Tommaso d'Aquino - Somma Teologica - 12 I, II, 90-105. La Legge

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  • S. TOMMASO D'AQUINO

    LA SOMMA TEOLOGICA

    TRADUZIONE E COMMENTO A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI

    TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

    XII

    LA LEGGE (1~11, qq. 90 - 105)

    CASA EDITRICE ADRIANO SALANI

  • Nihil obsca[ quominns imprimatur Fr. Ludovicus Merlini O. P.

    Lect. S. Theolog1ae

    Fr. Albi:?rtus Boc

  • LA LEGGE IN GENERALE (I-II, qq. 90 - 97)

  • LA LEGGE IN GENERALE (I~II, qq. 90 - 97)

    TRADUZJONE dei P. Tito S. Ccnti O. P. INTRODUZIONE E NOTE del P. Raffaele Vela O. P

  • INTRODUZIONE

    1 - Il trattato di S. Tommaso sulla legge a carattere preva-lentemente filosofico, ma inst'rito in una visione teologica della realt; un esempio di come la fede si serva della ragione, per una maggiore chiarificazione e approfondimento dei suoi dati.

    S. Tommaso segue anche qui, come negli altri trattati della Somma, lordine oggettivo o di esposizione, e non l'ordine di conoscenza o di ricerca, iniziando dalla nozione stessa di legge, e passando poi a trattare delle sue varie specie, cominciando da quella pi universale e fondamentale: la legge eterna.

    I Luoghi paralleli.

    2 - Bench non in maniera sistematica come nella Somma, S. Tommaso ha trattato della legge in altri suoi scritti. Vanno ricordati in particolare: A) L'opera giovanile del Commento alle Sentenze di Pietro Lornbardo. In quest'opera egli parla della legge naturale a proposito del matrimonio (4 Sent., d~ 33, q. i), e della legge naturale e divina positiva a proposito dei precetti del Decalogo (3 Sent., d. 37, q. i); non parla invece affatto della legge eterna, come d'altronde non ne parlano, nei loro com-mentari, gli immediati predecessori e contemporanei (Rolando di Cremona, Ugo di S. Caro, S. Alberto Magno, S. Bonaven-tura), perch non ne tratta Pietro Lombardo. B) La Summa Contra Gentiles (3, cc. 11.i-118), in cui tratta della legge divina, sia eterna, a proposito della Provvidenza, sia positiva. Vanno ricordati ancora i commenti all'Etica Nicomachea (special-mente ai libri 1, 5, 10) e ai primi libri della Politica di Aristo-tele, dove tratta in modo particolare della legge civile.

  • 8 LA J,EGliE

    II Fonti del f.rat,tato.

    :1 Accenniamo qui alle fonti del trattato in genere, riservan-doci di determinare quelle di ciascuna specie di legge, via via che ne parleremo. In questo co1npito, ci servjamo dell'opera fondamentale di DoM O. LoTTIN, Psycologie et morale aux: XII et XIII sicles, Il, Lovanio, 1948. Si possono distinguere fonti remote e fonti prossime. La principale fonte remota Aristo-tele, con i suoi trattati dell'Etica e della Politica, i cui C'm.-rnentari da parte di S. Tomrnaso, sono di alcuni anni soltanto anteriori a questa parte della Sonima. Segue S. Agostino e, attraverso lui, Cicerone; S. Isidoro con le sue Etimologie [circa il 570] e Graziano, con il celebre Decreto [circa il ii40], i quali rispe.cchiano il pensiero dei canonisti e dei giuristi romani (Ul-piano, Papiniano, Gaio). La loro importanza risulta evidente dalle continue citazioni che rcor-rono nel testo di S. Tommaso. Tra le fonti prossime, la principale pare che sia il trattato francescano De legibus et praeceptis, che la fonte della Somma Teologica di Alessandro di Ales [t 1245]. In esso si trovano in abbozzo quasi tutti gli clementi circa 1a legge, che S. Tommaso riprender, ordiner e sistematizzer nel suo trattato (cfr. JJOTTIN, op. cit., 11, p. 24).

    III Nozione di legge.

    4 - Il termine legge etimologican1ente deriva dal latino lex, la cui origine per incerta. Cicerone e S. Agostino lo fanno de-rivare da eligere (scegliere), perch le leggi erano scelte tra i piani migliori per governare la comunit; S. Isidoro da le-gere (leggere), perch le disposizioni della legge erano scritte e venivano lette e proclan1ate davanti al popolo (vedi 2 Etym. c. 10, citato espressamente in I-li, q. 00, a. 4, ad 3). S. Tornmaso, seguendo Guglielmo d'Auvcrgne, lo fa invece derivare da ligarr: (legare), perch la legge ha un carattere normativo, essa ob-bliga e vincola (q. 90, a. 1).

    5 - Passando ora dal significato nominale a quello essen-ziale, rirnasta classica la dPfinizione che S. 'rommaso d della legge, a conclusione dell'analisi intorno alla sue cause: Or-dinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam commu-nitatis habet, promulgata l> (q. 901 a. 4). Definizione completa,

  • INTRODUZIONE 9

    perch contiene tutti gli elementi necessari. Dicendo che la legge un'ordinazione della ragione, se ne esprime l'essenza, o la causa formale; il bene comune, esprime il fine a cui essa or-dinata (causa finale); f autorit responsabile della comunit ne la causa efficiente; e la promulgazione costituisce l'elemento necessario per l'applicazione della legge : considerazione della causa materiale, cio dei sudditi ai quali essa, per la promulga-zione, applicata e nei quali esiste. Ci che vien definito la legge in se stessa, come nozione analogica, che conviene in di-verso modo, secondo un'uguaglianza proporzionale, alle diverse specie di legge. Primieramente e di per s questa nozione si ap-plica alla legge umana positiva (legge civile), da cui il Santo Dottore partito per la sua definizione; proporzionalmente per vale anche per la legge naturale ed eterna.

    6 - Quali sono nella tradizione gli elementi gi acquisiti, che hanno permesso a S. Tommaso di pervenire a una definizione cos completa della legge? Dom Lottin, nell'opera citata, cos riassume i risultati della sua ricerca storica: dai giuristi ro-mani e da S. Isidoro, S. Tommaso ha attinto la causa efficiente e la causa finale della legge. Essi infatti nelle loro definizioni, inserite nelle Pandette e nelle Istituzioni, mettono in risalto che dalla comunit che promana la legge; e S. Isidoro nelle sue Etimologie fa rilevare che la leggo riguarda il bene gene-rale. Da Graziano, nel cui Decreto si trova il celebre detto: Leges instituuntur cum promulgantur n, ha attinto la pro-mulgazione; mentre dalle analisi di Aristotele intorno alla legge civile, e di S. Agostino intorno alla legge eterna, ha attinto l'essenza della legge come ordinatio rationis, quale opera pro-pria della ragione {LOTTIN, op. cit., pp. i8-19). Questi elementi della definizione della legge, si ritrovano anche negli autori me-dievali anteriori o contemporanei di S. Tommaso?

    Nel secolo XII, Etienne De Tournai (verso il i159) e Joannes Hispanus (circa il 1185, autore della Summa Lipsiensis), attra-verso Isidoro, si rifanno, per la logge in generale, alle definizioni del diritto romano. La definizione corrente in questo secolo la seguente: cc Lex est scriptum asciscens honostum, prohibens contrarium , definizione che ripresa, nel secolo XIII, quasi identicamente da Guglielmo D'Auvergne nel suo trattato De legibus, dove insiste sul r.arattcre obbligatorio, imperativo della legge, riportandone il significato etimologico al verbo ligare (cfr. LoTTIN, op. cit., p. 17).

    S. Alberto Magno nella sua Summa de bono, scritta verso il 1245, tratta della legge in se stessa, ma si accontenta di ri-portare alcune definizioni correnti, che si rifanno a Guglielmo D'Auvergne, a Graziano e a S. Isidoro. Dove invece si trova un primo abbozzo di sintesi dei vari elementi, costituenti la de-finizione di S. Tommaso, nel trattato francescano De legibus

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    et praeceptis, sopra menzionato. Esso non tratta espressamente della legge in generale, ma parlando della legge eterna, d al-cuni elementi della legge in genere, che costituiscono una prima rudimentale definizione di essa. E proprio della legge, si dice, esse.re un principio d'ordine (ordinare); inoltre tre elementi concorrono ad ogni genere di legge: 1) una causa efficiente, cio l'autorit da cui en1ana; 2) una causa formale, cio la verit alla quale ogni legge deve conformarsi; 3) una causa finale, cio il bene morale o un'utilit. Il merito di S. Tommaso, il quale forse ha conosciuto questo trattato, stato quello d chia-rire e completare, raccogliendo gli elementi sparsi della tradi-zione, questo primo abbozzo, assurgendo, attraverso una tratta-zione sistematica, a un preciso concetto analogico della legge (cfr. LOTTIN, op. cit., pp. 20-4).

    7 - Nella definizione tomistica, due caratteri meritano par-ticolare considerazione: razionalit e universalit.

    1) Razionalit della legge. - I_Ja legge, ripete pi volte S. Tom-rnaso, un 'ordinazione della ragione, opera della ragione, appartiene alla ragione (q. 00, a. 1). Il solo motivo che egli porta a giustificazione di que~ta sua affermazione che la legge una reaola, una norma direttiva dell'agire umano in ordine al fine dell'uomo. Ora per dirigere le azioni umane, che costituiscono d~i mezzi rispetto al fine dell'uomo, bisogna co-noscere e il fine e il rapporto dei mezzi al fine, in modo da sce-gliN'e i pi adatti e stabilire il miglior piano di esecuzione. E questo il compito proprio della ragione, come facolt cono-scitiva spirituale delruomo. Il S. Dottore si richiama ad alcuni principii generali della rnetafisic.a di Aristotele, di cui egli ha gi trattato all'inizio della 1-11 (q . .1, a. 1; q. 18, a. i), secondo i quali il fine la causa primordiale nell'ordine pratico, quello che d la ragion d'essere a ogni azione dell'uomo; e la ragione, come facolt conoscitiva del fine, nell'uomo la regola di ogni suo agire. La ragione la regola generale dell'agire umano; la legge una regola determinata; essa appartiene per conse-guenza alla ragone.

    Alcuni, dopo S. Tommaso, come specialmente il Suarez (De legibus, Iibro i 1 c. 5, n. 24) hanno invece definito la legge in rapporto alla volont. La legge, essi dicono, esprime un co-mando, un'obbligazione; quindi essenzialmente un atto della volont, l'espressione della volont del legislatore. Ora, vero che la nozione di legge in1plica un imperativo, un'obbligazione: alla legge n, scrive S. Tommaso, appartiene comandare e proibite (q. 90, a. i, S. c.); tuttavia egli afferma espressa-mente che la legge ordinatio rationis. E la parola latina ordo, ordinato, prima ancora che imporre un ordine (nel senso im-perativo di cornandare, obbligare), significa porre o stabilire un ordine, un piano di direzione (nel senso regolativo).

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    Si comprende bene come la legge possa appartenere formal-mente alla ragione, pur dipendendo efficientemente dalla vo-lont, se si concepisce quale imperium della ragion pratica, ap-plicando ad essa questa nozione gi teorizzata da S. Tommaso nella sua analisi dell'atto umano {I-II, q. 17, a. 1). Questa ap-plicazione, indicata o suggerita dall'Angelico Dottore nel sed contra e nell'ad 3 della q. 90, a. 1, sviluppata dai Commen-tatori {Gonet, Billuart) ed accettata comunemente dai tomisti odierni (cfr. P. L. LEHU, O. P., Philosophia moralis et socialis, Parisiis, 1914, t. I, pp. 225-227).

    Dei vari atti, nei quali l'analisi filosofica suddivide l'atto umano, secondo che considerato sul piano di ideazione ( ordo intentionis), sia rispetto al fine che ai mezzi, oppure sul piano di realizzazione (ordo executionis), l'imperium il primo nella fase esecutiva: presuppone quindi non solo la volizione del fine, ma anche la scelta dei mezzi. Esso, per conseguenza l'atto della ragion pratica che comanda l'esecuzione della scelta fatta. Formalmente un atto della ragione, perch consiste nello sta-bilire un ordine, nell'organizzare e dirigere il piano di esecu-zione; ed necessario, data la difficolt e complessit di circo-stanze che presenta la realizzazione del fine e l'uso dei mezzi. Presuppone per necessariamente un atto della volont, per-ch la scelta del mezzo o dei mezzi che determina o d il via all'esecuzione. Considerata la legge come un imperium, una norma, un comando {nel senso spiegato), si pu dire che essa opera della ragione pratica come causa formale, e che opera della volont come causa efficiente.

    :E facile capire le importanti conseguenze che derivano da questo carattere essenzialmente razionale che S. Tommaso d alla legge. Essa, in tal modo viene ad essere sottratta a qual-siasi pericolo di arbitrio e dispotismo, e sottoposta a un cri-terio normativo oggettivo e universale. Perch la legge sia va-lida, perch la legge sia giusta e obbligatoria, non basta che sia l'espressione della volont del legislatore, ma bisogna che sia conforme alla retta ragione, che proceda cio dalla ragione or-dinata al fine ultimo del! 'uomo attraverso la scelta di mezzi adeguati.

    2) Universalit della legge. - Un secondo carattere essenziale della legge, che la distingue da qualsiasi altro precetto parti-colare, la sua universalit, il suo carattere sociale, comunita-rio; carattere che le deriva dal fine a cui ordinata e che S. Tommaso chiama il bene comune. Il S. Dottore tratta del bene comune sia, come qui, in funzione della legge, sia in fun-zione della giustizia legale {I-Il, q. 60, a. 3, ad 2; q. 81, a. 8, ad 1; 11-11, q. 58, aa. 6, 11).

    i::-er bene comune si intende, in generale, un bene che par-tecipato da molti; per conseguenza il bene del tutto e non di

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    una parte soltanto; il bene della comunit e non di un indivi-duo o di una classe solan1ente; il bene che rappresenta la per-fezione specifica dell'uon10 e non l'interesse particolare del sin-golo. Come quella di legge, la nozione di bene comune ana-logica, cosicch il suo significato varia e si determina a se-conda del piano di realt in cui considerato e del genere di legge in funzione della quale definito.

    Se si tratta della legge eterna, il bene comune un bene uni-versale partecipabile da tutti gli esseri : Dio stesso, fine ul-tirno di ogni cosa, in quanto ogni cosa partecipa e imita la sua perfezione e bont infinita (/, q. 44, a. 4). Se si tratta della legge naturale~ il bene comune un bene specificamente umano, partecipabile cio da ogni uomo: e questo Dio, fine ultimo della vita urnana, nella cui conoscenza e nel cui amore consiste la nostra felicit e perfezione. Se si tratta invece della legge civile, il bene comune un bene politico-sociale, il bene cio della comunit politica (o stato), al quale ogni cittadino ha di-ritto dt partecipare. Questo bene consiste nell'unit, nell'or-dine, nella prosperit e pace della societ politica, necessaria perch i cittadini che la compongono possano raggiungere il loro fine di uomini.

    S. 'I1omn1aso, iI quale considera la legge in s, in tutta la sua estension1:\ ha presente questi diversi significati del bene co-rnune (eome bene della comunit cosmica, della comunit un1ana, della comunit politica), e nella sua visione teologica integra il punto di vista di Aristotele, limitato a un fine natu-rale, temporale e sociale dell'uomo, con quello di un fine eterno e soprannaturale della persona. Il bene comune, in quanto ftne della legge, Ja sua stessa ragion d'essere. Esso deve perci animare ogni ordinamento legis1ativo; ogni norma o precetto che non sia ad esso ordinato non ha ragione di legge. Come la legge ha ragione di regola rispetto all'azione (mezzo), cos il bene comune (fine) ha ragione di regola rispetto alla legge. E poich il fine la prima del 1L1 cause, quella che mette in movi-mento tutte le altre (causa crrusarum), facile comprendere le 1nportanti conseguenze che S. Tommaso trae da questa finalit universale e sociale della 1eg-ge, quanto al suo principio o rausa efficiente (solo la p(~rsona pubblica. q. 90, a. 3), quanto al modo o ai termini nei quali deve tradursi (universali, q. 96, a. 1), quanto aHa natura dcH'obb1gazione che essa comporta (q. 96, a. 4), quanto ai limiti e alla discrezione del potere politico (q. Q6, aa. 2, 3).

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    IV La legge eterna.

    8 - Fonti. La fonte principal(\ di cui S. Tornmaso si serve, per la sua dottrina e le sue ragioni teologiche sulla legge eterna, come abbiamo detto, S. Agostino. Questi ne tratta in diversi punti delle sue opere: nel 1 De Libero Arbitrio, c. 6; nel De Vera Religione, c. 31; nel 22 Contra Faustum, c. 27, dove si trova la definizione ormai classica: La legge eterna la ragione e la volont di Dio che comanda di conservare I 'or-dine naturale e proibisce di perturbarlo. Agostino si ispirava, a sua volta, a Cicerone e alla celebre definizione del suo 2 De legibus, c. 4.

    Di chiara ispirazione agostiniana, la dottrina sulla legge eterna del trattato francescano De legibus et praeceptis, che fa uso dei testi del Santo Dottore. Questo trattato ha influito, come mostra il Lottin mediante la comparazione dei testi, e sulle questioni di Pietro di Tarantasia, identificate da Mons. Glo-rieux, che le fa risalire al 1264 circa (cfr. I.lOTTIN, op. cit., p. 59), e sulle questioni della Somma Teologica di S. Tommaso, che riguardano la legge eterna. Il merito del nostro, stato quello di aver perfezionato la dottrina ormai comune nelle scuole dell'epoca, eliminando questioni verbali, riducendo i problemi secondari a semplici obbiezioni dei vari articoli, e soprattutto definendo la legge eterna e le sue propriet in ordine alla defi-nizione della legge in genere, precedentemente stabilita. Dom Lottin conclude la sua ricerca con questo giudizio: il trattato di S. Tommaso sulla legge eterna uno dei capitoli della sua morale, dove si mantenuto pi fedelmente il genio del pen-siero agostiniano (cfr. op. cit., p. 67).

    9 - Nozione. S. 'Tommaso fa della legge eterna il primo membro di divisione o il primo analogato della legge, ed quindi in base a questa che la definisce. Essa detta eterna, perch esiste fin dall'eternit in Dio, nell'intelletto divino, come ordinamento o piano direttivo di ogni cosa verso la bont di-vina, fine ultimo dell'universo. La nozione di legge eterna legata imm.ediatamente a quella di provvidenza (I, q. 22, a. 1), mediatamente a quella di creazione (I, q. 45). L'esistenza e l'or-dine delle cose finite esige un supremo creatore e legislatore. Un creatore che concepisca nella sua mente ci che vuole rea-lizzare; un legislatore che concepisca nella sua mente l'ordine di ci che realizza.

    S. Tommaso si rif all'analogia dell'artefice: Dio l'artefice e iI governatore dell'universo, che ha nella sua mente l'idea

  • LA LEGGE

    o il piano, secondo il quale tutte le cose esistono e sono ordinate (q. 93, a. f) ... - Data l'assoluta semplicit di Dio, evidente che la legge eterna non si distingue realmente dall'intelletto e dall'essl~nza divina; se ne distingue tuttavia concettualmente, come si distingue dalle idee dell'intelletto divino e dalla prov-videnza divina. Le idee divine sono i modelli delle cose, mentre la legge eterna il rnodello o la norma dell'ordine delle cose. Dalla provvidenza si distingue per la sua maggiore universa-lit: conie il principio rispetto alla conclusione (De Verit., q. 5, a. 1, ad 6). La legge eterna infatti il piano (ratio) astratto dell'ordine universale delle cose al fine; la provvidenza il piano concreto dell'ordine particolare di ogni singola cosa al fine (1, q. 22, a. 2).

    La legge eterna nelle questioni della 1-11 precedenti la no-stra, che trattano della moralit degli atti umani ( q. 1.9, a. 4 corp., ad 3) e dei peccati (q. 71, a. 2, ad 4, 5), considerata. dal Santo DoUore come regola suprema di moralit, per ri-spetto ana ragione che ne la regola prossima. Nel nostro trat-tato invece, considerata soprattutto come fonte e archetipo di ogni altra legge, principio o regola suprema dell'ordine del-l'universo. Ogni legge dipende ed ha valore da essa, come da causa esemplare, dalla quale trae verit; H come da causa effi-ciente, da cui trae forza di obbligazione, poich ogni autorit proviene da Dio.

    10 - La legge eterna di Dio, cos intesa, ha un'estensione universalissima, che abbraccia tutti gli esseri della creazione: se nessuna cosa pu sottrarsi alla provvidenza divina, a fortiori non pu sottrarsi alla sua legge eterna. Non allo stesso modo tuttavia sono soggetti e regolati dalla legge eterna gli esseri privi di ragione e gli esseri intelligenti. I primi partecipano della legge eterna attraverso le loro inclinazioni naturali; l'uomo invece ne partecipa anche mediante la ragione, e quindi me-diante la conoscenza che di essa pu avere ( q. 93, aa. 5, 6).

    La legge eterna presenta per delle difficolt, perch si possa ad essa applicare propriamente la definizione della legge : que-ste difficolt riguardano soprattutto la sua promulgazione e la sua conoscibilit. Una legge che esiste in Dio fin dall'eternit, prirna ancora che esistano i soggetti per i quali stabilita, come si pu dire promulgata? E se non promulgata, come si pu chiamare vera e propria legge, dal momento che la promulga-zione essenziale alla nozione di legge? Su questo punto insi-stevano gli scolastici contemporanei. S. Tommaso ha sentito la difficolt, e ad essa risponde espressamente con una distin-zione. La legge eterna non pu dirsi promulgata rispetto alle creature che da essa dovevano essere regolate (cio rispetto alla materia, o subietto), poieh queste esistono nel tempo; ma pu dirsi promulgata eternamente da parte di Dio regolatore (cio

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    dal punto di vista della forma della legge) in quanto viene espressa nel Verbo, ovvero nel libro della vita (q. 9.1, a . .1, ad 2). Questa distinzione, la quale ci richiama al mistero trinitario, mostra che per S. Tommiso la promulgazione si pu riscon-trare nella legge eterna non in senso proprio, ma analogico.

    Se la legge eterna, d'altra parte, si identifica realmente con Dio (con il suo intelletto e la sua essenza), come pu essere co-nosciuta dall'uomo? La risposta a questa difficolt pi facile. Essa certo non pu essere conosciuta dall'uomo in se stessa, per-ch per farlo si dovrebbe conoscere Dio nella sua essenza; ma pu essere conosciuta attraverso le sue participazioni o irra-diazioni, particolarmente attraverso la legge naturale (almeno nei suoi principii universalissimi), e la legge divina positiva (q. 93, a. 2).

    Con la sua dottrina della legge eterna, come fondamento di ogni altra legge, S. Tommaso viene a dare una base oggettiva, assoluta, all'ordine sociale, riportandolo a I)io, come a sua prima fonte. Non solo l'uomo, ma tutte le cose soggiacciono alla legge, all'imperium del loro divin creatore e sono dirette dalla sua infinita sapienza. In tal modo l'ordine morale (o umano) inserito nell'ordine universale.

    V La legge naturale.

    11 - Fonti. Qui al primo posto va ricordato Aristotele. Questi parla della legge naturale principalmente in due passi. Nel 5 libro dell'Etica Ncomachea (c. 7) la ricorda a proposito della giustizia politica, che egli divide in naturale e legale (o convenzionale). La giustizia naturale quella che ha dovunque la stessa validit, e non dipende dalla nostra opinione e dal nostro consenso. La giustizia legale quella che all'inizio pu essere stabilita in un modo o in un altro indifferentemente. anche se, una volta stabilita, non pi indifferente.

    Nel 1 libro della Retorica (c. 13) Aristotele distingue tra legge propria e legge comune; e spiega che la legge propria quella che gli uomini si stabiliscono da loro (quindi convenzionale), mentre la legge comune quella che naturale. E si rif per questo all'Antigone di Sofocle, dove affermato che si d una giustizia o un'ingiustizia naturale, anteriore e superiore a ogni giustizia o ingiustizia puramente convenzionale.

    Un influsso pi diretto su S. Tommaso hanno tuttavia i giu-risti romani, tramite S. Isidoro e Graziano. Questi usano una d.iversa e pi complessa terminologia (lus naturale - Ius gen-tium - lus civile, invece della semplice divisione aristotelica

  • 16 LA LEGGE

    in lustu1n naturale e h.tstum legale), e S. Tommaso, con la sua nota riverenza verso le auctoritates, si sforzer di conci-liarla con la divisione aristotelica.

    Mentre i giuristi parlano di diritto naturale, i teologi del medioevo preferiscono parlare di legge naturale; ma le duo espressioni sono usate sinonimamento. Il primo a immettere la legge naturale nella teologia verso il i220, nota il Lottin (op. cit., p, 75), fu Guglieln10 D'Auxerro, il quale fa del diritto naturale il fondan1ento e la norn1a delle virt morali. Egli ri-scontra una triplice divisione negli elementi inclusi nella legge naturale; divisione importante, f)Crch rispecchia le vario defini-zioni date dai giuristi e perch sar ripresa da S. Tommaso: i) la tendenza naturale che ogni essere ha alla propria conserva-zione e al proprio sviluppo; 2) le tendenze naturali comuni al-l'uomo e agli animali (che la definizione dell'ius naturale data da Ulpiano) ~ 3) le tendenze naturali proprie all'uomo, corno esse-re razionale, ernananti quindi dalla ragione naturale o comuni a tutte le nazioni ( la definizione che Isidoro di Siviglia e Gra-ziano danno delrius genrium,, distinto dall'ius civile, come pro-prio a ciascun popolo). Le questioni che si agitavano intorno alla legge naturale nel secolo XII e XIII, e che ritroviamo in S. Tommaso, riguardano la sua natura (se sia un atto o un abito; a quale facolt appartenga), il suo contenuto (quali prin-cipii comprenda)~ e le suo propriet (specialmente universalit e immutabilit).

    12 - No:.iorw. S. Tommaso ha trattato della legge naturale, prima ancora che nel1a Somrna Teologica, nel suo Commento alle Sentenze (4 Sent., d. 33, q. i). Qui egli, sulresempio del suo maestro Alberto l.\.fagno, e pi di lui, metto in rilievo il carattere intrinseco della legge naturale. Essa non qualche cosa di estrinsecarnente imposto all'uomo, ma fondata sulla sua natura; essa il frutto dell'attivit della ragione: non di una attivit riflessa e deliberata, ma immediata e spontanea; essa propria della ragione conie forma naturale (ratio ut natura). Per questo si pu dire che essa nell'uomo ci che l'istinto negli animali: principio direttivo naturale e spon-taneo dell'agire umano verso il fine spt~cifico dell'uomo.

    Poich, dnnque, la legge naturale fondata sulla natura dell'uomo, d cui traduce o interpreta, sul piano razionale, le inclinazioni fondamentali (di qui la sua denominazione), ne segue che i suoi precetti o principii sono necessari, come ne-cessaria la natura dell'uorno. Questa, nel sistema di S. Tom-maso non dipende formalmente dalla volont, ma dall 'intolletto divino (come idea o nwdo di particinabilit dell'essenza di-vina), per rui assolutarrrnnte necessaria. I p:recetti della legge naturale non obbligano soltanto pcrch Dio ha cos liberamente voluto, ma perch tale la natura dell'uomo, come Dio l'ha

  • INTRODUZIONE 17

    concepita. Cos, p. es., mentire, o uccidere l'innocente non male perch proibito, n1a,,al contrario proibito perch ripu-gnante alla natura razionale dell'uomo, perch intrinsecamente male. Si tratta quindi di una necessit non estrinseca e rela-tiva, ma intrinseca e assoluta.

    13 - Nella Somma Teologica la legge naturale inserita nella trattazione della legge in generale, e viene considerata in rap-porlo alla logge eterna. In base alla definizione della nozione a-nalogica di legge, essa opera o frutto della ragione naturale: consisto infatti nei principii pratici universali che la ragione formula nella sua attivit spontanea o immediata, interpretando quelle che sono le inclinazioni fondamentali dell'uomo in or-dine al suo fine. Da ci il S. Dottore deduce una conseguenza importante, specialmente in rapporto al le controversie del suo tempo: la legge naturale un atto e non un abito. Ritenevano che fosse un abito sia la scuola francescana {come risulta dal De legibus et praeceptis e dalla Summa di Alessandro di Ales), sia Pietro di Tarantasia, esponente della scuola domenicana primitiva. Costoro, sotto l'influsso agostiniano, insistevano tanto sull'innatismo della leggo naturale, da concepirla come qualche cosa di stabile e pernianente.

    S. Tommaso nega che sia un abito, perch mentre la legge naturale il prodotto dell'attivit della ragion pratica (si tratta dei principii universali formulati dalla ragione), l'abito piut-tosto la condizione dell'attivit della ragion pratica. Nel caso dovrebbe essere una qualit stabile della ragion pratica, in forza della quale questa conosce e formula detti principii (I-Il, q. 94, a. 1). Ma l'abito della ragion pratica, o dei primi prin-cipii pratici, non la legge naturale, bens Ja Sinderesi, che corrisponde all 'intellectus principiorum, abito dell'intelletto speculativo, o dei primi principii teoretici. Non detto per che la legge naturale non possa diventare con facilit possesso abi-tuale della ragione. Ecco perl'h S. Tommaso pu affermare che il rapporto tra la sinderesi e la legge naturale, identico a quello che intercorre tra l'intellectus principiorum e la scienza (q. 94, a. i, ad 2; cfr. I, q. 79, aa. 12, 13; Il-li, q. 47, a. 6 corp., ad i, 3). Perci la legge naturale in un cerlo senso innata, scritta nel cuore dell'uomo. I suoi precetti primi o comuni sono cc scritti nella ragione naturale quasi per s noti , in quanto per essere conosciuti e formulati non si richiede ragio-namento alcuno, ma la semplice apprensione dei termini. E sufficiente quindi per possederli l'uso normale della ragione (I-Il, q. 100, a. 3).

    Passando poi a considerare la legge naturale in rapporto alla legge eterna, S. Tommaso applica a tale rapporto la nozione metafisica di partecipazione, e definisce la legge naturale una

  • 18 LA LEGGE

    (q. 9i, a. 2). Come l'essere della creatura partecipazione dell'essere di Dio e la ragione umana lume partecipato dell'in-telletto divino, cos la legge naturale partecipazione della legge eterna di Dio. Certo non soio nell'uomo, ma in ogni cosa c' una partecipazione della legge eterna, dal momento che essa si produce 1nediante la natura; tuttavia il modo diverso, secondo la natura propria dei vari esseri. Cos gli esseri anor-ganici la partecipano sotto fot>rrrn di necessit fisica; gli anirnali per mezzo delristinto; l'uomo mediante la ragione. E poich la legge per definizione opera della ragione, solo la partecipa-zione nella creatura razionale chiamata propriamente legge (q. 9i, a. 3, ad 3).

    La nozione di partecipazione (partem capere), implica e im-porta nel partecipato una limitatezza, una potenzialit e con-seguentemente una dipendenza dal partecipante; per cui la legge naturale non pu adeguare quella eterna, ma da essa di-pende e ne realrnente distinta.

    14 - Contenuto della legge naturale. La legge naturale, si visto, fondata sulla natura dell'uomo, tendente al proprio fine; perci S. Tommaso determina il contenuto della legge na-turale in base a quelle che sono le inclinazioni fondamentali della natura un1ana. L'uomo tende naturalmente al bene, alla sua perfezione di uomo, mentre rifugge naturalmente da ci che ad esso si oppone. Tutto ci che conforme alle sue incli-nazioni naturali} la ragione lo apprende spontaneamente e lo giudica corne buono e da farsi; mentre tutto ci che contrario, lo considera come un male da evitarsi.

    Riprendendo la distinzione di Guglielmo d'Auxerre, S. Tom-maso distingue, in base alla complessa struttura della natura umana, un triplice ordine di tendenze fondamentali, da cui ri-sultano tre categorie di precetti della legge naturale : i) La ten-denza alla propria conservazione, che l'uomo, in quanto una sostanza, ha in comune con tutti gli esseri. Su di essa sono fon-dati i precetti proibenti, ad esempio, il suicidio ed obbliganti alla nutrizione necessaria per vive.re, cosicch in caso di estrema necessit tutto comune. 2) La te.ndenza alla procreazione, che l'uomo, in quanto un animale, ha in comune con i bruti. Di qui i precetti riguardanti la generazione ed educazione della prole. Cos, ad es.~ la poliandria condannata, oltre tutto, per-ch si oppone alla generazione, causando la sterilit. 3) La ten-denza alla conoscenza della verit e alla vita sociale, propria all'uorno, in quanto un essere razionale. Di qui derivano le norme che condannano l'ignoranza, e che impongono la ricerca della vert, nonch il rispetto degli altrui diritti. Queste norme, che interpretano le inclinazioni naturali dell'uomo, costitui-scono i precetti primari della legge naturale, ma possono a loro volta riportarsi a un principio unico pi universale, che tra-

  • INTRODUZIONE 19

    duce l'inclinazione fondamentale dell 1uomo al bene: Il bene va fatto, il male va evitato n. ~ questo il primo principio del-l'ordine pratico~ fondato immediatamente sull'apprensione del bene, come il principio di non contraddizione, fondato sull'ap-prensione dell'ente, lo dell'ordine teoretico (q. 94, a. 2).

    15 - Ma la legge naturale non contiene solo i principii primi: oltre questi sono oggetto di essa anche quei precetti che costi-tuiscono le conclusioni necessarie immediate dei principii primi, e che ne formano i precetti secondari. Tali sono i precetti del Decalogo (ad eccezione del precetto del riposo sabbatico, che una determinazione positiva particolare), e tutte quelle norme che si presentano come conclusioni necessarie mediate dei prin-cipii primi, in quanto richiedono, per essere dedotto, la rifles-sione della ragione. Tali precetti per i giuristi romani, nonch per i giuristi e teologi del medioevo, legati alla loro terminologia, costituivano il diritto delle genti (ius gen-tium). Tra queste norme, vanno ricordate quelle riguardanti il di-ritto di propriet privata, la giusta compra-vendita {q. 95, a.

    ~), la necessit dell'autorit nella societ, l'osservanza dei patti. S. Tommaso in diversi luoghi tratta dell'ius gentim (Eth.

    Nic., lect. 12; q. 95, a. 4, corp. e ad i; 11-11, q. 57, a. 3, corp. e ad 3), e sebbene non si esprima sempre allo stesso modo a causa delle diverse auctoritates (Aristotele e i giuristi) che si sforza di conciliare, sempre evidente la sua intenzione di includere in esso le conclusioni necessarie mediate e prossime dei principii della legge, o del diritto naturale. L'ius gentium, anpartiene, propriamente, al diritto naturale, in quanto si tratta di conclusioni necessarie, le quali per non essere troppo re-mote dai primi principii sono facilmente deducibili, e quindi comuni ai diversi popoli. Impropriamente e per rispetto ai giu-risti (Gaio, Isidoro), si pu dire che esso appartiene al diritto positivo, in quanto si tratta di conclusioni dedotte, o mediate, dalla riflessione della ragione, e quindi di un diritto specifica-tamente umano, distinto dal diritto naturale, che comprende pel' costol'o solo i principii comuni all'uomo e agli animali.

    Perci questo diritto delle genti degli antichi, non va con-fuso con il diritto internazionale dei moderni. Il diritto inter-nazionale l'insieme delle norme che rAgolano i ranporti tra gli stati e tra gli individui di stati diversi. Esso comprende, oltre certe norme facenti parte del diritto naturale, disposizioni di semplice diritto positivo.

    La distinzione tra precetti nrimari e precetti secondari della leg-ge naturale si rivela quanto mai preziosa, nerch permette a S. Tommaso di risolvere le delicate questioni riguardanti la conoscibilit (q. 94, a. 4) e l'immutn.bilit (ibid., a. 5) della legge suddetta. Riguardo ai principii primi comunissimi tale legge non pu essere ignorata da akuno che abbia l'intelli-

  • 20 LA I .. EGGE

    genza normahnente sviluppata; pcrch si tratta di princ1pn evidenti alla semplice apprensione dei termini. Quanto alle conclusioni in1mediate (principii o precetti derivati), quali i precetti dcl Decalogo, la legge naturale di per s non pu es-sere ignorata: non pu esserci cio un'ignoranza continuata e invincibile, sebbene in alcuni casi (per accidens quindi), possa essere misconosciuta o ignorata per qualche impedimento (pas-sione o cattiva consuetudine). Esc1npio classico quello riportato da Giulio Cesare nel De Bello Gallico: gli antichi Germani ri-tenevano lecito il furto (q. 94, a. 4).

    Quanto alle conclusioni mediate, pi queste sono remote dai princ:ipii e pi aumenta in concreto la possibilit di igno-ranza e di errore, sia per motivi soggettivi (difetto di intelli-genza, di volont, di tempo disponibile), sia per motivi ogget-tivi (oscurit e difficolt della connessione con i principii). Per questo necessario, o pet lo meno sommamente utile, l'in-tervento dell'autorit divina o umana, che determina e sanci-sce tali conclusioni necessarie, ma mediate e remote.

    16 - La legge naturale, si detto, fondata sulla natura dell'uomo, per conseguenza la sua esistenza negata da quanti non arnmettono nell'uomo una natura come struttura essen-ziale ed in1mutabile, ma affermano che egli soggetto a pe-renne evoluzione. Tali sono i positivisti, gli evoluzionisti, gli storicisti e i moderni fautori del! 'etica della situazione. Per costo10 nell'uomo non esistono norme assolute ed immutabili; ma il valore morale di ogni azione dipende e varia a seconda delle circostanze concrete in cui emessa, e da queste va giu-dicata. S. Tommaso afferma l'immutabilit dell'uomo quanto alla sua natura, alle sue inclinazioni e bisogni essenziali, da cui deriva l'irnmutabilit assoluta dci prncipii primi della legge naturale; ma ammette anche, smentendo l'accusa che gli vien fatta di concepire la realt astrattamente e staticamente, una ccrt.a evoluzione e mutazione nell'uomo, nelle sue esigenze, tanto da riconoscere l'influsso delle circostanze e delle condi-zioni concrete sulla retta conoscenza o meno degli stessi prin-cipii o precetti secondari della legge naturale.

    VI La legge positiva umana.

    17 - Per la legge positiva umana, o legge civile, S. Tom-maso dipende sia da Aristotele, la cui dottrina gli ora familiare attraverso l'Etica Nicoraachea e i primi libri della Politica, che dai giuristi romani, tramite S. Isidoro e Graziano.

    La legge civile stata il modello, in base al quale egli as-

  • INTRODUZIONE 21

    surto alla nozione analogica di legge; essa infatti realizza pi compiutamente e propriamente tutti gli elementi della defini-zione: un'ordinazione della ragione, emessa e promulgata dal-l'autorit pubblica, per il bene comune temporale dello stato.

    Ma qual' la necessit della legge civile? Non pu l'individuo governarsi da solo, o raggiungere cos la virt e il suo vero bene? Non sufficiente la legge naturale?

    L'uomo per natura un essere sociale, ritiene S. Tommaso con Aristotele, perch senza la societ non pu raggiungere il suo fine, la sua perfezione di uomo; quindi la natura stessa che lo inclina, che lo spinge ad unirsi in societ, come lo in-clina alla virt. Ecco perch la leggo naturale il fondamento di ogni altra legge. Tuttavia la forma e l'organizzazione con-creta della societ, come il possesso effettivo della virt, non data all'uomo dalla natura, ma frutto della sua attivit ra-zionale. Per questo la societ al tempo stesso opera della na-tura e della ragione (humana industria), un misto di necessit e libert (cfr. 1 Polit., lect. i; 8, lect. 6); per cui non basta la legge naturale, ma occorre anche la legge positiva.

    I precetti della legge naturale, si visto, hanno un carattere universale. E se sono sufficienti a guidare l'uomo quanto alle sue inclinazioni fondamentali, non lo sono riguardo alle situa-zioni particolari, vario e complesse, che presenta il vivere so-ciale; situazioni che richiedono (perch l'uomo possa agire rettamente) delle norme pi determinate e precise. Queste norme costituiscono la logge positiva, opera della ragione, che determina ed applica a situazioni specifiche i principii della legge naturale.

    E l'ordine e la pace della societ, l'acquisto e l'esercizio della virt, ad esigere delle leggi positive, emanato da un'au-torit che le faccia rispettare. Se consideriamo la natura umana in concreto, con le sue passioni ed egoismi, con la sua igno-ranza ed errori, siamo costretti ad affermare che impossibile la coesistenza pacifica di una moltitudine, senza che i suoi membri (specialmente giovani) siano istruiti, educati, diretti e disciplinati. Qu(:ista educazione e direzione il compito pro-prio della leggo civile (q. 95, a. 1).

    18 Contenuto della legge positiva. Riguardo al contenuto della legge positiva S. Tommaso fa una distinzione fonda-mentale. Alcuni dei suoi precetti sono conclusioni necessarie (sia pure mediate) dei principii della legge naturale, dedotte secondo un procedimento scientifico. In questi casi (proibendo, p. es., la poligamia), l'autorit civile non fa che sancire e raf-forzare la legge naturale. E quindi tali conclusioni hanno vi-gore da questa, ancor prima e oltre che dall'autorit civile. Queste conclusioni costituiscono l'ius gentium degli antichi.

    Altri precetti della legge positiva, sono invece determina-2 - XII

  • 22 LA LEGGE

    zioni particolari della legge naturale, che viene cosi applicata a situazioni e circostanze particolari, sull'esernpio e per ana-logia col procedimento artistico, che concretizza una forma ideale in una determinata materia. Cos, ad esempio, le leggi riguardanti i vari programmi di educazione sono una determi-nazione della legge naturale, la quale obbliga all'educazione dei figli; le leggi sul pagamento delle tasse sono una determi-nazione della legge naturale, che impone a ciascuno di dare il proprio aiuto e contributo alla societ, ecc. Queste leggi posi-tive hanno vigore, almeno direttamente, solo dall'ordinanza del-l'autorit competente. & questo il campo specifico e principale della legge positiva, campo assai pi vasto e complesso che non il precedente, e giustifica il rnoltiplicarsi dci precetti, in pro-porzione alla variet dei bisogni concreti di una comunit o di una nazione.

    19 - Obbligazione della legge positiva. Una questione estre-mamente importante, che S. Tommaso si pone a proposito della legge civile, quella della sua obbligazione. Impone essa un obbligo morale, vincolante la coscienza del suddito, oppure sol-tanto un'obbligazione giuridica, esigente una pena? La sua ri-sposta che si tratta di un'obbligazione morale, oltre che giu-ridica. Non che egli ignori l'esigenza di leggi meramente penali, come in alcuni casi chiaro dall'intenzione stessa del legisla-tore; qui per non ne parla solo perch in questo trattato egli intende precisare soltanto la natura della legge civile, e il suo fondamento, cercando di determinare i legami che essa ha con la legge naturale e, attraverso questa, con la legge eterna.

    La legge civile obbliga in coscienza, sia che si consideri da parte del suo fondamento (diretto o indiretto) che la legge na-turale; sia che si consideri da parte del suo fine (il bene co-n1une temporale), oppure da parte della sua causa efficiente, che l'autorit pubblica. Questa infatti, essendo necessaria alla societ, procede da Dio, come la natura sociale stessa dell'uomo. Per conseguenza deve avere il potere di obbligare moralmente i cittadini. Una legge positiva che si opponesse alla legge na-turale, o andasse contro il bene comune, a vantaggio del bene particolare di un individuo o di una classe, o che non fosse emanata dalla competente e legittima autorit, non sarebbe propriamente una legge, ma un abuso di essa. Per questo i1 S. Dottore ha cura di precisare, riprendendo la descrizione di S. Isidoro, le qualit della legge positiva (q. 95, a. 3) e le varie condizioni in base alle quali ossa giusta o ingiusta (q. 96, a. '1).

    Le stesse autorit civili che emanano le leggi, sebbene non siano soggetto ad essa quanto alla loro forza coattiva (alla pena cio che esse comportano), sono tE.~nute a osservarle in consi-derazione del loro valore dirctt.ivo intrinseco per gli scopi da

  • INTHODUZIONE 23

    raggiungere: attuazione dcl bene comune, e acquisto della virt (q. 95, a. 5, ad 3).

    Altre interessanti questioni, S. Tommaso si pone riguardo al potere e all'estensione della legge civile. Deve essa comandare tutti gli atti virtuosi e proibire tutti quelli viziosi? (q. 96, aa. 2 e 3). permessa una resistenza non solo passiva, ma anche attiva, in caso di abuso di potere da parte dell'autorit? E la celebre questiono della resistenza al tiranno (q. 96, a. 4). Le risposte che egli d sono improntate a profonda saggezza ed equilibrio.

    La legge civile, perch sia efficace, deve adattarsi alle condi-zioni di coloro che intende dirigere, e tener conto delle circo-stanze concrete del vivere sociale. Essa non rivolta al singolo, n1a alla moltitudine: perci propriamente e direttamente essa intende promuovere l'ordine, la pace, il benessere materiale e morale, che costituiscono il bene comune della societ, di cui fa parte l'esercizio delle virt civiche, cio di quelle virt pi direttamente connesse con il bene comune (obbedienza, giusti-zia). Il bene comune dunque la suprema ratio che pu esigere, per la sua attuazione o il suo mantenimento, la tolleranza di alcuni mali, sia perch la loro proibizione o repressione da parte dell'autorit causerebbe un male maggiore (la massa dei citta-dini, presentando una grande variet e diversit di disposi-zioni buone o cattive, va educata alla virt gradualmente); op-pure perch si tratta di azioni cattive puramente interne e di ca-rattere privato, estranee alla competenza dell'autorit civile, la quale pu legiferare solo sulle azioni esterne o miste, in quanto utili o nocive al bene comune. questa l'imperfezione o il li-mite intrinseco della legge umana.

    20 - Similmente una legge ingiusta non obbliga di per s in coscienza. Tuttavia, in circostanze speciali, il bene comune pu esigere che si obbedisca ad essa, purch non vada contro il bene divino (q. 96, a. 4). Nel caso di abuso di potere, cio nel caso del tiranno che legifera per interesse personale, o che viola i diritti naturali, permessa la resistenza anche attiva {la ri-bellione aperta), ma solo a condizione che non causi un male maggiore (il caos sociale, la guerra civile, gravissimo scandalo), e che ci sia quindi fondata speranza o certezza morale di suc-cesso (li-Il, q. -1:2, a. 2; De Regim. Princ., I, c. 6; cfr. R. PrzzoRNI

    . O. P., La liceit della resistenza alla legge ingiusta secondo S. Tommaso, in Aquinas, 1961, p. 324-368).

    Di fronte a tale impostazione e soluzione di problemi, si com-prende bene come per S. Tommaso sia secondario il problema della forma del potere politico. Non si pu dire, egli afferma

    con Aristotele, che una forma di governo sia assolutamente mi-gliore di un'altra, perch va considerata in rapporto ai tempi alle circostanze, alle condizioni di un popolo. Le sue preferenze

  • LA LEGGE

    sono per una monarchia costituzionale, la quale meglio salva l'unit di governo. Rimane per che l'autorit, qualsiasi forma rivesta, deve agire e per il bene cornune, e nel rispetto della legge naturale, nonch della legge positiva divina.

    La strenua difesa del valore e dell'obbligazione della legge civile, dal cui rispetto cd osservanza dipende la pace e il benes-sere dello stato, non impedisce a S. Tommaso di aver vivo an-che il senso dei suoi !in1iti. Si tratta di legge umana, e come tale soggetta alla mutabilit e perfettibilit dell'uomo e della sua ragione pratica. Col mutare dei tempi, dello condizioni, delle esigenze di un popolo, ad una pi approfondita cono-scenza di certe situazioni pu darsi che alcune leggi si rive-lino non pi adeguate e funzionali, e debbano essere o perfe-zionate o sostituite da altre.

    Ogni cambiamento per devo essere diretto dalla prudenza politica e motivato da una migliore e pi sicura realizzazione del bene comune, la quale compensi il pericolo insito in un mu-tamento di leggi: quello di diminuire il rispetto dell'autorit, intaccando la stabilit e consistenza della collettivit organiz-zata (q. 97, a. 2).

    Preziose e improntate a saggezza e buon senso sono anche le considerazioni dell'Angelico riguardo all'interpretazione della legge, in casi particolari da parte dell'individuo (l'uso dell'epi-cheia), e quelle relative ai rapporti tra legge e consuetudine, tra legge o dispensa (q. 97, aa. 3, 4).

    21 - Al termine di questa sintetica introduzione, possiamo affermare che questo trattato sulla legge tra quelli che meglio rivelano l'equilibrio e il sano realismo di S. Tommaso. Esso, pur non contenendo questioni particolari e di casistica, svilup-pate dai moralisti e giuristi posteriori, cornpleto quanto ai principii ed elementi essenziali, da cui si deve trarre luce e a cui bisogna rifarsi per la soluzione dei problemi e casi par-ticolari. S. Tommaso ha saputo, con rara maestria e singolare intuito, far tesoro degli elementi fornitigli da una plurisecolare tradizione, e fonderli in una sintesi originale, il cui valore stato ed tutt'ora riconosciuto da sociologi e giuristi anche non cattolici.

    Si tengano presenti per le prospettive ampie del trattato to-mistico, ricordate recentemente da Dom Gh. Lafont: cc Il trat-tato sulla Legge che si apre alla questione 90 non va considerato sotto un angolo puramente spc~culativo, in una prospettiva di fi-losofia sociale o giuridica: gli elementi che risultano da tale nrospettiva esistono realmente nel nostro trattato, ma non sono i soli, e il primo rilievo da fare all'inizio di una ricerca sul si-g-nificato delle questioni 90-108, sta nel riconoscere la loro fon-damentale unit. Noi nrendiamo tali questioni rome un blocco unico: n la presentazione di S. Tommaso. n la tradizione sco-

  • INTRODUZIONE 25

    lastica, cui si ricollega, n soprattutto la natura stessa del dato rivelato e della teologia ci permettono di considerare come mar-ginali le questioni relative alla Legge antica e alla Legge evan-gelica, che formano buona parte di questo blocco. In realt esse ne sono il coronamento, come le beatitudini coronano l'analisi delle virt (Structures et mthode dans la Somme T hol. de S. Th. d'Aq., Bruges, 1961., pp. 237s.).

    P. RAFFAELE VELA 0. P.

  • LA LEGGE

    CONTENUTO DEL PRESENTE VOLUME

    ~ 1) natura della legge (q. 90) I) in generale: 2) sua divisione {q. 91) 3) suoi effetti (q. 92)

    li) in parti-colare:

    1) la legge eterna (q. 93)

    2) la legge naturale (q. 94)

    3) la legge 'a) in se stessa {q. 95) umana: J b) il suo potere {q. 96)

    l c) le sue variazioni (q. 97)

    4) 1 a 1 e g ge antica: ) . . ( I) loro divisione (q. 99) I a) in se stessa {q. 98) b nei SUOl precetti: \ .1 1) morali (q. 100)

    ( II) sin g.o q \ a) in se stessi {q. 101) generi d1 precetti: 2) cerimoniali~ b) loro cause {q. 102) J ( c) loro durata {q. 103) , \ a) in genere (q. 104} \ 3) giudiziali

    \ b) in particolare (q. 1 5) la nuova legge (vol. XIII}

  • AVVERTENZE

    1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indica-zioni delle opere citate, perch figurano a fronte nel testo latino.

    Dove l'intelligibilit della frase lo richiedeva stato inserito qual-che termine o qualche espressione tra [ ], per facilitare la compren-sione del testo senza ricorrere a perifrasi.

    Nella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare agio al lettore di controllare la traduzione e di consultare il testo originale.

    I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse per conti-nuano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti.

    2. Il testo critico latino delPEdizione Leonina riprodotto con la pi scrupolosa fedelt. La sola enumerazione degli articoli all'ini-zio della Quaestio stata fatta senza capoversi.

    Manca per, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole va-rianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle note.

    Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l'Ed. Leo-nina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Sol-tanto i versetti della Sacra Scrittura - in corsivo - figurano senza altri contrassegni. _

    Le citazioni e i luoghi paralleli sono semplificati con criteri tecnici moderni.

    Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture pi comuni: per non infarcire troppo il testo di elementi estranei, abbiamo tra-scurato i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono vere correzioni del testo della Somma, vengono riportati in nota.

  • QUESTIONE 90 Costitutivi essenziali della legge.

    Eccoci a trattare dei principii esterni dei nostri atti. Ora, il prin-cipio esterno che inclina al male, il demonio, e di esso abbiamo gi parlato nella Prima Parte, trattando della tentazione. Invece il principio che spinge al bene dall'esterno Dio, il quale ci istrui-sce mediante la legge, e ci aiuta mediante la grazia. Perci prima tratteremo della legge, quindi della grazia. E a proposito della legge, prima ne tratteremo in generale, e poi delle sue divisioni. Riguardo alla legge in generale si presentano tre argomenti: primo, i costitutivi essenziali della legge; secondo, le sue divisioni; terzo, i suoi effetti. 1

    Intorno al primo tema indagheremo su quattro argomenti: 1. Se la legge appartenga alla ragione; 2. Sul fine della legge; 3. Sulla causa di essa; 4. Sulla sua promulgazione. 2

    ARTICOLO 1 Se la legge appartenga alla ragione.

    SEMBRA che la legge non appartenga alla ragione. Infatti: 1. L'Apostolo 3 scrive: Vedo un'altra legge nelle mie membra,

    ecc. )l, Ora, nessuna cosa che appartenga alla ragione nelle membra: poich la ragione non si serve di organi corporei. Dunque la legge non appartiene alla ragione.

    2. Nella ragione non troviamo che potenza, abili e atti. Ma la legge non la potenza stessa della ragione. E neppure un abito

    i In questo prologo al trattato deUa legge S. Tommaso si propone di mo-strare la connessione logica che esso ha con le quesUoni precedenti, e il post.o che occupa nel quadro generale della Prtma Secundae. La teologia morale la scienza che studia gli atti umani In ordine al fine dell'uomo. Dopo aver quindi trattato degll att.i umani considerati in se stessi (qq. 16-48} e nei loro principil intrinseci (qq. 49-89), si passa ora a considerare le azioni umane nei loro prin-cipii estrinseci.

    Il principio estl'inseco che Inclina l'uomo al male il demonio. Ma dl esso si gi parlato, a proposito della tentazione, nel1a Prima Parte, q. 114. C' un secondo principio estrinseco, che per inclina l'uomo al bene ed Dio, il quale esercita questa funzione in due modi: 1) Istruendo l'uomo con la legge, che illumina e dirige l'intelligenza nella sua funzione pratica. come regola dell'agire: 2} aiutando con la grazia, la quale fortifica e corrobora la volont. Poich l'ordine dell'intelligenza precede quello del volere, S. Tommaso Inizia col trattato della legge, al quale seguir quello della grazia (qq. 109-114).

    2 Nella questione 90 n santo Dottore cerca la definizione della legge rne-rtiante la (leterminazione delle sue rause. sia intrinsf'che che estrinseche. Le quattro cause della legge sono indicate abbastanza chiaramente nei quattro ar-ticoli. Nel primo sl cerca Ja causa formate. nel serondo la causa ftnale, nel terzo quena emciente, e nel quarto la condizione indispensabile che rientra nella causa

  • QUAESTIO 90 De essentia legis

    in quatuor articulos divisa.

    CoNSEQUEXTER considerandum est de principiis cxterioribus ac-tuum. Principium aute1n exterius ad rnalum inclinans est diabolus, de cuius tentatione in Primo [ q. 114] dictum est. Principium au-tem exterius movens ad bonum est Deus, qui et nos instruit per legem, et iuvat per gratiam. Cnde primo, de lege; secundo, de gratia dicendum est l q. 109]. Circa legem autem, primo oportet considerare de ipsa lege in communi; secundo, de partibus eius [ q. 93]. Circa legem autem in communi tria occurrunt conside-randa: primo quidem, de essentia ipsius; secundo, de differentia legum [ q. 91]; tertio, de effectibus legis [ q. 92].

    Circa primum quaeruntur quatuor. Primo: utrum lex sit aliquid rationis. Sccundo : dc fine legis. Tertio : de causa eius. Quarto: de promulgatione ipsius.

    ARTICULUS 1 Utrum lex sit aliquid rationis.

    AD PRIMI.;M SIC PROCEDITI:R. Videlur quod lex non sit aliquid ra-tionis. Dicit enim Apostolus, Ad Rom. 7, 23 Video aliam legem in membris meis, etc n. Sed nihil quod est rationis, est in membris: quia ratio non utitur organo corporali. Ergo lex non est aliquid rationis.

    2. PRAETEREA, in ratione non est nisi potentia, habitus et actus. Sed lex non est ipsa potentia rationis. Similiter etiam non est ali-

    materiale. L'ultimo articolo, cio il quarto, presenta qualche difficolt, perch la promuJgazione da alcuni considerata un elemento estrinseco alla definizione della legge, una "conditio sine qua non l di essa, mentre da altri considerata un ele-mento intrinseco ed essenziale.

    Crediamo che la considerazione della promulgaztone possa riportarsi alla causa matertale della legge: con la promulgazione infatti la legge applicata ai sudditi ed esiste concretamente in essi che ne sono appunto la materia. Con la promulga-zione la legge tlal campo dei possibili passa a quello esistenziale, Ed per la ma-teria che la forma esiste concretamente. Se la promulgazione si pul dire elemento estrinseco rispetto atressenza astratta (metafisica} della lcgg-e, non lo rispetto al-l'essenza concreta (fisica}. Che la promulgazione sia necessaria alla legge (e in que-sto tutti convengono, pur discorllano sulla natura di tale necessit) risulta sia da uno dei significati a cui si riporta il termine (lex da legere in quanto le norme giu-ridiche venivano esposte alla lettura del pubblico}, sia dal fatto che come norma direttiva la legge non emcace se non conosciuta dalla comunit o dai su

  • 30 LA SOMMA TEOLOGICA, I-II, q. 90, a. 1

    di essa: poich abiti della ragione sono le virt intellettuali di cui abbiamo gi parlato. E neppure un atto della ragione : poich cessando l'atto della ragione, come nei dormienti, verrebbe a ces-sare J a legge. Perci la legge non appartiene alla ragione.

    3. J .. a legge muove ad agire rettamente quelli che vi sono soggetti. Ora, stando alle conclusioni raggiunte in precedenza, spetta alla volont propriamente muovere ad agire. Quindi la legge non ap-partiene alla ragione, ma piuttosto alla volont; secondo l'espres-sione dei giureconsulti: u Quello che piace al principe ha vjgore di legge. 1

    IN CONTRARIO: Spetta alla legge comandare e proibire. Ma coman-dare, come abbiamo visto sopra, appartiene alla ragione. Dunque la legge appartiene alla ragione.

    RrsPONDo: La legge una regola, o misura dell'agire, in quanto uno viene da essa spinto all'azione, o viene stornato da quella. Legge infatti deriva da legare, poich obbliga ad agire. 2 Ora, mi-sura degli atti umani la ragione, la quale ne il primo principio, come abbiamo dimostrato : infatti proprio della ragione ordinare al fine, che a detta del Filosofo il primo principio in campo ope-rativo. D'altra parte in ogni genere di cose il principio misura e regola di quanto ad esso appartiene: tale infatti l'unit per i nu-meri, e il primo moto nel genere dei moti. Dunque la legge qual-che cosa che appartiene alla ragione. 3

    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Essendo la legge una regola o mi-sura, in due modi pu trovarsi in un soggetto. Primo, come nel suo principio misurante e regolante. E poich tale compito pro-prio della ragione, solo ne11a ragione la legge pu trovarsi in questo modo. - Secondo come in un soggetto regolato e misurato. E in codesto senso la legge si trova in tutte le cose cui essa imprime un'inclinazione verso uno scopo: cosicch qualsiasi inclinazione de-terrninata da una legge pu dirsi legge, non essenzialmente, ma per partecipazione. E in tal senso anche l'inclinazione delle mem-bra alla concupiscenza pu chiamarsi u legge delle membra 11.

    2. Allo stesso modo che ne11e nostre azioni esterne si pu distin-guere l'operazione stessa e la cosa prodotta, come sarebbe il co-struire e l'edificio che viene costruito~ cosi nelle operazioni della ragione si pu distinguere l'atto stesso della ragione, cio l'inten-dere e i1 ragionare, da quanto viene costitutito da codesti atti. "

    l L'esp1e~sione 1Iei-iva mate.rialmente dal Digesto. Digesta, o Pandectae, la prima delle quatt10 conezioni che raccolgono l'antica legislazione romana, e che riunite formano il Corpus Juris CtvWs. Il Dtgesto la compilazione della giurisprudc>nza romana, curata da una commissione p1esieduta da Tri-boniano per incarico dell' impratore Giustiniano (528-565]. - Risulta di fram-menti estratti dalle opere dei giureconsulti romani. Dentro i titoli dei suoi cinquanta libri i frammenti si susseguono con l' indkazione dell'autore e dell'opera origin:uia. Ci spiega perch S. Tommaso parli sempre di Jurtspe-1ttus quasi si trattasse del giure.consulto per antonomasta. A proposito della utilizzazione tomistica di

  • COSTITUTIVI ESSENZIALI DELLA LEGGE 31

    quis habitus rationis: quia habitus rationis snnt virt utes intel-Iectuales: de quibus supra [ q. 57] dictum est. Nec etiam est actus rationis: quia cessante rationis actu, lex cessaret, puta in dor-mientibus. Ergo lex non est aliquid rationis.

    3. PRAETEREA, lex movet eos qui subiiciuntur legi, ad recte agen-dum. Sed movere ad agendum proprie pertinet ad voluntatem, ut patet ex praemissis [q. 9, a. 1]. Ergo lex non pertinet ad rationem, sed magis ad voluntatem: secundum quod etiam Iu-risperitus dicit [D. I, 4, 1]. > vocatur.

    Ao SECUNDUM DICENDUM quod, sicut in actibus exterioribus est considerare operationcm et operatum, puta aedificationem et aedi-fcatum; ita in operibus rationis est considerare ipsum actum ra-tionis, qui est intelligere et ratiocinari, et aliquid per huiusmodi actum constitutum. Quod quidem in speculativa ratione primo qui-

    (Cfr. Llo E., "Annotazioni al testo d S. T. [I-TI, q. 90, a. 1): "Lex dicitur, a li-gando" , in Dtvtnitas, rn57, pp. 372 ss.}.

    1 Per capire la risposta di S. Tommaso, che definisce formalmente la legge ordinatlo rationis n, bisogna tener presente che il termine latino ordinatto significa prima di tutto p01re un ordine, stabilire un piano di direzione, in cui i mezzi stano adattati e proporzionati al fine; significa Inoltre imporre un ordtne ~ comandare e obbligare. Nel Primo significato la legge essenzialmente opera della ragione, appartiene alla ragione; la quale, in quanto conosce il fine dell'uomo, la regola generale delle azioni nmane che hanno valore di mezzo. Nel secondo signlflcato la legge opera ed espressione della volont. Questi due senst sono riuniti dai tomisti col concepire la legge come un tmperium, atto della ragion pratica formalmente, e atto della volont efficientemente,, (cfr. q. 17, a. 1: Introd., n. 7). , .a. Si precisa che la legge, considerata oggettivamnte, non a tutto rigore

    l a.uo della ragione, ma l'opera, il frutto di tale atto, e cio una proposizione universale pratica (si deve agire secondo ragione; non Si deve mentire, o rubare, ecc. ecc.). atta a dirigere l'agire concreto.

  • 32 LA SO.MMA TEOLOGICA, I-II, q. 90, aa. 1, 2

    Nell'ordine speculativo questi prodotti sono la definizione, l'enuncia-zione, e il sillogismo o dimostrazione. E poich anche la ragione pra-tica si serve nelle sue operazioni di una specie di sillogismo, come so-pra abbiamo visto e secondo l'insegnamento del Filosofo, bisogna riscontrare nella ragione pratica qualche cosa che stia alle operazioni nello stesso rapporto in cui si trova la proposizione alla conclusione in campo speculativo. Ebbene, codeste proposizioni universali della ragione pratica ordinate all'azione hanno natura di legge. E co-deste proposizioni talora sono considerate in maniera attuale, ma spesso sono nella ragione solo in rnaniera abituale.

    3. La ragione, come sopra abbia1no detto, riceve dalla volont la capacit di muovere: infatti la ragione comanda quanto con-cerne i mezzi, per il fatto che si vuole il fine. Ma perch la volizione di quanto viene comandato abbia natura di legge, necessario che sia regolata dalla ragione. E in tal senso vero che la volont del principe ha vigore di legge: altrimenti la volont del principe pi che una legge, sarebbe un'iniquit. 1

    ARTICOLO 2 Se la legge sia sempre ordinata al bene comune.

    SEMBRA che la legge non sempre abbia come suo fine il bene co-mune. Infatti:

    1. Spett a alla legge comandare e proibire. Ma certi precetti sono ordinati a dei beni particolari. Dunque non sempre la legge ha per fine il bene comune.

    2. La legge dirige l'uomo nell'agire. Ora, le azioni umane avven-gono nel concreto particolare. Dunque la legge ordinata a dei beni particolari.

    3. S. Isidoro 2 insegna: Se la legge stabilita razionalmente) sar legge tutto quello che la ragione stabilisce . La ragione per non stabilisce solo ci che ha di mira il bene comune, ma anche quanto dice ordine al bene privato. Dunque la legge non ordinata soltanto al bene comune, ma anche al bene privato dei singoli.

    IN cot-.'RAIUO: S. Isidoro insegna~ che la legge ((non scritta per un vantaggio privato, ma per comune utilit dei cittadini)). 3

    RISPONDO: Abbiamo gi notato che la legge appartiene al princi-pio delle azioni umane, essendo regola, o misura di esse. Ora, come la ragione principio degli atti umani, cos nella ragione stessa si trova qualche cosa che principio rispetto agli altri elementi. E ad esso soprattutto e principalmente deve mirare la legge. - Eb-bene, nel campo operativo, che interessa la ragione pratica, primo principio il fine ultimo. E sopra abbiamo visto che fine ultimo

    l Importante questa risposta di s. Tommaso, che mostra come il carattere essenzialmente razionale della legge sia. la migliore garanzia contro il peri-colo di arbitrio e di dispotismo da parte del legislatore.

    2 s. Isidoro di Siviglia [ t 636] fu celebre in tutto il Medioevo per le sue Eti-mologie, che per non sono l'unica opera uscita dalla sua penna.

    a come si vedr nena risposta. magistrale, pensieri analoghi erano gi stati espressi da Aristotele quasi con le stesse parole (vedi 5 Ethtc., c. 1, n. 13). L'Au-

  • COSTITUTIVI ESSENZIALI DELLA LEGGE

    dem est deflnitio; secundo, enunciatio; tertio vero, syllogismus vel argumentatio. Et quia ratio etiarn practir.a utitur quodarn syllo-gismo in operabilibus, ut supra [ q. 13, a. 3; q. 76, a. 11 habitum est, secundum quod Philosophus docet in 7 Ethic. [c. 3, lect. 3]; ideo est invenire aliquid in ratione pratica quod ita se habeat ad operationes, sicut se habet propositio in ratione speculativa ad conclusiones. Et huiusmodi propositioncs universales rationis prac-ticae ordinatae ad actiones, habent rationem legis. Quae quidem propositiones aliquando actualiter considerantur, aliquando vero habitualiter a ratione tenentur.

    AD TERTILM DICE"NDlJM quod ratio habet vim movendi a voluntate, ut supra (q. 17, a. 1] dictum est: ex hoc enim quod aliquis vult fnem, ratio imperat de his quae sunt ad finem. Sed voluntas de llis quae imperantur, ad hoc qnod legis rationern habeat, oportet quod sit aliqua ratione regulata. Et hoc modo inielligitur quod voluntas principis habet vigorem legis: alioquin voluntas prin-cipis magis esset iniquitas quam lex.

    ARTICULUS 2 Utrum Iex ordinetur semper ad bonum commune.

    Intra. q. 95, a. 4; q. 96, a. 1; 3 Sent., d. 37, a. 2, qc. 2, ad 5; 5 Ethtc., Icct. 2.

    AD SECUNDUM SIC PROC:l!:DlTCR. Videtur quod lex non ordinetur sem-per ad bonum commune sicut ad flnem. Ad legern enim pertinet praecipere et prohibere. Sed praecepta ordinantnr ad quaedam singularia bona. Non ergo semper flnis legis est bonum com-mune.

    2. PRAETEREA, lex dirigit hominem ad agendum. Sed actus hu-mani sunt in particularibus. Ergo et lex ad aliquod particulare bonum ordinatur.

    3. PRAETEREA, Isidorus dicit, in libro 2 Etymol. [c. 10; cfr. 5, c. 3] ((Si ratione lex constat, lex erit omne quod ratione constiterit n. Sed ratione consistit non solum quod ordinatur ad bonum com-tnune, sed etiam quod ordinatur ad bonum privatum. Ergo lex non ordinatur solum ad bonum commune, sed etiam ad bonum priva-tum unius.

    SED CONTRA EST quod Isidorns dicit, in 5 Etymol. [c. 21], quod lex est .

    RESPONDEo DICENDCM quod, sicut dictum est [a. praec. ], lex per-tinet ad id quod est principiurn humanorum actuum, ex eo quod est regula et nensura. Sicut autem ratio est principium humano-rum actuum, ita etiam in ipsa ratione est aliquid quod est princi~ pium respectu omnium aliorum. Unde ad hoc oportet quod prin cipaliter et maxime pertineat lex. - Primum autem principium in operativis, quorum est ratio practica, est finis ultimus. Est autem

    tore aveva cosi presenti queste espressioni aristotellche, da presupporle anche net suol lettori. Distrattamente egli scrive nel Rispondo : " II Filosofo, nella d.etlnuione riferita della legge ... ;' Ma nell'argomento in contrario egli si era dimenticato di riferire il testo cui allude.

  • 34 LA SOMMA TEOLOGICA, I-II, q. 90, a. 2

    della vita umana la felicit, o beatitudine. Perci la legge deve ri-guardare soprattutto l'ordine alla beatitudine. - Siccome per ogni parte ordinata al tutto, come ci che imperfetto alla sua perfe-zione; ed essendo ogni uomo parte di una comunit perfetta: ne-cessario che la legge propriamente riguardi l'ordine alla comune fe-licit. Ecco perch il Filosofo, nella definizione riferita della legge, accenna sia alla felicit che alla comunit politica. Infatti egli scri-ve, che u i rapporti legali si considerano giusti perch costituiscono e conservano la felicit e ci che ad essa appartiene, mediante la solidariet politica n. Si ricordi, infatti che la comunit o societ perfetta quella politica, come lo stesso Aristotele insegna. 1

    Ora, in ogni genere di valori il soggetto perfetto al grado mas-simo principio o causa di quanti ne partecipano, cosi da riceverne la denominazione: il fuoco, p. es., che caldo al massimo, causa del calore nei corpi misti, i quali si dicono caldi nella misura che partecipano del fuoco. Perci necessario che la legge si denomini specialmente in rapporto al bene comune, dal momento che ogni altro precetto, riguardante questa o quell'azione singola, non ri-veste natura di legge che in ordine al bene comune. Perci ogni legge ordinata al bene comune. 2

    80LUZIONE DELLE DIFFICOLT: 1. Il precetto; o comando, dice appli-cazione di una legge a cose che dalla legge sono regolate. Ora, il rapporto al bene comune, che essenziale alla legge, si pu appli-care anche a fini particolari. Ecco perch si dnno dei precetti an-che a riguardo di certi casi concreti particolari.

    2. Le azioni umane sono nel campo dei singolari: ma codesti sin-golari si possono riferire al bene comune, non per una comunanza di genere, o di specie, ma per una cornunanza di causa finale, in quanto il bene comune un fine comune.

    3. Niente stabilito con fermezza secondo la ragione speculativa, se non mediante la sua risoluzione nei primi principii indimostra-bili; allo stesso modo niente stabilito con fermezza, secondo la ragione pratica, se non viene ordinato al fine ultimo, che il bene comune. 3 Ora, ci clie la ragione stabilisce in codesto modo, ha natura di legge.

    1 Come nota S. Tommaso nel suo commento, Aristotele nel passo citato mira a ctimostrare la superiorit della saggezza politica su ogni altro sapere umano, "l,o stato (o ctvttas, com'egli dice} la principale tra le cose che la ragione umana possa costruire. Ad essa infatti si ricollegano tutte le comunit umane. Inoltre tutto ci che viene costituito dalle arti meccaniche con le cose date in uso agli uomini, ad essi ordinato come a suo fine. Quindi se la scienza principale quella che si occupa di cl che pi nobile e perfetto, necessario che la politica sia principale e ar-chitettonica rispetto a ogni altra sr-ienza. in quanto considera lo scopo ultimo e il bene pi perfetto nelle cose umane" (I Poltt., c. 1, lect, 1).

    2 II ragionamento di S. Tommaso pu essere cos sintetizzato: in tanto la ragione regola universale (soggettiva} dell'agire umano, in quanto conosce e dice ordine al fine ultimo dell'uomo, che ha valore di primo principio (ogget-tivo) nell'ordine pratico. Ora, la legge, si detto, una le,1rge delle azioni umane appartenente formalmente alla ragione; quindi essa deve dire ordine al fine ultimo dell'uomo. Il flne ultimo dell'uomo, in cui consiste la perfezione e la felicit, un bene comune. Questo bene comune a tutti gli uomini, fine ul-timo della vita umana, Dio, come affermato nella prima parte dell'articolo.

  • COSTITUTIVI ESSENZIALI DELLA LEGGE

    ultimus finis hun1anae vitae felicitas vel beatitudo, ut supra [q. 2, a. 7] habitum est. Unde oportet quod lex maxime respiciat ordinem qui est in beatitudinem. - Rursus, curo omnis pars ordinetur ad totum sicut imperfectum ad perfectum; unus autem homo est pars communitatis perfectae: necesse est quod lex proprie respiciat or-dinem ad felicitatern cornmunem. Unde et Philosophus, in prae-missa definitione legalium [cfr. S. c.], mentionem facit et de felici-tate et communione politica. Dicit enim, in 5 Ethic. [c. 1, lect. 2] quod

  • 36 LA SOMMA TEOLOGICA, I-II, q. 90, a. 3

    ARTICOLO 3 Se basti la ragione di un privato per creare una legge. 1

    SEMBRA che basti la ragione di un privato per creare una legge. Infatti:

    1. L'Apostolo scrive: Quando i gentili che non han legge, fanno per natura le cose della legge, costoro son legge a se stessi n. 2 E questo lo afferma universalmente di tutti. Perci la ragione di un uomo qualsiasi sufficiente a crearsi una legge.

    2. Il Filosofo insegna che u l'intenzione del legislatore di in-durre l'uo1no alla virt n. Ora, chiunque capace di indurre un altro alla virt. Perci basta la ragione di un privato qualunque a creare una legge.

    3. Qualsiasi padre di famiglia governa la su a casa, come un prin-cipe governa il proprio stato. Ma il capo di uno stato pu in esso fare delle leggi. Dunque qualsiasi capo di famiglia pu fare delle leggi nella propria casa.

    IN CONTRARIO: S. Isidoro, in un testo riportato dal Decreto [di Graziano], 3 ha scritto:

  • COSTITUTIVI ESSE~ZIALI DELLA LEGGE

    ARTICULUS 3 Utrum ratio cuiuslibet sit factiva legis.

    Infra, q. 97, a. 3, ad 3; II-II, q. 50, a. 1, ad 3.

    n ... f

    An TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod cuiuslibet ratio sit fac-tiva legis. Dicit enim Apostolus, Ad Rom., 2, 14, quod U ordmare al bene comune del J>Opolo molto meglio del Popolo stesso. Parimente Ges Cristo pu sostituire 11 J>Opolo mediante n suo Viea:rto ... Ecco perch l'Autore, nel concludere formalmente la sua argomenta-zione. dichiara che cosa intende 1>er vice gerente del popolo ; " Perci fare le leggi spetta, o all'intero popolo, o ana 1>ersona pubblica che ha cura di esso". Nelle

  • 38 LA SOMMA TEOLOGICA, I-II, q. 90, aa. 3, 4

    2. Una persona privata non ha H potere d'indurre efficacemente alla virt. Infatti essa pu soltanto ammonire; ma se la sua ammo-nizione non viene accolta, non ha nessuna forza coattiva; forza che invece la legge deve avere, per indurre efficacemente alla virt, come dice il Filosofo. Codesta forza coattiva ce l'ha invece il po-polo, o la persona pubblica, cui spetta infliggere la pena, come ve-dremo in seguito. Perci ad essi soltanto spetta fare le leggi.

    3. Come un uomo parte di una farniglia, cos la famiglia parte ello stato: ma lo stato una sodet perfe1ta, come Aristotele in-segna. Perci, come il bene dell'uomo singolo non l'ultimo fine, ma esso viene ordinato al bene comune, cos ordinato al bene di uno stato, societ o comunit perfetta, il bene di ciascuna fa-rniglia. Chi, dunque, governa una famiglia ha il potere di dare co-mandi e regolamenti; ma essi propriamente non hanno vigore di leggi.

    ARTICOLO 4 Se la promulgazione sia essenziale alla legge. 1

    SEYBRA che la promulgazione non sia essenziale alla legge. In-fatti:

    1. La legge naturale ha in grado sommo natura di legge. Ora, la legge naturale non ha bisogno di promulgazione. Dunque non essenziale alla legge che essa venga promulgata.

    2. Appartiene propriamente alla legge obbligare a fare, o a non fare qualche cosa. Ma a rispettare la legge non son tenuti soltanto quelli che assistono alla sua promulgazione, bens anche gli altri. Quindi la promulgazione non essenziale alla legge.

    3. L'obbligatoriet di una legge si estende anche al futuro: poi-ch secondo l'espressione dcl Codice, 2 le leggi impongono una ne-cessit ai futuri negozi)), Dunque la promulgazione non neces-saria alla legge.

    J:s CONTRARIO: Leggiamo nel Decreto [di Graziano], che u le leggi sono stabilite dal momento che sono promulgate ii.

    RrspoNno: Abbiamo gi detto che la legge viene imposta ai sud-diti come regola, o misura. Ora, si ha l'imposizione di una regola, o di una misura, mediante la sua applicazione ai soggetti da rego-lare e da misurare. Perci, affinch una legge abbia la forza di ob-bligare, che sua caratteristica, necessario che venga applicata a coloro che devono regolarsi su di essa. Ebbene, tale applicazione avviene, portandola a conoscenza di essi mediante la promulga-zione. Quindi la promulgazione necessaria a che la legge abbia il suo vigore.

    1 s. Tommaso si domanila se sia nrressaria alla le~ge le promulga7.ione. poi-r,h non si tratta qui dl legge fisica. ma di lf'gge morale, regolantf\ dei soggetti razionaU, 1 quali la devono p('Jrci in quafohe modo ronoscere. Bisogna per di Stinguere tra promulgazione e divulgazione. La divulgazione l'attuale cono-scenza e ditruslone deUa legge tra i sucldit.i. La promulgazione la manifesta-zione estel'na (orale o per iscritto) della leg-ge alla comunit da parte flp.IJ'au-torlt. Solo questa necessaria, perch la legge esista concretamente ed obblighi

  • COSTITUTIVI ESSENZIALI DELLA LEGGE

    AD sEcu1'nu~1 n1cE:r\D{jM quod persona privata non potest indu-cere efficaciter ad virtntem. Potest enim solurn monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet ha-bere lex, ad hoc quod cfficaciter inducat ad virtutem, ut Philoso-phus dicit, in IO Ethic. [c. 9, lect. 14]. Hanc autem virtutem coa-ctivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poe-nas infiigere, ut infra [q. ~l, a. 2, ad 3; Il-II, q. 6-i, a. 3] dicetur. Et ideo solius eius est leges facere.

    AD TERTICM DICE.:\DU!\l quod, sicul homo est pars domus, ita clo-mus est pars civitatis: civitas autem est communitas perfecta, ut dicitnr I Politic. [c. 1, lect. 1]. Et ideo sicut bonum unius hominis non est ultimus finis, sed ordinatur ad commune bonum; ita etiam et bonum unius domus ordinatur ad bonum unius civitatis, quae est communitas perfecta. Unde illc qui gubernat aliquam fami-liam, potest quidem facere aliqua praecepta vel statuta; non tamen quae proprie habeant rationem legis.

    AUTICULUS 4 Utrum promulgatio sit de ratione legis.

    De Verit., q. 17, a. 3; Quodlib. I, q. 9, a. 2.

    AD QUARTl:M SIC PROCEDITCR. Videtur quod promulgatio non sit de ratione legis. Lex enim naturalis maxime habet rationem legis. Sed Iex naturalis non indiget promulgatione. Ergo non est de ra-tione legis quod promulgetnr.

    2. PRAETEREA, ad legem pertinet proprie obligare ad aliquid fa-ciendurn vel non faciendnm. Sed non solun1 obligantur ad im-plendam legem illi coram quibus promnlgatur lex, sed etiam alii. Ergo promulgatio non est de ratione lcgis.

    3. PRAETEREA, obligatio legis extenditur etiam in futurum: quia

  • 40 LA SOMMA TEOLOG lCA, 1-11, q. 90, a. 4

    Ecco allora che dalle quattro cose suddette si pu raccogliere la definizione della legg-et la quale altro non che un cornando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi incaricato di una collettivit. 1

    SOLUZIONE DELLE DH'FICOLT: 1. La promulgazione della legge na-turale si ha nel fatto mcdesiino che Dio lha inserita nelle menti umane, per essere conosciuta naturalrnentc.

    2. Coloro che non assistono alla promulgazione sono obbligati ad osservare una legge in quanto ne hanno, o ne possono avere notizia da altri, in seguito alla promulgazione.

    3. La promulgazione attuale si estende al futuro mediante la per-manenza della scrittura, che in qualche modo ne perpetua la pro-mulgazione. Perci S. Isidoro spiega che

  • COSTITUTIVI ESSENZIALI DELLA LEGGE 41

    Et sic ex quatuor praedicUs potest colligi definit.io legis, quae nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum com-mune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata.

    AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod promulgatio legis naturae est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturali-ter cognoscendam.

    AD SECUNDUM DICENDUM quod illi coram quibus lex non promul-gatur, obligantur ad legem servandam, inquantum in eorum no-titiam devenit per alias, vel devenire potest, promulgatione facta.

    Ao TERTIUM DICENDUM quod promulgatio praesens in futurum exten-ditur per firmitatem scripturae, quae quodammodo semper eam promulgat. Unde Isidorus dicit, in 2 Etymol. [c. 10], quod

  • QUESTIONE 91 Le divisioni della legge.

    Passiarno ora a esaminare le divisioni della legge. 1 Sull'argomen1 o si pongono sei quesiti: 1. Se vi sia una legge

    eterna; 2. Se esista una legge naturale; 3. Se vi sia una legge umana; 4. Se esista una legge divina; 5. Se la legge divina sia una sol-tanto; 6. Se esista una legge del peccato.

    ARTICOLO 1 Se vi sia una legge eterna.

    SE!VIBRA che non vi sia una legge eterna. Infatti; 1. Qualsiasi legge viene irnpnsta a qualcuno. Ma non esiste dal-

    l'eternit un soggct10 cui imporre una legge: poich dall'eternit esiste Dio solo. Dunque nessuna legge pu essere eterna.

    2. La promulgazione essenziale alla legge. ::\'la la pr01nulgazione non poteva esserci dall'eternit; poich non esisteva nessuno cui pronrnlgarla. Quindi nessuna legge pu essere eterna.

    3. La legge implica un ordine al fine. Ora, niente di ci che eterno viene ordinato al fne: poich il solo ultimo fne eterno. Perci non eterna nPssuna legge.

    IN CONTRARIO: Seri n~ S. Agosti rio: 2 La legge, che si denomina ragione suprema, a chiunque comprenda non pu non apparire in1-mutabile ed eterna l).

    RISPONDO: Come abbiamo gi visto, la legge non che il dettame della ragione pratica esistente nel principe che governa una so-ciet, o comunit perfetta. Ora, nna volta dimostrato, com~ abbiamo fatto noi nella Prima, Parte, che il n10ndo retto dalla divina provvidenza, chiato che lutta la comunit dell'universo gover-nata dalla ragione divina. Perci il piano stesso col quale Dio, come principe dell'u11iverso, governa le cose ha natura di le~ge. E poich la mente divina non concepisce niente nel tempo, essendo il suo pensiero eterno, come ins.cgna la Scrittura; codesta legge dev'essere eterna.

    Sor.uz1o~E DELLE IHFFICOI.T: 1. Le cose che non esistono in se

    1 Dopo aver stabilito l'essenza della legge considerata in se stessa. il Santo Dottore passa alla sua rHvi::ione, La legge una nozione analogica: quali sono i suoi analogati? Qu! si pone SHlo H problema della Joro esistenza. ment1e la natura cti ciascuna legge, sar cOI\sideN1ta nell

  • QUAESTIO 91 De legum diversitate

    in sex arttculos divisa.

    DEINDE consideranum est de diversitate legu1n. Et circa hoc quaeruntur sex. Primo: utrum sit aliqua lex aeterna.

    Secundo: utrurn sit aliqua Iex naturalis. Tertio: utrum sit aliqua lex humana. Quarto: utrum sit aliqua lex divina. Quinto: utrum sit una tantum, vel plures. Scxto: utrurn sit aliqua lex peccati.

    ARTICULUS 1 Utrum sit aliqua lex aeterna.

    Infra, q. !l3, a. 1.

    AD PRIMU:YI SIC PROCEDlTCR. Videiur quod non sit aliqua lex ae-terna. Omnis enim Iex aliquibus imponitur. Sed non fuit ab aeterno aliquis cui lex posset imponi: solns enim Deus fuit ab aeterno. Ergo nulla lex est aeterna.

    2. PRAETEREA, prornulgatio est de rat.ione legis. Sed promulgatio non potnit esse ab aeterno : quia non erat ab aeterno cui promul-garetur. Ergo nulla lex potest esse aeterna.

    3. PRAETEREA, lex irnportat ordinem ad finem. Sed nihil est aeter-num quod ordinelur ad finem: solus enim uliimus finis est aeternus. Ergo nulla lex est aeterna.

    SED CONTRA EST quod Augustinns dicit, in I De Lib. Arb. [c. 6]: 1.

    RESPONDEO DICE..~DlHI quod, sicut supra [q. 90, a. 1, ad 2; aa. 3, 4] dictum est, nihil est aliud lex quarn quoddarn dictamen practicae rationis in principe qui gubernat aliquam communitatem per-fectam. ~1anifestum est autem, sopposito quod mundus divina pro~ videntia regatur, nt in Primo [ q. 22, aa. 1, 2.1 habitum est, quod tota communilas universi gubernatur ratione divina. Et ideo ipsa ratio gubernationis rerum in Deo sicut in principe universitatis existens, legis habet rationem. Et quia divina ratio nihil concipit ex tempore, sed habet aeternum concepturn, ut dicitur Prov. 8, 23; inde est quod huiusmodi legcm oportet dicere aeternam.

    Aa PRIMUM ERGO DICE'KDUM quod ea quae in seipsis non sunt, apud

    che ordina e dirige ogni Cl'eatura a un ftne ultimo, che lui stesso. Nella sua mente, deve dunque esistere la regola o il piano di quest'ordine dell'universo, che appunto la legge eterna. , L_'esistenza della legge etema negata, per conseguenza, da quanti negano

    l esistenza di Dio (materialisti}. o la sua provvidenza (deisti). Si pu trovare la Presenza di una legge eterna pi o meno chiara, perch intesa ancora in un senso panteistico, nPl " Logos n

  • 44 LA SOMMA TEOLOGICA, 1-11, q. 91, aa. 1, 2

    stesse esistono presso Dio, perch preconosciute e preordinate da lui, secondo ~l'espressione dell'Apostolo: u Chiama le cose che non sono come se fosse1'0 ~. Perci la concezione eterna della legge di-vina si presenta come legge eterna, in quanto ordinata da Dio al governo di quelle cose che egli gi conosce.

    2. La promulgazione avviene a parole e per iscritto; e in tutti e due i modi la legge eterna ha la sua promulgazione da parte di Dio che la promulga: infatti la Parola (il Verbo) di Dio eterna, cos pure eter11a la. sc1'ittura del libro della vita. Invece la pro-mulgazione non pu essere eterna per parte della creatura che deve leggerla o ascoltal'la. 1

    3. La legge implica un ordine al fine in maniera attiva, cio in quanto essa serve a ordinare qualche cosa al suo fine; non gi in maniera passiva, vaJe a dire nel senso che essa stessa sia ordinata a un fine. Ci a vvieno solo per accidens in quei legislatori che hanno il loro fine fuori di se stessi, al quale devono ordinare le loro stesse leggi. Dio stesso, invece, il fine del suo governare, e la sua legge non altro che lui stesso. Perci la legge eterna non ordinata a un altro fine.

    ARTICOLO 2 Se vi sia in noi una legge naturale. 2

    SEMBRA che non vi sia in noi una legge naturale. Infatti: 1. L'uomo viene governato dalla legge eterna: poich, come S.

    Agostino insegna, u la legge eterna a stabilire con giustizia che tutte le cose siano nel massimo ordine n. Ora, la natura come non manca del necessario, cosi. non aLbonda nel superfluo. Perci non esiste nell'uomo una legge naturale.

    2. La legge ordina gli atti umani al loro fine, come abbiamo detto. Ora, l'ordine degli atti umani al fine non deriva dalla na-tura, come avviene nelle creature prive di ragione, le quali agi-scono per il fine guidate dal solo appetito naturale: l'uomo invece agisce per un fine mediante la ragione e la volont. Dunque nel-l'uomo non c' una legge naturale. 3

    1 Abbiamo qui la risposta a quella che la difficolt principale a che la legge eterna possa (tirsi veT'a e propria lm:ale ell immutallile degli esseri (positivismo), e da quanti concepiscono la reaH Mme pprpetuo divenire (evoJuzionismo, storicismo).

    Dal punto di vista tco1ogico, l 'e~tstenza della legge naturale di fede, es-sendo affermata dalla Sacra Snlttura (vMi testo di S. Paolo Rom., 2, 14, ci-tato nel sed contrn} e dal l\f~gistero 0rdi11ario

  • DIVISIONI DELLA LEGGE 45

    Deum existunt, in quantum su nt ab ipso praecognita et praeordi-nata; secundum illud Rom. 4, 17: cc Qui vocat ea quae non sunt, tanquam ea quae sunt n. Sic igitur aeternus divinae legis conceptus habet rationem legis aeternae, secundum quod a Deo ordinatur ad gubernationem rerum ab ipso praecognitarum.

    An sECUNDUM DICENDUM quod promulgatio fit et verbo et scripto; et utroque modo lex aeterna habet promulgationem ex parte Dei promulgantis: quia et Verbum divinum est aeternurn, et scriptura libri vitae est aetcrna. Sed ex parte creaturae audientis aut inspi-cientis, non potest esse promulgatio aeterna.

    An TERTIUM DICENDUM quod lex importat ordinem ad finem active, inquantum scilicet per eam ordinantur aliqua in finem: non autem passive, idest quod ipsa lex ordinetur ad finem, nisi per accidens in gubernante cuius finis est extra ipsum, ad quem etiam necesse est ut lex eius ordinetur. Sed finis divinae gubernations est ipse Deus, nec eius lex est aliud ab ipso. Unde lex aeterna non ordina-tur in alium finem.

    ARTICULUS 2 Utrum sit in nobis aliqua lex naturalis.

    4 sent., d. 33, q. 1, a. 1. An SECUNDUM SIC PROCF.JHTUR. Videtur quod non sit in nobis ali-

    qua lex naturalis. Sufficienter enim homo gubernatur per legem aeternam: dicit enim Augustinus, in I De Lib. Arb. [c. 6], quod cc lex aeterna est qua iustnm est ut omnia sint ordinatissima n. Sed natura non abundat in superfiuis, sicut nec deficit in neces-sariis. Ergo non est aliqua lex homini naturalis.

    2. PRAETEREAt per legem ordina