe riuscì a superare la barriera vegetale, al suo passaggio il rovo si trasformava come per incanto un  tappeto di fiori colorati. Fu così che il giovane raggiunse la bella addormentata e con un bacio la risvegliò dal lungo sonno.

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LE MORE, FRUTTI DI SAN MICHELE

Le more sono da sempre un frutto molto apprezzato. Devono essere raccolte quando hanno raggiunto la giusta maturazione e cioè nel periodo che va dalla seconda metà di Agosto a fine Settembre. Secondo una tradizione popolare le more sono i frutti cari a San Michele che come noto cade il 29 Settembre, le more quindi vanno raccolte prima di questa data perché dopo il demonio, per fare un dispetto, ci sputa sopra e le rende mollicce, come può testimoniare chiunque abbia assaggiato questi frutti raccolti in autunno.

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LA GINESTRA SIMBOLO DI UMILTÀ

Nel mediovevo la ginestra divenne simbolo di umiltà. Probabilmente ad ispirare questo accostamento fu l’osservazione della bella fioritura, tale in alcune zone, da colorare di un giallo intenso intere distese di terreno, fioritura che rende nobili terreni anche molto poveri, spesso sassosi. La ginestra venne assunta da San Luigi, re di Francia, come simbolo di un ordine cavalleresco “l’ordre du Genest”. I suoi cavalieri portavano un mantello bianco ornato da un cappuccio viola ed un collare, quest’ultimo era chiuso  da una catenella ornata di fiori di ginestra. Al  collo i cavalieri dell’ordine portavano anche una croce d’oro con la scritta Exaltat humiles, esalta gli umili. Nel momento di massimo splendore l’ordine contò cento cavalieri direttamente al servizio del re.

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IL TIGLIO CHE DIEDE RIPARO A GESÙ E SAN PIETRO

Secondo un racconto popolare,  un giorno Gesù, accompagnato da San Pietro, passò attraverso una valle dove crescevano alberi di ogni tipo. Improvvisamente incominciò a piovere e, non essendoci case o stalle nelle vicinanze, Gesù cercò un albero sotto al quale trovare riparo.   Si rivolse al salice piangente "Riparami" buon albero! "Lo farei volentieri" - rispose il salice con voce lamentosa ma guardami, sono tutto bagnato, l'acqua mi scende tra i rami e giù per il tronco, come  posso riparare qualcun'altro zoppo come sono?". Gesù allora si avvicinò alla betulla. "Riparami, per favore!". "Certo" - rispose ridendo la betulla - "volentieri, fatti più vicino!" e intanto scuoteva allegramente i rami e le foglie spruzzando acqua da tutte le parti.  Il Signore lasciò la betulla e si avvicinò ad una quercia: "Mi darai riparo tu" grande quercia?" - chiese. "Presto!" - gridò la quercia- "Vieni sotto di me e guai alla pioggia se oserà bagnarti!". Ma intanto agitava i rami con tanta forza che l'acqua scendeva in abbondanza. Finalmente Gesù giunse

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presso un tiglio. "Tu puoi ripararmi dalla pioggia?" domandò. Senza rispondere il tiglio allargò i rami frondosi e li tenne fermi finché terminò il temporale. In questo modo non una goccia d'acqua bagnò il Signore e San Pietro che stavano appoggiati al tronco. Quando smise di piovere, spuntò l'arcobaleno e Gesù riprese il suo cammino. Ma prima si rivolse al tiglio dicendo: "Grazie di cuore".  Da quel giorno le foglie del tiglio hanno la forma di un cuore.

Mito di Apollo e Dafne

La leggenda racconta che Apollo, dopo aver ucciso l’enorme serpente Pitone, fiero di sé, si vantò della sua impresa con Cupido, dio dell’Amore: armato di solo arco e frecce, il divino fanciullo non sarebbe stato mai capace di compiere imprese del genere…Cupido, indignato, decise di vendicarsi: trasse dalla faretra due frecce, l’una d’oro, ben acuminata, che accendeva la passione amorosa; l’altra, di Piombo e spuntata, che la impediva. Col primo dardo colpì Apollo, con il secondo trafisse la casta Dafne che beata vagava tra i boschi.

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Così Apollo, travolto dalla passione, quando incontrò la Ninfa, cominciò ad inseguirla; voleva costringerla a fermarsi e stare con lui. Ma lei, terrorizzata, continuava a correre, esausta. Giunta presso il fiume Peneo, chiese al Padre di aiutarla. Avvenne il prodigio… Dafne si trasformò in una pianta di Alloro: un invincibile torpore invase il suo corpo; i capelli, le mani, le braccia rivolte verso il cielo, si trasformarono in rami ricchi di foglie; mentre il corpo sinuoso si ricopriva di sottile corteccia, i piedi diventavano robuste radici ed il volto svaniva tra le fronde dell’albero… Il dio, quindi, proclamò, a gran voce, che la pianta sarebbe stata a lui sacra e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori.

La leggenda della Stella di Natale

In Messico, nella lontana America, il Natale è una grande occasione di festa. Tutti ne approfittano per sfoggiare vestiti nuovi, imbandire le tavole con cibi

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e bevande abbondanti e diversi dal solito, scambiarsi regali costosi e raffinati. Che è poi quello che succede in gran parte del mondo. Ma anche a Città del Messico ci sono persone che non possono permettersi di far festa neppure la vigilia di Natale. Una di queste, forse la più povera di tutte, si chiamava Ines. Era una piccola e graziosa bambina indiana, grandi occhi neri nel visetto scuro, che vagava per il mercato a piedi nudi, guardando ogni cosa che c’era sulle bancarelle. Tutte cose per lei proibite, ricca solo del suo sorriso con cui cercava di intenerire i venditori, che le regalavano sempre qualcosa.Tutto quello che riceveva lo metteva nella tasca del suo grembiule. Il contenuto di quella tasca era preziosissimo: quello era il cibo per i suoi fratellini e la mamma ammalata che aspettavano a casa.La sera della Vigilia di Natale, la tasca era colma più del solito. Ines però non era del tutto felice, aveva un piccolo ma insistente, segreto cruccio.Ines desiderava portare un fiore a Gesù Bambino come era tradizione a Città del Messico. C’era un specie di gara a chi portava il fiore più bello e lei immaginava che fosse il suo.Ma come faceva a procurarsi un fiore? Avrebbe voluto cogliere qualche fiore dai balconi più ricchi, ma come faceva a portare un fiore rubato a Gesù Bambino?La piccola vagava inquieta, alla ricerca di un fiore. Cautamente si inoltrò in una stradina tortuosa piena di ruderi in cerca di un fiore, ma anche lì non trovò niente. Era tardi e la mamma stava certamente aspettando il suo ritorno. Gettò un ultimo sguardo e vide in un angolo un ciuffo di piantine che avevano foglie verdi, lucide, disposte

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come i petali di un fiore.Raccolse alcuni rametti e formò un piccolo mazzo. Mancava ancora qualcosa. La bambina si tolse la cosa più preziosa che aveva: il nastro rosso che serviva a legare i capelli. Con il nastro fece una coccarda intorno alle foglie verdi. Ormai doveva tornare a casa; Ines passò davanti alla chiesa ed entrò. Vide la statua di Gesù Bambino e gli disse:” Te li lascio adesso, mi vergogno troppo a venire dopo con gli altri bambini”. Un “oh” di meraviglia la fece trasalire, intorno a lei c’era un gruppo di gente che fissava meravigliata il suo mazzo di fiori. “ Che bei fiori……dove li hai trovati? Non ho mai visto dei fiori così belli…..” Ines guardò il suo mazzo di foglie e rimase senza parole. Le foglie erano diventate rosse, al centro le bacche avevano formato come un cuore d’oro. La bambina depose il suo prezioso mazzo di stelle rosso oro ai piedi della statua di Gesù Bambino.Ora sapeva che Gesù aveva gradito il suo dono e aveva trasformato delle semplici foglie nel fiore più bello del Messico: La Stella di Natale.Da quel giorno le stelle di Natale in Messico sono chiamate " Flores de la Noce Buena ", fiori della Santa Notte. Nel 1825, Joël Poinsett, ambasciatore Americano in Messico, portò negli Stati Uniti i semi delle stelle di Natale e le fece conoscere in tutto il mondo.

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Mela

Venere, la Dea della luce, della bellezza e dell'amore, nacque in un'alba di primavera nel mare argentato di Cipro. Dallo Zefiro gentile la conchiglia ove giaceva la Dea era stata portata sulla riva. Qui, la valva opalescente si era dischiusa e ne era balzata fuori, meravigliosa di freschezza e di grazia la Dea.Mentre, avvolta da veli vaporosi, ella si avviava lungo la spiaggia, i fiori nascevano sotto i suoi piedi e accorrevano le Ore dalle ali di farfalla. Esse le asciugavano il corpo rorido, le posavano sul capo una scintillante corona d'oro e le cingevano le bianche braccia con monili preziosi. Giove intanto mandava dal Cielo un carro tirato da bianche colombe e in quel cocchio Venere apparve agli Dei riuniti sull'Olimpo ad attenderla. Un saluto trionfale accolse la nuova Dea e tutti la elessero, unanimi, regina di bellezza.

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Ma le altre due Dee, Giunone e Minerva, che fino allora avevano tenuto lo scettro della bellezza sull'Olimpo, sentirono una punta di invidia a quelle ovazioni entusiaste.E ne approfittò la livida Discordia per eccitare gli animi al rancore e gettare inosservata per terra un pomo di massiccio oro, dove era scritto "Alla più bella". Giunone subito lo raccolse, Minerva glielo strappò di mano, Venere reclamò per sé la mela scintillante. Giove per mettere fine al litigio disse alle tre Dee: "Scendete tutte e tre sul monte Ida e chiedete il giudizio del principe Paride che sta guardando pascere i suoi armenti sulla prateria. Egli deciderà quale di voi sia la più bella!".Le Dee obbedirono e,scese sulla montagna, dissero al bel principe pastore: "A chi di noi daresti tu il pomo destinato alla Dea più bella?" Paride rimase a lungo stupito davanti a quelle sfolgoranti bellezze e veramente non sapeva neppure lui quale scegliere.

Ma infine, mentre le divinità attendevano intrepide il suo giudizio,si accostò a Venere e le diede il pomo,dicendo: "A te Venere,il pomo della bellezza". E così da allora la Dea nata dalla schiuma candida delle acque di Cipro restò incontrastata regina di grazia e di amore nell'Olimpo e il suo irresistibile sorriso assoggettò il Cielo e la Terra.

Biancospino

Sono note le poetiche leggende fiorite intorno a Gesù ricordiamo quella del biancospino: la Madonna in un giorno d'inverno, stende i pannolini di Gesù nella siepe vicina alla casetta di Nazareth; la

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spalliera erbosa prima brulla, come per miracolo, si ricopre di fiorellini candidi e profumati: il biancospino.

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La leggenda del salice

Gesù saliva verso il Calvario, portando sulle spalle piagate la croce pesante.Sangue e sudore scendevano a rigare il volto santo coronato di spine.Vicino a Lui camminava la Madre, insieme ad altre pie donne.Gli uccellini, al passaggio della triste processione, si rifugiavano, impauriti, tra i rami degli alberi.Ad un tratto - Gesù stramazzò al suolo. Due soldatacci, armati di frusta, si precipitarono su di Lui, allontanando la Madre, che tentava di rialzarlo "Su, muoviti! E tu, donna, stàttene da parte."Gesù tentò di rialzarsi, ma la croce troppo pesante glielo impedì.Era caduto ai piedi di un salice ...Cercò inutilmente di aggrapparsi al tronco. Allora l'albero pietoso chinò fino a terra i suoi rami lunghi e sottili perché potesse, afferrandosi ad essi, rialzarsi con minor fatica. Quando Gesù riprese il faticoso cammino, l'albero rimase coi rami pendenti verso terra: perciò fu chiamato «Salice Piangente ».