Trekkenfild-N21- Febbraio 2015

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Cross antico Ciao principessa n. 21

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Periodico di atletica leggera a cura di Walter Brambilla e Daniele PerboniQuarterly about track and field

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Cross anticoCiao principessa

n. 21

Come dimenticarlo, quel giorno? Sì, c’erano stati tantialtri bellissimi giorni di gloria, di gioia, di sole nelcuore. Come quello dell’oro europeo 2008 nel crossunder 23 al parco Van Lanken di Bruxelles, con l’impo-nente Atonium a far da sentinella; o come quello deltravolgente oro continentale 2012 nel cross senior suiprati gelidi e innevati di Budapest – nessuno prima dilui era mai riuscito a vincere un Eurocross nelle tre ca-tegorie; o anche come quello del giorno con la primamaglia delle Fiamme Gialle. Ma quel 10 dicembre del 2006, là sui prati di San Gior-gio su Legnano, dove era salito sul gradino più alto delpodio europeo del cross junior, quello era stato ungiorno fantastico, un giorno che mai avrebbe dimenti-cato perchè era stato il giorno della sua prima grande,grandissima vittoria. Quello era stato il suo “Giorno deigiorni”. Quante volte nel corso dell’anno appena pas-sato, ma anche in quella stessa mattinata, 6 gennaio2015, così piena di sole proprio come in quella del2006, gli erano tornate in mente, inarrestabili, ripeti-tive come un refrain le parole della canzone di Liga-bue – a bocca semichiusa le canticchiava - quelle chedicono: “Tienimi su la luce... tieniemi su la vita... eandiamo verso il giorno dei giorni, senza più li-miti, il giorno dei giorni... attimi e secoli...”?Quante volte era andato a rivedersi le foto di quelgiorno? La foto dell’abbraccio ai compagni Simone(Gariboldi), Antonio (Garavello), Merihun (Crespi),Paolo (Pedotti), Vincenzo (Stola) coi quali aveva vintoanche l’oro a squadre? E la foto con l’abbraccio di Bal-dini? E quella dove il Presidente della Fidal, FrancoArese, se lo coccola con un gran sorriso di soddisfa-zione e gratitudine sulle labbra?Da quel 2006 – esclusivamente prova europea, niente ache fare col Campaccio, anche se praticamente conpercorso di poco modificato - questa era la quinta voltache correva il Campaccio vero e proprio. Ricordavabene che nel 2009 era stato quarto (1° under 23), set-timo nel 2010, sesto nel 2011e nono nel 2013. Ma sa-peva anche bene che ormai da anni, anche ilCampaccio, era diventato dominio degli africani, così

come sapeva che l’ultimo vincitore italiano era statoPanetta nel 1993 e che gli ultimi italiani a salire sulpodio erano stati Pusterla, secondo e Modica, terzo,nell’anno di grazia 1994. E poi come non ricordarsi ditutti quei guai che aveva avuto a entrambi i tendini,operati tra il 2011e il 2012 dal pro-fessor Orava in Finlandia?Certo, a ogni vigilia, a ogni sparo, aogni taglio di quel traguardo sulrettilineo del centro sportivo co-munale Angelo Alberti, aveva pro-vato sempre forti emozioni. Questagara la sentiva sua, era particolare,voleva profonderci sempre tuttoquello che aveva anche comesegno di rispetto verso quei braviorganizzatori. Ma questa volta,questa volta era particolarmenteemozionato. Era da due anni che non correva un cross,ma oggi che di africani non ce n’erano, voleva vincere ese i tendini non lo avrebbero tormentato sentiva dipoter vincere. A fine anno alla BoClassic di Bolzanonon si era impegnato a fondo, proprio in funzione delCampaccio. Diede uno sguardo tutt’attorno. Sulla lineadi partenza vide Meucci, Nasti, El Mazoury, i polacchiZalewski e Szymkowiak, il canadese Ahmed, l’unicoatleta di colore e lo statunitense Ritzenhein di cui sa-peva bene il grande valore. Sapeva che la lotta, pur conil rispetto dovuto a tutti gli altri, sarebbe stata con que-sto americano e con Meucci. Prima che lo starter spa-rasse, per un attimo rivolse il pensiero a Lucia, da unpaio d’anni la sua ragazza. Ed eccolo in corsa.S’accorse subito di aver la stessa forza di nove anniprima, la stessa voglia di lottare, di vincere. Vedevatutta quella gente, specie su quegli impegnativi su egiù pieni di curve, sentiva gli applausi, gli incitamenti,le grida dei dai! dai! forza! forza! vai Andrea! e glisembrò di volare. Erano rimasti in tre, loro tre, propriocome aveva previsto. Solo che i piedi avevano comin-ciato a fargli male, di certo in entrambi s’erano formatedelle vesciche, aveva fatto il grave errore di mettere un

paio di chio-date che non calzava dadue anni, ma che ritenevale migliori tra quelle cheaveva. Poi Daniele aveva ceduto e in testa erano rima-sti lui e Ritzenhein. Tentò di divincolarsi dallo scomodocompagno. Guadagnò un metro o due, ma l’altro gli fusubito addosso. L’urlo del pubblico s’era fatto più alto.Cosa avrebbe dato per farla felice, tutta quella genteche tifava per lui! Ma non ce la fece, le gambe gli si fe-cero pesanti – due giorni prima aveva corso trenta chi-lometri e sentiva di non averli ben recuperati -,l’americano innestò una marcia in più e s’involò versola vittoria. Lui, Andrea, fu secondo col suo migliortempo di sempre, migliorato anno dopo anno. Ma perla gente, e per se stesso, fu come se fosse arrivatoprimo. Finalmente un italiano sul podio, anzi due, per-chè Meucci fu terzo. Era l’ora! Quando scese un nugolodi ragazzini lo circondò per chiedergli l’autografo. Nongli succedeva da tempo. A chi lo intervistava volle direche “Lalli non è finito, ma non è neanche unamacchina” e con queste parole volle dare una rispostaa chi metteva in dubbio le sue possibilità in maratona.Glielo avrebbe fatto vedere lui a tutti costoro, gente

che di atletica ne capiva poco oniente, adesso che aveva ritrovato lacarica, se non poteva diventare unmaratoneta di vaglia, proprio comeevidenziavano i riscontri organici ecome sostenevano i pareri di più tec-nici, Gigliotti in testa.Quando si ritrovò solo, pensò che ilnuovo rapporto col grande allenatoreRenato Canova – Vittorio Di Saveriocome “Ufficiale di collegamento”,con lui si consultava ogni giorno - erainiziato nel migliore dei modi. Certo,gli era costato lasciare dopo tantianni l’amico-allenatore Luciano DiPardo, ma s’erano lasciati bene, dicomune accordo. Lui voleva cambiare, provare qual-cosa di nuovo, sentirsi più libero e Luciano era un po’stanco di allenare, voleva impegnarsi in un altro lavoroe così... Pensò anche a quella storia delle sue novemancate reperibilità. Dio, che altra sciocchezza avevafatto! Ma l’aveva fatta del tutto in buona fede e poi i di-sposti federali non è che fossero tanto chiari... Comun-que era fiducioso in una soluzione positiva.Poi si mise a pensare che al 2 febbraio sarebbe andatoper la nona volta ad allenarsi in Kenya fino al 27 dellostesso mese e così rivedeva la sua solita stanzetta alcampus, sempre quella, i suoi soliti amici keniani e faniente se doveva pagarsi tutte le spese perchè nessunolo sosteneva, né la Fidal con la quale aveva rotto perdivergenze sulla programmazione, né le Fiamme Gialle,né la Nike. Al ritorno l’1 marzo, avrebbe partecipatoalla Roma-Ostia e il 15 marzo agli Italiani di cross. Fin-chè sarebbe arrivato il giorno della sua quarta mara-tona – il 12 aprile a Parigi o forse a Rotterdam – e inquel giorno, ne era certo, avrebbe dimostrato che Lallinon era solo un crossista, era anche un atleta chepasso dopo passo stava costruendosi, soprattutto men-talmente, per diventare un vero maratoneta. Infine te-lefonò a Lucia, diede uno sguardo al Campo e s’avviòverso la macchina.

Ennio Buongiovanni

S. Giorgio su Legnano, 6/1 - 58º Campaccio

A sinistra: lo statunitenseDathan Ritzenheim,vincitore del Campaccio2015.Sopra: Andrea Lalli,secondo, davantiall’eterno “rivale” DanieleMeucci.Sotto: il podio femminile.Da sinistra le kenianePeres Jepchirchir(seconda),Janet Kisa(prima) e Betsy Saina(terza)(Foto di FIDALCOLOMBO/FIDAL)

Il giorno dei giornidi Andrea Lalli

Ma questa è un’altra storia. Finitii tempi (e qui ci lasciamo traspor-tare dalla nostalgia che, pur-troppo, avvolge i vecchi) in cui laFederazione imponeva la parteci-pazione, considerandola un fioreall’occhiello e una straordinariapossibilità di arricchire il curricu-lum personale degli atleti e pre-pararli al meglio per la stagioneestiva. Non ci resta, purtroppo,che celebrare il passato remoto. Qualche strascico positivo, co-munque, l’edizione 2015 ce lo halasciato. Almeno noi abbiamoavuto sentore di questo. Il fango,signori e signore, quella mota chesi appiccica alle scarpe e le in-ghiotte. Fango, sì, tanto fango eacqua sporca che hanno accom-pagnato tutti: atleti, organizzatori,accompagnatori, spettatori (po-chissimi!). Le immagini di questapagine e quella pubblicata in co-pertina sono più eloquenti chemai. Un palco (location direbberoi più anglofoni, gli innamoratidegli inglesismi a tutti i costi) piùche degno per rappresentare que-sta nobile decaduta alle porte

della metropoli meneghina e che hasaputo passare indenne anche unaguerra mondiale senza mai interrom-pere il flusso sportivo.Nessuno ne è rimasto indenne. Dalfango, intendiamoci. Dai più giovaniai seniores del pomeriggio, pas-sando per i master. Oltre milledue-cento persone in mattinata hannocalpestato gli infidi sentieri sullerive dell’Olona. E di queste migliaiaquanti sono restati per ammirarel’elite della corsa, la crema? Nes-suno, anche se tutti si sono sporcatimani, piedi, glutei. Insomma unagiornata da ricordare e da raccon-tare. Una gara che ci ha consegnatoun cross d’altri tempi. Di quelli chesiamo abituati a vedere sfogliandovecchie riviste o libri che celebranoantichi fasti perduti. Ritornerannodi nuovo?Per ora accontentiamoci di applau-dire l’etiope Muktar Edriss, un tipotosto, già campione mondiale junio-res a Barcellona 2012 e capace dicorrere i 5.000 in 12:54.83 (Stoc-colma, 21 agosto), mica bruscolini. Ela sua determinazione i pochissimipresenti l’hanno potuta apprezzare

proprio nella trincea diSan Vittore Olona.Pronti via e dopo uncentinaio di metri ec-colo assaggiare la polti-glia fangosa. Ilgruppone è la davanti.Come se nulla fosse ac-caduto, si rialza, riag-guanta tutti e riparteper tagliare il traguardoin solitudine. Bella le-zione di grinta, capar-bietà, eleganza etalento.

Daniele Perboni

Il prossimo numero diTrekkenfild saràinteramente dedicato aiCampionati Europeiindoor che si terranno aPraga dal 5 all'8 marzo.Le firme saranno dei due"autoinviati" DanielePerboni e WalterBrambilla.

La storia, con la S maiuscola, quindianche quella dello sport, è colma difigure leggendarie, che allietano ipensieri e gonfiano il cuore d’orgo-glio. Personaggi che anche in tempifreddi e tremendi come quelli chestiamo attraversando sanno scal-dare gli animi. Ricordi di squadre emanifestazioni che vengono traman-date da padre in figlio, da tecnico adallievo, da nonni a nipoti. E la vec-chia 5 Mulini è una di queste storie.Purtroppo da alcuni anni su questiprati aggrediti dall’orda edilizia edall’inquinamento avanzante si vivedi soli ricordi. Il cross, meglio, la

corsa campestre, per antonomasia,per sopravvivere si aggrappa comeun mollusco alla roccia del tempoche fu. Una nobile decaduta? Forse,ma che mantiene comunque inalte-rato tutto il suo fascino, se è veroche anche quest’anno diversi atletistranieri di ottimo livello hannochiesto di essere presenti pur coningaggio ridotto. Purtroppo non sene è fatto nulla. Euro o dollari finititroppo in fretta. Si cerca di galleg-giare con quel poco raccattato inloco. Lontani i grandi sponsor... Fa-scino che sembra non attrarre pernulla i pedestrians di casa nostra.

È QUIIL REGNODEL FANGO

S. Vittore Olona, 15/2 - 83ª Cinque Mulini

Sopra: due eloquenti immagini delterreno che hanno trovato i concorrentidella 5 Mulini 2015. Fango, acqua efreddo sono stati i grandi e indiscussiprotagonisti della manifestazione,senza nulla togliere agli atleti tutti.A sinistra: la keniana Violeta Jelegattaglia il traguardo con largo marginesulla portoghese Ana Dulce Felix e sullabiellese Valeria Roffino.A destra l’etiope Muktar Edris (primo altraguardo) all’uscita del mulinoMeraviglia. Sui gradini più bassi delpodio sono finiti i keniani Alex KibeteJairus Birech.Foto di Roberto Mandelli

Prende e se ne va. Lascia la sua disciplina preferita. Conin grembo due bimbe (pare) che nasceranno a luglio efaranno compagnia a Giulia (6 anni). Manuela Levoratoil 28 febbraio in zona Linate (Aeroporto di Milano) terràuna conferenza per salutare tutti. La donna più veloced’Italia, tesserata per l’Aeronautica (ecco scoperto ilperché della location) da un po’ di tempo era ferma aibox, problemi assortiti alle “gomme” alle “sospensioni”,al “cambio”, insomma il “motore” non funzionava piùcome un tempo, come ad esempio in quel di Monaco2002, dove si mise al collo due bronzi (100 e 200) chesalvarono la nostra spedizione, oppure quando in quel diLosanna siglò 11’14” nei 100, primato italiano imbattuto(2001) o in quel di Siviglia nel 1999 durante uno splen-dido mondiale che esaltò l’impresa di Fabrizio Mori negliostacoli bassi, lei con quell’aria impertinente, stampò un22”60 nei 200, pure su questa distanza è primato ita-liano. Entrambi i responsi cronometrici, specie quellodei 100, sono sinceramente poco avvicinabili dalle velo-ciste che calcano le piste nostrane, sulla distanza doppiapotrebbe arrivare da quelle parti Libania Grenot, al-meno qualche tecnico lo sostiene, chi scrive, invece no.Una vita atletica costellata da infortuni, da polemiche inqualche caso con le stesse compagne di staffetta in az-zurro. Non si possono scordare, anche i tecnci che l’-hanno plasmata, forgiata, diretta, proprio per questo

motivo avere Manuela daintervistare era semprestato un must. Quando eragiovincella in qualche sva-rione, non atletico s’in-tende, poteva essereincappata, passando glianni Manuela ha dimo-strato molta sicurezzaanche davanti a torme digiornalisti “incazzati” tipoMonaco 2002, quando fu ingrado di contenere le do-mande più insidiose, con una grande calma. Manuelanon è il tipo che passa inosservata, fisicamente par-lando, alta 1,80 con capelli biondi come il grano. Hosempre usato questa definizione “biondi come il grano”perché mi pare sia perfetta per identificare una ragaz-zona che sulle piste di tutta Italia e del mondo la suaparte l’ha fatta sino in fondo. Manuela ha avuto due mo-delli, me lo ha confidato lei, una sera mentre conversa-vamo al telefono, che rispondono al nome di Fiona Maye di Fabrizio Mori. Entrambi secondo la Principessa diDolo, nel corso della loro carriera, avevano mostratogrande carattere, determinazione e voglia di soffrire. Daloro ha appreso molto, anche se Fiona e Fabrizio hannoscalato vette che Manuela non ha potuto raggiungere.Ragazza poliedrica è in questo periodo impegnata nellatrasmissione televisiva domenicale “Quelli che il calcio”.Segue in studio a Milano le evoluzioni del Chievo, lasquadra di Verona che milita da anni nella massima divi-sione. Già qualche hanno fa fece la sua apparizione nellastessa trasmissione, allora seguiva le partite diretta-mente dal campo, ora per problemi legati ad esclusivetelevisive il tutto avviene negli studi milanesi. Donna ab-bastanza ricercata in apparizioni fuori dal mondo atle-tico la ricordiamo “Colombina” in un carnevale diVenezia, madrina in parecchie manifestazioni, donna im-magine e via dicendo. L’ex azzurra chiude qui affer-mando che la sua vita atletica è stata un lungo eindimenticabile viaggio durato ben 18 anni, che ha la-sciato in lei ricordi che le resteranno cari per tutta lavita. Ora sarà mamma di tre figlie, sarà forse più durache mettere le scarpe chiodate e posizionarsi dietro aiblocchi di partenza. Chi scrive si considera un fortunato,la cordialità e l’amicizia con Manuela s’è instaurata nelcorso degli anni, pure con qualche schermaglia, qualcheincomprensione (quando Manuela non era d’accordocon quello che avevo scritto, cambiava vela e dal tu pas-sava regolarmente al lei), allora capivo che non avevagradito. Nell’ultima chiacchierata telefonica, nel mese difebbraio ho provato in mille modi a strapparle un com-mento sull’attuale velocità azzurra. Niente da fare.Bocca chiusa. Il che significa… Il resto scrivetelo voi

Valter Brambilla

La principessa lascia lo scettro

Alcune immagini diManuela Levorato. Fra letante ci piace ricordarequella che la ritrae aiCampionati europei diMonaco 2002, dove siaggiudicò due madagliedi bronzo.

Aveva visto la posa della prima pie-tra il 24 febbraio 1970 ed era il 31gennaio 1976 quando, alla grande,venne inaugurato. Il suo costo, pre-visto in 8 miliardi di lire, finì per sa-lire a 11 miliardi. Da quel giornoMilano, ai suoi tanti secolari tesori– ci si passi l’irriverente accosta-mento – ne aggiungeva un altro: ilPalasport di San Siro. Un vero gio-iello, almeno da considerare tale inambito dell’impiantistica sportivamilanese.Realizzato dalla Società Italiana perCondotte d’Acqua di Roma, struttu-rato a forma di sella di cavallo, oc-cupava un’area comunale di 45.000metri quadrati dei quali 21.000 co-perti; aveva una capienza di 15.000spettatori (11.500 posti a sedere,3500 in piedi). Vantava una pistaper il ciclismo di 250 metri con unalarghezza di sette metri e grazie aqueste prerogative vi si ospitaronole Sei Giorni di Milano. Disponevaanche di una pista per l’atletica di200 metri a sei corsie nonché di pe-dane per i salti. Divenne inoltre lacasa della Pallacanestro Olimpia –quella delle “Scarpette rosse” - chevi colse innnumerevoli successi.Strutturata com’era, fu sede di sva-riate manifestazioni che andavanoda ambientazioni cinematografiche

a concerti musicali di grande ri-chiamo.Pur nella sua multimedialità, di-venne per antonomasia il Palaz-zetto dell’atletica invernale. Nelfebbraio ‘77 Carlo Grippo vi ot-tenne il record del mondo indoorsugli 800 in 1’46”37. Nel ‘78 fu sededel IX Campionato Europeo. Il19enne russo Vladimir Yashenko –primo europeo a superare con 2.31il muro dei 2.30 nonché primatistadel mondo outdoor in carica dal ‘77con 2.33 - offrì uno spettacolo stra-ordinario per classe sopraffina, peragonismo, per simpatia e per ilcoinvolgimento incontenibile - “unparossismo orgiastico” lo definì ilgiornalista Elio Trifari – dei 10.000spettatori valicando con tecnicaventrale prima 2.33, misura cheeguagliava il suo primato, e poi ad-dirittura 2.35, nuovo record mon-diale. Fu una gara indimenticabiletant’è che è rimasta tra le paginepiù significative di tutta la storiadell’atletica. Il russo, detto Volodja,diede più che mai spettacolo ancheper il fatto di essere rimasto l’unicoatleta ancora impegnato nel Palaz-zetto. Il salto a 2.35 lo realizzòdopo quattro ore di gara ed era ilventesimo (tra questi, undici nulli).Lo realizzò al terzo e ultimo tenta-tivo. Nel corso degli stessi Campionati,Sara Simeoni vinse l’oro nell’alto;Pietro Mennea l’oro dei per lui de-sueti 400; Rita Bottiglieri vinse l’ar-gento nei 400 e Giuseppe Buttari ilbronzo nei 60 hs. Quattro anni dopo ospitò nuova-mente gli Europei. L’Italia si aggiu-dicò due medaglie d’oro conGabriella Dorio sui 1500 e AgnesePossamai sui 3000; Alberto Cova fu

argento nei 3000; Michele Di Pacenei 200 e Giovanni Evangelisti nellungo furono bronzo. Nell’occasionela cecoslovacca Jarmila Kratochvi-lova realizzò uno strepitoso recorddel mondo sui 400 (49”59). Nel febbraio ‘84, sempre nel catinodel Palasport, Sergey Bubka con5.82 nell’asta e Igor Paklin con 2.36nell’alto stabilirono i nuovi recordmondiali indoor. E con questi ex-ploit praticamente finì la stagioneaurea dell’impianto milanese per-chè...Perché il 17 gennaio ‘85, esatta-mente trent’anni fa, a seguito diuna eccezionale nevicata durata unpaio di giorni – la neve caduta fumisurata in 90 cm – il Palazzetto,come è più che noto, crollò. Incre-dibile, ma vero. A cedere fu soprat-tutto la tensostruttura chesorreggeva la copertura. Ma restafuor di dubbio che gravi errori fu-rono compiuti anche nella valuta-zione idrogeologica del terreno.Nell’’88 l’intero Palazzetto, o permeglio dire quanto ne rimaneva,venne raso al suolo. In compenso siformò una vasta aerea parcheggio...Dire che da quell’’85 Milano è rima-sta senza un Palazzetto dello Sportè cosa vergognosa e talmente risa-puta da rendere ozioso il ribadirlo.In ogni caso viene da chiedersi che

C’era una voltala conchiglia

sviluppo hanno avuto le vicendeche a distanza di trent’anni hannolasciato Milano senza un impiantoindoor. Lo abbiamo domandato aPierluigi Migliorini, uno che ha per-sonalmente seguito quella che puòben definirsi “una storia infinita”.“Nell’immediato, i tentenna-menti e i proclami per il ripri-stino o per il totale rifacimentodell’impianto furonomolti” dice Migliorini(in effetti Franco Car-raro, allora presidentedel Coni, dichiarò:“Non perderemo unminuto”). “Dopo l’ab-battimento – prosegueMigliorini – il Comunedi Milano diede inca-rico allo Studio dell’architettoAldo Rossi di presentare unnuovo progetto. L’architetto nepresentò uno megagalattico cheprevedeva sei o sette pianiesterni e quattro o cinque pianisotterranei dotati di una serie diesercizi commerciali, nonchéuna pista d’atletica a pian ter-reno, una a un piano sotterraneoe una per il ciclismo. Di questoprogetto inevitabilmente, dati gliesorbitanti costi, non se ne fecenulla anche perchè nel frattemponell’area attigua stava sorgendo

il grande centro commercialeBonola, centro che avrebbefagocitato i negozi del-l’eventuale Palaindoor.In seguito il Comunediede incarico allo Stu-dio degli architettiMarco Brandolisi eGiovanni Dapozzi dipresentare un nuovo

progetto ben più contenuto delprecedente.Ma anche questo finì per essereinghiottito dalle sabbie mobilinon ultimo perchè nell’ottobredel ‘90 veniva inaugurato, nonlontano dal defunto Palasport, ilgrande impianto del Forum.Si individuò allora nell’area divia Ovada, proprio a ridosso delbellissimo impianto della Fede-razione Ginnastica Italiana, lapossibilità di costruzione. Diquesto terzo progetto possiedoancora i disegni promossi dalConi. Prevedeva una pista perl’atletica di 200 metri e una peril ciclismo di 250 metri. Ancorauna volta tutto restò letteramorta: vi si oppose anche ilquartiere sostenendo la eccessivavicinanza all’Ospedale SanPaolo. Nel frattempo – racconta ancora ildirigente pavese – il Comune diMilano, in uno col Coni, intentòcausa all’impresa costruttrice edopo un lungo percorso vinse lacausa ottenendo un risarcimentodi svariati miliardi. Ma la nonreperibilità di un’area adatta, lespese in continuo aumento traun progetto e l’altro, le tante pa-stoie burocratiche, fecero sì chenulla si concluse. Di tutto quel

risarcimento cosasia rimasto in cassa io non so,anche se me lo domando. So cherecentemente tanto il presidenteregionale del Coni, PierluigiMarzorati, quanto l’assessore re-gionale allo Sport, Antonio Rossi,hanno promesso il loro impegnoaffinchè Milano venga final-mente dotata di un impianto perl’attività invernale degno dellacittà e di quel Palazzetto rimastosolo nella memoria dei milanesi,nelle cineteche televisive, nellefotografie e sulle pagine dei gior-nali. Speriamo che a questopunto – conclude Migliorini –qualcosa di concreto si faccia perdavvero perchè non è tollerabileche l’attività invernale si riducain Regione agli impianti di Sa-ronno e di Bergamo. E pensareche avevamo sottomano lagrande occasione dell’imminenteExpo: un’area, un padiglione,no?...”.A questo punto non resta che spe-rare che non occorrano altri tren-t’anni (o più).

Ennio Buongiovanni

Pierluigi Migliorini fa parte del“mondo” atletico sin da oltre tre de-cenni. Dal 1980 ha ricoperto diversecariche. Fra le più rappresentativericordiamo la presidenza dellaFidal Regionale, la carica di Consi-gliere nazionale Fidal e la presi-denza della Finale del Grand PrixIaaf che si tenne all’Arena nel 1996.Inoltre è stato membro, dal 2007 al2011, del Comitato Master della Iaaf,la Federazione Internazionale.

Anche noi ci siamo lasciati travolgere dallavoglia di sapere chi erano gli atleti “prefe-riti” da tecnici, giornalisti e dirigenti. Cosìabbiamo provato a lanciare un piccolo son-daggio fra i nostri lettori, per nulla rappre-sentativo ma pur sempre indicativo. Fra gliatleti di casa è emerso prepotentemente ilnome di Daniele Meucci (come poteva es-sere diversamente?) mentre fra le donne gliapprezzamenti si sono divisi equamente fraLibania Grenot e la giovane FedericaDel Buono. A livello internazionalehanno prevalso prepotentementel’astista francese Renaud Lavilleine ela pesista neozelandese ValerieAdams.Foto di FIDAL COLOMBO/FIDAL

Iaaf)

Meucci, Grenot, Del Buono, Lavilleine eAdams. Ecco i nostri migliori atleti del 2014

Pierluigi Migliorini.A sinistra: il vecchiopalazzetto dello sportmilanese prima delcrollo.