UOMINI E ALTEZZE MANIERA PIÙ APPROPRIATA Alessandro · tech-zine sicurezza low-cost: se ben...

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UOMINI E ALTEZZE UOMINI E ALTEZZE Alessandro Alessandro Raspante Raspante Soccorso in cava con i “Tecchiaioli” Soccorso in cava con i “Tecchiaioli” MAGAZINE Nº 014 GIUGNO 2020 52 PAGINE MAGAZINE DI INFORMAZIONE TECNICA SUL MONDO DEL SAFETY Tech-Zine Tech-Zine SICUREZZA LOW-COST: SE BEN PIANIFICATA, EVITA INUTILI SPRECHI MITI E LEGGENDE SULL’ANTICADUTA: QUELLO CHE SI PENSA DI SAPERE MA NON È COSÌ DPI PER DONNE: SCEGLIERE NELLA MANIERA PIÙ APPROPRIATA SPAZI CONFINATI: LAVORARE CON LA POLIUREA IN UN BIODIGESTORE

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UOMINI E ALTEZZEUOMINI E ALTEZZE

Alessandro Alessandro RaspanteRaspanteSoccorso in cava con i “Tecchiaioli”Soccorso in cava con i “Tecchiaioli”

MAGAZINE Nº 014GIUGNO 2020

52 PAGINE

MAGAZINE DI INFORMAZIONE TECNICA SUL MONDO DEL SAFETY

Tech-ZineTech-Zine

SICUREZZA LOW-COST: SE BEN PIANIFICATA, EVITA INUTILI SPRECHI

MITI E LEGGENDE SULL’ANTICADUTA: QUELLO CHE SI PENSA DI SAPERE MA NON È COSÌ

DPI PER DONNE: SCEGLIERE NELLA MANIERA PIÙ APPROPRIATA

SPAZI CONFINATI: LAVORARE CON LA POLIUREA IN UN BIODIGESTORE

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E ANCORA...

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Lo spreco di denaro e gli incauti acquisti sono sintomo di una errata o poco accurata valutazione dei rischi e delle procedure. I consigli su come ridurre i costi.

SICUREZZA LOW-COST“La corretta valutazione anti sprechi”

SOMMARIO

DPI PER DONNE“Scegliere in base a forme e taglie”

Ci sono cose nel mondo dell’anticaduta che vengono erroneamente tramandate da tecnico a tecnico nel corso degli anni e che ancora si pensa siano vere.

Il mercato dei DPI di I^, II^ e III^ categoria, per taglie e forme femminil, non offre tanta scelta ma ci sono cose che è bene sapere e che possono incidere sull’efficacia e la sicurezza delle donne sul posto di lavoro.

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Giovanbattista Faena, specialista IN-SAFETY® di Belluno, ci racconta come interviene, in temini di sicurezza, quando opera all’interno di un biodigestore con la poliurea a spruzzo.

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POLIUREA IN UNO SPAZIO CONFINATO“Come operare in.un biodigestore”

EDITORIALE di Emanuele Mazzieri4

UOMINI E ALTEZZE: Alessandro Raspante ci racconta la formazione e l’addestramento al Soccorso e Recupero di un tecchiaiolo infortunato in una cava.

MITI E LEGGENDE SULL’ANTICADUTA“Le 10 cose che non sono così...”

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EDITORIALEC’è chi è nato per guidare, chi è nato per seguire e chi... per copiare. Se non si è in grado di trovare da soli le soluzioni più efficaci, basta copiarle dai più bravi; l’importante è migliorare la sicurezza di un lavoratore.

EDIZIONE GIUGNO 2020

“Il Network IN-SAFETY® è il primo network di specialisti in anticaduta industriale e sicurezza in ambienti confinati, vendiamo soluzioni prima che dispositivi, ecc ecc… “

Lo avrete letto mille volte e in ogni nostra singola pubblicazione.Da nessuna parte abbiamo mai scritto che siamo gli unici a sapere cosa sia un sistema anticaduta, una baia di carico, una gruetta per l’estrazione dagli spazi confinati, un DPI , ecc. ecc.Anzi, da sempre (o almeno da marzo 2018) andiamo dicendo gli specialisti di IN-SAFETY® sono tali già da molto tempo prima della nascita del network e che ancora hanno tanto da imparare, gli uni dagli altri e anche dai nostri stessi clienti.

Il primato di IN-SAFETY® sta nel fatto che, per la prima volta in Italia, operatori, installatori e progettisti esperti hanno deciso di mettere insieme risorse comuni per raccontare al mondo cosa sono in grado di fare e come possono aiutare a migliorare la sicurezza all’interno di aziende e cantieri.Tutto ciò sia in autonomia che in collaborazione con i maggiori produttori di dispositivi... ma mai come portavoce di questi o meri distributori in esclusiva.

Si, è vero, a volte gli concediamo degli spazi pubblicitari: la macchina della comunicazione deve pur trovare dei finanziamenti.Le nostre soluzioni sono sempre incentrate sull’eliminazione dei rischi o sulla mitigazione di questi. Ciò che non possiamo eliminare, lo mettiamo in sicurezza prima con le procedure poi con i dispositivi. E se il dispositivo giusto non esiste sul mercato italiano, lo cerchiamo all’estero o lo produciamo su misura del cliente.

Quelle che possono sembrare banalità, lo sono oggi perché ormai ce lo sentite ripetere da 2 anni. Ma non è sempre stato così. Fuori dai “burocratici parametri” del D.Lgs 81/2008, fino a qualche anno fa la sicurezza era “dispositivo-centrica”.Un parolone inventato da me per definire il classico atteggiamento di affidare completamente ai dispositivi, e ai produttori di questi, la sicurezza anticaduta o negli spazi confinati.

Negli ultimi due anni, ogni azienda in cui siamo entrati per un sopralluogo o una consulenza, aveva più o meno gli stessi problemi: o nessuna soluzione o una “paccata di dispositivi” inadatti finanche ridondanti e poco utilizzati.Che poi è difficile dire loro che “tutta quella roba non serve” oppure che devono ricomprare quella giusta.

Com’è come non è, mentre noi siamo ormai ad una media di 10.000 accessi mensili al blog e compariamo sempre nella prima pagina dei risultati Google senza pagare sponsorizzate, ad oggi stanno comparendo numerosi nuovi blog di vecchi produttori di dispositivi.

Qualcuno segue la sua consueta linea (come è anche giusto che sia) di parlare dei loro prodotti. Altri hanno cominciato a definire i loro prodotti “soluzioni” ribaltando il significato che gli ha dato IN-SAFETY®.Poi c’è chi si spinge a pubblicare articoli molto simili ai nostri fino ad arrivare a dei veri copia/incolla non autorizzati e senza citazione della fonte (cioè IN-SAFETY®).Addirittura, una grossa azienda di dispositivi anticaduta de nord Italia usa la nostra immagine in homepage (quella della “catena della sicurezza”) e lo fa da più di un anno… e hanno anche responsabili web marketing all’interno, stipendiati.

Ma ecco la notizia delle notizie: vi autorizziamo a copiare tutto! Anche perché, diciamocelo, noi non abbiamo inventato nulla di così nuovo ed esclusivo; e non abbiamo né tempo né voglia di erigerci a “detentori della verità”.Fate pure ma, se non citate la fonte (cioè IN-SAFETY®), vi danneggiate da soli perchè Google vi penalizzerà spingendovi in basso nella classifica delle ricerche. Non noi.Occhio che Google oggi guarda anche dentro i post di facebook e linkedin.

Altra notiziona! Spesso anche noi prendiamo informazioni, immagini e spunti da altri blog (quasi mai italiani), soprattutto quando parlano di spazi confinati. Perchè, diciamocelo, negli USA e in Canada sono molto più esperti di noi.Ma li citiamo e li linkiamo, anche per permettere ai nostri lettori di verificare i contenuti originali e confrontarli con i nostri.

Insomma, volete copiare? Se serve a salvare vite, fatelo pure!Non volete citarci? Non saremo noi a penalizzarvi.Volete lavorare in sicurezza, davvero? Chiamate uno specialista IN-SAFETY®

Emanuele Mazzieri

IN-SAFETY®, IN-SAFETY 2, TIPO IN-SAFETY®, COME IN-SAFETY®...

immagine di sfondo tratta dal blog di Andrea Di Rocco:

https://sos-wp.it/sito-copia-contenuti-cosa-fare/

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La sicurezza low cost La sicurezza low cost efficaceefficace

Quando si parla di low cost è obbligatoria una premessa: l’accezione con cui usiamo questa parola non è quella a cui si potrebbe essere portati a pensare, ovvero basso prezzo come indice di bassa qualità.

Intendiamo dire che si possono abbassare i costi della sicurezza ottimizzando al massimo le soluzioni.

E cosa vuol dire ottimizzare?

Intervenire al meglio ad ogni livello, dal ripensare le procedure di lavoro fino alla revisione di ogni appa-rato per poter ottenere il massimo della sicurezza senza limitare la produttività.

Soprattutto, senza rischiare di avere bruttissime sor-prese dai costi sociali ed economici incalcolabili.

Vediamo come ottenere questi risultati con alcuni esempi ma soprattutto con un semplice switch of mind.

Per prima cosa, IN-SAFETY®.

IN-SAFETY® è il primo e unico Network di Specialisti in anticaduta industriale e in sicurezza negli spazi confinati.

Possiamo operare in tutto il territorio nazionale e in ogni settore industriale, dal petrolchimico fino all’in-dustria agroalimentare e zootecnica.

Ultimamente ci stanno cercando anche dal settore

navale e militare.

Siamo operatori professionisti, progettisti specializ-zati in sicurezza, installatori, soccorritori e manuten-tori.

Veniamo supportati tecnicamente dai più importan-ti produttori di sistemi anticaduta, attrezzature di recupero e DPI.

Questi trovano in noi i partner con l’esperienza ade-guata per aiutarli a diffondere, migliorare ed inte-grare i propri prodotti più avanzati.

Questa situazione ci consente di:• abbassare i tempi di intervento e i costi di trasfer-ta a tutto vantaggio delle aziende che si rivolgono a noi proprio perché ogni nostro associato è potenzial-mente vicino;

• seguire tutto il processo di riduzione dei pericoli, dall’analisi dei rischi fino alla gestione delle manu-tenzioni dei sistemi installati senza la necessità di contattare aziende diverse;

• consigliare e fornire sempre l’attrezzatura giusta, ma solo se realmente serve, abbinata al giusto adde-stramento specifico; conosciamo e abbiamo testato personalmente ogni produttore sul mercato impa-rando a conoscerne punti di forza e carenze.

Solo con gli specialisti di IN-SAFETY® è possibile tro-vare le soluzioni ai rischi con un unico interlocutore

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Come il Network degli specialisti IN-SAFETY® può migliorare la sicurezza anticaduta e negli spazi confinati con soluzioni low cost evitando di farti spendere in superflue e costose attrezzature o DPI sbagliati.

GRATIS FINO A 200 D.P.I.

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che fa risparmiare tempo e denaro.

Se non serve, non farlo o non comprarlo.

Lo diciamo e lo scriviamo sempre, ovunque: la pri-ma regola della sicurezza contro le cadute dall’alto è “Se puoi, non salire”

Così come la prima regola per il lavoro in uno spazio confinato è: “Se puoi, non entrare”.

Queste due regole, così banali e all’apparenza e così elementari, spesso sono la formula giusta per mi-gliorare drasticamente la sicurezza in azienda.

E’ ovviamente un concetto poco ribadito da chi produce e vende sistemi anticaduta anche perchè il loro lavoro è vendere quei prodotti, non di insegnar-ti a farne a meno.

Può un venditore di caffè venirti a dire che a te il caffè fa male?

Al massimo ti racconta quanto è buono e genuino il suo caffè e lascia a te decidere se comprarlo.

Gli specialisti come noi usano principi diversi, basati sulla semplificazione e sulla gestione ergonomica della sicurezza.

Ecco come questi principi possono aiutare a massi-mizzare i risultati e abbattere costi inutili.

Puoi lavorare dal basso senza salire in quota? Puoi evitare di entrare?

Possiamo menzionare numerose applicazioni di questa regola che vanno dalla più semplice, come utilizzare aste o pertiche, fino ad automatizzare al-cune operazioni con comandi dal basso.

Soluzione quest’ultima che sembra più costosa ma che sul lungo periodo fa risparmiare tantissimo.

Negli spazi confinati, ad esempio, per eseguire ispe-zioni o campionature è possibile utilizzare apposite aste attrezzate con “presini”, telecamere o sensori di vario tipo.

Oppure, visto che la tecnologia esiste e ci sono aziende che lavorano con noi che offrono questo servizio, si possono utilizzare dei droni.

Droni che ispezionano o rilevano coperture, che “fotografano” il rendimento termico di un impianto o in grado di entrare nei più angusti ambienti confi-nati.

Il risparmio è evidente: si evitano costi di strutture di accesso e di sistemi anticaduta o di accesso ed estrazione.

Per non parlare di DPI, impiego e addestramento del personale.

Ridurre al minimo i tempi di permanenza in quota e/o di lavoro all’interno.

Lavorare sulle procedure di intervento facendo eseguire a terra tutte quelle operazioni di pre-as-semblaggio o di preparazione per poi, solo in un secondo momento, portare il tutto in quota per le lavorazioni finali.

Un esempio pratico è quello di prevedere un argano di sollevamento materiali per agevolare il traspor-to in quota (o l’inserimento all’interno dello spazio confinato) di quelle attrezzature che solitamente sono smontate e vengono movimentate in pezzi più

leggeri.

Preferire il montaggio a terra o fuori, per poi muo-vere il tutto solo all’ultimo momento, può far ri-sparmiare notevole tempo ed esporre al minimo il lavoratore ai rischi connessi.

Tra le molteplici soluzioni che proponiamo, ci sono anche verricelli per materiali, sia con cavo d’acciaio che con fune.

Se dovessimo applicare lo stesso principio agli am-bienti confinati, possiamo pensare piuttosto di mi-gliorare le aperture, ingrandendole.

Oppure spostandole ad un piano di campagna più agevole, un po’ come abbiamo fatto per l’essiccato-re di cui abbiamo parlato in uno dei nostri articoli del blog.

In IN-SAFETY® ci sono tecnici e specialisti in grado di mettere mano anche a modifiche strutturali di tali ambienti o macchinari.

Adottare sistemi collettivi.

Come consiglia anche tutta la normativa vigente in

Caso reale: in un’azienda toscana, alla richiesta di un sistema anticaduta per permettere agli autisti di salire sul Caso reale: in un’azienda toscana, alla richiesta di un sistema anticaduta per permettere agli autisti di salire sul cassone (a sinistra) per tirare il telo, abbiamo suggerito di noleggiare solo cassoni con coperchio richiudibile dal cassone (a sinistra) per tirare il telo, abbiamo suggerito di noleggiare solo cassoni con coperchio richiudibile dal basso. Evitato il problema alla radice. Tra le altre cose, l’aziende di gestione rifiuti,glieli ha forniti allo stesso prezzo basso. Evitato il problema alla radice. Tra le altre cose, l’aziende di gestione rifiuti,glieli ha forniti allo stesso prezzo di quelli con il tel= zero costi aggiuntivi e zero rischi.di quelli con il tel= zero costi aggiuntivi e zero rischi.

Caso reale: la decisione dell’azienda di aprire passai d’uomo più grandi nell’epiù grandi nell’essiccatore, a consentito agli specialisti di IN-SAFETY®di elaborare procedure di accesso e soccorsosoccorso molto più agili e con impiego di attrezzature più semplici da usare e meno costose.Maggiore sicurezza e minori costi.

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materia di sicurezza, i sistemi di protezione colletti-va sono da preferire rispetto a sistemi di ancoraggio.

Un sistema di protezione collettiva come un para-petto o un camminamento protetto, è più sicuro e non richiede particolare addestramento.

Inoltre non pone limitazioni al numero di operatori in contemporanea.

Non parliamo solo di parapetti permanenti: analiz-zando e valutando con occhio tecnico le dinamiche e la frequenza di certi interventi in quota, anche nelle industrie si può ricorrere all’installazione tem-poranea di parapetti, ponteggi o reti anticaduta.

Lo stesso principio, per gli spazi confinati, può tra-dursi nell’utilizzo di sistemi di ventilazione o bonifica dell’aria che limiteranno l’impiego di APVR, con buona pace di portafoglio e tempo impiegato per l’addestramento specifico.

Ottimizzare i sistemi di ancoraggio anticaduta.

Un sistema di ancoraggio anticaduta dovrebbe rap-presentare l’extrema ratio, la soluzione da adottare una volta escluse tutte le precedenti.

Pensare subito agli ancoraggi anticaduta (linee vita o altri dispositivi mobili) è alquanto fuorviante.

Le prime cose da valutare sono:• che tipo di lavoro si deve svolgere in quota e che attrezzature serve portare.

• se si riesce a portare tutto attraverso il sistema di accesso presente, ad esempio, una scala con gabbia.

• quante volte l’anno ( o al mese o alla settimana) è necessario salire in quota e in quante persone.

Da queste considerazioni di base, si parte a studiare il sistema che deve essere il più semplice ed ergo-nomico possibile.

Cosa vuol dire?

Più sono le tipologie di ancoraggi usati nello stesso sistema e maggiore è il numero di DPI da utilizzare

per passare da uno all’altro.

Maggiori sono quindi le probabilità di un uso non corretto del sistema o del suo NON uso.

Più è complicato il sistema, più il lavoratore tende a semplificarsi da solo le procedure o a non tenerne conto.

Con tutte le conseguenze che ne derivano.

Semplificare, come ad esempio utilizzare ancoraggi lineari al posto di una serie di ancoraggi puntuali, vuol dire spesso anche risparmiare sul lungo termi-ne e sui tempi di intervento in quota.

Che siano dipendenti o aziende esterne, i costi orari di impiego incidono non poco sul bilancio di un in-tervento.

Un sistema di ancoraggi più economico sulla carta ma molto poco ergonomico, tenderà invece a far sa-lire i costi operativi nel tempo, anche di molto.

Negli spazi confinati, prima le procedure poi le attrezzature

Le procedure studiate per le peggiori condizioni possibili forniscono la direzione giusta nella scelta dell’attrezzatura.

Quale è la peggiore situazione possibile?

Non l’accesso o il lavoro, queste sono condizioni standard.

La peggiore condizione è il salvataggio e recupero di un lavoratore ferito, soprattutto se privo di cono-scenza e in imminente pericolo di vita.

Un lavoratore caduto e appeso ad una linea vita, se incosciente, ha circa 15 minuti prima che subentri la sindrome da sospensione inerte.

Dopo 20 minuti circa potrebbe avvenire il decesso.

In uno spazio confinato, se la situazione è stabile e il ferito è cosciente e lucido, si potrebber aspettare anche i soccorsi tecnici dei VVFF.

Ma se il ferito è grave, si sta dissanguando, non re-

spira o subentrano altre situazioni drammatiche (al-lagamento imminente o incendio all’interno), deve essere tirato fuori il prima possibile, costi quel che costi.

Ricordiamoci inoltre che i soccorritori sanitari del 118 non entrano in uno spazio confinato e non sal-gono in quota.

Si aspettano che il ferito sia in una zona sicura pri-ma di prenderlo in carico.

Per questo bisogna essere preparati e, in un am-biente di lavoro familiare e conosciuto, l’improvvi-sazione non è ammessa.

Non ci stancheremo mai di ripetere che, sul lavoro, il soccorso e il recupero di un ferito VANNO PREVI-STI E INSERITI NELLE PROCEDURE, il personale va addestrato.

Se non si è fatto ciò, nel peggiore degli eventi, i costi sociali, civili e penali per l’azienda potrebbero esse-re incalcolabili.

Nel materiale, studiando bene le procedure PRIMA, si può attrezzare l’intervento in maniera adeguata anche in previsione delle peggiori situazioni.

Valutare solo le fasi di accesso ed uscita, porta spes-so a comprare attrezzatura inutile o inadeguata alle peggiori condizioni.

E se anche questo non è spreco di denaro…

Formazione specifica sulle proprie procedure.

Vi è un’evidenza di una grande offerta di corsi di for-mazione sulla sicurezza.

Grande offerta vuol dire tanta concorrenza tra do-centi e agenzie di formazione.

Tanta concorrenza vuol dire prezzi più bassi.

Arrivati ad un certo limite (e secondo me, in alcuni casi lo abbiamo passato da un bel po’), per conti-nuare ad abbassare il prezzo si comincia ad erodere la qualità.

Immagini tratte da uno dei workshop IN-SAFETY®dove si spiegano le differenze tra i vari tipi di immbracature per insegnare agli RSPP quali devono essere i criteri tecnici

per la corretta selezione. Nessuno spreco se si compra l’attrezzatura giusta.

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Siamo arrivati a corsi sui lavori in quota e DPI di III^ categoria on-line e senza nemmeno provare ad in-dossare un’imbracatura o un elmetto protettivo.

Non parliamo poi di corsi per il lavoro in ambienti confinati.

Non essendoci una norma che indica cosa insegnare e quante devono essere le ore minime, siamo arri-vati a corsi di 4 ore di SOLA TEORIA.

E “arrivati” non è la parola giusta: alcuni “formatori” sono “partiti” da 4 ore di corso teorico.

Questa deriva incontra bene il favore di quelle aziende (datori di lavoro) per la quale la sicurezza è

un mero obbligo burocratico.

Inevitabilmente, crea anche confusione in coloro che la formazione ai propri lavoratori vorrebbe farla seriamente.

Chi ha ragione? Come c’è chi mi liquida in sole 4 ore e qualcuno ha bisogno minimo 16-24 ore?

E cosa è meglio per me e la mia azienda? 4 ore sono davvero sufficienti? 24 ore per cosa, tutto lo scibile?

La terza via della formazione

Esiste una terza via, quella che abbiamo messo a punto, sulla base della nostra esperienza, in qualità

di specialisti.

Come funziona.

Formiamo i lavoratori su quelle che sono le reali procedure che divrebbero mettere in pratica sul po-sto di lavoro, negli scenari a loro più consoni.

Li formiamo sugli elementi base ma poi andiamo ad approfondire sulle loro procedure e sulle situazioni che potrebbero incontrare realmente.

Se nella mia azienda il lavoro in quota è solo su car-riponte, ha senso che impieghi un’ora di formazione sull’uso delle scale portatili o 2 ore sull’uso delle linee vita da tetto?

In breve, fornite le basi dell’anticaduta e del corretto uso dei DPI di III^ categoria, si passa mettere subito alla pratica sulle situazioni reali, presso la loro azien-da o simulate in un centro di formazione (palestra formazione).

Il tutto con l’attrezzatura che useranno quotidia-namente, nelle situazioni che dovranno affrontare nella pratica.

I vantaggi sono:• nessuna o ridotta spesa di trasferta, soprattutto se si hanno spazi disponibili in azienda ed è l’istruttore soltanto a muoversi;

• programma di formazione ottimizzato nell’efficacia e nei tempi;

• pratica reale ed efficace con la propria attrezzatura (o quella più simile possibile);

Ottimizzando il programma, si riducono al minimo le ore necessarie per insegnare realmente quel che serve in quello scenario lavorativo.

Far pratica con la propria attrezzatura sulle situazio-ni reali all’interno della propria azienda, evita ad esempio le ore sprecate a far salire e scendere un descente da un tripode quando nella realtà avrà a che fare con vasche ad accesso ed estrazione oriz-zontale.

Con le prove pratiche in azienda, si capiscono anche

quali sono i lavoratori più o meno adatti ad una de-terminata mansione.

Non è raro scoprire, durante il corso di lavori in quo-ta, che qualche operatore soffra di vertigini senza che lo avesse mai sperimentato prima.

Oppure che, durante la formazione ambienti con-finati, si scopra che il lavoratore soffre di claustro-fobia o non riesce a respirare con una maschera facciale.

Più banalmente, si può scoprire che uno degli ad-detti all’ambiente confinato è troppo grosso per passare dal passo d’uomo 30x40 cm, ecc.ecc.

La chiave per un risparmio efficiente sulla sicurezza.

La formula è una sola: la giusta soluzione pratica per il problema reale.

Si risparmia non sprecando.

Non ci stancheremo mai di ripetere che non siamo produttori o rivenditori esclusivisti di una qualche azienda produttrice.

Noi veniamo, vediamo, cerchiamo di capire cosa serve.

Riduciamo al minimo i rischi e troviamo la soluzione o l’attrezzatura confrontandoci con l’RSPP e con chi realmente dovrà usarla.

Se sul mercato non c’è quella giusta, la costruiamo su misura: siamo tecnici esperti e ingegneri.

La installiamo, la certifichiamo e addestriamo i lavo-ratori ad usarla.

INVIA UNA RICHIESTA

L’impiego di una scala di sicurezza anticaduta (a sinistra) ha evitato l’installazione di una scala con gabbia (a L’impiego di una scala di sicurezza anticaduta (a sinistra) ha evitato l’installazione di una scala con gabbia (a destra). Queste ultime, per norma, devono avere un pianerottolo di sosta ogni 6 metri (su 40 metri ne servono 6) destra). Queste ultime, per norma, devono avere un pianerottolo di sosta ogni 6 metri (su 40 metri ne servono 6) con un aumento vertiginoso dei costi. Ma anche, e sprattutto, con seri problemi per l’azienda nell’elaborare e con un aumento vertiginoso dei costi. Ma anche, e sprattutto, con seri problemi per l’azienda nell’elaborare e mettere a punto un’eventuale procedura di soccorso e recupero.mettere a punto un’eventuale procedura di soccorso e recupero.

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DOSSIER TECNICO A.P.V.R.DOSSIER TECNICO A.P.V.R.DOwNlOAD gRATuITODOwNlOAD gRATuITO

All’interno troverai dettagliati articoli tecnici All’interno troverai dettagliati articoli tecnici su:su:• • Le basi normative e tecniche.Le basi normative e tecniche.• • I dispositivi filtranti.I dispositivi filtranti.• • I dispositivi ad adduzine aria.I dispositivi ad adduzine aria.• • La a formazione e l’addestramento all’uso.La a formazione e l’addestramento all’uso.

Approfondimenti su:Approfondimenti su:• • Le mascherine chirurgicheLe mascherine chirurgiche• • La sanificazione degl ambientiLa sanificazione degl ambienti

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GLI SPECIALISTIIN-SAFETY È IL PRIMO NETWORK DI SPECIALISTI IN TECNOLOGIE PER LA SICUREZZA INDUSTRIALE

Emanuele Mazzieri coordinatore nazionale network e direttore tecnico

mobile | +39 347 2222240e-mail | [email protected] messenger | m.me/industriasicurezza skype | emanuele.mazzieri

EMMEPI SERVICE srlBresc ia

O.L.G. Team sasMassa

EDECOS srlPrato

ID LINEE VITA srlBe l luno

MTA CONSULTING srl Como

S&M ANTICADUTA srlBergamo

SMART VITA srlArezzo

SPIDER WORK srlChie t i

AGF srlAlessandr ia

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Quando alcuni fraintendimenti o errori comuni all’interno della gestione della sicurezza diventano dei veri e propri miti e leggende.

10 Miti e leggende 10 Miti e leggende sull’anticaduta industriale sull’anticaduta industriale

e sui DPIe sui DPI

Parlare di miti e leggende quando si parla di un set-tore che dovrebbe essere normato fino alla radice del capello, rischia di attirare critiche e sentimenti contrastanti.

Soprattutto fra quei professionisti che vivono di sicu-rezza e prevenzione ogni giorno, da anni.

Per questo voglio tranquillizzare chi leggerà questo breve articolo.

Gli errori comuni di cui andremo a parlare sono, ap-punto, molto comuni e anche comprensibili.

Sono spesso frutto di interpretazioni errate o di estrema semplificazione delle normative vigenti as-sai complicate.

L’unico modo per non commettere mai questo tipo di errore sarebbe possedere una cultura e un’espe-rienza sterminata in tutti gli ambiti della sicurezza, oggettivamente impossibile per la maggior parte di noi comuni mortali.

Il confronto tra professionisti.

La maggior parte di questi miti e leggende riappaio-no soprattutto durante i nostri seminari o workshop.

A volte riusciamo, nel nostro piccolo e per quella che è la nostra competenza, a dimostrarne l’infondatez-za.

Altre volte sembra che parliamo di astrologia.

Ma veniamo al punto.

Ecco 10 dei maggiori miti e leggende che circolano su quelli che sono i sistemi e dispositivi anticaduta.

Mito numero 1: quando si cade, il dissipatore si apre tutto e si arriva a sbattere a terra.

FALSO il più delle volte.

Il dissipatore o assorbitore di caduta (fall absorber) è un dispositivo a norma EN 355.

E’ un elemento del sistema di connessione tra l’anco-raggio e l’imbracatura.

La sua funzione principale è quella di rallentare l’ar-resto di caduta facendo in modo che la forza di arre-sto rimanga sotto i 6 kN.

UN forza di arresto di 6 kN è infatti considerata il limi-te di sopportazione del corpo umano (diamo il dato per assodato) oltre il quale potrebbero esplodere gli organi interni, ecc. ecc.

Il dissipatore si attiva a circa 250 kg e si apre in ma-niera progressiva e proporzionale alla forza sprigio-nata dalla caduta.

Per cui, di quanto si apre?

Semplice, in base alla forza di arresto necessaria che dipende da due fattori principali:• Il peso dell’operatore compresa la sua attrezzatura;

• La velocità di caduta che dipende da quanti metri cade un operatore prima che il sistema entri in fun-zione.

Un corpo di un certo peso, in caduta, tende a rag-giungere una certa velocità in base alla distanza di caduta.

Quando il sistema entra in tensione, possiamo dire che ha raggiunto la massima velocità.

La forza di arresto è quella forza che serve a fermare (quindi a riportare a velocità 0) il corpo in caduta.

Essa è inversamente proporzionale al tempo neces-sario per arrivare all’arresto completo del corpo.

Minore è il tempo che impiega, maggiore è la forza che serve a fermarlo.

Ergo, per diminuire la forza, devo aumentare il tem-po di arresto ed è quindi necessario più spazio (la lunghezza di apertura del nostro dissipatore).

Se la distanza di caduta è vicina allo zero (fattore di caduta zero), ecco che anche la velocità che raggiun-ge il corpo rimane prossima allo zero per cui la forza necessaria a fermare il corpo è di poco superiore al peso dell’operatore.

Di quanto si allunga quindi il dissipatore? Se non rag-giunge i 250 kg (come abbiamo spiegato), potrebbe non allungarsi per niente.

Se il dissipatore si apre e si allunga, vuol dire che vi

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è stata necessità di contrastare forze importanti che avrebbero potuto creare danni agli organi interni.

E se questo allungamento mi fa “sbattere in terra”, forse mi sono procurato un danno minore rispetto all’esplosione degli intestini.

Conclusioni: un dissipatore, che chiuso è lungo dai 10 ai 25 cm, aumenta la distanza di caduta di quei centimetri.

Se la caduta è breve, probabilmente non si aprirà; lo farà solo se la caduta è lunga e violenta.

Quindi è un dispositivo SEMPRE UTILE anche quando ho poco spazio libero, basta compensare accorcian-do il cordino.

Sul fattore di caduta e la forza di arresto, ti consiglio di leggere l’articolo “CORDINI E DISPOSITIVI DI COL-LEGAMENTO: COME USARLI” sul blog di IN-SAFETY.

Mito numero 2: il rischio di caduta c’è solo se si lavora sopra i due metri rispetto ad un piano stabile.

QUASI SEMPRE FALSO.

Si rischia di cadere potenzialmente da qualsiasi al-tezza.

Ricordiamo a tutti che, se decido di passare al piano stabile inferiore, sto compiendo un “salto”.

Se ciò avviene contro la mia volontà, sto subendo una “caduta”.

I 2 metri rispetto ad un piano stabile sono il limite stabilito per legge oltre il quale il datore di lavoro è obbligato ad adottare sistemi di prevenzione e pro-tezione.

Sotto i 2 metri, il datore di lavoro dovrà comunque valutare i rischi ed operare al meglio per prevenire le cadute e le sue conseguenze.

In alcune aziende il limite adottato è, ad esempio, 1,2 m, ammesso perchè più restrittivo rispetto alla norma.

Altre volte ancora meno, e può dipendere da dove rischio di cadere: in acqua, dentro un macchinario, nel letame, nel fuoco, ecc. ecc.

Ricordiamoci sempre che le conseguenze di una ca-

duta non sono solo quelle date dall’impatto contro un piano stabile.

C’è anche una sentenza che da ragione a questo modo di approcciare il lavoro in altezza e ce ne ha parlato Ezio Granchelli in un articolo su un preceden-te numero di Tech-Zine Magazine.

Mito numero 3: la scala con gabbia è sicura.

SI E NO.

Non confondiamo l’essere a norma con l’essere sicu-ra perchè non è detto che ciò che è a norma sia an-che “sempre” sicuro… e viceversa.

Le scale con gabbia alla marinara sono un esempio lampante.

Anche quando sono a norma (dimensionalmente e strutturalmente costruite secondo le normative co-genti o tecniche), non sempre impediscono la cadu-ta.

Anzi, ci sono test e studi che dimostrano che la pro-babilità di arrivare fino a terra è reale nella maggior

parte dei casi.

Soprattutto quando operatore che cade perché per-de i sensi e non è in grado, ad esempio, di irrigidirsi o tentare di afferrare qualcosa.

Più spesso, la caduta all’interno della gabbia provo-ca danni collaterali al corpo dovuti all’urto contro la gabbia stessa.

La gabbia può complicare notevolmente le operazio-ni di soccorso e recupero, soprattutto se la vittima è incosciente.

Se vuoi approfondire l’argomento, puoi leggere l’ar-ticolo “SCALE CON GABBIA SI O SCALE CON GABBIA NO?” sul blog di IN-SAFETY®

Mito numero 4: i tecnici che operano mediante accesso e posizionamento in fune sono degli acrobati.

ASSOLUTAMENTE NO!

Per prima cosa, un tecnico che opera in fune (in so-spensione) non appartiene ad una categoria di lavo-ratori in se per se.

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Gli interventi in fune sono un sistema di accesso da usare quando, per la natura del lavoro da svolgere, diventa proibitivo operare con dispositivi di prote-zione collettiva, PLE o sistemi di ancoraggio antica-duta.

Insomma, una extrema ratio.

Il termi “acrobatico” è stato impiegato da una nota società che, per ragioni di marketing e strategie commerciali, ha ritenuto creare un marchio facil-mente riconoscibile e che attirasse l’attenzione sul loro core business.

Quindi, anche questa nota azienda non impiega acrobati ma lavoratori in grado di accedere con funi, in sospensione.

Per approfondire ti consiglio di leggere l’articolo: “LAVORO SU FUNE SPECIALIZZATO: NON ACROBATI MA SERI PROFESSIONISTI”. sul nostro blog.

Mito numero 5: un anticaduta retrattile è il dispositivo più comodo per lavorare in copertura.

DIPENDE.

Un anticaduta retrattile a norma EN 360, lo dice la definizione stessa, è un dispositivo di connessione tra ancoraggio e imbracatura che riavvolge automati-camente il cavo al suo interno, seguendo l’operatore nelle sue normali attività.

Ve ne sono di varie tipologie e modelli, con cavi lun-ghi dai 2 ai 40 metri.

Quando ha 40 m di cavo di acciaio avvolto, pesa tan-tissimo.

Qui già vacilla il concetto di “comodità”.

Inoltre, la maggior parte dei dispositivi in commercio sono certificati per lavorare in verticale, con l’opera-tore all’interno di “un cono” di circa 30° di inclinazio-ne dal punto di ancoraggio del dispositivo.

Per lavorare in copertura, ne dovrei avere uno certi-ficato per funzionare in orizzontale.

Ma niente paura, ne esistono di svariate marche.

Ve ne sono alcuni pensati anche per lavorare in fat-tore di caduta 2 ovvero ancorati più in basso rispetto all’attacco dell’imbracatura.

La questione fondamentale è che arrestano la cadu-ta ma non la impediscono.

Quindi, un impiego indiscriminato o non attenta-mente ponderato di un retrattile, per lavorare in co-pertura o su piani inclinati, può essere pericoloso.

Permettere ad un operatore di cadere, rispetto ad impedirgli di sporgersi bloccandolo prima (come ad esempio si può ottenere con un dispositivo anticadu-ta guidato che sia anche EN 358) non è la situazione migliore.

Al contrario, su un sistema anticaduta per baia di ca-rico o sopra un macchinario, con ancoraggio sopra la testa, il retrattile è perfetto.

Per approfondire la tua conoscenza degli anticadu-ta retrattili ti consiglio di leggere l’articolo sul blog: “ANTICADUTA RETRATTILI: LE 5 COSE DA SAPERE PER SCEGLIERE QUELLI GIUSTI”

Mito numero 6: le linee vita, sono i cavi d’acciaio sui tetti.

SI MA SONO MOLTO DI PIÙ

Il termi linea vita identifica il marchio commerciale di un produttore che per primo ha chiamato così i suoi sistemi di ancoraggio anticaduta.

Un po’ come il cemento amianto è comunemente

chiamato eternit dal nome dell’azienda che per pri-ma lo ha commercializzato su grande scala in Italia.

A dire il vero è anche mutuato dal mondo della si-curezza anglosassone in cui vengono definite lifeline, anche se questo termine si riferisce soprattutto ai si-stemi mobili e temporanei.

Il termine tecnico esatto è “sistemi di ancoraggio anticaduta” e sono composti da più elementi, detti dispositivi di ancoraggio.

Quindi non solo i cavi di acciaio.

Un sistema anticaduta è composto da più tipolo-gie di dispositivo che la norma EN 795:2012 (UNI 11578:2015 per i sistemi permanenti) definisce TIPI:• Tipo A: dispositivi di ancoraggio puntuali;

• Tipo B: dispositivi puntuali mobili;

• Tipo C: dispositivi lineari flessibili;

• Tipo D: dispositivi lineari rigidi;

• Tipo E: dispositivi a zavorra o ancore da tetto;

Mixati sapientemente in base ai più accorti principi di ergonomia e sicurezza, compongono un sistema di ancoraggi che, molto comunemente, vengono chiamati “linee vita”.

Per approfondire, sul nostro blog trovi molti articoli

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sull’argomento.

Mito numero 7: sono 30 anni che lavoro in quota senza imbracatura e non mi è mai successo niente.

SOLO UNA BUONA DOSE FORTUNA E UNA TRISTE STATISTICA.

Le statistiche parlano chiaro.

Il 77% degli infortuni come conseguenza di cadute dall’alto vede coinvolti lavoratori con più di 3 anni di anzianità di mansione.

Il 49% degli infortunati supera i 50 anni di età.

La probabilità di cadere da una postazione di lavoro in quota aumenta con l’aumento dell’esposizione al rischio.

Inoltre, la continua esposizione al pericolo crea una sorta di “antidoto” alla paura di cadere e porta il la-voratore a sottovalutare le conseguenze.

Qualcuno la chiama “assuefazione al rischio”.

Mito numero 8: ogni lavoratore può ispezionare i propri DPI da solo.

NO, A MENO CHE...

Quello che un lavoratore può fare da solo, sui propri DPI di III^ categoria, sono le verifiche pre e post uso come previste dal manuale di uso e manutenzione.

Oppure, pratica poco diffusa, può lavarseli da solo e averne cura nell’immagazzinamento.

L’ispezione annuale come da normativa deve essere eseguita da persona esperta e competente.

Sui manuali di alcuni produttori vi è chiaramente riportato chi (per lo stesso produttore) è persona esperta e competente ad ispezionare i DPI della loro gamma.

In genere lo sono coloro che hanno svolto un tot di ore di formazione da ispettori presso il produttore stesso.

Riassumendo, un utilizzatore esperto non è automa-ticamente un ispettore.

Dovrebbe fare un percorso di formazione da ISPET-TORE.

Un approfondimento sulle ispezioni, la manutenzio-ne e i controlli pre e post uso, lo trovate nell’articolo del nostro blog: “IMBRACATURE IN LAVATRICE: L’IM-PORTANZA DELLA PULIZIA DEI DPI DOPO L’UTILIZZO”

Mito numero 9: il lavoro in fune è di gran lunga il lavoro più pericoloso.

E’ un mito che ricorda un po’ la storia dell’aeropla-no: se cade un aeroplano, difficilmente i passeggeri si salvano.

Statisticamente, però, gli aeroplani in tutto il mondo cadono raramente mentre in automobile muoiono ogni giorno decine di persone solo in Italia.

Da ISTAT, nel 2016 si sono verificati in Italia 175.791 in-cidenti stradali con lesioni a persone che hanno provo-cato 3.283 vittime (morti entro il 30° giorno) e 249.175 feriti.

Secondo i dati dell’Easa, ente europeo, nel 2018 ci sono stati undici incidenti in volo (nel mondo) clas-sificati come mortali che hanno così provocato nel

complesso 530 vittime.

Ma tornando al nostro ambito di lavoro, gli inciden-ti e le vittime causate dai pericoli legati al lavoro su fune non sono statisticamente rilevanti, si può dire tendenti allo zero.

Mentre si hanno invece dati dettagliati sulle cadute dall’alto avvenute in altre situazioni.

Come da scheda INAIL INFOR.MO, pubblicata nel 2017 ma relativa ai dati 2009-2010, le cadute dall’al-to registrate hanno causato 160 vittime (il 32% del totale delle vittime sul lavoro in Italia)

Gli incidenti registrati sono di 6 tipi principali:• caduta per sfondamento di copertura - 23,2%

• caduta da scala portatile - 17,3%

• caduta da parte fissa di edificio - 12,5%

• caduta da ponteggi e impalcature fisse - 10,1%

• caduta attraverso un varco (lucernario) - 10,1%

• caduta da mezzi di sollevamento o per lavori in

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INVIA UNA RICHIESTA

quota - 7,8%

Le 6 categorie sopra citate costituiscono il 81% delle casistiche di cadute dall’alto, il restante 19% è cau-sato da altre situazioni che non superano ognuna, il 5-6 %.

Mito numero 10: in caso di emergenza, basta chiamare il 118.

Ultimo tra i miti e leggende dell’anticaduta, un vero e proprio unicorno, è l’idea che basti chiamare il 118 per provvedere a tutti gli obblighi relativi al soccorso e recupero in caso di infortunio.

E’ la frase che troviamo in fondo a numerosi DVR, di

quelli scritti con la tecnica del copia/incolla (cose che i nostri lettori di solito non fanno), con l’intento di lavare via le macchie sulla coscienza.

Il concetto errato alla base di questa abitudine, senza voler tirare in ballo negligenza, ignoranza o pigrizia di qualcuno, è quello di pensare che le emergenze ac-cadono e non ci si può fare niente, meglio chiamare i soccorsi.

Sul lavoro la parola emergenza dovrebbe essere li-mitata solo a casi indipendenti dall’operato umano, come terremoti o alluvioni.

Sul lavoro, si devono conoscere pericoli e rischi, si de-vono adottare procedure atte ad eliminarli e/o ridurli

al minimo mediante lo studio di procedure corrette e l’implementazione di contromisure protettive.

Quindi la necessità di effettuare un soccorso e recu-pero di un infortunato è possibile e probabile, come tale va inclusa nel DVR.

Il soccorso e recupero di un infortunato sul lavoro deve far parte delle procedure stesse di lavoro.

Ogni presidio o attrezzatura atta al soccorso e recu-pero deve essere presente in azienda e a portata di mano durante tutte le fasi di lavorazione.

Il personale va addestrato a questa evenienza.

Dopodichè, quando ho predisposto tutto, formato e addestrato il personale, posso anche fare la scelta, a seconda della gravità della situazione, se intervenire con il personale interno o se aspettare i soccorsi tec-nici dei VVF.

Se, come e quando intervenire è comunque un argo-mento complesso e lungi da me volerlo liquidare in poche righe.

Ma pensare che i VVF e il 118 arrivino sempre in tem-po a salvare un ferito, è quantomeno da incoscienti.

PS: solo il soccorso tecnico dei VVF entra negli am-bienti confinati o sale in quota mentre il Soccorso Sanitario chiede che il ferito venga messo loro a di-sposizione in un’area sicura.

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Un’analisi sui DPI per donna che possano adattarsi alle taglie medie femminili, al peso ridotto e alle loro forme.

DPI per donna che siano DPI per donna che siano adatti alle loro forme e adatti alle loro forme e

taglie.taglie.

DPI per donna come imbracature anticaduta ma an-che guanti e stivali di sicurezza, progettati general-mente per gli uomini, potrebbero non adattarsi alle donne a causa delle differenze nelle taglie, del peso e delle forme medie del corpo.

Come è messo il mondo dei DPI per donna?

Cercando in rete ho trovato le opinioni di alcuni esperti che insistono sul fatto che i datori di lavoro

dovrebbero fornire DPI diversi per i lavoratori a se-conda che siano uomini o donne

Infatti, i DPI unisex potrebbero non adattarsi corret-tamente a una donna.

E questo lo si è visto in maniera molto evidente du-rante i nostri workshop IN-SAFETY® SOLUTIONS TOUR, dove la presenza femminile si è notata e con-traddistinta.

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Si è notata loro sensibilità ai problemi della sicurezza ma anche, purtroppo, l’aspetto goffo e poco sicuro che mostravano indossando imbracature pensate quasi esclusivamente sulle misure maschili.

È vero anche che i datori di lavoro hanno un’ogget-tiva difficoltà nel trovare produttori o distributori che offrano una gamma completa di DPI specifici per donne.

Pochi DPI specifici per donne? Non c’è da stupirsi.

Sempre in rete, mi sono imbattuto in alcuni dati emessi dall’OSHA la quale cita la mancanza di una gamma completa di taglie e tipi di DPI a livello di ven-dita al dettaglio e all’ingrosso.

Nonché la limitata conoscenza, anche dei datori di lavoro, di un’eventuale esistenza di DPI progettati per le donne.

Uno dei motivi è sicuramente il basso numero di donne nelle industrie, rispetto agli uomini, che ne-cessitano DPI, soprattutto se ci riferiamo ai DPI anti-caduta di III^ categoria.

Secondo l’OSHA, nel 2010 solo circa il 9% dei lavora-tori nel settore delle costruzioni erano donne (cioè solo 818.000)

Di queste, solamente 200.000 come operaie o addet-te di cantiere o in altre mansioni (RSPP, CSE, Respon-sabili dell’attività).

E gli USA sono un paese grande ed avanzato rispetto all’Italia dove questi numero sono sensibilmente in-feriori.

DPI: un mondo per soli uomini o quasi.

Poiché nell’industria la maggior parte dei lavoratori sono uomini, anche la maggior parte dei DPI è pro-gettata sugli uomini.

E’ una questione economica basata sui grandi nume-ri.

Quindi le donne che utilizzano questo tipo di DPI (progettati sull’uomo) possono essere esposte a ul-

teriori rischi per la loro sicurezza.

Vediamo alcuni esempi seguiti da suggerimenti espo-sti da donne esperte del settore.

Otoprotettori.

Gli otoprotettori sono generalmente taglia unica, so-prattutto per quanto riguarda l’apertura.

Un consiglio per le donne potrebbe essere quello di utilizzare tappi per le orecchie monouso in schiuma i quali hanno maggiori probabilità di adattarsi ai canali auricolari più piccoli.

Elmetti.

Sono tutti taglia unica anche se hanno un cinturino regolabile.

Non è esclusiva unica delle donne ma, in genere, sono loro ad avere capelli più lunghi e folti degli uo-mini.

L’aggiunta di un sottogola può sicuramente aiutare a mantenere in testa l’elmetto protettivo anche in caso di capelli molto lunghi.

Occhiali di sicurezza.

Attenzione agli occhiali “taglia unica”.

Anche qui, alcuni potrebbero essere troppo grandi per il viso di una donna e permettere a oggetti, fluidi o altri materiali pericolosi di penetrare attraverso gli spazi vuoti nelle guarnizioni.

L’uso di una visiera integrata all’elmetto potrebbe bypassare il problema.

Indumenti, scarpe e guanti protettivi.

Se parliamo di DPI di I^ o II^ categoria, il mercato al femminile offre molto.

Soprattutto perché abituato a fornire aziende manu-tentrici, preparazione cibo e pulizie, settori a largo impiego di personale femminile.

Donne in rope access durante un’esercitazione – foto tratte dalla pagina facebook Women in Rope Access

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Cosa diversa se parliamo di indumenti antifiamma, tute trivalenti o stivali antincendio.

Prendere un capo da uomo e modificarlo per adat-tarlo a una donna, come rimboccarsi le maniche o le gambe dei pantaloni, può essere pericoloso perché il tessuto in eccesso può rimanere impigliato nei mac-chinari.

Anche se poi ci sono aziende come la Covergalls

(azienda sempre canadese) che a queste cose ci ha pensato.

Maschere e APVR

Le membrane di chiusura delle maschere e semima-schere, filtranti o isolanti, sono abbastanza elastiche ma non è raro che rimangano fin troppo grandi per i volti più minuti di molte donne.

Di vitale importanza, soprattutto in questo caso, è eseguire un corretto fit test per consentire anche alle donne di valutare il modello per loro più congeniale.

Quali i rischi nell’indossare DPI anticaduta non specifici per donne.

Secondo uno studio del 2013 pubblicato su Human Factors: The Journal of the Human Factors and Er-gonomics Society (Vol. 55, n. 1), un’imbracatura di dimensioni inadeguate può ostacolare i movimenti di un lavoratore/lavoratrice e comprometterne la capacità di lavorare in sicurezza.

Può anche diminuire il tempo minimo prima che su-bentri la sindrome da sospensione inerte, una con-dizione che può verificarsi dopo una caduta e che è

potenzialmente fatale.

Una sindrome in cui il sangue si accumula nelle gam-be e se ne riduce la quantità in circolazione.

I ricercatori hanno raccomandato ai datori di lavoro di orientarsi su imbracature anticaduta specifiche per uomini o per donne, con tre taglie per ciascun sesso, anziché continuare a utilizzare i modelli unisex standard o, peggio ancora, taglia unica.

Sul mercato europeo in generale, a 3 taglie di imbra-catura per modello ci arriviamo, ma a 3 per sesso, no.

Altro problema lo possono dare i dissipatori che, da studi fatti proprio in Italia da INAIL, “dissipano meno” quegli operatori sotto i 60 chilogrammi.

Come abbiamo spiegato più volte, questi si attivano allo svilupparsi di circa 250 kg di forza di arresto.

Contrariamente a quanto si possa pensare, operato-ri leggeri come possono essere le donne, in caso di caduta potrebbero non sviluppare abbastanza “kili” da attivarli.

Di conseguenza il contraccolpo è più forte sulla

struttura scheletrica.

Quali DPI usano le donne che lavorano in quota o in fune.

Nel mio googlare, mi sono imbattuto in un gruppo Facebook molto interessante dai contenuti a dir poco spettacolari.

È il gruppo Women in Rope Access dal quale, se-guendo vari post e link, sono approdato ad interviste rilasciate da operatrici su fune.

Ad esempio, ho trovato un bell’articolo di Leslie Poul-son, un tecnico IRATA di Secondo Livello, originaria della Nuova Zelanda ma che lavora in Canada.

All’inizio spiega perché si è dedicata a questo tipo di lavoro tipicamente maschile.

Sostanzialmente per le stesse ragioni per cui iniziano gli uomini:

L’elmetto sopra capelli molto lunghi e folti potrebbe avere problemi di fitting… non è solo un problema di colori femminili

Leslie Poulson “appesa” ad un impianto industriale in una foto tratta dal suo articolo su Rope Access USAImbracatura Go Pro Girl della Norguard Industries Inc.

Imbraco MIss Miller (o MIss Honeywell) della Miller, azienda del gruppo Honeywell.

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“Arrampicavo già, perché non farlo anche per lavo-ro? Avevo già un lavoro ma questo sembrava più di-vertente e “più figo…”.

Prosegue con le esperienze e le interazioni con i col-leghi maschi in siti e lavori tipicamente da uomini.

Non si sofferma troppo sulle attrezzature, piuttosto sulle differenze fisiche e nella forza necessaria nello svolgere certi lavori o certi interventi di soccorso.

Ma anche nei vantaggi di essere donne, più attente e sensibili a certi compiti, più “leggere”.

La seconda intervista che ho trovato è quella a Tif-fany Junge, un tecnico IRATA e SPRAT di Secondo Li-vello che ha partecipato alla costruzione di numerosi Grandi Stadi.

In questa intervista alla fine, le fanno una domanda:

Hai richieste di funzionalità su un’imbracatura speci-fica per donna, se mai dovesse esistere?

“Niente di specifico per le donne, solo un fitting più piccolo e con molti passanti”.

Qual è il tuo attrezzo preferito per l’accesso alla fune e perché?

“Paracord da 5 mm (sagola in fune – N.d.T.)….Haha!

Tiffany Junge in cantiereTiffany Junge in cantiere

Puoi usarlo per i soccorsi, consegnare strumenti ai colleghi, legare materiali, creare passanti per i piedi, ecc … E’ un piccolo e pratico strumento leggero da tenere nel tuo kit”.

La risposta ai DPI per donna di alcuni produttori.

Interviste come questa mi portano a varie pagine tra cui quella di un’azienda canadese, la Norguard Indu-stries Inc., che proprio per rispondere alle esigenze di queste nuove donne tecnici del rope access, nel 2009 ha adattato una sua linea sua linea imbracature alle esigenze femminili.

Peccato che nel 2020, sul sito ufficiale della Norguard questa linea sia sparita così come dai maggiori nego-zi on-line.

Un altro tentativo lo ha fatto, nel lontano 1998, la Miller (oggi marchio di proprietà della Honeywell) con la linea Miss Miller (o Miss Honeywell).

Prodotta nel 1998, l’imbracatura di sicurezza antica-duta Miss Miller era, a loro dire, l’unica imbracatura anticaduta sul mercato appositamente “progettata da donne per le donne”.

Al posto delle spalline incrociate, questa imbracatura manteneva le spalline laterali lontano dal petto e il design dell’imbracatura offriva un migliore supporto dell’anca e un maggiore comfort.

Interessanti le taglie, dalla XXL alla XXS (su richiesta).

Ma anche della Miss Miller, non vi è più traccia sui siti europei.

Radicalmente diverso.

Un’innovazione assoluta arriva invece dalla Tractel con un’imbracatura disegnata appositamente per donne, non un semplice adattamento.

Si tratta della linea Ladytrac, vincitrice dell’IPAF Inno-vation Award (International Powered Access Federa-tion), al Bauma 2010 e primo premi per l’innovazio-ne ad Expoprotection 2010

Soluzioni inutili o un’opportunità di mercato?

Se rileggiamo bene l’intervista del tecnico Tiffany Junge, anche lei dice che l’unica cosa veramente ne-cessaria è una migliore regolazione a partire dalle ta-

Imbracatura Tractel Ladytrac

Un problema che gli uomini non hanno è quello di avere adeguati abiti di protezione che si adattino al cambiamento delle forme durante una gravidanza – foto tratta dal catalogo Tarmac

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glie più piccole.

Le tecnologie di regolazione utilizzate oggi, sui pro-dotti più performanti e di migliore qualità , permet-tono infatti una buona regolazione.

Produttori come KONG hanno infatti introdotto la taglia S nella loro gamma HHO Turbo, un’imbracatu-ra anticaduta, molto indicata anche per gli ambienti confinati.

Allo stesso modo, anche CT Climbing Technology ha introdotto la taglia regolabile dalla S alla M.

PETZL invece la chiama Taglia 0, la più piccola, e par-te da un girovita di 65 cm.

Insomma, la taglia e la flessibilità nelle regolazioni dell’imbracatura sono i fattori determinanti in grado di fornire la giusta sicurezza anticaduta alle donne.

Tutto il resto, come la scelta dei colori declinati al femminile, diventa una pura questione di stile.

In conclusione, come regolarsi nella scelta dei DPI per donna.

I Dpi specifici per le forme e taglie femminili, a meno che non siano abbigliamenti o complementi di I^ o II^ categoria, sono pressoché inesistenti o difficili da reperire.

E’ altresì vero che tali mancanze possono essere fa-

cilmente compensate con prodotti più flessibili e tec-nici, in grado di adattarsi più comodamente e con gli accessori UTILI.

Come nel caso delle imbracature di buona marca che partono dalla taglia S e o degli elmetti con sottogola regolabile e visiera protettiva.

NO alle “taglie uniche”: sconsigliatissime, da evitare nella maggior parte dei casi.

Come abbiamo più volte ribadito all’interno delle pubblicazioni di IN-SAFETY® , e come spesso faccia-mo vedere durante i nostri workshops IN-SAFETY® Solutions Tour, l’importante è testare i DPI, provarli.

INVIA UNA RICHIESTA

Per questo evitate di comprare alle ceca o solo su ca-talogo, rivolgetevi ad uno specialista in grado di con-sigliarvi al meglio e farvi fare delle prove.

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Il racconto dell’esperienza di un professionista della formazione

che si è conquistato la fiducia dei lavoratori più tosti dell’alta

Toscana, i cavatori e i tecchiaioli.

UOMINI E ALTEZZEUOMINI E ALTEZZEAlessandro RaspanteAlessandro Raspante

Alessandro Raspante è il fondatore di Urano, un polo formativo con sede principale in Pietrasanta (LU) che da tempo si dedica alla formazione e all’addestra-mento pratico.

La sua bravura e i riconoscimenti ricevuti dipendo-no, oltre che dalle sue capacità, anche dall’abilità di costruire rapporti costruttivi con i migliori specialisti della sicurezza, tra cui gli specialisti IN-SAFETY®

E’ così in grado di fornire ai propri discenti delle esperienza formative e operative in grado di lasciare il segno.

Nell’articolo che segue, Alessandro ci racconta in pri-ma persona come ha iniziato ma soprattutto la sua esperienza come formatore e istruttore in uno dei settori più affascinanti del tessuto produttivo tosca-no, le cave di marmo.

Il professionista si racconta.

Alessandro Raspante, Perito Industria-le, classe 1984, nato e cresciuto in Versilia. “Al termine degli studi tecnici ho vissuto il periodo del praticantato dove ho conosciuto quella che sa-rebbe diventata il “mio grande amore” e che ha se-gnato in modo indelebile il mio percorso lavorativo e personale: la cara e vecchia 626.

Ho svolto per anni l’attività professionale, prima come consulente e poi come formatore ed istruttore.

In questo periodo ho maturato la convinzione di vo-lermi dedicare ai lavoratori come persone, cercando sempre più di abbracciare la “regola” del famoso (o famigerato secondo alcuni studi) “Cono dell’Appren-

dimento” di Edgar Dale, secondo cui quello che fac-ciamo tramite esperienze reali o simulazioni rimane maggiormente impresso e ne ricordiamo una parte maggiore.

Questo nel 2014 mi ha portato, insieme ad un grup-po di colleghi, a fondare URANO, un polo formativo in cui il focus fosse quello di erogare formazione ed addestramento che potessero lasciare il segno nei partecipanti.

Non è un caso quindi, visto il nostro particolare focus, se mi sono imbattuto in Cristiano Bianchi e Emanuele Mazzieri di IN-SAFETY® che dell’esperienza pratica e operativa per “la ricerca di soluzioni per la sicurezza” ne hanno fatto la loro principale missione.

Tra il dire e il fare.

Troppo spesso l’applicazione della normativa in ma-teria di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro viene

ridotta e sminuita a dei semplici “adempimenti buro-cratici”, che passano attraverso la predisposizione di documenti di valutazione dei rischi, fascicoli di pro-cedure ed istruzioni generiche e generaliste, piani di emergenza fotocopia e non rappresentativi della realtà.

E tanta altra carta richiesta solamente al fine di “es-sere a posto in caso di controlli”.

Fortunatamente ci sono anche tante realtà che guar-dano la norma non solo dal punto di vista formale ma si calano in quella che è la sua applicazione so-stanziale facendo cose che hanno senso.

Tra queste realtà virtuose (sperando che prima o poi questo virtuosismo diventi qualcosa di più normale per tutti) abbiamo avuto la fortuna di essere stati nuovamente coinvolti, lo scorso ottobre, dal Comi-tato Paritetico del Marmo della provincia di Lucca.

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Ci hanno contattato per andare a svolgere un’eser-citazione sul recupero ed il primo soccorso alla cava “La Buca” sul monte Altissimo a Seravezza, in provin-cia di Lucca.

All’esercitazione hanno partecipato, insieme ai cava-tori, i tecnici istruttori di URANO, Claudio Massaglia e Fabio Palazzo.

Presente anche personale sanitario medico operan-te nel sistema di Emergenza Territoriale 118, il dott. Fontanini, e personale infermieristico operante come tecnico d’elisoccorso, dott.Giusti Marco.

Oltre a loro, mi ha aiutato anche un caro amico e pro-fessionista di grande esperienza tecnica sui dispositi-vi di recupero e soccorso, Danilo Girelli.

Non ultime, di grande utilità sono state anche le con-sulenze tecniche e gli aggiornamenti su anticaduta e spazi confinati acquisiti dalla recente collaborazione con gli specialisti IN-SAFETY® e dalla partecipazione ai loro utilissimi workshop per RSPP e consulenti del-la sicurezza.

Fuori dalle aule, andiamo sul posto di lavoro.

Negli anni di esperienza che il nostro gruppo ha ma-turato nel settore marmo, non sono mancate le idee per cercare un miglioramento continuo ed una ridu-zione dei rischi nelle attività di cava.

Dopo un attento confronto e scambio di opinioni con i lavoratori interessati, dalle diverse questioni solle-vate è emersa una specifica problematica su tutte: “ma se un lavoratore avesse un infortunio e dovesse essere soccorso nel ravaneto (*), quali sarebbero le procedure? Quali le difficoltà? Come potremmo ge-stirla? Quante e quali le soluzioni a nostra disposi-zione?”

A nostro parere, la miglior risposta da dare era una e semplice, molto diretta e pratica: “Proviamolo!”

Abbiamo così pensato ad una giornata di simulazioni per le attività di soccorso e recupero in caso di in-fortunio, riproducendo al meglio le condizioni in cui avrebbero operato i lavoratori e la squadra di soccor-so aziendale.

Sono state per prima cosa analizzate le attrezzature e

tutti i presidi già a disposizione così da capirne l’effet-tiva utilità e funzionalità in un contesto del genere.

In particolare, la capacità di impiego da parte dei la-voratori per le operazioni di soccorso.

* N.d.A. Il ravaneto è quell’area in pendenza di una cava di marmo o pietra dove si accumulano i detriti ed i materiali di risulta dell’attività estrattiva, simili a canali o “torrenti”.

I lavoratori coinvolti.

L’attività di simulazione e di addestramento ha coin-volto soprattutto i primi lavoratori direttamente inte-ressati da una situazione di emergenza in un ambien-te come quello della cava.

Ambiente in cui i tempi del soccorso risultano essere decisamente dilatati rispetto a contesti meno imper-vi e più accessibili.

Questi lavoratori sono i tecchiaioli cioè gli addetti a sorvegliare e pulire il fronte di cava, la tecchia appun-to in dialetto carrarese.

Per lo svolgimento della loro mansioni sono tutti for-

mati ed addestrati per effettuare lavori su fune ma, proprio per l’attenzione dimostrata dalle cave, pe-riodicamente sono coinvolti in esercitazioni mirate e frequentemente rivolte a gestire situazioni di emer-genza.

Le prove.

Abbiamo deciso di adottare uno scenario in cui il re-cupero dell’infortunato, a causa della gravità dell’e-vento, debba essere effettuato rapidamente, tenen-do conto di possibili condizioni meteo avverse.

Il soccorso in cava, in caso di gravi infortuni, vede normalmente l’intervento dell’elisoccorso ma non di rado, nelle zone apuane, le condizioni meteo sono proibitive e tali da non permetterlo.

Quindi gli interventi dei mezzi di soccorso via terra comporterebbero un forte ritardo.

Da qui la necessità di addestrare e mantenere prepa-rati i lavoratori interni delle cave.

Per l’esercitazione abbiamo previsto due differenti tipologie di recupero.

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La prima con le normali dotazioni in possesso dei “tecchiaioli”, la seconda con attrezzature evolute per velocizzare le manovre, ridurre i tempi di recupero ed aumentare l’efficacia del soccorso.

La prima prova con dotazioni ordinarie.

Nella prima simulazione abbiamo ricreato un possi-bile incidente in periodo invernale con la presenza di nuvole basse, una leggera pioggia e una temperatura vicino allo zero.

Situazione tale da non rendere possibile l’intervento dell’elicottero, che sarebbe quello più opportuno.

Come già spiegato, via terra i soccorsi esterni impie-gherebbero molto tempo ad arrivare prima ancora di attivarsi per recuperare l’infortunato.

Al via della simulazione (e come parte di essa) abbia-mo allertato i soccorsi tramite il numero di emergen-

za (112/118).

Il personale interno della cava ha poi iniziato il recu-pero ed i necessari interventi di primo soccorso.

La finalità è quella di recuperare l’infortunato e met-terlo a disposizione del Soccorso Sanitario, all’inter-no di un’area sicura.

Nell’area sicura, il personale medico potrà eseguire in tutta sicurezza tutte quelle operazioni extra ospe-daliere necessarie a stabilizzare il ferito e a portarlo il prima possibile all’ospedale.

La seconda prova, con attrezzatura avanzata.

Dopo la prima prova, che ha portato a completare il soccorso al lavoratore infortunato con tempistiche che potrebbero essere eccessivamente lunghe, ci siamo focalizzati sul cercare di ridurre questi tempi e

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consentire così un soccorso più efficace.

Per la simulazione abbiamo quindi mantenuto le stesse condizioni definite inizialmente (nuvolosità, pioggia e temperatura tali da non consentire l’inter-vento dell’elisoccorso) ma i dispositivi e le attrezzatu-re impiegate sono state differenti.

Grazie alla presenza e collaborazione delle aziende KONG®, HARKEN INDUSTRIAL® e IN-SAFETY®, è stato allestito un set di attrezzature avanzate per ottimiz-zare il soccorso.

Nella procedura di soccorso sono state quindi intro-dotti alcuni dispositivi quali:• Bipode Grizzly di KONG®

• Barella NetFull di KONG®

• Lokhead Power Hauler di HARKEN INDUSTRIAL®

Come “infortunato volontario”, abbiamo usato il no-stro caro Ruth Lee, il manichino di addestramento a peso reale che abbiamo imparato ad usare ed ap-prezzare durante i workshop IN-SAFETY®

Un manichino realistico e robusto come il Ruth Lee,

consente di poter svolgere in tutta l’addestramento in tutta sicurezza senza mettere realmente a rischio un lavoratore.

Gli esiti della simulazione.

Al termine delle prove sono state raccolte le sensa-zioni dei lavoratori di fronte ai due differenti metodi di soccorso.

Abbiamo proceduto ad analizzare le tempistiche ed i risultati sono stati tanto prevedibili quanto interes-santi: con le attrezzature evolute, oltre ad aver otte-nuto un tempo di recupero dell’infortunato presso-ché dimezzato, il riscontro da parte degli addetti è stato estremamente positivo, con un vivo interesse a nuove proposte utili a migliorare la loro attività.

Soprattutto, grazie anche a questo tipo di attrezza-tura, alla fine delle prove gli addetti al soccorso si sono sentiti meno stanchi (e quindi più lucidi) e più soddisfatti per aver “fatto presto” a salvare un loro compagno… seppur un compagno di ghiaia e kevlar.

Ne abbiamo ricavato anche un video realizzato per riassumere le attività delle due simulazioni

Testi e immagini di Alessandro Raspante - Gruppo Urano

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Case study che riguarda la progettazione delle procedure per l’utilizzo della poliurea in un ambiente confinato come un biodigestore, a cura dello specialista Giovanbattista Faena di ID Linee Vita.

Uso della poliurea nello Uso della poliurea nello spazio confinato di un spazio confinato di un

biodigestorebiodigestore

Lavorare in un biodigestore con un prodotto particolare come la poliurea, prevede l’utilizzo di particolari dispositivi di sicurezza da abbinare a buone procedure che consentano un ingresso, un’uscita e un eventuale tempestivo soccorso.Giovanbattista Faena, specialista IN-SAFETY® , oltre che di sicurezza industriale e linee vita, si occupa anche del ripristino dell’impermeabilizzazione di ci-sterne industriali e coperture mediante l’impiego di prodotti particolari come la poliurea.

In questo case study, ci spiega quali sono i rischi lega-ti all’uso di tali prodotti e come impostare il lavoro in sicurezza all’interno di uno spazio confinato.

Cosa è la poliurea e quando si utilizza.

La Poliurea è un elastomero ovvero un composto chimico che si ottiene dalla reazione di un isocianato alifatico (o di un prepolimero isocianico) con un’am-mina polifunzionale o altre miscele di ammine.

Il rapporto di miscelazione è in genere di 1 a 1.

Questi reagenti vengono miscelati con un sistema spray (spruzzati insieme direttamente sulla superfi-cie di posa) e subito dopo, in meno di un minuto, la miscela si indurisce grazie alla suddetta reazione.

In questo modo crea una pellicola continua, di anche 2-3 mm di spessore, in grado di garantire impermea-bilizzazione al 100% anche su vecchie guaine bitumi-

nose o fibrocemento.

E’ un sistema molto utilizzato anche per risanare ci-sterne e vasche ad uso alimentare.

Ma non siamo qui per descrivere e decantare le ca-ratteristiche “buone” della poliurea.

Se volete approfondire l’argomento, vi consiglio il blog Poliurea Italia.

I rischi chimici per la salute nel lavoro con la poliurea.

Poliurea.

Il prodotto reagito, POLIUREA, non è classificato come pericoloso nel suo stato polimerizzato.

Tuttavia la reazione di poliammine e isocianati è una reazione esotermica.

Ciò significa che mentre il prodotto reagisce sviluppa calore e, se non applicato correttamente, può provo-care ustioni laddove finisse sulla pelle del lavoratore.

Resina Poliammine

Le poliammine utilizzate nella poliurea sono classifi-cate corrosive, e pericolose per l’ambiente.

Si deve usare quindi cautela durante la manipolazio-ne e il trasporto.

Quando si maneggia la resina o parti di apparecchia-ture che potrebbero essere contaminati con resina, è necessario utilizzare:

• occhiali di sicurezza;

• guanti resistenti alle sostanze chimiche:

Sulla pelle, possono provocare ustioni chimiche.

Isocianato

Il lato isocianato utilizzato con la poliurea è spesso classificato dannoso ma in alcuni casi può essere classificato anche tossico .

La manipolazione di isocianati può essere trattata, in generale, allo stesso modo della resina.

Con l’eccezione che non è corrosivo ma reagisce con l’umidità.

In questa reazione si forma un gas, la CO2, che po-trebbe portare ad accumulo di pressione nei fusti chiusi.

Inoltre può causare irritazioni della pelle ed al siste-ma respiratorio.

L’esposizione continua al di sopra dei limiti può por-tare alla sensibilizzazione del lavoratore, il che signi-fica che, successivamente, per lui potrebbe non es-sere più possibile lavorare con gli isocianati.

Ma questo può essere evitato quando si prendono le corrette precauzioni.

Le precauzioni da prendere in fase di posa della poliurea.

Fase di spruzzo.

Anche se la poliurea nella sua forma polimerizza-ta non è nociva, inalare il prodotto quando viene spruzzato è dannoso.

Durante la fase di atomizzazione (spruzzo), l’aria si riempie di aerosol e vapori.

L’unico modo per evitare l’esposizione è quello di in-dossare l’abbigliamento protettivo adeguato e ade-guati APVR (Apparecchi di Protezione delle Vie Re-spiratorie.

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Questo non vale solo per la persona che gestisce la pistola a spruzzo, ma per tutto il personale presente che può essere esposto ai vapori e all’aerosol.

Solventi.

La Poliurea, in generale, è una tecnologia priva di sol-venti, tranne quando si parla di gestione e manuten-zione dell’attrezzatura impiegata.

Per pulire la pistola e nell’usare le attrezzature per la pulizia, spesso vengono impiegati dei solventi.

In presenza di tali solventi, si devono applicare tutte le precauzioni come indicato nella Scheda Di Sicu-rezza.

Apparecchiature ad alta pressione.

La macchina a spruzzo (apparecchiature ad alta pres-sione) è progettata per riscaldare prodotti chimici a circa 75°, ad una pressione di circa 200 bar.

E’ necessario per cui mantenerla sempre in buone condizioni.

Oltre alla temperatura e alla pressione, vi sono an-che i rischi legati alle parti in movimento.

Per questo l’utilizzo di queste macchine dovrebbe essere limitato solo a personale qualificato ed ad-destrato.

Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Come protezione per gli occhi, quando si spruzza è bene utilizzare una maschera pieno facciale.

In questo modo sono protetti sia gli occhi che le vie respiratorie.

Quando si spruzza o si lavora in una zona non suffi-cientemente ventilata, la protezione delle vie respi-ratorie è obbligatoria!

In caso si scelgano APVR filtranti, al posto di quel-li isolanti, (leggi la seguente sintesi di IN-SAFETY® ), la cartuccia del filtro deve essere quella corretta, da leggere sulla scheda di sicurezza.

A protezione della pelle, si devono impiegare guanti e indumenti resistenti ai prodotti chimici.

E’ importante coprire anche la testa e i capelli.

Le precauzioni aggiuntive all’interno di un biodigestore.

Un biodigestore o una cisterna, in cui abitualmente interviene Giovanbattista, è a tutti gli effetti un am-biente confinato o sospetto di inquinamento.

Nel caso in esame, si tratta di un biodigestore in cal-cestruzzo armato, ad uso produzione biogas.

Non è stato progettato, ovviamente, per la presenza costante di personale umano.

Inoltre, presenta scarsa ventilazione.

L’ingresso è dal basso, dal piano di campagna, ma la maggior parte del lavoro da compiere è sulle pareti interne che si sviluppano verso l’alto.

Ecco che, una volta installati i ponteggi all’interno, nasce la difficoltà di estrazione di un eventuale fe-rito.

Bonifica iniziale e ventilazione.

La ventilazione preliminare interna al digestore vie-ne garantita mediante l’apertura di un pozzetto sulla sommità della struttura stessa abbinata all’apertura dell’accesso inferiore.

All’apertura inferiore vengono applicati due elettro-ventilatori Trotec da 2500 mc/ora in grado di garan-tire il ricambio forzato dell’aria, immettendo aria pu-lita dal basso.

Si è calcolato, in base all’analisi preliminare dell’at-mosfera, alla volumetria e alla portata degli elettro-ventilatori, che fossero sufficienti 24 ore di ricambio preventivo.

Accesso.

L’accesso, dal piano di campagna, è stato possibile a partire quindi dal giorno seguente.

Un operatore alla volta, dotato di rilevatore di ossi-geno ed esplosimetro, che lavori sul ponteggio.

A questo scopo si è utilizzato un Dräger X-am® 8000, in grado di misurare contemporaneamente da 1 a 7 gas tossici o infiammabili, nonché vapori e ossigeno.

Ne abbiamo parlato nell’articolo Rilevatore di gas portatile per spazi confinati: scelta e corretto uso.

Lavorazione e protezione del lavoratore.

Giovanbattista ha usato un prodotto della Krypton Chemicals denominato Rayston Poliurea 2W, parti-colarmente indicato per cisterne e biodigestori (al-leghiamo scheda di sicurezza).

Successivamente, entra anche il secondo lavoratore e iniziano l’operazione di applicazione della poliurea impermeabilizzante a spruzzo.

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Un terzo operatore rimane all’esterno a vigilare gli altri due, coadiuvato da un quarto, pronto ad inter-venire in caso di emergenza.

Uno dei due operatori all’interno è anche dotato di radio ricetrasmittente per mantenere il contatto continuo con gli operatori esterni.

Gli operatori all’interno sono dotati di maschera fac-ciale tipo Honeywell Optifit Twin con doppio filtro per vapori organici, di colore bianco-marrone.

In alcuni punti è stato ritenuto necessario adotta-re un Dispositivo di respirazione Free Air della Ho-neywell modello 4BA.

Esso è un APVR di classe 2, progettato per la prote-zione delle vie respiratorie con la respirazione spon-tanea e presa d’aria da un punto sicuro lontano fino 20 metri.

Offre isolamento con aria a pressione atmosferica ed è conforme agli standard EN 138:1995.

Un autorespiratore AERIS Confort Tipo 2 è pronto, all’esterno, in caso di emergenza atmosferica.

Per la protezione di mani e pelle, indossano tutti guanti e tuta in Tyvek per protezione chimica (con cappuccio).

Soccorso e recupero dal biodigestore.

Per il recupero di un eventuale operatore ferito, dai piani di ponteggio, è stato previsto l’uso di un di-spositivo discensore a norma EN 341 (vedi articolo Evacuazione: 3 sistemi per scendere velocemente in caso di emergenza).

Gli operatori sono tutti dotati di imbracatura con at-tacco dorsale ma, nei casi più gravi è previsto anche l’utilizzo di una barella di tipo rollabile Rolly prodot-

ta da KONG.

In ogni caso l’operatore dovrà essere calato dal pon-teggio al livello più basso, dove si trova l’uscita dal biodigestore.

Una volta che l’operatore si troverà al piano di cam-pagna, potrà essere portato all’esterno e consegna-to al Soccorso Sanitario.

Non una procedura standard.

Come ben sappiamo, non esistono procedure stan-dard.

Giovanbattista ha elaborato le procedure di inter-vento e soccorso basandosi sulle buone pratiche e sull’esperienza pluriennale accumulata nella posa di impermeabilizzazioni in poliurea e nel lavoro in am-bienti confinati o in quota.

Di questa esperienza fa parte anche la conoscenza delle tecniche e delle tecnologie oggi a disposizione di chi opera in talune condizioni.

Esperienza che uno specialista IN-SAFETY® può met-tere a disposizione di chi deve gestire interventi con simili complessità e rischi.

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