Tommaso d'Aquino - Somma Teologica - 17 II, II, 57-79 La Giustizia

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Anche per il 17 ringrazio vivamente Zovvo. Nei prossimi giorni inizierò a postare due volumi al giorno, prima di prendermi qualche giorno di vacanza nel luogo dove inizia un libro di Jostein Gaarder: "Non dimenticherò mai quel mattino umido e ventoso del gennaio 1998 quando Frank atterrò a ..., un'isoletta delle..." Non è gennaio, non è il 1998, ma il clima è più fresco. ;-)

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  • S. TOMMASO D'AQUINO

    LA SOMMA TEOLOGICA

    TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI

    TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

    XVII

    LA GIUSTIZIA (11-11, qq. 57 - 79)

    CASA EDITHICE ADRIANO SALANI

  • Nihil obstat Fr. Victorius Scoccimarro O. P.

    Doc1or S. Theologiae

    Pr. Albertua Boccanegra O. P. Lector et Doctor Philosophiae

    Imprimi potesi Fr. Leonardus Magrini O. P.

    Prior Proviocialis S. Marci et Sardiniae Florentiae die V Octobris MCMLXVI

    IMPRIMATUR Faesulis dio Xli Octobris MCMLXVI

    t A ntonius Episcopus Faesnlanus

    1"Ul'tJ l DIRITTI SONO RISERVATI

    \Cl MUML.fO .- Casa Editrice .driann Balani - 8.p..

    Officino Grafiche Stianti. Sanca1dano - MCMLXVI Printed in ltalv

  • LA GIUSTIZIA (li-TI qq. 57 - 79)

  • LA GIUSTIZIA (li-li qq. 57-79)

    TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE del P. Tito S. Centi O. P.

  • INTRODUZIONE

    1 - La prima disgrazia di questo trattato stata quella di c~ssere caduto nelle mani dei giuristi, ai quali non vengono ri-conosciute particolari attitudini alla sintesi e all'approfondi-mento filosofico. Gli stessi grandi commentatori di S. Tommaso hanno subito l'influsso della loro mentalit casuistica, pi preoccupata di risolvere le beghe e i cavilli dei litigiosi con-temporanei, che di approfondire la dottrina teologica. S. Tom-maso invece anche in questo trattato non smentisce il suo com-pito di teologo cristiano, senza nulla trascurare del patrimonio culturale ereditato dagli antichi filosofi e dagli antichi giuristi.

    Siamo nella morale particolare ; ma non va dimenticato che questa dipende dalla morale generale, trattata ampiamente nel-la Prima Secundae. In essa S. Tommaso non aveva parlato solo degli atti umani e degli abiti operativi (virt e vizi), ma anche dci loro principii, cio della legge e della grazia. Se si volesse ordinare la morale speciale, cio l'analisi delle varie virt teo-logali e cardinali, in riferimento a questi due principii, si do-Hebbe dire che le virt teologali si ricollegano direttamente alla grazia, perch ordinate in maniera immediata all'unione ron Dio, mentre le virt cardinali, e soprattutto la giustizia, sono connesse intimamente con la legge. Quest'ultima infatti ha un compito prevalentemente negativo : tende cio a rimuo-vere gli ostacoli, ossia l'attaccamento disordinato dell'anima alle cose create.

    In questa prospettiva appare evidente che, se non ci fosse la rivelazione divina, e quindi l'ordine teologale della grazia, la giustizia sarebbe - dopo la prudenza - la virt principale dell'uomo. Essa infatti il fine cui sono subordinate le altre virt cardinali (cfr. II-II, q. 123, a. 12, ad 3). Inoltre la giusti-zia attua le norme fondamentali della vita umana, cio le leggi naturali espresse nel decalogo. Ci tanto vero che S. Tom-maso identifica i precetti della giustizia con quelli del decalogo

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    (cfr. II-II, q. 122, a. 1). A differenza poi della prudenza, della fortezza e della temperanza, la giustizia ha una complessa arti-colazione di parti specifiche, dato che la vita umana essenzial-mente vita associata e quindi di relazione. Si deve finalmente notare che la giustizia abbraccia tra le sue parti potenziali la massima virt naturale, cio la religione. Per ragioni sistema-tiche questa inclusa tra le parti " imperfette della giustizia, ma sul piano morale " est potissima pars iustitiae ,, (II-II. q. 122, a. 1), superiore alla stessa giustizia cardinale e legale.

    2 - Noi, per motivi editoriali, siamo costretti a stampare in un volume a parte il trattato sulla religione (qq. 80-100) e in un terzo volume presenteremo le questioni successive, cio dalla q. 101 alla q. 122. Per basta scorrere lindice di questo primo moncone del trattato, per rendersi conto della gravit dei problemi presi in esame. Importantissima la questione ini-ziale (q. 57) sulla nozione di diritto oggettivo, su cui si fonda tutta l'originalit della concezione tomistica, specialmente di fronte al soggettivismo giuridico del pensiero moderno. Il diritto alla vita e all'integrit personale {qq. 64-65), il diritto di propriet (q. 66), il diritto alla onorabilit personale, sia in sede giuridica che in sede estragiudiziale (qq. 67-76).

    Qualcuno forse trover difficile riscontrare nei titoli degli articoli e delle questioni tali diritti: S. Tommaso infatti ne parla in maniera indiretta, trattando cio degli atti contrari alla giustizia commutativa: omicidio, mutilazione, furto, ra-pina, ingiustizie in foro giudiziario e offese contro la fama, l'amicizia e l'onore. Questo procedimento conforme al cri-terio generale, dettato dalla formulazione ordinaria della legge che piuttosto negativa. Poich mentre le leggi positive non obbligano pro semper, quelle negative obbligano semper et pro semper (q. 79, a. 3, ad 3); cosicch l'infrazione delle prime provoca l'omissione, mentre quella delle seconde provoca la trasgressione, che riveste (a parit di condizioni) maggiore gra-vit (ibid., a. 4, ad 2).

    I Divisione e fonti del trattato.

    3 - Non si richiede nessuno sforzo per indicare lp. divisione g-enerale del trattato. L'Autore in questo ha risparmiato la fatica a tutti i suoi commentatori, dando esemplarmente lo schema all'inizio della q. 57. La tabella che presentiamo a pag. 26 desunta dal testo .. :E; facile notare la sproporzione ap-parente tra le quattro parti fondamentali della divisione. La seconda abbraccia quasi per intero il trattato, mentre la terza

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    e la quarta si riducono a due questioni. evidente che co-desta sproporzione intenzionale; poich il dono e i precetti da un punto di vista formale hanno funzioni ben distinte, anche se il teologo non trova molte cose da elaborare E) di-scutere in proposito. S. Tommaso in tutte le virt, non escluse [f' cardinali, trova sempre il dono corrispondente; che forse non persuade i teologi moderni, ma che per lui ha la funzione rii porre in evidenza l'aspetto passivo o mistico nell'esercizio della virt. E d'altra parte con tale schema ci offre la chiara prospettiva della virt soprannaturale, infusa, che non si esau-risce nell'ordine della moralit naturale .

    . 1 - Vedremo in seguito perch l'Autore inizia il trattato dal diritto anzich dalla giustizia; fermiamoci intanto a esaminare la divisione. Per tutte e quattt-o le virt cardinali egli ri-l'Orre ai tre tipi di parti di cui abbiamo gi parlato nel Dc Prudcntia (q. 48) ; ma in nessun trattato le parti soggettive, cio le specie, e le parti potenziali hanno uno sviluppo cos imponente. Per fermarci alle parti soggettive, che costitui-srono il presente volume, doveroso ricordare la principale fonte filosofica del Dc lustitia nel 5 Libro dell'Etica Nico-machca.

    Aristotele non sviluppa i vari tipi di giustizia, come fa S. Tommaso, per ne offre la tripartizione fondamentale. Anzi-tutto distingue la giustizia in legale e particolare (cfr. Com-ment. D. Th. in 5 Ethic., Iectt. i-3); suddivide quindi que-st'ultima in distributiva e commutativa. Non solo, ma pur non sviluppando i vari tipi di commutazione, offre il criterio per distinguerli mediante la volontariet: commutazioni vo-1 ontarie e involontarie (cfr. 5 Ethic., c. 5, B 1131 a). Dopo que-sta divisione, che l'Aquinate utilizza nella prima parte del suo trattato, il Filosofo prende in esame il giusto mezzo della 1riustizia commutativa, e distributiva, per poi insistere lunga-mente sul contrappasso.

    S. Tommaso parler di questi ultimi elementi aristotelici alla q. 61, aa. 2, 4. Aristotele conclude il suo trattato sulla g-iustizia parlando dell'epicheia e della giustizia metaforica (verso se stessi). Anche in questo (a prescindere dalla giustizia metaforica) l'Aquinate approssimativamente segue l'ordine ari-stotelico, in quanto pone l'epicheia - che la parte sogget-tiva principale - dopo tutte le parti potenziali.

    C' per in questa dislocazione tomistica anche un motivo teologico. Essendo l'epicheia la parte pi nobile della giusti-zia legale, prepara il passaggio al dono soprannaturale e in-fuso, che perfeziona la virt. .superfluo dire che Aristotele non parla n del dono, n dei precetti. Ma egli non parla nep-pure delle parti potenziali, se si eccettua la liberalit (cfr. 4 Ethic. cc. 1-3, B 11Hl b-1122 aJ.

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    5 - S. Tommaso, pur seguendo nello sviluppo del trattato quest'ordine aristotelico, ne introduce un secondo basato sul-1' importanza dell'oggetto e quindi sulla gravit dei peccati corrispondenti. Ma, data la complessit dell'agire umano, nella q. 73, a. 3, confrontando la gravit della maldicenza con quella di altri peccati contro il prossimo, fa notare che di suo la lesione della fama un peccato pi grave di quelli che si com-mettono contro il patrimonio : cc tuttavia la gravit del peccato dipende accidentalmente anche dal soggetto; il quale pecca pi gravemente se compie l'atto con premeditazione, che se lo com-pie per fragilit e per sbadataggine. E sotto quest'aspetto i peccati di lingua hanno maggiori attenuanti : poich proven-gono facilmente da un'intemperanza di linguaggio, senza grande premeditazione. Ci basta a spiegarci perch S. Tom-maso esamina i peccati di lingua dopo il furto e la rapina, sebbene la reputazione sia superiore agli averi ; e insieme ci fa comprendere fino a che punto egli si adegua alla realt an-che nell'orditura dei trattati.

    Per coloro che hanno meno dimestichezza col pensiero del-l'Aquinate, e forse solo per questo hanno l'abitudine di giu-dicarlo in maniera poco benevola, facciamo notare anche la sua maniera di utilizzare i testi aristotelici. Indubbiamente egli se ne serve indicandone la fonte col massimo rispetto; ma servirsene non significa per lui subirli, accettandoli come criterio ultimo e definitivo. Egli preoccupato di adeguarsi alla realt, come abbiamo visto, e non a un modello letterario o scientifico ; e poich questa pi complessa di quanto ri-sulti dai testi aristotelici - sia per le dimensioni teologiche ignorate dal paganesimo, sia per l' intrico delle risonanze psi-cologiche non sempre attualmente considerate nell'Etica Ni-comachea - non sono pochi n secondari i punti di divergenza.

    Risulta cos che la giustizia concepita da Aristotele come una virt univoca al pari della fortezza e della temperanza. Invece per S. Tommaso si tratta di un concetto analogico ; cosicch pi che parlare di giustizia al singolare, bisognerebbe parlare di giustizie al plurale. La giustizia verso Dio, per es., cio la virt di religione, non pu definirsi esattamente come la giustizia commutativa o quella distributiva, in cui si ri-scontra con esattezza il giusto mezzo reale che soddisfa pie-namente il cc debito ,, verso una data persona.

    6 - Del resto anche l'analisi materiale del trattato tomistico basta a farci comprendere, o per lo meno a farci sospettare, questa maggiore vastit di prospettive nei confronti di Aristo-tele. Anche numericamente le citazioni della sacra Scrittura sono nel testo molto pi numerose di quelle aristoteliche. E accanto alla Scrittura gli esegeti pi autorevoli: i SS. Padri. In quest'ultima categoria i nomi che ricorrono con maggiore

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    fl'equcnza sono quelli di S. Agostino, S. Ambrogio, S. Grego-rio Magno, S. Giovanni Crisostomo e S. Isidoro.

    A coloro che son pronti a stracciarsi le vesti nel constatare che il Dottore Angelico in tutti i casi innegabilmente dipende almeno in parte da un filosofo pagano nell'elaborazione di un trattato teologico com' quello della giustizia, ricorderemo con franchezza, sia pure col timore di scandalizzarli pi che rnai, che da codeste medesime fonti, dipendono anche i SS. Pa-dri. Anzi ne dipende persino la sacra Scrittura; perch l'elenco delle quattro virt cardinali che riscontriamo in Sapienza 8, 7 di pende certamente dalla cultura ellenistica.

    Per non scandalizzarsi baster non confondere l'ispirazione con la rivelazione, e in tutti i casi tener presente quella mas-sima dell'Ambrosiaste, cos cara a S. Tommaso: "Veritas a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est"

    Per completare l'elenco delle fonti dobbiamo ricordare che di Aristotele viene utilizzata, oltre all'Etica, anche la Politica.

    Non ultima per importanza, in un trattato come quello della giustizia, la legislazione romana nella sua espressione de-finitiva del Corpus Juris Civilis. Per quanto non sia un giu-rista, il Dottore Angelico mostra una vera padronanza del Codice giustinianeo.

    La legislazione ecclesiastica fa sentire anch'essa il suo in-flusso, con il famoso Decreto di Graziano composto intorno al 1140.

    II Limiti del trattato tomistico.

    7 - A confronto con i trattati moderni sulla giustizia, per quanto ampio esso sia, quello di S. Tommaso appare del tutto incompleto. :E: vero infatti che i manualisti moderni, per la loro mentalit giuridica, trascurano molti problemi svolti da lui accuratamente (p. es., i peccati di lingua extragiudiziali), per sono accuratissimi nell'esaminare i vari tipi di contratti. E cos si fermano a distinguerne e ad analizzarne le varie spe-cie: contratti gratuiti e onerosi; distinguendo i primi in uni-laterali (promessa, donazione tra vivi, donazione testamenta-ria) e bilaterali (prestito, deposito, delega, ecc.) ; i secondi in commutatorii (compravendita, locazione, contratto di lavoro, ecc.) e aleatorii (assicurazioni, scommesse, giuochi, lotterie, speculazioni di borsa, ecc.).

    A parte il fatto che l'Aquinate non poteva prevedere tutta la complessit delle strutture economiche moderne, di pro-P?sito egli ha voluto limitare per quanto possibile l'analisi di questi contratti ; perch, pur essendo essi giuridicamente

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    distinti, non hanno una vera distinzione nel campo morale. Nella q. 61, a. 3 egli elenca, tra le commutazioni volontarie, la compravendita, l'usufrutto, il prestito, la locazione e la con-duzione, il deposito, il pegno, la garanzia ; ma tra i vizi cor-relativi egli si limita a esaminare la frode che guasta la com-pravendita, e l'usura che l'abuso del prestito: "Per le altre permute volontarie, infatti, non si riscontrano altre specie di peccati distinte dalla rapina e dal furto" (q. 77, prol.).

    Anche per quanto riguarda le parti potenziali egli non pren-der in esame tutte quelle elencate alla q. 80. Infatti il pro-logo della q. 81, dopo aver indicato il ridotto programma di lavoro, dice espressamente: "Delle altre virt ricordate nella questione precedente abbiamo gi parlato, in parte nel trat-tato sulla carit, e cio della concordia e virt affini; e in parte in questo sulla giustizia, p. es., della buona commuta-zione e dell'innocenza. Dell'attivit che prepara le leggi in-vece abbiamo parlato nel trattato sulla prudenza"

    Un altro punto poco sviluppato nel trattato tomistico quello della giustizia distributiva, di cui si parla solo nella breve questione 63.

    Il motivo di questa laconicit sempre il medesimo: nei vari tipi di distribuzione, che i giuristi dal loro punto di vista hanno motivo di analizzare separatamente, il teologo vede un'unica formalit di ordine morale.

    8 - E: pi complesso il problema dell'incompletezza di S. Tommaso rispetto allo schema della morale aristotelica, che egli stesso presenta nel prologo del suo commento al-1' Etica Nicomachea: " La filosofia morale si divide in tre parti. La prima considera le azioni umane individuali ordinate al fine: ed l'etica monastica. La seconda considera l'agire della societ domestica: ed . l'etica economica. La terza poi con-sidera gli atti della societ civile: ed l'etica politica (1 Ethic., Iect. 1, n. 6).

    Nella sintesi della morale tomistica diventa un problema scoprire le tracce delle due ultime parti. La morale familiare infatti accennata nei suoi tre rapporti di marito-moglie, pa-dre-figlio, padrone-servo, nell'articolo 4 della q. 57. Quella politica invece ha interessato le qq. 47 (aa. 10-12) e 50 (aa. 1-2).

    Non a dire che S. Tommaso ignorasse l'importanza della morale politica, avendo egli intraprso persino l'esposizione (rimasta incompiuta) della Politica aristotelica. Gli attuali teo-logi che insistono nel presentare la morale divisa in indivi-duale, familiare e sociale, in sostanza sono - forse a loro di-spetto - pi aristotelici dello stesso S. Tommaso. Questi pro-babilmente non ha voluto qui confondere il metodo espositivo analitico della filosofia con quello sintetico della teologia. Que-st'ultima tende a unificare in un unico oggetto formale - Deus

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    sub rat'ione deitatis - tutto ci che si trova distribuito in sede filosofica sotto oggetti formali diversi. Perci anche l'etica, che da un punto di vista puramente razionale presenta le tre formalit suddette, e quindi si suddivide in tre scienze di-stinte aventi "solum unitatem ordinis,, (1 Ethic., lect. 1, n. 5), dal punto di vista soprannaturale e teologico viene a perdere questa tripartizione a vantaggio di un'unit superiore.

    N si deve dimenticare che le virt cristiane per S. Tommaso sono in fase di sviluppo e tendono ad attuare la somiglianza pi perfetta dell'uomo con Dio. E in questo loro tendere verso Dio partono dal mondo umano (virt politiche); si sviluppano nella purificazione dall'attaccamento ai beni terreni e nel pro-1-?:rcssivo avvicinamento a Dio (virt purificanti); e giungono i'1ei santi e nei beati alla perfetta imitazione dell'unit di Dio (cfr. 1-11, q. 61, a. 5).

    Il problema rimane aperto, perch queste ragioni non esclu-dono la possibilit di trattare sotto l'aspetto teologico - cio sotto un unico oggetto formale che Dio - anche la morale familiare, sociale, del lavoro, ecc.

    III Il diritto.

    9 - Da buon metafisico S. Tommaso comincia il suo trat-tato sulla giustizia con una lunga questione sul diritto, cio sull'oggetto .. Oltre alla ragione teoretica che impone la prio-rit dell'oggetto nella specificazione degli atti e delle virt, in questo caso la preminenza dell'oggetto giustificata anche da motivi sostanzialmente pratici. Se infatti non facciamo di-pendere la giustizia dalla realt oggettiva, si cade inevitabil-mente sotto l'arbitrio della legge positiva, che viene ad essere la fonte primigenia del diritto.

    Di questo richiamo all'oggettivit della giustizia ha bisogno in modo particolarissimo il mondo contemporaneo, in cui i vari stati si sono arrogati il potere di creare e delimitare i di-ritti delle persone fisiche e morali. Tutti sanno fin dove si sono spinti gli assolutismi di stato dal secolo XVI fino alle tremende esperienze del nazismo e del comunismo in pieno secolo XX. Il concetto pu sembrare molto elementare, ma non si arriver mai a comprenderne tutta l'importanza: Ioseph Pieper ha scritto : " Debbo confessare che mi occorsa tutta una serie di anni per intendere ci e arrivarne a capo. :E: solo allora che ho capito perch nella Summa Theologica il trat-tato sulla giustizia sia preceduto da una quaestio, "intorno al diritto" ... ,, (Sulla Giustizia, Brescia, 1956, p. 12).

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    C' poi un'altra ragione teoretica nel caso specifico della giustizia che impone un maggior risalto al dato oggettivo. Men-tre le altre virt morali sono perfezioni del soggetto nelle sue disposizioni interiori, e quindi il loro giusto mezzo di ordine soggettivo (medium rationis), la giustizia importa essenzial-mente relazione sociale, e quindi il suo giusto mezzo anche di ordine oggettivo (medium rei).

    La legge quindi non crea il diritto, come son portati a pen-sare molti giuristi moderni ; ma costituisce la norma secondo la quale l'uomo giusto agisce nel rispetto dell'altrui diritto. L'opera giusta dunque oggetto della giustizia e della legge. E poich la legge pu essere naturale, prima ancora che po-sitiva, chiaro che ogni diritto positivo deve presupporre e rispettare il diritto naturale (cfr. Quodl. 2, a. 8). Questa ogget-tivit del diritto toglie il pericolo di cadere nell'arbitrio lega-lizzato. La legge stessa infatti che non vi si uniforma non me-rita altro nome che quello di iniquit. Perci quando si af-ferma che l'opus iustum determinato secondo la legge (cfr. I-II, q. 95, a. 4), si deve intendere di una legge non lasciata alla libera determinazione del legislatore umano, ma di una legge che risale all'istitutore stesso della natura: o si tratta del diritto naturale primario, o del diritto delle genti (diritto naturale derivato).

    10 - Ma per definire con esattezza il concetto di diritto, non basta risalire semplicemente all'istitutore del creato: biso-gna anche determinarlo in rapporto alla natura specifica del-l'uomo. Perch all'infuori della natura iazionale non esiste una condizione di diritto. Gli esseri corporei, animali com-presi, hanno le loro propriet e le loro tendenze, ma non hanno vero diritto a soddisfare le loro tendenze, o al rispetto delle loro propriet. Per essere soggetti di diritto necessario il dominio su una determinata cosa. Ma il dominio presupnone la libert, cio il dominio sui propri atti, mediante l'intelletto e la volont (cfr. 1-11, q. i, aa. i, 2).

    cc Chi non ha il dominio sui propri atti pi agito che agente; cosicch l'atto che egli compie non in suo potere. ma piuttosto in notere di colui che lo muove all'azione (2 Phisic., lect. 10, n. 4), scrive S. Tommaso.

    Stando cosi le cose si comprende l'assurdit di tutte quelle ideologie che rivendicano vivacemente i pi svariati diritti, pur negando l'esistenza della libert. Se l'uomo non ha un dominio radicale sui propri atti, non si riesce proprio a capire come possa avere il dominio sulle sue facolt o sui propri beni.

    Ma la giustizia, come abbiamo detto, pi che al diritto nel suo aspetto soggettivo, si riferisce al diritto oggettivo, per-ch l'opera giusta da compiere a vantaggio di un'altra per-sona. Fino a che uno rivendica il proprio diritto non compie

  • INTRODUZIONE 15

    nn vero atto di giustizia, se non nella misura in cui questo suo operare serve ad attribuire quanto si deve ad altre per-srine. Perci l'esigenza dell'altro verso qualcosa che egli pu rivendicare come suo a causare in me un dovere. Se tale do-vere non venisse soddisfatto, resterebbe una disuguaglianza nei nostri rapporti. Ecco perch tra gli elementi costitutivi della giustizia troviamo e l'alterit e l'uguaglianza.

    Per commisurarsi con gli altri il soggetto deve necessaria-nwnte passare in seconda linea, e quindi il diritto oggettivo quello posto qui in evidenza. Quest'ultimo viene a identifi-1arsi con l'opus iustum; e quindi il giusto mezzo della virt in questo caso non ha un riferimento immediato al soggetto razionale da cui l'atto promana. Si parla perci di medium rei pi che di medium rationis. Ci non toglie che nell'azione g-iusta debba essere raggiunto anche quest'ultimo; altrimenti noi avremmo un atto che materialmente soltanto rispetta il diritto altrui, senza il sincero consenso della volont. Il ri-spetto di un diritto in tal caso non coinciderebbe con un atto tli virt.

    IV Giustizia sociale ed economia controllata

    come superamento del liberalismo economico e del comunismo.

    11 - L'assestamento laborioso della societ in seguito alle rivoluzioni economiche e politiche degli ultimi due secoli ha divulgato in tutto il mondo l'espressione giustizia sociale. In questi ultimi decenni essa viene sbandierata dagli agitatori politici pi della stessa libert. Stando cos le cose, si com-prende come i tomisti abbiano cercato di scoprire un termine cquivalente nel dizionario del loro maestro. Ma con quali ri-sultati?

    Si sa che il Dottore Angelico ha distinto questa virt in due grandi sezioni: giustizia generale, o legale, e giustizia parti-colare. La prima ordina le parti al tutto, cio ordina i singoli membri della societ al bene comune ; la seconda ordina al hene delle singole persone (cfr. q. 58, a. 7). La giustizia par-ticolare per deve essere esercitata e dai privati nei loro rap-porti reciproci, e dalla societ verso i sudditi, con l'equa di-stribuzione degli oneri e degli onori. Perci la giustizia par-ticolare si suddivide in commutativa e distributiva (q. 61, a. i). I manualisti si sono affrettati cos a distinguere tre tipi di giustizia: legale, commutativa e distributfoa. E per mettersi sommariamente al passo con i tempi, molti han creduto di far coincidere la giustizia sociale con la giustizia legale o ge-nerale.

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    Una tale identificazione non persuade; perch nel concetto moderno di giustizia sociale non entra soltanto lo sforzo del singolo a subordinarsi al bene della collettivit, ma anche, e forse di pi, la buona disposizione della societ a salvaguar-dare il diritto dei singoli. Anzi il buon ordine della societ che nella prospettiva della giustizia sociale, nella sua acce-zione pi ampia, include persino il pieno rispetto dei diritti e dei doveri reciproci tra i privati cittadini. Perci non si pu identificare codesta giustizia n con quella legale, n con quella distributiva, n tanto meno con quella commutativa.

    E allora dobbiamo concludere che -nello schema tomistico non trova posto la giustizia sociale? Ci sembra che logicamente la conclusione debba essere un'altra: la giustizia sociale nella sua accezione pi ampia s'identifica principalmente con la giustizia legale, abbracciando addirittura anche l'epicheia (11-Il, q. 120, a. 2, ad i) ; poich la giustizia per se stessa una virt sociale. Se poi si restringe codesto termine, come av-viene in certi casi, ai soli rapporti economici tra gruppi e categorie di cittadini, allora non si esce dalla giustizia com-mutativa di cui parla S. Tommaso. E se finalmente lo Stato che fa da padrone universale, tale giustizia si riduce alla giu-stizia distributiva: posto che si possa parlare di giustizia l dove si manomettono, almeno parzialmente, i diritti naturali dei singoli cittadini.

    12 - Ma i problemi sociali moderni non sono semplicemente di carattere filologico o lessicale, bens d'ordine pratico. La loro impostazione teorica per ha un'importanza dc>cisiva per una soluzione soddisfacente. Pur essendo vissuto in un'epoca tanto diversa dalla nostra, l'Aquinate ha affrontato i problemi ad una profondit che ben difficilmente si riscontra nei mo-derni. Ecco perch egli ha sempre molto da dire alla stessa nostra generazione e a quelle future anche nella soluzione di problemi appena abbozzati nella societ medioevale. Per questo non meraviglia che le encicliche papali sulla questione sociale di questi uHimi cento anni siano ricorse alle sue dottrine, e persino alle sue parole.

    Egli non procede per induzione, come fanno gli studiosi moderni, che cercano di scoprire negli uomini primitivi le prime manifestazioni dei fenomeni sociali, a cominciare, p. es., dal primo affermarsi del diritto di propriet. S. Tommaso parte invece dall'analisi della realt nei suoi elementi primi-geni. Per lui il diritto di propriet scaturisce dalla natura stessa dell'uomo. Che poi tale diritto sia esercitato dal sin-golo in perfetta autonomia, o condizionato alle complesse in-terdipendenze di una civilt superiore, questione secondaria. Anzi da considerarsi in qualche modo secondario persino che tale diritto siu esercitato in comune o dal singolo. Le in-

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    Jag1m positive pi serie sono l a confermare il suo punto di rista: mostrando nei primitivi un esercizio prevalentemente rollettivo del diritto di propriet, che per non esclude la pro-priet privata.

    13 - Ma per situare esattamente il pensiero dell'Aquinate a proposito del diritto di propriet bisogna esaminare tale di-ritto a tre livelli ben distinti tra loro: a) al livello della na-tura umana come tale troviamo il diritto al possesso su tutte le creature inferiori - diritto naturale primario; b) al livello delle leggi naturali secondarie troviamo il diritto di propriet privata - ius gentiurn; c) al livello della legge positiva ab-biamo gli accorgimenti giuridici per guidare l'esercizio di que-o:ti diritti al bene comune.

    Nel primo articolo della questione 66 S. Tommaso mette bene in evidenza che qualsiasi uomo, proprio in forza della sua natura specifica, ha il diritto personale di utilizzare ai suoi propri fini tutti gli esseri di natura inferiore. Quest'affer-mazione non va considerata come una vuota dichiarnzione di principio; ma deve orientare nell'esercizio effettivo dei di-ritti personali dei singoli cittadini. L'esercizio infatti del di-ritto di possesso dovr necessariamente essere condizionato dal-l'ordinamento giuridico della societ; ma l'organizzazione so-ciale sar giudicata giusta o ingiusta in base al rispetto di tale primordiale diritto. Quando l'organizzazione tale da r.scludere per sistema un certo numero di persone dalla libera utilizzazione di beni indispensabili alla vita umana, si deve pensare che la societ ingiusta, e bisognosa di una riforma radicale.

    Nell'articolo successivo della medesima questione l'Autore si domanda "se sia lecita la propriet. privata" che altrove at-tribuisce espressamente al diritto delle genti (q. 57, a. 3), cio al diritto naturale secondario, o derivato. J,a sua giustificazione ha bisogno di essere ripensata e appronfondita dopo le discus-sioni degli ultimi secoli. Alcuni infatti credono di dimostrare come naturale l' indi visione dei beni, documentando il fatto che nelle societ primitive predomina nettamente il godimento in comune di quasi tutti i beni. Ma qui si tratta di vedere se il possesso indiviso sia quello pi ragionevole per una societ complessa e progredita; in altri termini, si tratta di vedere

    ~e il diritto naturale di ciascun uomo al possesso dei beni mdispensabili al proprio sostentamento e all'espansione della Propria personalit sia in tal modo meglio salvaguardato.

    14 - .E chiaro che ci sono beni che per la loro abbondanza non saranno mai divisi: p. es., l'aria che si respira, la luce e il calore del sole. Ma ce ne sono altri che per la loro utiliz-zazione hanno bisogno di essere divisi. E col moltiplicarsi dei c:oncorrenti, nonch col raffinarsi delle tecniche di sfrutta.-

  • 18 LA GIUSTIZIA

    mento, che trovano sempre nuove risorse, le cose si compli-cano necessariamente, a prescindere dalla malvagit di chic-chessia. Arguire dall' indi visione primitiva, scrive P. M. La-bourdette, O. P. o dalla minor divisione che caratterizza le civilt inevolute per dedurne il carattere naturale del possesso comune e indiviso, significa confondere l' indifferenziazione originale che precede la posizione di un problema, con la so-luzione nettamente differenziata e precisa che esso reclama una volta posto (La Justice, pro ms., Toulouse 1960-61, p. 164).

    L'esigenza naturale che porta all'appropriazione, non sol-tanto dell'uomo, ma si riscontra persino in certi animali, che sono guidati dall'istinto a immagazzinare il necessario non solo per la giornata, ma per l'intera annata: classico l'esem-pio delle api e delle formiche. Il possesso di qualche cosa ol-tre che di se stessi una necessit per qualsiasi creatura; per-ch Dio soltanto costituisce per se stesso la propria perfezione. La creatura, limitata nel suo essere, costretta a trovare fuori di s ci che la completa. Certamente anche Dio possiede, ma non perch ha una qualche indigenza : Egli distribuisce l'esi-stenza alle altre cose non per necessit di natura, ma secondo l'arbitrio del suo volere .... Ed egli ha un dominio perfetto sulle cose da lui prodotte, in quanto nel produrle non ha bi-sogno di elementi esterni, e neppure costretto a servirsi della materia; essendo egli la causa universale di tutto l'essere (1 Cont. Gent., c. 1).

    La condizione della creatura invece ben diversa. Abbiamo gi visto sopra che soltanto gli esseri dotati d'intelligenza e di libert esercitano un vero dominio. Ma gli esseri umani non possono limitarsi a possedere i propri atti e le proprie facolt, essendo impegnati a vivere in un mondo materiale che ne condiziona l'esistenza. E nel provvedere a se stesso e a coloro di cui porta la responsabilit, l'uomo singolo non pu rinun-ziare alla propria intelligenza che lo porta a conoscere i cicli delle stagioni e il ritmo dell'esistenza. Di qui l'inclinazione naturale a provvedersi di beni materiali con una certa suffi-cienza, molto prima dell'atto finale del loro consumo. Nasce cos per un'esigenza naturale il patrimonio, la propriet pri-vata; poich nella sua previdenza l'uomo non si limiter ai beni di consumo, ma cercher il possesso dei beni di produ-zione : campi, boschi, miniere, ecc.

    15 - Nessuno nega che l' indivisione dei beni rappresenti un ideale per un'umanit del tutto liberata dalle angustie del-l'egoismo, nella quale ciascuno fosse preoccupato del bene al-trui non meno che del bene proprio ; ma chi non vede questo ideale come irrealizzabile nella massa umana di cui abbiamo l'esperienza, mostra di vivere nel mondo delle ideologie, e di aver perso ogni contatto con la realt. S. Tommaso personal-

  • INTRODUZIONE 19

    mente aveva abbracciato la povert volontaria, e quindi vi-veva in una comunit religiosa, in cui vigeva il sistema del-1' indi visione dei beni. Egli ben sapeva di aver accettato cos 1 ideale evangelico. Ma con ci, da quell'uomo savio che era, cosciente di tutti gli aspetti della realt, non aveva mai pre-leso d'imporre codesto sistema a tutta la societ, come gi a i suoi tempi sognavano gli spiritualisti francescani che do-vevano sfociare nel movimento dei Fraticelli.

    Nel respingere la tentazione ingenua e pericolosa del col-ldtivismo, S. Tommaso si limitato a prospettare gli incon-vrr1ienti gi contrapposti da Aristotele all'ideologia platonica; ma dopo le tristi esperienze del nostro secolo egli potrebbe allungare la lista in maniera impressionante.

    16 - A rendere i teorici odierni del collettivismo cos irri-rl ucibili avversari del diritto di propriet, non solo la spe-ranza di esercitare in tal modo un potere illimitato attraverso gli organi del collettivismo, ma anche l'idea falsa che tale di-litto promani dalla societ: come se la societ potesse con-ferire e ritirare a piacimento i diritti fondamentali dell'uomo. Il pensiero cristiano perci unanime nel respingere questa impostazione del problema, rivendicando il diritto di propriet privata come un'esigenza della persona umana.

    Nell'articolo 2 della q. 66 che abbiamo preso in esame l'Au-tore non si limita a giustificare il diritto di propriet, che egli definisce " potestas procurandi et dispensandi ; 1 ma af-ferma con non minore energia l'obbligo di non restringere l'uso delle ricchezze possedute alle proprie esigenze personali: " quantum ad usum non debet homo habere res exteriores ut proprias, sed ut communes : ut scilicet de facili aliquis ea communicet in necessitate aliorum . Sarebbe un tradimento per la dottrina dell'Aquinate e per la stessa dottrina cristiana, scindere le due conclusioni. Ormai infatti si tratta di dottrina al'rettata dalle encicliche sociali. La Rerum Novarum cita alla lrttera questo articolo della Somma, e la Quadragesimo Anno, n?n fa che ribadire la validit di questa distinzione tra di-ntto di propriet e uso di codesto medesimo diritto, riferendo nn altro testo del Santo Dottore: cc Quomodo autem usus rerum ~ropriarum possit fieri communis hoc pertinet ad providen-bam boni legislatoris (2 Polit .. lect. 4).

    Con tali premesse non difficile scorgere il tipo di societ che si prospetta secondo il pensiero di S. Tommaso. Esclu-

    1 li P. Spicq ha creduto di srorgere In tale espressione un ridimensiona-mento del diritto di proprlet., riducendo Il proprietario alla funzione di arnrnlnlstratore (cf1. "Potestas procurandl et dispensandl,, In R. Se. Phtl. Thol., 1?34, p. 82 ss.). Senza negare In tale espressione l'eco della tradizione patristica. ri sembra che l"A'Iulnate non intenda affatto restringere tale diritto a una specie di locazione da parte della divinit. L'uomo ha ricevuto da Dio un vero domln1o non solo sul propri atti, ma anche sulle creature Inferiori.

  • LA GIUSTIZIA

    dendo da un lato il collettivismo social-comunista, che mira a distruggere o a menomare gravemente il diritto di propriet, e dall'altro il liberalismo economico, che abbandona il pi de-bole alla merc del pi forte, il tomismo indica il giusto mezzo della giustizia in un sistema di economia controllata, in cui la difesa del diritto di propriet non va disgiunta dalla con-tinua precauzione di provvedere efficacemente alla sicurezza sociale di tutti i cittadini.

    V Usura e denaro.

    Tra i princ1pu pi accanitamente difesi dal marxismo c' quello che considera la religione come una sovrastruttura del sistema capitalistico, destinata fatalmente a subirne le sorti. In base a codesto principio la storia dovrebbe presentarci una religione cristiana occidentale - si sa che l'occidente il padre del capitalismo moderno - perfettamente conformista verso la prassi e la teoria che ha favorito lo sviluppo del capitale. Invece la storia autentica, non quella costruita sui postulati teorici, ma sui fatti documentati, ci presenta un fenomeno sconcertante: la Chiesa Cattolica con quasi tutti i suoi teologi si schierata contro gli economisti, per impedire in tutti i modi il prestito a interesse, nonch i contratti di ogni genere che ad esso si riducono, provocando cos intralci continui allo sviluppo dell'economia capitalista.

    Il sistema per si sviluppato a dispetto di tutte le con-danne; e finalmente la Chiesa ha dovuto ammettere che un moderato tasso d'interesse nei contratti di mutuo trova sem-pre, o quasi sempre, una qualche ragionevole giustificazione. Ma per arrivare a questa specie di accomodamento sono oc-corsi parecchi secoli: stato necessario attendere il 174.5, e cio l'enciclica Vix pervenil, del papa Benedetto XIV. E biso-gna aspettare il Codice di Diritto Canonico (1917) per vedere formulato il principio : " In praestatione rei fungibilis non est per se illicitum de lucro legali pacisci, nisi constet ipsum esse immoderatum" (can. 154.3).

    Onestamente dobbiamo confessare che la difesa pi intransi-gente contro ogni specie d'usura si ebbe da parte dei teologi domenicani, o comunque tomisti. Fu per una malintesa fedelt al pensiero del maestro che essi, fatte poche eccezioni (tra le felici eccezioni ci piace ricordare fra Girolamo Savonarola), si batterono accanitamente contro gli stessi monti di piet, sorti nel periodo del rinascimento a sollievo dei bisognosi.

    Esaminando con attenzione i documenti del magistero eccle-

  • INTHODUZIONE 21

    siastico in proposito, sembra che si debba escludere un valore dogmatico alle stesse formule pi drastiche contro ogni forma d'usura. Si tratta di canoni e di richiami disciplinari, sufficien-temente giustificati dalle condizioni dell'epoca in cui furono emanati.

    All'origine per di questa presa di posizione negativa verso il prestito a interesse ci sono stati gravi equivoci, che ormai doveroso riconoscere senza sottintesi.

    Il primo equivoco riguarda un testo evangelico comunemente sfmttato come contrario a ogni prestito del genere, Luc. 6, 35: "Mutuum date nihil inde sperantes . Ormai pacifico tra i teologi e gli esegeti che codeste parole non hanno valore di pre-cetto, ma di consiglio (cfr. LAGRANGE J. M., Evangile selon S. Luc, Paris, 1921, pp. 195 ss.; BERNARDA.,

  • 22 LA GIUSTIZIA

    nascere la legge fondamentale dell'economia moderna, che ri-pone nel movimento della moneta circolante uno dei coefficienti naturali " della ricchezza: " Se la stessa quantit di moneta gira dieci volte in un anno, come se fosse stata emessa una quantit di monete dieci volte maggiore (D. TRAMONTANA, Ele-menti di Economia politica, Milano, 1934, p. 237). Perci chi presta il proprio danaro, invece di custodirlo gelosamente nella cassaforte, compie di suo un'opera di utilit pubblica, oltre che un servizio a favore di qualche privato. Quindi ha diritto a percepire un utile proporzionato alle circostanze.

    Nelle permute il danaro svolge una funzione fiduciaria, oltre quella di scambio. L'operaio offre i suoi servizi e il commer-ciante la sua merce, perch trovano nel danaro la sicurezza di una contropartita vantaggiosa. Perci chi presta merita un gua-dagno, almeno quanto un mediatore che offre la propria ga-ranzia. E vero infatti che lo scambio potrebbe avvenire anche come baratto naturale tra cosa e coi::a, o tra merce e lavoro; ma se negli scambi interviene il danaro, questo necessariamente aumenta di valore nella misura in cui si moltiplicano i suoi interventi: come le fortune di un mediatore crescono con l'au-mento degli affari cui presta la sua opera. Ecco perch la ric-chezza reale di una nazione non costituita tanto dalle riserve auree, quanto dalla massa di affari che in capo all'anno in essa si concludono. 1 Ed ecco perch enti pubblici e privati possono affrontare imprese grandiose di utilit comune, ricorrendo ai prestiti, cio sfruttando il " credito di quei capitali che il piccolo risparmiatore accantona nelle banche, senza correre pra-ticamente nessun rischio.

    I teologi, dicevamo, insistendo sulla pista tracciata da Ari-stotele, non sono riusciti quasi mai a superare la loro istintiva diffidenza verso il mondo degli affari. I tentativi di una revi-sione totale di quest'atteggiamento sono stati guardati anch'essi con diffidenza. Uno dei pi riusciti per seriet d'impostazione e d'argomenti da considerarsi, in Italia almeno, quello del-l'abate Marco Mastrofini (1763-1845); tuttavia la sua opera fon-damentale Le usure, libri tre, Roma, 1831, sebbene ricevesse l'imprimatur del Maestro del S. Palazzo, e l'approvazione d' insigni teologi, rimase lettera morta. Penso per che la colpa dell'ingiusto accantonamento non debba essere attribuita tanto all'ostilit dei colleghi teologi, quanto allo stile piuttosto mac-chinoso dell'autore.

    A parte lo stile, il Mastrofini ha ragioni da vendere contro

    i Perci la definizione morterna tlel danaro dev'essere conceplt.a. In questi termini: La moneta. un capitale che serve all'organizzazione dell'economia, In quanto fa da lntermertiarlo negll sc::nnbl e allaccia Il pr~scnte al futuro eco-nomico: facllltando 11 risparmio e garantendone l'utilizzazione a breve e a lunga scadenza.

  • INTRODUZIONE 23

    Aristotele, per dimostrare che l'uso del danaro distinto dal danaro medesimo; e che quindi codesto uso esige di essere pa-a-ato come quello di qualsiasi altro bene locabile (op. cit. l'P 164-171). E non risparmia l'ironia contro lo stesso S. Tom-maso l dove il Santo (q. 78, a. i, ad 6) concede che si possa percepire un compenso prestando preziosi e monete pregiate al solo scopo di farne mostra od ostensione, mentre non con-cede che si possa percepire per l'uso di codesto danaro. Sa-1ehbe questo il solo caso in cui la esistenza sia meno della possibilit, contro i reclami di tutta la metafisica (op. cit. p. 167).

    Questo per non ci autorizza a condannare la dottrina della Chiesa, che si preoccupata sempre di difendere la gratuit del mutuo a favore dei poveri. in tal senso infatti che vanno interpretate le drastiche condanne dei SS. Padri e i richiami disciplinari dei primi.secoli. Tuttavia non manca qual-che testo dal quale si rileva un atteggiamento di compren-sione per il prestito commerciale tra persone facoltose. E se dopo il mille questa comprensione venne praticamente a spa-rire, si deve certo pi alla necessit di reprimere gli abusi avvero intollerabili degli usurai, che al proposito di definire una dottrina.

    S. Tommaso si trov a rielaborare il pensiero cristiano in un periodo di repressioni vivaci contro l'usura. Lo stesso pen-3iero filosofico aristotelico, che stava allora conquistando l'oc-cidente, pareva prestare ali' impresa un appoggio decisivo. Sarebbe stato troppo esigere in queste condizioni un giudizio cos equanime e distaccato, da non sentire il contraccolpo delle circostanze. Egli fatalmente era portato a considerare provvi-denziali i testi aristotelici della Politica e dell'Etica a sostegno rlella disciplina ecclesiastica, minacciata dall'insorgere del mer-cantilismo del secolo XIII.

    Egli vide per con chiarezza la necessit di evitare i danni dei prestatari di denaro (q. 78, a. 2, ad i), e la liceit delle societ commerciali, con lincontro proficuo tra capitale e la-voro (ibid., ad 5). E su tali posizioni rimasero attestati per secoli con irremovibile tenacia i suoi discepoli, nella convin-zione di difendere con la dottrina del maestro quella della santa madre Chiesa. risaputo che all'epoca. della ricordata enciclica di Benedetto XIV sull'usura, Vix pervenit, il teologo Pi contrario allti nuove correnti era il domenicano P. Daniele Concina, che il papa chiam a far parte della congregazione di cardinali, prelati e teologi incaricati di studiare a fondo il problema.

    Dopo la pubblicazione dell'enciclica i tomisti si mostrarono ni comprensivi verso i titoli estrinseci del prestito che non fossero riducibili al damnum emergcns, gi ammesso da

  • 24 LA GIUSTIZIA

    S. Tommaso. Cos si arriv a giustificare, praticamente in tutti i casi, il tasso d'interesse moderato e legalizzato.

    Oggi si riconosce comunemente che in una societ indu-strializzata il prestito del danaro offre realmente la possibi-lit di un guadagno; e quindi viene legittimato cos il titolo del creditore ali' interesse. 1 Del resto gi l'Aquinate ammetteva la liceit dell'interesse nel caso di compartecipazione a societ artigianali o commerciali (cfr. q. 78, a. 2, ad 5). E la societ moderna con la sua complessa organizzazione economica si presenta di fatto come un immenso sodalizio di questo genere in cui i coefficienti della produzione s'incontrano automatica-mente con rischi e vantaggi reciproci a tutti i livelli.

    Ma qualcuno prospetta l'idea che anche in questo caso ci sia un'ingiustizia latente nel sistema, astrazione fatta dalla malizia del mutuante. In tal.e sistema si produrrebbe fatal-mente una svalorizzazione della moneta, cui giusto ripa-rare con la riscossione dell'interesse. Ma a chi tocca pagare le spese reali di codesto fenomeno? Accettando la tesi che il danaro, ossia il capitale, non pu essere di per s produttivo, la vittima va cercata al polo opposto, nel lavoratore. E quindi sarebbe proprio vero " che il capitalismo una macchina per fare dei ricchi con la spogliazione dei lavoratori, e per ar-ricchire sempre di pi coloro che sono gi ricchi.

    Pur ammettendo le reali ingiustizie che si riscontrano in-dubbiamente nella societ capitalista, e che noi siamo ben lontani dal voler negare o difendere, ci sembra che quest'atto di accusa generico sia radicalmente falso, e ideologicamente pericoloso. Il pericolo sta nel fatto che in tal modo la critica al sistema troppo affine a quella del marxismo, che sfrutta certe consonanze in maniera diabolica, per procurare all'uma-nit disordini e sofferenze ben pi gravi di quelle qui lamen-tate. Una societ libera, che nel suo decentramento costituzio-nale di poteri ammette anche una certa autonomia del potere economico, sempre da preferirsi a una societ centralizzata, in cui il potere politico pretende di regolare in un atteggia-mento di sufficienza inumana i diritti e i doveri di tutti i cit-

    i lllolti teologi per non si arrendono, perch non riescono a veder chiaro nel meccanismo che dalla moneta fa scaturire altra moneta. Per tranquillizzarsi bisogna riflettere che le funzioni ili quest'ultima sono talmente utili. da di-sporre i proprietari di altri beni (beni Immobili, lavoro, derrate, prodotti ar-tigianali) alla rinunzia volontaria per un certo margine del prezzo. pur di assicurarsi quel prezioso mezzo di scambio. Avviene cosi che in un'economia sana, con la crescita dei henl reali si crea una richiesta maggiore di moneta. Se tale richiesta dovesse provocare un maggior potere d'acquisto con il calo del prezzi. Il danaro aumenterebhe di valore nelle mani di chi pu usarne. permettendo l'acquisto a buon mercato di beni reali. Se invece lo Stato in-tervieno - ed Il raso pi ordinarlo - mettendo In circolazione altra moneta. allora il danaro cresre quant1t.ativamente nelle mani di chi ne usa; perch I beni con I quali viene scamhlat.o acquistano In breve volgere di tempo un prezzo maggiore. Perr-l non sarehhe giusto privare totalmente di questi van-taggi colui che per un certo tempo ha consegnato ad altri 11 proprio danaro.

  • INTRODUZIONE 25

    tadini. Il singolo cittadino infatti ha sempre la possibilit di difendersi in una societ pluralista, destreggiandosi tra le com-prtenze contrastanti. Invece il singolo soccombe inesorabil-mente sotto il peso di un potere universale.

    Ma, a parte il pericolo, la critica suddetta va respinta so-prattutto perch errata. Il danaro infatti non vale per quello che , ma per i servizi che rende. Ora, non ragionevole con-siderare valutabili economicamente i servizi che pu rendere una macchina, e non apprezzabile in moneta il danaro che 111i viene prestato per noleggiarla. In altri termini: non si ;:;pif'ga perch debba esser lecito percepire un compenso per 111so di un campo, di una casa, o di una macchina; e disone-sto il guadagno di chi presta il danaro occorrente per pren-dere in affitto o noleggiare una casa, un campo, o una mac-china.

    E neppure pu essere imputata al fenomeno del prestito la svalorizzazione progressiva della moneta che si riscontra in quasi tutti gli stati moderni. Del resto, se vero che questo malanno colpisce le classi a reddito fisso, va ricordato che esso colpisce anche pi duramente i risparmiatori. Per lo pi la svalorizzazione invece dovuta all'iniziativa dello Stato, che si vede costretto ad aumentare il circolante per far fronte alle spese pubbliche, le quali normalmente crescono per l'au-mento dei salari. Un freno a quest'inflazione progressiva po-Lrebbe essere precisamente il prestito ...

    Siamo tutti d'accordo nel deprecare questo fenomeno de-g-pnerativo dell'economia che l'inflazione monetaria; ma non giusto addossare la responsabilit del fenomeno al solo giuo-co del capitale. Anche la demagogia ha in esso il suo peso determinante.

    E quando nella societ si determina un complesso circolo vizioso di proporzioni cos vaste, fatale che gl' individui pi rtotati d'intelligenza e pi esperti negli affari volg-ano le vele nella direzione pi adatta per condurre in porto la nave del-!' interesse personale a dispetto di tutte le correnti. E la ma-novra sar tanto ni snreg-iudicata, quanto meno radicata n

  • LA GIU-

    STIZIA

    CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME

    I) in [ 1) diritto (q. 57) se stessa: (l 2) giustizia (q. 58)

    3) ingiustizia (q. 59) 4) giudizio (q. 60)

    ; 1) in { a) g. commutativa e distributiva (q. 61) b) restituzione (q. 62) I" "'"" ( a) alla giustizia distributiva: accettazione di persona (q. 63)

    II) le sue parti:

    A) soggettive

    I 2) vizi contrari:

    ' [ A) nelle commuta-i z i on i invo-lontarie b) alla giustizia commutativa B) nelle commuta-zioni volon-tarie

    B) quasi integranti e vizi contrari (q. 79) C) potenziali (qq, 79-120): religione (vol. XVIII);

    piet, osservanza, ecc. (voL XIX)

    III) dono corrispondente (vol. XIX) IV) precetti relativi (vol. XIX)

    I a) contro la l 1) omicidio \ persona: (q. 64)

    1) in fatti ' 2) lesioni, ecc.

    (' (q. 65)

    2) in pa-role

    l 1) frode (q. 77) ~!.) usura (q. 78)

    b) contro gli averi: furto e rapina (q. GG) ' 1) del giudice

    a) in giudizio, ingiustizia:

    b) ingiustizie estragiudi-ziali:

    (q. 67) 2) dell'accusa-tore (q. 68) 3) del reo (q, 69) 4) dei testimoni (q, 70) 5) dell'avvocato

    " (q. 71)

    I' 1) contumelia (q. 72) 2) maldicenza (q. 73) 3) mormora-i zione (q, 74) 4) derisione (q. 75) 1 5) maledizione . (q, 76)

  • AVVERTENZE

    1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indica-doni delle opere citate, perch figurano a fronte nel testo latino.

    Dove l' intelligibilit della frase lo richiedeva stato inserito qual-~he termine o qualche espressione tra [ ], per facilitare la compren-sione del testo senza ricorrere a perifrasi.

    '\ella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare agio al lettore di controllare la traduzione e di consultare il testo originale.

    I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse per conti-nuano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti.

    2. Il testo critico latino dell'Edizione Leonina riprodotto con la pi scrupolosa fedelt. La sola enumerazione degli articoli all' ini-zio della Quaestio stata fatta senza capoversi.

    :.wanca per, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole va-rianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle note.

    Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l' Ed. Leo-nina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Sol-tanto i versetti delle. Sacre. Scrittura - in corsivo - figurano senza. altri contrassegni.

    Le citazioni e i luoghi paralleli sono semplificati con criteri tecnici moderni.

    Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture pi comuni: per non infarcire troppo il testo di elementi estranei, abbiamo tra-scurato i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono vere correzioni del testo della Somma, vengono riportati in nota.

  • QUESTIONE 57 Il diritto.

    Veniamo ora a trattare della giustizia. Intorno alla quale do-vremo interessarci di quattro cose: primo, della giustizia; se-condo, delle sue parti; terzo, del dono corrispondente ; quarto, dei precetti che la riguardano. 1

    A proposito della giustizia dobbiamo considerare quattro ar-gomenti: primo, il diritto ; secondo, la giustizia in se stessa; terzo, l'ingiustizia; quarto, il giudizio.

    Sul primo di essi si pongono quattro quesiti: 1. Se il diritto sia oggetto della giustizia; 2. Se sia ben diviso in naturale e po-sitivo ; 3. Se il diritto delle genti s' identifichi col diritto naturale ; 4. Se si debbano distinguere specificatamente dagli altri il diritto padronale e quello paterno.

    ARTICOLO 1 Se il diritto sia l'oggetto della giustizia.

    SEMBRA che il diritto non sia l'oggetto della giustizia. Infatti: 1. Il giureconsulto Celso 3 afferma che "il diritto l'arte del

    bene e del giusto" Ora, l'arte non oggetto della giustizia, ma di suo una virt intellettuale. Dunque il diritto non oggetto della giustizia.

    2. Come dice S. Isidoro, 4 "la legge una specie di diritto '" Ora, la legge non oggetto della giustizia, ma piuttosto della pru-denza: cosicch il Filosofo tra le parti di questa mette anche la prudenza "legislativa" Dunque il diritto non oggetto della giu-stizia.

    3. La giustizia tende principalmente a sottomettere l'uomo a Dio ; infatti S. Agostino ha scritto: "La giustizia un amore che sottost a Dio soltanto, e che per questo comanda a tutte le altre cose sottomesse all'uomo n. Ma il diritto non si riferisce alle cose

    1 Avvertiamo il let.tore che in questo volume, 11 quale porta 11 ttt.olo del-1' Intero trattato, non si trova che la giustizia in generale con le sole parti soggettive. o specie (giustizia distributiva e commutativa), accompagnate dai vizi contrari correlativi. Le parti poteuzlall occupano 1 due volumi seguenti: Il volume XVIII (q. !la-100) sotto Il titolo della reltgtone. che la parte prin-cipalissima della giustizia; e Il volume XIX (qq. 101-122\ con le altre parti potenziali e i vizi correlativi, nonch l'equit. Il dono dello Spirito e i pre-cetti riguardanti la giustizia. Questa divisione materiale c.orrisponde appro~slmativamente alla divisione formale del trattato: In quanto nel primo vo-lume si parla della. giustizia 1n senso pieno, la quale ha Il compito di dare agli altri ci che loro dovuto con perfetta uguaglianza. Invece nel volumi seguenti si tratta. di vlrtil annesse in cui non si \'erifka la perfetta defini-zione di giustizia. La religione, la piet e l'osservanza non raggiungono l'ugua-glianza., per Il fatto che non si pu restituire a Dio (rellglom~). al genitori e alla patria (piet). al superiori, maestri, ecc. (osservanza). quanto da. essi si ricevuto. Le ultime parti della. giustizia invece (gratitudine, veracit, affa

  • QUAESTIO 57 De iure

    tn quatuor arttculos divisa.

    CoNSEQUENTER post prudentiam considerandum est de iustitia. Circa quam quadruplex consideratio occurrit: prima est de iusti-tia; secunda, de partibus eius [q. 61]; tertia, de dono ad hoc per-tinente [q. 121]; quarta, de praeceptis ad iustitiam pertinenti-l111s L q. 122].

    Circa iustitiam vero consideranda sunt quatuor: primo quidem, de iure; secundo, de ipsa iustitia [q. 58]; tertio, de iniustitia Lq. ::i!>]; quarto, de iudicio [q. 60].

    Circa primum quaeruntur quatuor. Primo: utrum ius sit obiectum iustitiae. Secundo: utrum ius convenienter dividatur in ius na-turale et positivum. Tertio: utrum ius gentium sit ius naturale. Quarto: utrum ius dominativum et paternum debeat specialiter distingui.

    ARTICULUS 1 Utrum ius sit obiectum iustitiae.

    AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod ius non sit obiectum iustitiae. Dicit enim Celsus iurisconsultus quod cc ius est ars boni et aequi,, [D. I, 1, de Iustit. et Iure, 1]. Ars autem non est obiectum iustitiae, sed est per se virtus intellectualis. Ergo ius non est obiectum iustitiae.

    2. PRAETEREA, u lex n, sicut Isidorus dicit, in libro 5 Etymol. [c. 3], "iuris est species '" Lex autem non est obiectum iustitiae, sed rnagis prudentiae: unde et Philosophus u legispositivam partem (Jrudentiae ponit [6 Ethic., c. 8, lect. 7]. Ergo ius non est obiectum iustitiae.

    3. PRAETEREA, iustitia principaliter subiicit hominem Deo: dicit enim Augustinus, libro De Moribus Eccles. [c. 15], quod cc iustitia est amor Deo tantum serviens, et ob hoc bene imperans ceteris, quae homini subiecta sunt '" Sed ius non pertinet ad divina, sed

    hilit e libe1'lllit) non raggiungono 11 dellttum caratteristico della giustizia, che Lii orLline legale ; ma si limitano a soddisfare un debttum morale.

    2 Anche qui si procede In ordine logico dall'oggetto (q. 57) all'a!Jlto, sia buono (q. 58), che cattivo (q. 50); e dall"ahito all'atto della giustizia, 11 giudizio 1.Q. 60), che effetto dell'abito virtuoso.

    3 Celso. Publio Glovenzio C., pretore romano (prima met sec. II), console e ronslg!iere imperiale sotto l'Imperatore Adriano. rimase celebre come glure-consullo specialmente per I suol 39 libri di D'igesla, confluiti poi nel Corpus Iurt. Clvtlts di Giustiniano. '

    ' S. Isidoro di Siviglia [t 636], che In questo articolo citato ben tre Volte. stato 11 gTande maestro del primo medioevo, e che nelle sue Etlmo-l?11te In venti libri offri una specie di enciclopedia di tut.to lo scibile del-1 epoca, ricorrendo all'etimologia delle singole voci. Molte di queste etimologie sono bizzarre e cervellotiche, ma sufficienti a richiamare l'attenzione del

    ~ensatorl successivi (tra i quali S. Tommaso), che vi ricamarono sopra le loro ef!nizlonl appropriate.

  • ::IO LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 57, a. 1

    divine, bens soltanto alle umane: infatti S. Isidoro nel suo libro delle Etimologie afferma, che u il f as costituisce la legge divina, il ius, o diritto, la legge umana" Perci il diritto non oggetto della giustizia.

    IN CONTRARIO: S. Isidoro nel medesimo libro insegna, che "il di-ritto, o ius, deve il suo nome al fatto che il giusto" Ora, il giusto oggetto della giustizia: poich, a detta del Filosofo, "tutti convengono nel dire che la giustizia quell'abito da cui derivano le azioni giuste . Dunque il diritto oggetto della giustizia. 1

    RISPONDO: E compito proprio della giustizia, tra tutte le altre virt, di ordinare l'uomo nei rapporti verso gli altri. Essa infatti implica l'idea di uguaglianza, come il nome stesso sta a indicare: infatti delle cose che si adeguano volgarmente si dice che sono ben aggiustate. Ora, l'uguaglianza dice rapporto con altri. Invece le altre virt perfezionano l'uomo soltanto nelle sue qualit in-dividuali che riguardano lui stesso.

    Perci la rettitudine che si riscontra negli atti delle altre virt, e che forma l'oggetto verso cui esse tendono, si desume soltanto in rapporto al soggetto operante. Invece la rettitudine che si ri-scontra nell'atto di giustizia si definisce in rapporto ad altri, an-che prescindendo dal rapporto col soggetto: infatti nel nostro agire va denominato giusto ci che corrisponde ad altri secondo una certa uguaglianza, p. es., il pagamento della debita mercede per un servizio.

    Perci una cosa giusta, ed ha la rettitudine della giustizia, che costituisce il termine dell'atto giusto, anche prescindendo dal modo di agire del soggetto. Invece nelle altre virt una cosa non retta, se non in rapporto al modo di agire del soggetto. Ecco perch a differenze. delle altre virt l'oggetto della giustizia viene determinato in modo speciale, ed chiamato il giust.o. Ed questo precisamente il diritto. Perci evidente che il diritto l'oggetto della giustizia.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Capita ordinariamente che dal loro uso primitivo le parole siano volte a significare altre cose : I termine medicina, p. es., originariamente stava a indicare il rimedio che si d agl' infermi per guarire, e quindi venne a si-gnificare l'arte con la quale ci si procura. Cos anche il termine diritto da prima stava a indicare la cosa giusta in se stessa; ma in seguito fu de.to e.ll'arte con la quale il giusto si conosce; e finalmente fu usato per indicare il luogo in cui si rende giustizia, come quando si usa per uno che si presenta in tribunale; e final-mente si denomina diritto la sentenza data dal giudice che ha l'ufficio di rendere giustizia, anche se quanto egli decide un' ini-quit.

    2. Come esiste nella mente dell'artefice una regola dell'arte per i manufatti che l'art.e produce; cos per l'azione giusta che vien determinata dalla ragione preesiste nella mente una norma che una specie di regola della prudenza. E se questa scritta, vien

    i L'argomento lmbasllto sull'affinit etimologica del termini latlnl tus e tustttta. Il gioco delle parole non torna altrettanto bene nella lingua Italiana ; ma l'Autore nella Rtsposta che segue va oltre la questione etimologica, per affermare con argomenti appropriati che il diritto !ol'ma l'oggetto della giu-stizia.

  • IL DIRITTO 31

    solum ad humana: dicit enim Isidorus, in libro 5 Etymol. [c. 2], quod cc fas lex divina est, ius autem lex humana " Ergo ius non est obiectum iustitiae.

    Srn r.oNTRA EST quod Isidol"Us dicit, in eodem [ibid., c. 3], quod "ius dictnm est quia est iustum '" Sed iustum est obiectum iusti-tiae: dicit enim Philosophus, in 5 Ethic. [c. 1, lect. 1], quod "i:m1nes talem habitum volunt di.cere iustitiam a quo operativi iusto-rum sunt " Ergo ius est obiectum iustitiae.

    TIESPONDEO DICENDUM quod iustitiae proprium est inter alias vir-t u t cs ut ordinet hominem in his quae sunt ad alterum. Importat enim aequalitatem quandam, ut ipsum nomen demonstrat: di-cuntu r enim vulgariter ea quae adaequantur iustari. Aequalitas autem ad alterum est. Aliae autem virtutes perficiunt hominem solmn in his quae ei conveniunt secundum seipsum.

    Sic igitur illud quod est rectum in operibus aliarum virtutum, ad quod tendit intentio virtutis quasi in proprium obiectum, non accipitur nisi per comparationem ad agentem. Rectum vero quod est in opere iustitiae, etiam praeter comparationem ad agentem, constituitur per comparationem ad alium: illud enim in opere nostro dicitur esse iustum quod respondet secundum aliquam ae-qualitatem alteri, puta recompensatio mercedis debitae pro ser-vitio impenso.

    Sic igitur iustum dicitur aliquid, quasi habens rectitudinem iustitiae, ad quod terminatur actio iustitiae, etiam non considerato rrnaliter ab agente fiat. Sed in aliis virtutibus non determinatur n Iiqnid reclum nisi secundum quod aliqualiter fit ab agente. Et propter hoc specialiter iustitiae prae aliis virtutibus determinatur secundum se obiectum, quod vocatur iustum. Et hoc quidem est ius. Unde manifestum est quod ius est obiectum iustitiae.

    An PRIMUM ERGO DICENDUM quod consuetum est quod nomina a sui prima impositione detorqueantur ad alia significanda: sicut nomen medicinae impositum est primo ad signifcandum reme-dium quod praestatur infirmo ad sanandum, deinde tractum est ad significandum artem qua hoc fit. Ita etiam hoc nomen ius primo impositum est ad significandum. ipsam rem iustam; postmodum autem derivatum est ad artem qua cognoscitur quid sit iustum; et ulterius ad signiftcandum Iocum in quo ius redditur, sicut di-citur aliquis comparere in iure; et ulterius dicitur etiam ius quod redditur ab eo ad cuius officium pertinet iustitiam facere, ficet etiam id quod decernit sit iniquum.

    Au SECUNDUM DICENDUM quod sicut eorum quae per artem exte-rius fiunt quaedam ratio in mente artiftcis praeexistit, quae dici-t11r regula artis; ita etiam illius operis iusti quod ratio deter-minat quaedam ratio praeexistit in mente, quasi quaedam pru-llentiae regula. Et hoc si in scriptum redigatur, vocatur lex: est

    2 L'argomento fa leva sui primi due elementi della giustizia: alterit e uguaglianza ; mentre Il terzo elemento (il ebtlum) rimane implicito e come sottinteso f 3 Il termine trtlto cui l'Autore d un significato prevalentemente oggettivo, acendolo i:oincidere con la cosa giusta e la legge cbe Io stablllsce, ba preso

    "gg1 un significato prevalentemente soggettivo : esso cio sta a indicare la fa-colt. o potere morale, di fare. di avere. di esigere e dl omettere qualche cosa. A rruesta facolt corrisponde negli altri un dovere correlativo.

  • 32 LA SOMMA TEOLOGICA, 11-11, q. 57, aa. 1-2

    chiamata legge: infatti, a dire di S. Isidoro, la legge una u isti-tuzione scritta" Perci la legge non , propriamente parlando, il diritto medesimo, ma la norma remota del diritto. 1

    3. Per il fatto che la giustizia implica uguaglianza, mentre noi siamo nell'impossibilit di ricompensare Dio adeguatamente, non possiamo noi rendere a Dio il giusto nel suo pieno significato. Ecco perch la legge divina non chiamata ius, o diritto, ma fas: poich Dio si contenta che noi si soddisfi per quanto possiamo. Tuttavia la giustizia tende a far si che l'uomo, per quanto pu, dia un compenso a Dio, sottomettendo totalmente a lui la propria anima.

    ARTICOLO 2 Se sia giusto dividere il diritto in naturale e positivo.

    SEMBRA che non sia giusto dividere il diritto in naturale e po-sitivo. Infatti :

    1. Ci che naturale immutabile e identico per tutti. Ora, nelle cose umane. non si trova niente di tal genere; poich tutte le norme del diritto umano in certi casi sono caduche, e non con-servano in tutti i luoghi la loro virt. Dunque non esiste un di-ritto naturale.

    2. Si denomina positivo ci che deriva dalla volont umana. Ma nessuna cosa pu esser giusta perch procede dalla volont umana: altrimenti questa volont non potrebbe mai essere in-giusta. Perci siccome il giusto s'identifica col diritto, o ius, chiaro che nessun diritto positivo.

    3. Il diritto divino non un diritto naturale, essendo esso su-periore alla natura umana. E d'altra parte non positivo: poi-ch non poggia sull'autorit umana, ma sull'autorit divina. Quindi non giusto dividere il diritto in naturale e positivo.

    IN CONTRARIO: Il Filosofo scrive, che ,, del giusto politico, o civile, parte di origine naturale, parte di origine legale n, cio posto dalla legge.

    RISPONDO: Come abbiamo gi notalo, il diritto o il giusto con-siste in un atto adeguato rispetto ad altri secondo una certa ugua-glianza. Ora, una cosa pu essere adeguata a un uomo in due maniere. Primo, in forza della natura di essa: quando uno, p. es., presta una data cosa nell'attesa di riaverla senza variazioni. E questo diritto si chiama naturale. - Secondo, una cosa pu essere adeguata e commisurata a un altro in forza di un accordo, o di una norma comune: e cio quando uno si considera soddi-sfatto di ricevere quel tanto. E questo pu avvenire in due modi. Primo, mediante un accordo privato: come le cose stabilite con un contratto tra persone private. - Secondo, mediante un accordo

    1 Abbiamo tradotto l'espressione aliqualls ratio !urls . norma remota del diritto., perch l'Autore Intende distinguere quest'ultima dalla norma prossima. che Il gludlz10 prudenziale.

    Per la ricostruzione del pensiero medioevale Intorno al problema del di ritto naturale, vedi LOTTIN O., Le drott naturet hez Satnt ThOmas d'Aqutn et ses prdcesseur.v, Bruges, 1931; La lol naturelle depuls le dbut du Xll

  • IL DIRITTO 33

    enim !ex, secundum Isidorum [loco cit. in arg. ], u constitutio scripta u. Et ideo lex non est ipsum ius, proprie loquendo, sed aliqualis ratio iuris.

    Ao TERTIUM DICENDUM quod quia iustitia aequalitatem importat, Deo autem non possumus aequivalens recompensare, inde est quod iustum, secundum perfectam rationem, non possumus reddere Deo. Et propter hoc non dicitur proprie ius lex divina, sed fas: quia videlicet sufficit Deo ut impleamus quod possumus. Iustitia tamen ad hoc tendit ut homo, quantum potest, Deo recompenset, totaliter animam ei subiiciens.

    ARTICULUS 2 t'trum ius convenienter dividatur in ius naturale et ius positivum.

    Infra, q. 60; a. 5 ; 5 Ethtc., lect. 12.

    An SEC!JNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod ius non convenienter rlivido.tur in ius naturale et ius positivum. Illud enim quod est naturale est immutabile, et idem apud omnes. Non autem inve-nitur in rebus humanis aliquid tale: quia omnes regulae iuris humani in aliquibus casibus deficiunt, nec habent suam virtutem u!Jique. Ergo non est aliquod ius naturale.

    2. PRAETEREA, illud dicitur esse positivum quod ex voluntate hu-mana procedit. Sed non ideo aliquid est iustum quia a voluntate humana procedit: alioquin voluntas hominis iniusta esse non pos-set. Ergo, cum iustum sit idem quod ius, videtur quod nullum sit ius positivum.

    !:l. PRAETEREA, ius divinum non est ius naturale: cum excedat naturam humanam. Similiter etiam non est ius positivum: quia non innititur auctoritati humanae, sed auctoritati divinae. Ergo inconvenienter dividitur ius per naturale et positivum.

    SEn CONTRA EST quod Philosophus dicit, in 5 Ethic. [c. 7, lect. 12), quod politici iusti hoc quidem naturale est, hoc autem legale'" idest lege positum.

    HESPONDEo DICENDUM quod, sicut dictum est [a. praec.], ius, sive iustum, est aliquod opus adaequatum alteri secundum aliquem aequalitatis modum. Dupliciter autem potest alicui homini aliquid esse adaequatum. Uno quidem modo, ex ipsa natura rei: puta

    ~um aliquis tantum dat ut tantundem recipiat. Et hoc vocatur ms naturale. - Alio modo aliquid est adaequatum vel commen-s.uratum alteri ex condicto, si ve ex communi placito: quando sci-hcet aliquis reputat se contentum si tantum accipiat. Quod quidem P.otest fieri dupliciter. Uno modo, per aliquod privatum condictum: s1cut. quod firmatur aliquo pacto inter privatas personas. Alio

    ~'jle jusqu' saint Thomas d'Aquin '" in Psychotogl.e et morale aux Xfl et , I stcles, Louvain-Jambloux, 191,s, t. II, pp. 71 ss. . li. magistero della Chiesa contro gll errori moderni, tendenU a ridurre ~l d1r1tto a UD fatto puramente positivo, sia individuale> rhe statale (positivi-. nio e statallsmo giuridico). ha condannato con Plo IX le seguenti proposi-

    ~1~nt, . contenute nel Sillabo ~186t,]: "Il diritto consiste In un fatto materiale, . ut.~1 I 1loveri degli uomini soDo un puro nome, mentre tutto ci che l'uomo ~ on~1e ha valore di diritto.. (D&~z.-s., 2961). "Lo Stato. essendo origine e 011

    dl ognl legge, gode di un diritto illimitato " (DENZ.-S., W3!1).

  • 34 LA SOMMA TEOLOGICA, Il-II, q. 57, aa. 2-3

    pubblico: come quando tutto un popolo ritiene che una data cosa sia da considerarsi adeguata e commisurata per una persona; oppure quando ci ordinato dal principe, cui spetta la cura del popolo, e che ne fa le veci. E questo si chiama diritto positivo.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Ci che naturale per chi ha una natura immutabile necessariamente tale sempre e dovun-que. Ma la natura dell'uomo mutevole. Ecco perch quanto per l'uomo naturale, in certi casi decade. E in forza di una ugua-glianza naturale, p. es., che una cosa depositata sia restituita al proprietario: e se la natura umana fosse sempre retta, ci do-vrebbe essere osservato in tutti i casi. Siccome per talora la vo-lont dell'uomo si deprava, capita il caso in cui non si deve ren-dere il deposito, affinch chi ha la volont perversa non se ne serva malamente: come nel caso in cui richieda le armi deposi-tate un pazzo o un nemico della patria.

    2. La volont umana per un accordo collettivo pu determi-nare il giusto in cose che di suo non sono in contrasto con la giustizia naturale. E in queste si attua il diritto positivo. Il Filo-sofo infatti fa notare, che costituisce il giusto legale "ci che in principio indifferente ad essere in un modo o in un altro: ma una volta stabilito, differente" Se invece una cosa di suo in contrasto col diritto naturale, non pu diventare giusta per vo-lont umana: come se venisse stabilito che lecito rubare, o commettere adulterio. Perci in Isaia si legge: 11 Guai a coloro che fanno delle leggi inique"

    3. E divino quel diritto che stato promulgato da Dio. E que-sto in parte ha per oggetto cose che son giuste per natura, la cui giustizia per ignorata dagli uomini ; e in parte ha per oggetto cose che diventano giuste in forza della legge divina. Perci an-che il diritto divino si distingue in naturale e positivo come quello umano. Infatti nella legge divina ci son cose che sono coman-date perch buone, e proibite perch cattive: ma ce n' altre che son buone perch comandate, e cattive perch proibite.

    ARTICOLO 3 Se il diritto delle genti si identifichi col diritto naturale. 1

    SEMBRA che il diritto delle genti s'identifichi col diritto natu-rale. Infatti :

    1. Tutti gli uomini non concordano tra loro se non in ci che in essi naturale. Ora, tutti gli uomini concordano nel diritto naturale: infatti il Giureconsulto 2 afferma, che "il diritto delle genti quello di cui si servono le nazioni umane" Dunque il diritto delle genti non che il diritto naturale.

    t I morallstt moderni non dnno ormai molta Importanza a questa distin-zione; ma per S. Tommaso e per I suoi contemporanei essa equivale prllsso a poco alla moderna distinzione tra diritto naturale primario e diritto na-turale scrondario. Per essere esatti diciamo che per l'Autore 11 dlrif.to delle genti abbraccia I precetti che con grande facilit sono declottl dall" tntclll-a poco alla morlerna rlistlnzlone tra rllrltto naturale primario f diritto na-turale. appartengono di fatto alla legge positiva. In tutti I casi evidente

  • IL DIRITTO 35

    rnodo, ex condicto publico: puta curo totus populus consentit quod aliquid habeatur quasi adaequat:um et commensuratum alteri; ve\ cum hoc ordinat princeps, qui curam populi habet et eius pcrsonam gerit. Et hoc dicitur ius positivum.

    Av PRIMUM ERGO DICENDUM quod illud quod est naturale habenti naluram immutabilem, oportet quod sit semper et ubique tale. :\atura autem hominis est mutabilis. Et ideo id quod naturale est homini potest aliquando deficere. Sicut naturalem aequalitatem ha!Jet ut deponenti deposiium reddatur: et si ila esset quod na-tura humana semper esset recta, hoc esset semper servandum. serl quia quandoque contingit quod voluntas hominis depravatur, est aliquis casus in quo depositum non est reddendum, ne homo perversam voluntatem habens male eo utatur: ut puta si furiosus vel hostis reipublicae arma deposita reposcat.

    AD SECUNDUM DICENDUM quod voluntas humana ex communi con-lli cto potest aliquid facere iustum in bis quae secundum se non habent aliquam repugnantiam ad naturalem iustitiam. Et in bis babet locum ius posltivum. Unde Philosophus dicit, in 5 Ethic. [loco cit. in arg. S. c.], quod legale iustum est u quod ex principio quidem nihil differt sic vel aliter: quando autem ponitur, differt >1. Sed si aliquid de se repugnantiam habeat ad ius naturale, non potest voluntate humana fieri iustum: puta si statuatur quod li-ceai furari vel adulterium committere. Unde dicitur Isaiae 10, 1: "Vae qui condunt leges iniquas n.

    AD TERTIUM DICENDUM quod ius divinum dicitur quod divinitus promulgatur. Et hoc quidem partim est de bis quae sunt natu-raliter i usta, sed ta.men eorum iustitia homines latet: partim autcm est de bis quae fiunt iusta institutione divina. Unde etiam ius divinum per haec duo distingui potest, sicut et ius humanum. Sunt enim in lege divina quaedam praecepta quia bona, et pro-hibita quia mala: quaedam vero bona quia praecepta, et mala 11uia prohibita.

    ARTICULUS 3 Utrum ius gentium sit idem cum iure naturali.

    I-li, q. 95, a. 4, ad 1 ; 5 Ethtc., lect. 12 .

    .\o TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod ius gentium sit idem cum iure naturali. Non enim omnes homines conveniunt nisi in eo quod est eis naturale. Sed in iure gentium omnes homines conveniunt: dicit enim Iurisconsultus [D. I, 1, de Iustit. et Iure, 1) quod ius gentium est quo gentes humanae utuntur " Ergo ius gentium est ius naturale.

    rhe per l'Autore 11 lrttto delle genlt non s' ldentiflca col diritto internazio-nale positivo del moderni (ctr. vol. XII, pp. 19 s.).

    2 L"anonimo Giureconsulto citato qui e nel corpo dell'articolo Ulplano Do-~i!zlo. come si rile.va dal Digesto. Fu costui consigliere Imperiale sotto Ales-fan!lro Severo, dopo aver ricoperto altre cariche, e mori assasslnato dal pre-.0r1an1 nel 228. Le buone qualit di scrittore contribuirono alla sua !ama ~,traord!narla, e a far si che le sue opere costituissero la base delle Pandette .. ustinlanee.

  • 36 LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 57, a. 3

    2. La schiavit naturale tre. gli uomini: poich alcuni, come il Filosofo dimostra, sono schiavi per natura. Ma a detta di S. Isidoro la schiavil appartiene al diritto delle genti. 1 Perci il diritto delle genti non che il diritto naturale.

    3. Il diritto, come abbiamo dimostrato, si divide in naturale e positivo. Ma il diritto delle genti non positivo: perch le genti non si sono mai radunate tutte insieme per stabilire qualche cose. per comune consenso. Dunque il diritto delle genti un diritto naturale.

    IN CONTRARIO: S. Isidoro afferma, che il diritto o naturale, o civile, o delle genti n. Perci il diritto delle genti si distingue dal diritto naturale.

    RISPONDO: Come abbiamo gi notato, diritto naturale quanto per sua natura adeguato o proporzionato ad un altro. Ora, questa adeguazione pu risultare in due modi. Primo, in forza di una considerazione immediata: il maschio, p. es., propor-zionato per se stesso alla femmina in ordine alla generazione, e i genitori sono in stretto rapporto con i figli in ordine alla nu-trizione. - Secondo, una cosa pu essere proporzionata natural-mente ad un'altra, non per una considerazione immediata della sua natura, ma per qualche conseguenza che ne deriva: ed il caso, p. es., della propriet privata. Se infatti si considera di-rettamente per se stesso un dato terreno, non si vede perch debba appartenere pi a uno che a un altro: ma se si tien conto delle esigenze della coltivazione, e del pacifico 4so di esso, allora si vede, stando alla dimostrazione del Filosofo, che esso fatto per essere posseduto da una persona determinata.

    Ora, percepire immediatamente le cose non appartiene soltanto all'uomo, ma anche agli altri animali. Ecco perch il diritto, che si dice naturale in base al primo dei due modi indicati, co-mune a noi e agli altri animali. Dal diritto naturale n cosi in-teso, come si esprime il Giureconsulto, si distingue il diritto delle genti: perch il primo comune a tutti gli animali, mentre il secondo lo soltanto per gli uomini" Ora, proprio della ragione considerare una cosa in rapporto a quanto da essa de-riva. Perci questo per l'uomo pur sempre naturale in forza della ragione naturale che lo suggerisce. Ecco perch il Giure-consulto Gaio 4 scriveva: "Quanto la ragione naturale ha stabi-lito tra tutti gli uomini, viene osservato presso tutte le genti, ed chiamato diritto delle genti"

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. E cosi risolta anche la prima dif-ficolt.

    2. Considerando le cose per se stesse, non esiste una ragione naturale perch un dato uomo dev'essere schiavo piuttosto che

    i Dalla posizione di Aristotele a quella di S. Isidoro c' gi un progresso rispetto al problema della schiavit, che l'obiclente in funzione dialettica si sforza di negare. Dobbiamo per riconoscere che lo stesso S. Tommaso non aITlvato a ribellarsi a questa innegabile iniquit che l'antico paganesimo tra-smise alla societl!. medioevale cristianizzata.

    2 S. Isidoro in questo caso non ra che allinearsi con I giuristi romani, t quali nel primo titolo del Digesto o Pandette avevano dato questa classifi-cazione.

    Aristotele rivolge la sua critica Inoppugnabile contro le teorie comuni stoldl di Platone, che allora, come sempre, raccoglievano, tra gli eterni scon

  • IL DIRITTO 37

    2. PRAETEREA, servitus inter homines est naturalis: quidam enim sunt naturaliter servi, ut Philosophus probat, in # Polit. [c. 2, Jectt. 3, f.l. Sed servitutes pertinent ad ius gentium, ut Isidorus ilicit [5 Etymol., c. 4). Ergo ius gentium est ins naturale.

    3. PRAETEREA, ius, ut dictum est [a. praec.], dividitur per ius naturale et positivum. Sed ius gentium non est ius positivum: non enirn omnes gentes unquam convenerunt ut ex communi condicto aliquid statuerent. Ergo ius gentium est ius naturale.

    SED coNTRA EST quod Isidorus dicit [loco cit.), quod 11 ius aut na-turale est, aut civile, aut gentium n, Et ita ius gentium distinguitur a iure naturali.

    RESPONDEO DICENDUM quod, sicut dictum est [a. praec.], ius sive iustum naturale est quod ex sui natura est adaequatum vel com-mensuratum alteri. Hoc autem potest contingere dupliciter. Uno modo, secundum absolutam sui considerationem: sicut masculus cx sui ratione babet commensurationem ad feminam ut ex ea ge-nere!, et parens ad filium ut eum nutriat. - Alio modo aliquid est naturaliter alteri commensuratum non secundum absolutam sui rationem, sed secundum aliquid quod ex ipso consequitur: puta proprietas possessionum. Si enim consideretur iste ager abso-lute, non habet unde magis sit huius quam illius: sed si consi-deretur quantum ad opportunitatem colendi et ad pacificum usum agri, secundum boe habet quandam commensurationem ad hoc quod sit unius et non alterius, ut patet per Philosophum, in :.! Polit. [c. 2, lectt. 4, 5).

    Absolute autem apprehendere aliquid non solum convenit bo-rnini, sed etiam aliis animalibus. Et ideo ius quod dicitur naturale secundum primum modum, commune est nobis et aliis animalibus. cc A iure autem naturali sic dicto recedit ius gentium , ut Iu-risconsultus dicit [D., loco cit.]: c1 quia illud omnibus animalibus, hoc solum hominibus inter se commune est n. Considerare autem aliquid comparando ad id quod ex ipso sequitur, est proprium ra-tionis. Et ideo hoc quidem est naturale homini secundum rationem naturalem, quae hoc dictat. Et ideo dicit Gaius iurisconsultus [ibid., 9): Quod naturalis ratio inter omnes homines constituit, id apud omnes gentes custoditur, vocaturque ius gentium ,,,

    Et per hoc patet responsio ad primum. Ao SECUNDUM DICENDUM quod hunc hominem esse servum, e.bso-

    lute considerando, magis quam alium, non habet rationem natu-tenti cittadini di questo mondo, consensi vasti e Irragionevoli. Codesta legge I quella proposta da Platone nella Repubbtl.ca] ha apparentemente del bello e clell 'umano ; perch chi l'ode volentieri la riceve, stimando che con essa debba nascere tra 1 cittadini un'amicizia meravigliosa; specialmente nell'udire 1 rammarichi che oggi atnlggono la vita civile, i quali non vengono addebitati art altra causa. che al non avere i beni In comune: voglio dire le liti, e I

    con~rasli che capitano nel contratti; i giurt.izi provocati o estorti con false testimonianze ; le parzialit commesse a favore dei ricchi. Delle quali cose nessuna dovuta al fatto che l beni non sono In comune; ma alla cattiveria umana " (~ Pout., c. 3). - ~ inutile dire che s. Tommaso condivide perfetta-n;ente ln questo caso le critiche aristoteliche (vedi Infra, q. 66, a. 2, ad 1; r r. 1-11. q. 9t,, a. 5, ad 3).

    4 Giurista romano vissuto tra l due Imperatori Adriano e Commodo. DI lui ~on si conosce la patria e neppure Il nome completo. essendo Gatus soltanto

    Praenomen. La sua opera principale sono i quattro libri di lnstttuttones, ~het Prima del 1818 erano conosciuti solo dal frammenti contenuti nelle Pan-e te.

  • 38 LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 57, aa. 3-4

    un altro: ma ci deriva solo da un vantaggio conseguente, cio dal fatto che utile per costui esser governato da un uomo pi saggio, e per quest'ultimo vantaggioso. Perci la schiavit, che appartiene al diritto delle genti, naturale nel secondo modo, non gi nel primo. 1

    3. Per il fatto che la ragione naturale detta le cose che ap-partengono al diritto delle genti, trattandosi di cose la cui equit quasi immediata, non c' bisogno di una codificazione speciale, ma bastata la ragione naturale a determinarle, come abbiamo visto affermato nel passo riferito.

    AHTICOLO 4 Se si debbano distinguere specificatamente il diritto paterno

    e il diritto padronale.

    SEMBRA che il diritto paterno e il diritto padronale non si deb-bano specificatamente distinguere. Infatti:

    1. La giustizia ha il compito di u rendere a ciascuno il suo 11, come dice S. Ambrogio. Ora, il diritto l'oggetto della giustizia, come sopra abbiamo spiegato. Dunque il diritto appartiene a cia-scuno ugualmente. Perci non si deve distinguere in modo spe-ciale il diritto del padre e del padrone.

    2. Come sopra abbiamo detto, norma del giusto, o del diritto la legge. Ma la legge ha di mira il bene comune di una citt o di un regno, secondo le spiegazioni date in precedenza, e non il bene privato di una persona, o di una famiglia. Quindi non deve esserci uno speciale diritto padronale o paterno: dal mo-mento che padrone e padre si riferiscono entrambi a una casa o famiglia, come dice Aristotele.

    3. Tra gli uomini esistono molte altre differenze di grado : al-cuni, p. es., sono soldati, altri sacerdoti o principi. Perci anche per costoro si deve determinare uno speciale diritto.

    IN CONTRARIO: Il Filosofo distingue espressamente dal diritto politico il diritto padronale, il diritto paterno, e altri diritti del genere.

    1 Questo testo" scrive il P. J. Th. Delos O. P .. va collegato all'ad 1 del l'articolo seguente (a. 4). Entrambi dimostrano come S. Tommaso, che ha ac-cettato una certa giustificazione della schiavit, non sacrifica tuttavia I di-ritti della persona umana. Senza dubbio per S. Tommaso il diritto del pa-drone sullo schiavo pu essere paragonato a un cl1rltto dl propriet: quest'ul-timo Intatti concepito come " quaedam res possessa animata , "possesslo quaedam" {I Poltt., lect. 2) ; Il dominio del padrone non un " domlnium iu-risdlctlonls ", cio un potere ordinato al bene proprio dei soggetti che go-verna; ma un "dominium proprietatis ", o potere di disporre di una cosa che cl appartiene per nostra propria utilit. - Ma se lo schiavo " aliquld domini", come del resto Il ftgllo " aliquid patrls ", ci non Impedisce che egli sia anche un essere sussistente con una flnallt. propria. - Cosl nella Somma come nel Commento alla Poltttca S. Tommaso giustifica la schiavit mediante l'utilit mutua del padrone e del serotL~. "Sono per natura votati al servizio altrui - 11aturaltter servi - coloro per I quali pi vantaggioso esser diretti da. persone pi sagge", coloro l quali .. non possono esser diretti dalla loro ragione, la quale rende l'uomo padrone dl se stesso " (I Pollt., lect. 3). - SI

  • IL DIRITTO

    ralem: sed solum secundum aliquam utilitatem consequentem, inqnantum utile est huic quod regatur a sapientiori, et illi quod nb hoc iuvetur, ut dicitur in 1 Polit. [c. 2, Iect. 4]. Et ideo servi-tus perlinens ad ius gentium est naturalis secundo modo, sed non primo.

    AD TERTIUM DICENDUM quod quia ea quae sunt iuris gentium na-turalis ratio dictat, puta ex propinquo habentia aequitatem; inde est quod non indigent aliqua speciali institutione, sed ipsa na-tura\is ratio ea instituit, ut dictum est in auctoritate inducta Lin fine corp.).

    ARTICULUS 4 Utrum debe.at specialiter distingui ius paternum et dominativum.

    Infra, q. 58, a. 7, ad 3; f Seni., d. 44, q. 2. a. 1; 3, d. 9, q. 1, a. 1, qc. 4; 5 Ethtc., lect. 11.

    AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non debeat specialiter distingui ius paternum et dominativum. Ad iustitiam enim perti-net "reddere unicuique quod suum est, ut dicit Ambrosius, in I De Of!lciis [c. 24). Sed ius est obiectum iustitiae, sicut dictum est [a. 1). Ergo ius ad unumquemque aequaliter pertinet. Et sic non debet distingui specialiter ius patris et domini.

    2. PRAETEREA, ratio iusti est Iex, ut dictum est [ibid., ad 2). Sed !ex respicit commune bonum civitatis et regni, ut supra [I-II, q. 90, a. 2) habitum est