Rassegne tudi Hans Asperger: il maestro...

53
361 RASSEGNE DI STUDI Hans Asperger: il maestro ritrovato Il percorso scientifico e la vicenda umana di una delle personalità più significative della neuropsichiatria infantile Franco Nardocci Neuropsichiatra infantile e psichiatra, Modena Sommario L’interesse di professionisti e ricercatori per il lavoro originale di Hans Asperger sulla «psicopatia autistica» pubblicato nel 1944 non è mai stato particolarmente alto, ciò nonostante la diagnosi di «Sindrome di Asper- ger» ha avuto un utilizzo sempre più diffuso. La lettura dell’articolo originale di Asperger non risponde soltanto a interessi documentaristici sullo sviluppo storico del concetto di autismo, ma permette anche di scoprire l’o- riginalità del pensiero di Asperger che ha inquadrato fin dagli anni Trenta il disturbo autistico come espressione di una costellazione sindromica specifica, biologicamente determinata, da affrontare con strategie orientate da un approccio educativo e pedagogico. In quel suo lavoro si possono inoltre rintracciare i riflessi del terribile periodo storico vissuto da Asperger nel pieno delle vicende del nazismo e ritrovare in lui accenti che favoriscono una Erickson – Trento Vol. 14, n. 3, ottobre 2016 (pp. 361-413) AUTISMO e disturbi dello sviluppo

Transcript of Rassegne tudi Hans Asperger: il maestro...

361

Rassegne di studi

Hans Asperger: il maestro ritrovatoIl percorso scientifico e la vicenda umana di una delle personalità più significative della neuropsichiatria infantile

Franco NardocciNeuropsichiatra infantile e psichiatra, Modena

SommarioL’interesse di professionisti e ricercatori per il lavoro originale di Hans Asperger sulla «psicopatia autistica» pubblicato nel 1944 non è mai stato particolarmente alto, ciò nonostante la diagnosi di «Sindrome di Asper-ger» ha avuto un utilizzo sempre più diffuso. La lettura dell’articolo originale di Asperger non risponde soltanto a interessi documentaristici sullo sviluppo storico del concetto di autismo, ma permette anche di scoprire l’o-riginalità del pensiero di Asperger che ha inquadrato fin dagli anni Trenta il disturbo autistico come espressione di una costellazione sindromica specifica, biologicamente determinata, da affrontare con strategie orientate da un approccio educativo e pedagogico. In quel suo lavoro si possono inoltre rintracciare i riflessi del terribile periodo storico vissuto da Asperger nel pieno delle vicende del nazismo e ritrovare in lui accenti che favoriscono una

Erickson – Trento Vol. 14, n. 3, ottobre 2016 (pp. 361-413)AUTISMO e disturbi dello sviluppo

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

362

migliore comprensione della sua integrità etica riflessa nell’impegno clini-co e scientifico. Gli aspetti complessivi della sua fisionomia scientifica lo collocano, se pure tardivamente, tra i «maestri» che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia dell’autismo.

Parole chiaveAutismo, storia naturale e storia sociale, Asperger, psicopatia autistica, spettro autistico, eugenetica, pedagogia curativa.

Introduzione

L’amico ritrovato è un romanzo dello scrittore tedesco Fred Uhlman, ebreo tedesco fuggito dalla Germania a causa delle persecuzioni naziste, libro dal quale nel 1989 fu anche tratto un adattamento cinematografico. Il tema cen-trale del racconto è quello dell’amicizia che l’autore ambienta, attraverso una narrazione autobiografica, in un contesto e in un periodo storico ben precisi: la Germania dei primi anni Trenta, in cui progressivamente emergono e si consolidano l’ideologia, le idee e le violenze del nazionalsocialismo. Costretto dunque a fuggire dalla Germania, il protagonista vi ritorna alla fine della guerra per cercare il suo più caro amico dell’adolescenza.

Ho ripensato a quel romanzo mentre conducevo una ricerca storica sul lavoro di Hans Asperger; in quel contesto di studio rinnovato sulla figura di Asperger, la vicenda umana dell’Autore austriaco e gli avvenimenti e i coinvolgimenti esistenziali narrati da L’amico ritrovato mi si sono presentati in un certo legame di analogia.

Alcuni anni fa avevo curato (Asperger, 2003) la presentazione della tra-duzione in lingua italiana del saggio originale di Asperger Die «Autistischen Psycophaten» im Kindesalter, pubblicato nel 1944, e da allora il mio interesse per il pensiero scientifico e per la «storia» personale del pediatra e psichiatra infantile Hans Asperger è andato progressivamente aumentando. Asperger non era ebreo, come invece il protagonista del romanzo di Uhlman, e non fu costretto ad abbandonare patria e affetti per sopravvivere, ma visse e, penso, soffrì il terribile clima del suo Paese, operando per i suoi bambini («anorma-li», affetti da patologie genetiche, colpiti da quella che riteneva la «psicopatia autistica») in anni in cui la cultura dominante nazista riteneva che la vita delle persone e dei bambini con disabilità fosse una vita «indegna di essere vissuta» e che essi dunque, al pari dei malati mentali, dovessero essere accomunati alla schiera delle persone «inutili e dannose» al Reich e quindi sterminati secondo una folle ma purtroppo efficientissima strategia.

Ho appreso dell’esistenza di un quadro clinico definito «Sindrome o Disturbo di Asperger» durante un periodo di studio che trascorsi nel 1990

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

363

in un Servizio di Psichiatria infantile del Servizio Nazionale inglese nella periferia londinese; pur essendo già specialista in psichiatria e neuropsichia-tria infantile, «scoprii» allora per la prima volta l’esistenza della Sindrome di Asperger, a me completamente sconosciuta, del tutto ignorata dai trattati e dai testi di psichiatria e neuropsichiatria infantile che erano stati i riferimenti dei miei studi e gli strumenti scientifici della mia preparazione professionale. In parole semplici: non ne avevo mai ricevuto alcun accenno o riferimento nei miei sei anni di medicina, otto di specializzazione, la prima in psichiatria, la seconda in neuropsichiatria infantile; un immenso nulla in un periodo di formazione specialistica e di attività professionale di ben 19 anni. Mi colpì il fatto che per la prima volta venivo a conoscenza di questa costellazione sindromica quasi indirettamente, perché ero stato invitato ad assistere, in quel Servizio londinese, a incontri con genitori e familiari di bambini con Sindrome di Asperger che il Servizio di Psichiatria infantile che frequentavo aveva da tempo organizzato.

Dovetti allora mettere a verifica le teorie consolidate che rappresentavano il bagaglio «ufficiale» e normale di uno specialista in neuropsichiatria italiano (ma anche degli psicologi o pedagogisti) sul tema del disturbo autistico, e cioè: – l’autismo è una grave forma di psicosi infantile, espressione precoce della schizofrenia, o del non superamento della fase autistica normale del neonato, o di gravissime e prolungate condizioni di deprivazione affettiva a seconda degli autori;

– l’autismo è causato comunque da un grave disturbo della relazione madre-bambino, a prognosi infausta;

– l’autismo richiede lunghi trattamenti psicoterapeutici anche molto costosi per le famiglie, perché quasi mai garantiti da servizi pubblici, e privi di concrete prove di efficacia e validità.

In realtà, già in quegli anni la pratica clinica, la contiguità di vita profes-sionale con i bambini allora definiti con «handicap mentale», la continuità dei rapporti con le famiglie, mi avevano fatto sorgere molti dubbi: di fatto l’esperienza portava a verificare che anni di psicoterapie (ai bambini, ai genitori senza i bambini, ai genitori con i bambini) non producevano miglioramenti di un qualche rilievo, che la sofferenza e la solitudine dei familiari accresceva e che il livello di disabilità nelle autonomie sociali e di vita quotidiana dei bambini peggiorava raggiungendo livelli di difficilissima gestione.

In quel lontano periodo di studio londinese ebbi quindi l’opportunità di «scoprire» la Sindrome di Asperger all’interno di un processo di aggiornamento che mi ha condotto a una profonda revisione e a un ampliamento delle mie conoscenze in tema di autismo. Non avevo però ancora avuto l’occasione di conoscere direttamente il lavoro di Asperger del ’44, anche se nel 1991 ne era

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

364

uscita la prima traduzione in lingua inglese a cura di Uta Frith; ritenevo erro-neamente che vi fosse una sostanziale sovrapposizione tra il saggio del 1944 e l’inquadramento clinico della Sindrome che portava il suo nome.

Nel 1999 in una libreria specializzata in testi di psichiatria e psicoterapia di Parigi, tra la solita moltitudine di testi di stretta osservanza psicoanalitica, trovai una seconda traduzione, questa volta in francese, del lavoro di Asperger pubblicato l’anno precedente (Asperger, 1998).

La sua lettura mi spinse a ricercare la copia originale in tedesco, ricerca che si rivelò non molto agevole; una copia fu rintracciata in una biblioteca olandese, e quindi fu possibile effettuare la traduzione italiana dall’originale tedesco che venne poi pubblicata nel 2003.

La lettura del lavoro di Asperger sorprende per la modernità del suo pen-siero e delle sue considerazioni sulla natura del disturbo autistico e per alcune intuizioni che appaiono ancora attuali; ma suscita anche alcuni interrogativi tra i quali, in primo luogo, quelli relativi ai motivi del forte ritardo con cui questo lavoro è entrato nel confronto scientifico sull’autismo. Accantoniamo per il momento questo interrogativo. La prima considerazione suscitata dalla lettura dell’originale di Asperger riguarda la constatazione che l’Autore, nella sua esposizione, non sta via via definendo i contorni di quella che sarà poi definita come la Sindrome di Asperger, ma con il termine di «psicopatologia autistica» egli sta di fatto illustrando quello che poi è stato definito «autismo». Riprendendo un’acuta riflessione del mai troppo rimpianto Enrico Micheli (Micheli, 2003), si può affermare che Hans Asperger non ha «scoperto» la Sindrome di Asperger ma al contrario ha rappresentato la complessità della patologia autistica e «anticipato» il dibattito sullo spettro autistico, indivi-duando caratteristiche comuni in un gruppo di ragazzi da lui definiti affetti da psicopatia autistica.

I casi qui descritti [da Asperger] sono solo esempi di un più generale «spettro autistico» da lui individuato, e non sono scelti e presentati in quanto somiglianti, ma in quanto rappresentativi di una variabilità che conserva elementi comuni, esattamente come nell’odierno concetto di autismo. Nel suo articolo, Asperger seleziona alcune delle odierne caratteristiche necessarie alla definizione dell’autismo: (a) la menomazione della relazione sociale come caratteristica fondamentale, nucleo centrale del problema; (b) le peculiarità nello sviluppo del linguaggio; (c) le caratteristiche bizzarre di funzionamento intelligente anche in persone ritardate. (Ibidem, p. 118)

Dell’autismo Asperger ha illustrato la complessità e la costanza delle manifestazioni, anticipandone la natura di patologia biologicamente deter-minata, le strette interconnessioni con la disabilità mentale, la netta sepa-razione rispetto alla schizofrenia, la centralità degli approcci terapeutici di tipo educativo; è stato anche lo studioso che ha incominciato a intravedere

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

365

quello che Lorna Wing (1996) definirà poi «spettro autistico», quella stessa Autrice che di fatto ha aperto la «storia» della Sindrome di Asperger con il suo lavoro del 1981, Asperger syndrome: A clinical account, pubblicato un anno dopo la morte dello studioso austriaco. Penso quindi che si debbano, paradossalmente, delineare due distinte storie, le quali naturalmente si intrec-ciano tra di loro: la storia della Sindrome di Asperger e la storia scientifica e umana di Hans Asperger.

La storia della Sindrome di Asperger

Come già detto, fu Lorna Wing nel 1981 a usare per la prima volta l’etichetta di «Sindrome di Asperger» per comportamenti autistici in soggetti di buon livello intellettivo e buone competenze verbali che non rientravano facilmente nei criteri diagnostici, utilizzati all’epoca, per definire una diagnosi di autismo.

Nel suo articolo del 1981, e dunque in epoca precedente rispetto alla prima traduzione inglese del saggio di Asperger curata da Uta Frith nel 1991, Lorna Wing descrisse 34 casi, di età compresa fra i 5 e i 35 anni, che presentavano dei profili più affini a quelli descritti da Hans Asperger che a quelli riferiti da Leo Kanner. Dunque Lorna Wing usò qui per la prima volta l’eponimo «Sin-drome di Asperger» per designare una nuova categoria diagnostica all’interno dei Disturbi dello Spettro Autistico.

Appare opportuno descrivere brevemente alcune tappe importanti nella storia dell’autismo e della Sindrome di Asperger.

Nel 1988, a Londra, si tiene una conferenza internazionale sulla Sindrome di Asperger e l’anno successivo vengono pubblicati i primi criteri diagnostici, rivisti poi nel 1991 (Gillberg e Gillberg, 1989; Gillberg, 1991).

Nel 1994 l’Associazione Americana di Psichiatria pubblica la Quarta Edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM-IV, in cui, nel gruppo dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, viene inclusa la Sindrome di Asperger.

Nel 1994, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiorna la Decima edi-zione della Classificazione Internazionale delle Malattie, l’ICD-10, e inserisce la Sindrome di Asperger nei Pervasive Developmental Disorders (WHO, 1994); questo orientamento viene confermato con la pubblicazione della Multiaxial classification of child and adolescent psychiatric disorders (WHO, 1996); nella traduzione in lingua italiana dell’anno seguente compare la definizione di Sindrome di Asperger anche se il gruppo diagnostico che raccoglie tutti i vari sottotipi e le varie sindromi di tipo autistico viene definito come «Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico».

Per la prima volta entrambi i manuali, riconoscendo che le patologie autisti-che hanno manifestazioni eterogenee inglobando diversi sottotipi, registrano la

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

366

Sindrome di Asperger. Per la stragrande maggioranza dei professionisti italiani la conoscenza di Asperger avviene attraverso la pubblicazione della traduzione in lingua italiana del DSM-IV nel 1996 e dell’ICD-10 nel 1997.

Nel 2013 il DSM-5® modifica l’impianto nosografico: i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo vengono definiti Disturbi dello Spettro Autistico, entrando nel capitolo dei Disturbi del Neurosviluppo. Il Disturbo di Asperger viene ingloba-to, come gli altri, a parte la Sindrome di Rett, nella categoria più generale dei Disturbi dello Spettro Autistico. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità attualmente sono ancora validi i criteri classificatori dell’ICD-10 e quindi il Disturbo di Asperger ha ancora una sua identità classificatoria.

A partire dalla pubblicazione del lavoro di Lorna Wing, l’utilizzo della dia-gnosi di Asperger ha avuto una notevole diffusione. A titolo esemplificativo: nel corso di 50 anni, tra il 1944 e il 1994 si possono rintracciare nella lettera-tura in lingua inglese soltanto 75 articoli sulla Sindrome di Asperger, mentre tra il 1994 e il 2010 (praticamente in 16 anni) i lavori diventano oltre 1.800 (Volkmar, Klin e McParland, 2014).

Contemporaneamente alla diffusione di articoli sulla Sindrome di Asperger sono comparsi sempre più numerosi dubbi riguardo al suo inquadramento diagnostico; nella realtà operativa la Sindrome di Asperger si confonderebbe da un lato con l’autismo in persone di buona intelligenza e dall’altro con l’autismo atipico. Per questo Lorna Wing già nel 1991 scrive:

È possibile naturalmente che Kanner e Asperger abbiano entrambi identificato gruppi con caratteristiche psicologiche e comportamentali tali che si dimostrerà la loro validità indipendente, ma solide evidenze di ciò sono ancora carenti. (p. 116)

E la sua considerazione che «la suggestione [per i genitori] che il loro figlio può avere una interessante condizione chiamata Sindrome di Asperger è molto più accettabile» (ibidem) è stata poi ripresa da altri Autori (Schopler, Mesibov e Kunce, 2001), i quali affermano che lo statuto nosografico della Sindrome di Asperger è incerto e contraddittorio e che rischia di essere utilizzato come «etichetta» più accettabile da chi ne soffre. Nel corso degli anni aumenta il dibattito sulla sovrapposizione tra Sindrome di Asperger e il cosiddetto Au-tismo ad Alto Funzionamento (High Functioning), l’autismo cioè con buone competenze cognitive e linguistiche.

Lorna Wing (2001) commenta che i contrasti più marcati tra Sindrome di Asperger e Autismo di Kanner si osservano quando l’intelligenza verbale del bambino con autismo è bassa e quella del bambino con Sindrome di Asperger è elevata. Quanto più le abilità cognitive e il QI sono simili, tanto più i quadri clinici tendono a sovrapporsi e l’Autrice ribadisce che «il decorso e la prognosi sono strettamente connessi ai livelli di capacità e non alla sindrome clinica»

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

367

(ibidem, p. 29). E, ancora, Wing rimarca come la differenziazione tra le due etichette diagnostiche si annulli nella prospettiva dell’intervento abilitativo terapeutico, affermando:

Dall’altro lato, tanto nei casi di autismo quanto in quelli di Sindrome di Asperger, gli approcci educativi efficaci sono quelli che si basano su programmi strutturati, organizzati e prevedibili che danno ampio spazio alla presentazione di informazioni e istruzioni con modalità concrete e visive. (Ibidem)

Di conseguenza i piani abilitativi e terapeutici andrebbero differenziati non tanto in relazione all’etichetta diagnostica, quanto in relazione alle competenze cognitive e al livello di compromissione delle abilità sociali delle singole persone affette. Erich Schopler (2001), a conclusione di un volume collettaneo che aveva come obiettivo dichiarato lo studio della controversia sulla differenza, o sostanziale identità, tra Sindrome di Asperger e Autismo ad Alto Funzionamento, riporta schematicamente le conclusioni dei vari Autori che hanno contribuito con i loro saggi alla composizione del volume (Schopler, Mesibov e Kunce, 2001). Di quegli Autori, sette ritengono che non ci sia alcuna distinzione tra le due definizioni (tra gli altri, Lorna Wing, Christopher Gillbert, Sally Ozonoff e lo stesso Schopler), otto ritengono incerta la distinzione (tra gli altri Peter Szatmari e Gary Mesibov) e solo tre ne sostengono la differenza (tra cui Fred Volkmar e Ami Klin).

Il dibattito scientifico sull’identità della Sindrome di Asperger all’interno delle patologie autistiche e della sua differenziazione come diagnosi specifica si è ulteriormente sviluppato con la pubblicazione del DSM-5® nel maggio del 2013 (American Psychiatric Association, 2013). La decisione di eliminare la diagnosi di Sindrome di Asperger, inserita nel più ampio contesto dei Disturbi dello Spettro Autistico, ha di fatto riacceso, soprattutto nella letteratura statuni-tense, la discussione su quale sia la linea di demarcazione che separa Sindrome di Asperger e Autismo ad Alto Funzionamento, anche per la relativa scarsità di strumenti diagnostici che dimostrino la specificità per la Sindrome di Asperger rispetto ad altre forme di Disturbi dello Spettro Autistico.

In conclusione si afferma che il giudizio della ricerca scientifica sulla validità della Sindrome di Asperger come specifico disturbo non può essere definito come «decisivo», rinviando quindi ai risultati delle ricerche future (Volkmar, Klin e McParland, 2014). Non si può trascurare il fatto che due di questi Autori, Volkmar e Ami Klin, si erano dichiarati per l’identità separata delle due sindromi solo pochi anni prima. Gli stessi Autori rilevano, tra l’altro, che gli interrogativi sulla validità del concetto di Sindrome di Asperger separato dall’autismo, e sul suo utilizzo da parte dei clinici, erano già presenti nel lavoro originale della Wing del 1981.

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

368

La storia scientifica e umana di Hans Asperger

Nato a Vienna nel 1906, in gioventù si unì al Bund Neuland, un’associazione cattolica fondata nel 1919 come Christlich-deutscher Studentenbund (prima associazione cattolica a sciogliersi poi nel 1938 avendo dichiarato l’impossibilità di coesistenza dei suoi iscritti con il nazionalsocialismo). Il Bund Neuland si muoveva nello spirito della Jugendbewegung (Movimento giovanile), una corrente di forte presenza intellettuale tra la gioventù borghese, nel primo trentennio del Novecento, che opponeva all’industrializzazione una forte valutazione della vita nella natura, corrente parallela e vicina al cosiddetto Wandervogel (movimento costituito da piccoli gruppi guidati, nelle escursioni, da partecipanti più anziani, per più o meno lunghe permanenze ed esperienze nella natura, propugnava la riscoperta della vita e della cultura semplice e legata alla natura, delle poesie e canzoni popolari, ecc. Evidenti le analogie con l’organizzazione dei boy scout; da queste esperienze sorgono i primi Ostelli della gioventù). Anni più tardi questa associazione, come tutte le altre associazioni giovanili religiose o laiche non confluite nella Hitler-Jugend, furono sciolte dal partito nazista. E tuttavia la partecipazione di Asperger a questo Bund Neuland cattolico (e ai suoi stage) è stata all’origine delle accuse di un suo coinvolgimento nell’ideologia nazista (Hippler, 2013).

Si laurea in medicina nel 1931. L’anno successivo assume la responsabilità della Heilpädagogik-Station (reparto di Pedagogia curativa) della Clinica pe-diatrica di Vienna.

Nel 1934 Asperger utilizza il termine «autistico» nella corrispondenza con alcuni suoi colleghi durante una visita a Lipsia e a Potsdam (Feinstein, 2014, p. 13). Il 12 marzo 1938, l’annessione dell’Austria al Reich tedesco pone Asper-ger di fronte alla politica di sterilizzazione coatta già in vigore in Germania e successivamente al programma di eutanasia perseguito dal regime nazista.

Nel dicembre del 1938 Asperger utilizza il termine di «psicopatia autistica» nell’articolo Das psychish abnorme Kind (Asperger, 1938). Il 10 marzo 1943 riceve il Diploma di Abilitazione alla professione medica presentando il saggio Die «Autistischen Psychopathen» im Kindesalter. Il saggio, ricevuto dalla rivista l’8 ottobre 1943, sarà poi pubblicato l’anno seguente (Asperger, 1944).

Il 22 giugno 1943 è abilitato all’insegnamento di Pediatria all’Università di Vienna presentando il saggio Postencephalitische Persönlichkeitsveränderungen (Berger, 2007). Dal settembre 1943 al 1945 è richiamato alle armi come medico sul fronte dei Balcani. Dal 1946 al 1949 assume la direzione provvisoria della Clinica Pediatrica Universitaria di Vienna.

Dal 1957 è direttore della Clinica Pediatrica dell’Università di Innsbruck e dal 1962 direttore della Clinica Pediatrica dell’Università di Vienna. Dal 1964 è direttore della Stazione medica del SOS Villaggio dei bambini di Hinterbrühl

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

369

(aperto nel 1957 come quarto Villaggio SOS per bambini al mondo. Si trova nei boschi di Vienna ed è ancora oggi uno dei più grandi d’Europa).

Professore emerito nel 1977. Muore nel 1980, lasciando 359 pubblicazioni, molte delle quali sul tema dell’autismo.

Alla luce delle accuse rivolte ad Asperger di contiguità all’ideologia nazista in quegli anni così bui di violenze e di orrori razzisti, parecchi autori hanno esaminato i contenuti dei suoi lavori, con particolare attenzione, naturalmente, a quelli del periodo 1938-1943.

Adam Feinstein (2014, p. 19), nell’ampio saggio in cui ha documentato la «storia» dell’autismo, anche attraverso un gran numero di interviste ai più importanti esponenti e attori di questa storia scientifica e culturale, ha condotto una specifica analisi su tutte le conferenze di Asperger di quegli anni e ritiene di non aver trovato alcun segno di apprezzamento della Gioventù Hitleriana, quanto invece del Movimento Giovanile, la Jugendbewegung (nei primi anni Trenta). Si è già detto del Bund Neuland cui Asperger aderì in età giovanile. Si trattava di un movimento certo corrispondente all’età di Asperger, nato nel 1906, e dunque precedente di diversi anni la Hitler-Jugend (fondata nel 1926, e che accoglieva ragazzi dai 14 ai 18 anni), per la quale dunque Asperger (nato nel 1906) sarebbe stato in ogni caso troppo «vecchio». Come si è detto la Jugendbewegung e il Bund Neuland non ebbero nulla a che vedere con il nazismo né con la Hitler-Jugend in particolare.

Persuaso del contrario è stato Eric Schopler, che è rimasto fermamente convinto che Asperger avesse avuto stretti legami con il nazismo e fosse stato fortemente influenzato dalla visione nazionalsocialista (Schopler, 2001, p. 315).

Feinstein, riprendendo l’articolo di Asperger del 1938, Das psychish abnorme Kind, afferma:

Il documento inizia con quello che sembra un apprezzamento della politica del Terzo Reich e in seguito fa riferimento alla necessità di evitare la trasmissione di materiale genetico malato. Tuttavia […] esattamente nello stesso momento l’autore continua a difendere e a presentare in una luce elogiativa i bambini (con psicopatia autistica) che sta curando. Parla di quanto «possiamo fare per aiutare i bambini anormali». […] Asperger conclude la sua argomentazione affermando: «Non dobbiamo mai arrenderci nell’educazione degli individui anormali, basandoci sul fatto che in queste persone, tutt’a un tratto, per esempio nella pubertà, potrebbero comparire capacità che non avremmo mai sospettato esistere in questi bambini o che non avremmo previsto potessero rivelarsi di così grande importanza». (Feinstein, 2014, pp. 20-21)

Anche altri studiosi si sono occupati specificamente di questo articolo del 1938, pubblicato in quello stesso anno nella «Wiener Klinische Wochenschrift» (settimanale di medicina edito in quegli anni a Vienna, tuttora pubblicato

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

370

con la seconda titolazione «The Central European Journal of Medicine»). Fra questi Brita Schirmer (2002), secondo cui Asperger si dichiara a favore della protezione degli «psicopatici autistici» e nel farlo utilizza anche abilmente, nella sua argomentazione, categorie e concetti dei nazisti. L’Autrice giunge alla conclusione che il saggio di Asperger del 1938 vada inteso in ultima analisi come un intervento in favore dei suoi «protetti» e della loro «educazione». Scrive Schirmer:

Asperger rinviava ai cambiamenti sociali propri di quel dato momento storico e alle loro ripercussioni sulla psichiatria. Poi però egli operava un mutamento della prospettiva, passando dal «punto di vista della salute pubblica» al «punto di vista dei bambini anormali» — un angolo visuale a quell’epoca senz’altro inconsueto e che in nessun modo può essere conciliato con l’ideologia nazista della «vita indegna di essere vissuta», a quell’epoca diffusa anche all’Università di Vienna. Egli designava come «miglior servizio» alla «comunità del popolo» (termine questo specialmente in uso nel voca-bolario nazista) il fatto di aiutare questi bambini con la massima dedizione. Il richiamo alla circostanza per cui essi, in quanto «persone che lavorano», possono occupare il loro posto nel «vivente organismo del popolo» poteva ben essere diretto contro l’argomento dell’ideologia fascista secondo cui le persone con handicap sono causa delle cosiddette «spese di assistenza» che gravano sui «connazionali sani». (Schirmer, 2002, p. 463)

Ancora Schirmer:In questo saggio tuttavia Asperger non si limitava a difendere gli «psico-

patici autistici», dei quali sottolineava e pregiava l’intelligenza astratta, egli prendeva posizione anche a favore dei bambini mentalmente handicappati. Raccomandava preventivamente, ai futuri esperti che avrebbero dovuto applicare la «Legge per la prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie» [il «Gesetz zur Verhütung erbkranken Nachwuchses», la legge che prevedeva la sterilizzazione coatta, emanata nel 1933 in Germania ma non ancora in vigore in Austria, nda] di considerare non solo il Quo-ziente Intellettivo o i risultati di un questionario, ma in primo luogo l’intera personalità infantile, l’animo del bambino, le sue capacità e i suoi talenti. E aggiunge: «Questi bambini sono intellettualmente sviluppati al di sotto della media (sino alla debolezza mentale), dove per intelligenza si intende l’intelligenza astratta, mentre l’intelletto pratico, e in breve, tutto ciò che ha a che fare con l’istinto, e quindi anche l’idoneità pratica, ma anche i valori dell’animo, sono sviluppati in modo relativamente assai migliore. Questi ultimi casi sono importanti — o lo diventeranno quando la “Legge per la prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie” entrerà in vigore anche da noi. Quando in casi di questo genere l’esperto sarà posto di fronte a una decisione, egli dovrà decidere non solo in base al risultato delle risposte a un questionario o alla cifra del quoziente di intelligenza, bensì in prima linea in base alla sua conoscenza della personalità infantile, una conoscenza che mette in conto tutte le capacità del bambino, non solo l’intelligenza astratta». (Ibidem, p. 464)

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

371

Ma la situazione si aggravò pesantemente in Austria con l’entrata in vigore del programma eugenetico nazista detto «Aktion T4», avviato nel settembre del ’39 attraverso un brevissimo decreto, quasi fosse una banale decisione di tipo amministrativo, firmato personalmente da Adolf Hitler (figura 1).

Fig. 1 Copia del documento originale con cui Hitler dava l’avvio alla campagna di eutanasia per le persone affette da disabilità e malattie mentali: «Il capo della mia cancelleria Bouhler e il Dr. Brandt sono, sotto la propria responsabilità, incaricati di estendere a determinati medici la facoltà di autorizzare che, ai malati da considerare secondo ogni giudizio umano inguaribili, possa essere garantita morte pietosa dopo giudizio critico sullo stato della malattia. Adolf Hitler».

T4 è l’abbreviazione di «Tiergartenstrasse 4», l’indirizzo del quartiere Tier-garten di Berlino dove era situato il quartier generale della «Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege» (Ente Pubblico per la Salute e l’Assi-stenza Sociale). La designazione Aktion T4 non è nei documenti del tempo, ma i nazisti usavano il nome in codice EU-Aktion o E-Aktion (E, EU signi-ficava eutanasia). Ma se l’azione di selezione eugenetica fu attivata da un atto

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

372

apparentemente e banalmente burocratico dalle autorità naziste, non fu certo «banale» la capillare propaganda nazista a favore della eliminazione degli in-dividui e dei bambini affetti da disabilità o malattie mentali che coinvolse la comunità tedesca incessantemente a tutti i livelli, delle famiglie, dei lavoratori, dei bambini delle scuole, delle organizzazioni sociali e politiche. Se ne riporta un esempio (figura 2).

Fig. 2 Manifesti di propaganda nazista per il programma eugenetico («Te li porti sulle spalle. Una persona affetta da malattie ereditarie costa fino al compimento del sessantesimo anno di età in media 50.000 marchi»).

Il 24 agosto 1941 Hitler, in seguito alle forti proteste espresse dalle chiese tedesche, ordinò la sospensione del Programma T4 e diede inoltre precisi or-dini per evitare ulteriori provocazioni a danno del clero per tutta la durata del conflitto. Il personale impiegato per realizzare il programma, grazie alle «espe-rienze» accumulate nell’uccisione tramite gas, venne dopo poco utilizzato per attuare la «soluzione finale della questione ebraica»; molti di loro raggiunsero posizioni di comando all’interno dei campi di concentramento e di sterminio. Ma l’Aktion T4 non si fermò mai completamente; nonostante la sospensione

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

373

ufficiale, l’uccisione dei disabili (adulti e bambini) proseguì, seppur in maniera meno sistematica, fino al termine del conflitto. Subito dopo la chiusura del programma Aktion T4 divenne esecutivo l’Aktion 14f13, conosciuto in tedesco anche come Sonderbehandlung (trattamento speciale), il programma del Terzo Reich per l’uccisione di prigionieri dei campi di concentramento inadatti al lavoro, noto anche come «eutanasia per gli invalidi».

L’articolo del ’38 richiama il tema della «sterilizzazione coatta». Credo tuttavia che la posizione di Asperger possa ricevere ulteriore chiarificazione da ciò che egli scrive nel suo saggio del 1943, in pieno svolgimento della guerra e nell’inarrestabile divampare della barbarie hitleriana, in una fase cioè in cui dalla sterilizzazione coatta si è ormai passati all’eliminazione fisica delle cosiddette «vite senza valore». Asperger non modifica le convinzioni espresse nel ’38 e le riafferma non solo riguardo ai bambini autistici, ma in generale riguardo a tutti quei bambini che oggi definiremmo affetti da disabilità mentale. In quel contesto sociale e politico così drammatico, Asperger mostra non solo la sua scienza, ma anche la forza dei suoi valori morali accogliendo e prendendosi cura di bambini che l’ideologia dominante sancisce senza futuro per la loro «inutilità»; egli orienta il proprio lavoro e quello dei suoi collaboratori nei confronti dei bambini autistici preoccupandosi del loro futuro ma soprattutto riaffermandone proprio il «valore sociale». Illuminanti, nel saggio pubblicato nel 1944, le parole con cui, nella Sezione dal titolo molto esplicativo «Valenza sociale degli psicopatici autistici», egli afferma tra l’altro:

Noi troviamo che anche queste persone hanno dunque il loro posto nell’organismo della comunità sociale […]. Il nostro atteggiamento e il nostro giudizio di valore di fronte a persone difficili di questo e altro tipo ci dà il diritto e il dovere di impegnarci per loro con la nostra intera personalità, perché crediamo che solo l’impegno completo e amoroso dell’educatore possa raggiungere dei risultati in persone così difficili. (Asperger, 2003, p. 104)

Credo utile, nell’intento di riandare al «clima» del tempo, ricordare come Asperger lavorasse nella Clinica Pediatrica che si trovava non troppo lontano dall’Ospedale Psichiatrico di Vienna, lo Steinhof. Da qui fu spedita una lettera in cui una psichiatra viennese scriveva:

Abbiamo qui allo Steinhof un curioso bambinetto [con espressione viennese: «einen sonderbaren Knirps». Segue una descrizione clinica precisa del comportamento di questo bambino che corrisponde esattamente a quello di un «autistico», come viene definito attualmente, nda]. […] È adorabile quando si sa come prenderlo, e vogliamo che resti qui. Ma ciò non sarà possibile con le nuove disposizioni del T.4. Ogni settimana «quelli» vengono con i loro enormi autocarri grigi, coi tendoni tirati, e caricano i nostri malati per condurli verso una destinazione sconosciuta ma fatale. Finora siamo riusciti a nascondere il bambino. Non ci facciamo alcuna illusione sulla

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

374

sorte di chi parte da qui. Il più delle volte i famigliari ricevono una lettera che comunica che il loro figlio, fratello, ecc., si è ammalato di una malattia contagiosa […], che è stato necessario cremarlo con urgenza e che l’urna sarà loro recapitata al più presto, senza spese… Condoglianze… Heil Hitler. Ma se «quelli» scoprissero che abbiamo voluto nasconderlo, saremmo nei guai, anche perché siamo già fortemente sospettati di non avere simpatia per la grande causa del Terzo Reich. Fortunatamente allo Steinhof formiamo un’équipe molto affiatata. (Brauner e Brauner, 2002, pp. 197-198)

I coniugi Alfred e Françoise Brauner, a cui era stata indirizzata la lettera, commentano nel loro libro:

Dallo Steinhof non sono arrivate più lettere e, in una simile situazione, dovevamo evitare di prolungare la corrispondenza. Dopo la guerra, all’epoca del nostro primo viaggio a Vienna, non abbiamo più trovato traccia della nostra amica [la psichiatra viennese dello Steinhof, nda]. (Ibidem)

Certo che in quegli anni bui e di brutale repressione di ogni atteggia-mento di opposizione al «pensiero dominante», alcuni aspetti della vita di Asperger possono oggi, ad anni luce di distanza rispetto a quel clima, appa-rire in qualche modo contraddittori o incerti; Feinstein ad esempio riporta che secondo la figlia, Maria Asperger Felder, il padre non fu mai iscritto al partito nazista, «anche se non sapeva come avesse fatto a mantenere il suo posto di lavoro senza diventare un membro del partito» (Feinstein, 2014, p. 22). Sicuramente Asperger fu in qualche modo protetto dal suo direttore Hamburger, nazista convinto fin dalla prima ora, e anche in occasione di due «visite» della Gestapo; avvenimento di cui lo stesso Asperger parlò in una trasmissione radiofonica del 1974:

Poiché non ho mai accettato questo concetto [il concetto di una vita inutile, nda] […] mi sono trovato in una situazione molto pericolosa per me. Devo ringraziare sentitamente il mio mentore, il dottor Hamburger, perché, nonostante fosse un nazista convinto, mi ha salvato due volte dalla Gestapo con il suo intervento deciso e il suo impegno personale. (Feinstein, 2014, p. 22)

Asperger fu poi inviato sul fronte balcanico come ufficiale medico dall’ot-tobre 1943 fino alla fine della guerra e si dovette allontanare da Vienna e dalla Clinica Pediatrica. Al termine della guerra, dopo la disfatta del Reich e l’occupazione dell’Austria da parte delle Forze Alleate (durata fino al 1955), la nuova Direzione politico-amministrativa dell’Università allontana il professor Hamburger dalla Direzione della Clinica Pediatria, insieme ad altri medici che avevano sostenuto la politica nazista, e richiama invece in servizio Asperger, nominandolo nel 1946 direttore della Clinica Pediatrica.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

375

Un richiamo alle politiche eugenetiche degli anni Trenta

Perché mi sono addentrato in questi scenari e in questi anni bui che ci paiono ora così lontani, allontanandomi, apparentemente, dal tema di questa mia ricostruzione storica? In realtà andando con il pensiero a quei tempi e a quegli orrori, lo studio del materiale bibliografico mi ha costretto a ricostruire un periodo in cui il dibattito sugli interventi di eugenetica nei Paesi europei e nord-americani era del tutto estraneo, e quanto mai lontano, rispetto a quelli che oggi riteniamo «naturalmente» valori universali, quali il rifiuto dell’eutanasia e la condanna della sterilizzazione coatta. Dal materiale storico e dagli studi a disposizione emerge infatti una realtà assolutamente contraddittoria e sconcer-tante, con aspetti del tutto inattesi e indirettamente connessi ai temi che stiamo trattando. Ignoravo infatti totalmente, ad esempio, che gli Stati Uniti furono la prima nazione a teorizzare e applicare programmi di sterilizzazione obbliga-toria a fine eugenetico e che furono seguiti poi su questa strada da numerosi Paesi europei. A titolo di esempio si riporta la diffusione dei decreti legislativi che nel 1935 governavano le politiche di sterilizzazione coatta negli Stati Uniti (figura 3). I principali destinatari di questi programmi erano gli individui in-tellettualmente disabili e malati di mente, ma in molte leggi statali venivano anche specificamente presi di mira sordi, ciechi, epilettici, fisicamente deformi.

Fig. 3 Lo stato legislativo per la sterilizzazione coatta negli Stati Uniti (1935). Gli Stati evidenziati con le righe sono quelli con legislazioni eugenetiche. In nero gli Stati con leggi in attesa di approvazione.

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

376

Richiamo qui brevemente un dibattito sugli interventi di eugenetica che nel 1942 coinvolse negli Stati Uniti anche la Società Americana di Psichiatria e di cui si può avere un’approfondita analisi nei lavori di Joseph Jay (2005), ripresa dallo stesso autore l’anno successivo (Jay, 2006).

Nel luglio del 1942 la rivista ufficiale degli psichiatri americani, l’«American Journal of Psychiatry», pubblicò due articoli in cui veniva affrontato il tema dell’eliminazione fisica delle persone con ritardo mentale e della sterilizzazione coatta.

Nel primo articolo, dal titolo The problem of social control of the congenital defective: Education, sterilization, euthanasia, lo psichiatra Foster Kennedy (1942) sosteneva che tutti i bambini con «provato» ritardo mentale di età superiore ai cinque anni dovevano essere eliminati per evitare loro «l’agonia del vivere» e alle famiglie l’angoscia e le spese per il loro accudimento. Foster Kennedy affermava che l’eutanasia a suo parere doveva essere riservata ai minorati totalmente senza speranza: «Gli errori della natura, che a volte abbiamo fretta di far sparire alla vista e che non dovrebbero essere mai visti» (ibidem, pp. 13-16).

Il secondo articolo, dal titolo Exoneration of feebleminded, era opera di Leo Kanner (1942).

Sebbene Kanner concordasse con Kennedy nell’affermare che «idioti e imbecilli» (vecchia distinzione dei gradi di maggiore profondità del ritardo mentale: idioti, deficit mentale di grado profondo, imbecilli di grado medio) non potessero essere addestrati per svolgere una qualsivoglia attività di utilità sociale, egli dissentiva fortemente da Kennedy riguardo all’applicazione di pratiche di eutanasia richiamando le atrocità naziste. Concordava tuttavia con Kennedy e altri sul fatto che la sterilizzazione fosse una procedura spesso desiderabile per «persone intellettualmente inadatte a procreare bambini». Era comunque contrario a compiere atti di sterilizzazione «solamente sulla base del QI», poiché sosteneva che quegli individui potevano essere di aiuto alla società, come netturbini, postini, ecc., e allo stesso tempo avrebbero dato un senso alla vita delle loro famiglie impegnandole a occuparsi di loro (Kanner, 1942, pp. 17-22).

È sconcertante rendersi conto che il dibattito sull’eugenetica, sui valori della vita umana e della vita delle persone con disabilità ha avuto fasi di oscurantismo e arretratezza in Paesi e culture che pensavamo rappresentassero dei fari nell’affermazione e nel rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità. Esiste certo l’esigenza di porsi in relazione con la cultura e il contesto storico di quegli anni, tuttavia mi pare che non si possa non concordare con Adam Feinstein quando, a proposito di questo dibattito svoltosi sull’«American Journal of Psychiatry», con sconcerto considera: «Incredibilmente però nessuno si pronunciò sulla natura anti-etica del condannare a morte le persone disabili» (Feinstein, 2014, p. 43).

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

377

Tuttavia, è altrettanto certo che anche ripensare alle politiche per la steri-lizzazione coatta che in quegli anni venivano perseguite in molti Paesi (e in parecchi fino alla fine degli anni Ottanta) riconduce il pensiero alla moltitudine di iniquità che sono state agite e a quanto dolore e sofferenze umane sono state inflitte prima che la «storia» delle disabilità e delle diversità abbia potuto entrare in una visione etica di tutela della vita e dei diritti umani.

Leo Kanner e Hans Asperger

L’articolo di Asperger del 1938, Das psychish abnorme Kind, è stato molto studiato nell’intento di comprendere quali fossero state le conseguenze, nel suo pensiero e agire, dell’affermarsi dell’ideologia nazista in Austria, ma va sottolineato che le ricerche condotte da Brita Schirmer (2002; 2003) portano ulteriori e assai significativi elementi di conoscenza sullo sviluppo degli studi di Asperger.

Brita Schirmer afferma che, contrariamente all’opinione tuttora diffusa, Hans Asperger non descrisse per la prima volta le particolarità degli «psicopatici autistici» nel 1943, nella sua tesi per l’abilitazione alla libera docenza, ma già sei anni prima, nel quadro della conferenza da lui tenuta nel 1938.

La conferenza, sinora trascurata dalla ricerca scientifica, fu tenuta da Asperger il 3 ottobre 1938 nel Reparto di Pedagogia Curativa (Heilpäda-gogische Abteilung) della Clinica Universitaria di Vienna. Rifacendosi allo studio di un caso, Asperger descrisse i tratti caratteristici degli «psicopatici autistici». Il testo, come si è detto, fu poi pubblicato sempre con il titolo Das psychisch abnorme Kind nel fascicolo 51 dell’anno 1938 della «Wiener Klinische Wochenzeitschrift».

Questa conferenza deve essere apprezzata per tre motivi: in primo luogo vi si trova descritta per la prima volta la sintomatologia di ciò che oggi ha il nome di Sindrome di Asperger. Sulla base di un caso utilizzato come esempio, Hans Asperger aveva già delineato una gran parte dei sintomi che avrebbe poi descritto, nel 1943, nella sua tesi per la libera docenza, come caratteri-stici degli «psicopatici autistici»: la limitazione delle relazioni con il mondo circostante, i cosiddetti «atti di cattiveria», l’impaccio motorio, la buona attitudine al pensiero logico e la buona capacità di espressione linguistica, gli interessi particolari, le singolarità nella percezione e nell’apprendimento e la disposizione ereditaria del disturbo. Altri tratti caratteristici, come la costanza della sintomatologia che, secondo il suo giudizio, compare già a partire dal secondo anno di vita e permane per tutto il corso della vita, le particolarità dello sguardo e dell’utilizzo della mimica e della gestualità, la matura sensibilità per l’arte, da lui osservata, e le stranezze nella sessualità, Asperger li descrisse soltanto nella sua tesi di abilitazione. (Schirmer, 2002, p. 461)

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

378

Brita Schirmer afferma che se fino a oggi si riteneva che le prime descrizioni della sindrome autistica fossero quella di Leo Kanner nel 19431 e poco più tardi quella di Hans Asperger, alla luce dello studio della conferenza del 1938 occor-rerebbe anticipare le date per quanto riguarda Hans Asperger, attribuendogli un più alto riconoscimento della sua importanza come pioniere della ricerca sull’autismo, finora sempre un po’ in ombra rispetto a quella di Leo Kanner.

Vi sono quindi ormai parecchi elementi che ci permettono di concordare con quanto afferma Feinstein (2014, p. 30): «È altamente probabile che Asperger abbia preceduto Kanner nella descrizione dei tratti autistici». A differenza di quanto si continua a ritenere, sembra infatti che si possa affermare che Asper-ger abbia per primo intravisto quello che poi, dopo parecchi decenni, è stato definito lo spettro autistico. Questa considerazione non modifica certamente il giudizio sul valore del saggio del ’43 di Kanner, che rimane un lavoro fonda-mentale non solo per lo sviluppo della conoscenza sulla patologia autistica, ma per la stessa nascita e sviluppo della psichiatria infantile. La stessa progressione nell’analisi scientifica dei comportamenti osservati e l’accurata descrizione del quadro patologico contenuto nel lavoro kanneriano del ’43 rappresentano a tutt’oggi un esempio di metodologia e sistematizzazione scientifica di primario valore e la sua rilettura mantiene tuttora un suo specifico interesse al di là del valore storico.

Nel corso degli anni successivi alla pubblicazione dei due lavori, e anche fino alla morte degli autori (Asperger nell’ottobre del 1980 e Kanner pochi mesi dopo, nell’aprile del 1981), Asperger e Kanner non ebbero mai occasione di incontrarsi; Asperger citò più volte nei suoi lavori Kanner e spesso in termini lusinghieri. Kanner non fece mai riferimento agli studi di Asperger, anche se sicuramente ne era a conoscenza. Ne è riprova il fatto che il primo numero della rivista «American Journal of Autism and Childhood Schizofrenia», per l’appunto fondata e diretta, nel 1971, da Kanner, pubblica un lavoro di Arn Van Krevelen, dell’Università olandese di Leiden, dal titolo Early infantile autism and autistic psychopathy, che fin dalle prime parole della premessa pone l’accento sul lavoro di Asperger. Egli infatti afferma:

L’autismo infantile precoce e la psicopatia autistica sono stati descritti per la prima volta [da due autori] nell’arco di un anno (1943-1944). Men-tre la prima (la sindrome di Kanner) ha avuto ampio riconoscimento nella ricerca, la seconda (la sindrome di Asperger) non ha ricevuto l’attenzione che meritava. (Van Krevelen, 1971, p. 82)

1 La traduzione italiana dell’articolo di Kanner è stata pubblicata con il titolo Disturbi autistici e contatto affettivo in «Psicoterapia e Scienze Umane», n. 2, 1989. Una sua ampia sintesi si può ritro-vare in A. Brauner e F. Brauner, Storia degli autismi. Dalle fiabe popolari alla letteratura scientifica, Trento, Erickson, 2003.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

379

Al di là del fatto che parrebbe fuori del tempo dibattere oggigiorno chi sia stato il primo studioso che ha «scoperto» l’autismo, penso tuttavia di poter condividere le considerazioni dei molti autori che individuano senz’altro in Kanner e in Asperger i due più importanti pionieri nel campo degli studi sull’autismo. Non si può però sottacere che, mentre il ruolo di Kanner è uni-versalmente riconosciuto e consolidato da tempo, quello di Asperger permane privo di un riconoscimento adeguato; sembra quasi che il suo nome, posto a designare una particolare manifestazione dello spettro autistico, abbia quasi il senso di un riconoscimento, sia pur tardivo e incompleto, con cui la «storia» ha in parte «risarcito» il suo lavoro.

Nel dibattito intorno al «primato temporale» della «scoperta» dell’autismo, mi sembrano particolarmente interessanti le considerazioni di Lorna Wing e Michael Rutter contenute nel prezioso lavoro di documentazione condotto da Feinstein (2014, pp. 8-10). Scrive Lorna Wing: «Nulla è completamente originale. Tutto è influenzato da ciò che è stato prima»; e ancora: «Nessuno è totalmente originale […]. Asperger potrebbe aver letto gli scritti della Sukha-reva del 1926» (ibidem, p. 15). Lorna Wing fa espressamente riferimento alla possibilità che Asperger avesse studiato gli scritti di Eva Sukhareva, che nel 1926 aveva pubblicato un articolo in una rivista tedesca su sei bambini che manifesta-vano quello che lei chiamava «disturbo di personalità schizoide dell’infanzia», o anche «psicopatia schizoide». Ma «leggendo la traduzione dell’articolo compiuta dalla psichiatra infantile di origine tedesca Sula Wolff (1996), è chiaro che la Sukhareva aveva tratteggiato il deficit di base e le caratteristiche rilevanti della Sindrome di Asperger con più di dieci anni di anticipo rispetto alla descrizione di Hans Asperger a Vienna» (Feinstein, 2014, p. 8).

In teoria quindi nel dibattito sul «primato» temporale (a parte alcune de-scrizioni aneddotiche anche molto precedenti) andrebbe considerata a pieno titolo anche la Sukhareva.

Altrettanto significative sono al riguardo le considerazioni di Michael Rutter che afferma: «Fu Darwin a parlare per primo di evoluzione? Certamente no. Tuttavia fu il primo a fornircene un approccio logico e organizzato. Penso la stessa cosa di Kanner» (ibidem, p. 30). Non mi arrischierei certo a cuor leggero a un contraddittorio con «Sir» Michael Rutter, ma se si può condividere appieno la sua valutazione riguardo all’approccio «organizzato» del lavoro di Kanner, penso che la «logicità» di quel lavoro sia stata messa in profonda discussione dagli studi dei decenni successivi.

Non ritengo quindi che la questione centrale sia la «primogenitura» della descrizione dell’autismo: un quesito del genere non favorisce per nulla la com-prensione della reale portata scientifica del lavoro di Asperger. Il suo contributo alla storia dell’autismo va valutato anche e soprattutto in relazione a come si sono sviluppate nei decenni successivi le conoscenze sull’autismo, a partire

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

380

fondamentalmente dalle teorizzazioni di Kanner, riprese successivamente e rielaborate dalla psicoanalisi infantile che negli anni Cinquanta-Ottanta si stava affermando e diffondendo. L’approfondimento che qui propongo non è quindi principalmente su chi ha descritto per primo l’autismo, quanto su quali sono stati gli approcci scientifici che con più coerenza hanno mostrato nel tempo consistenza e stabilità nella comprensione del disturbo autistico; in sintesi, interessano qui gli approcci che si sono mostrati «logici», nel senso del termine usato da Rutter, rispetto alla conoscenza che «ora» abbiamo della natura del disturbo autistico e delle strategie per affrontarlo.

Kanner e l’autismo

Proviamo quindi a ricostruire la storia dell’approccio di Kanner a partire dal suo primo lavoro del 1943, concentrando l’attenzione in particolar modo sulle sue considerazioni riguardo all’inquadramento sindromico e alla natura del disturbo (autismo come manifestazione psichiatrica della schizofrenia), alle sue ipotesi eziologiche (rapporto autismo-relazioni intrafamiliari), ma anche a un aspetto particolare delle relazioni interne al disturbo (rapporto tra autismo e deficit cognitivi). Ci si vuole qui focalizzare su questi aspetti perché permettono di anticipare con molta chiarezza le peculiarità discriminanti tra i lavori di Kanner e Asperger.

Mi sembra quindi necessario seguire in prima istanza il percorso storico del pensiero di Kanner evidenziando alcune date significative nello sviluppo del suo procedere.

Come già detto, nel 1943 Kanner identifica l’autismo infantile precoce come «disturbo congenito del contatto affettivo». Nel suo fondamentale articolo egli si focalizza su alcune specifiche caratteristiche per la diagnosi: mancanza del contatto affettivo con le persone, resistenza ai cambiamenti nelle normali routine giornaliere e nell’ambiente, preferenza dei rapporti con gli oggetti, assenza del linguaggio o modalità di linguaggio non funzionali ai rapporti interpersonali, buoni livelli cognitivi. Per quanto riguarda l’eziologia conclude il suo saggio affermando:

Noi dobbiamo quindi supporre che questi bambini sono venuti al mondo con un’innata incapacità a formare il normale, biologicamente determinato, contatto affettivo con le persone così come altri bambini che vengono al mondo con handicap congeniti fisici o psichici. (Kanner, 1943, p. 250)

Vorrei sottolineare che nell’originale vengono utilizzati da Kanner i termini inability e handicap. Nel corso degli anni successivi Kanner modifica sostan-zialmente le sue considerazioni e afferma che:

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

381

L’estremo isolamento dalle altre persone, caratteristica principale dell’au-tismo infantile precoce, ha una somiglianza così forte con l’introversione schizofrenica che la relazione fra i due disturbi merita attenta considerazione. (Kanner, 1949, p. 34)

Nella prima edizione italiana del suo trattato di psichiatria infantile del 1969 (pubblicato negli Stati Uniti tre anni prima, nel 1966), l’autismo è collocato nel capitolo della schizofrenia in riferimento al quadro clinico nei bambini di questa patologia. Pur sviluppando un sottocapitolo riferito all’autismo infantile precoce, gli approfondimenti riferiti all’incidenza, eziologia e trattamento sono inseriti nel tema generale della schizofrenia. Diventa ulteriormente chiarificatore del pensiero di Kanner il sottocapitolo (sempre della schizofrenia) che accanto al tema riguardante l’autismo infantile precoce affronta quello della «psicosi infantile simbiotica», in cui afferma:

In un recente tentativo di classificazione, essa [Margaret Mahler] suddi-vise le psicosi infantili in due gruppi principali: uno che comprendeva casi di autismo infantile precoce e l’altro di casi di psicosi infantile simbiotica. Sebbene alcuni bambini «simbiotico-parassiti» possano in seguito chiudersi in sé in modo autistico, e d’altro canto alcuni bambini autistici possano anche presentare un tipo di rapporto simbiotico, io credo che la distinzione chiara-mente delineata dalla Mahler si dimostri molto utile. (Kanner, 1969, p. 721)

Leo Kanner fonda nel 1971, in collaborazione con Stella Chess, la rivista «Journal of Autism and Childhood Schizophrenia», che dirigerà fino al 1974. Pochi anni dopo, nel 1979, la rivista cambia nome e diventa «Journal of Au-tism and Developmental Disorders»; il cambio di titolo sancisce l’avvenuta modificazione dell’inquadramento del disturbo autistico e delle sue prospet-tive terapeutiche, modificazione che sarà codificata con la pubblicazione nel DSM-III nel 1980.

Annunciando il cambiamento del titolo del «Journal» nel marzo 1979, Eric Schopler, Michael Rutter e Stella Chess, nell’Editoriale di apertura, avevano posto l’accento sull’enfasi con cui già Kanner aveva focalizzato le distorsioni che si manifestavano nello sviluppo infantile a causa dell’autismo, ma sottolineavano contestualmente che andavano prese in considerazione anche le crescenti evidenze delle correlazioni tra l’autismo e altri disturbi dello sviluppo e sull’associazione tra autismo e alcune specifiche condizioni mediche. Affermavano inoltre che, se in una prima fase si era ritenuto che l’autismo fosse una forma di schizofrenia a comparsa precoce, gli studi successivi richiedevano che questa valutazione andasse abbandonata. La rivista avrebbe quindi dovuto interessarsi a un più ampio campo di argomenti riguardanti lo sviluppo infantile per chiarire le somiglianze e le differenze individuabili tra le diverse distorsioni dei processi evolutivi (Schopler, Rutter e Chess, 1979). Ma un altro spunto di quell’Editorial:

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

382

Change of Journal Scope and Title assume un particolare significato, quando nell’incipit dell’articolo si afferma:

Il cambiamento del titolo con questo numero del giornale era atteso da tempo. Da un rilevamento del nostro board editoriale condotto del marzo 1975, il 93% del board era già favorevole a un cambiamento. Molti suggerimenti furono avanzati ma una maggioranza chiedeva che il termine «disturbi neuroevolutivi» fosse incluso nel nuovo titolo. I nostri Editori pensarono che fosse meglio ritardare il cambiamento, ma ora che le evidenze sono diventate assai solide si sono dichiarati favorevoli a modificare finalità e titolo del «Journal of Autism and Childhood Schizophrenia» in «Journal of Autism and Neurodevelopmental Disorders». (Ibidem, p. 1)

Si ha la conferma che negli Stati Uniti il dibattito sulla necessità di ab-bandonare le interpretazioni dell’autismo come forma infantile della schizo-frenia fosse già molto vivace fin dai primi anni Settanta, sebbene gli ostacoli all’affermazione di questa evidenza costringessero questi studiosi a prendere una posizione assai chiara anche sul piano della comunicazione all’interno del mondo dei professionisti e delle famiglie; infatti quell’editoriale portava la firma in prima persona di Eric Schopler quale Editor, di Michael Rutter, European Editor, e di Stella Chess, Past Editor (che già aveva collaborato con Kanner fin dalla prima pubblicazione del «Journal of Autism and Childhood Schizophrenia»).

Eziologia relazionale, anaffettività materna, esasperazioni fuorvianti del concetto di deprivazione di Bruno Bettelheim

Il tema della freddezza e del distacco emotivo dei genitori dei bambini con autismo è stato ripetutamente ripreso nei lavori degli anni successivi. «Era stato, in effetti, Kanner a coniare l’espressione di “madre frigorifero” molto prima che Bruno Bettelheim usasse questo concetto così male da instillare un senso di colpa nei genitori di tutto il mondo» (Feinstein, 2014, p. 42). Effettivamente la responsabilità di Bettelheim sulla diffusione di questa interpretazione è molto rilevante; fu sicuramente Bettelheim a proporre e a far diffondere come pratica di «terapia riabilitativa» per i bambini con autismo il distacco forzoso dal nu-cleo familiare, la cosiddetta «parentectomia», arrivando nei suoi diffusissimi, ma anche fortemente discussi, saggi (Bettelheim, 1950; 1967) a equiparare il comportamento dei bambini autistici a quello di alcune vittime dei lager nazisti.

Bettelheim, di religione ebraica, internato nei lager nazisti di Dachau e Buchenwald dopo l’annessione dell’Austria al Reich nazista del 1938 fino all’aprile del 1939, pensa di riconoscere nei bambini con autismo gli stessi comportamenti e atteggiamenti di quelle persone che, rinchiuse nei lager, in un contesto di feroce e disumana deprivazione, nella totale e assoluta deperso-

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

383

nalizzazione attuata con una violenza estrema nella quotidianità della vita del campo di sterminio, si rassegnavano del tutto alla morte per consunzione, si ritiravano completamente da quel terribile mondo reale che era la loro quo-tidianità, rinchiudendosi in se stessi senza più rapporti con l’ambiente in cui erano costretti a sopravvivere.

Bettelheim ritiene quindi che l’autismo sia una manifestazione simile a quella determinata dai processi di deprivazione estrema che lui aveva osservato durante la sua prigionia nei campi di sterminio nazisti, manifestazione che caratteriz-zava alcuni reclusi, chiamati nell’universo concentrazionale «musulmani» (di cui ha scritto tra gli altri Primo Levi nel 1947 in Se questo è un uomo). Questo termine ha un’origine incerta, ma si ritiene derivi dal termine arabo «muslim», che significa colui che si è sottomesso alla volontà di Dio. Nei campi di ster-minio questo termine veniva usato dagli stessi prigionieri per indicare coloro che non mostravano più la volontà e la forza di sopravvivere e che si lasciavano andare al loro destino senza lottare, chiudendosi in un mondo interiore privo di rapporti con l’esterno.

Come sia stato possibile che studiosi, professionisti e educatori abbiano ritenuto che i comportamenti e gli atteggiamenti delle madri e dei genitori dei bambini con autismo potessero essere paragonabili a quelli delle SS dei campi di sterminio nazisti rimane un altro dei grandi misteri che gravano ancora oggi sulla storia dell’autismo. Ma anche se si deve a Bettelheim la responsabilità della diffusione del concetto di «madre frigorifero», va ricordato che pare acclarata l’autorialità di Kanner nella genesi di quella teorizzazione.

Kanner nel 1949, in Problems of nosology and psychodinamics in early childhood autism, descrive i bambini autistici come cresciuti in un frigorifero emotivo, attribuendo l’autismo alla carenza di calore genitoriale, e nel 1955 utilizza il termine di «genitori frigorifero» in un altro suo articolo Notes on the Follow-up study of autistic children. La posizione di Kanner emerge an-che da una sua dichiarazione alla rivista «Time» (1960) in cui afferma che i bambini con autismo sono il frutto di «genitori freddi e razionali che si erano scongelati per il tempo necessario a produrre un figlio» (Feinstein, 2014, p. 42) per manifestarsi in modo assai chiaro nel suo trattato del 1969 (qui si riporta l’anno della traduzione italiana, ma la pubblicazione americana, come si è già detto, è del 1966):

Vi è un altro interessante denominatore comune nel quadro clinico di questi bambini: tra i genitori, nonni e collaterali, vi sono molti medici, scienziati, scrittori, giornalisti e studiosi d’arte. Non è facile valutare il fatto che tutti i nostri pazienti provenivano da genitori di intelligenza elevata; è certo che vi è molta ossessività nello sfondo familiare […]. Nell’intero gruppo vi sono pochi padri e madri realmente e caldamente affettuosi. Per la maggior parte gli antenati e i collaterali sono persone fortemente preoc-cupate da astrazioni di natura scientifica, letteraria o artistica, e limitate nel

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

384

sincero interesse verso le persone. Perfino in alcuni dei matrimoni più felici i rapporti sono piuttosto freddi e formali. (Kanner, 1969, p. 721)

Né si può trascurare la condivisione, già citata in precedenza, del concetto di «psicosi simbiotica» della Mahler che Kanner riporta nel suo trattato (ibidem).

Nel mese di luglio del 1969, durante l’Assemblea della National Society for Autistic Children (oggi Autism Society of America), Leo Kanner contesta la validità scientifica della causa «affettiva», negando che i genitori possano essere la causa dello sviluppo della sindrome autistica nei loro figli. Sostiene di non aver mai colpevolizzato i genitori, ma suscita qualche interrogativo il fatto che si sia sentito in obbligo di affermare: «In questo momento assolvo specialmente voi come genitori», dichiarando anche:

Sono stato frainteso molte volte. Dalla mia prima pubblicazione all’ulti-ma ho parlato di questa condizione senza mezzi termini come «innata». Ma poiché ho descritto alcune delle caratteristiche dei genitori come persone, spesso mi è stata attribuita la frase «è tutta colpa dei genitori». Coloro fra voi genitori che sono venuti da me con i vostri bambini, sanno che non è ciò che intendevo dire. Anzi ho cercato di alleviare l’ansia dei genitori, causata da tale speculazione. (Kanner in Feinstein, 2014, pp. 43-44)

Colpisce, nella frase originale di Kanner («Herewith I especially acquit you people as parents»), l’uso del verbo acquit, che significa per l’appunto «assolvere». Il significato di «assolvere» richiama il possesso di un «potere» molto elevato, o di grande importanza sociale, come quello di un giudice che deve assolvere o condannare essendo al di fuori della contesa. Va riconosciuto a Kanner l’intento di mettere in campo tutta la propria autorità per contenere e limitare gli effetti di teorie sulla colpevolizzazione genitoriale che, tra le capacità affabulative e mediatiche di Bettelheim e le esasperazioni di interpretazioni psicoanalitiche sul rapporto madre-bambino, stavano riversando, in modo del tutto insensato, un enorme peso di sofferenze e angosce sulle famiglie e sui loro bambini con autismo.

Tuttavia, nell’affrontare il tema del ruolo delle madri nella genesi dell’auti-smo, permangono in Kanner elementi di incertezza e contraddizioni anche in interventi successivi al suo discorso del 1969. Molto probabilmente si era reso conto dell’enorme insensatezza a cui erano arrivati i processi di colpevolizza-zione delle madri; le sue difficoltà però a partecipare alla radicale operazione di cambiamento teorico sull’eziologia dell’autismo avevano la loro radice molto probabilmente nella sua ferma convinzione che l’autismo fosse una forma pre-coce di schizofrenia. In un momento culturale in cui predominavano le teorie psico-relazionali della malattia mentale, egli non riuscì a superare la visione che spingeva a individuare nel rapporto madre-bambino, se non la causa diretta della

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

385

patologia autistica, almeno quella favorente, e non sembra aver partecipato a quel processo che, fornito anche di un forte valore simbolico, si attuò quando la rivista da lui fondata, il «Journal of Autism and Childhood Schizofrenia», cambiò nome e divenne il «Journal of Autism and Developmental Disorders», due anni prima della sua morte.

Il rapporto tra autismo e disabilità intellettiva

L’altro aspetto che può permettere un utile confronto tra i lavori di Kanner e di Asperger è quello che riguarda il rapporto tra autismo e deficit cognitivo. Scrive Kanner nel suo trattato del 1969:

Buona parte di questi bambini erano stati portati principalmente con l’assunto che essi fossero già deboli mentali […]. I test psicometrici dette-ro infatti quozienti molto bassi […]. Ma accurati esami rilevarono che le potenzialità mentali dei bambini erano solamente mascherate dal disordine di base. (Kanner, 1969, pp. 717-718)

E ancora:Anche se molti di questi bambini sono a volte considerati come deboli

mentali, essi sono indiscutibilmente dotati di potenzialità mentali buone e hanno fisionomie intelligenti, in modo sorprendente; i loro visi nello stesso tempo danno l’impressione di essere pensierosi e, in presenza di altri, di una tensione ansiosa probabilmente a causa di una spiacevole previsione di possibili interferenze […]. Lo stupefacente vocabolario dei bambini che parlano, l’eccellente memoria per avvenimenti di diversi anni prima, l’eccezionale memoria nel ripetere poesie e nomi, e il preciso ricordo di complesse modalità e sequenze, denotano buona intelligenza nel senso in cui tale parola viene concretamente usata. (Ibidem, p. 720)

In merito a queste convinzioni Lorna Wing commenta:Probabilmente Kanner credeva che le difficoltà cognitive fossero una

conseguenza di quelle emozionali, che le loro difficoltà sociali spiegassero tutto il resto e che effettivamente, se si fosse riusciti a superare quello scoglio, sotto si sarebbero scoperte delle menti brillanti. Era fermamente convinto che avessero un potenziale di intelligenza normale o superiore. E suppongo che ciò fosse perfettamente inserito nella sua convinzione che non si trattasse di un problema organico e che la loro unica difficoltà fosse nelle relazioni sociali. (Wing in Feinstein, 2014, p. 31)

Per la verità non erano certo mancate segnalazioni sul fatto che il rapporto tra autismo e deficit cognitivi fosse ben più complesso di quanto Kanner ritenesse:

Kanner era impressionato dal fatto che i bambini avessero capacità particolari. Ma due anni dopo di lui, un grande neurologo, Kurt Goldstein,

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

386

prese uno dei bambini esaminati da Kanner e scrisse un’intera monografia su di lui, che mostrava come in effetti ci fossero alcune cose che il piccolo era in grado di fare, ma anche che era circondato da un mare di disabilità. (Klin in Feinstein, 2014, p. 32)

Dallo sviluppo della ricerca degli anni successivi ci sono giunte conoscenze ben consolidate in merito a questo rapporto; dalla maggioranza degli studi su gruppi di persone con disturbi autistici sappiamo ormai che approssimativamente il 50% di queste persone manifesta una disabilità intellettiva severa o profonda, il 35% manifesta una disabilità intellettiva da lieve a moderata, e il rimanente 20% ha un QI con valori nella media di normalità (Fombonne, 2005).

Il faticoso procedere delle classificazioni diagnostiche internazionali

Il procedere faticoso e lento delle conoscenze sulla natura del disturbo autistico può anche essere letto attraverso lo studio dell’evolversi dei sistemi diagnostici che nel tempo hanno cercato di inquadrarlo in «etichette» dia-gnostiche. Naturalmente i riferimenti sono il Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, conosciuto con il suo acronimo DSM, dell’American Psychiatric Association, e l’International Classification of Diseases (o più preci-samente l’International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) che, conosciuta come ICD, è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO).

Il DSM dell’American Psychiatric Association

Per quanto riguarda il DSM la prima operazione di sistematizzazione dia-gnostica in cui compare il riferimento alla sintomatologia autistica in infanzia è del 1952; l’autismo che si manifesta in infanzia è inquadrato nella schizofrenia dal 1952 fino al 1980, quando inizia un forte processo di revisione nell’inqua-dramento diagnostico.

DSM-I (1952)

Reazione Schizofrenica, tipo infantile.Vanno qui classificate quelle reazioni schizofreniche che si manifestano prima

della pubertà. La descrizione clinica può differire dalle reazioni schizofreniche che compaiono in altre fasce di età a causa della immaturità e plasticità del paziente all’età di comparsa della reazione.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

387

Vanno qui classificate le reazioni psicotiche nell’infanzia che manifestino primariamente autismo.

DSM-II (1968)

Schizofrenia, tipo infantile.2Questa categoria va utilizzata per quei casi in cui i sintomi schizofrenici

compaiono prima della pubertà. Questa condizione può essere manifestata da comportamenti autistici, atipici e di ritiro; il mancato sviluppo di identità separata dalla madre; una generale irregolarità, una profonda immaturità e inadeguatezza dello sviluppo. Queste imperfezioni nello sviluppo possono determinare un ritardo mentale, che dovrebbe anche essere diagnosticato.

DSM-III (1980)

Compaiono la categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, la prima netta demarcazione tra autismo e schizofrenia, le tre etichette diagnostiche di Autismo Infantile, Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Comparso in Infanzia (Childhood Onset Pervasive Developmental Disorder – COPDD), e in entrambe le diagnosi sono previsti una Sindrome Completa e uno Stato Residuale, e di Disturbo Pervasivo del Sviluppo Atipico. Viene presentata anche la prima definizione dei criteri per la diagnosi dell’autismo infantile: – comparsa prima dei 30 mesi di vita; – pervasiva mancanza di interazione con le persone (autismo); – gravi deficit nello sviluppo del linguaggio. Se il linguaggio è presente, peculiari manifestazioni come ecolalia immediata o ritardata, linguaggio metaforico, inversione pronominale;

– risposte bizzarre a diversi aspetti dell’ambiente, ad esempio resistenza al cambiamento, peculiari interessi nei confronti degli oggetti;

– assenza di deliri, allucinazioni, pensiero dissociato e incoerenza come nella schizofrenia.

DSM-III-R (1987)

Viene confermata la categoria generale di Disturbo Pervasivo dello Svilup-po e vengono indicate solo due etichette diagnostiche: Disturbo Autistico (e scompare l’aggettivo «infantile») e Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Atipico; compare la triade sintomatologia del Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.

2 L'autismo compare solamente all'interno della categoria «schizofrenia».

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

388

DSM-IV (1994)

Viene ampliato il numero delle etichette diagnostiche con l’introduzione, tra le altre, del Disturbo di Asperger. Nella categoria Disturbi Pervasivi dello Sviluppo rientrano quindi: – Disturbo Autistico – Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, non Altrimenti Specificato – Disturbo di Asperger – Disturbo di Rett – Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia.

DSM-5® (2013)

Nel 2013, nella nuova edizione del Manuale degli psichiatri statunitensi, scompare la categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, che viene inserita nel più ampio gruppo delle Patologie del Neurosviluppo, un gruppo di con-dizioni a insorgenza nel periodo di sviluppo che: – sono caratterizzate da deficit specifici dell’apprendimento, del controllo di funzioni esecutive, dello sviluppo cognitivo, del movimento e della comu-nicazione;

– producono alterazioni del funzionamento individuale e sociale; – si possono manifestare spesso in comorbilità tra di loro.

In questo nuovo raggruppamento sono inclusi: lo Spettro Autistico, la Disabilità Intellettiva, i Disturbi della Comunicazione, i Disturbi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività, i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, i Disturbi del Movimento.

Il DSM-5® raccoglie nella diagnosi di Spettro Autistico il Disturbo Autistico, la Sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non Altrimenti Specificato.

La classificazione internazionale dell’Organizzazione Mon-diale della Sanità: l’ICD

Il percorso del sistema di classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ICD, ha tempi di evoluzione piuttosto diversi dal DSM e il ricono-scimento della patologia autistica differenziata dalla psicosi ha richiesto tempi significativamente più lenti e un percorso in parte più tortuoso.

L’autismo con il codice 299.0 è definito dall’ICD-9 (1980) ancora come un sottotipo di psicosi a origine nell’infanzia e solamente con l’ICD-10 (1994)

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

389

l’autismo compare nel capitolo generale dei «Disorders of Psycological Deve-lopment». Il gruppo diagnostico dei «Pervasive Developmental Disorders» è ormai ben conosciuto dagli specialisti con il codice numerico di F.84. Ma un ben maggiore impulso alla modificazione dei criteri diagnostici e eziologici del disturbo autistico si è manifestato, non solo nel nostro Paese, con la pubblicazione della Multiaxial Classification of Child and Adolescent Disorders (WHO, 1996) e la sua traduzione in lingua italiana dell’anno successivo. È però necessario fare una precisazione: la dizione presente nel testo italiano, «Alterazioni globali dello sviluppo psicologico», non si trova nell’originale in lingua inglese, in cui al contrario è riportata la definizione «Pervasive Developmental Disorders», esattamente come nel DSM americano già nella sua edizione del 1980. Nella prefazione all’edizione italiana, la Curatrice non fa alcun accenno alle motiva-zioni di una così bizzarra operazione di traduzione.

Altro aspetto da sottolineare: rimane la diagnosi di Autismo infantile diver-samente dalla versione del DSM-III del 1987, in cui dalla definizione Disturbo Autistico scompariva l’aggettivo «infantile» per l’evidenza ormai acclarata che l’autismo non poteva essere considerato una patologia solo dell’età infantile che scompariva con il passaggio all’età adulta; considerazione di una banalità disarmante ma che ha richiesto alcuni decenni per potersi affermare.

Le forme di psicosi a insorgenza precoce (prima dei 12 anni: very early onset schizophrenia – VEOS) vengono collocate nel più ampio ambito dei disturbi psicotici, senza distinzione per l’età di insorgenza.

In conclusione, solamente dal 1980 la Classificazione degli Psichiatri Ame-ricani e addirittura dal 1994 l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno considerato l’autismo una grave e pervasiva disabilità legata a un alterato fun-zionamento cerebrale e non una malattia mentale, una psicosi, una forma di schizofrenia a comparsa precoce. Il riconoscimento di questo profondo cam-biamento sull’interpretazione della natura del disturbo e delle prospettive di intervento ha avuto delle ripercussioni molto diverse nella cultura psichiatrica e psicologica anglo-americana e in quella del nostro Paese.

Mentre nella cultura scientifica anglo-americana già prima della pubblica-zione del DSM-III si era aperto un dibattito scientifico molto acceso sui criteri diagnostici e sui percorsi di trattamento della patologia autistica, nella nostra realtà culturale comparivano, ancora nel periodo di pubblicazione dell’ICD-10, segnali che sembra difficile non considerare come espressioni di forte resistenza al cambiamento. Ad esempio, come già segnalato, i Curatori della versione italiana dell’ICD-10 traducono la categoria «Pervasive Developmental Disorders» con l’espressione «Alterazioni globali dello sviluppo psicologico», che si diffonde successivamente con la dizione di «Disturbi Generalizzati dello Sviluppo». In realtà generalizzato e pervasivo si riferiscono a due concetti diversi. L’aggettivo generalizzato, che corrisponde all’aggettivo globale dell’ICD-10, vuole significare

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

390

soltanto una compromissione delle diverse aree dello sviluppo, mentre l’aggettivo pervasivo si riferisce all’azione penetrante del disturbo autistico, che tende a invadere e sovvertire tutte le varie espressioni dello sviluppo infantile e delle loro manifestazioni. Il concetto di invasivo-pervasivo rappresenta correttamente un percorso patologico che non è solo caratterizzato dalla sua diffusione, ma che appare invece come un sovvertimento di tutte le aree evolutive; sovvertimento che compromette diffusamente e decisamente tutte le traiettorie di sviluppo del bambino. L’uso sancito nell’edizione italiana di generalizzato appare quindi uno degli ultimi travisamenti sulla reale natura del disturbo e delle sue implicazioni per lo sviluppo del bambino, operato da una parte consistente della «scienza accademica» italiana.

È indubbio però che nel corso degli anni anche nella nostra realtà scienti-fica il termine di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo ha soppiantato ogni altra definizione.

Un’altra fonte di confusione: l’autismo nelle teorie psi-coanalitiche

Una delle più verosimili ipotesi sui motivi del ritardo della diffusione delle opere di Asperger nella cultura psichiatrica europea e americana può essere senz’altro attribuita agli strascichi che seguirono le ferite inferte dalla seconda guerra mondiale e gli sconvolgimenti da essa determinati in Europa e nel mondo intero. In questo senso appare illuminante la considerazione di Gilbert Lelord, storica autorità francese sull’autismo, che presenziò a un importante congresso di psichiatria a Zurigo nel 1957. In quell’occasione le opere di Asperger non vennero nemmeno citate e questa «dimenticanza» fu spiegata dallo stesso Lelord con la considerazione che: «Anche se Asperger fu senza dubbio una vittima della guerra, gli scritti in lingua tedesca non erano popolari a quel tempo» (Feinstein, 2014, p. 23).

Tuttavia il disinteresse per i lavori di Asperger negli anni successivi, in una parte dell’Europa e in particolare in Italia, dipende molto più probabilmente anche dalla qualità del suo stesso approccio: Asperger infatti non fa alcun riferimento al pensiero psicoanalitico. Nel suo ragionamento scientifico non vi è alcun richiamo alla psicologia del profondo; il suo lavoro sull’autismo è insomma del tutto al di fuori delle concezioni e degli schemi psicoanalitici di-venuti egemoni dopo gli anni Cinquanta negli studi di psichiatria e psicologia dell’infanzia.

Ma quali erano questi approcci «dominanti» che hanno influenzato clinici e ricercatori nei percorsi di formazione di psichiatri, pediatri, psicologi, peda-gogisti e educatori? Assolutamente significativa della varietà e contraddittorietà

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

391

degli approcci all’autismo della psicoanalisi infantile rimane a tutt’oggi la tavola riassuntiva sulle psicosi infantili riportata nel trattato di Julian De Ajuriaguerra e Daniel Marcelli, Psicopatologia del bambino, del 1984, e ripresentata esatta-mente identica nella successiva pubblicazione di Daniel Marcelli, Enfance et psychopathologie, pubblicata nel 1996 (tabella 1).

TABELLA 1Psicosi Infantili precoci: prospetto comparativo

Mahler Tustin Duche-Stork Diatkine Mises Lang

Autismo Infantile Precoce

Autismo Primario Anormale

Autismo Infantile Precoce

Autismo di Kanner

Psicosi Autistiche

Disarmonia Evolutiva

Psicosi Simbiotiche

Autismo Secondario a Conchiglia

Psicosi di sviluppo

Psicosi Precoci

Psicosi a Espressione Deficitaria

Parapsicosi

Autismo Secondario Regressivo

Prepsicosi Disarmonia Evolutiva di Tipo Psicotico

Questa scheda riassuntiva delle etichette utilizzate per diagnosticare l’autismo era riportata nelle diverse edizioni del trattato di psichiatria e psicopatologia infantile forse più diffuso in Italia e in Europa Continentale a partire dagli anni Ottanta, su cui intere generazioni di neuropsichiatri infantili e psicologi hanno studiato e hanno organizzato le loro conoscenze sul tema dell’autismo. Nonostante in quel periodo storico le stime di prevalenza delle «psicosi infantili» indicassero l’estrema rarità della patologia (la prevalenza era stimata attorno al 4/10.000), non colpiva gli studiosi il paradosso che un gruppo così esiguo di quadri sindromici potesse avere un così spropositato numero di possibili definizioni diagnostiche.

Nelle varie edizioni dei due trattati, poi, non erano riportati criteri o parametri attraverso cui i singoli Autori inquadrassero la propria etichetta diagnostica, parametri e criteri cioè che potessero permettere di individuare la corrispondenza tra il quadro clinico studiato e una di quelle diagnosi piuttosto che un’altra. Il fatto fondamentale è che ogni Autore riteneva corretta la propria impostazione diagnostica, che veniva di fatto poi utilizzata da altri professionisti senza il supporto di una qualsivoglia evidenza scientifica. Non essendo fornito in quelle tabelle alcun criterio per differenziare le varie diagnosi, la «scelta» di una diagnosi rispetto a un’altra non era effettuata sulla base di un processo di valutazione della presenza o assenza di alcuni segni clinici, sulla loro espressività

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

392

o precocità di comparsa, bensì sulla base di un allineamento «fideistico» alla teoria di un «maestro» rispetto a un altro.

Questa tavola sinottica permette anche di riprendere il tema del cosiddetto «autismo primario normale», presunta condizione fisiologica nella vita del neonato che è stata la base di teorie eziopatogenetiche, come quelle di Marga-ret Mahler e di Frances Tustin, che rafforzarono a dismisura l’interpretazione dell’autismo come patologia della relazione madre-bambino.

La teorizzazione dell’esistenza di un presunto stato «normalmente autistico» nei primi mesi della vita del bambino era infatti la base teorica nell’approccio sia della Mahler (1975) che della Tustin (1975); entrambe ritenevano per l’ap-punto che l’autismo patologico fosse il risultato di una «fissazione», di un «non superamento» da parte del bambino di una fase a loro dire «normale» di autismo.

Per Mahler il neonato nei primi mesi sarebbe vissuto in una specie di «gu-scio» protettivo che gli avrebbe impedito una qualsiasi relazione con il mondo circostante (la storica immagine del guscio dell’uovo). Tustin non riteneva che il neonato fosse nelle sue prime settimane di vita del tutto isolato dal mondo esterno, iperprotetto dentro un guscio, ma al contrario ipotizzava che egli fosse immerso in un «torrente indifferenziato di sensazioni», praticamente in uno stato di caos sensoriale. Due teorizzazioni assolutamente opposte per attribuire alla vita neonatale uno stato di autismo «normale» da cui il bambino che non fosse riuscito o a uscire (dal guscio) o a emergere (dal torrente impetuoso), a scelta, sarebbe diventato autistico, a quel punto, «anormale», patologico.

Naturalmente gli studi sulla ricchezza comunicativa, sulle capacità cognitivo-percettive ed emotivo-relazionali del neonato, sulle sue attitudini a reagire e a entrare in contatto con il mondo circostante fino dalle prime fasi di vita, hanno condotto gli studi del periodo neonatale non solo a riconoscere e valorizzare le competenze precoci del neonato, ma hanno di fatto spazzato via queste teoriz-zazioni prive di ogni evidenza scientifica. Si può quindi affermare che: «Non solo non esiste alcuna “fase autistica normale”; non esiste neppure alcunché, nello sviluppo umano normale, che assomigli a ciò che accade nell’autismo» (Barale e Ucelli, 2006, p. 77).

Specialmente significative le reazioni che si sono avute in una parte del mondo psicoanalitico infantile quando una di queste Autrici, e precisamente Tustin (1994, p. 1), ha preso le distanze dalle sue stesse teorizzazioni scrivendo:

Mi piacerebbe soffermarmi su un errore compiuto da molti terapisti psicoanalitici (inclusa me stessa); gli studi di osservazione di bambini piccoli che sono stati condotti da professionisti in diversi Paesi hanno dimostrato che decisamente non esiste uno stato infantile normale di autismo primario verso cui sia possibile una regressione che rappresenterebbe la causa della patologia dell’Autismo infantile. Questa ipotesi difettosa, basata su premesse imperfette, è diventata una specie di virus invasore, giacché ha pervaso e distorto le formulazioni cliniche e teoriche.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

393

La Tustin in seguito a questa revisione critica del proprio pensiero aveva suscitato un tale livello di critiche e di ostilità da parte del mondo psicanalitico che fu portata ad affermare, sempre nello stesso articolo:

Un insegnamento che noi possiamo trarre da questo errore è che la nostra lealtà dovrebbe essere indirizzata verso la comprensione piuttosto che verso le personalità. Il culto della personalità è dilagante nella psicoanalisi. (Ibidem, p. 6)

Risulta assai problematico riuscire a rappresentare in modo sintetico, ma il più possibile vicino alla realtà, quelli che sono stati gli effetti sulla vita dei bambini e delle loro famiglie dell’assoluta infondatezza delle teorizzazioni dell’autismo come un processo di fissazione/regressione di una mai dimostrata fase di auti-smo normale neonatale. Come riuscire a rappresentare il «peso» delle difficoltà incontrate nel lungo cammino delle famiglie per riuscire a correggere approcci clinici all’autismo totalmente infondati, egemoni ancora negli anni Ottanta e Novanta? Sono state condotte molte analisi e ricerche, e molte informazioni sugli impatti alle volte devastanti sui bambini e sulle loro famiglie sono ormai a nostra disposizione. Ma una «misurazione» molto concreta delle difficoltà incontrate ci arriva dall’impegno che molte famiglie e loro associazioni hanno riservato alla denuncia e alla documentazione delle contraddizioni e dei ritardi con cui la rete sanitaria rispondeva all’esigenza di una diagnosi tempestiva e di interventi abilitativi terapeutici adeguati.

Autismo «normale», psicosi, schizofrenia: confusioni diagnostiche e risposte dei servizi sanitari

Un sistema di forte efficacia per la «misurazione» degli effetti negativi deter-minati dagli errori di impostazione diagnostica e dall’estrema confusione negli approcci eziopatologici sulle attività dei servizi sanitari specialistici sono senza dubbio le documentazioni sulle esperienze dei genitori per l’acquisizione della diagnosi e l’ottenimento di terapie adeguate e basate sulle evidenze scientifiche. Di particolare importanza si sono infatti dimostrati alcuni rilevamenti condotti direttamente da organizzazioni di familiari; uno tra i primi rilevamenti sui bisogni e sulle esperienze familiari è stato effettuato ad esempio nel 1983, da Autismo Europa, associazione che attualmente raccoglie più di 80 associazioni per l’autismo, attive in più di 30 Paesi europei (Autism Europe, 2013).

Questa rilevazione del 1983 aveva messo in evidenza come per più dell’80% delle famiglie il bisogno primario fosse il raggiungimento di una diagnosi cer-ta, seguito immediatamente da quello degli interventi educativi e terapeutici (figura 4). In quel rilevamento le preoccupazioni riguardo ai problemi collegati al raggiungimento dell’età adulta dei loro figli era presente in meno del 20% delle famiglie. Quest’ultimo accenno solamente per richiamare che nel 2013

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

394

Autismo Europa ha effettuato un analogo rilevamento, evidenziando come in questi ultimi anni le questioni legate ai processi di diagnosi e di presa in carico siano meno incidenti nelle preoccupazioni dei familiari, confermando indirettamente il miglioramento avvenuto nelle politiche e nei programmi per l’autismo, mentre sono fortemente cresciute le preoccupazioni dei familiari per i bisogni legati al raggiungimento dell’età adulta dei loro figli, tanto da essere divenute la «prima» fonte di ansia per le famiglie (ibidem, p. 22).

Diagnosi

Educazione

TerapieBisogni degli adulti

con autismo

0 20 40 60 80 100

Fig. 4 I bisogni primari secondo i familiari di persone affette da autismo. Rilevazione realizzata da Autism Europe (1983).

Nel 2001 un’altra associazione attiva nella nostra realtà nazionale, Autismo Sardegna, aveva condotto uno specifico rilevamento sui tempi della diagnosi e sulle risposte della rete sanitaria attraverso delle interviste ai genitori (figura 5).

I risultati di questo rilevamento furono presentati al XXVII Convegno Nazionale della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Ado-lescenza, SINPIA, il 10 giugno 2001. Alle famiglie erano stati posti quesiti in merito ai percorsi della diagnosi e alle indicazioni ricevute successivamente. Dalle risposte dei genitori si evidenziava come ben il 63% di famiglie aveva osservato i segnali del disturbo del loro bambino con autismo entro i due anni di età, percentuale che saliva al 93% nella percezione delle famiglie al rag-giungimento dei tre anni. Di contro soltanto il 25% delle famiglie dichiarava di aver ricevuto la diagnosi entro il secondo anno e ben il 65% aveva dovuto attendere i cinque anni del figlio per riceverla. Il rilevamento di Autismo Sardegna mostrava come praticamente la quasi totalità delle famiglie avesse già consapevolezza entro i primi tre anni di vita del figlio del disturbo dello sviluppo. La letteratura scientifica ha ormai ampiamente dimostrato che sono i familiari a riconoscere per primi, e in tempi molto precoci, i primi segnali del disturbo autistico, tanto che i programmi di diagnosi precoce tendono oramai a valorizzare fortemente queste capacità valutative genitoriali. Questi dati con-fermano quindi una realtà diffusa (è comunque la famiglia che ha per prima la consapevolezza del disturbo), ma colpisce la gravità del ritardo con cui la rete

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

395

sanitaria raggiungeva la consapevolezza di malattia, dandole poi riscontro con indicazioni tra le più confuse e contraddittorie.

100%

80%

60%

40%

20%

0%

Età del nostro familiare alla quale...

pochi mesi

7%3%5%5%5%

24%16%16%16%

30%

40%

0%0%0%0%0%0%0%

7%11%14%

0%

1 anno

2 anni

3 anni

6 anni

4 anni

7 anni

5 anni

8 anni

9 anni

> 10 anni

ci siamo accorti di problemi nello sviluppo abbiamo avuto la diagnosi

Fig. 5 Risultati dell’indagine condotta da Autismo Sardegna (2001), attraverso in-terviste a genitori di soggetti autistici, sui tempi della diagnosi e sulla risposta della rete sanitaria. XXVII Convegno Nazionale SINPIA, Villasimius, 2001.

Il grafico riportato nella figura 6, relativo alle indicazioni fornite dalla rete sanitaria alle famiglie, rappresenta in modo esemplare la realtà delle divergen-ze e delle contraddizioni tra le opinioni e gli indirizzi operativi ricevuti dalle famiglie stesse; di queste «solamente» il 29% non si era mai sentito imputare, all’alba del nuovo secolo, la responsabilità della comparsa dell’autismo nel loro figlio a causa di presunte loro «carenze» affettive. Molto significativo appare anche il livello di conoscenze sull’autismo degli specialisti interpellati, se com-plessivamente ben il 79% di essi riteneva che per quella diagnosi «non vi fosse nulla da fare». Penso che questa convinzione riguardo all’autismo e alla sua prognosi assolutamente infausta e senza speranze abbia causato nelle visioni esistenziali e nelle proiezioni del futuro di quei genitori delle ripercussioni ancor più angosciose e destrutturanti della stessa idea di una loro relazione con la causa della malattia del loro bambino.

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

396

100%

80%

60%

40%

20%

0%

Nell'arco delle visite effettuare sul nostro familiare, ci è stato detto...

Più di una volta Una volta Mai

26%

45%

69%64%

29%21% 21%

14%10%

«La causa è nei problemi relazionali della famiglia» «Non c'è niente da fare per aiutarlo» «Guarirà crescendo»

Fig. 6 Indicazioni fornite dalla rete sanitaria ai familiari di persone con Disturbo dello Spettro Autistico (Autismo Sardegna, 2001). XXVII Convegno Nazionale SINPIA, Villasimius, 2001.

L’estrema variabilità con cui i quadri di autismo venivano diagnosticati ri-sulta, ad esempio, dall’elenco di diagnosi effettuate nell’anno 1996 dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda USL di Modena, diagnosi attraverso cui era possibile identificare o «celare» una condizione autistica: – Sindrome autistica – Disturbo relazionale – Pre-psicosi – Psicosi – Psicosi Simbiotica – Psicosi d’innesto – Psicosi deficitaria – Esiti di disturbo autistico – Disturbi della strutturazione dell’io – Disturbi della comunicazione e del contatto – Disarmonia evolutiva – Distorsione Relazionale – Ritardo psicomotorio.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

397

La modernità della visione scientifica di Asperger

Alla luce di quanto sin qui documentato si può affermare che la rilevanza scientifica del lavoro di Asperger non riguarda tanto la sua probabile «primo-genitura» nell’identificazione della sindrome autistica, quanto il fatto che siano state confermate nel tempo l’originalità e la coerenza del suo studio e delle sue intuizioni anticipatrici, soprattutto se «misurate» nel confronto di come si sono evolute le conoscenze e le prassi terapeutiche negli anni successivi alla pubblicazione di quel suo lontano lavoro.

Il suo saggio del 1944 è di fatto ancor più attuale se lo si confronta con gli sviluppi distorti che interpretazioni errate dell’autismo hanno determinato nei decenni seguenti e con le gravissime ripercussioni sui bambini e sulle loro famiglie che quei modelli di intervento diagnostico e terapeutico hanno causato. Il lavoro di Asperger del 1944 va confrontato con ciò che l’autismo ha «vissuto» successivamente fin quasi ai giorni nostri.

In quest’ottica mi sembra essenziale riandare ad alcuni brevi passaggi di quello studio per attingere al suo pensiero originario. In esso Asperger presenta quattro casi: Fritz di 6 anni, «indirizzato all’osservazione del Re-parto di Pedagogia Curativa dalla scuola perché il bambino si era mostrato “completamente incapace di scolarità”» (Asperger, 2003, p. 42); Harro di 8 anni, segnalato dalla scuola per difficoltà disciplinari incontrollabili; Ernst di 7 anni, inviato dalla scuola per gravi difficoltà di comportamento e di apprendimento; Hellmuth di 11 anni, segnalato per la lentezza nelle tappe di sviluppo, per la bizzarria nei comportamenti e gli insuccessi scolastici e che alla nascita «era molto asfittico ed è rimasto a lungo in rianimazione» (ibidem, p. 75).

Già dai percorsi di invio di tre dei quattro bambini presentati emerge lo stretto raccordo che in quegli anni lontani Asperger era riuscito a far decollare tra la sua struttura sanitaria, collocata all’interno di un reparto ospedaliero, e il mondo della scuola. Tale raccordo risulta evidentemente favorito dal profilo educativo che caratterizza il suo approccio terapeutico.

Va però precisato che, se pure sono solo quattro i casi presentati, Asperger manifesta nel corso della trattazione tutta la conoscenza e l’esperienza che ha maturato nel corso degli anni precedenti e a cui fa continui rimandi per so-stanziare le sue analisi e affermazioni.

Scrive infatti Adam Feinstein: «Mentre Kanner iniziò a descrivere i casi dei bambini in consulto da lui a partire dal 1938, Asperger aveva iniziato a trattare i suoi, in un istituto terapeutico, già nel 1930» (Feinstein, 2014, p. 13). Questo fatto viene confermato dallo stesso Asperger quando afferma: «Nel corso di dieci anni abbiamo osservato più di 200 bambini nei quali il quadro della psicopatia autistica appariva più o meno marcato» (Asperger, 2013, p. 97).

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

398

Il rapporto tra psicopatia autistica, schizofrenia e psicosi

Scrive Asperger:Le caratteristiche della personalità schizofrenica, strutturata intorno a una

progressiva perdita di contatto con la realtà, e dell’autismo schizofrenico […] sono riconducibili a un comune denominatore: la chiusura nella relazione fra l’Io e il mondo esterno. Analogamente, la restrizione delle relazioni in tutti gli ambiti è determinante anche per i nostri bambini. In questo caso non si tratta tuttavia di bambini disturbati nel centro della personalità: non sono quindi psicotici, bensì soltanto bambini più o meno anomali, psicopatici. (Asperger, 2003, pp. 41-42)

Asperger comunque affronta in più di un’occasione la questione della dia-gnosi differenziale:

Di fronte alle reazioni fortemente fuori dalla norma nel comportamento del bambino, ci si deve confrontare con la questione se qui non si tratti di un grave disturbo della personalità piuttosto che di una semplice psicopatia. […] Certo alcune cose in Fritz, la considerevole restrizione del contatto, gli automatismi, le stereotipie, richiamano quadri schizofrenici. Ma contro questa malattia parlano il fatto che la condizione del fanciullo non mostra alcun decorso, nessun processo evolutivo; la mancanza dell’esordio caratteristico della schizofrenia infantile precoce con i suoi sintomi allarmanti (gravissima angoscia, allucinazioni), e d’altronde qui non c’è delirio, la mancanza della progressiva destrutturazione della personalità. Niente di tutto questo in Fritz. (Ibidem, pp. 55-56)

Asperger inserisce già agli inizi degli anni Quaranta un criterio talmente semplice quanto del tutto trascurato da molti specialisti e ricercatori nei suc-cessivi decenni: l’evoluzione del quadro clinico nel tempo:

Ma dobbiamo ancora rispondere a un’altra questione. Nei casi descritti o almeno in alcuni di essi si tratta forse di stati preschizofrenici, si svilup-peranno vere psicosi? Anche a questa questione dobbiamo, sulla base del nostro materiale, rispondere negativamente. I quadri da noi descritti non mostrano nulla di evolutivo: permangono fondamentalmente per tutta la vita, anche se, di solito, si giunge a un sempre migliore adattamento alle richieste del mondo circostante e perciò a un inserimeno sociale. (Ibidem, p. 100)

Emerge con continuità, e permarrà in tutta la trattazione di Asperger, il fatto che l’utilizzo del termine «psicopatia autistica» è dovuto anche alla costante preoccupazione di differenziarla dalla schizofrenia. Certamente l’introduzione, da parte di Lorna Wing, dell’espressione «disturbo dello sviluppo» ha dato in tempi successivi maggiori supporti semantici alla necessità di differenziare il concetto di «disturbo di personalità» dai disturbi che non alterano la dimensione

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

399

psichica, ma che al contrario intaccano precocemente lo sviluppo dell’integrità cognitiva e sociale del bambino determinando un quadro di disabilità; questi disturbi verranno poi in seguito ulteriormente specificati, come nel DSM-5®, quali disturbi del neurosviluppo e ciò permetterà di differenziare e separare con sempre maggiore chiarezza le malattie «mentali» dalle disabilità della co-municazione e intellettive.

Nei lavori successivi Asperger cesserà di usare l’espressione «psicopatia auti-stica» e nel suo scritto del 1968 egli parla di bambini di Asperger e bambini di Kanner. Katrin Hippler afferma che in quegli anni Asperger si era reso conto che il termine psicopatia veniva assimilato «ai comportamenti antisociali e al disturbo della personalità» e non voleva che questo concetto venisse confuso con la sua sindrome. Nel corso degli anni non ebbe dubbi: la sua sindrome non doveva essere confusa con la psicosi, con la schizofrenia (Feinstein, 2014, p. 42).

Un aspetto particolare su cui Asperger si è soffermato, suscitando non poche critiche, riguarda una sua considerazione, ripresa in alcune occasioni, su una presunta «cattiveria» che sarebbe caratteristica dei bambini autistici, specialmente verso i genitori. Egli fa certo riferimento all’imprevedibilità e alla veramente fervida fantasia con cui i bambini autistici possono compiere azioni aggressive (ma anche autoaggressive) o distruttive o anche solamente imprevedibili. È però sempre Asperger che con parole un po’ stupite, ma certo affettuose e empatiche, descrive l’allontanamento dei bambini dalla loro casa e dalla famiglia:

Ci ha continuamente sorpreso la forte reazione di nostalgia di casa al momento dell’accoglimento nel nostro Reparto. Dapprima non riusci-vamo affatto ad accordarla con altri segni di povertà emotiva, che non potevamo trascurare. Mentre gli altri bambini, anche quelli che hanno un forte e autentico legame sentimentale con la casa dei genitori, si abituano rapidamente alla nuova situazione […] nei bambini autistici una grave nostalgia è la regola. Per giorni e giorni piangono lacrime di vera dispera-zione e specialmente il dolore si rinnova la sera […]. Rispetto ai bambini normali passa un bel po’ di tempo prima che superino la nostalgia di casa […]. Questa grave nostalgia mostra di quali sentimenti siano capaci questi bambini. (Asperger, 2003, p. 96)

Frase molto dolce e affettuosa ma terribile se si ripensa al dolore che nella storia dell’autismo è stato inutilmente inflitto a bambini e genitori, ai distacchi e alle separazioni che sono state «terapeuticamente» imposte, anche nella ormai ben consolidata consapevolezza che:

Quando il bambino è piccolo la sua apparente indifferenza può ingan-nare, e far pensare a una mancanza di affetto e della capacità di condividere emozioni e sentimenti […] poco a poco si potrà capire che non sono i sentimenti che mancano nei bambini quanto la capacità di decifrarli e di

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

400

imitarne le manifestazioni esteriori. […] Questi bambini non sembrano ignari dell’effetto delle loro azioni sugli altri: lo sono perché non comprendono il significato delle loro reazioni. (Vivanti, 2003, p. 149)

Complessità e contraddittorietà nelle dinamiche relazionali con i bambini con autismo che possono ritrovare una qualche forma di anticipazione nelle parole di Asperger:

Il problema del lato emotivo di questi bambini è diventato molto complicato. In nessun caso può essere semplicemente compreso secondo il concetto di «povertà di sentimento», dunque secondo punti di vista quantitativi; è piuttosto un essere diversi qualitativamente [non sta forse delineando il disturbo qualitativo dell’interazione sociale del DSM-IV e dell’ICD-10? nda], una disarmonia nel sentimento, nell’animo, spesso piena di sorprendenti contraddizioni, che caratterizza questi bambini, che causa il loro disturbo di adattamento. (Asperger, 2003, p. 96)

I riferimenti alle «cattiverie» dei bambini con «psicopatia autistica» hanno però determinato considerazioni e interpretazioni molto negative verso il lavoro di Asperger. Al di là delle successive e numerose precisazioni da parte dello stesso Autore viennese sul senso da attribuire a quel concetto, non va sottaciuto il parere molto negativo di altri studiosi. Tra questi sicuramente Eric Schopler, che afferma:

Tuttavia le descrizioni dei casi forniti dallo stesso Asperger lasciano pochi dubbi circa il fatto che l’autore, quando parlava di caratteristiche psicopatiche, dava a questa espressione lo stesso senso che ha oggi per noi. […] Nello stesso contributo, [Asperger] faceva riferimento anche ad alcune caratteristiche autistiche, le stesse dell’autismo di Kanner. È quindi possibile affermare che la principale caratteristica che distingueva la sindrome di Asperger da quella di Kanner era la presenza di psicopatia. (Schopler, 2001, p. 315)

Penso sia del tutto comprensibile che la storia personale di Schopler (ebreo tedesco perseguitato, con la sua famiglia e con il suo popolo, dai nazisti), insieme alla sua certezza del coinvolgimento di Asperger nel movimento giovanile nazi-sta, non gli impedisca di intravedere le forti correlazioni sintomatologiche tra le due sindromi, ma sembri altresì condurlo a un’interpretazione intransigente e liquidatoria del termine «psicopatia» utilizzato da Asperger. Il convincimento di Schopler è ulteriormente rafforzato da una sua valutazione, per così dire, di respiro «epidemiologico» riguardo ai giovani pazienti di Asperger, quando egli afferma:

In quanto precursore del movimento giovanile di Hitler [il Bund in cui Asperger si era impegnato che, come abbiamo visto, non risulta essere stata un’associazione di ispirazione nazista, nda] con il suo forte nazionalismo e le psicopatie connesse, Asperger potrebbe aver facilmente tratto molti dei

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

401

suoi soggetti da tale gruppo giovanile, ben diverso dal campione statunitense di Kanner. (Ibidem)

In estrema sintesi: Asperger avrebbe trattato molti psicopatici nazisti più che dei ragazzi affetti da autismo. Mi sembrava doveroso riferire qui anche queste considerazioni di Schopler, pur rinviando a quanto già detto riguardo all’infondatezza del coinvolgimento di Asperger nei movimenti giovanili nazisti e nel partito nazionalsocialista.

Altri elementi su cui Asperger fonda il quadro della psicopatia autistica sono l’omogeneità della sintomatologia e la sua costanza.

Non ogni tratto [della sintomatologia] è presente in ogni bambino […] ma chi conosce questi bambini stupisce ogni volta nel constatare quanti dettagli, e quanto evidenti, essi abbiano in comune, quanto sia omogeneo il tipo. Le differenze individuali all’interno del tipo sono tuttavia grandi. […] Le singole personalità si differenziano l’una rispetto all’altra non solo per il grado del disturbo del contatto, per il livello della dote intellettuale e caratterologica, ma anche per numerose caratteristiche individuali, particolari modalità di reazione, particolari interessi (che in queste persone sono originali e diversificati). Un altro tratto essenziale parla a favore dell’omogeneità di questo tipo: la sua costanza. Già dal secondo anno di età i suoi tratti sono inconfondibili e questi tratti sono destinati a durare per tutta la vita. Certo le capacità intellettuali e del carattere si sviluppano, singoli tratti compaiono nel corso dello sviluppo o regrediscono, le difficoltà mostrano un quadro differente: l’essenziale tuttavia rimane immutato. (Asperger, 2003, pp. 77-78)

Per Asperger già nel 1944 l’autismo non è solamente «infantile», non si ferma alla soglia dell’età adulta.

Egli è inoltre certo della causa congenita, non relazionale, non legata all’am-biente affettivo in cui cresce il bambino; ne teorizza al contrario una causa genetica, anche per alcuni tratti che vede nei genitori e anche per la presenza esclusiva di maschi nella sua casistica clinica; esclude ogni causa legata alle relazione affettiva con le madri, anzi su questo tema, confutando l’ipotesi relazionale della psicopatia autistica, egli appare profetico quando afferma: «Ma come avviene in tanti altri contesti, anche qui il modo di osservazione della psicologia individuale confonde la causa per l’effetto» (ibidem, p. 99). Ciò che in realtà è avvenuto: la causa è stata confusa con l’effetto. Il grave disturbo «relazionale» del bambino con il mondo, che noi chiamiamo autismo, non è causato da una cattiva relazione con la madre, ma al contrario la «cattiva relazione» è causata dall’autismo, cioè da un’impos-sibilità biologicamente determinata del bambino di poter entrare in «relazione» con la madre e il mondo. La causa è l’autismo, l’effetto è il grave disturbo della relazione. La madre, oltre al bambino, ne è la vittima, non la causa.

Ma in questo disconoscimento di una possibile causa esogena, relazionale dell’autismo, Asperger fa riferimento alla concretezza della sua esperienza, alla

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

402

conoscenza di quelli che potremmo chiamare i percorsi di vita di molti bambini che ha visto crescere, che lo indirizzano verso una certezza:

Chi ha visto crescere questi bambini fin da piccolissimi, chi ha l’op-portunità di osservare come i loro tratti sono fissati fin dalla primissima infanzia nella direzione descritta, chi sa inoltre che i bambini autistici che crescono tra fratelli e sorelle si sviluppano nella stessa identica maniera dei [bambini autistici] figli unici, non può che trovare assurda una spiegazione che muove da una causa esogena. (Ibidem)

E l’autismo normale? La nascita della relazione e la di-namica evolutiva

Rispetto all’ipotesi di una condizione di autismo normale a cui, come già detto, gli studi sui primi mesi di vita neonatale degli anni Sessanta-Settanta hanno negato qualsiasi validità, Asperger aveva anticipato indirettamente già dal 1943 la sua siderale distanza. La pratica pediatrica, la capacità di osserva-tore delle competenze negli scambi comunicativi dei «neonati» lo conducono ad anticipare di molti anni l’affermarsi della consapevolezza sulle competenze comunicative e relazionali del neonato, ed egli evidenzia anche il significato patognomonico della loro assenza o compromissione. Scrive infatti:

Non solo i poeti sanno che l’anima dell’essere umano è nel suo sguardo. Dal momento in cui il bambino è in grado di «guardare», dunque a partire dal terzo mese di vita, molto prima che abbia possibilità espressive verbali, una gran parte delle sue reazioni con l’ambiente si gioca attraverso lo sguardo. Il bambino piccolo assorbe in sé il mondo con i suoi occhi, coglie le cose, esprime con i suoi occhi i suoi sentimenti molto più libero degli adulti. […] Del tutto diversa è la situazione dei nostri bambini. Ben difficilmente lo sguardo si ferma vivo su un determinato oggetto, su una determinata persona, così mostrando la presenza desta dell’attenzione, il contatto vivo. In questo caso non vi è sguardo nello sguardo, così che si instauri in questo modo l’unità del contatto discorsivo; quando si parla con qualcuno, infatti non si «risponde» soltanto con la parola, la quale avrebbe solo lo scopo di esprimere un contenuto astratto, bensì forse ancora di più con lo sguardo, con il tono del discorso, con la mimica del volto e con i gesti. […] È signi-ficativo che questi bambini non guardino mai con uno sguardo che afferra saldamente le cose. (Ibidem, p. 78)

La psicopatia autistica: il disturbo dell’interazione sociale

Anche per Asperger il punto centrale è il disturbo delle relazioni; i suoi studi lo portano a ritenere che l’anomalia comportamentale fondamentale sia il disturbo delle relazioni e che a partire da questo si strutturino tutti gli altri disturbi.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

403

Il disturbo fondamentale consiste in una restrizione delle relazioni con il mondo circostante, la personalità di questi bambini deve essere compresa da questo punto di vista e essa è totalmente organizzata a partire da questa limitazione. […] Ma il tratto fondamentale dei bambini psicopatici si evidenzia nella maniera più diretta se li si osserva nel loro rapporto con gli altri. Effettivamente essi diventano anche più facilmente comprensibili a partire dal loro comportamento nella comunità sociale, dai gravi conflitti che si producono qui sin dalla loro infanzia. Questi conflitti sono parti-colarmente grandi all’interno della comunità sociale più ristretta che è la famiglia. (Ibidem, p. 88)

Anche la descrizione che Asperger conduce sui disturbi del comportamen-to, sugli interessi ristretti, sulle stereotipie e sul rapporto con gli oggetti nei bambini con «psicopatia autistica» è di attualità sorprendente. La continuità dei rapporti che il suo modello di «presa in carico» permette, la sua visione educativa che lo porta a «vivere» con i bambini e con gli educatori, l’ascolto dei problemi che i bambini manifestano a casa e a scuola gli permettono di identificare già nei primi anni Quaranta pattern assai specifici di disturbi del comportamento autistico: la difficoltà ad acquisire le regole sociali del vivere quotidiano, gli impedimenti nell’adattamento istintivo alle situazioni sociali, le scarse abilità nella cura di sé, l’assenza di curiosità per l’ambiente, le limitate capacità di adeguamento all’organizzazione dei contesti di vita sociale, anche di quelli più naturali come quelli familiari o scolastici; in più di una occasione sottolinea le loro incapacità e i fallimenti nelle attività pratiche proprie del vivere quotidiano. Dalle descrizioni dei disturbi e delle disabilità che Asperger conduce si evidenzia l’estrema ricchezza di considerazioni su un insieme di segni che solamente da pochi anni abbiamo imparato a riconoscere, ponendo più attenzione alle informazioni che le famiglie ci forniscono: i disturbi della percezione sensoriale, tattile e uditiva.

Molti di questi bambini hanno un’avversione che può diventare abnorme per certe sensazioni del tatto, magari per il velluto, la seta, l’ovatta, il gesso; non tollerano la ruvidezza delle camicie nuove, dei calzini rammendati; non sopportano il taglio delle unghie e la spiacevole sensazione che ne segue è motivo per cui in queste occasioni si giunge a scene pesanti. […] Anche verso i rumori o il frastuono questi bambini sono spesso esplicita-mente ipersensibili, talvolta proprio quelli che in altre situazioni sono così completamente assenti e insensibili a ciò che accade attorno a loro, anche al frastuono. (Ibidem, p. 92)

A questo riguardo, mi pare opportuno ricordare che nel DSM-5® (anno di pubblicazione 2013) questi disturbi sensoriali vengono indicati di particola-re significatività per i processi diagnostici ma anche per la comprensione di comportamenti disadattivi che ne possono derivare. Un altro esempio della

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

404

capacità osservativa di Asperger è di aver fin da allora descritto i disturbi del sonno e dell’alimentazione, entrambi segnalati come possibile fonte di pesanti ripercussioni negative sulla vita familiare, o il fatto che un tratto caratteristico del comportamento dei bambini studiati possa essere anche la mancanza di senso dell’umorismo.

Autismo e disabilità cognitiva. Un’anticipazione dello spettro autistico

Asperger definisce quindi il quadro della psicopatia autistica sul piano sinto-matologico e riconosce una notevole «variabilità» individuale all’interno di una tipologia stabile, costante. Nelle sue teorizzazioni sulle differenze individuali egli richiama la possibilità che queste possano essere determinate dalla presenza e natura del deficit cognitivo: «Il carattere autistico non si riscontra affatto solo in persone di valore intellettuale elevato, bensì anche in sottodotati e persino in deboli mentali di grado profondo» (ibidem, p. 67). Nell’analisi dei quattro casi presi in esame nel suo lavoro egli affronta, attraverso la storia clinica di Ernst, il rapporto tra autismo e deficit cognitivo e attraverso la quarta storia clinica, quella di Hellmuth, il rapporto tra autismo ed encefalopatia. Afferma:

Ci sono tuttavia numerosi deboli di mente in cui si trovano allo stesso modo i tratti tipici della psicopatia autistica: il disturbo del contatto con le sue caratteristiche manifestazioni espressive nello sguardo, nella voce, nella mimica, nella gestualità […]. Soprattutto vi sono stereotipie comuni agli autistici e ai deboli mentali con danni cerebrali: saltellare, gesticolare con le braccia e le gambe, girare come una trottola, girare e rigirare gli oggetti con le mani, dondolare ritmicamente magari con la parte superiore del corpo. (Ibidem, pp. 73-74)

E ancora: «Per il momento constatiamo che ci sono casi in cui un danno cerebrale può produrre, in molti punti essenziali, un quadro simile a quello che ci offre la psicopatia autistica» (ibidem, p. 77).

Il rapporto tra autismo e deficit intellettivo è quindi ben presente in Asperger, come anche l’ampia varietà di situazioni in cui questo si può manifestare, o per le ripercussioni che si possono determinare nei processi di scolarizzazione. Affrontando alcuni aspetti riferiti ai disturbi dell’apprendimento egli sottolinea:

Non stupisce quindi che quasi tutti i bambini autistici abbiano grandi difficoltà di apprendimento. Nei più capaci, per via degli altri loro risultati, per via delle loro risposte straordinariamente intelligenti, gli insegnanti sorvolano a volte sulle prestazioni meno buone riguardo alle richieste di apprendimento meccanico. Per lo più tuttavia l’insegnante è disperato per la penosa fatica che questo disturbo nella modalità del lavoro procura a entrambe le parti. In molti casi vi sono anche caratteristici conflitti tra insegnante e genitori: i genitori, che certo sono portati a valutare troppo favorevolmente i loro

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

405

bambini, giudicano il bambino secondo le sue espressioni spontanee di intelligenza, dunque magari secondo le sue idee originali, e lo considerano particolarmente capace. L’insegnante però vede l’insuccesso nell’apprendi-mento e dà voti cattivi, dunque materia sufficiente per un conflitto in cui entrambe le parti hanno in qualche modo ragione. (Ibidem, p. 87)

Approccio terapeutico: la pedagogia curativa

Dalla lettura delle storie cliniche dei quattro bambini su cui si concentra il lavoro di Asperger si evidenza la sistematicità del suo metodo che è profonda-mente inserito all’interno di una strategia terapeutica del tutto originale. La base fondante del suo progetto di cura è la stretta relazione tra processi educativi e azioni terapeutiche in un contesto in cui metodologia scientifica e dimensione istituzionale si integrano: chi «studia» i bambini «vive» con i bambini.

Fin dalle sue prime attività nella clinica pediatrica di Vienna, Asperger assume come centralità dell’intervento terapeutico un approccio prettamente pedago-gico, la Heilpädagogik (pedagogia curativa). Un breve commento ai problemi di traduzione di questo termine. Nei vari lavori studiati il termine tradotto dal tedesco all’inglese, o dall’inglese all’italiano, o dal tedesco all’italiano assume significati diversi: pedagogia speciale o insegnamento speciale, pedagogia cor-rettiva o insegnamento correttivo. Abbiamo preferito mantenere la traduzione letterale dal tedesco all’italiano, pedagogia «curativa», anche sostenuti in questa scelta dal pensiero chiaramente espresso da Asperger nel merito.

Questo approccio terapeutico fu impostato a Vienna fin dal 1911 da Cle-mens von Pirquet quando venne istituita la prima Clinica per lo studio e il trattamento delle manifestazioni psichiatriche infantili.

Il concetto di Heilpädagogik comprende in Austria un ambito più vasto rispetto alla sola Pedagogia delle Scuole Speciali. Con questo nome si intende anche ciò che nella Repubblica Federale Tedesca si chiama Psi-chiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza […]. Perciò in questo reparto [il reparto di pedagogia curativa di Asperger, nda] impostazioni mediche e pedagogiche erano congiunte nella cura dei bambini, una tradizione che in Austria risale almeno sino alla metà del XIX secolo e che ha storicamente le sue radici nella comune origine di entrambe entro la natura dell’istituzione. Hans Asperger faceva riferimento ai pedagogisti Georgens e Deinhard, che intorno al 1856 avevano fondato un istituto di cura in cui erano ricollegati pedagogia e sapere medico. (Schirmer, 2003, p. 20)

Per «pedagogia curativa», del tutto peculiarmente in Austria, si era teorizzato un trattamento complessivo che andava dalla pedagogia all’assistenza psicologica e soprattutto medica del bambino. Asperger nel suo lavoro manifesta chiara-mente e ripetutamente il suo pensiero riguardo alla centralità del trattamento

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

406

pedagogico: esso appare talmente essenziale nel suo impianto teorico e nella sua prassi metodologica che tutta l’esposizione del saggio e l’illustrazione delle quattro storie cliniche presentate sono segnate da continui rimandi teorici e pratico-operativi alla pedagogia curativa, pensata come un approccio specifico che non deve essere confuso con la rieducazione e che va intesa invece come una sintesi della pratica medica e educativa, uno strumento di riferimento che si indirizza tanto ai medici che agli infermieri, agli insegnanti e ai terapeuti. Nel 1968 Asperger preciserà ulteriormente:

[Possiamo individuare] cinque scienze come «fonti originarie» della teoria e prassi psicologico-curativa: psichiatria, pediatria, psicologia, scienze sociali e infine pedagogia. […] Per questa ragione succede anche che la pedagogia curativa venga rivendicata come proprio dominio da persone che provengono da qualcuna di queste discipline originarie e che queste persone si adoperino a difendere la propria posizione in conflitto con altre. Noi crediamo che un tale conflitto misconosca la situazione. Nessuna delle scienze sopra citate esaurisce completamente l’essenza della pedagogia curativa. Questa non appartiene dunque né alla psichiatria, né alla pedagogia né alla psicologia infantile, e neppure è composta in maniera eclettica da saperi parziali tratti da questi ambiti; essa è invece una disciplina a sé che si è sviluppata orga-nicamente dalle sue proprie condizioni particolari. Essa è profondamente debitrice rispetto alle scienze sopra citate per quanto riguarda il contenuto della loro dottrina, tuttavia è in grado di fornire a esse di rimando, per il loro proprio lavoro, impulsi fondamentali. (Asperger, 1968, p. 1)

Gli stretti rapporti con l’ambiente scolastico naturale dei bambini, le attenzioni rivolte ai processi di scolarizzazione dei bambini in cura, e soprattutto l’operare in un contesto che permette la continuità e contiguità nella relazione educativa e terapeutica, conducono Asperger ad affermare che la reale comprensione dei problemi dei bambini è possibile solamente nella condivisione con loro dei diversi momenti della vita quotidiana, nell’osservazione diretta delle loro rea-zioni nel lavoro, nel riposo o nel gioco, nelle loro risposte ai diversi stimoli che possono derivare dall’ambiente. Per lo studioso viennese solamente attraverso la relazione pedagogica è possibile comprendere la vera natura del bambino, in una relazione, cioè, in cui metodologia scientifica e contesto istituzionale si integrano, chi «studia» i bambini «vive» con i bambini.

Considerazioni che avvicinano sicuramente le intuizioni di Asperger all’attuale approccio psicoeducativo e che ci riporta con forza al tema della «reciprocità sociale» nell’insegnamento e nell’apprendimento.

Molto prima che il bambino capisca le parole dell’educatore, già da lat-tante egli impara a ubbidire, non alle parole astratte, bensì allo sguardo della madre, al tono della sua voce, all’espressione del viso e alla sua gestualità, in breve, al gioco indescrivibilmente ricco delle sue manifestazioni espressive. Tutto questo il bambino piccolo non lo capisce consapevolmente ma ne

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

407

riceve l’impronta. Egli sta ininterrottamente in un gioco di scambio con l’educatore, perfezionando costantemente le sue proprie reazioni, modifi-candole continuamente in base alle esperienze buone o cattive che ha fatto nel suo scontrarsi con il mondo. Si comprende facilmente che le relazioni non disturbate del bambino con il mondo circostante sono la premessa fondamentale a tutto questo. Nel nostro caso invece proprio questo mera-viglioso meccanismo di regolazione è profondamente disturbato. (Asperger, 2003, pp. 50-51)

E ancora:I bambini «normali» acquisiscono le necessarie abitudini sociali senza

avere della maggiore parte di esse una chiara consapevolezza: imparano inconsciamente, istintivamente, ma proprio queste relazioni che si giocano sull’istinto sono compromesse nei bambini autistici […] in loro anche l’a-dattamento sociale deve passare dall’intelletto, essi devono imparare tutto per via intellettuale. Bisogna spiegare loro tutto, enumerare tutto (il che sarebbe un grave errore educativo con i bambini normali): devono imparare a svolgere sistematicamente come fosse un compito scolastico tutte le piccole occupazioni quotidiane. Con alcuni di questi bambini […] si è raggiunto un adattamento quasi senza difficoltà fissando un orario esatto in cui, a partire dall’ora del risveglio, erano elencate con precisione tutte le attività e i doveri della giornata; quando i bambini venivano dimessi ricevevano un «orario» simile elaborato di concerto con i genitori in quanto doveva essere adattato alle abitudini della casa […]. A questa legge oggettiva i bambini si sentivano strettamente vincolati. (Ibidem, p. 66)

Non paiono esservi particolari differenze tra la metodologia nell’utilizzo di supporti visivi e di strumenti per fornire ai ragazzi con autismo indicazioni sul procedere delle azioni nel tempo applicata nella clinica di Asperger rispetto alle agende visive e ai diari delle azioni giornaliere utilizzati diffusamente oggigiorno in ogni organico programma di intervento educativo per bambini con autismo.

Questa strategia educativa non poteva però non richiedere una profonda modificazione della stessa organizzazione del reparto ospedaliero. Scrive Uta Frith:

La specificità e la nuova caratteristica della pratica pedagogica curativa in questo reparto erano la loro base biologica terapeutica. Questo significa che l’impostazione di ogni programma cominciava con l’identificazione delle cause organiche dei limiti o deficit dei singoli bambini. […] Educazione e terapia erano la stessa cosa. […] All’inizio il reparto di pedagogia curativa era organizzato come un qualsiasi altro reparto clinico. I bambini vivevano in letti disposti in piccole e ordinate file, e due volte al giorno avveniva il giro del reparto. Erano trattati come bambini malati la cui salute doveva essere migliorata. […]

Come l’esperienza del team crebbe, i loro sistemi cambiarono. I bambini venivano fatti alzare presto dai loro letti per giocare e lavorare durante il giorno in una impegnata serie di attività. Ora l’aiuto era dato a bambini

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

408

handicappati (piuttosto che ammalati) […]. Il programma giornaliero co-minciava con una lezione di educazione fisica, usando ritmo e musica. Erano organizzate recite e drammatizzazioni di avvenimenti o di canzoni. Vi erano anche vere e proprie lezioni scolastiche e attività di terapia del linguaggio. […] Il respiro etico era che il lavoro della clinica doveva essere guidato dalla volontà di comprendere e aiutare i bambini. (Frith, 1991, pp. 8-9)

Ricercare oggi i risultati istituzionali del lavoro di Asperger è impresa non semplice. Nell’Ordinamento della Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna non compare alcun accenno a Insegnamenti o Reparti di Pedagogia Curativa. In un’intervista del 2004 sul tema degli interventi di pedagogia speciale in Au-stria, l’allora primario del Reperto di Neuropsichiatria infantile e adolescenziale dell’Ospedale Neurologico di Vienna afferma:

Non esiste alcuna formazione strutturata per la pedagogia integrativa a livello universitario. All’istituto di Scienze dell’educazione di Vienna c’è un gruppo di lavoro per la «pedagogia curativa» entro il quale esistono due correnti di pensiero diverse: la pedagogia psicoanalitica e la pedagogia integrativa. (Ruggaldier, 2007, pp. 436-437)

Nel corso della lunga intervista compare del tutto indirettamente un’unica volta il termine autismo e non vi è alcuna citazione del lavoro di Asperger. È possibile che in un lavoro centrato sul tema degli interventi di «pedagogia speciale» possa non essere stato preso in considerazione uno dei punti centrali dell’esperienza di Asperger, ma il dubbio che di questa esperienza, dopo anni così difficili come quelli del dopoguerra, rimangano solo dei rimandi biblio-grafici sembra essere legittimo.

«Caro Asperger Le scrivo…»

Mi sembra opportuno concludere queste riflessioni riprendendo le parole di una mamma, Donata Vivanti, che, esprimendo il desiderio di un possibile dialogo con questo «maestro ritrovato», sceglie di scrivere un commento alla lettura della traduzione italiana del testo originale dello studioso austriaco sotto forma di lettera indirizzata proprio ad Asperger, intitolando le sue considera-zioni: «Caro Asperger Le scrivo…».

Molti decenni fa, quando ancora di autismo non si parlava, se non per descrivere un sintomo delle psicosi, lei ha osservato, in quei suoi piccoli pazienti, un insieme di sintomi che svelavano un unico invalidante disturbo. E si aspetterà probabilmente che in tutti questi anni i suoi colleghi abbiano fatto tesoro delle sue osservazioni e delle sue indicazioni e che abbiano compiuto enormi progressi nell’alleviare le sofferenze di quei bambini […].

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

409

Purtroppo non è andata così, e benché il suo nome sia stato immortalato a definizione di un disturbo citato nelle classificazioni internazionali, pochi conoscono i suoi studi e hanno fatto tesoro della sua saggezza.

Anche lei ha descritto madri «inadeguate», dal comportamento bizzarro e padri eccentrici. Ma nemmeno per un attimo ha perso il lume della ragione e della logica attribuendo alle stranezze dei genitori la responsabilità dei disturbi del figlio. Anzi già riconosceva nell’atteggiamento di quei genitori le stesse caratteristiche del comportamento del bambino e ipotizzava l’origine genetica dell’autismo o in altri casi la conseguenza di un danno cerebrale. E ancora mi chiedo come mai ciò che appariva chiaro più di mezzo secolo fa sia rimasto inascoltato per tanto tempo. Il sonno della ragione genera mostri.

Le accuse hanno generato accuse, il sospetto ha generato sospetto, il pregiudizio il pregiudizio e in nessun’altra patologia come nell’autismo la frattura fra mondo professionale e famiglie è stata così profonda. […] Ne-anche noi nella nostra estenuante ricerca di qualcuno che potesse aiutare i nostri piccoli, quando il disturbo, poco a poco, corrodeva giorno per giorno ogni passata conquista, quando l’orrore di svegliarsi ogni giorno più soli, più sordi e più ciechi alle sollecitazioni e alle cure di mamma, papà e fratellini divorava quelle fragili creature, abbiamo incontrato professionisti come lei, ma tanti falsi esperti che rispondevano alle nostre speranze deridendo la nostra angoscia, che liquidavano spazientiti le nostre paure con vaghe promesse di normalità futura. […] Oggi non provo rancore per il male che ho avuto da chi, magari in buona fede, mi ha accusato, trasformando la mia vita familiare in un inferno di dubbi e recriminazioni, e condannando i miei piccoli all’incertezza e al caos. Ma non potrò mai perdonargli di aver paralizzato in me, per anni, ogni forza e volontà, e di aver negato ai miei bambini, a ciò che ho di più caro al mondo, il conforto della comprensione e la sicurezza della guida di una madre consapevole. E ancor meno di aver sprecato la loro vita e il loro futuro per negligenza e pregiudizio. (Vivanti, 2003, pp. 143-145)

Donata Vivanti conclude la lettera che avrebbe voluto inviare ad Asperger:Sapesse, in tutti questi anni, quanti genitori mi hanno confidato che

il problema non è il figlio, ma la negligenza, l’indifferenza e le umiliazioni quotidiane di cui è vittima da parte dei servizi, delle istituzioni, di persone adulte che si dicono intelligenti e normali e non sanno nemmeno vedere la sopraffazione che quotidianamente esercitano su queste creature vulnerabili e sulle loro famiglie. […] Per questo la ringrazio per il rispetto e la fiducia che ha saputo comunque mantenere nelle possibilità dei suoi piccoli pazienti e per tutto il bene che ai nostri figli i suoi studi e il suo rigore avrebbero potuto e potranno offrire. (Ibidem, p. 153)

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

410

Hans Asperger: the rediscovered maestro. The scien-tific journey and human tale of one of the most impor-tant figures in child neuropsychiatry

AbstractProfessionals and researchers’ interest in the original work of Asperger on «autis-tic psychopathy», published in 1944, has never been particularly high, despite the fact that «Asperger’s Syndrome» diagnoses are becoming more and more common. Asperger’s original article not only responds to documentary interest in the historical development of the concept of autism, but it also enables us to discover the originality of Asperger’s thought, who right back in the 30’s defined autism disorder as an expression of a biologically determined, specific cluster of syndromes, to be tackled with strategies aimed at an educational and pedagogi-cal approach. We can also trace in the work reflections of the terrible historical period that Asperger lived through, at the height of Nazism, and identify in him notions which encourage a better understanding of his ethical integrity reflected in his clinical and scientific endeavours. The overall features of his scientific profile place him, albeit belatedly, among the «maestros» who have left a lasting mark on the history of autism.

KeywordsAutism, natural history and social history, Asperger, autistic psychopathy, autistic spectrum, eugenics, curative pedagogy.

Autore per corrispondenzaFranco NardocciE-mail: [email protected]

Bibliografia

American Psychiatric Association – APA (1952), DSM-I. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Washington, DC, APA.

American Psychiatric Association – APA (1968), DSM-II. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Washington, DC, APA.

American Psychiatric Association – APA (1980), DSM-III. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (3th ed.), Washington, DC, APA, trad. it DSM III, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ed. it. a cura di V. Andreoli, G.B. Cassano e R. Rossi, Milano, Masson, 1983.

American Psychiatric Association – APA (1987), DSM-III-R. Diagnostic and Sta-tistical Manual of Mental Disorders (3th ed. revised), Washington, DC, APA.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

411

American Psychiatric Association – APA (1994), DSM-IV. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (4th ed.), Washington, DC, APA, trad. it. DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ed. it. a cura di V. Andreoli, G.B. Cassano e R. Rossi, Milano, Masson, 1996.

American Psychiatric Association – APA (2013), DSM-5®. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.), Washington, DC, APA, trad. it. DSM-5®. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ed. it. a cura di M. Biondi, Milano, Raffaello Cortina, 2014.

Asperger H. (1938), Das psychish abnorme Kind, «Wiener Klinische Wochenschrift», vol. 51, pp. 1314-1417.

Asperger H. (1944), Die «Autistischen Psycophaten» im Kindesalter, «Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten», vol. 117, pp. 77-136.

Asperger H. (1968), On the differential diagnosis of early infantile autism, «Acta Paedopsychiatrica», vol. 35, n. 4, pp. 136-145.

Asperger H. (1998), Les psychopathes autistiques pendant l’enfance, Paris, Institut Edition Synthelabo.

Asperger H. (2003), Bizzarri isolati e intelligenti. Il primo approccio clinico e pe-dagogico ai bambini di Hans Asperger, a cura di F. Nardocci, Trento, Erickson.

Autism Europe (2013), 30 years of action in Europe, «Link», http://www.autismeu-rope.org/files/files/link-autism-59-en-final-2013-09-03-1.pdf (ultimo accesso 28/06/16).

Barale F. e Ucelli S. (2006), La debolezza piena. Il disturbo autistico dall’infanzia all’età adulta. In S. Mistura (a cura di), Autismo. L’umanità nascosta, Torino, Einaudi.

Berger M. (2007), Hans Asperger. Sein Leben und Werk, «heilpädagogik.de», vol. 4, pp. 29-30.

Bettelheim B. (1950), Love Is Not Enough. The Treatment of Emotionally Distur-bed Children, Glencoe, Free Press, trad. it. L’amore non basta. Trattamento psicoterapeutico dei bambini che presentano disturbi affettivi, Milano-Trieste, Ferro, 1977.

Bettelheim B. (1967), The Empty Fortress. Infantile Autism and the Birth of the Self, Glencoe, Free Press, trad. it. La fortezza vuota. L’autismo infantile e la nascita del sé, Milano, Garzanti, 1976.

Brauner A. e Brauner F. (2002), Storia degli autismi. Dalle fiabe popolari alla lette-ratura scientifica, Trento, Erickson.

De Ajuriaguerra J. e Marcelli D. (1984), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson.Feinstein A. (2014), Storia dell’Autismo. Conversazioni con i pionieri, Crema (CR),

UovoNero.Fombonne E. (2005), Epidemiological studies of pervasive developmental disorders.

In F.R. Volkmar, A. Klin, R. Paul. e D.J. Coen (a cura di), Handbook of Autism and Pervasive Developmental Disorders, Hoboken, NJ, Wiley.

Frith U. (1991), Autism and Asperger’s Syndrome, Cambridge, Cambridge Uni-versity Press.

Gillberg C. (1991), Clinical and neurobiological aspects of Asperger Syndrome in six family studies. In U. Frith (a cura di), Autism and Asperger’s Syndrome, Cam-bridge, Cambridge University Press.

e disturbi dello sviluppo Vol. 14, n. 3, ottobre 2016

412

Gillberg I.C. e Gillberg C. (1989), Asperger Syndrome. Some epidemiological con-siderations: A research note, «Journal of Child Psychology and Psychiatry», vol. 30, pp. 631-638.

Hippler K. (2013), Hans Asperger and His Patients. In M.A. Just e K.A. Pelphrey (a cura di), Development and Brain Systems in Autism, Abingdon, Psychology Press.

Jay J. (2005), The 1942 «euthanasia» debate in the American Journal of Psychiatry, «History of Psychiatry», vol. 16, n. 2, pp. 171-179.

Jay J. (2006), The Missing Gene: Psychiatry, Heredity, And the Fruitless Search for Genes, New York, Algora.

Kanner L. (1942), Exoneration of feebleminded, «American Journal of Psychiatry», vol. 99, pp.17-22.

Kanner L. (1943), Autistic disturbances of affective contact, «Nervous Child», vol. 2, pp. 217-250.

Kanner L. (1949), Problems of Nosology and Psychodynamics of Early Infantile Autism, «American Journal of Orthopsychiatry», vol. 19, pp. 416-426.

Kanner L. (1969), Psichiatria Infantile, Padova, Piccin.Kanner L. e Einsenberg L. (1955), Notes on the Follow-up study of autistic children.

In P.H. Hoche (a cura di), Psychopathology of Childhood, New York, Grune & Stratton.

Kennedy F. (1942), The problem of social control of the congenital defective: Education, sterilization, euthanasia, «American Journal of Psychiatry», vol. 99, pp. 13-16.

Levi P. (1947), Se questo è un uomo, Torino, De Silva.Mahler M. (1975), Psicosi infantili, Torino, Bollati Boringhieri.Marcelli D. (1996), Enfance et psychopathologie, Paris, Masson.Micheli E. (2003), Autismo o sindrome di Asperger?. In F. Nardocci (a cura di), Hans

Asperger. Bizzarri isolati e intelligenti. Il primo approccio clinico e pedagogico ai bambini di Hans Asperger, Trento, Erickson, pp. 115-129.

Ruggaldier M. (2007), La pedagogia speciale in Austria. In A. Lascioli (a cura di), Pedagogia speciale in Europa. Problematiche e stato della ricerca, Milano, FrancoAngeli.

Schirmer B. (2002), Autismus und NS-Rassengesetzte in Österreich 1938: Hans Asperger Verteidigung der «autistischen Psychopathen» gegen die NS-Eugenik, «Die Neue Sonderschule», vol. 47, n. 6, pp. 460-464.

Schirmer B. (2003), Autismus von innen, «Behinderte in Familie, Schule und Gesellschaft», vol. 3, pp. 20-32.

Schopler E. (2001), La diffusione prematura della diagnosi di «sindrome di Asperger». In E. Schopler, G.B. Mesibov e L.J. Kunce (a cura di), Sindrome di Asperger e Autismo High Functioning. Diagnosi e Interventi, Trento, Erickson, pp. 315-330.

Schopler E., Mesibov G.B. e Kunce L.J. (a cura di) (2001), Sindrome di Asperger e Autismo High Functioning. Diagnosi e Interventi, Trento, Erickson.

Schopler E., Rutter M. e Chess S. (1979), Editorial: Journal of Autism and Childhood Schizophrenia: Change of journal scope and title, «Journal of Autism and Deve-lopmental Disorders», vol. 9, pp. 1-10.

Sukhareva G.E. (1926), Die Schizoiden Psychopathien im Kindesalter, «Monatschrift für Psychiatrie und Neurologie», vol. 60, pp. 235-261.

Tustin F. (1975), Autismo e psicosi infantile, Roma, Armando.

F. Nardocci – Hans Asperger: il maestro ritrovato

413

Tustin F. (1994), The perpetuation of an error, «The Journal of Child’s Psychothe-rapy», vol. 20, n. 1, pp. 1-6.

Van Krevelen A. (1971), Early infantile autism and autistic psychopathy, «Journal of Autism and Childhood Schizophrenia», vol. 1, n. 1, pp. 82-86.

Vivanti D. (2003), Caro Asperger le scrivo. In F. Nardocci (a cura di), Bizzarri, isolati e intelligenti. Il primo approccio clinico e pedagogico ai bambini di Hans Asperger, Trento, Erickson.

Volkmar F., Klin A. e McParland J.C. (2014), Asperger Sindrome: An Overview. In J.C. McParland, A. Klim e F. Volkmar (a cura di), Asperger Syndrome. Assessing and Treating High-Functioning Autism Spectrum Disorders, New York-London, Guildford, p. 2.

Wing L. (1981), Asperger’s syndrome: A clinical account, «Psychological Medicine», vol. 11, pp. 115-129.

Wing L. (1991), The relatioship between Asperger’s syndrome and Kanner’s autism. In U. Frith (a cura di), Autism and Asperger syndrome, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 93-121.

Wing L. (1996), The Autistic Spectrum: A Guide for Parents and Professionals, London, Robinson.

Wing L. (2001), La storia della Sindrome di Asperger. In E. Schopler, G.B. Mesi-bov e L.J. Kunce (a cura di), Sindrome di Asperger e Autismo High Functioning. Diagnosi e interventi, Trento, Erickson, pp. 17-36.

Wolff S. (1996), The first account of the syndrome Asperger described?, «European Child and Adolescent Psychiatry», vol. 5, pp. 119-132.

World Health Organisation – WHO (1980), International Classification of Impai-rments, Disabilities and Handicaps, ICD-9, Geneve, WHO.

World Health Organisation – WHO (1994), The ICD-10 Classification of Men-tal and Behavioural Disorders. Clinical Description and Diagnostic Guidelines, Geneve, WHO.

World Health Organisation – WHO (1996), Multiaxial classification of child and adolescent psichiatric disorders. The ICD-10 classification of mental and behavioural disorders in children and adolescents, WHO, Cambridge, Cambridge University Press, trad. it. Classificazione multiassiale dei disturbi psichiatrici del bambino e dell’adolescente, ed. it. a cura di A. Guareschi Cazzullo, Milano, Masson, 1997.

Nardocci F. (2016), Hans Asperger: il maestro ritrovato. Il percorso scien-tifico e la vicenda umana di una delle personalità più significative della neuropsichiatria infantile, «Autismo e disturbi dello sviluppo», vol. 14, n. 3, pp. 361-413, doi: 10.14605/AUT1431605