UPPA febbraio 2010 - digilander.libero.it

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bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani Bimestrale. Poste Italiane s.p.a. Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. I, comma I, DCB ROMA. Aut. n. 15/2009 SPECIALE: PARLARE, LEGGERE E SCRIVERE Realizzato e diffuso con la collaborazione dell’Associazione Culturale Pediatri Anno X n. 1/2010 - Euro 2,50 un pediatra per amico un pediatra per amico Nati per Leggere INSERTO STACCABILE Il piccolo guerriero di Silvia Forzani PARTI CESAREI: TROPPI, INUTILI E FORSE DANNOSI ASILI NIDO: PER SCELTA E NON PER OBBLIGO GUARIRE LA PAURA CON LE FIABE

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bimestrale per i genitori scritto dai pediatri italiani

Bimestrale. Poste Italiane s.p.a.Spedizione in AP - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. I,comma I, DCB ROMA. Aut. n. 15/2009

SPECIALE:PARLARE, LEGGERE E SCRIVERE

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INSERTO STACCABILE

Il piccolo guerriero

di Silvia Forzani

PARTI CESAREI:TROPPI,

INUTILI EFORSE

DANNOSI

ASILI NIDO:PER SCELTAE NON PER

OBBLIGO

GUARIRELA PAURA

CON LEFIABE

quante cose ci sarebbero da scrivere su questo numero,ma mi tocca accontentarmi dell’angusto spazio che quel-l’avaro di direttore mi concede. Intanto, l’avrete notato, ècambiato il formato del nostro giornale (meno ingom-brante e più pratico); poi è cambiata un po’ anche la ve-ste grafica (ogni tanto occorre adeguarsi alla moda); masoprattutto è cambiata la carta (d’ora in poi sempre esoltanto carta riciclata, per non fare come quelli che pre-dicano bene…). Quanto ai contenuti, voglio commentare l’articolo che misembra più importante: quello che dovrebbe interessare, enei fatti invece non interessa, tutti quanti, anche quelliche hanno bambini con la parlantina sciolta e che leggonorapidissimi, che non si lasciano traumatizzare e che nasco-no senza cesareo: i sacchi di plastica. Sono comodi, servono poi a raccogliere l’immondizia, tuttii negozi li adoperano, tutti i compratori li accettano. E così

cresce un’isola di merda in mezzo al mare, le balene si“stragugliano”, i pesciolini ne staccano piccoli morsi e ce lipassano a noi, quando li mangiamo i pesciolini, pezzettinisempre più piccoli e quasi immortali, ma che quandomuoiono diventano molecole, a loro volta immortali matossiche, e noi diventiamo impotenti, sterili, criptorchidi echissà cosa altro (verità, verità, non mi invento niente). E il nostro mondo, ormai piccolissimo, che deve sostenere6, 7 e dopodomani 12 miliardi di uomini, mentre era fattosì e no per tollerarne poche diecine di milioni, si “stragu-glia” anche lui. Di merda. Respiriamo merda, facciamo ilbagno nella merda, mangiamo merda. Il nostro livello ditolleranza cresce progressivamente. Per cambiare atteg-giamento occorrerà davvero la catastrofe? Anch’io accettoil sacchetto di plastica al supermercato, e lo adopero poiper l’immondizia. E perché dovrei fare diversamente? Nonsarà certo il mio sacchetto a cambiare il destino del mon-do. Certo, occorre la legge, dieci leggi, cento leggi. Comela legge del casco per chi va in motoretta: tante vite salva-te, vite di chi, invece, per conto suo, il casco non se lometterebbe mai. Ma la legge, per esserci, non deve venirerimandata di anno in anno con un semplice emendamento(che, per carità, ha le sue giustificazioni, perché ci sonoimprese, fabbriche, operai che fanno sacchetti: ma ancheloro, non possono diversificarsi se gli dai il tempo? Magliel’hanno dato, e non si sono diversificati. Tanto c’è sem-pre il deputato che fa scivolare l’emendamento). L’ho fatta lunga e riprendo, la legge, per esserci, ha biso-gno di essere sostenuta da un sentimento universale. E al-lora, nel suo piccolo, UPPA cerca di alimentarlo, col cuore.E io andrò al supermercato con la sporta e non accetteròla plastica.

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Franco PanizonHa diretto la Clinica Pediatricadell’Ospedale Infantile di Trieste

Cari genitori,

* Non ti preoccupare, c’è *www.uppa.it

www.uppa.itTutto quello che avresti voluto saperee nessuno ti ha mai saputo dire.

direttore responsabile Vincenzo [email protected] Franco Panizonreferente dell’Associazione Culturale Pediatri Laura Realiredazione: Silvia Bencivelli medico e giornalista, Roma; Ros-sella Castelnuovo giornalista scientifico, Roma; Stefano Go-rini pediatra di famiglia, Rimini; Marina Macchiaiolo pedia-tra dell’Ospedale Bambino Gesù, Roma; Lucio Piermarinipediatra, Terni; Alessandra Puppo ostetrica Centro NascitaMargherita, Firenze; Paolo Roccato psicoanalista della SocietàPsicoanalitica Italiana, Torino; Paolo Sarti pediatra di famiglia,Firenze; Maria Cristina Stasi esperta di giocattoli, Centro di

Cultura Ludica, Torino; Giacomo Toffol pediatra di famiglia, Pe-derobba (TV); Elena Uga pediatra dell’0spedale di Vercelli; Ri-ta Valentino Merletti studiosa di letteratura per l’infanzia,Torino; Caterina Vignuda pediatra di famiglia, Roma. coordinamento redazionale e raccolta immagini Sonia Bozzi,[email protected] Flavia Dabundo, Francesca D’Ottavi,Franco Panizon, Davide Pizzolante impaginazione Carlo Marzovillo - Nosis srl [email protected] per la pubblicità: QuickLine sas

Via Santa Caterina da Siena, 334122 TriesteTel. 040.77.37.37

pubblicità Ombretta Bolis - [email protected] e servizio esecutivo Ilaria [email protected] via Etruria 65 - 00183 Roma tel./fax 06.89.01.46.22 [email protected] SO.GRA.RO. - RomaStampato su carta prodotta da fibre riciclate al 100%

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ASSOCIATO A:

Bimestrale per i genitori scritto e diffuso dai pediatri in collaborazione con L’Associazione Culturale Pediatri

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3 CARI GENITORI di Franco Panizon6 NASCERE

CCesare e i suoi fratellidi Ivana Arena

10 COSA C’È DI VEROL’asilo dell’obbligo di Paola Liberace

12 LO SPAZIO DELLA MENTEBambini traumatizzati (e bambini di più)di Paolo Roccato

14 STORIE DI ORDINARIA PEDIATRIALa pappina dello sbucciapisellidi Lucio Piermarini

16 NATI PER LA MUSICACanta che si cresce di Johannella Tafuri

19 SPECIALE: PARLARE, LEGGERE E SCRIVERE Non tutte le ciambelle riescono col bucodi Franco Panizon

20 Non è (quasi) mai troppo tardi di Alessandro Bozzi27 Parole, parole, parole di Vincenzo Calia29 Che cos’è la dislessia di Federica Zanetto31 L’importanza di una diagnosi tempestiva

di Giovanni Sapucci

33 CASA DOLCE CASAIlluminata di fantasia di Valentina Beato

34 UN MONDO POSSIBILEEcco qui un buon cittadino di Anna Peiretti

38 UN MONDO POSSIBILEUn sacco brutto di Elena Uga

40 VENGO ANCH’IOViaggio intorno al libro di Rossella Faraglia

41 LA RICETTAMagie di pappadi Miralda Colombo

42 LETTURE PER BAMBINIChe noia la savana! di Sonia Bozzi

43 LETTURE PER GENITORIIl mondo salvato dalle donne di Rossella Faraglia

42 Posta & Risposta

Anno X numero 1/2010foto di copertina Marcello Savio

SOMMARIO

Cesare e i suoi fratelli

NASCERE

In Italia si praticano troppi particesarei e la maggior parte nonha nessuna giustificazione.

I parti cesarei sono spesso indispensabili e certamente hannocontribuito ad annullare la mortalità neonatale e materna e idanni da asfissia neonatale. Ma sono anche una comodità peril sistema: si programmano, si esauriscono in poche decine diminuti e aumentano il “peso” del ricovero (cioè ne aumentanola retribuzione economica). In sintesi, il loro indiscutibile eccessoè uno dei tanti segni di una prepotenza medicalizzante. Certo,le donne incinte sono soggette a questo potere e non possono,loro, fermare l’epidemia: lo possono fare solo i medici, il loro ri-pensarci su, la loro coscienza. E certamente i Direttori generalidegli Ospedali, almeno degli Ospedali Pubblici: la loro intelligen-za (se ce l’hanno); e i controllori (se sono onesti) del rapportotra pubblico e privato convenzionato.

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S empre più donne in tutto ilmondo si ritrovano a dover af-frontare un taglio cesareo. In

Italia una donna su tre subisce unparto cesareo, ma i motivi che giu-stificano l’abuso di questo praticanon sono chiari. Le partorienti igno-rano, nella maggior parte dei casi, irischi legati a questo tipo d’inter-vento e, anche dopo averlo subito,non sanno perché i medici vi sonoricorsi. A volte viene assecondata l’e-splicita richiesta di poter ricorrere adun parto cesareo; viceversa, alla mag-gior parte delle donne che chiedonodi fare un parto “naturale” dopo untaglio cesareo viene risposto che que-sto non è possibile, nonostante lechiare raccomandazioni in tal sensoda parte dell’Organizzazione Mondia-le delle Sanità.Nella maggior parte dei casi, i motiviper cui si ricorre al cesareo non ven-gono chiariti semplicemente perchénon ce ne sono di abbastanza validi.Ho incontrato molte donne alle qualinon era stato spiegato il motivo diquel taglio sulla pancia. È anche ve-ro che molte non se lo chiedono, af-fidandosi ad occhi chiusi al proprioginecologo o al ginecologo che trova-no in reparto nel momento del parto.Capita ancora di incontrare donnesottoposte a cesareo preventivo,cioè operate ancor prima di comin-ciare il travaglio di parto perché ilbambino aveva un giro di cordoneintorno al collo visualizzato ecografi-camente, particolare che dal puntodi vista clinico non ha alcun signifi-cato. Per non parlare del fatto che èancora utilizzata la definizione di“gravidanza preziosa” per giustifica-re tagli cesarei su donne che hannofatto un’inseminazione artificiale.Come se alcune donne fossero piùpreziose di altre.Non ho mai incontrato una donnache avesse richiesto un cesareo sa-pendo esattamente a cosa andava in-contro, in particolare non ne ho co-nosciuta nessuna che sapesse chia-ramente quanto aumenta il rischio dimorte, per lei stessa e per il bambi-no, se il taglio cesareo viene pratica-to senza indicazione clinica, cioèsenza motivo valido.

L a richiesta di cesareo da partedelle donne deriva dalla pauradel parto vaginale raccontato

spesso dalle altre donne della fami-glia, paura del dolore, delle compli-canze, paura per il bambino. Ma sequeste paure avevano motivo di esi-stere per le nostre nonne, nel nostrocaso vanno molto ridimensionate.Negli ultimi anni le condizioni igieni-co-sanitarie hanno raggiunto livellimolto alti, le donne hanno a propriadisposizione strutture ospedaliereall’avanguardia e attrezzate per ognievenienza, che consentono di parto-rire in assoluta sicurezza. Ciò nono-stante, il parto è vissuto ancora co-

me un’esperienza spesso traumaticae, soprattutto, infelice. Mentre le po-che donne che partoriscono in casa,o in modo completamente naturale,raccontano il loro parto come un’e-sperienza esaltante e gratificante,molte di coloro che vengono sotto-poste ad un parto medicalizzato neparlano come di un incubo. Le uni-che esperienze di parto che cono-scono sono di questo tipo, non cono-scono altro. In questo modo si tra-smette un vissuto di paura e soffe-renza di fronte al quale il parto cesa-reo appare come una soluzione inno-cua e indolore, quindi auspicabile.Le conseguenze di questi meccani-smi sono evidenti e i numeri parlanochiaro, le donne che hanno subito unparto cesareo sono sempre di più,donne che nei parti successivi ver-ranno sottoposte ad altri cesarei, in-consapevoli di aumentare il propriotasso di rischio. E se a volte sono le stesse donne achiedere un cesareo, è vero ancheche spesso, quando la donna chiede

NASCERE

Ivana Arena

Ivana Arena, autrice di questo articolo, decide di diventare ostetrica dopo aver su-bito un cesareo nel 1995. Fin dal percorso universitario si dedica in particolare al-l’argomento del parto cesareo e del parto spontaneo dopo cesareo (VBAC) su cuiscrive la tesi di diploma di laurea nel 2000. Nel 2001 partorisce con un VBAC. La-vora da sette anni come ostetrica di Sala Parto e ora anche presso la casa del Par-to di Ostia, una struttura pubblica in cui le donne con gravidanza fisiologica posso-no essere assistite dall’inizio della gravidanza al parto. Nel 2007 ha pubblicato conBonomi il libro dal titolo Dopo un cesareo, come rispondere alle esigenze di mamma ebambino.

di poter fare un parto naturale leviene impedito e la sua volontà nonviene minimamente presa in consi-derazione. Molte donne si vedonoprogrammare un parto cesareo findalla prima visita ginecologica e acoloro che chiedono di poter affron-tare un parto naturale viene spessorisposto che no, non si può, è trop-po pericoloso. Ma cosa significatroppo pericoloso? Le donne do-vrebbero essere messe di fronte ad

una scelta consapevole, dovrebberoavere la possibilità di conoscere i ri-schi e i benefici con informazionicorrette e complete. La maggiorparte delle donne viene spaventatacon la descrizione dei soli rischi checorrerebbe dovendo affrontare unparto naturale, rischi per altro mol-to improbabili, senza che venganoneanche menzionati i rischi legatiad un cesareo ripetuto. Qui entra dinuovo in gioco la paura: per i medi-ci quella di essere accusati e denun-ciati nel caso qualcosa andasse stor-to, per le donne quella di prendereuna decisione in modo irresponsabi-le. Ho incontrato spesso donne acui era stato detto che la scelta delparto naturale era una scelta di pu-ro egoismo.

E ppure lasciare che le donnepartoriscano in modo fisiologi-co ogni volta che questo è pos-

sibile, cioè nella stragrande maggio-ranza dei casi, porterebbe dei van-taggi non solo alle donne e alla lorosalute fisica e psichica, ma a tutta lasocietà, abbassando notevolmente icosti dell’assistenza sanitaria a favo-re di coloro che dell’intervento medi-co hanno realmente bisogno. Le don-ne in gravidanza, come sentenziatodall’OMS già nel 1985, non sono del-le malate e più che di medici hannobisogno di ostetriche, come, più chedi epidurale hanno bisogno di poteravere il giusto sostegno durante iltravaglio, la dovuta tranquillità e ilnecessario rispetto dei tempi fisiolo-gici. Senza nulla togliere all’uso me-raviglioso della tecnologia (cesareo,monitoraggio, epidurale) che va uti-lizzata quando è necessaria. Tornare ad un parto naturale nelsenso più vero è possibile, ma civorrà molto tempo e una grossaspinta da parte delle istituzioni, deimass media, delle donne e dei lorocompagni, delle ostetriche e dei me-dici. Pensiamo a quello che è succes-so con l’allattamento materno e aquanto c’è voluto soltanto per rico-minciare a dargli un valore, figuria-moci quanto ci vorrà a far sì che tut-te le donne abbiano veramente lapossibilità di partorire senza interfe-renze. Solo ritrovando la fiducia nella capa-cità del corpo delle donne di partoriree dei bambini di nascere si potrà pen-sare di cambiare e mettere fine all’e-pidemia di cesarei a cui assistiamoogni giorno, un’epidemia silenziosache ha ripercussioni economiche, so-ciali e sanitarie troppo importanti percontinuare ad essere ignorata.

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NASCERE

[email protected]

Ivana ArenaOstetrica, Roma

Tutti i numeri del parto cesareo

Pur essendo il parto cesareo una “meravigliosa operazione di salvataggio”, comel’ha definita Michel Odent, il suo abuso può avere effetti dannosi sulla salute didonne e bambini e costi sociali molto alti. I parti cesarei sono in continuo aumento in tutto il mondo, nonostante l’OMS neraccomandi il ricorso nel 10-15% dei casi. I parti cesarei in Australia sono cresciu-ti dal 19,4% del 1994 al 29,1% del 2004. Anche negli Stati Uniti la percentuale èsalita fino al 30,2% registrato nel 2005, un dato molto simile a quello dell’Americalatina, dove il 33% dei parti avviene chirurgicamente.Nemmeno l’Italia fa eccezione: Dal 1985 al 2005 la quota percentuale è aumenta-ta del 80% e il nostro paese è superato nei numeri soltanto dal Brasile. In media,secondo il Rapporto Cedap 2004, il 36,9% dei parti avviene con taglio cesareo.Questa percentuale è più alta per i parti che avvengono in case di cura private(57,8% nelle accreditate e 74,2% nelle non accreditate), mentre negli ospedalipubblici si ricorre alla chirurgia nel 34% dei casi.Il triste primato per l’abuso del taglio cesareo spetta a tre regioni del sud (Cam-pania, Puglia e Basilicata), mentre le più virtuose si trovano nel centro-nord (Valled’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Toscana).

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NASCERE

MA IO SPERO DI FARCELASono una pediatra, scrivo su UPPA nel-la rubrica “Un mondo possibile” e so-no una mamma in attesa della terza fi-glia. I miei primi due parti sono staticesarei (TC), d’urgenza e in corso ditravaglio. Non ero pronta al-l’“innaturale” la prima e forse ancorameno la seconda volta, quando le miemotivazioni a partorire spontaneamen-te erano forti tanto quanto le mie co-noscenze a riguardo, ma è andata così.Ma la scelta di un terzo taglio cesareonon è obbligata. Le linee guida dellaSOGC (Society of Obstetricians andGynaecologists of Canada) del 2006non indicano come controindicazionead un travaglio di prova il numero deipregressi TC, a patto che si tratti di ta-gli cesarei non complicati ed effettuaticon taglio trasversale basso a livellodel segmento uterino inferiore (la me-todica operatoria più utilizzata). Il ri-schio di rottura uterina, la più gravecomplicazione del travaglio di provadopo TC, sembrerebbe aumentare leg-germente in proporzione al numerodei pregressi TC, ma resta comunquebasso: nei parti spontanei senza pre-gressi TC, ed è stimato dello 0,2%, do-po un TC sale allo 0,8-1,7%, per arriva-re nei casi più pessimistici dopo più TCal 1,7-3,7%. Oltre alla motivazione per-sonale, in una scelta del genere è im-portante prendere in considerazione irischi dell’intervento chirurgico e ri-cordarsi che in caso di TC programma-to il neonato ha un rischio 7 voltemaggiore di complicazioni respiratorierispetto ad un parto spontaneo. Que-sto solo per dire che è una scelta chedeve essere profondamente motivataed adeguatamente supportata, ma chenon è impossibile. Elena [email protected]

IO CE L’HO FATTASono una di quelle mamme che “non siaccontentano” e che ha lottato perpoter partorire naturalmente dopo uncesareo pretestuoso. Nel numero6/2009 Alessandra Puppo invita la let-trice Serena che vorrebbe partoriredopo 2 cesarei a “concentrare la suamotivazione sull’ulteriore lavoro ma-terno che l’attende, gratificante co-munque sia stata la nascita”. Quello che mi sarei aspettata di leggereè che il cesareo presenta tantissimi ri-schi; i media lo dipingono come velocee “sicuro”, e quasi mai si parla delle diffi-coltà che attraversa la madre dopo unparto così violento e innaturale, cheavrebbe senso solo per salvare la vitadel feto (al massimo nel 15% dei partisecondo l’OMS). Da madre che ha pro-vato entrambi i tipi di parto posso assi-curarvi che vi è un abisso in termini diserenità e di questo risente anche la re-lazione con il neonato. Il cesareo non èun intervento chirurgico qualsiasi, è lanegazione di un’esperienza di importan-za immensa per una donna e per il suobambino. Ormai si tratta non solo diuna consuetudine, ma di una praticaascrivibile ad interessi organizzativi, eco-nomici e legali (tutelare la comodità e ladifendibilità degli ostetrici). In moltissimicasi viene praticato per motivi ben lon-tani dal benessere materno-fetale, e lacosa scandalosa è che, nelle maternità, sista perdendo la capacità di assistere aparti naturali senza interventismi spessoimmotivati (quante presunte macroso-mie fetali, quanti pretesti per cesareielettivi o induzioni ed episiotomiecruente solo per velocizzare il lavoro dichi assiste partorienti spesso costrettein posizione litotomica).Partorire dopo un cesareo è difficile,ma non impossibile: io ce l’ho fatta an-che grazie alla giornalista ElisabettaMalvagna che ha scritto un libro, Parto-rire senza paura, in cui documenta be-nissimo cosa è diventato il parto in Ita-lia, al suo blog che raccoglie tantissimetestimonianze di VBAC (vaginal birthafter cesarean) partoriresenzapaura.blogspot.com e alforum partonaturale.altervista.org.Patrizia, mamma di Alessandro (TC2005) e Valentina (VBAC 2009) [email protected]

Attenzione: non facciamo come Don Chisciotte!

Mi dispiace di essere stata tantomale interpretata: credo di esser-mi prodigata in questi anni (i mieiarticoli su UPPA sono tutti sul sitowww.uppa.it ) nel tentativo didiffondere una cultura della nascitarispettosa dell’evento nei suoiaspetti meno medicalizzati, cercan-do di far riflettere su tematiche inquesto momento poco “alla moda”,come il significato e il valore del do-lore nel parto, sostenendo con forzala possibilità di coniugare sicurezzae umanizzazione. Ho scritto anchesulla colpevole eccessiva, facilitàcon cui oggi si ricorre al cesareo, eproprio in difesa del diritto delledonne ad una libera scelta basatasu informazioni scientificamenteaggiornate. Ma in Italia è di fattoquasi impossibile ricorrere al partovaginale dopo due cesarei (stiamoancora lottando per poter partoriredopo un solo cesareo: sono ancorapochi i medici disponibili e gli ospe-dali in cui è possibile farlo), mi èsembrato inutile e dannoso stimola-re false speranze, aumentando ilvissuto di fallimento e ingiustiziasubita. Ho preferito invece sostene-re la lettrice in una situazione inevi-tabile, orientandola a concentrarsisugli aspetti positivi. Questo non si-gnifica affatto che io sia d’accordosu questa inevitabilità: penso sem-plicemente che non si debba addos-sare un ruolo da Don Chisciotte achi già subisce un evento sgradevo-le. Tocca a noi operatori lavorare,all’interno delle strutture e sullacultura in genere, senza mandareallo sbaraglio le persone coinvolte.Alessandra Puppo, ostetrica Cen-tro Nascita Margherita, Firenzealessandra [email protected]

Socializzazione, accoglienza, si-curezza. Sono queste le ragioniche di solito si citano a sostegno

della scelta di affidare i figli all’asilonido, quando per mamma e papà ar-riva il momento di rientrare al lavoroe, in assenza di nonni o tate, si poneil problema di chi provvederà albambino. Più che “bambini”, tutta-via, sarebbe meglio chiamarli “neo-nati”: ciò che spesso si trascura, po-nendo la questione dei servizi di as-sistenza alla prima infanzia, è appun-to il fatto che si tratti di “prima” in-fanzia. Mentre ci si abbandona adimmaginare asili popolati da serenecomunità di bimbi, felici di giocareinsieme, per otto o nove ore al gior-no, si dimentica il fatto che, almenofino al terzo anno di vita, parlare disocializzazione risulta piuttosto az-zardato. E, allo stato attuale della le-gislazione, l’età alla quale i genitoridevono separarsi dai figli è decisa-mente inferiore ai tre anni: a secon-da dell’utilizzo del congedo parenta-le (a cui non tutti hanno diritto eche non tutti possono permettersi,dal momento che comporta la rinun-cia al 70% della regolare retribuzio-ne), oscilla tra i tre e i nove mesi divita. Un’età nella quale, più che mai,i piccoli non hanno bisogno di farenuove amicizie o di essere piacevol-mente intrattenuti, ma – come han-no sostenuto tra gli altri JohnBowlby e Terry Brazelton - della cu-ra e della presenza dei genitori.La separazione precoce e prolungatadei neonati dai genitori, e in partico-lare dalla madre, è diventata ormaiuna necessità sociale, coperta da

giustificazioni più o meno rassicu-ranti. Una scelta obbligata, più chemeditata; il che non toglie che con-trasti profondamente con le neces-sità fisiologiche e psicologiche deibimbi. Se dalle nostre parti sono an-cora poco diffusi, altrove abbondanogli studi che mostrano come la lonta-nanza dei neonati dalla madre com-porti ripercussioni negative tanto nelbreve periodo (con la crescita dellaproduzione di cortisolo, l’ormonedello stress, man mano che aumentala durata della separazione) quantonel lungo periodo (con lo sviluppo disentimenti di aggressività e compor-tamenti antisociali). Nel 2007, nellaGermania erede della ex DDR – pio-niera nella realizzazione di un siste-ma capillare di asili nido -, la SocietàPsicanalitica Tedesca (DPV) ha pre-so chiaramente posizione sul tema,denunciando il pericolo non trascu-rabile che l’affidamento precoce eprolungato ai nidi rappresenta per lasalute psichica del bambino. Nonche il pericolo decresca con la sceltadi una baby sitter, specialmente sepoco qualificata: nello stesso docu-mento della DPV si sottolineano i ri-schi di conflittualità tra figure di rife-rimento – la madre e la tata - insiti inquesta opzione, nonché il danno pro-vocato dall’eventuale avvicendamen-to di persone diverse nel ruolo delcaregiver.

Ma la separazione dai figli nonè l’ideale neppure dal puntodi vista delle madri: non

sempre, infatti, il primo desideriodelle lavoratrici che hanno avuto figli

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COSA C’È DI VERO

L’asilo dell’obbligo

Se la neomammadeve rientrare allavoro, il nido è unanecessità, non unascelta. Ma è sempregiusto così?

In un mondo che è rapidamente cambia-to in poche diecine di anni e dove la don-na è chiamata, e quasi costretta a lavora-re gli asili nido sono un bisogno. Anzi, piùche un bisogno, sono un’esigenza, un’esi-genza della società più che della famiglia.Ma a questa sua stessa esigenza la so-cietà non risponde; in Italia, specie al Sud,i posti disponibili sono sempre molto al disotto delle richieste. E poi, è proprio veroche i nidi siano la scelta ottimale per ilbambino? La loro presenza basterebbeper esprimere la dovuta attenzione delloStato nei riguardi di questo bisogno “cen-trale” della famiglia?

da poco è quello di rientrare imme-diatamente al lavoro. Le indaginisvolte nel corso di questo decenniodalle Consigliere di Parità locali, econfermate a livello nazionale dalleindagini ISTAT e ISFOL, mostranocome le donne, se messe in condizio-ni di farlo, preferiscano prendersicura personalmente dei loro bambi-ni, e come il fenomeno dell’abbando-no lavorativo dopo il parto, più chealla mancanza di servizi di assisten-za, si debba alla volontà di trascorre-re più tempo con i figli. Peraltro, adispetto della vulgata che propone ilsubitaneo rientro delle madri comeprincipale antidoto all’uscita dalmercato del lavoro, le ricerche piùrecenti (come quella di Chiara Pron-zato, del Centro Dondena dell’Uni-versità Bocconi) mostrano che unaprotezione della maternità protrattanel tempo aumenta la possibilità diritorno al lavoro, mentre periodi piùbrevi forzano le madri a fare unascelta definitiva e precoce, con unpiù alto tasso di abbandono.Evidenze sorprendenti, di certo po-co note, che indurrebbero a rivederela direzione finora impressa alle poli-tiche di conciliazione tra famiglia elavoro. Eppure, quando si lamenta ilcarente stato di queste politiche,tuttora ci si limita ad auspicare lamoltiplicazione degli asili nido, pre-feribilmente pubblici. Ad ulterioresostegno di questa tesi, si citano co-me esempi virtuosi i casi di altri pae-si europei con tassi di occupazionefemminile superiori al nostro, e conuna copertura di nidi molto più vici-na all’obiettivo dichiarato dal Consi-glio Europeo di Lisbona: il 33% entroil 2010. Quello che si omette di direè che gli stessi paesi portati adesempio non eccellono solo sul fron-te dei servizi di assistenza all’infan-zia, ma nell’intero comparto deglistrumenti di conciliazione: che spa-ziano dal part-time ai congedi paren-tali retribuiti e prolungati, dal coin-volgimento paterno agli assegni fa-miliari, dalla flessibilità oraria a quel-la pensionistica dedicata ai neogeni-tori. Un ventaglio di soluzioni checontemplano, tra le varie possibilità,quella di permettere a mamma epapà di prendersi cura personalmen-

te dei figli, almeno nei primi mesi divita, senza delegare necessariamentea terzi questo prezioso compito.

L’Europa insegna: non esisteuna sola risposta “giusta” alladomanda di conciliazione.

Non lo è certamente l’auspicio di unimpossibile ritorno al passato, con lemadri a casa a badare ai figli e i padrial lavoro; non lo è certamente l’affi-damento esclusivo sul contributo deinonni, incoraggiati magari dal fatto

che il nostro welfare sia molto piùgeneroso verso gli attuali pensionan-di che verso i loro figli. Ma non lo èneppure l’investimento a senso uni-co in soluzioni che danno per scon-tata la delega dei neonati a struttureesterne alla famiglia, come gli asilinido. Proprio perché non esiste unasola risposta “giusta”, allora, è fonda-mentale lasciare alla famiglia la li-bertà di scegliere quella che le risul-ta più congeniale: sostenendo l’op-zione di chi desidera occuparsi deipropri figli di persona almeno allostesso modo delle altre.

COSA C’È DI VERO

[email protected]

Paola Liberace

Paola Liberace è autrice del libro Contro gli asili nido – Politiche di conciliazione e li-bertà di educazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009. Nel nostro Paese, ledonne (e gli uomini) che lavorano sono costretti ad una scelta obbligata: allonta-narsi dai figli sin dalla prima infanzia oppure a lasciare il proprio lavoro. L’unicasoluzione proposta è la realizzazione di nuove strutture per l’assistenza ai bambi-ni. Ma è corretto che sia lo Stato a occuparsi dei nostri figli? Davvero il desideriodei genitori è sempre e comunque quello di lavorare, anche con i bambini infasce? E se invece le risorse andassero alle imprese, per incentivare la flessibilità, ealle famiglie, che potrebbero decidere se pagare una baby sitter, scegliere l’asiloche preferiscono o prendersi una pausa lavorativa?

Foto Archivio UPPA

Mi scrive la mamma d’un bambi-

no inserito nel Nido di Pistoia in

cui sono stati compiuti i maltrat-

tamenti di cui i media hanno par-

lato. Anche se lui dice che non è

stato maltrattato, lei non si fida.

Angosciata, chiede che fare.

Gentile Signora, è comprensibile lo stato d’an-goscia in cui, come le altre

persone nella sua situazione, si tro-va. Bisogna, però, non perdere la te-sta. Quando un bambino è stato mal-trattato, spesso ciò che fanno inqui-renti e soccorritori è più traumaticoche non i maltrattamenti stessi. Con-viene essere chiari, ma anche moltoprudenti, proprio per non traumatiz-zarlo ulteriormente. Prima di tutto, bisogna riconoscereche quello che è successo è succes-so: nessuno lo può cambiare retroat-tivamente. Con angosciosa sollecitu-dine, verrebbe infatti da tentare dimodificare le cose già accadute. Matrovarsi di fronte a un compito im-possibile non può far altro che au-mentare l’ansia e l’angoscia e dimi-nuire le possibilità di essere efficacinel nostro pensare e operare.Quando i nostri figli si trovano a vi-vere esperienze danneggianti, noigenitori ci sentiamo in colpa, perchénon siamo riusciti a proteggere pro-

prio loro, che sono affidati alla no-stra tutela e responsabilità. Questipur comprensibili sentimenti di col-pa, però, non aiutano: rischiano didisorientarci, di spingerci a strafareo ipercompensare, esponendoci a di-venire danneggianti a nostra volta enostro malgrado. Dobbiamo dunquecercare di contenere i nostri senti-menti di colpa.

Sono di due tipi i traumi psichiciche vostro figlio potrebbe averpatito: maltrattamenti subiti in

prima persona, e visione di maltrat-tamenti inferti ad altri bambini. Nelsecondo caso, il trauma è quello diessere in balia di un ambiente peri-coloso, inaffidabile, ingiusto e perse-cutorio; nel primo caso, oltre a que-sto, c’è il maltrattamento diretto, fi-sico e psichico.Che fare, per favorire che suo figliosi recuperi, se è stato traumatizzato?Partirei da cosa non fare. Non mitragliatelo di domande:avrebbero il solo effetto di conta-giarlo con la vostra ansia. I bambinipiù sono piccoli e più percepisconol’agitazione, l’angoscia e l’ira deigrandi come sempre rivolte a loro.La percezione: “Mamma è arrabbia-ta” è probabile che per loro equival-ga a: “Mamma è arrabbiata con me”,oppure: “Ho fatto qualcosa che hafatto arrabbiare la mamma”, o an-che: “Sono cattivo, brutto, da buttarvia. È per questo che mamma è ar-rabbiata”.Parlarne, come avete già fatto, vabene, ma senza farvene e senza far-gliene una fissazione. Più insistete, e

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LO SPAZIO DELLA MENTE

Bambini traumatizzati(e genitori di più)

I bambinitraumatizzati hanno bisogno di attenzione e difiabe. Così come iloro genitori

Nel caso il bambino abbia vissuto situazioni traumatiche, può essere utile raccon-tar loro delle fiabe, come quelle dei Fratelli Grimm, che, rappresentando esperien-ze terribili e meravigliose in un clima “sognante”, favoriscono la rielaborazionementale e relazionale delle angosce umane fondamentali (comprese quelle deri-vanti da esperienze traumatiche) e consentono una riattivazione della fiducia edella speranza in se stessi, nella vita e negli altri esseri umani

più è probabile che pensi di esserelui il colpevole indagato. Dovete poievitare di ipercompensarlo per ilpossibile trauma subito, ricolmando-lo di regali o diminuendo le vostregiuste pretese. Ricordate che conti-nuate a essere i suoi educatori e chelui è rassicurato nel sentire che il cli-ma in famiglia non è “impazzito”, macontinua a essere normale.

V ediamo ora che cosa fare.Creategli attorno un normaleclima sereno, dove possa fare

liberamente giochi di fantasia conpupazzetti, animali domestici, selva-tici e fantastici, casette, castelli percreare delle storie nelle quali poterrivivere le esperienze eventualmentetraumatiche. Non è necessario chesiano storie di traumi, maltrattamen-ti o paura, né è da intendere comeespressione di traumi patiti ogni gio-co che contenga violenza, paura, do-lore o morte. Sempre i bambini han-no bisogno di creare giochi di fanta-sia per farsi delle idee sulle cose del-la vita.

Non stategli troppo addosso, nonspiatelo, non indagatelo per vederese esprime cose che potrebbero es-ser legate a eventuali traumi. Nonforzatelo. Lasciate che faccia. Createsolo le condizioni perché possa gio-care con altri bambini o da solo ocon dei grandi. Non trasformate ognimomento della sua vita in un test. Ilvostro atteggiamento sia normale,non eccitato, non in attesa di “rivela-zioni” o di “prove”.Siate disponibili a parlare con lui an-che dei traumi, ma senza forzarlo. Èpiù importante per lui sentire che sipuò parlare anche delle cose brutte,più che effettivamente ne parliate.Sarà lui, eventualmente, a utilizzareil clima aperto e sereno di casa. Puòessere utile raccontargli o leggerglidelle fiabe. Ottime quelle dei FratelliGrimm. Narrano di cose bellissime eterribili: bambini maltrattati o ab-bandonati, streghe cattive, orchipaurosi, principi e principesse ma-gnifici, fate buone, animali salvifici.Ai bambini piacciono molto, perchédanno forma, in un contesto sognan-

te di fiaba, alle angosce umane fon-damentali. La cultura le ha conserva-te nei secoli, in quanto molto signifi-cative ed espressive e quindi moltoutilizzabili dalle menti di adulti ebambini. Testimoniano che cose orri-bili sono sempre accadute ai bambinie agli umani, ma che è possibile re-cuperare speranza e fiducia: in sestessi, nella vita e negli altri. Da se-coli sono in grado di contribuire a ri-sanare i traumi psichici.

State dunque calmi; confidatenelle risorse e capacità del bam-bino (che sono piccole, ma ci

sono, sono efficaci e adeguate a lui);create e mantenete un ambiente in-torno che gli faciliti l’attivazione del-le sue proprie risorse, mentali e rela-zionali.Se nel periodo di un mese – un me-se e mezzo vedete che il bambinomanifesta qualche rilevante e persi-stente segno inusuale di angoscia(marcata insonnia, marcata agita-zione, marcato stato d’allarme, mar-cata aggressività), può essere op-portuno rivolgervi a uno psicotera-peuta infantile. Fate attenzione,però, perché è facile che noi genito-ri, preoccupati e desiderosi di daresollecito aiuto, ci confondiamo e“vediamo” nei nostri figli non la lo-ro, ma la nostra angoscia. Un’ultima cosa. Se lei si percepissetroppo angosciata (e solo lei può va-lutarlo), potrebbe ricorrere all’aiutod’uno psicoterapeuta infantile chefaciliti in lei un progressivo recuperosereno delle funzioni genitoriali. Nonci sarebbe da stupirsi o vergognarsi,perché anche lei si trova, ovviamen-te, in uno stato post-traumatico, nelquale è sensato poter avere bisognod’aiuto.

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[email protected] RoccatoMedico Psicoanalista, Associato alla Società Psicoanalitica italiana

LO SPAZIO DELLA MENTE

P er l’ennesima volta la signora Severa arrivò in fondoa quelle dieci righe senza averne capito nulla. Nonche l’articolo fosse complicato; si trattava di una di

quelle riviste, di cui il suo pediatra riempiva la sala d’at-tesa, con la metà delle pagine zeppa di pubblicità per lemamme, e che hanno quindi tutto l’interesse di farsi ca-pire. Piuttosto era del tutto distratta dall’apparente di-scussione, se così possiamo chiamarla, che si stava inta-volando tra il suo piccolo e un altro bambino, con tonisempre più accesi e, pensava la signora Severa, forieri dipossibili minacce alla incolumità della sua creatura. Lasua preoccupazione dipendeva dal fatto che l’altra mam-ma, che lei non aveva mai visto prima di allora, sembravadel tutto disinteressata a quanto stava accadendo. Finalmente la signora Candida, la mamma appunto dell’al-tro bambino, parve dedicarsi alla faccenda, senza partico-lare apprensione ed energia in verità, ma quanto bastavaper dare un po’ di tregua alle preoccupazioni della signoraSevera, che poté così finalmente concentrarsi sul suo ar-ticolo. Scoprì allora, scorrendo i vari punti ben messi in ri-salto, che il formaggio è un prodotto che si fa con il latte,

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STORIE DI ORDINARIA PEDIATRIA

La pappina dello sbucciapiselli

Lasciateli mangiare in pace. Volete mettere due fettuccine con un formaggino industriale?

Un’immaginaria conversazione tra due bambini piccolissimi, uno disinvolto e cresciuto liberamente (a parte l’aggressione dello sbucciapiselli) e l’altro medicalizzato.

che detto formaggio contiene quindi le stesse sostanzenutritive del latte, e che quindi durante lo svezzamento,quando il bambino necessita di mangiare altri alimenti ol-tre il latte, è importantissimo sostituire un pasto di lattecon il formaggio, meglio ancora con un formaggino in va-setto che, pur contenendo meno sostanze nutritive delformaggio naturale, costa molto, ma molto di più.

Mentre la signora Severa leggeva e rileggeva l’arti-colo, non riuscendo a convincersi di aver avutofino a quel momento delle idee così confuse sul-

l’alimentazione, i due bambini si davano del gran buontempo. Ad un ghee ghee dell’uno rispondeva l’altro conun oh oh oh. Di rimando partiva un prrrr.. interminabile,interrotto da un glo glo glo molto deciso. Il gioco andòavanti più o meno su questo tono per poi passare ad uncrescendo in cui ai gorgheggi cominciarono ad accompa-gnarsi smorfie, sputacchiamenti, gran pugni sui passeggi-ni e così via, fino a quando si affibbiarono reciprocamen-te un sonoro schiaffo l’uno sulla mano aperta dell’altro,come due sportivi che si congratulano l’un l’altro dandosi“il cinque”. La signora Severa sobbalzò, preparandosi giàa recriminare sul presunto assalto subito. La bocca le re-sto però aperta senza che ne uscisse parola, perché im-mediatamente il bambino della signora Candida cacciòun urlo tremendo, lunghissimo, diventando di tutti i colo-ri. Ripreso un gran respiro ne approfittò immediatamen-te per cacciarne un altro e così via inconsolabile, fintantoche, con l’aria un po’ seccata, il pediatra non si affacciòsulla soglia chiedendo alla mamma se non fosse il caso diriportare il bambino un altro giorno, quando fosse statoun po’ più tranquillo. La signora Candida si scusò e si ri-cusò e, raccolte le sue cose, molto tranquillamente sicongedò lasciando la signora Severa nella più profondacosternazione. Guardava infatti il suo bambino con ariamesta e confusa, dubitando che avesse una qualche re-sponsabilità nell’accaduto, vista la sua faccia paciosa efurbetta, come di uno che la sa lunga.

Dubbi legittimi, perché in effetti chi fosse stato ingrado di comprendere il gergo dei lattanti diquella età avrebbe ascoltato all’incirca un dialogo

come questo:Ehi fratello! Sei nuovo?

Sì, è la prima volta

E così non sei mai stato prima da uno sbucciapiselli.

Un che?

Uno sbucciapiselli. Uno di quelli che ti spogliano, ti

fanno sorrisi e moine, ti accarezzano la pancia e poi,

quando meno te lo aspetti, le mani sul pisello e zac!

Un dolore atroce per giorni.

Ah! Ho capito di chi parli. Certo che ci sono stato, ma

a me non è mai capitato niente di simile.

Allora stai in guardia che qui ti capiterà. Ci sono

passati tutti. Ma come mai hai cambiato?

Guarda, non ne ho la minima idea. Non decido certo

e la mia mamma non è sempre facile da capire.

A chi lo dici! È un po’ di tempo che non riusciamo co-

municare. Specie da quando mi vogliono dare un certo

mangiare nuovo. È un fatto che proprio non mi va giù.

Anch’io mangio sempre roba nuova, ma non ho pro-

blemi. Certo la tetta è la tetta. Però anche le fettuccine

ai funghi, il pollo all’arrabbiata e tutto il resto. C’è da

leccarsi i baffi!

Ma come! Ti danno quella roba lì! E come fai, che io

ho provato l’impossibile e non ci sono riuscito? Mi

sbraccio, sgrano gli occhi, mi pencolo dal seggiolone,

sbavo che faccio schifo e niente. Come fanno a non

capire che io voglio quello che mangiano loro, e che

di quell’altra roba non mi fido?

Che ti dico; io non dovuto fare sforzi particolari. Era

già un po’ di giorni che li osservavo attentamente

quando stavano a tavola. Poi, credo, vedendomi incu-

riosito di quello che portavano in bocca, me lo hanno

offerto e io ho accettato. Capirai, io non sapevo nean-

che che cosa fosse, ma è stato un attimo e gliene ho

chiesto subito di più.

E io che devo mangiare sempre roba diversa dalla lo-

ro. Ma io mi impunto e non gliela mangio, o almeno il

minimo indispensabile, poi serro la bocca o comincio

a sputacchiare così, guarda… E loro a insistere con

tutto un teatrino che non ti dico. Io li lascio fare, mi

riempio ben bene la bocca e poi in questo modo,

bleah… gli vomito tutto. E quando non ne posso più

dò dei gran colpi sul tavolo così… e, senza farlo appo-

sta per carità, butto tutto all’aria.

Ah, sei grande fratello! Ma dove l’ha scovata quella

roba la tua mamma?

Gliel’ha data lo sbucciapiselli l’ultima volta che sono

venuto. L’ha riempita di vasetti e bustine colorate.

Che dici? Bustine, vasetti? Oh Dio, vuoi vedere che…

Ma sì, quella antipatica della sua amica, ce li aveva

in borsa e glieli ha fatti vedere; e accennava a me.

Ecco perché è venuta qui; perché il mio non glieli

aveva dati. Lui sì che è un amico. E ora come faccio?

Farò la tua stessa fine, sbucciato e cucinato a dovere!

Senti fratello, non disperare. Ho un piano, ma biso-

gna agire subito. Questo sbucciapiselli qui è un tipo

strano. Se qualcuno si mette a piangere a lungo e di-

sturba, lui si presenta qui e ti fa riportare a casa. Per

cui preparati a tirare fuori quanto fiato hai in corpo

e spara al massimo.

Va bene, farò come dici. Forse non ti rivedrò ma ti ri-

corderò sempre. Un momento, prima di lasciarti

dammi “il cinque”….. Addio!

Uaaaaaaaaaaaaaaaaaaa……..

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STORIE DI ORDINARIA PEDIATRIA

[email protected] PiermariniPediatra, Terni

NATI PER LA MUSICA

Canta che si cresce

Un canto può riferirsi nel testo a una situazione semplice che si presta al cambia-mento di qualcuno dei suoi elementi lasciando gli altri invariati, così come noncambia la melodia.Per esempio il canto popolare: C’era una volta un papero / vestito di pelle di bufalo / faceva ballar le papere / sull’uscio di dindirindé / Allez-vous danser a la moda alla bracé (2 volte)può diventare:C’era una volta Chiara / vestita di petali di rosa / faceva la smorfiosa / sull’uscio di Dindirindé.La ripetizione e la variazione tengono desta l’attenzione dei bimbi, il cambio delnome li fa sentire a turno protagonisti, l’adattamento del terzo verso li fa entrarenel gioco delle rime. Ecco le invenzioni di una bimba di 2 anni e 9 mesi registrate a casa:C’era una volta mammetta / vestita di pipetta / faceva a birichetta / ull’uscio ndirindé /Allez vous danser.C’era una volta papà / vestito di torrone / mangiava un bottone / ull’uscio ndirindé /Allez vous danser

Foto Emanuela Salti

Le canzoni deibambini sono fatte diparole inventate e diripetizioni chevariano di continuo

Al momento della nascita, ilneonato entra nel mondo contutti gli organi sensoriali aper-

ti e vigili, pronti a sperimentare losperimentabile! Ma qualcuno di que-sti organi ha cominciato a lavoraregià da un po’, ha cominciato a perce-pire e persino memorizzare tutto ciòche è suono fin dal 6° mese (pocopiù-poco meno) della vita prenatale,come ci dicono le ricerche scientifi-che degli ultimi vent’anni: si trattadell’udito. Dopo la nascita, continuaa essere attento, teso ad ascoltare,ad assorbire il mondo sonoro, a ri-conoscere canti e musiche ascoltatiripetutamente nella vita prenatale.Presto il neonato comincerà a parte-cipare al canto della mamma, conpochi suoni nei primi mesi e, pro-gressivamente, con piccoli abbozzi dicanti verso i 6-8 mesi di vita.La comunicazione dei genitori con ipropri bambini inizia fin dalla nasci-ta. Con loro si parla un linguaggioche è stato denominato motherese,fatto di onomatopee, frasi semplici,parole ripetute, cantate o cantilena-te. Tali ripetizioni hanno la funzionedi permettere l’individuazione deipunti di riferimento in ciò che si sus-segue nel tempo e quindi favorisco-no lo sviluppo della capacità di anti-cipare ciò che avverrà, cioè di preve-dere il ritorno, per esempio, di unaparola, di un oggetto, di una musica.La regolarità della ripetizione faemergere uno schema temporale,nel quale il bambino piccolo trova isuoi punti di riferimento e determinala strutturazione temporale dei com-portamenti interattivi.Poiché una persona non può mai ri-petersi allo stesso modo, in tali ripeti-zioni vi sono comunque delle varia-zioni cioè dei cambiamenti introdottisia involontariamente, per esempionel tono della voce, nel tipo di gesto oin altri dettagli, permettendo così albambino di ampliare il suo ancora li-mitato repertorio, sia volontariamen-te per creare l’effetto sorpresa basatosul binomio tensione (l’elemento nuo-vo) distensione (il ritorno dell’ele-mento precedente).La sequenza di ripetizioni variate è sta-ta studiata nelle sue applicazioni allosviluppo musicale dallo psicologo fran-

cese Michel Imberty (2002), che hamesso in evidenza come la ripetizionee la variazione che regolano l’intera-zione sociale e affettiva nella coppiamadre-bambino siano anche il principiobase dell’organizzazione musicale. Imberty osserva, infatti, che “l’interosviluppo del comportamento socialee comunicativo è costruito sull’ap-prendimento di sequenze la cui strut-tura temporale si basa sulla ripetizio-ne. Tale ripetizione permette al bam-bino di dominare il tempo attraverso laregolarità variata, ornata e diversifi-cata. Ritroviamo qui ciò che costitui-sce il substrato universale della musi-ca in tutte le culture.” .

Nelle attività di canto conneonati e bambini piccoli sisuggerisce di introdurre va-

riazioni di parole, gesti o movimentidi vario genere (saltelli, giravolte),pause inserite in punti strategici, ac-celerandi o rallentandi. In tal modo ibambini entrano spontaneamente inquella sequenza di ripetizioni e va-riazioni che permette loro di impara-re a dominare il tempo e quindi diassimilare il linguaggio musicale, co-stituito appunto da suoni organizzatinel tempo. Già nei repertori infantili sono pre-senti dei canti che utilizzano l’effettoprovocato dall’eco: l’ultima parola o

le ultime sillabe vengono ripetute mageneralmente con suoni diversi. Nelcanto L’anatroccolo, per esempio,l’eco è sulle sillabe occolo, occolo e ilsuono del secondo occolo è più bas-so rispetto al primo, cioè la melodiascende. Così in altri canti quali Alla

fiera di mastro André (alamiré,

alamiré) o Nella vecchia fattoria

(ia ia oh).Quindi ripetizione e variazione: laparola si ripete, la melodia cambia.Quando più tardi, verso i 18-20 mesi,i bambini cominceranno a partecipa-re al canto queste sillabe o parole ri-petute diventano le prime ad esserecantate.Molti canti fanno riferimento a storieo a parti del corpo, movimenti e dan-ze. Anche questi si prestano a intro-durre delle variazioni basate sul pia-no e forte (la seconda volta si ripetemolto piano) o sulla velocità e l’an-damento: la strofa sulla lumaca èlenta, quella sul topolino è veloce eprima del cambiamento si rallenta.Tanti modi per ripetere con varietà.

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NATI PER LA MUSICA

Il mulinelloI canti che comportano gesti e movimenti hanno indubbiamente l’obiettivo di fa-vorire il controllo dei movimenti ma si prestano allo stesso tempo alla sostituzio-ne di qualche parte del corpo (piedi, gomiti, dita, ecc.).Il seguente canto:Batti batti le tue manine, gira gira il mulinelloO bambini che belle manine, oh che belle manine che ho.Può continuare così:Batti batti i tuoi piedini, gira gira il mulinelloO bambini che bei piedini, oh che bei piedini che ho.E così via con parti del corpo diverse (gomitini, ditine)La canzone va avanti con la stessa melodia, le parti del corpo cambiano (ripetizio-ne e variazione) i bambini si divertono e allo stesso tempo si favorisce l’assimila-zione delle strutture musicali e il coordinamento dei movimenti insieme alla co-noscenza delle parti del corpo.

BibliografiaM. Imberty, La musica e il bambino, Enciclopedia della musica, vol. II, Torino 2002, pp. 477-495. D. Stern, Le prime relazioni sociali: il bambino e la madre, Roma 1979. J. Tafuri, Nascere musicali, Torino 2007, EDT (libro con allegato CD con registrazio-ni audio e video).

■ Johannella TafuriConservatorio di musica “G. B. Martini”, Bologna

S ento parlare spessissimo di logopedisti, psicolo-

gi per i bambini per problematiche varie. Possi-

bile che 1 bambino su 3 abbia dei problemi?

Qual è la causa?

1 Bambini così c’erano anche prima, ma prima,

non si dava loro la giusta attenzione e li si consi-

derava semplicemente negligenti?

2 Oggi i problemi sono aumentati perché lo stile di

vita è diverso, i genitori lavorano tutto il giorno

entrambi, sono affidati a nonni o babysitter, op-

pure sono figli di genitori unici o separati?

3 Bisogna far lavorare pure tutti gli psicologi e i lo-

gopedisti?

4 Una parte degli insegnanti, al minimo segno di

disagio, si sente responsabile e tenuta a segnalare

situazioni normali, ma “diverse”, per semplifica-

re, forse, quello che sarebbe il loro compito? Cosa

che a volte, anziché aiutare, destabilizza il bambi-

no e lo lo fa sentire diverso?

5 Bisognerebbe essere attenti solo alle reali neces-

sità di aiuto o essere “psicologicamente” attenti

anche con i bambini “normali” e diligenti?

Alberto - [email protected]

Riceviamo ogni tanto lettere come questa; ecco per-ché abbiamo sentito l’esigenza di fare uno “specia-le” su questi argomenti. Il tema principale è, in so-

stanza, la difficoltà di leggere: una difficoltà che una vol-ta non era tale, perché anche i re potevano permettersi illusso di non saper leggere. E che oggi è invece un veroostacolo alla vita, perché tutti devono passare attraversole forche caudine della scuola. Quanti bambini ne sonoaffetti? Pochi, diciamo il 3% in forma abbastanza pesan-te, e per almeno un terzo di questi (1% del totale) la di-slessia diventa un ostacolo quasi insuperabile. Come suc-cede? Mah, non tutte le ciambelle riescono col buco: c’èsotto una predisposizione familiare e un danno (sì, un ve-ro danno neurologico), probabilmente durante la gesta-zione, probabilmente dipendente anche dal testosterone(infatti questo disturbo colpisce molto di più i maschi).Perché interessa tutti? Perché tutti i bambini vanno ascuola, e se hanno qualche difficoltà i genitori debbonosapere, e capire, che una difficoltà materiale, da cono-scere e affrontare può essere questa.

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RE , LEGGERE E SCR IVERE • SPEC IALE : PARLARE , LEGGERE E SCR IVERE • SPEC IALE : PARLARE , LEG

[email protected]

Franco PanizonHa diretto la Clinica Pediatricadell’Ospedale Infantile di Trieste

Non tutte le ciambelleriescono col buco

L o sviluppo del linguaggio neibambini è soggetto a grandi va-riabilità individuali. L’evoluzio-

ne segue infatti varie fasi che vedo-no un ampliamento graduale e se-quenziale nel tempo. Si va dalla cre-scita delle competenze pre-linguisti-che, che avviene generalmente entroil primo anno di vita, allo sviluppodell’espressione dei suoni, delle pa-role e delle frasi. Abbastanza fre-quentemente possiamo trovarci da-vanti a due bambini della stessa etàcon capacità espressive differenti;questo però non significa che il bam-bino con minor bagaglio linguisticoabbia un disturbo del linguaggio, oalmeno questo non si può dire finoad una certa età. A due anni general-mente il bambino comincia ad asso-ciare due parole ed utilizza un nu-mero di parole mediamente superio-re alle 50 (tra 50 e 200). La sua ca-pacità di comprendere il linguaggio èda subito superiore a quella di pro-nunciare le parole. Nella fascia di età che va dai 24 ai 30mesi si possono comunque riscon-trare distorsioni nello sviluppo dellinguaggio con una frequenza che vadal 10 al 20% della popolazione ge-nerale: questi bambini vengono defi-niti bambini con ritardo del linguag-gio o late talkers (parlatori tardivi).In questi casi si osserva un lessicoinferiore alle 50 parole e una capa-cità combinatoria, ovvero di associa-re due parole, ridotta o del tutto as-sente. I parametri che stabilisconoquesto ritardo sono variabili, questibambini hanno uno sviluppo più ral-lentato e tardivo rispetto allo svilup-po “tipico”: iniziano a parlare più tar-di, cioè dopo i 18 mesi, hanno gene-ralmente difficoltà nella pronunciadelle parole per ridotta capacità dicombinazione e sviluppo dei suoni, ilnumero di parole che sanno pronun-ciare è inferiore a quanto ci si po-

• S P E C I A L E : PA R L A R E , L E G G E R E E S C R I V E R E • S P E C I A L E : PA R L A R E , L E G G E R E E S C R I V E R E •

Non è (quasi) mai troppo tardi

Il 10-20% dei bambini tra i 24 e i 30 mesisono late talkers. Ma solo il 3-6% di loro sviluppa un disturbo del linguaggio

trebbe aspettare da un bambino dipari età e la costruzione delle frase èassente o molto semplificata. Gene-ralmente una notevole percentualedei ritardi di linguaggio si recuperaspontaneamente, ma è meglio co-munque sorvegliare questi bambini,per verificare nel tempo che le com-petenze linguistiche procedano re-golarmente. Resta comunque un certo numero dibambini che può invece strutturareun disturbo specifico di linguaggio.Più o meno il 50% di quei bambiniche a 2 anni sono ancora dei “parla-tori tardivi” colmano il loro ritardoentro il compimento dei 3 anni: que-ste modificazioni sono dimostrate dauna rapida crescita del vocabolarioespressivo e dalla capacità di costru-zione di frasi a più elementi, quindipiù ricche ed elaborate. Soltanto il 3-6% dei “parlatori tardivi” strutturaun vero e proprio disturbo del lin-guaggio.

Ipunti importanti da consideraresono la comprensione verbale,cioè quanto e come il bambino è

in grado di comprendere il linguag-gio dell’adulto, l’ampiezza del voca-bolario espressivo e la costruzionedelle frasi, lo sviluppo fonologico, ov-vero la capacità di produrre suonivariabili e differenziati. Questi sonogli elementi che condizionano la pro-gnosi del ritardo, se dopo i 36 mesiquesti parametri non si sono modifi-cati ed evoluti, allora il rischio distrutturare un disturbo del linguag-gio aumenta con forte probabilità edè utile intraprendere un percorsoriabilitativo individuale o di gruppo:il lavoro deve essere fatto su tutte lecompetenze di sviluppo del bambi-no, in quanto il linguaggio è comun-que una funzione interconnessa contutte le altre.Perciò quelli che chiamiamo “distur-bi specifici del linguaggio” sono dia-gnosticabili soltanto intorno ai 3 annie soltanto se il linguaggio è ancoramolto immaturo in una o più compo-nenti (fonologica, lessicale, sintatti-ca, semantica, di comprensione ver-bale). Si tratta soprattutto di bambi-

ni maschi, che hanno familiari chehanno avuto a loro volta un disturbodel linguaggio. A seconda se il disturbo prevale sullacapacità espressiva si parla di distur-bo espressivo o se comprende anchela capacità di comprensione del lin-guaggio si parla di disturbo Misto. I disturbi del linguaggio “espressivi”sono i più frequenti (circa il 40% deicasi) e riguardano, appunto, tutte lecomponenti espressive, mentre lacomprensione verbale è normale olievemente ritardata; questi disturbihanno un picco massimo d’incidenzanella fascia di età prescolare e guari-scono generalmente in prima o se-conda elementare. Se a quell’età in-vece il disturbo non è ancora risolto,le probabilità di sviluppare un di-sturbo di apprendimento nella lettu-ra è più alto. Nei disturbi “misti” del linguaggio siha anche un ritardo nella compren-sione verbale e il quadro appare piùserio e impegnativo, perché la com-prensione verbale è una competenzaimportante che consente al bambinodi pensare prima di pronunciare leparole, è anche uno strumento diraccordo tra le funzioni della cono-scenza e quelle dell’espressione ver-bale e consente un controllo e ricon-trollo sul pensiero e sulla parola. Inquesto caso ai disturbi del linguaggiosi possono associare difficoltà di “or-ganizzazione prassica”, ovvero dellacapacità di utilizzare il movimento fi-ne per ottenere uno scopo (peresempio abbottonare i vestiti, vestir-si correttamente, fare un nodo) oanche condizioni di impaccio nel mo-vimento. Perché si possa dire che un bambinoha un ritardo o un disturbo del lin-guaggio, bisogna che non abbia con-temporaneamente un ritardo “cogni-tivo”, o “relazionale” o semplicemen-te “sensoriale” (dell’udito soprattut-to) e che non sia vissuto in un am-

biente carente da un punto di vistasociale o ambientale: perciò possia-mo dire che un bambino con un ri-tardo o un disturbo del linguaggio èsempre un bambino intelligente.

L a diagnosi spetta ad un’equipedi neuropsichiatria (neuropsi-chiatra infantile, psicologo, te-

rapista della riabilitazione o logope-dista) che valuta il bambino osser-vando tutte le aree di sviluppo. Sononecessari sempre un esame prelimi-nare dell’udito, per escludere che sitratti di un bambino che parla poco omale perché sente poco o sente ma-le; spesso occorre anche escludere lapresenza contemporanea di altri di-sturbi che possono avere conseguen-ze sullo sviluppo del linguaggio. Seun genitore dovesse sospettare undisturbo del linguaggio, dovrebbeprima di tutto parlarne con il suo pe-

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DISTURBI SPECIFICI DEL LINGUAGGIO (DSL)È questo il termine giusto; se è prevalentemente compromessa la capacità di par-lare, si parla di DSL “espressivo”, se è compromessa anche la capacità di compren-sione del linguaggio si parla di DSL “misto”.

diatra. I pediatri, dal canto loro, han-no ben presenti le tappe dello svi-luppo linguistico dei bambini e, disolito, nel corso dei bilanci di salute,chiedono ai genitori notizie in propo-sito. In caso di allarme, il pediatrachiederà una visita specialistica: èimportante non sottovalutare il pro-blema, non per allarmismo, ma per-ché una diagnosi precoce fa la diffe-renza nella risoluzione del disturbo odel ritardo. Anche il genitore può fare molto peraiutare il proprio bambino: giocareinsieme e parlargli, per esempio, perdargli un modello verbale e ludicopositivo; generalmente infatti in que-sti bambini si riscontrano difficoltànel gioco simbolico (il “far finta” o ilriuscire ad astrarre o trasformarel’uso degli oggetti). Mentre si giocasi adottano spontaneamente parole,gesti e azioni che insieme rinforzanoe aiutano l’apprendimento del lin-guaggio; questa funzione aumenta lecapacità simboliche del bambino ol-tre che rinforzare la relazione di at-taccamento. Ci sono anche cose cheperò il genitore non dovrebbe asso-lutamente fare: far ripetere nel giu-sto modo le parole che il bambino di-ce in modo errato; insistere o co-stringer un bambino a dire una paro-

la per ottenere qualcosa, atteggia-mento spesso molto controprodu-cente e frustrante, sia per il bambinosia per i genitori, che rischiano diprovocare una maggiore chiusuracomunicativa del figlio. Meglio resti-tuire al bambino la parola corretta: ilgenitore può ripetere nel giusto mo-do la parola che il bambino ha pro-nunciato erroneamente, eventual-mente enfatizzando le espressionimimiche e gestuali. Un’altra funzio-ne importante svolta dai genitori èquella di condividere la lettura di li-bri, scelti però con qualche attenzio-ne: i libri più adatti sono quelli illu-strati da immagini semplici, essen-ziali, che riempiono la pagina in mo-do sovrabbondante, in modo che ilbambino possa mantenere un’atten-zione selettiva migliore e più duratu-ra. Su questo il progetto Nati per

leggere, che questo giornale da sem-pre sostiene, ha molto da dire.

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[email protected] BozziTerapista del linguaggio,Ospedale Salesi, Ancona

ATTENTI SE…Se manca la lallazione (che normal-mente inizia già nei primi mesi di vita),oppure la lallazione c’è ma inizia mol-to tardi; se a 9-10 mesi il bambinonon indica gli oggetti; se si ha l’im-pressione che il bambino non comuni-chi; se dopo un anno e mezzo il bam-bino non fa “ciao”, non dice “non c’èpiù”, non pronuncia nessuna parola; adue anni non mette insieme almenodue parole. Sono questi i segni di al-larme che fanno sospettare un ritardodel linguaggio.Possono indicare la presenza di un di-sturbo del linguaggio gli stessi segni, acui si aggiunge anche una mancata or-ganizzazione del gioco simbolico, lacomprensione di un ridotto numerodi parole; l’incapacità, dopo i tre anni,di usare un numero consistente di pa-role o di pronunciare bene le parole diuso comune.

Come sanno bene tutte le ma-dri, i bambini comunicano intanti modi e ancor prima di

cominciare a parlare. Sorridete a unlattante e lui vi sorriderà, fate un’e-spressione accigliata e lui si rattri-sterà. Il linguaggio però è una formadi comunicazione un po’ diversa dal-le altre, è molto di più: consente ditrasmettere un’infinita varietà disensazioni, concetti, idee, emozioni,indicazioni, potremmo andare avantiall’infinito con questo elenco. È unaprerogativa degli esseri umani, maanche, di riflesso e in misura infinita-mente più limitata, di alcuni animaliintelligenti che vivono a fianco degliuomini: un cane, per esempio, arrivaa conoscere il significato di un di-screto numero di parole (fino a 150)ma non potrà pronunciarne mai nep-pure una. Parlare, infatti, è un privilegio ecce-zionale riservato a noi uomini (edonne naturalmente), indispensabileper integrarci in una comunità; è perquesto che lo sviluppo del linguaggiodei bambini, fin dalla nascita, è og-getto di un’attenzione enorme sia daparte dei genitori, che da parte di

chi si occupa di proteggere la salutedei bambini. Non è casuale che laprima volta che un bimbo dice unaparola si fa festa in casa, e tutti i ge-nitori ricordano per sempre (o alme-no credono di ricordare) le tappedello sviluppo del linguaggio dei lorofigli; alcuni cercano addirittura diconservarne una traccia in un diarioo in filmini e registrazioni sonore.

Avolte però lo sviluppo del lin-guaggio è in ritardo: in questicasi siamo di fronte a bambini

che, pur non avendo alcun difettodell’udito, hanno un lessico ridottoe, a due anni e mezzo, non sono an-cora in grado di comporre una fraseelementare. L’evoluzione del ritardonaturalmente risente di molti fattori,non ultima la disponibilità di un trat-tamento adeguato; i bambini con oti-ti ricorrenti, nati prima del termine,con problematiche psicologiche o fa-miliarità per ritardo del linguaggiomigliorano più lentamente. Su questiritardi, a volte solo presunti, si con-centra l’attenzione che dalle famigliesi allarga agli operatori degli asili ni-do e ai pediatri.

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Parole, parole, parole

Come il peso e come l’altezza,anche le capacitàlinguistiche sipossono misurare

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È difficile però superare il livellosoggettivo dell’“impressione” (misembra che non parli bene, siamo si-curi che mi capisca?) ed essere ingrado di valutare in maniera oggetti-va questo lento processo di integra-zione comunicativa. Da qui, negli ul-timi anni, il moltiplicarsi delle segna-lazioni da parte delle maestre discuola materna ed elementare, diproblemi veri o presunti di linguag-gio fra i bambini.Esistono fortunatamente da tempostrumenti capaci di misurare con ac-cettabile precisione il livello di co-municazione e il linguaggio nei primianni di vita. Una precisione che pos-siamo quasi paragonare a quella del-la bilancia con cui il pediatra valutala crescita di tutti i bambini; con tan-to di “percentili” utili per collocareogni bambino in un ideale raffrontocon i suoi coetanei; perché, ancheper il linguaggio, vale il principio chei bambini non sono tutti uguali eognuno ha i suoi tempi.

Particolarmente utile e sempliceda utilizzare è il questionariobreve chiamato “Il primo voca-

bolario del bambino: parole e frasi”,traduzione e rielaborazione in italia-no del “MacArthur-Bates comunica-tive Development Inventories”, di-sponibile in 49 lingue diverse sul sitowww.sci.sdsu.edu.Questo strumento è stato studiatoper valutare i bambini fra i 18 e i 36

mesi, un’età critica, probabilmentequella in cui insorgono la maggiorparte dei dubbi e delle ansie, sia nel-la famiglie, sia fra gli operatori, com-presi ovviamente i pediatri. La compilazione di questo semplicequestionario (un paio di facciate)necessita della collaborazione dei ge-nitori che dovrebbero prima di tuttoleggere il questionario insieme all’o-peratore che effettuerà la valutazio-ne, poi osservare per qualche giornocon attenzione prima di compilarlo einfine, dopo non più di una settima-na, compilarlo: un’operazione moltosemplice che richiede non più di unquarto d’ora.Il passo successivo è la verifica diquante delle 100 parole elencate nelquestionario vengono usate dal bam-bino. A questo si aggiunge un secon-do questionario comprendente 12 fra-si ciascuna delle quali è indicata conuna forma più evoluta e una più ele-mentare (per esempio: il bambino di-ce “Bimbo piange caduto” oppure “Ilbimbo piange perché è caduto”?).Una scheda finalizzata ad indagare 7comportamenti comunicativi e unascheda informativa generale comple-tano il questionario che, una voltariempito, verrà valutato automatica-mente fino ad assegnare al bambinoesaminato un punteggio numericoche, raffrontato con l’età del bambinostesso, consente di collocarlo in unascala di raffronto con i suoi coetanei.Il linguaggio, esattamente come il

peso e la statura, è destinato a cre-scere nel tempo e perciò la ripetizio-ne a distanza di mesi del questiona-rio nello stesso bambino consente diseguire la “curva di crescita” del suosviluppo linguistico.

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[email protected] CaliaPediatra di famiglia, Roma

Le basi teoriche e pratiche per utiliz-zare il questionario “Il primo vocabo-lario del bambino: parole e frasi” sonoin un libro scritto da Maria CristinaCalelli, Patrizio Pasqualetti e Silvia Ste-fanini e pubblicato nella collana “Stru-menti per il lavoro psico-sociale ededucativo” della Casa editrice FrancoAngeli.

Gli insegnanti che mi hanno sal-

vato erano adulti di fronte ad

adolescenti in pericolo. Hanno ca-

pito che bisognava agire tempesti-

vamente. Si sono buttati. Non ce

l’hanno fatta.

Si sono buttati di nuovo, giorno

dopo giorno, ancora, ancora …

Alla fine mi hanno tirato fuori.

E molti altri con me. Ci hanno let-

teralmente ripescati. Dobbiamo lo-

ro la vita.

Daniel Pennac, Diario di scuola,Feltrinelli 2008

Noi non nasciamo capaci dileggere e scrivere: se a unbambino di cinque anni fac-

ciamo vedere la figura di una casa,lui ci dice correttamente che è unacasa; se gli chiediamo di leggere laparola “casa”, non ne è capace, per-ché non ha ancora imparato. Nascia-mo con competenze non specifiche,che nel corso della vita si specializ-zano e che, come nel caso della lin-gua scritta, ci rendono capaci di ri-sposta automatica: una parte dell’at-to della lettura è fatta di processidestinati a divenire automatici. Ladislessia è un disturbo dell’automa-zione.La lettura è un atto ad altissimo li-vello di integrazione tra competenzedi grado elevato e competenze di li-vello più basso, quali la capacità didecodificare le caratteristiche orto-grafiche. Un insuccesso nella letturapuò dipendere da una difficoltà inuna delle due aree. La dislessia nonè un difetto della lettura. È un difet-to di una componente particolaredella lettura, che è quella che per-mette di decodificare correttamentee rapidamente le singole parole. Si

possono osservare nel secondo ciclodella scuola primaria bambini conuna forma grave di dislessia che ca-piscono completamente il testo,perché i processi alti di anticipazio-ne sintattica e di conoscenza con-sentono loro di compensare e riusci-re a capire.La dislessia colpisce i processi di ra-pidità e correttezza della decodifica:di fronte a “mamma”, una delle pa-role ad alta frequenza che si legge inun colpo solo e senza alcun impegnodell’attenzione, il dislessico è in dif-ficoltà, deve fare un’analisi sequen-ziale (m-a-m-m-a) e legge lentamen-te. Oppure legge scorretto, con tantierrori: per esempio la “o” diventa“e” (“occhio” diventa “ecchie”), in-serisce una consonante, ne elideun’altra (“campagna” diventa “cam-pana”), fa delle anticipazioni. Lagrande maggioranza dei dislessicievolutivi legge con entrambe questecaratteristiche.La dislessia evolutiva, quella che simanifesta quando il bambino va ascuola, è una condizione neurologicacomplessa di origine costituzionale(si nasce dislessici), che permanenel tempo e può essere associata adaltre disabilità (disgrafia – difettodi scrittura, discalculia - difetto dicalcolo) e che non può essere cura-ta. Si possono però insegnare e adot-

Che cos’è la dislessia

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tare strategie che permettono di su-perare alcune delle difficoltà che ildislessico incontra.Esiste anche una dislessia acquisita,che interviene in una persona in-denne, anche in età evolutiva, a se-guito di un trauma o di una lesione.

Due indicatori possono far so-spettare una possibile, futu-ra dislessia: la familiarità,

spesso difficile da rilevare (più dellametà dei dislessici ha uno dei duegenitori con disturbo di lettura o discrittura o di calcolo), e il ritardonella comparsa del linguaggio o l’e-missione scorretta della parola in unbambino dopo i quattro anni. Il pe-diatra può rilevare questi aspetti edifficoltà nel corso dei bilanci di sa-lute, direttamente o su segnalazioneda parte dei genitori e/o degli inse-

DISLESSIAL’universo scientifico riconosce che la dislessia evolutiva è un disordine neurologi-co congenito ad elevata componente eredo – familiare. Di per sé non è guaribile,in quanto dipende da fattori congeniti non modificabili, tuttavia, nella maggior par-te dei casi e in misura dipendente dalla gravità del deficit, si riduce con adeguatiinterventi abilitativi e corrette procedure educativeInformazioni e approfondimenti:Associazione Italiana Dislessia - www.aiditalia.org

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Dislessici si nasce. E si rimane. Però si possono imparare strategie chepermettono di superare molte difficoltà

gnanti della scuola dell’infanzia e delprimo anno della scuola primaria. Lefigure professionali che valutanoqueste situazioni e, in età scolare,fanno diagnosi di dislessia sono ilneuropsichiatra infantile, lo psicolo-go (con formazione neuropsicologi-ca), il logopedista.Per arrivare a formulare una diagnosidi dislessia si indagano velocità e cor-rettezza nella lettura e nella scrittura(attraverso test standardizzati consoglie diverse per le diverse età), van-no escluse malattie neurologiche, si

deve fare una scala di valutazionedell’intelligenza (che deve risultarenella norma), occorre valutare vista eudito ed escludere disturbi emotivi(la dislessia non ha una causa relazio-nale) e psichiatrici importanti.Cruciale è la collaborazione tra servi-zi sanitari e mondo della scuola, do-ve devono essere presenti compe-tenze e risorse aggiuntive, per evita-re che il bambino entri facilmente inun pesante circolo vizioso: maggioriprobabilità di insuccesso nelle pre-stazioni richieste, con progressivoabbassamento dell’autostima e sfidu-cia nelle proprie capacità, calo dimotivazione, comparsa di comporta-menti di rinuncia ed evitamento delcompito e reazioni di passività o an-che aggressività. Risulta ancora altissima la percen-tuale di ragazzi dislessici che abban-donano la scuola al termine dell’ob-bligo o comunque nei primi anni del-la scuola superiore. Dice ancora D.Pennac: “I nostri studenti che

“vanno male” (studenti ritenuti

senza avvenire) non vengono mai

soli a scuola. In classe entra una

cipolla: svariati strati di magone,

paura, preoccupazione, rancore,

rabbia, desideri insoddisfatti, ri-

nunce furibonde accumulati su

un substrato di passato disonore-

vole, di presente minaccioso, di

futuro precluso (…)

Interventi specifici intensivi e mi-rati permettono al bambino disles-sico di apprendere comunque at-

traverso percorsi alternativi a quellideficitari: computer con programmidi video scrittura e calcolatrici, libriparlati e sintesi vocali computerizza-te, programmazione di tempi perso-nalizzati per prove scritte e studio acasa, dispensa dalla lettura ad altavoce e dalla scrittura veloce sottodettatura, valutazione della produ-zione verbale. Queste ed altre misure sono però an-cora poco conosciute e poco diffuse,pur previste nella nota del Ministerodell’Istruzione del 5/10/2004 (richia-mata successivamente in un’altra no-ta del 5/1/2005 e dalla più recentecircolare del 10/5/2007), nell’otticadi una didattica che prevede per l’a-lunno dislessico scelte metodologi-che diverse, ma uguali obiettivi for-mativi rispetto al resto della classe.Anche la tutela dei diritti di chi è di-slessico e la ricerca di vie alternativealla certificazione sono normate daprecisi provvedimenti legislativi.

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- I bambini intelligenti non sono dislessici

- La scrittura speculare è sintomo di di-slessia

- La difficoltà a comprendere un testorende difficile la lettura scorrevole eaccurata

- La dislessia scompare con gli anni

- La ginnastica oculare attenua la dislessia

- L’intelligenza non è legata in alcun modo alle procedure di automazione nella lettura

- La scrittura di lettere invertite è comune in molti bambini (dislessici e non) nei pri-mi stadi di apprendimento della lettura

- Vi sono molti bambini con disturbo specifico di lettura che comprendono benissi-mo, così come vi sono studenti che leggono in modo scorrevole senza riuscire acomprendere

- La dislessia è un disturbo a base neurobiologica – pur imparando a leggere, i disles-sici tenderanno a farlo più lentamente e in maniera non automatica

- Due decenni di ricerche non hanno evidenziato prove univoche di come tali eserci-zi siano efficaci e specifici

[email protected] ZanettoPediatra di famiglia, Vimercate (MB)

LE FALSE CREDENZECristina Toso. Intervenire con i Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Padova, 3 ottobre 2009

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A l contrario di quanto possafar pensare il fatto che i ter-mini “dislessia e disgrafia”

vengano utilizzati sempre più spes-so dai mass media, la conoscenzadei Disturbi Specifici di Apprendi-mento (fra cui va collocata la disles-sia) è poco diffusa nel mondo dellascuola e spesso i bambini con talidifficoltà vengono catalogati comebambini con problemi emotivi e/ocome bambini scarsamente impe-gnati nell’attività scolastica.In realtà se un bambino, dopo uncongruo tempo di istruzione, ha dif-ficoltà a leggere e a scrivere, ciò de-ve essere interpretato non comeuna difficoltà emotiva e/o come unoscarso impegno, ma piuttosto comesegno della presenza di una diffi-coltà specifica e di un deficit fun-zionale che riguarda alcuni proces-si, alcune abilità e non tutti gli am-biti del funzionamento cognitivo: ladislessia evolutiva si manifesta

quando un bambino, esposto ad unnormale iter scolastico, non svilup-pa, o sviluppa in maniera molto in-completa o con grandi difficoltà, lacapacità di identificare in modo au-tomatico la parola scritta; la disgra-fia si manifesta quando, dopo uncongruo tempo di istruzione, nonapprende o apprende in maniera in-completa la capacità di scrivere cor-rettamente in modo automatico.Questi disturbi si distinguono dalledifficoltà generiche di apprendi-mento (nella scrittura, lettura, cal-colo) in quanto queste presentanoun quadro minore di gravità ed han-no un carattere transitorio; possonocioè scomparire assai rapidamentenell’ambito delle normali attività diclasse, purché l’insegnante sappianon enfatizzare le difficoltà e sappiautilizzare semplici accorgimenti di-dattici in termini di differenziazionedei compiti e di individualizzazionedegli interventi.

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L’importanza di una diagnosi tempestiva

La dislessia deveessere identificata in fretta.Per questo il ruolodella scuola è fondamentale

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LIBRI PER APPROFONDIREGiacomo Stella, La dislessia, Edizioni IlMulino, Bologna 2000;Marilena Meloni (a cura di); Dislessia,Lavoro fonologico tra scuola dell’infanzia escuola primaria, Edizioni Libri Liberi, Fi-renze 2006;Mario Brottini, Le difficoltà di apprendi-mento, Edizioni Del Cerro, Pisa 2000;AA. VV. (a cura dell’Associazione Italia-na Dislessia) La dislessia raccontata agliinsegnanti, Vol. 1 e 2, Edizioni Libri Libe-ri, Firenze 2003;Test IPDA – Questionario osservativoper l’identificazione precoce delle diffi-coltà di apprendimento, Edizioni Erick-son - Trento.Sito internet Associazione Italiana Dislessia: www.aiditalia.org/

Questa distinzione è oggiquanto mai opportuna difronte a frequenti ed ingiu-

stificati allarmismi dovuti all’effettodi frettolose volgarizzazioni presen-tate da libri, riviste e trasmissioni te-levisive.Le difficoltà generiche non sono im-putabili a disturbi specifici, ma aduna esperienza insufficiente, sia sulpiano qualitativo che su quello quan-titativo. Tali difficoltà sono spessol’effetto di esercitazioni mancate o li-mitate da imputare alla carenza distimolazioni ambientali; un errorepedagogico che spesso si esprimecon richieste “anticipate” di alcuneprestazioni.Nel caso invece dei Disturbi Specificidi Apprendimento, la mancata cono-scenza dei deficit funzionali che liprovocano, l’incapacità di coglierneil loro primo manifestarsi fa sì che lascuola stessa non aiuti e, inconsape-volmente, renda più difficile il per-corso di apprendimento del bambi-no, addirittura aggiungendo ulterioriostacoli a quelli che ci sono già e co-stringendo il bambino a ricercare so-luzioni “personali” che spesso diven-tano vere e proprie soluzioni contro-producenti, più difficili da superaredella stessa difficoltà originaria.Tutti i disturbi specifici di apprendi-mento possono essere contrastati e iloro effetti funzionali essere ridotti,anche in misura considerevole.

Ciò che è importante è il lavorodi “prevenzione” e “identifica-zione rapida” del problema,

un lavoro che può già essere fattonella scuola dell’infanzia, facendo unlavoro di osservazione sull’evoluzionedel linguaggio, delle relazioni socialie dello sviluppo motorio del bambi-no. In modo più dettagliato è impor-tante che già nella scuola dell’infan-zia si possa valutare l’evoluzione diciascun bambino nei seguenti ambiti:aspetti comportamentali; motricità;comprensione linguistica; espressio-ne orale; meta cognizione (modi perricordare meglio le cose, consapevo-lezza di avere capito; persistenza nelcompito anche di fronte a fattori di

disturbo) altre abilità cognitive (me-moria, prassie, orientamento spazio-temporale); pre alfabetizzazione (di-scriminazione delle parole, ripetizio-ne di parole ascoltate, distinzione deisuoni che compongono le parole,corrispondenza fra parole scritte eparole ascoltate); pre matematica(comprensione che le quantità corri-spondono a numeri, confrontare nu-merosità diverse, ragionamenti suaggiungere e togliere).Perché tutto questo sia possibile ènecessario che gli insegnanti dellescuole dell’infanzia, meglio se con ilsupporto di esperti, siano messi ingrado di effettuare osservazioni ana-litiche su tutti gli alunni.Solitamente nella scuola si procedead osservazioni di carattere globale,con l’attenzione prevalentemente oesclusivamente rivolta alle insuffi-cienze macroscopiche. Questo è un errore poiché vengonoinevitabilmente tralasciate le diffi-coltà apparentemente meno eviden-ti, come quelle che poi in tempi suc-cessivi (nella scuola primaria) si ri-veleranno come veri e propri distur-bi specifici di apprendimento.

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[email protected] SapucciDirettore del Ceis (Centro Educativo Italo-Svizzero)

ANCHE I DISLESSICI SONO NATI PER LEGGERELa lettura è un piacere irrinunciabile,ma a volte, per i bambini o i ragazzi chehanno problemi di dislessia può diven-tare un tormento. Per nostra fortuna,anche l’editoria italiana negli ultimi anniha arricchito notevolmente la sua offer-ta e con piacere abbiamo visto fiorireinnumerevoli progetti editoriali, diffe-renziati per età, gusti e cultura, insom-ma ce n’è veramente per tutti, c’è soloda sperare che se ne accorgano prestocoloro a cui viene affidata l’educazioneletteraria dei nostri bambini e che deci-dano di approfittare di questo bellissi-mo e magico strumento di lavoro.Sono tante le piccole case editrici chestampano libri di qualità, curati in ogniaspetto, dalla grafica all’illustrazione. Lapiccola casa editrice romana Bianco enero edizioni pubblica una collana diclassici riadattati, corredati di cd audio.Sono libri per tutti, ma in particolareper chi ha difficoltà di lettura, per bam-bini dislessici o bambini stranieri che siavvicinano alla lingua italiana. Questi li-bri sono caratterizzati da strutture sin-tattiche semplici, dall’uso di un caratte-re chiaro e con le lettere speculari dif-ferenziate, capitoli brevi, paragrafi spa-ziati e lunghezza irregolare della rigaper tenere il ritmo della narrazione. Per info [email protected] Bozzi

L a luce è un elemento fondamentale nella stanza deinostri piccoli: è la lucetta accanto al lettino che ac-compagna i sonni difficili dei primi anni, è il lampa-

dario che dal soffitto assiste alle scorribande dei lunghipomeriggi d’inverno, è la lampada sulla scrivania checontrolla in silenzio i primi errori di scrittura, le doppie egli apostrofi; è il colore di queste luci che avvolgerà in fu-turo i tanti ricordi d’infanzia dei nostri figli.Personalmente prediligo la luce calda, quella gialla cheemanavano le vecchie lampadine ad incandescenza ormaibandite dal mercato. Ma bastano dei piccoli accorgimentiper rendere caldo anche un ambiente illuminato dalla lu-ce fredda delle lampadine ecologiche. Nel caso abbiate unparalume bianco appeso al soffitto, basterá decorarlo condella carta velina rossa o arancio. Vanno benissimo anchedegli avanzi di stoffa o dei vecchi centrini della nonna. Se poi siete abili con carta e taglierino potete lasciarviispirare dall’artista Yu Jordy Fu, che ha fatto rivivere latradizione cinese dell’intaglio in una evocativa serie dilampade in carta riciclata ed intagliata a mano, da accen-dere rigorosamente con lampade a basso consumo!Il sito del suo progetto Cloud Lamps èhttp://www.jordyfu.co.uk/shop/index.html

CASA DOLCE CASA

[email protected]

Valentina BeatoEsperta di design, Roma

Illuminata di fantasia

Foto Anna Peiretti

MANDATE LE SEGNALAZIONI A:“La Giostra”, via Aurelia 481, 00165 Roma, oppure inviando unamail a [email protected]

“Voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vo-stra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, mettercidentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto - que-sta è una delle gioie della vita - rendersi conto che ognuno dinoi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte diun tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.”Piero Calamandrei

Ecco qui un buon cittadino

UN MONDO POSSIBILE

Conoscete qualcunoche fa cose buoneper tutta la comunità?Impariamo da lui ilbello della convivenza

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valutazioni, è perché noi stessi non lipensiamo come tali. E allora siamonoi a dover riflettere! E ho scopertoche loro sono pronti e interessati apartecipare a un’area di socialità cheva oltre i confini della famiglia e del-la scuola. Questa esperienza mi hamotivato a rendere la Costituzionepiù vicina ai bambini», sono parole diAnna Sarfatti, impegnata con libri eprogetti nella promozione dei valoridella Costituzione Italiana.

C’è molto lavoro da fare… Si può cominciare immagi-nando che ciascun adulto,

con i suoi comportamenti e con azio-ni quotidiane, sia di fatto testimoneverso i più piccoli di atteggiamentipositivi, verso gli altri, verso le leggi,verso l’ambiente. Un futuro mondomigliore può esistere già oggi, se di-viene seme nelle nuove generazioni.Allora i bambini diventano speranzae promessa di futuro per le nostrecittà, per il nostro Paese. La Giostra, rivista per bambini dadue a sei anni, ha assunto questocompito, in modo semplice, ma effi-cace. Chi è oggi un buon cittadino?Chi ne ha sentito parlare, che cosafa? Perché non aiutare i bambini a

guardare agli adulti che si fanno te-stimoni di atteggiamenti positivi dicittadinanza?L’iniziativa “Un buon cittadino? Io loconosco!”: in concreto è un invito atutti i bambini a pensare ad una per-sona che fa qualcosa per gli altri, inpaese o nel quartiere. Può essere ilnonno vigile, il volontario della bi-blioteca, l’aiutante in Comune, unamico di famiglia che fa volontariato,oppure è nella Protezione Civile. An-che solo la signora dell’angolo chepulisce la strada, oppure lo zio cheha piantato dei fiori nell’aiuola co-munale. Disegnate questa persona eraccontateci in breve che cosa fa dibello e di buono per altre persone.La Giostra le manderà una specialemedaglia di riconoscimento, preci-sando da chi ha ricevuto la segnala-zione. Ricordate di indicare un indi-rizzo per raggiungere questa perso-na, oltre al vostro nome, indirizzo edetà del bambino partecipante. Nelcaso partecipi la classe dateci il reca-pito della scuola, della classe, dell’in-segnante referente. Tra i partecipanti verrà sorteggiatoun bambino; riceverà libri e un abbo-namento omaggio a La Giostra. L’i-niziativa scade il 6 aprile 2010.

UN MONDO POSSIBILE

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Anna PeirettiDirettrice del bimestrale “La Giostra”, TorinoIllustrazione da

A. Sarfatti, La Costituzione raccontata ai bambini, Mondadori

Con la legge 169 del 30 ottobre2008 si introduce nelle scuoleitaliane di ogni ordine e grado

una nuova materia di insegnamento:Cittadinanza e Costituzione. È una bella sfida: credere che i bam-bini, anche i più piccoli, possano co-struire una solida identità personalee culturale, nel rispetto degli altri,anche di coloro che sono diversi perrazza, popolo, cultura. Educare alla

cittadinanza significa sviluppareun sentimento di appartenenza allapropria comunità, maturare sensibi-lità e interesse per l’ambiente natu-rale, sentirsi responsabili delle sortidel mondo. L’idea di cittadinanzaprende vita, in un bambino, come larete di relazioni fra il singolo e ilgruppo, fra il sé e l’altro. Si scopredi vivere in un intreccio di relazionivarie e diversificate, in cui si è inve-stiti di diritti e doveri. Vivere insie-me ha bisogno di regole; il bambinoimpara giorno dopo giorno a cono-scerle, a rispettarle, a giudicarle conspirito critico. Impara che la convi-venza con altre persone, a comincia-re dal contesto familiare, è unagrande palestra di atteggiamenti perrendere possibile lo stare di più per-sone, insieme, sullo stesso territorio,uniti in un unico paese. Concreta-mente, per i bambini, si tratta di in-teriorizzare una primordiale idea dicittadinanza: sentirsi parte di ungruppo (la famiglia, il gruppo di ami-ci, la squadra, la classe), imparandoa collaborare con gli altri ad un pro-getto comune, a vantaggio di tutti. Dell’educazione alla cittadinanzanon può farsi carico solo la scuola,con la famiglia, ma è compito di tut-to il mondo adulto. È bello immagi-nare che in ogni comunità, sia essaun paese, una città, una regione, loStato, gli adulti assumano tutti, tuttiinsieme, la responsabilità educativaverso i più piccoli. «I bambini hanno bisogno di adultiche parlino con loro di tutto ciò cheli riguarda per sapere, capire, con-frontarsi. Che se trascuriamo diinformarli che sono cittadini, e nonsolo figli, nipoti, alunni…, cittadiniche ancora non hanno diritto di vo-to, ma che hanno il diritto di espri-mere il proprio pensiero e le proprie

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Shoppers, li chiamano così i sac-chetti di plastica per la spesa,con un termine che tanto ricor-

da “shopping” e che quindi profumadi consumo, acquisti, “economia chegira”. Eppure questi sacchetti hannoi giorni contati. O no? Il primo an-nuncio italiano di abolizione risale al-la Finanziaria del 2007: il 1° gennaio2010 era previsto “il definitivo divie-to della commercializzazione di sac-chi non biodegradabili per l’asportodi merci”, rispettando la scadenzasuggerita dall’Unione Europea. Queldivieto fu introdotto con tre anni dianticipo proprio per dare il tempo al-l’industria chimica di riconvertirsirealizzando sacchetti in plastica bio-

degradabile ottenuti dalla lavorazio-ne del mais. In realtà, nonostante tanto anticipo,il divieto slitta di un anno, dal 2010al 2011. La scorsa estate è stato in-fatti approvato un emendamento,firmato da un deputato del Pdl, chefa slittare il termine del divieto.Ma perché tanto clamore? Perchétanti rinvii? In fondo, nel “mare no-strum” dei rifiuti che produciamoquotidianamente i sacchetti di pla-stica non sono che una goccia; mapossono essere la goccia che fa tra-boccare il vaso.Comunemente questi sacchetti sonoutilizzati per far viaggiare la spesadalla cassa del negozio alla dispensa

o poco più: dopo di che, nella mag-gior parte dei casi, vengono diretta-mente gettati nei rifiuti, altre volteoculatamente messi da parte per es-sere riutilizzati. Comunque vada, ladurata del loro utilizzo può variaretra i cinque minuti alle 24 ore. Untempo troppo breve rispetto a quellodi degradazione, che può raggiunge-re i mille anni, rilasciando nell’am-biente numerose sostanze tossiche.

Una parte dei sacchetti di pla-stica finisce nelle discariche odirettamente nell’ambiente

dove, come dicevamo, può impiegareanche mille anni per rompersi in tan-ti piccoli pezzi (ma non distrugger-

UN MONDO POSSIBILE

Un sacco brutto

I sacchetti di plasticainquinano terra, maree aria. Per questo,prima o poi,dovremmo imparare arinunciare a loro

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si). Una parte finisce nelle fognatureo nei fiumi e da lì nel mare e neglioceani, creando enormi danni allafauna. Altri finiscono negli inceneri-tori e questi, direte, vengono elimi-nati definitivamente: sì, ma emetten-do grandi quantità di CO2 nell’atmo-sfera e contribuendo all’effetto serra.Nel mare il processo di degradazio-ne della plastica è ancora più lungoche sulla terraferma. La plastica siscompone in frammenti e poi in“polvere” rimanendo praticamentein sospensione e risalendo tutta lacatena alimentare: la plastica vieneinfatti ingerita dai microorganismimarini, dai pesci e, infine, indiretta-mente dall’uomo. Quindi, l’inquina-mento marino da plastica non restaconfinato all’ambiente in cui vienedepositato ma viaggia per migliaiadi chilometri nell’oceano trasporta-to dalle correnti.Nell’Oceano Pacifico è stato di re-cente scoperto il “Pacific Trash Vor-tex”, un’ “isola” il cui diametro è sti-mato in circa 2500 chilomentri conuna profondità di 30 metri compo-sta da rifiuti, l’80% di questi rifiuti èplastica. L’area, che sembrerebbeaver iniziato a formarsi negli anni‘50 in seguito all’accumulo di rifiutifiniti in mare da tutti i continenti elì convogliati per un lento sistema dicorrenti , è una specie di desertooceanico ormai praticamente senzavita. La spazzatura marina, inoltre, dan-neggia pesci, uccelli e mammiferimarini che la ingeriscono. È statostimato che ogni anno un milione diuccelli e 100.000 mammiferi marini etartarughe muoiono per l’ingestionedi materie plastiche. Queste infattipossono provocare danni all’esofago,blocchi dell’apparato digestivo e unafalsa sensazione di sazietà che portaqueste creature a lasciarsi morire difame. Come se tutto questo non fosse suf-ficiente, sappiamo ormai da tempoche i sacchetti di plastica rilascianodelle sostanze che se accumulatenell’ambiente causano importantidanni alla salute. Alcune di questein particolare il PCB (bifenil-poly-clorinato), alterano il sistema endo-crino e possono causare danni al-

l’apparato riproduttivo e accelerarel’estinzione di alcune specie viventi(orsi polari, foche).

Quindi, i danni causati dall’u-so sconsiderato dei sacchet-ti di plastica non può conti-

nuare ad essere ignorato, né tanto-meno procrastinato. La soluzione èsoltanto una, quella proposta dallaFinanziaria 2007: eliminarli. Le alternative sono molte e semplici,è solo questione di abitudine. Esisto-no ormai sul mercato sacchetti bio-degradabili in carta (che però richie-dono molta acqua ed energia per illoro processo di produzione) o inmateriali vegetali (derivati dal mais).La soluzione più semplice, conve-niente e comoda è quella di nonusarli. Sarebbe sufficiente arrivare

(chissà se ci arriveremo nel 2011) aproibirne la distribuzione nei negozi.Ma poiché non ci siamo ancora arri-vati, basta rifiutarli quando ci vengo-no offerti ed abituarci ad usare borsedi stoffa, cestini e carrelli come face-vano le nostre nonne. Abituatevi atenere un paio di sacchetti di stoffain borsa e il problema è risolto. Qualcuno intanto sta provando adorganizzarsi senza aspettare altrotempo: dal prossimo aprile i torinesiche si recheranno a fare la spesa non

troveranno più i classici sacchetti diplastica: il capoluogo piemontese èinfatti pronto a mettere al bando itradizionali sacchetti in polietilenecon quasi un anno d’anticipo rispettoa quando il divieto entrerà in vigoresu tutto il territorio nazionale.

Qualcuno disse “ai posteri l’arduasentenza”, io dico che possiamo ini-ziare nelle nostre famiglie a costruireun futuro con meno plastica e piùbuon senso.

UN MONDO POSSIBILE

E gli altri come fanno?

Nel 2003 in Sud Africa è stato vietato l’impiego dei sacchetti di plastica sottili.Nello stesso anno a Taiwan ne è stato vietato completamente l’uso. Nel 2005 in Eritrea, Ruanda e Somalia nel 2005 è stato vietato l’impiego dei sac-chetti di plastica sottili. Nel 2006 la Tanzania ha introdotto il divieto totale di utilizzo dei sacchetti di pla-sticaNel 2007 il Kenia e l’Uganda hanno messo fuori uso quelli sottili. Nello stesso an-no, la città di San Francisco è stata la prima in assoluto a vietarne l’uso nei grandisupermercati e nelle farmacie. Diversi mesi dopo, anche nel resto della Californiasi sono approvate leggi che hanno obbligato i grandi supermercati a riciclare lebuste di plastica.Nel 2008 la Cina, Paese in cui l’impiego procapite di borse di plastica è altissi-mo, ha annunciato il divieto di distribuire gratuitamente nei negozi i sacchetti diplastica. Nel 2009 in tutta l’Australia meridionale è stato vietato l’uso dei sacchetti di pla-stica. Le multe per chi non rispetta le nuove regole vanno da 160 a 2.500 euro. Ilministro dell’ambiente australiano ha ricordato che il suo paese, che produce 4miliardi all’anno di sacchetti di plastica, ridurrà così il volume dei rifiuti in discaricae l’inquinamento di strade, parchi e corsi d’acqua.

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Elena UgaPediatra dell’ospedale di Vercelli

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Confrontando quello che Roma era prima di diven-tare capitale dello Stato unitario con quello che èdivenuta dopo, si ha il senso di una perdita irre-

parabile, soprattutto per quel che riguarda il verde. Ro-ma era disseminata di orti e giardini sia “fuori porta” chedentro le mura. E l’Orto botanico si trovava sul Viminale,con vista ravvicinata su S. Maria Maggiore, i suoi campa-nili e le sue cupole. Dal 1883 si trovava sotto al Gianicolo, ma del vecchio giar-dino scientifico rimangono vestigia preziose al di là delcancello al n. 76 di via Milano. Oltre alle diverse varietà dipalme, ci sono alberi rari in Europa come l’Agathis au-

stralis, una conifera dal fusto alto e drittissimo che venivausata per gli alberi delle navi. Il lauro o l’alloro in tante sueforme, una fra tutte la Canfora, fino a non molto tempo fapreziosissima in medicina, la Casuarina, con le foglie sottilima dal legno durissimo. C’è persino un boschetto dibambù, piante misteriose che fioriscono all’unisono in tut-to il mondo, sia le piante che si trovano in climi temperatiche quelle che si trovano in climi freddi. Tutto questo in un terreno di meno di un ettaro, per di piùoccupato da una torre medievale (sebbene smozzicata), esoprattutto dal grande edificio dell’ Istituto per il restauroe la conservazione del patrimonio archivistico e librario.

Il nome altisonante e prestigioso non deve incutere ti-more, anzi, è un luogo la cui visita è rigenerante, oltreche semplicissima da organizzare. Basta prenotare per

telefono e si ha l’onore di essere guidati nel Museo dauna di quelle persone che tutti i giorni lavorano lontanodai clamori mediatici a qualcosa che davvero ci riguardatutti: la conservazione del patrimonio librario. La guidamette a disposizione (gratuitamente) la sua vasta cono-scenza del mondo della carta. Materiale vivo, come il le-gno, per questo attaccata dalle termiti, dai topi, dai tarlie via elencando. In una teca, un librone è scavato da una impressionantegalleria, opera delle termiti, infide bestioline che hannodistrutto la parte centrale delle pagine ed hanno lasciatointegra la pesante copertina: sono infatti lucifughe, arri-vate vicino alla superficie si fermano. A parte l’aspettodelle patologie del libro, il museo è interessante in tuttele sue parti: la storia della carta, con esempi di papiri, ta-volette di cera e belle pergamene, gli stracci per produr-re la carta, i colori e gli strumenti per miniare, i formatidella carta e infine le rilegature. Come in tutti i museipubblici che si rispettano sono anche offerti dei laborato-ri didattici. Uno insegna a cucire e rilegare un libro,usando la tecnica e i materiali utilizzati per i manoscrittimedievali in pergamena; in un altro, un Mastro cartaioaiuta i ragazzi (e gli adulti che lo vogliano) ad attraversa-re tutte le fasi necessarie per “fare” un foglio di carta, at-tività davvero ludica perché molto materiale; il terzo per-mette di riprodurre dei volumi simili a quelli del Cinque-cento, dal formato tascabile e dalla carta di ottima qua-lità, del tutto simili a quelli di un famoso stampatore ve-neziano che aveva come marca tipografica un motto chedovrebbe guidare le nostre concitate vite: festina lente

(ossia: affrettati lentamente).Tutto ciò senza chiasso e senza file.

http://www.icpal.beniculturali.it/indice.html

VENGO ANCH’IO

Viaggio intorno al libro

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Rossella Faraglia

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o In gita all’Istituto per il restauro ela conservazione del patrimonioarchivistico e librario di Roma

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Ho sempre pensato al cucchiaino come strumentoda caffè, tè, divagazione da fingerfood o al massi-mo da dolce al cucchiaio. Poi è arrivata Alice. I

bambini hanno la capacità straordinaria di mostrarti lecose come mai le avevi viste. Ed è stato così che anche lamia cucina ha cominciato a farsi in punta di cucchiaino.Ricordo il primo, quello che poi è rimasto il cucchiaino diAlice: la foggia antica, il peso e poi l’argento, lo stessoraccontato nelle leggende di una volta. Pare, infatti, chesolo i bimbi più fortunati ricevessero in dono un cuc-chiaino in argento, il magico metallo in grado di scacciarei demoni e implorare le fate di portar loro fortuna. A quelcompagno di pappe è rimasto legato il mio cuore. Da par-te sua, la pupa ha fatto il resto. La magia delle spezie, ilprofumo di coriandolo e basilico, la ruvidezza del cous

cous e il bianco candore del riso hanno seguito leggeri lestagioni portando il mondo lontano davanti agli occhi in-cantati di una bimba.Con un cucchiaio di cous cous o quinoa o riso si posso-no ottenere diverse versioni di pappe. Una versione in-vernale prevede l’utilizzo di 1 fetta di zucca mantovana(circa 30 gr), 1 porro piccolo, 1 patata dolce (circa 20gr), 1 topinambur, 1 cucchiaio di lenticchie rosse decorti-cate, un cucchiaino di olio extra vergine di oliva, 1 cuc-

chiaino di parmigiano, qualche foglia di alloro. Potete far-ne un’altra versione al sapore di carne o pesce, in questocaso sostituirete le lenticchie con 20 gr di petto di pollo o20 gr di sogliola (cotti al vapore e tritati). E infine, ancheuna versione vegetariana utilizzando 20 gr di tofu al po-sto delle lenticchie, del pollo o del pesce.La ricetta si può comporre secondo la stagione e i gustidel pupo o della pupa. Di seguito il procedimento perprepararne una versione invernale.

Pulite le verdure e tagliate patata, zucca e topinam-bur a tocchetti. Potete cuocere le verdure nel ce-stello a vapore: una tipologia di cottura che ha il

vantaggio di mantenere proprietà e sapori degli ingre-dienti inalterati. Profumate l’acqua con qualche fogliad’alloro e una volta che le verdure saranno pronte, utiliz-zate il brodo per cuocere le lenticchie (una decina di mi-nuti) e il cous cous (se avete scelto di utilizzare miglio oquinoa o riso seguite lo stesso procedimento). Se volete ottenere una pappa vellutata e cremosa, passa-te tutte le verdure al mixer o nel passapatate, altrimentischiacciatele soltanto con la forchetta. Mescolate le ver-dure alle lenticchie e al cous cous e condite con un filodi olio e un cucchiaino di parmigiano reggiano.

Magie di pappa

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Miralda ColomboGiornalista&Foodblogger, Medahttp://www.ilcucchiainodialice.it

LA QUINOA: DALLA TAVOLA DEGLI AZTECHI ALLA NOSTRALa quinoa è una pianta dall’uso antichissimo originaria delSud America. I semi di quinoa sono piccoli come quelli delmiglio, ma più schiacciati ed hanno un altissimo valore nutri-tivo La quinoa necessita di una cottura veloce, 10-15 minutiin acqua bollente. Può essere utilizzata per preparare zuppee minestre o per accompagnare carne e verdure.

Foto Cecilia Viganò

LA RICETTA

Variazioni sul tema pappa alcucchiaio, a seconda della stagionee dei gusti del pupo

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Iniziamo dalla fine. C’era una voltala bellissima statua di un leone,una grande statua al centro di

una grande piazza. Il leone era dibronzo e se ne stava li, trionfante emaestoso come solo un leone sa sta-re. Immobile e felice. Un giorno unagiovane illustratrice italiana lo vide,se ne innamorò e decise di raccon-tarne la storia in un libro d’immagi-ni e parole. La storia è quella di un leone che ungiorno, stanco di starsene nella sava-na, decise di andare a conoscere ilmondo. Così arrivò in una città, Pari-gi. La gente camminava veloce, tra lestrade e i palazzi, ma nessuno sem-brava accorgersi di lui, nessuno sem-brava spaventarsi, era quasi invisibi-le in questa città di sconosciuti equesto, per un leone, è un fatto al-quanto strano. Così iniziò ad intri-stirsi e a vagare per la città fredda epiovosa. Poi uscì il sole che fece bril-lare i tetti e i palazzi, tutto gli sem-brò più bello e le persone iniziaronoa sorridergli. La città iniziava a pia-cergli, così decise di restare.

Èuna piccola storia, quasi unpretesto per raccontarne un’al-tra, quella della città. Dentro

questo libro c’è tutta Parigi, con isuoi Palazzi, le sue cattedrali, i bi-

strot e le baguettes sotto il bracciodei passanti, l’ambiguo sguardo dellaGioconda, il fiume, la metropolitanae le scalinate, non manca proprioniente, è una continua sorpresa. Pa-gina dopo pagina la città si apre ainostri occhi, raccontata con un’inso-lita varietà di stili, di tecniche e pun-

ti di vista, con quella libertà, legge-rezza e gioia espressiva che soltantol’infanzia ci regala e che, felici, ritro-viamo in queste immagini. Ma noi pensiamo che in questo libroci sia anche un’altra storia, quella diun’illustratrice raffinata come Bea-trice Alemagna, autrice di questo li-bro, che da bambina amava i libri esognava di diventare un’illustratricedi racconti. Oggi Beatrice lavora aParigi e chissà che questo leone nonle somigli un poco, all’inizio un po’sperduto e poi, invece felice di es-ser li.

LETTURE PER BAMBINI

Che noia la savana!

Storia di un leonegiramondo,dall’Africa selvaggiaalle luci di Parigi

Beatrice Alemagna, Un leone a Parigi,Donzelli editore 2009

[email protected]

Sonia BozziRedattrice di UPPA, Roma

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In Tu mi turbi, un film del 1982,Roberto Benigni entra in banca echiede un prestito per comprarsi

una casa. La procedura prende avvioma, in un crescendo grottesco ed esi-larante di malintesi, finisce in nulla,avendo la banca compreso che il ri-chiedente prestito non ha il becco diun quattrino. Da cui la famosa battu-ta: “ma se io avevo un miliardo allorame li davate cento milioni!”Ecco, Mohammed Yunus, se ha visto ilfilm, avrà apprezzato doppiamente labattuta perché, sulla base della consi-derazione in essa contenuta, quandoha fondato la sua banca in Banglade-sh, la Grameen Bank, ha fatto tutto ilcontrario di quello che una normalebanca fa: ha prestato soldi per intra-prendere una attività redditizia a chi ènullatenente, anzi “ai più poveri tra ipoveri”, inclusi i mendicanti.Nel libro Un mondo senza povertà,pubblicato nel 2008, Yunus raccontain modo davvero avvincente la genesidella sua banca, più propriamente unistituto di microcredito, creato per da-re supporto economico ad alcune fa-miglie in condizioni di estrema po-vertà in Bangladesh ed oggi divenutouna realtà di imprese a finalità socialea largo raggio. Il cosiddetto Social Bu-siness si basa non sul profitto e i rela-tivi dividenti, ma sul vantaggio sociale.Ma c’è dell’altro che rende questa im-presa una vera e propria rivoluzione.

Yunus, uomo ottimista ed inte-gralmente pragmatico, ha nota-to che “una famiglia povera

traeva maggior beneficio economicose il prestito era fatto alla donna inve-

ce che all’uomo. Quando un uomoguadagna qualcosa, tende a spenderloper sé, mentre se sono le donne aguadagnare, tutta la famiglia e soprat-tutto i bambini ne traggono vantag-gio”. Il suo esempio è stato seguito intutto il mondo, ovviamente soprattut-to nei paesi meno sviluppati e il fon-datore della banca dei poveri è statoinsignito del premio Nobel per la Pace(si noti bene, della Pace, a un econo-mista!) nel 2006. Quello che sconcertadi più è che una recentissima inchie-sta del New York Times (in italianoper “Internazionale”) riporta dati ve-ramente impressionanti sulla morta-lità infantile femminile e sui motiviche la causano. Uno per tutti: le curemediche negate alle femmine e offer-te ai maschi. In Cina, come si sa, ilbrutale controllo demografico deter-mina la soppressione di neonate fem-mine, nel caso di famiglie troppo nu-merose. Si calcola che durante il 1989ogni settimana morirono un numerodi neonate e bambine simile a quellodei morti di piazza Tienanmen. Lastessa inchiesta peraltro conferma leosservazioni di Yunus e racconta didonne che – dopo aver subito violenzeinaudite – grazie ad istituti simili allaGrameen Bank, hanno iniziato una at-tività che ha permesso loro di cambia-re vita ed aiutare la famiglia. Come di-cono gli autori dell’articolo: “il modopiù efficace per combattere la povertàè aiutare le donne”.

LETTURE PER GENITORI

Il mondo salvato dalle donne

[email protected] FaragliaRoma

Mohammed Yunus, Un mondo senza povertà, Milano, Feltrinelli, 2008N.D.Kristof, S.WuDunn, Il potere delle donne, “Internazionale”,2/8 ottobre 2009http://www.grameen-info.org

Prestare i soldi aipoveri: un’idea daNobel. Soprattuttose il prestito è alfemminile

Sono la mamma di una bimba di due anni e mezzo che mipiacerebbe avviare ad un’attività musicale, senza preten-dere per questo che diventi una musicista - gli articoliche ho letto sulla rivista sono in parte responsabili diquesta mia intenzione. Abitiamo a Rimini ed il nostroIstituto pareggiato “G. Lettimi” ci offre addirittura lapossibilità di scegliere tra due corsi: uno condotto con ilmetodo Orff/Gordon, l’altro con quello Suzuki. Ho prova-to a documentarmi ma, essendo del tutto profana, nonsono riuscita a cogliere la reale differenza tra essi, datoche entrambi gli ultimi due studiosi sono fautori di meto-di che ripropongono gli schemi dell’apprendimento lin-guistico.

Simonetta ed Elena - [email protected]

Le metodologie che cita appartengono a scuole di pensieroculturalmente diverse. Il fatto che siano proposteda operatori esperti in didattica e pedagogia musica-le garantisce che siano calate nella realtà socioculturale che ibambini vivono quotidianamente. Mi sento di rinforzare chetutte le proposte rivolte ai bambini debbono comprendere

l’ascolto attivo, la produzione vocale e l’esplorazione sono-ra a partire dal proprio corpo. I bambini quotidianamente,nella loro conoscenza del mondo esterno attraverso l’esplo-razione dell’ambiente, a partire dagli oggetti familiari e di usoquotidiano, sono produttori di personali forme di espressio-ne sonoro-musicale, attraverso il proprio corpo, il gesto ed ilmovimento. I protagonisti delle esperienze debbono esseresicuramente i bambini: all’interno della relazione che si in-staura con tutti gli elementi del gruppo ciascuno deve poter-si esprimere liberamente. Gli educatori, così come i famiglia-ri, dovrebbero creare situazioni di apprendimento, nelle qualii bambini possano incrementare la propria motivazione allaconoscenza. Il consiglio è accertarsi che tutti questi elementisiano “ingredienti irrinunciabili” del corso, affinché Elena pos-sa vivere con gioia l’esperienza sonora anche fuori dall’am-biente familiare.

Cecilia Pizzorno, Coordinamento nazionale di Nati per la Musica

[email protected]

LE GEMELLE IN UN OSPEDALE ACCOGLIENTESono mamma di tre bambine, una di 5 anni e due gemelledi 23 mesi. Ho allattato la prima bambina, nata con partonaturale, fino a due anni e mezzo di cui i primi 7 mesi so-lo con latte materno; poi ho dovuto smettere perché midicevano che fino a quando allattavo non potevo rimane-re incinta di nuovo). Sono nate poi con taglio cesareo ledue gemelline, anche loro allattate per i primi 6 mesi emezzo solo con latte materno e ora… le sto ancora allat-tando e non so quando smetterò. Una delle gemelline allanascita pesava meno di 2 Kg ed è stata ricoverata in pa-tologia neonatale; io ero attaccata alle flebo e non potevoandare da lei, perciò l’ho rivista dopo 4 giorni. Ho vissutoquindi diverse realtà da quella dell’allattamento singolo aquella dell’allattamento “doppio”, dopo un parto cesareo,con una delle due bambine che non ha succhiato subitodal seno, ma dopo 4 giorni. Sono stata fortunata perchého incontrato persone che mi hanno aiutata molto:l‘ostetrica che mi ha seguito nel corso preparto, le oste-

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POSTA & RISPOSTA

Elena che sta cominciando a fare musica“Non aspiro a fare di mia figlia una musicista, ma non so quale metodoscegliere per avviarla ad un’attività musicale”

Foto Marcello Savio

triche del reparto maternità, le infermiere del nido ed in-fine la pediatra. Sullo speciale allattamento del n° 4/2009avete scritto che l’UNICEF ha certificato 21 strutture co-me Ospedali amici del bambino. Personalmente vorreisegnalare che anche l’Ospedale Maggiore di Novara non èda meno sia come maternità, sia come nido, patologianeonatale e pediatria (ho dovuto ricoverare le due ge-melline a 1 mese e mezzo per una bronchiolite)

Noemi Bianchi - [email protected]

INFLUENZA: VI RACCONTO UNA STORIAA metà settembre 2009 porto il bimbo di 4 anni dalla pe-diatra che mi consiglia di vaccinarlo contro l’influenza A ecompila l’impegnativa. Scettica, telefono comunque all’A-SL perché, sempre secondo la mia pediatra che stimo mol-to, dovrebbero almeno cominciare a prendere gli appunta-menti. Intanto si fanno i primi di ottobre. La risposta dal-l’ASL mi arriva così: “Ma no signora, la sua pediatra do-

vrebbe saperlo, non sono ancora arrivati i vaccini per

l’influenza comune si figuri quelli per l’influenza A;

quindi non prenotiamo ancora. Provi a richiamare

più in là”. Ai primi di ottobre mi armo ancora di pazienzae ritento, la prima volta ho fatto 20 tentativi e alla fine do-po 2 ore ce l’ho fatta. Risposta: “Ma no signora, al mo-

mento è la regione che dovrebbe mandare gli elenchi

delle persone a rischio, quelli con il tesserino rosa, ma

non li ha ancora mandati quindi gli altri devono

aspettare”, intervengo: “Sull’impegnativa c’è scritto a

rischio asma”, risposta: “Oh, ma non è certo un rischio

grave, provi a richiamare a novembre”. A metà ottobremio figlio si è fatto la sua bella influenza con una due gior-ni di febbre a 40° e niente strascichi ai bronchi, strano ma

vero. È rientrato a scuola senza aver fatto nessun test, mail sospetto che si fosse trattato di influenza A mi sembrafondato. Tutto risolto; mi sono detta: “Se fossi stata più ap-prensiva mi sarebbe venuta l’ansia e avrei dato fuori dimatto per le risposte ricevute e la campagna terrorizzantedei mesi passati”. E poi mi chiedo, da ignorante in materia:non converrebbe spendere un po’ di meno per i vaccini eun po’ di più per l’ambiente? Forse i nostri figli sarebberomeno deboli di bronchi.

Elena Colombo - [email protected]

SVEZZAMENTO: CHE BELLO NAVIGARE A VISTA!Ho letto, insieme a Marco il mio compagno, il libro “Iomio svezzo da solo” di Lucio Piermarini, di cui UPPA par-la spesso, quando Martino nostro figlio aveva tre mesi.Ora ne ha sette e sta assaggiando quello che mangiamonoi, a pranzo, a cena e un po’ anche colazione. Continuaa poppare quando vuole, specialmente di notte, comeaperitivo o dessert di giorno. Quante volte avrei volutoscrivere, raccontare i momenti difficili, le ansie da mam-ma (accidenti a me!) e le soddisfazioni di vedere Martinoche assaggia ed è felice. Ormai si arrabbia tantissimo senon ottiene il suo assaggio; e gli assaggi piano piano co-minciano ad essere di maggior peso. Certo... si naviga avista, senza alcun riferimento: non sempre è facile saperproporre. È una strada che impegna “educativamente”,ma sono contentissima di questa scelta di alimentazionecomplementare e rifarei esattamente così se avessi un al-tro figlio o un’altra figlia. Spero proprio di non essere l’u-nica mamma ad aver seguito questa strada, che in realtàè così semplice!

Silvia - [email protected]

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POSTA & RISPOSTA

Foto Lucia Poggiali