Un Caso Di Agnosia Visiva Complicata in Paziente Asperger. Il Pittore e Scrittore Alberto Savinio...

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UN CASO DI AGNOSIA VISIVA COMPLICATA IN PAZIENTE ASPERGER: IL PITTORE E SCRITTORE ALBERTO SAVINIO (1891-1952) Carlo Alessandro Landini 1. “Io vorrei che comparisse il diavolo, e in cambio di qualcosa (l’anima no, perché non si sa mai) mi offrisse di scindermi in due persone, o anche tre o quattro, perché no?”. Parole di Martin Mystère, protagonista dell’omonima, fortunata serie di fumetti, indagatore del fantastico e “detective dell’impossibile” 1 . Ma l’idea di un auspicato (o temuto) sdoppiamento della personalità è tutt’altro che impossibile, è anzi più frequente di quanto uno immagini. Sembra che il Romanticismo abbia speculato non poco su questo sogno, o incubo, quello del Multiple Personality Disorder (“Sindrome da personalità multipla”) 2 . Gli alter ego del compositore Robert Schumann si chiamavano Florestano (focoso e irruente), Eusebio (calmo e compassato), Maestro Raro (sintesi perfetta dei primi due). In quegli stessi anni Dostoevskij dava alla luce la prima versione del breve romanzo Il sosia, nel quale l’impiegato statale Goljadkin deve scontrarsi col proprio clone, un double maligno e ipocrita che passa il suo tempo a tramare contro il poveretto. Trent’anni circa dopo, uscì a Londra il lungo apologo di Stevenson, The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, che ancor oggi affascina generazioni di lettori per il suo potente valore allegorico, manifesto dell’età vittoriana in sé divisa fra Bene e Male, fra puritanismo e laissez- faire, fra moralismo e senso pratico della vita. Come sempre accade, la fantasia è superata dai fatti. Al periodo fra le due guerre, lo stesso nel quale vivono e lavorano il pittore, letterato, musicista Alberto Savinio e suo fratello maggiore Giorgio de Chirico, il rissoso quanto egomaniacale pittore delle piazze d’Italia, risale la Fig. 1. A. Savinio, Doppio ritratto di Sante Astaldi (1950), tempera su tela, cm. 72 x 60 (Udine, Galleria d’Arte Moderna) 1 Nella fiction dal titolo “Vite parallele”, Martin Mystère, n. 268, lug. 2004, p. 63. 2 Per un approccio generalista al problema si potrà utilmente consultare R.B. Allison, T. Schwarz, Minds in many pieces, Rawson & Wade, New York 1980; A. Ashby, “Esther Minor: Multiple personalities in court”, Forum 6 (1979), pp. 3-30; American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III) (3 rd ed.), APA, Washington D.C. 1980;P.M. Coons, “Multiple personality: Diagnostic considerations”, J. Clin. Psychiat. 41 81980), pp. 330-336.

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CARLO ALESSANDRO LANDINI - UN CASO DI AGNOSIA VISIVA COMPLICATA IN PAZIENTE ASPERGER: IL PITTORE E SCRITTORE ALBERTO SAVINIO (1891-1952)

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UN CASO DI AGNOSIA VISIVA COMPLICATA IN PAZIENTE ASPERGER: IL PITTORE E SCRITTORE ALBERTO SAVINIO (1891-1952) Carlo Alessandro Landini

1. “Io vorrei che comparisse il diavolo, e in cambio di qualcosa (l’anima no, perché non si sa mai) mi offrisse di scindermi in due persone, o anche tre o quattro, perché no?”. Parole di Martin Mystère, protagonista dell’omonima, fortunata serie di fumetti, indagatore del fantastico e “detective dell’impossibile”1. Ma l’idea di un auspicato (o temuto) sdoppiamento della personalità è tutt’altro che impossibile, è anzi più frequente di quanto uno immagini. Sembra che il Romanticismo abbia speculato non poco su questo sogno, o incubo, quello del Multiple Personality Disorder (“Sindrome da personalità multipla”)2. Gli alter ego del compositore Robert Schumann si chiamavano Florestano (focoso e irruente), Eusebio (calmo e

compassato), Maestro Raro (sintesi perfetta dei primi due). In quegli stessi anni Dostoevskij dava alla luce la prima versione del breve romanzo Il sosia, nel quale l’impiegato statale Goljadkin deve scontrarsi col proprio clone, un double maligno e ipocrita che passa il suo tempo a tramare contro il poveretto. Trent’anni circa dopo, uscì a Londra il lungo apologo di Stevenson, The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, che ancor oggi affascina generazioni di lettori per il suo potente valore allegorico, manifesto dell’età vittoriana in sé divisa fra Bene e Male, fra puritanismo e laissez-faire, fra moralismo e senso pratico della vita. Come sempre accade, la fantasia è superata dai fatti. Al periodo fra le due guerre, lo stesso nel quale vivono e lavorano il pittore, letterato, musicista Alberto Savinio e suo fratello maggiore Giorgio de Chirico, il rissoso quanto

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ig. 1. A. Savinio, Doppio ritratto diante Astaldi (1950), tempera su tela,m. 72 x 60 (Udine, Galleria d’Arteoderna)

egomaniacale pittore delle piazze d’Italia, risale la

Nella fiction dal titolo “Vite parallele”, Martin Mystère, n. 268, lug. 2004, p. 63. Per un approccio generalista al problema si potrà utilmente consultare R.B. Allison, T. Schwarz, Minds in many ieces, Rawson & Wade, New York 1980; A. Ashby, “Esther Minor: Multiple personalities in court”, Forum 6 (1979), p. 3-30; American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III) (3rd ed.), PA, Washington D.C. 1980;P.M. Coons, “Multiple personality: Diagnostic considerations”, J. Clin. Psychiat. 41 1980), pp. 330-336.

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spesso citata – non di rado a sproposito – Traumnovelle di Schnitzler (dalla quale Stanley Kubrick trasse il suo ultimo film, il discusso Eyes Wide Shut). Ma è inevitabile pensare anche a Psycho di Alfred Hitchcock, il film del 1960 nel quale Norman Bates, impersonato dal sempre inquietante Anthony Perkins, incarna due individui nella stessa persona, se stesso e la vecchia madre; e a Vertigo (“La donna che visse due volte”), firmato da Hitchcock due anni prima, interpretato da un’ambigua Kim Novak e da un perplesso James Stewart. Il Doppio ritratto di Sante Astaldi è una tempera su tela che il genio di Alberto Savinio dà alla luce nel 1950, due anni appena prima della morte (ma il tema del double, già spiccatamente romantico, è ricorrente in entrambi i de Chirico, con ampia profusione di mitiche dualità, come quella dei Dioscuri). L’amico è ritratto da Savinio con accanto il suo alter ego, il suo lare, il suo benevolo dàimon, il suo nume protettore: l’ambiguità dello sdoppiamento, quasi una nota angosciosa che si insinua, come un algido soffio, nel credo protoromantico nell’ombra, prevale su qualunque velleità allegorica. Come tra poco si vedrà, Savinio non è fisicamente in grado di tessere allegorie: tutto va preso, nella scrittura e nella pittura di Savinio, alla lettera. È Savinio stesso a prendere, alla lettera, la realtà in ogni suo dettaglio, in ogni suo più piccolo particolare.

2. Si ha fondato motivo di ritenere che molti dei personaggi di invenzione

ospitati nelle prose di Savinio siano l’incarnazione di uno o più aspetti della sua personalità; degli avatara di frammenti in sé completi, ma necessariamente parziali, di un io peraltro complesso e stratificato; si ha ragione di sospettare, o di temere, insomma, che Savinio abbia potuto di volta in volta identificarsi con questo o con quel protagonista dei suoi singolari e un po’ surreali racconti. Egli è ora se stesso, parlando in prima persona (come nelle cronache musicali raccolte e pubblicate col titolo Scatola sonora), ora Nivasio Dolcemare (è questo il Savinio ancora infante, in età giovane e giovanissima), il signor Dido (è questo l’uomo adulto), Innocenzo Paleari, il signor Münster (due alias che Savinio adopera in età matura), ora una miriade di altri personaggi più o meno credibili. Da qui, da questa scissione dell’io in un certo numero di sotto-personalità autonome ed autosufficienti, ciascuna delle quali provvista di una propria marca caratteriale e pulsionale, si potrebbe partire per tracciare un profilo nosografico del personaggio Savinio. Il quale condivide, suo malgrado, il singolare destino di taluni personaggi di Proust che, scrive l’autore della Recherche, al pari degli isterici “non occorre più addormentare perché si trasformino in questa o quella persona”3. Proprio come costoro, Savinio “entra nel personaggio da

3 “Comme ces histériques qu’on n’est plus obligé d’endormir pour qu’ils deviennent telle ou telle personne, de lui-même il entrait tout d’un coup dans le personnage”, M. Proust, Le temps retrouvé, Gallimard, Paris 1990, p. 6 ; tr. it. Il tempo ritrovato, tr. di G. Raboni, Mondadori, Milano 1995, p. 13.

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solo e in un sol colpo”. La prima domanda che conviene che si ponga chiunque il quale per la prima volta si avvicini all’opera di Savinio dovrebbe essere tesa anzitutto a indagare il profilo personale, umorale, caratteriale di quest’ultimo. È nostra convinzione che quella senza questo, l’opera sola, senza le necessarie informazioni riguardo alla vita e al carattere dell’autore, di questo autore in special modo, siano come il gheriglio della noce senza il mallo, la polpa di un frutto senza la sua scorza. Si dirà che è la prima, la polpa, a esser mangiata. Ma è la scorza a darle consistenza, a tenerla insieme, ad attrarre lo sguardo di chi osserva. Così, fra le prime domande che affiorano spontanee nell’avvicinarsi a Savinio e all’opera sua è di quale dei molti alias saviniani si stia in quel preciso momento parlando. Questo l’interrogativo che Alfredo Giuliani, letterato fine e di gran vaglia, si pone in una sua preziosa nota introduttiva all’opera del Nostro: “Di quale sé, di quali altri e altro racconta Alberto Savinio?”4.

3. Oltre a parlare, come si è soliti fare per Savinio, di un suo penchant per la

narrazione en travesti (e allora il teatro di Rossini avrebbe dovuto piacergli, e difatti gli piacque), di una sua propensione per la categoria dell’onirico e dissacrante, di un suo tumulto sperimentale “disciplinato al nuovo”, teso non meno allo svecchiamento dell’italico provincialismo che alla conquista di uno spazio e di un tempo virtuali, altri da quelli dell’ovvietà quotidiana; si dovrebbe, oltre a ciò, porre l’accento sulle valenze propriamente psicopatologiche sottese alla personalità e agli scritti di Savinio5. In cui lo sdoppiamento – simile, per certi versi, a quello praticato con “metodica follia” dal portoghese Pessoa – non rappresenta che un tassello, uno fra i tanti, del mosaico versicolore e sfaccettato costituito dall’immaginario fantastico. Altri sintomi si affiancano a questo primo. Se l’io narrante di Savinio, come è stato messo in luce dalla giovane studiosa piacentina Leili M. Kalamian, “vive in una dimensione sospesa tra sogno-fantasia e realtà-verosimiglianza”6, se l’uomo è sorpreso a volte “immerso nel suo spleen” e “spesso ridacchia tra sé, le spalle sussultanti”7, ciò potrebbe costituire il segno di una grave perdita del senso di realtà (ciò che la psichiatria designa, oggi, col nome di “stato crepuscolare”), quello di una tendenza all’autismo e alla forclusione (è provato che le personalità autistiche, potendo contare sullo sviluppo di alcune abilità particolari, si dimostrano tra le più creative, tanto che si è per esse coniato il termine idiots savants). Confessa Savinio 4 A. Giuliani, Savinio dei fantasmi, Introduzione alla raccolta di romanzi e racconti di A. Savinio, Hermaphrodito e altri romanzi, Adelphi, Milano 1995, p. IX. 5 Non tragga in inganno l’aggettivo per la sua apparente prosopopea: di una “psicopatologia della vita quotidiana” aveva parlato per primo Sigmund Freud in relazione ai tic e piccoli “atti mancati” che ciascuno di noi compie ogni giorno. 6 L.M. Kalamian, Il teatro della visione come “arte totale” in Savinio “surrealista” metafisico, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Acc. 2003/2004, p. 29. 7 Cit. da Alfredo Giuliani nel saggio Savinio dei fantasmi posto a Introduzione di A. Savinio, Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. XIII.

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senz’ambagi o mezzi termini: “Il creatore vive solitario. Non ha relazioni col mondo. È nemico del prossimo”8. Non è fuori luogo ipotizzare che Savinio alluda, con siffatte parole, anche a se stesso, alla propria patologica introversione. Se parlare di timidezza – un attributo del quale lo scrittore poteva riferire a sé medesimo senza arrossirne9 – non sarebbe fuori luogo, nemmeno lo sarebbe propendere per una diagnosi di autismo in forma mitigata. L’ipotesi non sarebbe troppo peregrina qualora, al fine di supplire quasi a una supposta perdita del senso di realtà in Savinio, noi introducessimo per quest’ultimo l’idea – complementare alla precedente – di un’ideazione prevalente (tipica di tutte le personalità creative), ossia di una fantasia lanciata a briglia sciolta, tale da assumere il controllo di tutte, o quasi, le attività connesse alla coscienza vigile e alla volontà. È questo eccesso di ideazione, col quale si sposa una forse congenita incapacità di far fronte alla realtà e alle sue leggi, a innescare il meccanismo duplice della “perdita della testa” e del mancato riconoscimento dell’altrui fisionomia. Se per il paziente nevrotico il desiderio che lo spinge all’azione è inibito, facendo di quest’ultima il noyau fobico-ossessivo di una sintomatologia quasi esclusivamente “reattiva” – è per questo che si è soliti parlare di “nevrosi da difesa” o Abwehrneurosen10 –, per quello isterico il desiderio si traduce immediatamente in azione, ancor prima che una quale che sia forma di controllo da parte del “sistema secondario”11 possa innescarsi.

4. Quando Savinio prende alla lettera la metafora corrente per la quale si dice

di “aver perso la testa” allorché non si è più compos sui, egli non fa altro se non, per un eccesso di letteralità, percorrere il cammino medesimo imboccato dai pazienti isterici. Per i quali il pensiero si traduce in azione, è esso stesso azione. L’incapacità di afferrare una parola o un gesto per il loro aspetto metonimico costringe il paziente a mettersi, per così dire, dalla parte del sintomo. Rappresentandolo letteralmente allorché si tratti di un artista, prosatore o pittore (il musicista, come è noto, non ha

8 A. Savinio, “Apollo musagete”, articolo apparso su Oggi, 19 apr. 1941; ristampato nella raccolta di scritti di A. Savinio, Scatola sonora, Einaudi, Torino 1988, p. 184. 9 “Il grande tormento dei timidi è che, esteriormente, essi passano per degl’inattivi, degl’indifferenti, dei rassegnati, dei privi di bisogni; mentre l’interno del timido vibra di una segreta e struggente attività” (A. Savinio, Il signor Münster, racconto incluso nella raccolta Casa ‘La Vita’, Adelphi, Milano 1988, pp. 264-265). 10 Il termine, di per sé vago (il prefisso abwehr- rimanda all’aggettivo italiano “reattivo”), fu coniato da Freud nel suo precoce scritto Die Abwehr-Neuropsychosen (1894); fu da lui approfondito nel successivo Weitere Bemerkungen über die Abwehr-Neuropsychosen (1896). Per una delimitazione clinica del termine si può utilmente vedere O. Fenichel, The Psychoanalytic Theory of Neurosis (1945). 11 Dal punto di vista topico, il “processo secondario” (“Sekundärvorgang”) caratterizza il sistema Prec.-C. (“preconsio-conscio”); dal punto di vista economico-dinamico, invece, si ipotizza che nel corso del “processo secondario” l’energia venga come “legata” o “fixier”t (“fissata”), facendo sì che le rappresentazioni siano investite in modo più stabile e il soddisfacimento pulsionale venga differito (è questo lo scotto che l’individuo deve pagare alle conquiste della civiltà). La distinzione freudiana tra “processo primario” (lo stesso che governa l’onirismo e presiede al crearsi delle allucinazioni nei pazienti psicotici) e “processo secondario” è già presente nell’Entwurf einer Psychologie (1895) ed è sviluppata da Freud nella sua Traumdeutung (1900).

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mai di questi problemi). Per questa ragione Savinio pittore resta al livello di un geniale illustratore, di un geniale creatore di sciarade visive. È un fatto poco noto al grande pubblico, ma vi è una minoranza di individui cronicamente incapaci di interpretare il linguaggio in forma simbolica. Si tratta di un deficit del pensiero molto spesso imputabile a lesioni localizzabili a livello del giro angolare sinistro (più o meno sopra l’orecchio sinistro). In altre parole, i pazienti non riescono ad andare oltre il significato letterale delle parole (se si chiede loro il significato del proverbio “non è tutto oro ciò che luccica” essi vi risponderanno candidamente che “bisogna stare attenti quando si comprano dei gioielli”). Il grande neurobiologo Vilayanur Ramachandran, dell’Università della California a San Diego, ha dimostrato che il giro angolare è di regola coinvolto nella comprensione delle metafore. La sindrome di Gerstmann12 – questo il nome del disturbo, dal quale sospettiamo che Alberto Savinio possa essere stato affetto (in modo peraltro lieve) – è disturbo più grave della già nota afasia di Wernicke, una lesione che provoca la perdita della capacità di comprendere il linguaggio e in alcuni casi, come lo dimostra il caso doloroso di Maurice Ravel, la musica13. La prima, a differenza della seconda, ostacola e, nei casi peggiori, impedisce la comprensione non solo del linguaggio, ma anche, e soprattutto, quella delle metafore visive. Oliver Tucha e collaboratori studiarono il caso di una donna affetta da sindrome di Gerstmann, la quale presentava una lesione focale (un glioblastoma multiforme) localizzata a livello del giro angolare sinistro14. La donna era incapace di riconoscere e nominare le dita del piede (“naming touched toes”) indicate dal ricercatore (“which had named by the examiner”), ciò che si è soliti definire una “toe agnosia”, caso più raro e insolito rispetto alla più comune e meglio documentata “finger agnosia”, l’incapacità che i pazienti Gerstmann manifestano di riconoscere e nominare le dita della mano. È curioso constatare come a Savinio sia accaduta press’a poco la stessa cosa. Il padre dello scrittore – il signor Girolamo del racconto Trololò – non rammenta il séguito di un banale motivo musicale, la cui fine “si ostina a non lasciarsi ricordare”: si tratta di un caso di vera e propria amusia temporanea, un’amnesia semplice localizzata a livello della corteccia uditiva, non più di un espediente retorico-letterario come poteva esserlo stata, a suo tempo, la difficoltà incontrata dal Narratore nel richiamare la petite phrase. Ma è la focalizzazione somestesica del sintomo a lasciare perplessi:

12 J. Gerstmann, “Syndrome of finger agnosia, disorientation for right and left, agraphia and acalculia”, Archives of Neurology and Psychiatry, 1940 (44), pp. 398-408. Vedasi anche A.L. Benton, “Gerstmann’s syndrome”, Arch Neurol., 49, May 1992, pp. 445-447. 13 Le lesioni responsabili dell’afasia di Wernicke sono, lo si ricordi, lesioni corticali che interessano la corteccia uditiva associativa (ovvero la parte posteriore della prima circonvoluzione temporale) e la corteccia del lobulo parietale inferiore (giro sopramarginale e giro angolare). Dopo essere stato colpito da afasia di Wernicke con aprassia ideomotoria, l’autore di Daphnis et Chloé aveva completamente smesso di comporre. 14 O. Tucha, A. Steup, C. Smely, K.W. Lange, „Toe agnosia in Gerstmann syndrome“, Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry, 63 (1997), pp. 399-403.

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“strano a dire – spiega lo scrittore –, questo incompiuto musicale il signor Girolamo lo avverte soprattutto nella gamba destra, e particolarmente sulla punta del piede”15.

5. Se meno ci interessa l’emulazione letteraria di un’amusia con ogni

probabilità simulata o artefatta, si è, qui, in presenza di una dichiarata agnosia tattile in cui la lesione, nel caso di Savinio localizzata a livello di emisfero sinistro, produce un deficit sensoriale negli arti inferiori di destra (il sintomo è sempre controlaterale

rispetto al focus della lesione). Benché l’acuità visiva del pittore e scrittore sia risparmiata e conservata in toto, come non era avvenuto, invece, nel caso del pittore Claude Monet, affetto da cataratta del cristallino, l’occhio di Savinio sembra a tratti comportarsi come una lente aberrante il cui fuoco sagittale sia pagato al prezzo di una distorsione (“blur”) periferica. Accade al Nostro, in altre parole, quello che accade ai pazienti affetti da astigmatismo tangenziale dell’occhio. Solo che, nel caso del Nostro, la lesione sembra potersi localizzare a livello neuroanatomico profondo e non già episomatico: la compromissione del giro angolare sinistra è d’altronde compatibile con lo svantaggio controlaterale che si manifesta, in Savinio, attraverso un deficit (per la precisione, una negligenza visuo-spaziale, o “visual hemineglect”) a carico del campo visivo destro. Se si mettono a confronto l’autoritratto

effettuato da Alberto Savinio nel 1934 (Fig. 2) e quello che egli effettua dieci anni più tardi, nel 1944 (Fig. 3), la progressione del deficit visuo-spaziale appare incontestabile. Dietro l’occhiale l’occhio del pittore è come cancellato, ciò che può dirsi anche della guancia sinistra (a destra per chi osserva il dipinto). È sempre il campo visivo periferico del quadrante superiore dx a essere interessato dal neglect, con un peggioramento del visus che lascia sgomenti. Altre volte si ha come l’impressione di un interessamento più profondo e generalizzato dei processi identificativi e attenzionali, con la graduale scomparsa e dissoluzione dei contorni, col progressivo coinvolgimento dell’abilità di riconoscimento delle stesse figure. Qui, l’arte di Savinio perviene a sfiorare gli esiti sconvolgenti della decostruzione massiccia dei percetti che affligge la gran parte dei pazienti schizofrenici gravi (se il confine tra l’arte psichiatrica e l’art brut, di cui Jean Dubuffet era stato convinto

Fig. 2. A. Savinio, Autoritratto (1934), china e matita su carta, cm.26 x 19 (Genova, collezione privata)

15 A. Savinio, Trololò, racconto compreso nella raccolta Casa ‘La Vita’, op. cit., p. 189, corsivo nostro.

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sostenitore, è da sempre, occorre ammetterlo, tanto labile quanto aleatorio nelle sue premesse, quanto esso è però rivelatore degli abissi dell’animo umano!).

6.L’analogia fra il caso descritto da Tucha, quello della paziente affetta da un glioblastoma localizzato a livello del giro angolare sinistro, e la testimonianza riferita di Savinio riguardo all’agnosia tattile riferita all’arto inferiore e piede destro, costituisce un ulteriore tassello a favore della diagnosi di Gerstmann (la cui eziopatologia potrebbe avere, nel caso di Savinio, una co-dipendenza focale e

funzionale di origine neuroanatomica). L’oggettivo impedimento del malato nel comprendere non solo il linguaggio corrente, ma anche, e soprattutto, il senso connotato delle metafore visive, suggerisce, secondo il citato Ramachandran, che la nostra capacità di astrazione non dipende strettamente dal linguaggio, ma deriva da un’ordinata integrazione dei segnali provenienti da tutti i distretti sensoriali corporei, nessuno escluso, e dalla successiva concettualizzazione di ciò che è stato percepito. In tal senso, non solo il giro angolare è in una posizione privilegiata, essendo contiguo alle aree visive, uditive e somatosensoriali (inutile aggiungere che negli esseri umani la citata porzione della corteccia è più sviluppata che negli altri primati, in grado sì di percepire ma non di risolvere la percezione nelle superiori unità di concetti), ma esso risulterebbe in qualche modo coinvolto nella

formazione delle sinestesie, ossia dei fenomeni di percezione cross-modal, interessati dal concorso simultaneo di più modalità sensoriali (vista-udito, udito-olfatto, udito-tatto, eccetera). Ancora una volta, è proprio questo il caso di Alberto Savinio, impegnato simultaneamente su diversi fronti espressivi, dalla musica alla letteratura alla pittura. Se una dissociazione patologica fra abilità linguistiche e abilità visuo-spaziali sotto forma di agrafia o disgrafia è la conseguenza più vistosa dell’infarto parietale-occipitale riferibile all’emisfero sinistro16, quello dominante, la “letteralizzazione” dei concetti e delle immagini è con ogni probabilità il correlato sintomatologico dello stesso evento riferito, invece, all’emisfero destro (Savinio, come si desume da numerose testimonianze fotografiche17, non era affetto da mancinismo). Inutile aggiungere che la prospettiva critico-interpretativa dalla quale si partirebbe in tal caso, quello di una ripresa e restituzione letterale, non più

Fig. 3. A. Savinio, Autoritratto (1944), tempera su compensato, cm. 11 x 9,2 (Collezione privata)

16 D.N. Levine, R.B. Mani, R. Calvanio, “Pure agraphia and Gerstmann's syndrome as a visuospatial-language dissociation: an experimental case study”, Brain Lang. 35, Sept. 1988, pp. 172-196. 17 Pensiamo, in particolare, a una fotografia scattata nel 1939 da Ghitta Carell allo scrittore.

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metaforica, degli oggetti, dei volti e degli eventi da parte di un artista, avrebbe conseguenze sconvolgenti sulla storia dell’arte. L’asserito “potere delle immagini” (“the power of the images”, per dirla con lo studioso newyorkese David Freedberg)18 sarebbe in tal caso iconico e non più figurale. In altre parole, un dipinto colpirebbe i sensi dello spettatore (e non la sua immaginazione, si osservi) non già per ciò che esso rappresenta, o potrebbe rappresentare, bensì per ciò che esso meramente è. Rimane di una rappresentazione il solo denotatum, il segno osteso, il puro gesto. La rinuncia ad avvalersi di una strategia della sostituzione, o dell’inferenza, la sola a poter generare un vero metalinguaggio, comporta il sacrificio del gheriglio o della polpa di un frutto a tutto vantaggio del mallo o della scorza: sacrificium intellectus, ossia l’abdicazione a quale che sia interiorità pensante e senziente.

7. Nemmeno il punto di vista della linguistica ci è indifferente. Annovera il grande

Roman Jakobson fra i sintomi caratteristici di un “rapporto interno menomato” (“disordine della similarità”) una certa difficoltà, da parte del paziente, nel disporre le unità di un codice secondo la loro somiglianza. Questi malati sono sì in grado di “combinare due unità fra loro all’interno di un messaggio, ma non di sostituirne una ad un’altra, sulla base della loro reciproca somiglianza (o contrasto)”19. Come direbbe Charles Peirce, essi non riescono a passare da un’icona o da un “indice” a un simbolo corrispondente20. Allo stesso modo Alberto Savinio, questo grand malade la cui attenzione è di regola concentrata, nei suoi romanzi, sulla contiguità (anche negativa, come si evince dai voli pindarici nei quali il lettore dei suoi scritti è costretto a imbattersi quasi a ogni pagina), non è in grado di percepire identità o somiglianza. Lo iato che si percepisce nel leggere Savinio prosatore non è tanto il prodotto di un’artistica e, come tale, voluta varietas circostanziale (lo è quella degli ermetici, col loro antico sogno di “mettere a stretto contatto fra loro cose e oggetti di per sé lontani”, come il poeta Ungaretti soleva affermare); non è tanto la volontà esplicita di conferire un valore e statuto ontologico al vissuto della lontananza, o della separatezza (è nota la formula di Lautréamont, secondo il quale la bellezza sarebbe “la rencontre fortuite d’un parapluie et d’une machine à coudre sur une table de dissection”)21; esso iato, esso diffalco tra indici di uno stesso enunciato, ha, invece, origine nella cronica incapacità di Savinio di ripetere due concetti identici,

18 D. Freedberg, The Power of Images: Studies in the History and Theory of Response, Chicago University Press, Chicago & London, 1989; tr. it., Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Einaudi, Torino 1993. 19 R. Jakobson, Kindersprache und Aphasie (1944); tr. it. Il farsi e il disfarsi del linguaggio. Linguaggio infantile e afasia, Einaudi, Torino 1971, p. 114. Si veda anche, dello stesso autore, R. Jakobson, M. Halle, Fundamentals of Language, Mouton & Co., Den Haag 1956 (la traduzione è disponibile in R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli 1986, p. 22 sgg.). 20 Vedasi C.H. Peirce, The Icon, Index end Symbol, in Collected Papers, Harvard University Press, Cambridge (Mass.). 21 Nei suoi Chants de Maldoror.

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variandoli. Forse la poetica del Surrealismo, ma anche quella di Savinio prosatore (ché un poeta non può essere affetto da un disturbo della similarità o della “sostituzione” per analogia), riposa tutta su questa “perdita di un’attitudine astratta”, come la definisce Goldstein22. Ma a suffragare una diagnosi più grave, come lo sarebbe quella di un autismo nella sua forma più attenuata, la cosiddetta “sindrome di Asperger”, intervengono, nel caso di Savinio, altri e più suggestivi sintomi23.

8. Verrebbe, accettando queste premesse, da accostare Les amants di Magritte a

La str

ana famiglia di Savinio, del 1928 il primo, del 1947 il secondo (Fig. 4), uniti da un curioso particolare: in entrambi i dipinti i volti dei personaggi sono irriconoscibili,

in quello di Magritte perché velati (è nota l’ossessione del belga per i volti coperti, parzialmente o totalmente resi irriconoscibili da maschere che ne confondono e ne travisano i lineamenti), in quello di Savinio perché deformati, chiusi nell’irredimibile alterità del monstrum, del singolare e mostruoso. Quella di Magritte è la traduzione in atto di un caso clinico di visual neglect o di grave agnosia visiva, di quanto non permette all’individuo non solo di riconoscere o di comparare, ma nemmeno di scorgere un volto e i suoi dettagli. Un tempo la psichiatria soleva parlarne come di un’allucinazione negativa, invece di vedere qualcosa che gli altri non vedono (come accade nelle visioni dei santi), non si vede qualcosa che è sotto gli occhi di tutti (si ricorderà, a tal riguardo, il celeberrimo racconto di E.A. Poe

intitolato La lettera rubata, la cui sfacciata morale insegna che per celare qualcosa conviene metterla in evidenza, talché a nessuno verrebbe in mente di cercarla proprio là dove essa si trova)24. Forse più interessante ancora il caso di un artista come

Fig. 4. A. Savinio, Una strana famiglia(1947), tempera su tela, cm. 90 x 80 (Coll. privata).

22 Cfr. K. Goldstein, Language and Language Disturbances, Grune and Stratton, New York 1948. 23 La sindrome di Asperger è un disordine pervasivo dello sviluppo imparentato con l'autismo e comunemente considerato una forma di autismo “altamente funzionante”. Il termine venne coniato dalla psichiatra inglese Lorna Wing

ro storicamente più in una rivista medica del 1981 in onore dello psichiatra e pediatra austriaco Hans Asperger. Il lavointeressante e significativo di quest’ultimo, quello che può essere riguardato come la pietra miliare di un cammino ancora in evoluzione, è “Die Autistischen Psychopathen im Kindesalter”, Arch Psychiatr Nervenkr 117 (1944), pp. 76-136. Il contributo è stato ripubblicato nella raccolta di saggi di AA., Autism and Asperger Syndrome (ed. U. Frith,), Cambridge University Press, Cambridge (UK) 1991, pp. 37-92. 24 “La svista materiale è analoga – spiega Poe – alla disattenzione morale, per cui l’intelletto si lascia sfuggire quelle considerazioni troppo apertamente e pacchianamente evidenti” (E.A. Poe, La lettera rubata, in Racconti, tr. di Franco De Poli, Fabbri, Milano 1969, p. 71).

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Savinio, il quale in taluni dipinti distingue i volti nella generalità dei contorni, deformandone e stravolgendone però in modo allucinatorio tutti, o quasi, i loro dettagli; il quale in altri casi, a dire il vero meno frequenti, dissolve entrambi, sia il contorno che i dettagli della figura, per una sorta di generalizzato collasso della percezione. Si può verificare l’aggravarsi nel corso dei mesi e degli anni della negligenza visuo-spaziale che tende al dissolvimento dei contorni figurali: ciò riesce particolarmente fruttuoso allorché a cambiare nel tempo non è il modello (nel caso di Monet la cattedrale di Rouen e lo stagno con le ninfee) bensì la categoria della percezione e la correlata modalità dell’osservazione. Nel 1946 Savinio mette mano ad alcune opere su carta, abbozzi a matita, acquarelli e tempera, il cui soggetto è una madre coi suoi piccoli in braccio. È straordinario assistere alla trasformazione che lo sparuto gruppo subisce nel corso di pochi mesi. Dalla conservazione sommaria di contorni e dettagli (Fig.1a) si passa dapprima alla graduale perdita di entrambi (Figg.1a e 1b); infine, nel 1947, un ulteriore disegno su carta, pubblicato nel 1948 sulla rivista Domus, oggi disperso, in cui del gruppo di famiglia non restano che pochi indizî fatti di poche linee scavate dalla grafite dura nella carta. In particolare, la presenza della figura di destra, quella del bambino più piccolo (lo stesso Savinio), risulta fissata nel ricordo sotto forma di un’ombra bianca, quasi un negativo fotografico, e, per così dire, in absentia.

9. Ancora, la progressiva sfocatura del soggetto e la sua graduale perdita di

definiz

stesso più ordinato, nel senso di più “essenziale”, ma meno significativo, nel senso di

ione conducono a una condizione privilegiata nella quale il disegno è come ricondotto “a una condizione più vicina al suo pattern esteticamente attivo”, volendo adoperare e far nostre le parole che (applicate a un quadro di Poussin) Arnheim utilizza nel suo saggio Entropy and Art per descrivere il passaggio da un più basso a un più alto indice di entropia (se ancora nel primo dei bozzetti saviniani la ricchezza dei dettagli compensa una meno adeguata percezione della forma, nel terzo la forma più generale, dettata dai contorni, ora modificata dalle frange di diffrazione, risulta sì più netta e sintetica, ma a prezzo di una perdita importante di informazione)25. Il tema strutturale – lo scheletro, l’archetipo del ricordo, o quella che di esso si è soliti definire come la traccia mnestica – permette di giungere sì a un’epitome iconica, quella tanto cara a Husserl e ad una fenomenologia della coscienza la quale tenda a ravvisare e isolare “le cose in sé”, ma a prezzo di una degradazione di energia, ossia di una perdita di informazione. La riduzione della tensione (di cui la Fig. 5a è ancora provvista) appare evidente con la mise en scène di un quadretto (la Fig. 5c) al tempo

meno provvisto di qualità distintive. Nell’ultimo bozzetto della serie, da un certo

25 Cfr. R. Arnheim, Entropy and Art. An Essay on Disorder and Order, The University of California Press (1971); tr. it. Entropia e arte. Saggio sul disordine e l’ordine, Einaudi, Torino 1974, spec. le pp. 44-45.

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punto di vista il più interessante, l’eccesso di entropia si ribalta nel suo opposto, ciò che in Fisica è chiamata neghentropia. Laddove l’assenza assoluta, o al massimo, invece della figura, il fantasma del desiderio di essa, esprime la potenzialità massima del divenire non ancora in atto: talché esso bozzetto potrebbe indifferentemente figurare all’inizio o a conclusione della serie. Qui la dichiarata, dall’autore, assenza di una titolazione precisa è compensata dalla precisione del ricordo, quasi che quest’ultimo contenga, o sia in grado di contenere e rendere disponibile, una quantità di informazioni maggiore di quella che proviene da una realistica riproduzione del soggetto (una congettura, codesta, che accomuna Savinio a Dalì e alla sua méthode paranoïaque-critique).

Fig. 5a: A. Savinio, Senza titolo (Ricordo di una famiglia), 1946, matita, inchiostro a penna e pastelli su carta, cm. 24 x 16,5, Roma, collezione privata; Fig. 5b: A. Savinio, Senza titolo (Ricordo di una famiglia), 1946, acquarello e tempera su carta, cm. 23,5 x 16,5, Roma, collez ne privata; Fig. 5c: A.

avinio, Senza titolo (“Ricordo di una famiglia”), 1946, acquarello e tempera su carta, cm. 23,8 x 16,4,

modello non è dal ritrattista individuato come tale (è ques

io SRoma, collezione privata; Fig. 5d: A. Savinio, Ricordo di una famiglia, 1947, matita su carta, s.i.m., collocazione attuale sconosciuta.

10. Scrive Savinio nel 1942: “L’uomo non vuole più vedere la propria faccia”26. Nel caso di un ritratto o della raffigurazione di un volto si dovrebbe in casi come

uesto, allorché il volto delqta la regola in Savinio), parlare più esattamente di una paragnosia visiva, ossia

non di una cecità o agnosia vera e propria bensì di una più limitata incapacità di distinguere i particolari di un volto o di un oggetto. A essere interessato dal danno cerebrale è, nel caso della prosopagnosia – quando non si riconoscono più i volti delle persone, anche quelli dei propri familiari, in base alla solo fisionomia – non già il labirinto, per un eccitamento del medesimo che si supponeva potesse interferire sulle vie e sui centri che presiedono alla percezione dell’euritmia dello schema

26 A. Savinio, articolo [senza titolo] apparso su Il Popolo di Roma, 21 nov. 1942; ristampato nella raccolta di scritti di A. Savinio, Scatola sonora, cit., p. 25.

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corporeo, come la vecchia semeiotica psichiatrica riteneva27, bensì la corteccia occipitale-temporale sinistra. Si parla più spesso di una prosopagnosia associativa in quanto il paziente è quasi sempre in grado di mitigare o compensare il disturbo aiutandosi con strategie alternative, identificando le persone, per esempio, in base alla voce o all’odore (si ricorderà, a questo proposito, lo struggente film Scent of a Woman interpretato, nel 1992, da Al Pacino)28. La prosopagnosia e, più in generale, una sensibilità aberrante, rappresentano due marcatori fortemente suggestivi della sindrome di Asperger29, forma lieve di autismo dalla quale pare che molti genî del passato, fra i quali Einstein, Michelangelo, Leonardo, fossero affetti.

11. Una certa fortuna, peraltro pienamente meritata, ha avuto siffatto deficit

percettivo-sensoriale presso il grande pubblico dei lettori grazie a un fortunato saggio di Oli

va libero, e liberava assieme anche le forme. I nasi si allungavano a proboscide, gli occhi

ver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello30. Qui, il paziente descritto dal neurobiologo inglese fissa il volto del proprio interlocutore “notandone i singoli lineamenti, ma senza vedere la faccia nel suo complesso”. Nel caso de La strana famiglia, tempera su tela di Savinio, il contorno del volto, il suo ovale, risulta ancora ben conservato. Spariscono, invece, e sono deformati i singoli lineamenti. L’effetto è devastante, manifestandosi “come corruzione concreta e fisica di riconoscibili personaggi, in posa per una tradizionale foto familiare di primo Novecento”31. È interessante sottolineare la prevalenza, in Savinio tanto romanziere che pittore, di una somatognosia fortemente alterata, tale da comportare l’autogenerarsi ed autoalimentarsi di una metamorfizzazione spontanea e sistematizzata di cose e persone non lontana, a volte, dall’orrido ma anche dall’abusata categoria del kitsch, del triviale e grottesco:

“Allentati i freni sociali, il fluido della psiche si espande

colavano a globi di gelatina, le labbra si arrotolavano a succhiello”32

27 Cfr, A. Rubino, Diagnostica psichiatrica, Idelson, Napoli 1969, p. 109 n. 14. 28 Il film diretto da Martin Brest costituisce la riproposta, è giusto riferirlo, dell’analogo Profumo di donna, diretto dal nostro Dino Risi nel 1974 e interpretato da Vittorio Gassman. 29 Per una correlazione significativa fra la prosopagnosia e la sindrome di Asperger si vedano, fra gli altri, T. Nieminen-von Wendt, J.E. Paavonen, T. Ylisaukko-Oja, S. Sarenius, T. Källman, I. Järvelä, L. von Wendt, “Subjective face recognition difficulties, aberrant sensibility, sleeping disturbances and aberrant eating habits in families with Asperger syndrome”, BMC Psychiatry, 5 (2005), pp. 20-28; nonché I. Kracke, “Developmental prosopagnosia in Asperger syndrome: presentation and discussion of an individual case”, Dev. Med. Child Neurol. 36 (1994), pp. 873-886. 30 O. Sacks, The Man who mistook his wife for a Hat, Simon & Schuster, New York 1998; tr. it. L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano 2001. 31 P. Vivarelli, Alberto Savinio. Dipinti 1927-1952, Electa, Milano 1991, p. 120. 32 A. Savinio, Una strana famiglia, in Il signor Dido, romanzo compreso nella raccolta Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 769. Il racconto comparve per la prima volta sul Corriere della Sera del 28 giugno 1951.

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12. Già otto anni prima, nel 1943, al termine di uno dei racconti più misteriosi e al te

“La parola mostri fermò il pensiero di Nivasio, come il sorbetto ferma la

a descrizione testé riferita non stonerebbe affatto in un racconto di Ray Bradbury, o

3. Tornando all’ipotesi di una abnorme e forse patologica, in Savinio, traduz

mpo stesso suggestivi fra quelli che compongono la raccolta Casa ‘La Vita’ , Savinio – che per l’occasione adotta lo pseudonimo di Nivasio Dolcemare, il protagonista del racconto, di se stesso parlando in terza persona – descrive una partita a carte giocata fra persone solo all’apparenza insospettabili, in realtà celanti un inconfessabile segreto. Questo il passo nella sua interezza:

digestione. Nivasio cominciò a vedere diversamente. Vedeva di là dall’abitudine. I giocatori cominciarono a muoversi, a gonfiarsi, a riacquistare la loro consistenza vera. Nivasio vide la contessa Corilopsis arrotondarsi a budino, staccarsi dalla sedia e salire lentamente al soffitto. Vide Oscar Dacosta, direttore del gas, buttare fuori una proboscide dal naso e avvilupparcisi dentro come un sonatore di trombone. Vide Mustafà diramare le sue corte braccia in tentacoli occhiuti, che si mossero sopra la tavola come giganteschi petali malati. Vide monsignor Fuagrà con due occhi di gufo sulle spalle e Antoine Calaroni con due occhi di polpo sul seder. Vide sulla pancia impallonata del conte Minciaki aprirsi due labbra vermiglie e mollemente boccheggiare. Anche suo padre e sua madre cominciarono a trasformarsi, ma Nivasio per pudore non guardò più dalla loro parte. I globi, le spire, le anella, i lunghi tubi di pelle pènduli come liane riempivano la sala da pranzo, si movevano lentamente, esplodevano ogni tanto in guizzi repentini, si avvolgevano in rosei viluppi...”33.

Ldi Isaac Asimov: siamo, qui, nel filone della più inconfondibile e scontata science-fiction. Fra le varie allucinazioni somestesiche affliggenti il Nostro, vi è la comparsa di alcuni, non meglio specificati“personnages énormes et blancs, à tête minuscule et ovoidale” che Savinio afferma di scorgere intorno a sé, dai quali egli si crede – si vede – attorniato34, in cui l’appassionato clipeologo non mancherà di ravvisare la morfologia caratteristica di corpi e profili alieni (sospettiamo che gli asseriti avvistamenti di questi ultimi, i classici “marziani” di tanti reports romanzeschi, televisivi e cinematografici, siano molto spesso da ricondursi a disturbi del visus, in altri casi a errori di sintesi percettiva e a disturbi della personalità).

1ione letterale dei percetti, non può non affiorare la tentazione di ritenere che il

pittore non solo abbia voluto rappresentare un tipo deteriore di “umanità colta in un momento di violenta infezione”, come la critica ha giustamente sentenziato35, ma che

33 A. Savinio, Un maus in casa Dolcemare ovvero i mostri marini, in Casa ‘La vita’, op. cit., pp. 151-152. 34 A. Savinio, Une vie de Mercure, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 445. 35 Ibid.

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questi realmente vedesse il suo prossimo così come egli ce lo restituisce nei suoi quadri, così come egli ne parla nei suoi romanzi e racconti: “mi vedo, intorno intorno, uomini con facce bestiali”, confessa lo scrittore36. Del resto, sempre per attenerci a una trasposizione letterale e non già metaforica dell’eloquio comune e, prima ancora, del sentire comune, si può tranquillamente affermare di una persona a noi invisa, della quale non abbiamo un’alta opinione, che si è macchiata di colpe a nostro vedere inemendabili, che si tratta di “un mostro”. In uno degli episodi più noti della serie americana The Twilight Zone (“Ai confini della realtà”) v’è un episodio radicatosi nell’immaginario televisivo, quello che si conclude con la scena della benda tolta con esasperante lentezza dal volto di una donna sottoposta a plastica facciale, “un gioiello di suspense” (A. Grasso). La donna – bellissima – si mette a urlare e fugge tra l’orrore del personale medico che solo allora, per la prima volta, viene inquadrato in primo piano: medici e infermieri sono tutti deformi, sono essi “i veri mostri”37. E vengono in mente i Nuovi mostri del regista Mario Monicelli e l’indimenticabile aforisma di Sartre: “l’enfer c’est les autres” (“l’inferno sono gli altri”)38. Spiega Savinio, con la sprezzatura di sempre, che

“i mostri sono gli altri, quelli che non sono come noi. O forse i mostri siamo

14. Detto fatto, Savinio traduce in

immag

proprio noi, e o noi non ce ne accorgiamo, oppure lo sappiamo e diciamo che i mostri stanno laggiù, per stornare i sospetti”39.

ine il modo di dire, la figura gergale, il

tropo di pensiero. Quando, nel 1950, Savinio vuole tradurre in icona, affidandosi interamente al “potere delle immagini”, l’espressione metaforica “affacciarsi al mondo”, eccolo metter mano al pennello e creare Il fiume, un dipinto nel quale una figura misteriosa, gli occhi spalancati, privi di palpebre, lo sguardo fisso dei dementi, la facies impietrita dei pazienti stuporosi e catatonici, l’incarnato lattiginoso degli spettri, “si aggrappa con la mano al bordo del piano su cui si sviluppa il paesaggio” (Fig. 6).

Fig. 6. A. Savinio, Il fiume (1950), tempera su masonite, cm. 59 x 79 (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna).

36 A. Savinio, La festa muratoria, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 73. 37 L’episodio ha per titolo Chi è il vero marziano? Per saperne di più, il lettore consulterà utilmente la voce “Ai confini della realtà”, Enciclopedia della televisione, a cura di Aldo Grasso, Garzanti, Milano 1996, p. 11. 38 È questa la celebre battuta che Sartre pone in bocca a Garcin, protagonista del dramma Huis clos (1944). 39 A. Savinio, Un maus in casa Dolcemare ovvero i mostri marini, in Casa ‘La vita’, op. cit. p. 151.

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Quello che era dichiarato giuoco di finzione scenica nelle opere del decennio 1930-1940 si tramuta ora, al termine, quasi, della parabola vitale del pittore, non tanto in “una più drammatica visione della realtà”, come suppone la studiosa Vivarelli40, ma nella sua evocazione e restituzione letterale, l’unica possibile, l’unica compatibile con la salute psichica dell’illustre paziente. Il dettato letterale, non più metaforico, non più filtrato dai miti greci e da una rinascimentale visione del mondo, dei quali Savinio era un appassionato cultore, prevale ora su qualunque “traversée des signes” (J. Kristeva)41, su qualunque “traversata dei segni” intesa come una fioritura di tropi figurali e di pensiero. La vita si prende la sua rivincita sulla cultura, la natura ritrova la primitiva necessità di chiamare le cose col loro nome.

15. Quando Savinio vuole tradurre in immagine, verbale o visiva, il modo di dire “

“Guardai con una certa quale preoccupazione la mia testa che rotolava sotto

6. Il ritratto di due sorelle, completato nel 1932, fa pensare a “due oche”, e la

Fidèle

perdere la testa”, ecco d’un subito rotolare ai nostri piedi, spiccata dal busto, divelta dal tronco, una testa d’uomo (in Savinio il gusto per il macabro, per l’orrido, per il gothic, si sposa molto spesso con una scurrilità che si direbbe quella di un adolescente ossessionato dai pruriti del sesso). Al lettore è offerta la descrizione, non attenuata da alcuna ironia, semmai accresciuta da una carica di drammaticità tanto realistica quanto, per la verità, posticcia, una scena di decollazione autoscopica:

il pianoforte...”42.

1 épouse, del 1931, che un’altra volta ritorna col titolo aggiornato in Penelope,

ha la testa di uno struzzo forse perché la donna “finge di non vedere” – proprio come farebbe uno struzzo, l’animale che nasconde nel terreno la propria testa di fronte a un’aggressione reale o temuta –, chissà, il tradimento dell’amato. O perché ella, al contrario, “finge” di non avvedersi dei Proci – gli spasimanti, i pretendenti – che se ne disputano i favori. Così, vi è motivo di sospettare che il noto autoritratto del 1936, l’autofania dell’uomo-civetta (Fig. 7a), possa alludere al nomignolo di gufo, vuoi per il pessimismo cronico dell’artista, politicamente coraggioso ma pur sempre afflitto da inguaribile misoneismo, vuoi per le sue abitudini notturne che taluno potrebbe avergli affibbiato (l’insonnia è fra le manifestazioni di spicco della sindrome di Asperger, tanto fra i bambini che fra gli adulti)43 e che al Nostro potrebbe essere, di rimando,

40 P. Vivarelli, Alberto Savinio. Dipinti 1927-1952, op. cit., p. 134.

Tutta la vita, Bompiani, Milano 1945, p. 193. er questo

41 J. Kristeva et al., La traversée des signes, Seuil, Paris 1975. 42 A. Savinio, Concerto privato, racconto incluso nella raccolta 43 L’ipotesi, per quanto non suffragata da fatti e testimonianze precisi, è fra quelle da non scartare. Vedasi ptema, riferito all’insonnia dei pazienti Asperger in giovane età, E.J. Paavonen, T. Nieminen von Wendt, R. Vanhala, E. Aronen, L. von Wendt, “Effectiveness of melatonin in the treatment of sleep disturbances in children with Asperger Syndrome”, J. Child Adol. Psychop. 13 (2003), pp. 83-95; per l’insonnia degli Asperger adulti vedasi P. Tani, N.

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piaciuto (si ricorderà come nel caso di Gregor Samsa, lo sventurato protagonista della kafkiana Verwandlung, l’animale prescelto fosse, invece, un ignobile insetto). Nel 1944 Savinio darà alla luce alcune acqueforti per la serie “Stratagemmi d’amore”. Nel novero di esse sono riconoscibili una civetta (le cui lusinghe il pittore rappresenta con un’evidenza circostanziale che non dà adito a dubbi, Fig. 7b) e un’oca (un epiteto col quale suole riferirsi a una “persona stupida”44, Fig. 7c). In altre occasioni Savinio, quasi un Ovidio redivivo, dipinge un cinocefalo, umanoide con una testa di cane45, un tragocefalo, creatura con una testa di capra46, un altro con una testa di asino47 (a tutti saranno ben familiari le locuzioni gergali “quel cane di un...”, “quel caprone di un....”, “quell’asinaccio di un...”). L’acme è raggiunta nel caso, umoristico davvero, in cui un pover’uomo tradito probabilmente dalla moglie viene da Savinio raffigurato con una testa d’alce – provvista delle regolamentari e voluminose corna – in luogo di una più umana e accetta fisionomia48. Insomma, la confusione fra le parole e le cose, “la mésalliance entre les mots et les choses”, come Foucault aveva affermato, è, qui, straordinaria. “Lo strano è nelle facce, viene fuori dalle facce”, puntualizza Savinio49.

Lindberg, T. Nieminen-von Wendt T, L. von Wendt, L. Alanko, B. Appelberg, T. Porkka-Heiskanen, “Insomnia is a frequent finding in adults with Asperger syndrome”, BMC Psychiatry 3 (2003), pp. 12-28; nonché R. Godbout C. Bergeron, E. Limoges, E. Stip, L. Mottron, “A laboratory study of sleep in Asperger's syndrome”, NeuroReport 11 (2000), pp. 127-130. 44 Vedasi alla voce corrispondente, F. Palazzi, Novissimo dizionario della lingua italiana, Fabbri, Milano 1974, p. 905. 45 È questo il caso di un’opera su carta risalente al 1940, realizzata con matita e inchiostro a penna, intitolata Il ritorno del Figliol Prodigo. 46 È questo il caso di un’opera su carta risalente al 1943, realizzata con inchiostro a penna, intitolata Tragedia. 47 È questo il caso di un’opera su carta risalente al 1942, realizzata con inchiostro a penna, intitolata Potenza del pelo. 48 È questo il caso di un’opera su carta risalente al 1940, realizzata con inchiostro a penna, intitolata Il Signor A. Il disegno fu utilizzato per illustrare la voce A del primo numero della rubrica “Nuova Enciclopedia”, pubblicata da Savinio in ventitre puntate nella rivista Domus dal gennaio 1941 al dicembre 1942. 49 A. Savinio, Il signor Dido, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 764 (corsivo nel testo).

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Fig. 7a (a sin.). A. Savinio, Autoritratto (1936), carboncino e biacca su cartone incollato su compensato, cm. 70 x 50 (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna); Fig. 7b (al centro). A. Savinio, Senza titolo (“La civetta”) (1944), acquaforte per “Stratagemmi d’amore”, cm. 26 x 18,5 (Roma, coll. privata); 7c (a destra). A. Savinio, Senza titolo (“Appello d’amore”) (1944), acquaforte per “Stratagemmi d’amore”, cm. 26 x 18,5 (Roma, coll. privata).

17. Ma l’autoritratto del 1936 (Fig. 7a)rinvia a una diagnosi di ben altro tipo: il

pittore non solo non ravvisa più i volti amati degli amici e parenti più stretti, egli non solo non riconosce neppure più se stesso e il proprio corpo o schema corporeo (distonia autoscopica altrimenti detta autotopoagnosia), ma neppure le proprie emozioni (“alessitimia”) gli sono familiari come un tempo, Savinio non sa più descriverle né situarle. Tutto nella vita del paziente alessitimico si svolge come se, posto che una vita emozionale profonda abbia luogo, sul che non possono esservi dubbi, e posto che l’alessitimico sia in realtà ricco di esperienze relazionali, fisiche e mentali, potenzialmente importanti per il contesto personale e sociale del paziente, “la persona non fosse in grado di prenderne coscienza, né di esprimerle”50. Inutile aggiungere che l’alessitimia esprime spesso una complicanza del quadro autistico e depone con uguale costanza a favore di una prognosi infausta. Maggini e Raballo hanno opportunamente correlato l’alessitimia, disturbo cognitivo-affettivo “characterized by difficulties in differentiating one’s feelings and expressing them in words”51, alla patologia schizoide52. Gariboldi ricorda come l’alessitimia si correli a

50 S. Berthoz, “Quel silenzio delle emozioni”, Mente & cervello, 15 (mag.-giu. 2005), p. 26. 51 G.J. Taylor, R.M. Bagby, J.D.A. Parker, Disorders of Affect Regulation: Alexithymia in Medical and Psychiatric Illness, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 1997.

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stili di difesa tipici della personalità schitotipica, borderline, dipendente, evitante e depressiva53 (studi epidemiologici vedono il genere maschile più alessitimico di quello femminile)54. In comune col paziente alessitimico, incapace di riconoscere e di esprimere le proprie emozioni, Alberto Savinio non ha solo e unicamente i tratti di difesa tipici che si sono elencati, ma anche il coping disadattivo la cui eziopatogenesi è da correlarsi alla struttura immatura del carattere e questo, a sua volta, a legami parentali deboli o affatto carenti. Il padre già anziano e malato e la madre preda di un “lungo esaurimento nervoso”55 quando Alberto è ancora adolescente possono averne segnato indelebilmente il carattere. Una pesante cappa di bon ton borghese e di zelo puritano avvolge le pareti della casa in cui il piccolo Alberto e suo fratello Giorgio sono cresciuti ed educati56. È singolare il fatto che nelle sue Memorie quest’ultimo ritagli alla madre un ruolo affatto secondario, non parlandone affatto, o pochissimo57, e che Savinio non ritragga la madre se non pochissime volte, e in quei pochi casi con un’indefinibile espressione di cattiveria sul volto. Il ritratto che Savinio esegue di lei nel 1934 mostra una vecchia dal volto scultoreo, senza una piega, indurito, gli occhi freddi come ghiaccio58. È lecito supporre, per Alberto, una correlazione parentale del disturbo poggiante su uno stile di attaccamento filiale insicuro ed evitante, forse dovuto alla personalità fragile e assente della madre. Fukunushi ha stabilito che la gravità del paziente alessitimico è correlata a “low maternal care during early childhood”59, mentre secondo i lavori di Berenbaum e Kench l’alessitimia sarebbe inversamente correlata al grado di espressività emozionale positiva familiare60. La quale, nel caso dei de Chirico, noi supponiamo gravemente menomata.

18. L’identità personale, compromessa ab imo da un disturbo dissociativo dei

più importanti per gravità ed estensione, è in Savinio lacerata e forse perduta per sempre. È inevitabile pensare, nel caso del Nostro, alla più grave diagnosi di schizofrenia evolutiva, che potrebbe risultare confermata da sintomi case-specific

52 C. Maggini, A. Raballo, “Alexithymia and schizophrenic psychopathology”, Acta Biom. Aten. Parm. 75 (2004), pp. 40-49. 53 S. Gariboldi, Correlati personologici, temperamentali, legame parentale, stili di difesa, stili di coping del costrutto alexitimico, Università degli Studi di Parma, Scuola di specializzazione in Psichiatria, A.A. 2001-2002, p. 49. 54 M.A. Lumley, K. Sielky, “Alexithymia, Gender and Hemispheric Functioning”, Comprehensive Psychiatry, 41 (2000), 5, pp. 352-359. 55 G. de Chirico, Memorie della mia vita, cit., p. 43. 56 G. de Chirico, Memorie della mia vita, cit., p. 56. 57 Della morte della madre nulla dice il pittore se non che egli si trovava a quel tempo lontano da casa: “Circa otto anni or sono mia madre morì mentre io mi trovavo in America” (G. de Chirico, Memorie della mia vita, cit., p. 64). 58 Si tratta del dipinto che ha per titolo Ritratto di mia madre (1934), tempera su tela, cm. 90x69 (Roma, coll. privata). 59 I. Fukunischi, N. Kawamura et al., “Mothers’ low care in the development of alexithymia: a preliminary study in japanese college students”, Psychol. Rep. 80 (1997), 1, pp. 143-146. 60 H. Berenbaum, T. James, “Correlates and retrospectively reported antecedents of alexithymia”, Psychosom. Med. 56 (1994), pp. 353-359.

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come lo sono alcune allucinazioni uditive61 e cenestesiche localizzate nell’encefalo: “racchiudo nel cervello una rombante officina di locomozioni inusitate”, scrive Savinio62; assicurando altrove che “nel sonno o da svegli, la nostra testa è piena della grande voce”63. Una diagnosi la quale riceve il conforto, inoltre, del sintomo cenestesico grave unito al classico delirio di attenzione a sfondo persecutorio:

“Ma sento – sento! – su le pochissime parti scoperte del mio corpo, le trafitture di aghi e spilli: son gli sguardi che mi perseguono, mi raggiungono, mi attraversano, mi oltrepassano...”64.

19. Può, ci chiediamo, essa “scissione dell’io”, esso “splitting of the Ego”, con

la genesi di un certo numero di personalità ego-sintoniche che siffatta scissione comporta (l’immagine più suggestiva è quella di uno specchio infranto, ciascuna delle schegge continuando a riflettere la realtà circostante per intero, e non già una semplice porzione di essa), ricevere una spiegazione neuroanatomica? Negli anni ’60 Roger Sperry e Michael Gazzaniga scoprirono che nelle persone a cui era stata recisa chirurgicamente la connessione nervosa fra i due emisferi del cervello (il corpo calloso), ciascun emisfero aveva una diversa “personalità”65. È interessante osservare come ciascuno dei due emisferi non sia più, operata la scissione interemisferica, cosciente delle informazioni elaborate dall’emisfero opposto (una circostanza che può essere, in alcuni casi, ritenuta responsabile delle autotopoagnosie in cui il paziente presenta uno scambio tra lato destro e sinistro)66. Si torna, qui, al discorso fatto all’inizio, quello sul double. Il moribondo Malino Faes, uno degli alias nei quali Alberto Savinio si incarna nei suoi racconti, “si sdoppia, si guarda da fuori, diventa il giudice e l’irrisore di se stesso”67. A volte, come nel romanzo breve Il sosia di Dostoevskij, i diversi alter-ego possono giungere a conoscersi, criticarsi, odiarsi l’un l’altro68. Jekyll prevale alla fine sul bieco Hyde: è questo l’happy end, il finale à

61 Per una correlazione positiva fra sindrome di Asperger e allucinazioni uditive, si veda E. Jansson-Verkasalo, R. Ceponiene, K. Suominen, S.L. Linna, I. Moilanen, R. Näätänen, “Deficient auditory processing in children with Asperger Syndrome, as indexed by event-related potentials”, Neurosc. Lett. 338 (2003), pp. 197-200. 62 A. Savinio, Hermaphrodito, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 161. 63 A. Savinio, “Concerti all’Adriano, XI”, Oggi, 9 novembre 1940; articolo ripubblicato in A. Savinio, Scatola sonora, cit., p. 321. Lamenta il Nostro altrove che oggidì gli uomini “non sanno ascoltare le voci delle cose che nella loro ignoranza essi credono morte, non sanno vedere i paesaggi che popolano l’aria e che nella loro massiccia indifferenza essi credono vuota” (A. Savinio, Poltronadamore, racconto incluso nella raccolta Tutta la vita, op. cit., p. 154). 64 A. Savinio, “Frara” città del Worbas, in Hermaphrodito e altri romanzi, op. cit., p. 31. 65 M.S. Gazzaniga, R.W. Sperry, “Language after section of the cerebral commissures”, Brain, 90 (Mar. 1967), pp. 131-148. 66 È questo uno dei sintomi, quello della citata “disorientation for right and left”, suggestiva della sindrome di Gerstmann. 67 A. Savinio, Storta la vita sana?, racconto incluso nella raccolta Casa ‘La Vita’, op. cit., p. 237. 68 In tale quadro trova qualche volta la sua collocazione la lotta fra Bene e Male, fra il sentimento del sacro e numinosum e i suoi antagonisti (nell’iconografia cristiana impersonati dal Diavolo e dai suoi gregari), di cui sono

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sauvetage, che la morale puritana della Victorian Age impone tanto ai suoi romanzieri che ai suoi uomini politici. Guochuan Tsai e la sua équipe dell’ospedale di Boston hanno scoperto che l’amnesia è, nei casi di personalità multipla – che più correttamente viene oggi definito disturbo dissociativo dell’identità –, asimmetrica, nel senso che le identità più forti tendono a soggiogare quelle più deboli e ad avere ricordi più nitidi e meglio conservati rispetto a queste ultime (ma al termine del pirandelliano Enrico IV allo spettatore non è dato di sapere né quale delle due personalità del protagonista è destinata a prendere il sopravvento sull’altra; né se a prevalere sarà la realtà o, viceversa, “la realtà di una vera pazzia”)69. È questa la ragione per la quale il razionale e borghese Jekyll, incarnazione beante dell’io volitivo, icona del perbenismo e del progresso puritano e well-mannered, può senza troppe difficoltà prevalere sull’irrazionale e proletario Hyde, personificazione sulfurea dell’inconscio istintivo e pulsionale, regressivo sotto tutti gli aspetti. Sotto il profilo narratologico un dato soprattutto sembrerebbe avallare un paragone (alquanto temerario, lo si riconosce) di Savinio con l’autore de I fratelli Karamazov: l’estremo disordine del plot, la sfilacciatura dell’intreccio, il caos strutturale, il finale disastro enunciativo. Si riempiono pagine e pagine, si dà vita a interi capitoli di romanzo e a racconti di notevole lunghezza per dire poco o nulla: per celare più che per comunicare. Savinio o il medievale orrore del vuoto: horror vacui.

20. Negli scritti saviniani degli anni ’40 si approfondiscono le note angoscianti

connesse con la scoperta, nell’individuo, di una convivenza forzata e necessaria con la propria ombra, col proprio Doppelgänger, un secondo noi stessi che non si può sopprimere e che, nota la Vivarelli, “si riconosce deforme e ripugnante”, come nel racconto del 1942 Il compagno di viaggio70. Non può non rinvenire alla memoria lo straordinario comte philosophique e capolavoro wildiano, The Picture of Dorian Gray. Qui pure, come già in Stevenson, è il Bene a trionfare at last. Negli scritti e nei dipinti di Savinio manca la morale, manca il de quo fabula narratur, invano si cercherebbero l’argomento riparatore, il tema salvifico, lo spunto redentivo capace di conferire un senso antropico all’arte, di riporne in auge il soggetto, di restituire all’artista la sua funzione di sacerdos officiante o anche solo quella, in subordine, di un cantore appassionato (non certo distimico o anedonico) della realtà (se anche Savinio avesse potuto conoscere, per ipotesi, i Cantos di Pound, di certo non li avrebbe né apprezzati né compresi). Il pessimismo radicato in Savinio, è quasi pleonastico rimarcarlo, non offre agganci a espedienti metalinguistici in virtù dei quali significare, per via anche solo allusiva, la bellezza. Vuoi per una mediterranea prodighe le cronache medievali e le agiografie di santi e anacoreti. Freud ne parla come di una intrusiva controvolontà inconscia (“unbewußter Gegenwille”) la quale si opporrebbe, specie nei pazienti isterici, alle determinazioni dell’io. 69 L. Pirandello, Enrico IV, Atto Terzo. 70 P. Vivarelli, Alberto Savinio. Dipinti 1927-1952, op. cit., p. 144.

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esacerbazione dei sensi, classica e greca, vuoi per l’esasperazione di vita connaturata a quegli anni di costumanza alla guerra e al massacro, Savinio – tanto il pittore che il prosatore – non dà adito a una cifrazione e decifrazione dei messaggi in senso meno che letterale. È lecito, secondo noi, parlare, a onta di tutti i volonterosi e benintenzionati appelli a suggestioni più o meno velatamente surrealiste e metafisiche, parlare di un realismo aberrante di Savinio. Il citato disturbo dissociativo dell’identità da cui il paziente Savinio è affetto si traduce sine mediatione in una aberrazione ego-distonica del linguaggio.

21. Se con Hoffmansthal e con Dostoevskij si hanno le prime avvisaglie di una perdita di compattezza e di “tenuta” discorsiva e narratologica per quanto riguarda il profilo delle storie raccontate, uno sfilacciarsi del discorso che fa il paio con la dissoluzione della coscienza e lo sgretolamento dell’identità personale dell’autore, cioè dell’io narrante (quello di Dostoevskij è particolarmente frammentato e precario,

come già Freud, da lettore inesperto ma appassionato, ebbe a intuire), e se con Beckett e con Ionesco e con Artaud possiamo dire conclusa la lunga parabola del teatro colto occidentale; Alberto Savinio può situarsi, invece, coi suoi romanzi sfibrati, esangui, dal decorso imprevedibile, affrancati da qualunque ordine logico-argomentativo, pienamente rientranti nel filone della méthode paranoïaque-critique cara ai surrealisti, e in particolar modo a Breton, a Tzara e a Dalì, all’esatta metà fra i due estremi71. Il preconscio immaginativo di Savinio fa affiorare in lui ricordi e spunti suggestivi isolati, sparsi frammenti e brandelli mnestici, “condensandoli” in una neoformazione d’invenzione, spesso originale, quasi sempre giustificata dal talento creativo dell’artista. Per il quale attributi pertinenziali e occasionali si confondono, per il quale denotazione esemplare e connotazione profonda si equivalgono, si amalgamano, si confondono tra loro. Tra gli esiti deliranti più notevoli vi è la strana, e dovremmo dire mostruosa, commistione di umano e d’inorganico della quale si nutre la sovrabbondante fantasia visiva del

Fig. 8. A. Savinio, Senza titolo (“Poltrobabbo”), 1944, inchiostro apenna e pastelli su carta incollatasu tela, cm. 35 x 24 (Roma,collezione privata)

71 “Toute mon ambition sur le plan pictural – scriveva Salvador Dalì nel suo saggio La Conquête de l’irrationnel – consiste à matérialiser avec la plus impérialiste rage de précision, les images de l’irrationalité concrète”. In un altro saggio, La femme invisible, Dalì ebbe a definire il metodo paranoico-critico, fortunato slogan nel quale bene era compendiato il principio dell’estetica surrealista, la “méthode spontanée de connaissance irrationnelle basée sur l’association interprétative-critique des phénomènes délirants”.

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Nostro. A corredo del racconto Poltrobabbo Savinio pone mano, nel 1944, a una serie di opere su carta raffiguranti, per l’appunto, un’ampia poltrona dai braccioli ricadenti e la spalliera imbottita (Fig. 8). La stessa pare quasi animarsi, provvista com’è di un occhio (come Polifemo), di un naso camuso, di un par di baffi spioventi finemente abbozzati, in forma che diresti umana. È questa, non v’è dubbio, la singolare antropomorfizzazione di un oggetto d’uso comune, oggetto in sé banale, oggetto inanimato a tutta prima, nel quale l’autore, tuttavia, ispira il soffio golemico – inconfondibilmente profano – dell’anima72. Torna alla mente la fiaba musicale L’enfant et les sortilèges di Maurice Ravel, nella quale si suppone che gli strumenti del giuoco infantile si animino, acquistando per magia quella vita che è loro negata. Lo psichiatra genovese Giancarlo Costa narra il caso di un suo paziente il quale “disegnava seggiole con braccia e faccia d’uomo”. Richiesto di una spiegazione, questi riferiva che “gli uomini stanno spesso a sedere, e sugli uomini ci si può sedere”. Paramorfismo è il termine esatto con cui si indica, in psichiatria clinica,

“quel curioso disegno con il quale il paziente esprime, simultaneamente, condensandoli in una figura sostanzialmente neologica, oggetti e persone umane”73.

Notiamo il Vorbeireden – il procedere paralogico, à côté – del pensiero magico-suggestivo, caratteristico del sogno e della schizofrenia, pensiero totipotente ancora tutto e inconfondibilmente infantile (contiguo, per molti aspetti, all’animismo ilomorfico e zoomorfico dei popoli primitivi e degli psicotici, come sapevano James G. Frazer, autore del saggio The Golden Bough, e Sigmund Freud, autore del saggio Totem und Tabu). La conclusione paralogica, o pseudologica, alla quale il paziente citato da Costa perviene, è del tipo metonimico, rispettando essa il trasferimento semantico fondato sulla relazione di contiguità materiale fra il termine “letterale” e il termine traslato: l’enunciato “la sedia è come un uomo e l’uomo è come una sedia” si giustifica non solo e unicamente in virtù del termine intermedio inespresso che le due similitudini hanno in comune, ma anche, e soprattutto, per un fraintendimento paralogico il quale assume la causa in luogo dell’effetto e viceversa (il rapporto è

72 Va notato come Savinio abbia a tal grado sviluppato, e manifestato, un rapporto quasi erotico, di ancestrale ma anche impudica sacralità, con alcuni oggetti d’uso quotidiano, che parlare, qui, di un patologico feticismo d’oggetto non sembra fuori luogo. Ecco, per esempio, come il Nostro descrive il proprio rapporto (ossia quello del suo alter-ego Luigi Fos Rospigli) con la poltrona di casa ereditata dalla madre: “Carezzava i suoi fianchi di velluto nel quale le tarme avevano aperto vaste radure; lasciava scorrere nella mano a tubo la frangia che il tempo aveva diradata come la dentatura di un vecchio; coricava con infinite cure la poltrona sul fianco, metteva a nudo le sue parti pudiche, toccava con sapiente mano da chirurgo i tiranti rilassati, le molle arrugginite. Poi, avanzando per gradi, toccava leggermente la nappina péndula dall’orlo del bracciolo, la prendeva delicatamente con due dita, baciava quella manina bianca e stanca, quella manina molle e disarticolata, quelle dita di cordonetto” (A. Savinio, Poltromamma, racconto incluso nella raccolta Tutta la vita, Bompiani, Milano 1945, p. 125). 73 AA.VV., Psicopatologia e arte, Todariana Editrice, Milano 1977, p. 57.

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nella metonimia intrinseco, sintagmatico, a differenza della metafora, ove il rapporto fra due termini confrontati è estrinseco, paradigmatico).

22. La mancanza pressoché totale di dialoghi, ossia di un “in-tendere” della

persona verso l’altro, è la stessa che noi ritroviamo in certi allucinati film dello svedese Ingmar Bergman o in qualcuna delle fantasiose, circensi iperboli felliniane. Ciascun personaggio di quelli rappresentati da Savinio agisce e pensa e parla come se fosso solo sulla scena, come se il mondo non fosse un’entità accessibile al discorso fàtico della comunicazione: spia quanto mai rivelatrice della solitudine che con tutta probabilità affliggeva lo stesso autore. Il costante affaccendarsi di Savinio intorno a un certo numero di mezzi espressivi tutti diversi tra loro potrebbe rimandare a una sorta di disperato girare in tondo, così come fa il cane quando si morde la coda, nell’eccesso di stimoli endogeni – sotto forma di energia libera non “investita” negli oggetti né adeguatamente abreagita, ossia sfogata – i quali si rinforzano coattivamente l’un l’altro. La rincorsa di Savinio alla sinestesia, al dominio del mondo sensoriale, dell’altro-da-sé, del fuori-di-sé, attraverso una sinergica cross-modal application del potenziale psichico disponibile, attraverso, in altre parole, l’interferenza virtuosa e incrociata dei processi mentali corticali, tradisce il marasma neuronale che è tipico non solo dell’ansia slegata e degli attacchi di panico, ma anche degli scolari iperattivi74 e dei pazienti ipomaniaci. Gli esperti di marketing aziendale parlano, in questi casi, di brainstorming dimenticando, o fingendo dimenticare, che quanto essi applicano alla moderna strategia delle vendite coincide col profilo clinico tipico dell’esaltazione euforica e delle manie.

23. Non si può neppure dimenticare il paziente-tipo affetto da encefalite

letargica di cui tratta lo struggente film Awakenings, trasposizione sullo schermo dell’omonimo saggio-documento del già citato Oliver Sacks75; né si può dimenticare l’ansia reattiva, il nervosismo parossistico accompagnato da tremore e panico e crisi di pianto, da cui i pazienti dell’ospedale newyorkese di Mount Carmel Hospital divenivano preda a un certo punto del loro percorso di guarigione, quando il farmaco (la L-dopa) esauriva il proprio effetto benefico, quando la terapia non aveva più alcun effetto sui pazienti (“iperboliche” definisce queste reazioni Sacks nel suo bel libro)76. Forse il paziente Asperger, così avaro egli stesso così di eloquio come pure di gesti espressivi, incapace di una vera connotazione, così apparentemente rinchiuso, e quasi rinserrato, nella turris eburnea che accomuna lo psicotico grave all’eremita, che

74 Si allude, ovviamente, al cosiddetto Attention-Deficit Hyperactivity Disorder. Per questo argomento il lettore potrà utilmente consultare Paul H. Wender, ADHD: Attention-Deficit Hyperactivity Disorder in Children and Adults, Oxford University Press, New York 2002. 75 O. Sacks, Awakenings; tr. it. Risvegli, Adelphi, Milano 1987. 76 O. Sacks, ed. it. cit., p. 329.

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sposa morganaticamente il nobile decaduto e snob all’artista in preda a enthusiasmòs, che affratella il viaggiatore Bruce Chatwin al jogger compulsivo Forrest Gump (un grande, inimitabile Tom Hanks nell’omonimo film di Zemeckis), tutti disperati, tutti marginal men, relitti umani, “fortezze vuote” – per citare la fortunata espressione coniata dal compianto Bruno Bettelheim77 –, tutti, chi per un verso e chi per un altro, “der Welt abhanden gekommen”78 (“usciti dal mondo”), abbisogna, nonostante tutto, di stimoli ab extra sopravvivere79. Non accade diversamente al paziente in coma profondo che, in virtù di segnali e voci amiche, può talora guarire o migliorare. La deriva della dispersione energetica, la soluzione estrema della dissipatio termica, della frenesia neuronale (di cui il moto browniano, quello degli atomi di un gas che, riscaldato, si espande, è la rappresentazione forse più fedele, o almeno la più suggestiva), dello spasmo esistenziale, del crampo salutare, fomite di bellezza80, costituisce forse per Savinio un’àncora di salvezza a fronte dello sgretolamento irrimediabile di un io già fragile e non più integro. Affaccendarsi per non morire, consumare le proprie forze per non morire di inedia: l’Esistenzialismo bussa già, in quel tempo, alla porta degli spiriti eletti d’oltralpe. L’affabulazione – o verbigerazione, come lo è quella di Savinio narratore e grafomane impenitente81, contento di esserlo – è più spesso il sintomo di una depressione mascherata che non di mania (non a caso il termine fu utilizzato da Pier Paolo Pasolini quale titolo per una sua fortunata pièce)82.

24. Lo scrittore Italo Calvino, come è noto, usava avvalersi di più tavoli di

lavoro su ciascuno dei quali egli si dedicava alla creazione di un racconto diverso. Forse lo stesso accade al cervello dell’individuo sinestesico, come lo è Savinio. La studiosa Bogdashina annovera, fra i sintomi dell’autismo, in ispecie fra quelli che

77 Si veda, per questo, il ponderoso saggio di B. Bettelheim, The Empty Fortress, Macmillan, New York 1967; tr. it. La fortezza vuota, Garzanti, Milano 1976. Dall’osservazione dei piccoli pazienti autistici traspare l’immenso potenziale creativo che ne accompagna il graduale e tragico ritiro dal mondo degli investimenti oggettuali. Come giustamente osserva Bettelheim, i bambini autistici si distinguono in almeno due gruppi: quelli che non hanno mai fatto un passo in direzione del mondo esterno, o se ne allontanano ancora di più; e quelli che a questo loro ritrarsi accompagnano la creazione di un mondo privato spesso parallelo al nostro” (B. Bettelheim, La fortezza vuota, ed. cit., p. 29). Esso mondo privato è quanto si candida a divenire, in alcuni di essi e, tra costoro, solo nei più fortunati, un’opera d’arte. 78 È questo il titolo di uno dei noti Rückertlieder, messo in musica, nel 1902, da Gustav Mahler. Il testo del poeta tedesco risale al 1821 ed è compreso nella raccolta Liebesfrühling. Per ulteriori rimandi, vedasi, curato da L. Laistner: Friedrich Rückerts Werke in sechs Bänden, Bd. 1. J. G. Cotta'sche Buchhandlung Nachfolger G.m.b.H.: ohne Jahr, S. 56. 79 Per una bibliografia essenziale riguardo alla sindrome di Asperger: L. Wing, “Asperger’s syndrome: a clinical account”, Psychol. Med. 11 (1981), pp. 115-130; e P. Szatmari, “The classification of autism, Asperger's syndrome, and pervasive developmental disorder”, Canadian Journal of psychiatry, 45 (2000), pp. 731-738. 80 Lo aveva affermato André Breton: “La beauté c’est une contracture”. 81 È curioso osservare come, per un’analogia ulteriore, anche la facilità di linguaggio dei pazienti Asperger sia in molti casi notevolissima, tanto che questi ultimi vengono spesso definiti iperlessici. 82 Al dicembre 1977 (Roma, Teatro Tenda) risale la prima edizione di Affabulazione, che vide regista e protagonista Vittorio Gassman. Le scene erano di Gabriele Di Stefano, le musiche di Fiorenzo Carpi.

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pertengono alla sfera percettiva, la sinestesia e il cosiddetto “sensory overload”83. Lo stesso fanno Dunn e altri84. Forse il fenomeno della sinestesia può essere, in parte, spiegato con una saturazione corticale per la quale si avrebbe un aumento nella resistenza e una parallela diminuzione nella conduttività neuronale, per la quale la corrente verrebbe “progressivamente deviata in direzione delle aree adiacenti le cellule saziate”85. Ma è possibile che ciò abbia qualcosa a vedere pure con la frammentazione della coscienza localizzata, così da giustificare un’allocazione parcellizzata degli attributi di questa – le “conscious properties” di aree circoscritte e isolate – per generare un certo numero di “identità parziali” (esperimenti compiuti in tal senso hanno messo in luce la straordinaria capacità degli emisferi cerebrali di costituirsi a entità funzionalmente autonome ed autosufficienti)86. La dispersione (o anomala distribuzione) energetica che ha luogo a livello neuronale sembra pertanto avere un proprio analogo nella dispersione (o anomala distribuzione) della coscienza che precede e segue la “fuga dalla realtà” di molti pazienti psicotici. A partire da un’iperattivazione e override corticale (“ma tête marche toute seule, beaucoup et vite”, confessa il Nostro al poeta Apollinaire, suo mentore e amico)87, da una pluralità e sovrapposizione disordinata di spunti e applicazioni sensoriali, dal marasma degli stati percettivi alterati che ne compensano l’isolamento sensoriale e l’aprassia adattiva all’ambiente, stati più o meno voluti, più o meno liberamente accettati, più o meno compiutamente elaborati, più o meno perduranti nel tempo, Alberto Savinio – artista versatile come pochi, uomo chiuso e scontroso, la cui sociopatia esasperata ci consente non solo di iscriverlo nel catalogo dei pazienti autistici lievi (Asperger), ma che ci autorizza pure a ritenerlo affetto dalla rara sindrome di Gerstmann – ricava, o spera di ricavare, un rimedio al vuoto pneumatico che da dentro lo attanaglia, che da fuori lo assedia.

83 O. Bogdashina, Sensory Perceptual Issues in Autism: Different Sensory Experiences, Different Perceptual Worlds, Jessica Kingsley Publishers, London 2003, passim. 84 W. Dunn, B.M. Myles, S. Orr, “Sensory processing issues associated with Asperger syndrome: a preliminary investigation”, American Journal of Occupational Therapy, 56 (2002), pp. 97-102;B. Myles, T. Hagiwara, W. Dunn, L. Rinner, M. Reese, “Sensory issues in children with Asperger syndrome and autism”, ETDD 39 (2004), pp. 283-290; W. Dunn, J. Saiter, L. Rinner, “Asperger syndrome and sensory processing: a conceptual model and guidance for intervention planning”, Focus on autism and other developmental disabilites 17 (2002), pp.172-185. 85 F. Purghé, A. Imbasciati, Psicologia dei processi visivi, Il Pensiero Scientifico, Roma 1981, p. 185. 86 Cfr. J.E. Ledoux, D.H. Wilson, M.S. Gazzaniga, “A divided mind: Observations on the conscious properties of the separated hemispheres”, Annals of Neurology, 5 (2004), pp. 417-421. 87 A. Savinio, lettera a G. Apollinaire, scritta fra aprile e ottobre 1916, in Hermaphrodito e altri romanzi, Note ai testi, ed. cit., p. 908.

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