Tommaso d'Aquino - Somma Teologica - 16 II, II, 34-56 Peccati Contro La Carità. La Prudenza

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Ringrazio Zovvo per il testo, l'ho solo reso in più ricercabile, tramite OCR.

Transcript of Tommaso d'Aquino - Somma Teologica - 16 II, II, 34-56 Peccati Contro La Carità. La Prudenza

  • S. TOMMASO D'AQUINO

    LA SOMMA TEOLOGICA

    TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI

    TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

    XVI

    PECCATI CONTRO LA CARIT LA PRUDENZA

    (11-11, qq. 34 - 56)

    CASA EDITRICE ADRIANO SALANI

  • Nihil obstat Fr. Ludovicus Merlini O. P.

    Doctor S. Theologiae

    Fr. Albertus Boccanegra O. P. Lector et Doctor Pbiloaopbiae

    Imprimi potesi Fr. lnnocentioa Coloaio O. P.

    Prior Provincialis S. Marci et Sardiniae Florentiae die VIII Mai MCMLXVI

    IMPRIMATUR F1.esulis die IX Mai MCMLXVI

    t Ali.tonius Epiacopua Paesulanus

    \ , i 'tuTTI I DIRITTI SONO RISERVA TI

    JJfCJULXJTI - Casa .FJditt'ice .Adt~n11 Balani 8.p.A.

    Officine Grafiche Stianti, Sancasciaoo MCMLXVI Printed in haly

  • PECCATI CONTRO LA CARITA (I-Il. qq. 34 - 46)

  • PECCATI CONTRO LA CARITA (li-II, qq. 34 - 46)

    TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE dcl P. Tito S. Centi O. P.

  • INTRODUZIONE

    I - Nella nostra edizione vizi e peccati contro la carit si presentano staccati e smembrati dalla virt corrispondente. :m solo una triste conseguenza dei limiti materiali di spazio im-posti praticamente a tutte le edizioni bilingue della Somma Teologica. Perch nella mente dell'Autore i contrari si richia-mano a vicenda: proprio come avviene con perfetta natura-lezza nella mente di tutti gli uomini. Accanto a ogni virt, in-fatti, egli prende in esame i vizi corrispondenti, secondo il programma tracciato nel prologo della Secunda Secundae.

    Sempre secondo codesto programma, il trattato sulla carit si chiude con uno studio sui precetti relativi a questa virt, e !'ml dono annesso, che il pi sublime: la sapienza (qq. 44, 45), con l'appendice del suo vizio contrario, la stoltezza {q. 46).

    Non crediamo utile per i nostri lettori anticipare qui nell' in-troduzione quanto potranno leggere diffusamente nel testo. Ci limiteremo perci a precisare alcuni problemi, che oggi si pre-sentano parLicolarmente ardui, e sotto certi aspetti erano ignoti all'Autore della Somma Teologica: l'odio di Dio e la guerra.

    I L'odio di Dio e l'ateismo moderno.

    2 - A rendere attuale il primo argomento ai nostri giorni l'apparizione di due fenomeni inquietanti, e tra loro intima-mente connessi: l'ateismo militante e l'ateismo di massa. Qual-cuno forse potrebbe pensare che questi due fatti, e special-mente il secondo, non debbano interessare il nostro tema ;

    P~rc~ l'ateo, negando l'esistenza di Dio, non in condizione d~ rivolgere un sentimento qualsiasi verso di lui. A fil di lo-gica I.a situazione dei negatori di Dio dovrebbe esser questa ; ma d1 fatto l'ateismo di massa si risolve in un atteggiamento

  • 8 PECCATI CONTRO LA CARITA

    pi affettivo che intellettuale, dove l'odio supplisce la man-canza di convinzioni e di ragioni sufficienti.

    L'ateismo contemporaneo, e soprattutto l'ateismo di massa, un fenomeno molto complesso, che impegna seriamente chi voglia conoscerne le origini. Chi lo considerasse una conse-guenza spontanea del progresso tecnico-scientifico mostrerebbe un'ignoranza assoluta della storia europea degli ultimi secoli.

    Anzi, per un giudizio sicuro sulle vicende che hanno con-dotto all'ateismo di massa, bisogna risalire addirittura al-l'epoca del rinascimento, in cui si sono forgiate le prime armi contro la civilt cristiana del nostro occidente. - Non si spiega, p. es., la denunzia marxista della religione come oppio del popolo' senza risalire al Machiavelli che accus il cristiane-simo di avere educato i popoli alla debolezza" e alla sop-portazione (cfr. Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, lib. I, Prol.; lib. II, c. 2).

    Alle brutali accuse dei letterati gli uomini di Chiesa non reagirono sempre con inflessibile energia. E tutti sanno che una repressione saltuaria, anche se crudele, invece di stron-care un sentimento o un'idea, riesce a favore di quest'uUima, dandole l'aureola dell'audacia e del martirio. Quando poi la repressione divenne addirittura irrisoria, come nel secolo XVIII, si ebbe una vera inflazione di audacia blasfema: e fu il secolo dei lumi, del deismo e finalmente dell'ateismo.

    Nel secolo XIX le idee irreligiose dell'illuminismo raggiun-sero larghi strati di persone colte, o di media cultura per me-glio dire, non senza l'apporto organizzativo e manovriero delle sette anticristiane, facenti capo alla massoneria. Negli ultimi decenni del suddetto secolo e nei primi del XX il motivo anti-religioso scendeva decisamente alla conquista delle masse sotto la spinta del socialismo e del comunismo.

    Dire che spontaneo questo processo come dire che spon-taneo lo sviluppo di un'azienda petrolifera. Oggi, in Italia al-meno, l'ateismo di massa si fonda su una propaganda capil-lare, organizzata tecnicamente con larghi mezzi finanziari : per molti dei suoi agenti la rivoluzione ateo-marxista un affare economico in tutto analogo a quello dei produttori di una ditta commerciale. Ma non tutto organizzazione e tecnica propagandistica: tra gli ingranaggi di questo macchinario ma-stodontico, e specialmente al suo centro di propulsione, tro-viamo dei sentimenti, umani o disumani che dir si voglia. E purtroppo in questi ultimi non manca una forte carica anti-religiosa, soprattutto anticristiana. E di questa che vogliamo qui interessarci, per coglierne gli aspetti pi genuini, la cui conoscenza indispensabile per qualsiasi tentativo di ricupero.

    3 - I teologi non hanno molto approfondito le loro indagini sull'odio di Dio. In sostanza siamo rimasti agli articoli della

  • INTRODUZIONE 9

    Somma Teologica. S. Tommaso si chiede (q. 34, a. i) se que-st'odio realmente possibile, perch se consideriamo le cose in astratto non ci pu essere un'assurdit pi inaudita. Dio in-fatti " il bene universale e sotto questo bene rientrano l'an-gelo, l'uomo e ogni altra creatura. Essendo perci ogni crea-t.nra in tutto il suo essere qualcosa di Dio, ne segue che anche nell'ordine di natura l'angelo e l'uomo amino Dio pi di se stessi. Altrimenti.... la dilezione naturale sarebbe perversa '' (I, q. 60, a. 5).

    Ma se dalla sfera del dover essere noi scendiamo alla con-cretezza della realt, vediamo subito che l'odio verso Dio straordinariamente diffuso negli esseri spirituali. S. Tommaso non esita ad affermare che persino nelle pi alte gerarchie an-geliche ci sono state delle defezioni, e quindi dei dannati che per tutta l'eternit odiano Dio (I, q. 63, a. 9, ad 3).

    Chi ha dimestichezza col trattato tomistico sugli angeli sa bene come sia difficile spiegare il peccato di queste creature del tutto spirituali, e perfettamente intelligenti. Tuttavia una possibilit fisica" dello stesso peccato di odio sussiste anche in esse, perch non godono la visione dell'essenza divina. Dio in se stesso, essendo la bont infinita, non pu essere oggetto di odio ; " ma quelli che non lo vedono nella sua essenza, lo conoscono attraverso effetti particolari, che talvolta sono in contrasto con la loro volont" (I, q. 60, a. 5, ad 5).

    Anche per l'uomo l'odio di Dio materialmente possibile per questo motivo fondamentale: perch non lo conosciamo nella sua essenza, bens in certi suoi effetti che contrastano con la volont pervertita dal peccato. L'adultero, p. es., odia Dio in quanto odia il precetto Non commettere adulterio. E cos tutti i peccatori, in quanto si rifiutano di sottostare alla legge di Dio, sono nemici di Dio,, (In ad Rom., c. 8, lect. 2).

    4 - Per ben chiarire il problema dobbiamo distinguere net-tamente a questo punto due tipi di odio verso Dio: a) l'odio di abominazione; b) l'odio d'inimicizia. Il primo, che consiste nel senso di fastidio o di insofferenza verso una data persona, implicito in ogni peccato mortale. Di suo l'abominazione non diretta contro la persona per se stessa, ma per certe sue doti o qualit. Per lo pi il peccatore si contenterebbe di una certa condiscendenza da parte di Dio verso le proprie colpe. L'odio d'inimicizia invece si volge direttamente contro la divinit, pur essendo motivato da certi suoi effetti, o da certi attributi. E l'odio di cui 'formalmente stiamo trattando.

    I teologi ne hanno parlato meno forse del Vangelo stesso, P_reo?cupati di rispettare con assoluto rigore la distinzione sur-nfenta. Ma, nota giustamente a questo proposito il celebre D. Banez: Da principio i peccatori, amando se stessi con amore di concupiscenza, e volendo delle cose che sono con-

  • 10 PECCATI CONTRO LA CARIT trarie alla legge di Dio, hanno in odio in qualche modo la legge, e per partecipazione il legislatore: il che si riscontra in qualsiasi peccato mortale. Dopo per, crescendo l'affetto per i beni sensibili, prendono in odio espressamente la legge e il legislatore come tale, e allora codesto odio un peccato speciale. E finalmente arrivano a odiare Dio per se stesso come termine della loro malevolenza (Sclwlastica Commentaria in li-li Anqelici Doctoris, Salmanticae, 1586, col. 1294).

    Questi trapassi son pi facili di quanto si creda in coloro rhe vivono abitualmente nella colpa. Ecco perch il SignorP nel Vangelo ha parlato dell'odio contro Dio come di un peccato niente affatto peregrino: " Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo ame-rebbe ci che suo .... Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto tra loro opere che nessun altro mai fece, sarebbero senza colpa; ma ora, anche dopo averle vedute, hanno odiato me e il Padre mio. Ma ci avvenuto affinch si adempisse la parola scritta nella Legge: "Mi odiarono senza ragione" (Giov. 15, 18-25).

    E interessante il commento che il Dottore Angelico fa se-guire a codesto brano evangelico. Prima di tutto notiamo che egli non si limita alla questione astratta se possibile l'odio verso Dio, ma in concreto si domanda in che modo i Giudei potevano odiare il Padre, di cui non avevano la diretta e vera conoscenza. Al quesito risponde, con S. Agostino, rhe "si pu amare e odiare una persona che non si mai vista, e che realmente non si conosce, fondandosi sulla fama che ne dice bene o male (In loann., c. 15, lect. 5).

    Ma l'osservazione pit importante quella relativa ali' in-tima connessione riscontrabile tra l'odio di Dio e lincredulit. Considerando le cose in astratto, potrebbe sembrare che il peccato pi grave, l'odio verso Dio, debba essere all'ultimo posto, come l'estremo limite cui pu giungere l'umana mali-zia. Invece S. Tommaso vede in esso la radice dell'incredulit che meno grave per l'intrinseca cattiveria, ma pi irrepa-rabile: " Qui [il Signore] mostra da quale radice derivasse il loro peccato d'incredulit: cio dall'odio, che loro impediva di credere alle opere che vedevano.

    E non si lratta, ben inteso, di una dipendenza occasionale P sporadica, bens ordinaria, come potremmo accertare e docu-mentare ampiamente attraverso gli sviluppi dell'ateismo mo-derno, senza dimenticare che i moti psicologici non si susse-guono con la costanza delle deduzioni algebriche. Inoltre va ricordato che l'odium Dei che precede l'incredulit non sem-pre l'odio "d'inimicizia ; perch la sola insofferenza verso la legge morale (odiurn abominationis) basta a provocare i primi moti cl' incredulit o addirittura l'incredulit medesima.

  • INTHODUZIONE 11

    Qualcuno potrebbe obiettare che nel caso dell'ateismo non \'iene compromessa soltanto la fede, ma anche la ragionevo-lezza di un uomo; perch l'esistenza di Dio, oggettivamente almeno una verit di ordine naturale. Perci la semplice

    insoffer~nza che pu mettere in crisi la fede cristiana, la quale si fonda sulla rivelazione dei divini misteri, non sembra suffi-ciente a distruggere la convinzione profonda dell'esistenza di Dio fondata sulla ragione umana.

    s'. Tommaso risponde che la negazione del Dio della rivela-zione negazione sic et simpliciter di Dio, perch l'unico vero Uio precisamente quello della rivelazione (cfr. In Psalm., ps. 13; li-li, q. iO, a. 3).

    Come abbiamo accennato, questa osservazione suffragata dalla esperienza: la storia infatti dell'ateismo moderno dimo-stra che dalla negazione della religione positiva si giunge pre-sto all'espulsione di Dio, nonostante ogni sforzo per rimanere ancorati al deismo naturalistico (cfr. FABRO C., Introduzione all'ateismo moderno, Roma, 1964).

    6 - In questo momento a noi interessa precisare il contributo dell'odio verso Dio in questo processo storico, e pi ancora nelle varie forme di ateismo che offre il mondo contempora-neo. Tra queste ne emergono due ben differenziate, che po-tranno servirci per lo meno come schemi approssimativi: l'atei-smo di massa, o ateismo volgare, e l'ateismo personalistico dei filosofi o degli uomini di scienza.

    Sull'ateismo di massa influiscono molti fattori di ordine tecnico: la dissipazione quotidiana del lavoro collettivo e delle tecniche pubblicitarie che rende la vita impersonale; la con-quista in atto del benessere economico; la cultura mediocre e divulgativa, priva di senso critico e di profondit. Ma su que-f>ti fattori tecnici giuocano motivi di carattere affettivo: lo spettacolo e l'avvenimento politico non solo dissipano, ma pro-vocano reazioni di massa abilmente orchestrate; il benessere materiale nei suoi elementi frammentari occupa e preoccupa al punto da escludere abitualmente preoccupazioni di ordine superiore ; nella cultura media sono immessi sistematicamente elementi incompatibili con una visione religiosa o cristiana del mondo. Le reazioni negative che tutto ci in grado di provo-care vengono promosse ad arte dalla propaganda atea del marxismo. Sono ben noti nelle grandi linee questi sistemi d' in-dottrinamento: a) si cerca di esasperare il marasma passionale delle masse giovanili accentuando cos il disgusto e l' insoffe-renza per ogni remora morale e per la religione che la rappre-senta; b) si riduce la zona d'interesse vitale ai soli problemi d'indole economica o temporale, respingendo le prospettive ultraterrene nel mondo dell'ipotesi, del mito, o dei sogni ; e) in un secondo tempo s'insiste a presentare queste "evasioni"

  • 12 PECCATI CONTRO LA CARIT

    come abili manovre dello sfruttamento capitalista, cos da provocare sentimenti di diffidenza verso la religione e i suoi rappresentanti; d) all'occorrenza si scatenano campagne di odio contro il clero, che travolgono di prepotenza gli ultimi legami affettivi e pratici con la religione.

    In tutto questo processo l'odio verso Dio ha un peso deter-minante. Infatti, come abbiamo accennato, in ogni colpa c' gi implicito l'odio di abominazione. Dall'attaccamento ai beni terreni, nota S. Tommaso, nasce l'accidia, cio il disgusto dei beni spirituali, la quale a sua volta provoca il rancore verso le persone spirituali e i beni che esse promuovono (cfr. q. 35, a. 4, ad 2). - Ma tale rancore si concreta in atti di vera inimicizia, quando un uomo nella sua pretesa evoluzione verso l' indipen-denza pi spregiudicata si abbandona coscientemente alla be-stemmia. Di suo, dicono i moralisti, la bestemmia pu avve-nire anche per puro sfogo d'ira verso il prossimo, che nelle persone pi volgari pu anche non raggiungere la gravit di un peccato mortale. Ma nel giovane che inizia codesta abitu-dine, per provare a se stesso e ad altri la propria emancipa-zione, essa un gesto inqualificabile di odio, e di disprezzo verso la divinit. Oppure si tratta di una suprema vigliacche-ria, quando si compie non di proprio arbitrio, bens per asse-condare o sfidare la malizia altrui.

    In certi paesi la bestemmia costituisce ormai un'abitudine di massa, perch si costituito un legame psicologico tra l'ira e il disprezzo delle cose sante. Anzi in molti casi si riscontra un legame tra la bestemmia e qualsiasi stato emotivo, come se si trattasse di un'esclamazione insostituibile. Ed proprio que-st'abitudine che talora rende quasi innocua la bestemmia per il sentimento religioso del popolo. Ma insistere in queste usanze dopo aver preso coscienza della loro gravit non senza una carica di odio e di disprezzo. - S. Tommaso ci ricorda che l'ira, pur non identificandosi con l'odio, un incentivo ovvero un sentimento che predispone all'odio (q. 34, a. 6, ad 3).

    Perci non da meravigliarsi che in questi paesi, dove per lunga tradizione familiare imperversa la bestemmia, l'ateismo di massa abbia trovato un terreno fertilissimo. Ma l'ateismo che ne derivato risente gravemente delle sue origini emo-tive. Pi che di convinzioni codesto atteggiamento irreligioso si alimenta di una carica puerile di rancore verso Dio, e so-prattutto verso le persone o le istituzioni che lo rappresentano. Pi che negazione convinta negazione blasfema della divi-nit: odio spesso incosciente verso una realt che non si co-nosce neppure in maniera approssimativa. Ed proprio co-desto odio a dar corpo e consistenza a una "fede nell'ateismo, com' l'amore incipiente verso Dio a giustificare psicologica-mente l'atto di fede soprannaturale.

  • INTRODUZIONE 13

    7 - Nell'ateismo personalistico dei filosofi, degli scienziati e dci letterati la carica emotiva potrebbe sembrare del tutto ine-sistente, stando all'analisi oggettiva di certe dichiarazioni. Lo .;:cienziato positivista che respinge il problema stesso della ;. causa del mondo,, (cfr. RusSELL B., Perch non sono cri-stiano, Milano, 1959, p. 193), potr essere accusato forse di commettere un suicidio intellettuale ; ma non sembra che possa essere accusato di odio verso Dio e verso la religione. Per basta sollevare questo velo sottile di preteso agnosticismo, per vedere in codesti portatori della cultura le tare del fanatismo antireligioso. Si osservi, p. es., il giudizio "storico,, seguente: " II cristianesimo, cos com' organizzato, stato ed tuttora il pi grande nemico del progresso morale del mondo,, (ibid., p. 26). Senza una carica emotiva giudizi come questo non si giustificano.

    Non parliamo poi dei letterati, che, lungi dal nascondere, esasperano i loro sentimenti. L'odio e il disprezzo di Dio sono stati cantati in tutti i toni da certa letteratura contemporanea (cfr. SoMMAVILLA G., Incognite religiose della letteratura con-temporanea, Milano, 1963, pp. 113 ss.). Non qui il caso di esa-minal'e le singole esperienze. Notiamo soltanto che in questi canti e in questo bestemmie ritroviamo gli stessi sentimenti ri-scontrati nella massa. " Ma gi si sa che la bestemmia spesso non che un modo per imputare a Dio il male che egli permette, allo scopo di non dover imputare a se stessi il male che Dio 1noibisce" (SOMMAVILLA, op. cit., p. 351). - Notiamo con S. Tommaso che la stoltezza, cos evidente nell'atteggiamento rti tanti letterati, deriva per lo pi dalla lussuria (cfr. q. 46, a. 3; q. 153, a. 5).

    8 - Pi complesso invece l'ateismo dei filosofi, i quali svi-luppano in maniera coerente dei principi da cui logicamentc sembra derivare l'espulsione di Dio. A detta del P. Cornelio Fabro, questa sembra essere la triste sorte della filosofia im-manentista (cfr. op. cit., pp. 19ss.; 921ss.). Ma posta una pos-sibilit di questo genere, si ripropone sotto una luce nuova un problema connesso con quello che noi stiamo studiando. E possibile un ateo in buona fede? Il quesito si pu porre an-che per l'ateismo volgare, o di massa; ma solo nel caso del-1 ',a~eo razionalmente convinto sembra avere una soluzione po-sitiva. Ecco in proposito la conclusione del P. Fabro: "Pu e.ssere quindi, pu accadere, che l'ambiente in cui si trova

    ~ uon.10 e l'educazione ch'egli riceve lo portino ad assorbire il. Pri.ncipio d'immanenza e a svolgerlo fino a coglierne l' ine-vitabile istanza atea ed a riposare in essa" per qualche tempo". Ma non per sempre. Egli vive in un mondo storico qualificato e " dev~" chiedersi anzitutto perch mai fino alla comparsa del cogito non era ateo ; e poi perch ancora dopo la comparsa

  • 14 PECCATI CONTRO LA CARITA

    del cogito altri filosofi impugnano il principio d'immanenza come intrinsecamente insignificante e contraddittorio; inoltre perch alcuni filosofi, proprio per sfuggire al vuoto di essere del principio ' immanenza, sono ritornati e ritornano al prin-cipio metafisico .... ben consci che ci va contro la logica dcl principio dell'immanenza ma in conformit per della "esi-genza del fondamento". La buona fede "atea" pertanto, se e' stata o se ci pu essere all'inizio come effetto di ambiente e di educazione, non pu e non deve rimanere molto a lungo e per tutta la vita; ci vale non soltanto perch non si pu ammettere che Dio non abbia dato all'uomo i principi suffi-cienti per poterlo trovare ed avere una certezza valida della sua esistenza, ma anche perch non si pu ammettere che l'uomo sia incapace di trovare il fondamento della verit,, (op. cit., p. 37).

    Dobbiamo tener presente che nella concretezza storica rien-tra anche la vita affettiva e umana del filosofo in tutta la sua complessit. Non normale che un uomo possa respingere il sentimento religioso con i soli postulati della ragione: quel sentimento viene coartato e annullato da sentimenti contra-stanti. L'intelligenza nell'uomo non si esercita mai allo stato puro, soprattutto quando tratta di problemi che interessano i destini supremi individuali e sociali.

    A parte questa considerazione pregiudiziale, nell'atto pratico vediamo bene dal comportamento dei filosofi lintervento inop-pugnabile dei loro sentimenti nell'affermazione dell'ateismo. " Tanto per Hegel quanto per Fichte abbiamo potuto dimo-strare'" scrive G. Siegmund, u che il loro idealismo - il quale ha una portata cos decisa su tutto quanto l'ateismo moderno -si fonda su una decisione volontaria preliminare peculiare, a ca1attere volontaristico, presa in favore della libert assoluta dell'uomo e contro una personalit assoluta e predominante di Dio. Essa rappresenta la ybris, la superbia, come dichiara senza ambagi Nietzsche (Storia e diagnosi dell'ateismo, Roma, 1960, p. 550).

    Ora, la superbia non un coefficiente della sapienza, ma conduce alla stoltezza: " Chi d'animo superbo ed orgoglioso viene chiamato stolto, perch con la superbia l'uomo passa i limiti della ragione; mentre l'umilt prepara le vie della sa-pienza, secondo il detto dei Proverbi [ii, 2]: "Ubi umilitas, ibi sapientia" (In lob, c. 5, lect. 1). E la stoltezza, come nota lo stesso S. Tommaso, ha un legame intimo con l'odio verso Dio: E proprio della stoltezza far sentire il disgusto di Dio e dei suoi doni. Ecco perch S. Gregorio enumera tra le figlie della lussuria due cose che si riducono alla stoltezza, e cio l'odio di Dio, e la disperazione del secolo futuro (q. 4.6, a. 3, ad 1).

  • INTRODUZIONE 15

    Alcuni scrittori cattolici insistono molto oggi nello scusare gli atei delle loro bordate di odio contro Dio e contro la reli-gione, affermando che molte volte essi non hanno dell'uno e cell'altra che delle idee deformate, le quali in buona parte di-pendono dalla falsa religiosit di tanta gente di Chiesa. - Pur riconoscendo in questa osservazione qualche cosa di vero, non possiamo accettarla senza riserve. cc E un errore far ricadere ogni avversione alla religione, a Cristo e alla Chiesa, sulle de-ficienze della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Vi sono, certo, delle colpe. Ma oggi una vera mania in alcuni mettere a conto della Chiesa ogni ostilit contro Dio. E venuto al mondo Cri-sto, la santit, la sapienza, la bont in persona; in Lui ha preso forma la santit e la benignit di Dio verso l'uomo; e tuttavia, proprio contro di Lui si accanito l'odio dei nemici di Dio, appunto perch nemici e odiatori del Padre Celeste [Giov. i5, .24]. Come la venuta di Cristo ha fatto divampare tutta la mal-vagit del peccato [cfr. Giov. 15, 22), cos anche la venuta clello Spirito Santo, Spirito di amore, sveler il peccato nella sua forma peggiore (nella miscredenza e nell'odio di Dio) [cfr. Giov. 16, 8 s.]: "Egli convincer il mondo del suo peccato",, (HARJNG B., La legge di Cristo, Il, p. 81).

    R inutile dire che l'odio contro Dio derivante dalla superbia costituisce il pi grave di tutti i pecca.ii: l'odi:.> d'inimicizia, che proviene dal diabolico proposito di sostituirsi alla divi-nit nell'ordine della causa finale. Invece l'odio volgare del-l'ateismo di massa per lo pi rimane un odio di abominazione. Si parla oggi di ateismo re positivo o cc costruttivo" per in-dicare in sostanza questo tentativo di sublimare i valori umani e temporali per innalzarli alla sfera rlell' Assoluto. Ma in realt non c' niente di pi distruttivo; perch con la negazione del Dio personale tutto irreparabilmente compromesso: immor-talit e felicit come prospettiva per il futuro, libert e dignit umana per il presente. Al deprecato timor di Dio subentra la vigliaccheria, cio la paura degli uomini sotto tutte le forme: dal rispetto umano al conformismo letterario e filosofico, dal-! 'opportunismo politico alla rinunzia positiva di ogni elemen-tfl.re libert. La negazione di Dio si risolve cosi nell'alienaziom~ dt>ll'uomo.

    II La guerra.

    10 - I teologi, mentre parlano ben poco dell'odio vc~rso Dio, h~nno parlato fin troppo, si direbbe, di quella massiceia ma-n.1festazione dell'odio contro il prossimo che la guerra. Spe-cialmente dalla prima met di questo secolo i loro scritti in pro-

  • 16 PECCATI CONTRO LA CARITA

    posito sono cos numerosi da rendere difficile una cernita. Ci limitiamo qui a ricapitolare brevemente il pensiero di S. Tom-maso sull'argomento, e ad affrontare quegli aspetti nuovi della guerra che egli non poteva conoscere.

    Il problema che c'interessa stato trattato organicamente dall'Aquinate una volta sola nelle sue opere: l'unica questione rledicata alla guerra quella della Somma Teologica, Il-li, q. 40. E di tutta la questione l'unico articolo d' intere!"se generale sull'argomento il primo: '" Utrum bellare semper sit pecca-tum . Non esistono luoghi paralleli veri e propri.

    Non sarebbe per un lettore molto accorto colui che trascu-rasse il contesto in cui il problema inserito. L'Autore della Somma parla della guerra, che anche una violazione della giustizia, nel trattato della carit. L'osservazione molto im-portante per comprendere le sue prospettive e le sue conclu-sioni. Serve inoltre a meraviglia tale rilievo, per integrare il pensiero dell'Autore con le pericopi logicamente connesse con gli altri vizi contrari alla carit (odio-invidia), e in modo spe-ciale contro la pace (discordia e contesa: qq. 37, 38). Dobbiamo lamentare che i moralisti e i commentatori non si siano fer-mati a considerare i rapporti esistenti tra la guerra e lo scan-dalo: eppure anche questi legami sono innegabili, l dove si discute se siamo tenuti alla rinunzia di beni spirituali e tem-porali per evitare disordini e scandalo, cio per non dare ad altri occasione di peccato (q. 43, aa. 7, 8). Sappiamo infatti che la guerra si presenta come un'occasione spaventosa di peccati gravissimi. S. Tommaso cos risponde all'obbiezione di chi vede nella pace stessa occasioni di peccato: "La pace dello stato di suo cosa buona, e non resa cattiva dal fatto che alcuni ne abusano. Ci sono infatti molti altri che ne usano bene; e d'altra parte con essa si evitano omicidi e sacrilegi, cio mali assai peggiori di quelli cui essa pu dare occasione, quali sono appunto i vizi della carne (q. i23, a. 5, ad 3).

    Tutti questi legami della guerra con altri vizi consimili non sono percepibili, se noi la consideriamo sotto l'aspetto della giustizia. E i commentatori purtroppo non li hanno posti in evidenza, perch specialmente dal secolo XVI in poi hanno con-siderato la guerra nel quadro di una virt naturale, qual' appunto la giustizia, in cui essa si pu presentare come un diritto.

    Speriamo che nessuno fraintenda la nostra osservazione: non intendiamo negare affatto la legittimit di una considerazione meno teologica della guerra; ma rileviamo che S. Tommaso l'ha inquadrata in una visuale diversa, cio in una prospettiva evangelica. Considerandola come atto contrario alla carit cri-stiana, egli non esamina formalmente la possibilit di un di-ritto alla guerra; ma parte dal presupposto che essa essen-

  • INTRODUZIONE 17

    zialmente deprecabile, ed peccaminosa da parte di colui che ne assume moralmente la diretta responsabilit. Ci posto, nasce per il teologo il problema se esistano dei casi in cui sia Jrcito e doveroso impugnare le armi anche per un cristiano, al quale comandato di amare persino i suoi nemici.

    11 - Se non teniamo presente questa presupposizione, pu destare meraviglia il tono del primo articolo ricordato della q. 40: pu sembrare che l'Autore parta dal proposito di giu-sLificare la guerra. Invece si tratta solo di sapere se i mansueti discepoli di Cristo abbiano in certi casi il dovere di combat-1.el'e ; e se il mestiere delle armi, in una societ mal compagi-nata dalla prepotenza, sia lecito a un cristiano. Il problema, poslo in questi termini, antico, come si sa, quanto il cristia-nesimo. S. Tommaso si richiama espressamente a S.-Agostino, che ha avuto il merito di affrontarlo nella sua sostanziale com-11lessit, senza indulgere a facili estremismi. L'Aquinate non fa che riepilogarne l'insegnamento in maniera sistematica, po-nrndo tre condizioni fondamentali per la liceit della guerra da parte di coloro che vi sono ingiustamente costretti: a) l'au-torit legittima che la dichiari (l'autorit suprema dello stato) ; li) la giusta causa, ossia un motivo proporzionatamente grave ; r) la retta intenzione, cio la prosecuzione di un bene morale universalmente valido, o l'espulsione di un male dello stesso genere {cfr. q. 40, a. 1).

    Nonostante la brevit della sua esposizione S. Tommaso ha avuto un influsso grandissimo sui teologi e sui giuristi cri-stiani posteriori che hanno trattato il problema della guerra: l'. De Vitoria e F. Suarez, che in questo campo sono considerati i fonctatori del diritto internazionale, si richiamano costante-mente ai suoi principii. Non giusto per ridurre il nostro intel'esse all'articolo citato della Somma Teologica, come han fatto questi ed altri studiosi dei secoli XVI-XIX: il tema va ri-portato nel suo contesto, non solo per assumere il suo signi-fieato genuino; ma anche per eventuali ampliamenti e per riallacciarvi qualsiasi tentativo di risolvere con la dottrina to-mistica i problemi del nostro tempo.

    12 - Come quasi tutti i mortali, S. Tommaso ha imparato n conoscere il problema della guerra prima dalla vita che dai libri. Nel mezzo secolo in cui visse (1225-12711) l'Europa fu scossa e travagliata da continue guerre: guerra tra il papato e \'impero, che dur quasi ininterrottamente dal 1227 al 1250; si. chiuse l'epoca delle crociate con la disastrosa fine del regno

  • 18 PECCATI CONTRO LA CARITA

    ventoso flagello dell'invasione dei mongoli, che si spinse fino alle rive dell'Adriatico. Nato da una famiglia di nobili feuda-tari, e ascrittosi giovanissimo a un Ordine di carattere inter-nazionale come quello domenicano, fu interessato a molte di queste vicende anche per le loro ripercussioni sui propri fa-miliari e sui propri confratelli.

    Ma nella sua questione sulla guerra si cercherebbe invano un accenno al momento storico in cui fu scritta. L'unico indizio cronologico lo riscontriamo nell'aperta condanna dei tornei ca-vallereschi dell'epoca, contro i qual i quasi inutilmente si ac-canirono le censure ecclesiastiche (cfr. q. 40, a. i, ad 4).

    Nel trattato sulla giustizia emerge un 'altra indicazione cro-nologica, l dove si giustifica l'uso medioevale (e non solo me-dioevale) del saccheggio di guerra (cfr. q. 66, a. 8, ad i). - Non si pu portare questa pericope, che ripugna alla nostra sensi-bilit moderna, come pretesto per svalutare le conclusioni del-l'Aquinate sulla guerra; perch si tratta di un aspetto affatto marginale. La condotta di guerra segue, purtroppo solo for-malmente del resto, la lenta evoluzione del costume sociale.

    13 - Torniamo dunque ad inquadrare la questione nel con-testo del trattato, per coglierne gli elementi essenziali e riso-lutivi. Pi che al modo di condurre la guerra bisogna rivol-gere l'attenzione alle cause che possono provocarla. S. Tom-maso ci ricorda che le guerre, come tutte le inimicizie, na-scono dall'odio {q. 3lt), e l'odio verso il prossimo nasce dal-1' invidia {q. 36). Perci il sincero amor di pace si dimostra non con le dichiarazioni vaghe di pacifismo, bens con la con-danna di questi sentimenti deleteri per le sorti dell'umanit. In tale prospettiva facile scorgere l'ipocrisia del comunismo internazionale, p. es., che pretende di presentarsi alle masse come promotore di pace, mentre con tutti i mezzi cerca di acuire la lotta di classe e di scatenare campagne di xenofobia nei paesi sottosviluppati.

    Inoltre S. Tommaso ci dice implicitamente che la guerra ini-zia, prima ancora del ricorso alle armi, con quegli atti che sono anch'essi contrari alla pace: cio con la discordia {q. 37) e la contesa (q. 38). Egli parla di queste cose con assoluta pro-priet di linguaggio. Invece i nostri contemporanei preferi-scono odiare, fomentare discordie e contendere, senza ricorrere a queste chiare parole del dizionario; anche se i clamori delle loro contese e discordie sono cos forti da far coniare l'espres-sione di "guerra fredda. Quello che ci rende perplessi non il fatto che queste cose avvengano, ma che non si considerino abbastanza nocive, come se non costituissero autentiche ini-quit e non fossero i veri prodromi di una guerra futura. Ci si preoccupa molto di pi, p. es., degli armamenti, come se le armi potessero funzionare per un certo automatismo e non piut-

  • INTRODUZIONE 19

    tosf.o perch impugnate da esseri umani spinti dall'odio, dal rancore e dall'invidia.

    Per l'abitudine di considerare le cose materialmente oggi si ra molto caso alla distinzione tra guerra offensiva e difensiva, ron l'idea di poter scorgere a colpo sicuro chi l'ingiusto ag-p.ressore, mentre pu darsi che l'aggressore sia stato aggre-dito da gravi ingiustizie. S. Tommaso non conosce altra di-stinzione che quella formale, tra guerra giusta e guerra in-giusta. Per il fatto che all'atto pratico non si sa quasi mai da t:he parte penda la bilancia della giustizia, un moralista non pu rinunciare a tale distinzione che l'unica degna d' inte-ressarlo.

    14 - Abbiamo gi ricordato quali sono per S. Tommaso i requisiti per una guerra giusta; che naturalmente potr es-ser tale solo da parte di uno dei belligeranti, non da entrambe le parti. Ecco come uno studioso moderno tenta di allargare, con le precisazioni successive dei moralisti, questo discorso, aggiungendovi le perplessit dei nostri contemporanei: 11 Fino ad oggi, i teologi rassicuravano le coscienze con la teoria della "gnP1Ta giusta". Non si pu affermare che essa sia diventata del tutto accademica: un certo valore lo conserva ancora. Ma mentre un tempo gli avversari - che erano simultaneamente giudici e parti in causa - l'interpretavano ciascuno a modo suo Jll'l' giustifkare la propria posizione, oggi anzich rasserenarle, l'Ssa turba le coscienze e le mette in crisi: le condizioni perch una guerra sia "giusta" si verificano in maniera cos vaga e cos parziale per i combattenti di tutt'e due i campi, che, se non hanno perduto il ben dell'intelletto, essi dovrebbero avere una bella dose d' ipocl'isia per considerarsi difensori della giusti-zia quando seminano intorno a s la morte. Basta appena enun-ciarle, queste condizioni, per avvertire quanto siano tragicamen-te ridicole dopo tutto quel che si sa sul vero volto della guerra totale. Esse sono: 1) che la causa sia giusta; 2) che l' inten-zione si conservi retta lungo tutto il co1so delle ostilit; 3) che la guerra sia veramente l'estrema risorsa, dopo aver impiegato

    ~utti i mezzi pacifici ; 4) che i mezzi bellici siano giusti; 5) che Il_ bene previsto come legittimo risultato della guerra sia mag-g~ore,_ per l'umanit, dei mali che ne deriveranno; 6) che la nltona sia cerla; 7) che la stipulazione della pace sia giusta e lf!-le da evitare un nuovo conflitto a1mato. La penultima condi-zione senza dubbio contestabile. Ma si considerino tutte le altre. Da una parte, indiscutibile che una guerra non pu Yeramente esser "giusta" se non si conforma ad esse. Dall'al-lra, fuori dubbio che anche se nel passato sono state talvolta osservate con una certa rigorosit, - lo vedremo soltanto nel Giu?izio universale - ci accadr per sempre pi raramente nell avvenire. Per essere "giusta", la guerra dovr svolgersi

  • 20 PECCATI CONTRO LA CARITA

    in un ambito strettissimamente delimitato: qualcosa di para-gonabile ad una grossa operazione di polizia. Basterebbe la sola clausola dell'" estrema risorsa" - a meno che non si tratti di resistere a un attacco - per diminuire il numero delle guerre "giuste": quanti organismi internazionali, quanti mezzi d'ar-bitrato esistono oggigiorno !

    Proprio perch queste clausole appaiono fuori della realt, noi siamo obbligati in coscienza a custodirle decisamente, a prenderle molto sul serio: lungi dall'essere condannate da que-sta non-concordanza con la realt, son esse a condannare il mondo cos com' (REGAMEY P., Non-violenza e coscienza cri-stiana, Roma, 1962, pp. 357-358).

    Forse non tutti i pensatori cattolici accettano ogni pericope del testo riferito, che calca le tinte in senso pacifista, essi per sono unanimi oggi nel sottoscrivere il n. 192 del Codice Sociale proposto dall'Unione Internazionale di Studi Sociali: La guerra non giusta se non quando si tratti di sostenere il di-ritto con la forza. Essa non legittima se non quando vi sia stata violazione di un diritto, e tutti gli altri mezzi di ristabilire il diritto violato siano riusciti vani. La guerra dev'essere un mezzo efficace per conseguire il fine che la giustifica, cio il ristabilimento dell'ordine. Essa dev'esser condotta con modera-zione.

    Per condannare questo punto di vista bisognerebbe dimo-strare che son veri i presupposti del pacifismo, o del fatalismo storicista cui si oppone recisamente. Quest'ultimo, ch' l'er-rore dei fautori della guerra, nel nostro tempo ha preso l'aspetto di un'applicazione del principio darwinista della lotta per la vita. Esso non merita neppure una confutazione ; perch prin-cipalmente contro di esso valgono le parole di Pio XII: "Dal gigantesco vortice di errori e di movimenti anticristiani sono maturati frutti tanto amari da costituire una condanna, la cui efficacia supera ogni confutazione teorica" (Settembre 1940).

    15 - Per quanto riguarda il pacifismo il discorso pi com-plesso. Ci limitiamo qui a ricordare i capisaldi di questa dot-trina, come in genere vengono presentati dagli obbiettori di coscienza: " Sotto l'aspetto religioso, si osserva che l'uso della forza, e conseguentemente anche la guerra, contrario al pre-cetto divino della non resistenza al male, della carit verso il prossimo e allo spirito di mitezza, che pervade il Discorso della montagna, nel quale racchiusa la pi squisita essenza del cristianesimo. Inoltre esiste il V comandamento non ammaz-zare, che tanto l'individuo quanto lo Stato sono chiamati ad osservare. A confortare queste posizioni viene invocata la tra-dizione della Chiesa primitiva, la quale sarebbe stata contraria al servizio militare, e si citano, come rappresentanti di tale tradizione, Tertulliano, Lattanzio e Origene con qualche caso

  • INTRODUZIONE 21

    di renitenza militare dei cristiani .... Tanto pi, si aggiunge, che la guerra moderna, a causa degli immensi mali che pro-duce e della loro sproporzione con il diritto che con essa s' in-lenderebbe difendere, deve riputarsi in ogni caso ingiusta .... ,, i :\lEsSINEO A., "Obiezione di coscienza, in Enc. Catt., vol. IX, col. 18).

    Sebbene non manchino ai nostri giorni scrittori cattolici fa-\'Orevoli a queste dottrine, rimane sostanzialmente valida la tesi tradizionale che le condanna; perch l'uso della forza -per quanto deprecabile - in una societ umana com' possi-hi lc dopo il peccato originale, non solo lecito ma strettamente doveroso in certe circostanze. L'autorit pubblica non ha il di-ritto di astenersene quando la forza indispensabile per la di-fesa dei diritti elementari del bene comune. Quando il Signore comandava di non resistere al male, o dava il consiglio di por-g-ere l'altra guancia a chi ti percuote, certamente non inten-(Ieva risolvere problemi di diritto internazionale, ma di tracciare Iu linea di condotta pi eroica dell'ascesi individuale. Appli-care materialmente questi criteri alla vita pubblica significa snaturarli e mettere in caricatura il cristianesimo. Per pro-muovere la pace non necessario condividere le opinioni illo-giche dei pacifisti, anche se dettate dai pi nobili ideali : basta condannare le iniquit commesse in tutte le guerre del passato, e all'atto pratico disporsi a condannare le iniquit che ora si commettono. Cos nel prender parte a una campagna per l'abo-lizione della pena di morte non necessario spingersi a negare lale diritto alla pubblica autorit. A proposito di tale diritto, impugnato anch'esso dai pacifisti, per quanto crude possano sembrare alla nostra sensibilit, valgono pienamente le parole seguenti di S. Tommaso, che traggono ispirazione da tutta l'an-tira sapienza: " Col peccato l'uomo abbandona l'ordine della ragione: egli perci decade dalla dignit umana, che consiste nell'esser liberi e nell'esistere per se stessi, degenerando in qualche modo nell'asservimento della bestia, dal quale deriva la subordinazione all'altrui vantaggio. Cos infatti si legge nella Scrittura: " L'uomo, non avendo compreso la sua dignit, disceso al livello dei giumenti privi di senno, e si fatto si-mile ad essi" ; e ancora: "L'insensato sar schiavo di chi saggio ". Perci, sebbene uccidere un uomo che rispetta la pro-pria dignit sia cosa essenzialmente peccaminosa, uccidere un ~1omo che pecca pu essere un bene, come uccidere una bestia:

    1~fatti un uomo cattivo, come insiste a dire il Filosofo, peg-giore e pi nocivo di una bestia,, (II-li, q. 64, a. 2, ad 3).

    Con queste parole il Santo non intendeva affatto promuovere una campagna per la soppressione di tutti i peccatori (cfr. ibid., a? 2) ; ma voleva stabilire logicamente un diritto inoppugna-bile. II fatto che le autorit costituite abbiano abusato in modo

  • 22 PECCATI CONTRO LA CAHITA

    spaventoso di tale diritto (e di che cosa non abusano gli uo-mini?), non un motivo per negarlo. Tutt'al pi si potr con-testare l'utilit pratica di esercitarlo, specialmente in societ organizzate e stabili come i grandi stati democratici moderni.

    16 - Lo stesso discorso pu valere anche per la guerra. Non possiamo oggi non condividere l'affermazione di Pio XII: I~a guerra, come mezzo adatto e proporzionato pe1 risolvere i con-flitti internazionali, ormai sorpassata " (La pace internazio-nale, Roma, 1958, p. 425, dal Radiomessaggio Nat. 1044). Ma fino a che l'umanit intera non sar organizzata e guidata effi-cacemente da un'autorit supernazionale, impossibile negare allo stato il diritto e il dovere di salvaguardare con tutti i mezzi (compresa la guerra) i beni supremi dei propri sudditi.

    La minaccia di armi spaventose che fanno temere l'annien-tamento totale non pu cambiare una situazione di diritto: il cristiano non esita ad affermare l'esistenza di beni che lecito difendere anche a costo della vita. Ma non si tratter certa-mente dei beni materiali, bens di quei beni e valori universali, che vanno difesi per il bene stesso dei nemici. E questo un con-cetto ben chiaro in S. Tommaso, ma non sempre posto in luce dai commentatori e dai moralisti : E lecito combttere i ne-mici per stornarli dai peccati : il che ridonda a loro bene e al bene degli altri" (Il-II, q. 83, a. 8, ad 3). - cc I moralisti pi recenti, seguendo le precisazioni degli esegeti, distinguono il nemico di guerra {hostis) dal nemico personale (inimicus). E cos non trovano nessuna opposizione tra il precetto di amare i nemici, e il diritto del singolo e dello stato di difendersi le-gittimamente" {MAUSBACH G., Teologia Morale, Alba, 1957, p. 619). S. Tommaso mostra di non conoscere questa distin-zione; ma per non cadere nell'insidia del pacifismo gli bast il buon senso, cio il suo perfetto equilibrio razionale.

    li: soprattutto da questo punto di vista che il cristiano deve giudicare deprecabili le guerre, specialmente dell'era moderna. Gli uomini di governo, col loro preteso

  • INTRODUZIONE 23

    c:.tianamente ogni problema, e molto pi il problema della pace : ;, J,a pace [solo] indireUamente opera della giustizia, in quanto cssa ne rimuove gli ostacoli. Ma direttamente opera della carit: poich la carit causa la pace in forza della sua natura. Infatti l'amore, come insegna Dionigi, "una forza unitiva ", e la pace l'unificazione tra le inclinazioni dell'appetito li (11-11, q. 29, a. 3, ad 3).

    17 - Non insisteremo mai abbastanza sul vero concetto di rrncr., che essenzialmente cristiano, in quanto la pace implica J'('Slrcizio della carit (cfr. 11-11, q. 29, a. 4). Il turbamento esi-sf,e-ntc nei rapporti internazionali non proviene tanto dalle con-dizioni esterne, quanto dalle disposizioni interiori delle per-sone singole, soprattutto di quelle che hanno la responsabilit politica delle nazioni. La guerra inizia con la ribellione inte-riore a uno stato di fatto che si considera assolutamente inac-ePttabile ( cfr. ibid., a. i).

    I veri amanti della pace cercano di dominare questi moti di ribellione, e di tentare cos un accordo ragionevole, facendo trionfare la carit di Dio e l'amore del prossimo. "Invece gli uomini feroci e privi di mitezza con litigi e guerre cercano di conquistare la propria sicurezza, distruggendo i propri nemici li (11-11, q. 69, a. 4).

    "La pace li, scrive ancora S. Tommaso, "consiste nella quiete e nell'armonica unione degli appetiti. Ora, come l'appetito pu avere per oggetto il bene vero o il bene apparente, cos anche la pace pu essere vera o apparente. Ma non pu esserci vera pace che nel desiderio del vero bene ; perch ogni male, anche se sotto un certo aspetto pu sembrare un bene e capace quindi rii appagare il desiderio, ha tuttavia molte carenze, per cui l'appetito rimane inquieto e turbato. Perci la vera pace non pu trovarsi che nei buoni e nel bene. Mentre la pace dei mal-vagi una pace apparente e falsa li {li-I/, q. 29, a. 2, ad 2).

    L'esasperazione degli appetiti inferiori, la brama delle ric-ehezze e degli onori, rimane dunque la causa prima di ogni -11erra. Perci N. Machiavelli aveva ragione di attribuire al cl'istianesimo la responsabilit (oggi noi diciamo meglio: il merito) di aver attutito lo spirito militaresco e aggressivo della nostra gente. Chi sinceramente desidera l'edificazione della pace non. ha che da promuovere l'aspirazione dell'umanit verso i h'."ni, supel"iori dello spirito, cio il regno della grazia e delle

    ~ 11tu; pur sapendo che "nella vita presente non potremo avere .a pace senza nessun turbamento, n rispetto a noi stessi, n hn ra~porto a Dio, n in rapporto al prossimo; sed in futuro

    abeh1mus eam perfecte, quando si ne hoste regnabimus: ubi numquam poterimus dissentire" (In /oann., c. 14, lect. 7).

    P. TITO S. CENTI 0. P.

  • LA CARITA:

    I) in se st.essa, nel suo oggetto e nei suoi atti (vedi voi. XV) 1) all'amore: l'odio (q. 34)

    a) l'aocidia, relativa al bene di Dio (q. 35) 2) alla gioia della carit:

    b) l'invidia, relativa al bene del prossimo (q. 36)

    II) i vizi contrari: 3) alla pace :

    4) alla beneficenza:

    III) i precetti della carit (q. 44) IV) il dono corrispondente: la sa.pienza:

    a) nei sentimenti: la discordia (q. 37)

    b) nelle parole: la contesa (q .. 38)

    e) nelle opere:

    \ 1) scisma (q. 39) , 2) guerra (q. 40)

    I. 3) rissa (q. 41) 4) sedizione (q. 42)

    a) in oppasizione alla giustizia (infra 11-11, qq. 63-78) b) in opposizione alla carit: lo scandalo (q. 43)

    { 1) in se stessa (q. 45) 2) il vizio contrario (q. 46)

  • AVVERTENZE

    1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indica-;doni delle opere citate, perch figurano a fronte nel testo latino.

    Dove l' intelligibilit della frase lo richiedeva stato inserito qual-che termine o qualche espressione tra [ ], per facilitare la compren-sione del testo senza ricorrere a perifrasi.

    Nella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare agio al lettore di controllare la traduzione e di consultare il testo originale.

    I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse per conti-1rnano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti.

    2. Il testo critico latino dell'Edizione Leonina riprodotto con la pi scrupolosa fedelt. La sola enumerazione degli articoli e.11' ini-zio della Quaestio stata fatta senza capoversi.

    Manca per, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole ve.-rianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle no le.

    Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l' Ed. Leo-nina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Sol-tanto i versetti della Sacra Scrittura - in corsivo - figurano senza altri contrassegni.

    Le citazioni e i luoghi paralleli sono semplificati con criteri tecnici moderni.

    Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture pi comuni: per non infarcire troppo il testo di elementi estranei, abbiamo tra-scuralo i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono vere correzioni del testo della Somma, vengono riportati in nota.

  • QUESTIONE 34 L'odio.

    Passiamo ora a considerare i vizi che si oppongono alla carit. E cio: primo, l'odio che si oppone direttamente all'amore; se-condo, l'accidia e l'invidia, che si contrappongono alla gioia ella carit; terzo, la discordia e lo scisma, che si oppongono alla pace; quarto, l'offesa e lo scandalo, che si contrappongono nllfl beneficenza e alla correzione fraterna. 1

    Sul primo argomento si pongono sei quesiti: 1. Se si possa odiare Dio; 2. se l'odio di Dio sia il pi grave dei peccati; 3. Se l'odio del prossimo sia sempre peccato ; 4. Se sia il pi grave dei peccati relativi al prossimo; 5. Se sia un vizio capitale ; 6. Da quale vizio capitale esso derivi. '

    ARTICOLO 1 Se uno possa odiare Dio.

    SEMBRA che nessuno possa odiare Dio. Infatti : 1. Dionigi insegna, che 11 il bene e il bello amabile a tutti u.

    Ma Dio la stessa bont e la stessa bellezza. Dunque non odiato da nessuno.

    i Questa ripartizione del vizi (abiti) e dei peccati (atti) contro la carit si richiama al principio generale che 1 contrari e le privazioni si conoscono me-cliante I termini positivi corrispondenti (cfr. 11-11, Prol.). Per in questo caso !"Autore non si preoccupato di sviluppare tutte le opposizioni per ogni atto della carit. Polch alcuni atti non trovano qui esplicitamente l'elemento cor-rispondente. L'elemosina, p. s., non trova un vizio opposto se non nello scan-dalo che un atto contrario a quella sua particolare attuazione che la cor-rezione fraterna. E anche pi facile notare che non esiste un opposto alla be-neficenza In genere, che potrebbe essere la malettcenza. S. Tommaso non si lega materialmente a uno schema astratto, ma ferma la. sua attenzione su que-gli argomenti che esigono una chiarificazione. Possiamo per ricostruire il suo schema di lavoro mettendo 1n confronto gli atti della carit con tutte le opposte tendenze. Prima di tutto emerge 11 confronto tra amore e odio. quindi si passa a raffrontare I loro effetti interni (llene11olenza e maletolenza). sia vel'so Dio che ve1so Il p1ossimo; finalmente I loro effetti esterni (llene(tcenza e "male-flcenza "). Gli etrettl Interni della benevolenza sono esplicitamente studiati tn rapporto a Dio nelle loro supreme manifestazioni della gtota e della pace. Ma per semplificare In codesta trattazione sono conglobate anche gioia e pace quali elfeUI della benevolenza \'P.rso il prossimo. Invece per quanto riguarda gli ef-fetti della malevolenza verso Dio S. Tommaso si ferma a trattare dell"acddla ; mentre sviluppa quelll clella malevolenza verso Il prossimo: discordia. contesa, utsma. guerra. rissa, sedizione. - Tra gli effetti esterni sono presi In considera-zione pi ((uelll positivi della beneficenza, che quelli negai.lvi della male/lcenza. come 11 lettore pu riscontrare nello S'hema qui accanto.

  • QUAESTIO 34 De odio

    i11 sex a1"tlc11los dl11/>a.

    DEti\DE considerandum est de vitiis oppositis caritati. Et primo, rie odio, quod opponitur ipsi dilectioni; secundo, de acedia et invi-dia. quae opponuntur gaudio caritatis [q. 35]; tertio, de discordia PI srhismate, quae opponuntur paci [q. 37]; quarto, de offensione rt scandalo, quae opponuntur beneficentiae et correctioni fraternae I q. '3].

    Ci rea primum quaeruntur sex: Primo: utrum Deus possit odio habcri. Secundo: utrum odium Dei sit maximum peccatorum. Ter-iio: ntrum odium proximi semper sit peccatum. Quarto: utrum sit. maximum inter peccata quae sunt in proximum. Quinto: utrurn sii vilium capitale. Sexto: ex quo capitali vitio oriatur.

    ARTICULUS 1 Utrum aliquis possit Deum odio habere.

    I, r. oo, a. il, art il; ! Seni . cl. 5. a. :i, ad 2; Expos. Litt.; 4, d. 50. q. 2, a. I. qc. 5; ne l'crit .. , q. 2'2, a. 2, ad 3; 111 Mattll., c. 13; 111 Ioa11., c. 5, Ject. 7; c. 15, lect. 5;

    Ad Rom., c. 8, lect. 2.

    AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deum nullus odio habere possit. Dicit enim Dionysius, 4 cap. De Div. Nom. [lect. 9], quod "omnibus amabile et diligibile est ipsum honum et pulchrum " ~ed Deus est ipsa bonitas et pulchritudo. Ergo a nullo odio habetur.

    .I 111r1rr- (q. 27) 1.ff P!ti interni: Benevolenza:

    { Gioia (q. 28)

    verso Dio Pace (q. 29)

    vrrso il prossimo:

    in genf'rn.le (gioia e pace)

    a rimedio rlrlla miseria: Misericordia (q. 30)

    rffelti esterni: Brneftcenza: in generale: Bene{lcenza (q. 31)

    a rimedio della miseria: Elemosina (q. 32)

    iu Particolare: Correzione fraterna (q. 33)

    Odio (q. 341 effetti interni: Malevolenza:

    { Accidia (q. 35)

    contro Dio

    contro il prossimo:

    l Discordia (q. 37) Contesa (q. 38) . 1 Scisma (q. 39) m genera e G11erra (q. 40) R-tssa ( q. 41) Sedizione (q. 42) come insofferenza del bene

    altrui: Tnvidia (q. 36) effetli esterni: [Maleficenza]

    in generale : [Maleftcenza]

    in particolare: Scandalo (q. 43)

    e.le; I.a Questione divisa in sei articoli abbinati : odio di Dio (aa. 1. 2) ; odio Prossimo (aa. 3, 41); odio rispetto al vizi capitali (aa. 5, 6).

  • 28 LA SOMMA TEOLOGICA, 11-11, q. 34, aa. 1-2

    2. Nei libri apocrifi di Esdra si legge che u tutti gli esseri invo-cano la verit, e si rallegrano delle sue opere li. Ora, Dio la stessa verit, come dice il Vangelo. Perci tutti amano Dio, e nes-suno pu odiarlo.

    3. L'odio una specie di voltafaccia. Ora, come nota Dionigi, Dio " volge tutti gli esseri verso di s li. Dunque nessuno pu odiarlo.

    IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge: "La superbia di quei che t'odia-no cresce sempre li ; e nel Vangelo: cc Ma ora hanno veduto, e hanno odiato me e il Padre mio li.

    RISPONDO: L'odio, come abbiamo visto, un moto della potenza appetitiva, la quale non viene mossa che da un oggetto conosciuto. Ora, Dio pu essere conosciuto dall'uomo in due maniere: primo, in se stesso, cio quando lo si vede per essenza; secondo, mediante i suoi effetti, cio quando cc le perfezioni invisibili di Dio compren-dendosi dalle cose fatte si rendono visibili. Ma Dio nella sua es-senza la stessa bont., che nessuno pu odiare: perch la bont essenzialmente amabile. Perci impossibile che uno, il quale vede Dio per essenza, lo odi.

    Tra i suoi effetti poi ce ne sono alcuni che in nessun modo pos-sono essere contrari alla volont umana: poich l'essere, il vivere e l'intendere, che sono effetti di Dio, sono cose appetibili e amabili per tutti. E quindi Dio non pu essere odiato in quanto conosciuto come causa di tali effetti.

    Ci sono invece certi effetti di Dio che ripugnano a una volont disordinata: p. es., le punizioni, e lo stesso divieto dei peccati fatto mediante la legge divina, il quale ripugna a una volont depravata dalla colpa. E in rapporto a codesti effetti Dio pu essere odiato da certuni: cio in quanto viene considerato come proibitore dei peccati, e distributore dei castighi. 1

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Il primo argomento vale per coloro che vedono l'essenza di Dio, che l'essenza stessa della bont.

    2. Il secondo argomento vale per chi considera Dio come causa di quegli effetti che l'uomo ama per natura, tra i quali ci sono le opere della verit, la quale offre la sua conoscenza agli uomini.

    3. Dio volge a s tutti gli esseri come principio dell'essere; poich tutte le cose, in quanto sono, tendono alla somiglianza con Dio, che l'essere medesimo.

    ARTICOLO 2 Se l'odio di Dio sia il pi grave dei peccati.

    SEMBRA che l'odio di Dio non sia il pi grave dei peccati. Infatti: 1. Il peccato pi grave quello contro lo Spirito Santo, il quale,

    come dice il Vangelo, imperdonabile. Ora, l'odio di Dio, come ab-

    1 L'Autore risolve Il pl'oblema pa1tendo dalla natura della volont, la quale ~ specificata dal bene In genere. Il bene cosi considerato oggetto necessario della volont, nel senso che questa non pu mal volere il contrarlo ; non nel

  • L'ODIO 29

    ~- PRAETEREA, in apocryphis 3 Esdrae [ 4, 36, 39] dicitur quod " omnia invocant veritatem, et benignantur in operibus eius " Sed J)eus est ipsa veritas, ut dicitur Ioan. 14, 6. Ergo omnes diligunt neum, et nullus eum odio habere potest.

    ;_{. PRAETEREA, odium est aversio quaedam. Sed sicut. Dionysius dicit, in 4 cap. De Div. Nom. [lect. 3], Deus 11 omnia ad seipsum eonvertit n. Ergo nullus eum odio habere potest.

    SED CONTRA EST, quod dicitur in Psalm. [3, 23]: Superbia eo-rum qui te oderunt ascendit semper n; et loan. 15, 24: Nunc nutern et viderunt et oderunt me et Patrem meum .

    [{ESPONDEO DICENDUM quod, sicut ex supradictis [I-Il, q. 29, a. 1] pa.tet, odium est quidam motus appet.itivae potentiae, quae non mo-vctur nisi ab aliquo apprehenso. Deus autem dupliciter ab ho-rnine apprehendi potest: uno modo, secundum seipsum, pula cum per essentiam videtur; alio modo, per effectus suos, cum scilicet "invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta conspiciuntur n [A.d Rom. 1, 20]. Deus autem per essentiam suam est ipsa bo-nitas, quam nullus habere odio potest: quia de ratione boni est ut ametur. Et ideo impossibile est quod aliquis videns Deum per essentiam eum odio habeat.

    Scd effectus eius aliqui sunt qui nullo modo possunt esse con-i rari i voluntati humanae: quia esse, vivere et intelligere est appeti-bile et amabile omnibus, quae sunt quidam effectus Dei. Unde etiam secundum quod Deus apprehenditur ut auctor horum effec-tuum, non potest odio haberi.

    Sunt autem quidam effectus Dei qui repugnant inordinatae vo-luntati: sicut inflictio poenae; et etiam cohibitio peccatorum per legem divinam, quae repugnat voluntati depravalae per peccatum. Et quantum ad considerationem talium effectuum, ab aliquibus Deus odio haberi potest: inquantum scilicet apprehenditur pecca-to rum prohibitor et poenarum inflictor.

    Au PRilllUM ERGO DICENDUM quod ratio illa procedit quantum ad illos qui vident Dei essentiam, quae est ipsa essentia bonitatis.

    AD SECUNDUM DICENDUM quod ratio illa procedit quantum ad hoc quod apprehenditur Deus ut causa illorum effectuum qui naturali-tcr ab hominibus amantur, inter quos sunt opera veritatis prae-bcntis suam cognitionem hominibus.

    Ao TERTIUM DICENDUM quod Deus convertit omnia ad seipsum inquantum est essendi principium: quia omnia, inquantum sunt, tendunt in Dei similitudinem, qui est ipsum esse.

    ARTICULUS 2 Utrum odium Dei sit maximum peccatorum.

    Infra, q. 3!1, a 2., ad 3; 1-11, q. 73, a . .r., ad 3.

    Ao SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod odium Dei non sit ~unximum peccatorum. Gravissimum enim peccatum est peccatum in Spiritum Sanctum, quod est irremissibile, ut dicitur Matth. 12, senso che non possa mai desistere dal volerlo, come accade, p. es., durante il ~~nno1. Dinanzi al bene divino, chiaramente Intuito nella luce della gloria, vo ont non libera neppure quanto all"eserclzlo dell'atto. Invece dinanzi

  • 30 LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 34, a. 2

    biamo visto, non enumerato tra le specie del peccato contro lo Spirito Santo. Dunque l'odio di Dio non il pi grave dei peccati.

    2. Il peccato consiste in un allontanamento da Dio. Ora, sembra pi lontano da Dio un incredulo, il quale non ne ha neppure la co-noscenza che un fedele il quale, pur odiandolo, lo conosce. Perci un peccato pi grave l'incredulit che l'odio contro Dio.

    3. Dio odiato solo per i suoi effetti che ripugnano alla volont, e primo fra tutti il castigo. Ma odiare il castigo non il pi grave dei peccati. Quindi l'odio di Dio non il massimo dei 11eccati.

    IN CONTRARIO: Come dice il Filosofo, u la cosa peggiore quella che si contrappone alla cosa migliore" Ma l'odio di Dio si cont.rap-pone all'amore di Dio, che la cosa migliore in un uomo. Dunque l'odio di Dio il peggiore dei peccati dell'uomo.

    RISPONDO: La deficienza propria del peccato consiste, come ab-biamo visto, nell'allontanarsi da Dio. Ma questo allontanamento non sarebbe una colpa, se non fosse volontario. Perci l'essenza della colpa consiste nel volontario distacco da Dio. Ora, nell'odio di Dio questo allontanamento volontario da Dio incluso direttamente ; mentre negli altri peccati c' solo indirettamente e quasi per par-tecipazione. La volont infatti, come aderisce di per s a ci che ama, cos rifugge di per s da ci che odia: perci quando uno odia Dio, la volont ripudia Dio per se stesso. Mentre negli altri peccati, nella fornicazione, p. es., non si ripudia Dio per se stesso, ma per altre cose: cio per il fatto che si desidera un piacere disordinato, al quale connesso l'allontanamento da Dio. Ora, ci che per se stesso ha pi vigore di ci che per altre cose. Perci l'odio di Dio il pi grave tra ! utti i peccati.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Come dice s. Gregorio, ((altra cosa non fare il bene, ed altra cosa odiare il datore del bene: come altra cosa peccare per inconsiderazione, ed altro peccare per deliberazione n. Dal che si arguisce che odiare Dio, datore di ogni bene, essendo un peccato fatto per deliberazione, peccato contro lo Spirito Santo. Ed chiaro che il pi grave peccato contro lo Spirito Santo, in quanto con questa denominazione viene indicato un determinato genere di peccati. Esso per non viene enumerato tra le specie del peccato contro lo Spirito Santo, perch si riscontra universalmente in tutte le specie di codesto peccato. 1

    2. L'incredulit una colpa solo in quanto volontaria. Essa perci tanto pi grave, quanto pi volontaria. Ma che sia vo-lontaria deriva dal fatto che uno odia la verit che viene proposta. Dunque evidente che l'aspetto peccaminoso dell'incredulit viene dall'odio di Dio, la cui verit oggetto della fede. Perci, come la

    ai beni llnit1 e a Dio stesso com' conosciuto in questa vita, clo come un bene particolare, la volont libera in ogni senso. :E: questo il presuppos1o psicologico che rende posslhilo un atto cosi irragionevole c.ome l'odio di Dio (cfr. I. q. 60, a. s, ad S).

    1 Nel trattare 11 problema relativo al piil grave del peccati ci troviamo di-nanzi all'affermazione dl Cristo: Ogni peccato e ogni bestemmia sar perdo-nata. agli uomini ; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sar perdo-nata " (i\latt. 12, 31 ; cfr. Mare. 3, !8-30 ; Luc. 12, IO). Nonostante la variet delle interpretazioni di questi passl evangelici (cfr. q. 14, a. 1), il pensiero scola-stico tradizionale ha cercato di precisare I vari peccati che possono essere consl-dorati contro lo Spirito Santo. Il Maestro delle Sentem;e, raccogliendo questi ten-tativi, Il ha raggruppati in sei specie dl atti: disperazione della salvezza, pre-

  • L'ODIO 31

    .11 32. Sed odium Dei non computatur inter species peccati in Spi-ritum Sanctum; ut ex supradictis [q. 14, a. 2] patet. Ergo odium Dei non est gravissimum peccatorum.

    2. PRAETEREA, peccatum consistit in elongatione a Deo. Sed magis videtur esse elongatus a Deo infidelis, qui nec Dei cognitionem habet, quam fidelis, qui saltem, quamvis Deum odio habet, eum tamen cognoscit. Ergo videtur quod gravius sit peccatum inftdeli-tatis quam peccatum odii in Deum.

    3. PRAETEREA, Deus habetur odio solum ratione suorum effectuurn qui repugnant voluntati, inter quos praecipuum est poena. Sed odire poenam non est maximum peccatorum. Ergo odium Dei non Pst maximum peccatorum.

    SED CONTRA EST quod u optimo opponitur pessimum n ; ut patet per Philosophum, in 8 Ethic. [c. 10, lect. 10). Sed odium Dei opponitur tlilectioni Dei, in qua consistit optimum hominis. Ergo odium Dei est pessimum peccatum hominis.

    HF.SPONDEO DICENDUM quod defectus peccati consistit in aversione a Deo, ut supra [q. 10, a. 3) dictum est. Huiusmodi autem aversio ralionem culpae non haberet nisi voluntaria esset. Unde ratio cul-pae consistit in voluntaria aversione a Deo. Haec autem volunta-ria aversio a Deo per se quidem importatur in odio Dei: in aliis autem peccatis quasi participative et secundum aliud. Sicut enim volnntas per se inhaeret ei quod amat, ita secundum se refugit id q11od odit: unde quando aliquis odit Denm, voluntas eius secun-dum se ab eo avertitur. Sed in aliis peccatis, pnta cum aliquis for-nicatur, non avertitur a Deo secundum se, sed secnndum aliud: in-quantum scilicet appetit inordinatam delectationem, quae habet an-nexam aversionem a Deo. Semper autem id quod est per se est po-ti11s co quod est secundum aliud. Unde odium Dei inter alia pec-cata est gravius.

    An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, sicut Gregorius dicit, 25 Mora!. re. 11), (( aliud est bona non facere, aliud est bonorum odisse da-torem : sicut aliud est ex praecipitatione, aliud ex deliberationc peccare . Ex quod datur intelligi quod odire Deum, omnium bono-rum datorem, sit ex deliberatione peccare, quod est peccatum in Spiritum Sanctum. Unde manifestum est quod odium Dei maxime est peccatum in Spiritum Sanctum, secundum quod peccatum in Spirit.um Sanctum nominat aliquod genus speciale peccati. Ideo tamen non computatur inter species peccati in Spiritum Sanctum, quia generaliter invenitur in omni specie peccati in Spiritum Sanctum.

    Ao SF.CUNnUM DICENnuM quod ipsa infidelit.as non habet rationem culpae nisi inquant.um est voluntaria. Et ideo tanto est gravior quan1o est magis voluntaria. Quod autem sit voluntaria provenit ex hoc quod aliquis odio habet veritatem quae proponitur. Unde pntet quod ratio peccati in infidelitate sit ex odio Dei, circa cuius

    ~un_zione di salvarsi senza merito, Impugnazione della verit conosciuta. in-\"h:i. 11ella grazia altrui, ostinazione nei peC'cati, Impenitenza finale (cfr. j Sent., ' ~:l: 1/./1, q. 14, a. 2). l\faterlalmente l'odio di Dio non risulta In 11ues10 cl~nco. Come dunque possiamo considerarlo tra i peccati pi gravi? s. Tom

    ~;a.0 fa notare che esso Implicito In ciascuno cli qmstl al.I.i pe

  • 32 LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 34, aa. 2-3

    causa superiore all'effetto, cosi l'odio di Dio un peccato pi grave dell'incredulit. 1

    3. Non detto che chiunque odia i castighi, abbia in odio Dio, causa dei castighi: infatti ci sono molti che, pur odiandoli, li sop-portano con pazienza per rispetto alla divina giustizia. Ecco per-ch S. Agostino afferma, che Dio "ci comanda di sopportare, non gi di amare n le nostre pene. Invece prorompere nell'odio verso Dio che punisce, significa odiare la stessa giustizia di Dio, che il pi grave dei peccati. Perci S. Gregorio scriveva: " Come in certi casi un peccato pi grave amare che compiere un atto, cosi cosa pi iniqua odiare la giustizia che trasgredirla"

    ARTICOLO 3 Se qualsiasi odio del prossimo sia peccato.

    SEMBRA che non sempre l'odio del prossimo sia peccato. Infatti: 1. Nessun peccato pu trovarsi tra i precetti, o i consigli della

    legge di Dio ; poich sta scritto: "Tutti i miei discorsi sono giusti, in essi non v' nulla di pravo, n di perverso n. Ora, nel Vangelo si legge: Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, non pu essere mio discepolo n. Dunque l'odio del prossimo non sempre peccato.

    2. Nessun atto pu essere peccato in quanto con esso imitiamo Dio. Ora, per imitare Dio alcuni dobbiamo odiarli: poich S. Paolo afferma che u i detrattori sono odiosi a Dio n. Perci alcuni pos-siamo odiarli senza peccato.

    3. Niente di ci che naturale peccato: poich il peccato l'abbandono di ci che secondo natura n, come dice il Dama-sceno. Ma per qualsiasi cosa naturale odiare gli esseri ad essa contrari e tentare di distruggerli. Quindi non peccato odiare il proprio nemico.

    IN CONTRARIO: Sta scritto: " Chi odia il suo fratello nelle tene-bre n. Ora, le tenebre spirituali sono i peccati. Dunque non pu esserci odio del prossimo, senza peccato.

    RISPONDO: Come abbiamo visto, l'odio il contrario dell'amore. Perci l'odio cattivo nella misura in cui l'amore buono. Ora, al prossimo si deve l'amore per quello che egli ha da Dio, cio per la natura e per la grazia: ma non gli si deve amore per quello che ha da se stesso o dal diavolo, e cio per il peccato e la mancanza di onest. Perci lecito odiare nei fratelli il peccato e tutto ci che una mancanza di rispetto alla divina grazia: mentre uno non pu odiare in essi senza peccato la natura e la grazia. Anzi il fatto stesso che nei fratelli odiamo la colpa e la mancanza di bene, si deve all'amore verso di essi. Infatti volere il bene di una persona e

    1 Odio e Incredulit si aiutano reciproramente. come si rlscontm nello svi-luppo storico dell"atelsmo occidentale. L" Insofferenza verso I valori rellglosl stato per molti Il primo passo verso il ripudio di ogni pratica religiosa e verso l'abbandono della religione positiva. pur accettando essi un vago deismo. A sua volta questo lmpoverlment.o della nozione di Dio ha prorncato, 1D un

  • L'ODIO 33

    veritatem est fides. Et ideo, sicut causa est potior effectu, ita odium Dei est maius peccatum quam infidelitas.

    AD TERTIUM DICENDUM quod non quicumque odit poenas odit Deum, poenarum auctorem: nam multi odiunt poenas qui tamen patienter ias ferunt ex reverentia divinae iustitiae. Unde et Augustinus dicit, 11J Confe.s. [c. 28], quod mala poenalia Deus utolerare iubet, non amari. Sed prorumpere in odium Dei punientis, hoc est habere odio ipsarn Dei iustitiam: quod est gravissimum peccatum. Unde (regorius dicit, 25 Moral. [loco cit.]: Sicut nonnunquam gravius est. peccatum diligere quam perpetrare, ita nequius est odisse ius-1 iliam quam non fecisse "

    ARTICULUS 3 Utrum omne odium proximi sit peccatum.

    Supra, q. 25, a. 6; In Psalm. 24.

    An TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non ornne odium proximi !:il y1eccatum. Nullum enim peccatum invenitur in praeceptis vel consiliis legis divinae ; secundum illud Prov. 8, 8: u Recti sunt om-nes scnnones mei: non est in eis pravum quid nec perversum ,,. Sed Luc. 14, 26 dicitur: "Si quis venit ad me et non odit patrem et matrem, non potest meus esse discipulus u. Ergo non omne odium proximi est peccatum.

    2. PRAETEREA, nihil potest esse peccatum secundum quod Deurn imilamur. Sed imitando Deum quosdam odio habemus: dicitur enirn Rom. 1, 30: u Detractores, Deo odibiles . Ergo possumus ali-quos odio habere absque peccato.

    :~. PRAETEREA, nihil naturalium est peccatum: quia peccatum est "recessus ab eo quod est secundum naturam , ut Damascenus dicit, in 2 libro [De Fide Orth., cc. 4, 30; li, c. 20]. Sed naturale est unicuique rei quod odiat id quod est sibi contrarium et quod ni-tatur ad eius corruptionem. Ergo videtur non esse peccaturn quod aliquis habeat odio inimicum suum.

    Sr.o CONTRA EST quod dicitur 1 Ioan. 2, 9: 11 Qui fratrem suum odit in tenebris est. Sed tenebrae spirituales sunt peccata. Ergo odiurn proximi non potest esse sine peccato.

    HESPONDEO DICENDUM quod odium amori opponitur, ut supra [I-11, Q . 20, a. 1, S. c.; a. 2, arg. 1, ad 2] dictum est. Unde tantum habet orhurn de ratione mali quantum amor habet de ratione boni. Amor autem debetur proximo secundum id quod a Deo habet, idest se-~undurn naturam et gratiam: non autem debetur ei amor secundum Id quod habet a seipso et diabolo, scilicet secundum peccatum et iustitiae defectum. Et ideo licet habere odio in fratre peccatum et 0 mne illud quod pertinet ad defectum divinae iustitiae: sed ipsarn naturam et gratiam frat.ris non potest aliquis habere odio sine pec-cato. Hoc autem ipsum quod in fratre odimus culpam et defectum oni, pertinet ad fratris amorem: eiusdem enim rationem est quod

    ;ec_ondo tempo, Il ripudio della stessa divinit. - Vedi, oltre la nostra Intro ;::i-Ione, nn. 2-9, l'esperienza tipira del Dlderot in FARRO c., Introd11Zlone all'atei-

    o moderno, Roma. 1961,, pp. 381-3\lt.

  • 34 LA SOMMA TEOLOGICA, II-II, q. 34, aa. 3-4

    odiarne il male sono la stessa cosa. Perci l'odio dei fratelli, preso in senso assoluto, sempre peccaminoso. 1

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. I genitori, per la natura e per l'affi-nit che hanno con noi, secondo i comandamenti di Dio devono essere da noi onorati. Mentre devono essere odiati in quanto ci sono di ostacolo al raggiungimento della perfezione soprannaturale.

    2. Nei detrattori Dio odia la colpa, non la natura. E allo stesso modo possiamo odiarli anche noi senza peccato.

    3. Gli uomini non ci sono contrari per i beni che ricevono da Dio: perci da questo lato li dobbiamo amare. Ci sono invece con-trari in quanto nutrono contro di noi inimicizia, il che costituisce una colpa: e da questo lato devono essere odiati. Poich noi doh-biamo odiare in essi il fatto che sono nostri nemici.

    ARTICOLO 4 Se l'odio del prossimo sia il pi grave peccato

    che si possa commettere contro di lui. 2

    SEMBRA che l'odio del prossimo sia il pi grave peccato che si possa commettere contro di lui. Infatti :

    1. Sta scritto: cc Chiunque odia il suo fratello omicida" M:l l'omicidio il pi grave dei peccati che si commettono contro il prossimo. Perci anche l'odio.

    2. cc La cosa peggiore si contrappone a quella migliore n. Ma In cosa migliore che possiamo offrire al prossimo l'amore : poich tutte le altre si ricollegano ad essa. Dunque l'odio la peggiore.

    IN CONTRARIO: 1. Il male definito da S. Agostino "ci che nuoce n. Ora, uno nuoce di pi al prossimo con altri peccati, p. es., col furto, con l'omicidio e con l'adulterio, che con l'odio. Quindi l'odio non il peccato pi grave.

    2. Nell'esporre quel testo evangelico: cc Chi violer uno solo di questi minimi precetti, ecc. >, il Crisostomo afferma: u I comanda-menti di Mos, "Non ammazzare'', "Non commettere adulterio", sono piccoli rispetto al merito, e grandi rispetto alla colpa: invece i comandamenti di Cristo, cio "Non ti adirare", "Non desiderare", sono grandi rispetto al merito, e piccoli quanto alla colpa n. Ora, l'odio un moto interiore come l'ira e la concupiscenza. Perci l'odio del prossimo un peccato meno grave dell'omicidio.

    RISPONDO: Il peccato che si commette contro il prossimo attinge da due fonti la sua cattiveria: primo, dal disordine di colui che

    1 I teologi seguendo Il Gaetano (Tn 1-11, q. 29, a. t; In 11-11, q. 3~. a. 2)

  • L'ODIO 35

    vlllimus bonum alicuius et quod odiruus malum ipsius. Unde, 11im-pliciter accipiendo odium fratris, se111per est cum peccato.

    Ao PRIMUM ERGO DICENDUM quod parenies, quantum ad naturam Pt affinitatem qua nol.Jis coniunguntur, sunt a nobis secundum prae-Leptum Dei honorandi, ut patet Exod. 20, 12. Odiendi autem sunt quantum ad hoc quod impedimentum praestant nobis accedendi ad perfectionem divinae iustitiae.

    ,\n SECUNDUM DICENDUM quotl Deus in tleiractoribus odio habet culpam, non naturam. Et sic sine culpa possumus odio detractores hRherc.

    Ao TERTIUM DICENDUM quod hornines secundurn bona quae hal.Jeni a. Deo non sunt nobis contrarii: unde quantum ad hoc sunt amandi. Contrariantur autem nobis secundum quod contra nos inimicitias exercent, quod ad eorum culpam pertinet: et quantum ad hoc sunt odio ha.bendi. Hoc enim in eis debemus ha.bere odio, quod nobis sunt inimici.

    ARTICULUS 4 Utrum odium proximi sit gravissimum peccatorum

    quae in proximum committuntur.

    Infra, 11. 158, a. 1,; De Mal.o, q. 12, a. ~-

    An QUARTUM SIC PROCEDITIJR. Videtur quod odium proximi slt gra-\'issimum peccatum eorum quae in proximo committuntur. Dicitur 1mim I loan. 3, 15: "Omnia qui odit frairem suum hornicida est"

    ~ed homicidium est gravissimum peccatorum quae committuntur in proximum. Ergo et odium.

    2. PRAETEREA, u pessirnum opponitur optimo n [ cfr. 8 Ethic., c. 10, lcct. 10]. Sed optimum eorum quae proximo exhibemus est amor: omnia enim alia ad dilectionem referuntur. Ergo et pessimum est odium.

    SED CONTRA, malum dicitur "quod nocet ; secundum Augustinum, in Enchirid. [c. 12]. Sed plus aliquis nocet proximo per alla peccata 11uam per odium: puta per furtum et homicidium et adulterium. Ergo odium non est gravissimum peccatum.

    2. PRAETEREA, Chrysostomus, exponens illud Matth. [5, 19), "Qui :solverit unum de mandatis istis minimis n, dicit [Op. Imperf. in

    J~aUh., homil. 20 ] : "Mandata Moysi, Non occides, Non adultera-b1s, in remuneratione modica sunt, in peccato autem magna: mantla.ta autem Christi, idest Non irascaris, Non concupiscas, in remuneratione magna sunt, in peccato autem minima n. Odium

    r~utem pertinet ad interiorem motum, sicut et ira et concupiscen-tia. Ergo odium proximi est minus peccalum quam homicidium.

    HEsPONDEO DICENDUM quod peccatum quod commit.tiiur in proxi-rnum haLet rationem mali ex duobus: uno quidem modo, ex deor-

    , " In questo caso s. Tommaso non aflronta tutta la complessit del nostri ~;vr-orti col prossimo, limitandosi a una considerazione piuttosto astratta dei n 1ment1 Interni, che sono di orientamento per la nostra condotta. Mentre ~el riguardi di Dio tutto praticamente si esaurisce negli atti Interni, verso

    i prossimo l'atto esterno viene a completare e a confermare l'atteggiamento nteriore. Perci l'odio che si llmlta a un sentimento, a una passione, per Io

  • 36 LA SOMMA TEOLOGICA, II-Il, q. 34, aa. 4-5

    pecca; secondo, dal danno inflitto a colui che ne fa le spese. Ri-spetto al primo l'odio un peccato pi grave degli atti esterni che danneggiano il prossimo: poich l'odio porla il disordine nella volont, che la parte principale dell'uomo, e da cui deriva la ra-dice del peccato. Infatti anche se gli atti est.emi fossero disordi-nati, senza il disordine della volont non sarebbero peccati: come nel caso che uno uccidesse un uomo per ignoranza, oppure per lo zelo della giustizia. E se nei peccati esterni contro il prossimo c' qualche cosa di colpevole, tutto deriva dall'odio interiore. - Ma per il danno inflitto al prossimo i peccati esterni sono peggiori dell'odio.

    Sono cos risolte anche le difficolt.

    ARTICOLO 5 Se l'odio sia un vizio capitale.

    SEMBRA che l'odio sia un vizio capitale. Infatti: 1. L'odio si contrappone direttamente alla carit. Ma la carit

    la prima delle virt e madre di tutte le altre. Dunque l'odio il primo dei vizi capitali, e il principio di tutti gli altri.

    2. I peccati nascono in noi seguendo l' inclinazione delle passioni, secondo le parole di S. Paolo: 11 Le passioni peccaminose agivano nelle nostre membra cos da portar frutti alla morte n. Ora, tutte le altre passioni dell'anima derivano, come abbiamo detto, dal-l'amore e dall'odio. Perci l'odio va posto tra i vizi capitali.

    3. Il vizio un male morale. Ora, l'odio ha per oggetto il male pi di ogni altra passione. Dunque l'odio va consideralo come un vizio capitale.

    IN CONTRARIO: S. Gregorio non enumera l'odio tra i sette vizi capitali.

    RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, capitale quel vizio dal quale spesso gli altri vizi derivano. Ora, il vizio contrario alla natura dell'uomo, in quanto questi un animale ragionevole. Ebbene, nelle cose che si compiono contro natura gli elementi na-turali si corrompono gradatamente. E quindi in principio bisogna recedere da quanto solo debolmente secondo natura, e in ultimo da ci che sommamente secondo natura: poich ci che primo nella costruzione ullimo nella distruzione. Ora, nell'uomo la cosa massimamente e radicalmente pi naturale l'amore del bene, e specialmente del bene di Dio e di quello del prossimo. E quindi l'odio, che si contrappone a codesto amore, non viene per primo nella distruzione della virt, compiuta dai vizi, ma per ultimo. Perci l'odio non un vizio capitale.

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Come dice Aristotele, "la virt per ogni cosa consiste nell'essere ben disposta secondo la propria na-tura. Perci tra le virt deve esserci un elemento primo e prin-cipale, che coincide con ci che primo e principale nell'ordine di

    pi non raggiunge la gravit dell'odio che si estrinseca in atti concreti d'in-giustizia. Di qui le apparenti riserve che la conclusione suscita negli stessi commentatori. Io vorrei dire'" scrive F. De Vitoria, che t peccati esterni, 1 quali danneggiano il prossimo, sono pi gravi dell'odio verso Il prossimo"

  • L'ODIO 37

    rlinatione eius qui peccat; alio modo, ex nocumento quod infer-l nr ei contra quem peccatur. Primo ergo modo odium est maius pcccatum quam exteriores actus qui sunt in proximi nocumen-tnm: quia scilicet per odium deordinatur voluntas hominis, quae est potissimum in homine, et ex qua est radix peccati. Unde etiam si exteriores actus inordinati essent absque inordinatione volun-tat is, non essent peccata: puta cum aliquis ignoranter vel zelo iuf\titiae bominem occidit. Et si quid culpae est in exterioribus pcccntis quae contra proximum committuntur, totum est ex in-1 criori odio. - Sed quantum ad nocumentum quod proximo infer-\.11 r peiora sunt exteriora peccata quam interius odium.

    Et per hoc patet responsio ad obiecta.

    ARTICULUS 5 Utrum odium sit vitium capitale .

    ..\11 QITJNTUM SIC PROCEDITl'R. Videtur quod odium sit vHium ca-l'itn le. Odium enim directe opponitur cariLati. Sed caritas est. principalissima virtutum et mater aliarum. Ergo odium est maxi-mc vilium capitale, et principium omnium aliorum.

    ?. PRAETERt:A, peccata oriuntur in nobis secundum inclinationem passionum: secundum illud Ad Rom. 7, 5: "Passiones peccatorum operabanlur in membris nostris, ut fructiflcarent morti" Sed in passionihus animae ex amore et odio virlentur omnes aliae sequi, 11t ex supradictis [I-11, q. 27, a. 3; q. 28, a. 6, ad 2; q. 41, a. 2, ad 1) patet .. Ergo odium debet poni inter vilia capitalia.

    3. PRAETEREA, vitium est. malum morale. Sed odium principalius nspicit malum quam alia passio. Ergo videtur quod odium de-hd poni vitium capitale.

    Sr.u CONTRA EST quod Gregorius, 31 Moral. [c. 45), non enumerat oclium inter septem vit.ia capitalia.

    HF.SPONJIEO DICENllUM quod, sicut supra [I-Il, q. 84, aa. 3, 41 dirlum est, vitium capitale est ex quo ut frequentius alia vitia oriuntur. Vilium autem est contra naturam bominis inquantum est animal rationale. In bis autem quae contra naturam fiunt paulatim id quorl est. naturae corrumpitur. Unde oportet quorl fl_rimo recedat.ur ab eo quod est minus secundum naturam, et ul-t 1 mo ab eo quod est maxime secundum naturam: quia id quod eo;t Jirirnum in constructione est ultimum in resolut.ione. Id autem quod est maxime et primo naturale homini est quod diligat bo-nu_rn, et praecipue honum divinum et honum proximi. Et ideo 0_d1um, quod buie dilectioni opponitur, non est primum in dele-

    tione virtutis, quae fit per vitia, sed ultimum. Et ideo odium non csl vitium capitale. lRAn Pnil\11JM ERGO nICENllUM quod, sicut didtur in 7 Physic. [text. 1 lec~. 5 ], "virtus uniuscuiusque rei consistit in hoc quod sit iene d1sposita secundum suam naturam n. Et ideo in virtutibus 0 P0 rtet esse primum et principale quod est primum et principale

    ~:~mcntcirtos a la. Secunda Secundae de S. Tomds. Salamanca, 19J2, t. 2, p, 248). -Par:::-~rde Prender In esame questi atti nel trattato successivo della giustizia, o delle violazioni del debito legale o morale (qq. 59, 63-78).

  • 38 LA SOMMA TEOLOGICA, Jl-11, q. 34, aa. 5-6

    natura. Ed ecco perch la carit riconosciuta la prima delle virt. Ma per lo stesso motivo, come abbiamo visto, l'odio non pu essere il primo tra i vizi.

    2. Tra le passioni dell'anima ha una priorit l'odio del male che contrasta col bene naturale, assieme all'amore di codesto bene. Ma non pu avere priorit l'odio del bene connaturale, che anzi da considerarsi ultimo: poich codesto odio dimostra, come l'amore di un bene innaturale, che la corruzione della natura gi av-venuta.

    3. Ci sono due tipi di male. Un male vero, 1 in contrasto col bene secondo natura: e l'odio di codesto male pu avere una priorit tra le passioni. C' poi un male non vero, ma apparente: il quale un bene vero e connaturale, ma viene stimato male per la corru-zione della natura. E l'odio di codesto male necessariamente viene per ultimo. Ora, l'odio vizioso [di cui parliamo] quest'ultimo, non gi il primo.

    ARTICOLO 6 Se l'odio nasca dall'invidia.

    SEMHRA che l'odio non nasca dall'invidia. Infatti: 1. L'invidia una certa tristezza del bene altrui. Ma l'odio non

    nasce dalla tristezza, ch anzi avviene il contrario: infatti ci rattri stiamo alla presenza dei mali che odiamo. Perci l'odio non nasce dall' invidia.

    2. L'odio si contrappone all'amore. Ora, l'amore del prossimo si ricollega all'amore di Dio, come abbiamo visto. Perci anche l'odio del prossimo si ricollega all'odio di Dio. Ma l'odio di Dio non causato dall'invidia: infatti noi non invidiamo quelli che sono troppo superiori a noi, ma quelli che consideriamo vicini, come nota Aristotele. Dunque l'odio non prodotto dall'invidia.

    3. Di un determinato effetto c' un unica causa. Ora, l'odio cau-sato dall'ira: infatti S. Agostino afferma che l'ira col crescere diventa odio. Quindi l'odio non causato dall'invidia.

    IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna che l'odio nasce dall'invidia. 2 RISPONDO: Come gi abbiamo visto, l'odio verso il prossimo il

    male estremo nel progredire del peccato, poich si contrappone al-1' amore che per natura a lui portiamo. Ora, uno abbandona ci che gli naturale per il fatto che tende ad evitare qualche cosa da cui per natura rifugge. Ebbene, per natura ogni animale fugge il dolore, o tristezza, come per natura desidera il piacere, conforme alle parole di Aristotele. Quindi, come dal piacere viene causato !"amore, cos dalla tristezza viene causato l'odio: infatti come siamo spinti ad amare le cose che ci piacciono perch sono considerate sotto l'aspetto di bene; cos siamo spinti a odiare le cose che ci addolorano, perch si presentano sotto l'aspetto di male. Perci,

    1 Che per un bene apparente. 11 L'Autore giustifica In pieno quest'affermazione di s. Grego110, e cerca di

    chiarire i motivi psicologici che legano tra loro questi sentimenti, la cui co-noscenza pu aiutare nel loro sforzo di purificazione le anime di buona vo-lont. SI tratta di educare alla gioia del bene altrui, partecipandovi Intensa-

  • L'ODIO 39

    in ordine naturali. Et propter hoc caritas ponitur principalissima virtutum. Et eadem ratione odium non potest esse primum in , itiis, ut dictum est [in corp.).

    Ao sECUNDUM DICENDUM quod odiurn mali quod contrariatur na-turali bono est primum inter passiones animae, sicut et amor 1mturalis boni. Sed odium boni connaturalis non potest esse pri-mnm, sed habet rationem ultimi: quia tale odium attestatur cor-ruptioni naturae iam factae, sicut et amor extranei boni.

    Ao TERTIUM DICENDU?.I quod duplex est malum. Quoddam verum, quia scilicet repugnat naturali bono: et huius mali odium potesi habere rationem prioritatis inter passiones. Est autem aliud ma-Jum non verum, sed apparens: quod scilicet est verurn bonum et connaturale, sed aestimatur ut malum propter corruptionem naturae. Et huiusmodi mali odium oportet quod sit in ultimo. Hoc nutem odium est vitiosum, non autem primum.

    ARTICULUS 6 Utrum odium oriatur ex invidia.

    Infra, q. 158, a. 7, ad 2: De Malo, q. 10, a. 3. Ao SEXTUM SIC PROCEDITIJR. Videtur quod odium non oriatur ex

    invidia. Invidia enim est tristitia quaedam de alienis bonis. Odium autem non oritur ex tristitia, sed potius e converso: tristamur Pnim de praesentia malorum quae odimus. Ergo odium non ori-t11r ex invidia.

    2. PRAETEREA, odium dilectioni opponitur. Sed dilectio proximi refertur ad dilectionem Dei, ut supra [q. 25, a. 1; q. 26, a. 2] habitum est. Ergo et odium proximi refertur ad odium Dei. Sed odium Dei non causatur ex fovidia: non enim invidemus his qui 111axime a nobis distant, sed his qui propinqui videntur, ut patet per Philosophum, in .2 Rhet. [c. 10). Ergo odium non causatur ex inviriia.

    3. PnAETEREA, unius effectus una est causa. Sed odium causatur ex ira: