Tommaso D'Aquino Compendio Della Somma Teologica

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a Compendio della Somma Teologica di S. Tommaso D’Aquino Storia d’Italia Einaudi

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Summa Teologica

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Compendio dellaSomma Teologica

di S. Tommaso D’Aquino

Storia d’Italia Einaudi

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Edizione di riferimento:Compendio della Somma Teologica, a cura di Sac. Dott.G. Dal Sasso, Libreria Gregoriana Editrice, Padova1923

Storia d’Italia Einaudi II

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Sommario

Parte prima 1Parte seconda 87

Sez. Prima 87Sez. Seconda 154

Parte terza 281Supplementi 379

Storia d’Italia Einaudi III

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PARTE PRIMA

Quest. 1. Scienza sacra rivelata. – 1. Una dottrinarivelata è necessaria a ciascun uomo per saper giungereal suo fine, che è Dio, il quale, essendo infinito, superala naturale capacità dell’uomo. Per le cose poi che nonsuperano la capacità umana, trattandosi di fine supremo,affinchè nessuno sbagli, ma invece le cose di Dio sianonote a tutti, subito e con certezza, una dottrina rivelata ènecessaria all’umana società intiera.

2. Questa dottrina rivelata o Teologia è scienza, poichéforma un sistema di dottrine derivate da principii certi,perché da Dio rivelati; come lo è la Geometria, che èscienza, perché parte da principii certi:

3. e nella sua moltiplicità ha unità, perché la costitui-sce tutto e solo ciò che è rivelato.

4. La Teologia tratta direttamente delle cose divine e,per riflesso, anche degli atti umani, perciò è scienza piùspeculativa che pratica.

5. Tale suo oggetto è il più nobile di tutti, essa perciòè la scienza più nobile.

6. Anzi essa è non solo scienza, ma sapienza, perché lostudio delle cose più alte è sapienza.

7. Dio, punto di partenza e di riferimento, è il soggettodella Teologia.

8. La Teologia, che adopera senza discussione le provedella rivelazione, adopera anche argomenti di ragione.Essa infatti disputa con quelli che ammettono qualchecosa in base a ciò che ammettono; confuta quelli chenulla ammettono sciogliendo le loro obiezioni.

9. L’uomo ricava le cognizioni intellettuali dalle cosesensibili, e anche la Scrittura, che contiene la rivelazione,fa uso di metafore.

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10. Autore della Scrittura è Dio, il cui intelletto è infi-nito, perciò le frasi della Scrittura hanno più sensi: il sen-so letterale e un triplice senso spirituale, cioè l’allegoricoper la fede, il morale per le opere, l’anagogico per la vitafutura.

Quest. 2. Esistenza di Dio. – 1. Questa proposizione:Dio esiste è vera, ma non evidente, quest’altra: «il tutto èpiù di una parte» è vera ed evidente; di questa infatticonosciamo il valore dei due termini: tutto e parte;della prima invece si sa cosa sia esistere, ma non si sauniversalmente cosa sia Dio, benché di Dio sia propriol’esistere: è necessario quindi farne la dimostrazione,

2. e la dimostrazione si può fare da ciò che di Dio ci èpiù noto, cioè dagli effetti di cui è causa.

3. Si fa poi la dimostrazione in 5 maniere:a) è evidente nel mondo una continua mutazione;

molte cose sono in moto, ma nessuna si trova in motose non vien mossa, perché niente passa da sé dal poteressere qualche cosa all’atto d’essere quel qualche cosa.Un ferro freddo che può diventar caldo non si dà ilcalore da sé, perché allora dovrebbe essere e freddoper diventar caldo e caldo per darsi il calore. Se tuttociò che si trova in moto vien mosso, non vale peròretrocedere all’infinito, perché se ogni cosa intermediasingolarmente è zero, zero all’infinito è sempre zero.Bisogna ammettere un Primo Motore non mosso per nonnegare il moto intermedio e anche l’ultimo che è evidentenel mondo.

b) Ciò che vediamo è termine di una serie di causeefficienti; nessuna cosa poi è causa di se stessa, perchéallora dovrebbe non esistere per ricevere l’esistenza eesistere per darsela. Retrocedere all’infinito con causeseconde è negare la causa prima, ma è negare anche le

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cause seconde, perché le cause seconde non ci sono senzala causa prima.

c) Ciò che si forma e poi si dissolve è un contingente,cioè esiste quando capita che esista; può esistere e anchenon esistere, ossia è un possibile – che una qualche voltanon esiste più e una volta non esistette –; tutti gli esseriche vediamo sono dei possibili, dunque una volta nullaesistette e anche ora nulla esisterebbe se non ci fossestato chi non può non esistere, l’Ente necessario.

d) Nelle cose c’è del bene e ce n’è più o meno secon-dochè più o meno ne fu loro partecipato da chi è la fontedel Bene; c’è adunque chi è il Bene in se stesso.

e) Le creature prive di ragione hanno un istinto ra-gionatissimo: ci fu adunque chi così le conformò, cioè ilSommo Intelletto.

Quest. 3. Semplicità di Dio. – 1. Dio non è corpo, perché:a) Il corpo muove se è mosso – Dio è Motore Immo-

bile;b) Il corpo, è soggetto a mutazioni – Dio è Immutabile;c) Se il corpo è meno nobile dello spirito, tanto meno

sarà corpo Dio, essere nobilissimo.2. Materia è ciò di cui sono fatte le cose: Forma è ciò

che dà l’essere proprio a ciascuna cosa.Orbene: Dio non è composto di materia e di forma,

perché, come si disse:I. – non ha materia, non essendo corpo,II. – non ha forma, perché a) una cosa che ha il suo

essere dalla forma, è un bene per la forma – Dio inveceè il Bene in sé. – b) se una cosa ha il suo essere dallaforma, ha moto, cioè agisce, per la forma – Dio invece èPrincipio del moto; quindi anziché avere forma, è per séforma.

3. Quindi ancora: l’uomo, che è composto di materiae di forma, ha l’umanità, ma non è l’umanità; Dio che

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non è composto di materia e forma, è la Divinità; perciòDio è la sua stessa essenza o natura.

4. Anzi in Dio essenza e esistenza è lo stesso. L’esi-stenza quando è distinta dall’essenza, come nell’uomo, èsempre causata, perché nessuno produce se stesso, ma inDio nulla vi è di causato.

Più: l’esistenza è l’essenza attuata, perciò l’essenzaè sola possibilità (potenza); l’esistenza è attuazione erealtà (atto). Ma in Dio non c’è potenza quindi non c’èneppure essenza distinta dall’esistenza. Infine, come giàdicemmo, se l’uomo ha l’umanità, Dio è la Divinità.

5. Dio non appartiene a nessun genere, perché il generesi concepisce prima delle cose che vi si ascrivono. Dioinvece è prima di ogni cosa anche secondo l’intelletto.

Dio non appartiene a nessuna specie, perché la specierisulta di genere e differenza specifica quasi di atto epotenza e questa in Dio non c’è.

6. In Dio non vi sono accidenti, perché questi comple-tano il soggetto, Dio invece per nulla è perfettibile, Dioè puro atto.

7. Dio è semplicissimo,I. non essendo composto, come si disse, né di parti

materiali, né di materia e forma, né di essenza e esistenza,né di genere e differenza, né di soggetto e accidenti.

II. non potendo essere composto, perché a) sarebbeposteriore e dipendente dai suoi componenti egli che èl’Ente Primo; b) ci dovrebbe essere anche per Dio unaCausa congiungente i componenti, mentre egli è PrimaCausa; c) nei composti le parti, relativamente al tutto,sono in potenza e il tutto è maggiore delle parti, inveceDio è puro atto e in Dio tutto è Dio.

8. Nessuna cosa può essere composta di Dio quasi Diofosse o l’anima del mondo, o la forma o la materia dellecose, perché formando un’unità col mondo cesserebbedi essere il Primo Ente, diverrebbe mutabile e anche sidegraderebbe, divenendo inferiore al Composto.

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Quest. 4. Dio è perfettissimo. – 1. Dio è perfettissimo,perché non è materia, quindi nulla ha in potenza; èprimo principio attivo, quindi è primo principio di ogniperfezione, è la fonte di ogni perfezione.

2. Le cose tanto hanno di bene quanto hanno di esseree sono perfette se hanno il loro essere completo, maquesto lo hanno da Dio, il quale è lo stesso essere; Dioquindi è la stessa perfezione, e le perfezioni delle cose sitrovano in Dio eminentemente;

3. questo tuttavia importa che le cose siano simili aDio per analogia, non che siano dello stesso genere ospecie di Dio.

Quest. 5. Cosa sia il Bene. – 1. Le cose hanno tantodi bene, quanto hanno di essere, ma la ragione distingueil bene dall’essere, chiamando bene ciò che: ha l’essere einoltre l’appetibilità;

2. Ne segue che per la ragione viene grinza l’entità, poil’appetibilità,

3. ma che, essendo l’entità atto e perfezione, ogni enteè perciò anche bene, eccetto l’ente matematico che è dipuro intelletto.

4. Il bene, essendo ciò che tutti cercano, diviene causafinale.

Bello importa: forma che desta ammirazione – e siriferisce all’intelletto; bene importa: forma che attrae – esi riferisce alla volontà;

5. e poiché la costituzione di essa forma avviene:a) quando commisurandosi si attuano i preesistenti

principio materiali o efficienti,b) nell’unione di un dato numero di principi costituti-

vi, che ne determinano la specie,c) colla conseguente inclinazione all’operare suo pro-

prio, così la scrittura dice che Dio dispose ogni cosa inpondere, numero et mensura.

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6. Il bene in quanto attrae è dilettevole, in quanto servecome mezzo è utile, in quanto è bene finale si chiamaonesto, o conveniente.

Quest. 6. Dio è il Bene. – 1. Dio è Bene, perché appe-tibile per tutti, giacché gli effetti tendono ad assimilarsialla causa, e di ogni cosa Dio è Causa;

2. Dio è sommo Bene, perché è Causa Prima, quindifonte di ogni Bene particolare; e poiché nessuna cosa ènel genere di Dio, le perfezioni delle cose vi sono in Dio,ma in modo eminente.

3. Dio è Bene per essenza, perché:1) avendo l’essere per natura ha la pienezza dell’essere;2) essendo immutabile, non si può pensare che possa

anche migliorare;3) essendo ultimo fine, non può esservi Bene maggio-

re, cui Dio serva di mezzo.4. Ogni cosa è buona di Bontà divina, perché è bene in

quanto è, e come tale ha Dio per suo principio esempla-re, effettivo e finale; ogni cosa però ha una bontà forma-le sua propria, distinta da quella di Dio, perché nessunacosa ha in sé l’essere divino.

Quest. 7. Dio è infinito. – 1. Dio non è Materia, cheunendosi a una Forma viene determinata dalla Forma;non è Forma, che unendosi a determinata Materia vienedalla Materia circoscritta; ma è lo stesso Essere per sésussistente, quindi è infinito:

2. gli altri esseri invece, appunto perché composti dimateria e forma, sono finiti. Gli angeli stessi, che sonosolo Forma e non Materia, sono finiti, perché hannoquella parte di essere che loro fu data da Dio.

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3. Ogni corpo è finito a) secondo la essenza, perchéla forma gli delimita la specie e la materia lo determinacome individuo; b) secondo la grandezza, perché ognicorpo ha una superficie e questa è limite.

Questo va detto del corpo naturale, perché il corpomatematico non esiste se non nella mente di chi lo pensa.

4. Il numero reale, essendo esso la moltitudine misu-rata dall’unità, non è infinito; può però esserlo il numeromatematico, ossia del calcolo.

Quest. 8. Dio è in ogni cosa. – 1. Dove uno opera,là è; ma Dio opera in tutte le cose, dunque è in tutte lecose. Come l’aria si illumina alla presenza del sole, eresta illuminata finché resta alla presenza del sole, cosìle creature tutte hanno e conservano l’essere in quantodura in loro l’influsso di chi è l’Essere essenziale.

2. Dio si trova in tutti i luoghi, perché li sostenta tutticol suo essere, e mentre per le cose una impedisce lapresenza dell’altra, per Iddio è la sua presenza che rendepresenti le altre cose.

3. Dio è Creatore di tutte le cose = è in tutte peressenza.

Dio impera a tutte le cose = è in tutte per potenza.Dio conosce tutte le cose = è in tutte per presenza.4. Dio è in ogni cosa, quindi è dappertutto e, siccome

Egli non è corpo e perciò non ha parti, è tutto dappertut-to, e questo è proprio di Dio solo.

Quest. 9. Dio è immutabile. – 1. Dio è il PrimoEssere, è quindi realtà, è atto, e la potenza, che all’atto èposteriore, non entra nell’Ente Primo, Dio quindi è soloatto, Atto Puro (3. 4).

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Se in lui non c’è potenza, nulla può diventare e cosìmutarsi. Dio quindi è Immutabile; questo anche perchénelle mutazioni parte resta e parte va o si arriva doveprima non si era, mentre in Dio non ci sono parti e nonc’è luogo dove già non sia.

2. Tutte le altre cose sono mutabili: i corpi perché soncorruttibili, e gli spiriti perché possono cessare di esisterese così piace a chi li creò.

Quest. 10. Eternità di Dio. – 1. Eternità è: possessodella vita simultaneo, perfetto, senza principio e senza fine.Tempo è: Somma di mutazioni computate fra un primae un poi.

2. In Dio, immutabile e sempre eguale, non ci sonomutazioni, non è quindi neppure possibile stabilire nellasua esistenza due punti distinti che servano da prima eda poi; a Dio quindi non comete il tempo, ma l’eternità.Come è dappertutto e tutto dappertutto, così è sempretutto, sempre eguale,

3. e poiché ciò appartiene allo stesso essere di Dio,l’eternità è di essenza esclusiva di Dio; ogni altro esserenon può avere che un’eternità impropria e participata.

4. Se l’eternità è: totalità simultanea e tempo è: muta-zione con principio e fine, havvi tempo tanto che si pos-sano calcolare le mutazioni senza saperne fissare il prin-cipio e la fine, come è degli astri; quanto che il princi-pio o il fine sia anche solo possibile come è degli spiritiangelici medesimi.

5. Degli astri, che hanno una mutazione in atto aggiun-ta all’esistenza e degli Angeli, che la hanno in potenza, èproprio l’evo.

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Quest. 11. Uno solo è Dio. – 1. Unità è il contrario didivisione. Un essere semplice, cioè senza parti, è sempreuno. Un essere che ha parti è uno finché non è in partidiviso.

2. Unità è anche il contrario di moltitudine, perché è ilprincipio e anche la misura della moltitudine.

3. Se Socrate fosse non un uomo, ma l’uomo, cisarebbe un solo Socrate e un solo uomo, questa cosa chenon è propria di Socrate è propria di Dio, perché Dio èla sua natura; dunque c’è un Dio solo.

Inoltre: Dio ha tutte le perfezioni, ma se ci fossero piùDei si distinguerebbero fra loro per qualche perfezioneo prerogativa che uno ha e all’altro manca, però cosìnessuno sarebbe perfettissimo, nessuno sarebbe Dio nonpuò esservi quindi che un Dio solo.

Infine: Il mondo nel sua ordine ha carattere di unità,ne è quindi creatore e conservatore un Dio solo.

4. L’unità compete all’ente indiviso; ma Dio è ingrado massimo Ente, perché è lo stesso essere: e in gradomassimo Indiviso, perché è semplicissimo, non ha e nonpuò avere parti, dunque l’unità compete a Dio in gradomassimo.

Quest. 12. Come conosciamo Dio. – 1. Se ogni essere ètanto più perfetto quanto più si avvicina al suo principio,anche per la creatura ragionevole la perfezione dell’esse-re non potrà consistere e trovarsi che in chi le è princi-pio dell’essere, cioè in Dio. Orbene, avendo l’uomo co-me distintivo di natura l’intelletto e essendo Dio intelli-gibile, perché è Ente semplice, (anzi sommamente intel-ligibile perché è in sommo grado Ente e in sommo gradosemplice), l’uomo sarà perfetto quando fisserà l’intellettoin Dio; e chi è già perfetto, come sono i Santi, certamentevede Dio. Ma come?

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2. All’atto di conoscere occorre che ci sia nel soggettola facoltà conoscitiva e che l’oggetto, mediante la suaimagine, a lui s’unisca.

Nel caso nostro Dio, mentre è ad un tempo il principiodella facoltà intellettiva e anche l’oggetto della visioneintellettiva, non è, per l’Essere suo Infinito, riducibilea un’imagine. Per l’unione quindi dell’intelletto a Diooccorre una conformazione a Dio della nostra facoltàintellettiva, cioè il lume di gloria.

3. Coll’occhio però o colla fantasia non si raggiunge Dio,perché occhio e fantasia sono materiali e Dio è esserespirituale.

4. Nella cognizione naturale le cose sono conosciuteconformemente alla natura del conoscente: l’uomo per-cepisce le nature individuate nella materia e, colla astra-zione dell’intelletto, le conosce anche in universale; gliangeli percepiscono le nature non materiali, ma la naturadi Dio è al di sopra anche di queste, essendo sussistenteper sé, perciò di cognizione naturale la conosce Dio solo.

5. e l’intelletto creato per conoscerla abbisogna di unaumento della forza intellettiva, l’aumento si chiama illu-minazione, e Dio è il lume, che fa diventare a lui simili,cioè Deiformi.

6. Questo lume di gloria Dio lo dà come premioproporzionato alla Carità di ciascuno, e uno ne avrà piùdell’altro.

7. Dio si comprende quando si conosce perfettamen-te, cioè quanto è conoscibile; ma Dio infinito è infinita-mente conoscibile, mentre l’intelletto creato, cui si appli-ca il lume di gloria, è finito, dunque Dio gli resta incom-prensibile.

8. E per questo nell’altra vita, benché le cose si vedanoin Dio, l’intelletto creato non può conoscere in Dio tuttele cose, tutto quello cioè che Dio fa e può fare;

9. le cose, vedendosi nell’essenza divina, si vedononelle loro nature, non nelle loro immagini:

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10. e si vedono tutte contemporaneamente come in uncampo visivo, (più o meno ampio in proporzione al lumedi gloria), che viene presentato.

11. Quaggiù abbiamo un essere spirituale in materiacorporale, a ciò si conforma la nostra cognizione; cono-sciamo cioè attraverso la materia; ma conoscere Dio nel-le creature non è mai vedere l’essenza di Dio; dunque inquesta vita nessuno può vedere Dio.

12. Però attraverso le cose materiali possiamo cono-scere che queste sono effetto, che Dio ne è la causa, chequesta causa esiste e che ne derivano parecchie relazioni.

13. Alla cognizione nostra concorrono la forza dellamente e le imagini mentali; Dio può rafforzare l’una einfondere le altre, come avviene nei profeti e così pergrazia si può avere una più alta cognizione delle cose diDio.

Quest. 13. Nomi di Dio. – 1. Le parole sono segni delleidee, le idee sono imagini intellettuali delle cose. A Dio,che conosciamo dalle creature, attribuiamo nomi ricavatidalle creature, ma essi non esprimono mai l’essenza divi-na, qual’è in sé.

2. I nomi di Dio relativi, come «Creatore» e i negativicome «Infinito» indicano di Dio o relazione o rimozionedi difetto, ma non la sua sostanza; i nomi positivi, come«buono» la indicano, però imperfettamente e nel senso,per esempio, che ciò che diciamo bontà nelle creaturepreesiste in Dio e così sono nomi sostantivi,

3. e spettano a Dio in senso proprio, eccetto che nelloro contenuto di modo di essere, il quale resta per lecreature;

4. i varii nomi non sono mai sinonimi, perché è sempreun unico principio semplice bensì, ma che risponde allediverse perfezioni delle creature e ai molteplici concettidella nostra mente:

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5. ma, data la infinita Perfezione di Dio, non hanno inDio lo stesso significato che nell’uomo; rappresentano sìDio, ma solo in qualche modo; sono perciò né equivoci,né univoci, ma analogici.

7. Dio è sopra l’ordine del Creato; le creature sonoordinate a Dio, non Dio alle creature, perciò relazionereale c’è fra le creature e Dio, ma non viceversa; edè in questo senso che i nomi relativi, come «Creatore»appartengono da dopo che c’è il tempo a Dio, che è eterno.

8. Col nome di Dio tutti intendono chi presiedeall’universo quindi la parola «Dio» per sé rappresentaun’operazione divina, ma è diretta a designare la naturadivina.

9. E poiché la natura divina non è comunicabile,così in senso proprio non è comunicabile nemmeno ilnome «Dio», e tanto meno sarebbe comunicabile il nomeproprio del vero Dio.

10. Il nome proprio del vero Dio è Jehova (colui che è),perché a) indica che di Dio è proprio esistere, cosicchél’esistenza forma la sua essenza; e appunto i nomi propridevono indicare l’essenza, b) è il nome che abbraccia ilpiù possibile di Dio, cioè l’essere che è infinito; c) perchécol verbo è (presente) esclude il passato e il futuro edesigna l’eternità, che è esclusiva di Dio.

Quest. 14. Scienza in Dio. – 1. La conoscenza è in pro-porzione della immaterialità. La pianta nulla conosce;l’uomo molto; l’Angelo molto di più, Dio, che è perfetta-mente immateriale, ha una scienza perfetta.

2. L’uomo può conoscere; conosce poi in atto, quandouna cosa gli si fa presente colla sua imagine intelligibile:orbene Dio che, solo, è sempre in atto e di intendere e diesistere, non può avere che se medesimo, come oggettointelligibile di se stesso, adeguato e sempre presente; Dioperciò conosce sé in se stesso;

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3. e, perché sempre così in atto, è perfettamenteconoscibile a se stesso perfettamente conoscente; perciòconprende se stesso, cioè conosce totalmente tutto séstesso.

4. E poiché così in Dio: conoscente, conosciuto emezzo di conoscere è tutt’uno, il suo intendere è la suasostanza stessa.

5. Conoscendosi perfettamente, Dio conosce ancheciò a cui può estendersi la sua virtù, conosce quindi tuttele cose, essendone la causa.

6. Conoscendosi perfettamente, Dio conosce anchequanto è partecipabile dalle cose, conosce perciò in sestesso ogni cosa con cognizione non generica, ma distintae propria;

7. e in se stesso vede anche le cose tutte insieme, mentrel’uomo conosce le cose una dopo l’altra, con scienzadiscursiva.

8. In Dio «conoscere, volere, essere» è tutt’uno; si puòdire quindi che in Dio la conoscenza delle cose è causadelle cose e che le cose esistono in quanto Dio le conoscee non già che Dio le conosce perché esistono.

9. Dio sa tutto quello che può fare lui e anche quelloche possono fare, dire, pensare le creature; e – siccomeDio è eterno e per lui tutto è presente – quello che o èpresente, o fu, o sarà, si dice che Dio lo vede (scienza divisione): quello che non è presente e neppur fu o sarà, maresta soltanto possibile, si dice che Dio lo intende (scienzadi semplice intelligenza).

10. E, conoscendo il bene, Dio conosce anche il male,che è o corruzione del bene o mancanza del bene.

11. Benché le essenze delle cose siano universali,unendosi alla materia formano tante cose particolari e Diole conosce tutte; perché le cose hanno da Dio l’essenza, eanche la materia.

12. Conoscendo Dio tutto quello che è, e tutto quel-lo che è possibile sia da parte di Dio sia da parte delle

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creature, si deve dire che Dio colla stessa scienza di vi-sione vede cose infinite; p. es. i pensieri e gli affetti chescaturiranno in infinito dagli esseri intelligenti che sonoimmortali.

13. A Dio eterno tutto è presente. Così dall’alto di unosservatorio in capo a una via vi si vedono contempora-neamente tutti i passeggieri, i quali invece per chi è giùnella via, a una finestra sono parte passati, parte presen-ti, parte ancor da venire. Anche ciò che sarà, ma che nonha necessità di esistere, cioè il futuro contingente, che èlegato a cause impedibili, in quanto sarà, per Iddio è comepresente; inoltre esso è conosciuto da Dio infallibilmente,perché conosciuto nelle sue cause, ed anche in se, men-tre per noi è solo congetturabile, perché conoscibile solonelle cause, e queste sono impedibili.

14. Dio conoscendo la forza di ciascun intelletto,conosce anche tutto ciò che può essere pensato e dettoda ognuno, conosce gli enunziabili.

15. In Dio la conoscenza delle cose non dipende dallecose, essendo essa la sua stessa sostanza, e come questa èimmutabile, anche la scienza è immutabile in Dio.

16. In Dio «essere, conoscere, volere» è tutt’uno,quindi la conoscenza che Dio ha delle cose si può direla causa delle cose; così tale scienza di Dio è speculativa eanche pratica, cioè operativa.

Quest. 15. Idee in Dio – 1. Le cose procedono da Dioquanto alla forma o essenza e quanto alla materia; Dionon ha fatto le cose a caso, quindi le forme o essenzeprima che nelle cose c’erano nella mente di Dio, c’eranoin Dio le idee delle cose.

2. E ce n’erano tante quante dovevano essere le cose,né ciò è contro la semplicità di Dio, perché esse sono inDio in quanto Dio conosce direttamente la sua essenzaper tanti modi participabile dalle creature, e tali idee,

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essendo nella mente di Dio, sono un’appartenenza di Dioe sono con Dio eterne e immutabili.

3. «Idea» si prende come esemplare, ossia principiodi esecuzione di ciò che vien fatto e come ragione, ossiaprincipio di cognizione di ciò che si conosce; così in Dioc’è l’idea di ogni cosa, anche di lui stesso, o come esemplareo come ragione.

Quest. 16. La verità. – 1. Verità dice ordine all’intellet-to. Nel volere è la volontà che tende alla cosa perciò laBontà è nella cosa; nel conoscere invece è la cosa che vaall’intelletto, dunque la verità è propriamente nell’intel-letto; ma come per la cosa si dice buona anche la volon-tà, così per l’intelletto si dice vera anche la cosa. Verità ènelle cose se corrispondono all’idea di chi ne fu l’artefice;verità è nell’intelletto conoscente, se si conforma alla co-sa sconosciuta. Verità quindi è conformità fra intellettoe cosa.

2. Verità è nella cosa se è conforme alla sua natura;verità è nella cognizione dell’intelletto, se si conforma al-la cosa; ma la conoscenza della verità appartiene all’intel-letto che forma il giudizio se cioè la cognizione è si o noconforme alla cosa, e qui sta propriamente la verità.

3. Una stessa cosa si dice vera in rapporto all’intellettoe in rapporto all’appetito si dice buona: ente, vero, buonosono lo stesso; 4. ma poiché per appetirla bisogna primaconoscerla, così prima sta il vero, poi il buono.

5. Se verità è: – conformità fra intelletto e cosa – Dioè somma verità, perché fra il suo intelletto e il suo esserec’è non solo conformità, ma identità; Dio è prima verità,perché Il suo intelletto è misura delle cose.

6. La verità considerata in ciascuna cosa è una sola, marelativamente agli intelletti che la conoscono, sono tantequante gli intelletti;

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7. e, poiché cose e intelletti sono creati e non eterni,resta che verità eterna c’è in Dio solo.

8. La verità è mutabile quando di una cosa l’intellettosi forma diversa opinione, o quando, restando l’opinio-ne, inavvertitamente si scambia la cosa; ma ciò sarà del-l’intelletto creato, non già di Dio, cui niente sfugge: inLui la verità è immutabile.

Quest. 17. Cos’è la falsità. – 1. Come verità cosìfalsità ha rapporto coll’intelletto. Per Iddio falsità nonc’é nelle cose, perché sono quale Dio le vuole; puòesserci nelle volontà se si allontanano dalla regola di Dio.Per l’uomo può esserci anche nelle cose, o in ciò che èrappresentativo del vero, come nelle tragedie, o in ciòche inganna per mezzo dei sensi, come nei fiori artificiali.

2. Nel senso, se non è difettoso, non c’è falsità relativa-mente al sensibile suo proprio, come il suono per l’udi-to; può esserci relativamente a un sensibile comune a piùsensi, come il moto, che si percepisce, più che nel sen-sibile proprio, nella sua modificazione può esserci anchenel sensibile accidentale, che si percepisce in un sensibilediverso, come il freddo nel veder caduta la neve.

3. Come l’occhio non si inganna vedendo la luce, mapuò ingannarsi circa il colore, così l’intelletto non si in-ganna conoscendo le cose, ma può ingannarsi giudicando-le, e allora c’è in lui falsità.

4. Vero e falso sono contrari, come bianco e nero.

Quest. 18. Vita in Dio. – 1. Un animale si dice vivofinché si muove da sé. Vita non hanno tutti gli esseri, masolo quelli che hanno moto dall’intrinseco, cioè impulsoa operazioni sia di sviluppo, sia di senso, sia di pensiero.

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2. La vita l’attribuiamo a chi ha il moto da sé, ma laparola vita per sé designa, più che il moto, sostanza cuitale moto compete; talora poi la vita indica le operazionidella vita, come sentire e intendere.

3. La vita, che sta nel moto, ha i suoi gradi. Lepiante hanno il moto da sé soltanto in ordine alla suaesecuzione: gli animali lo hanno anche in ordine al suoindirizzo e cioè proporzionatamente allo sviluppo deiloro sensi; chi ha l intelletto ha il moto da sé anche inordine al fine e sappiamo già che l’intellettualità è tantomaggiore quanto maggiore è l’immaterialità. Questa Diopossiede in sommo grado, quindi in sommo grado possiedeanche la vita.

4. Tutte le cose sono in Dio a modo di idee, le ideesono la stessa sostanza (15. 2), la stessa vita di Dio; sipuò dire quindi che tutte le cose sono vita in Dio.

Quest. 19. Volontà in Dio. – 1. Relativamente alla per-fetta attuazione del proprio essere, tutto ha inclinazio-ne di cercarla, se non la possiede, di acquetarvisi, se lapossiede. Questa inclinazione, che si dice appetito nel-le cose prive di cognizione e appetito sensitivo gli anima-li, negli esseri forniti di intelletto si dice volontà. Dio haintelletto, quindi anche volontà.

2. Le cose Dio le vuole in quanto sono attuazione dellasua bontà.

3. Per necessità di natura Dio vuole il suo essere, la suabontà; le cose invece, che non sono il suo essere e la suabontà, ma mezzi manifestativi della sua bontà, le vuolecome mezzi, cioè liberamente, e soltanto supposto che levoglia, essendo egli immutabile, non può essere che nonle voglia.

4. Causa delle cose è la Volontà di Dio libera, non giàuna sua necessità di natura, ossia l’istinto. Difatti a) Ogniistinto è ragionatissimo, perché disposto da un etto supe-

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riore preesistente; ma Dio è Ente Primo, dunque agiscenon per istinto, ma con intelletto e volontà. b) L’istintodi natura, che negli esseri finiti porta a un effetto unicoe sempre tale, in Dio, che è infinito, porterebbe a effettiinfiniti; il che è impossibile (7. 2). c) Gli effetti preesisto-no nella causa secondo la natura delle cause, ma la natu-ra di Dio è intelletto e volontà, perciò preesistono in Diosecondo volontà e non secondo istinto.

5. Dio nel suo volere non è mosso dalle cose, perchétutto conosce in sua essenza, così tutto vuole in suabontà; vuole le cose ordinate al fine e tali sono perchéegli lo vuole, non già egli ciò vuole, perché tali sono.

6. La volontà di Dio non è una volontà particolare, mauna volontà universale; ciò che non si compie secondo unordine della volontà di Dio, si compie secondo l’altro; lavolontà di Dio quindi si adempie sempre.

7. Altro è mutare volontà, altro è volere una mutazio-ne. Muta volontà chi si muta nell’essere o nel conoscere,così che una cosa, la quale prima non era per lui o da luinon era conosciuta come un bene, tale poi diviene o co-me tale vien conosciuta; ma Dio è immutabile nell’esseree nel conoscere, quindi anche nella volontà.

8. Ad alcune cose Dio ha fissato cause necessarie ine-luttabili, a altre cause contingenti defettibili, ma neppurequeste sfuggono l’efficacia della volontà di Dio, perchéfu Egli che volle la loro contingenza.

9. Il male non si può volere per sé, ma solo in quantocongiunto con qualche bene. Dio volendo la sua bontàsopra tutto, rigetta il male di colpa che le è direttamentecontrario; quanto agli altri mali, volendo Dio le altre cosein ordine a sé, può volere il male di pena in ordine allaGiustizia e il male naturale in ordine alla Provvidenza.

10. Il libero arbitrio si ha di ciò che non è oggettodel volere necessario o dell’istinto. Così vogliamo esserefelici non di libero arbitrio ma per istinto. E soltanto se

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stesso che Dio vuole necessariamente, non così le cose fuoridi lui; resta che queste le voglia di libero arbitrio.

11 – 12. La manifestazione della volontà di Dio, chemetaforicamente è detta volontà di segno, è di 5 sorta:opera, comanda o consiglia il bene; permette o proibisceil male.

Quest. 20. Amore in Dio. – 1. Il primo moto dellavolontà è l’amore, che tende al bene, il quale è prima delmale e che tende al bene in comune, che poi è suddivisoin beni particolari. In Dio c’è volontà non inerte, dunquein Dio c’è Amore.

2. Ogni cosa in quanto esiste è un bene. Amare èvoler bene, dunque Dio, volendo l’esistenza delle cose,vuole bene, ama le cose: ma se, quanto a noi, amiamo lecose perché sono bene; quanto a Dio, le cose sono beneperché Dio le ama;

3. così si può dire che Dio ama una cosa più dell’al-tra, perché egli causa nell’una più di bene che nell’altra;quantunque come intensità di volere, le ami tutte egual-mente;

4. e così pure si dice che Dio ama di più le cose migliorie che più degli innocenti Dio ama i penitenti, perché inquesti possono sorgere maggiori virtù.

Quest. 21. Giustizia e Misericordia, – 1. Giustiziacommutativa, che sta nell’eguaglianza tra il dare e l’averenon corre tra Dio e noi, perché tutto abbiamo e nulladiamo. In Dio, che per l’ordine dell’universo dà a ciascunessere ciò che gli è proprio, c’è la giustizia distributiva;

2. e tale Giustizia, che è ordine stabilito nelle coseconforme alla sua sapienza, è anche verità, la quale èconformità tra intelletto e cosa.

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3. A Dio compete, non già il contristarsi per il malealtrui, ma allontanare il male altrui; gli compete quindi lamisericordia, non come passione, ma come effetto e nelsenso che le perfezioni che Dio dà alle cose allontananoi difetti.

4. In tutte le opere di Dio c’è giustizia; perché Egli faciò che conviene alla sapienza e bontà sua, all’ordine ealla proporzione delle cose. Anzi l’abbondanza di suabontà sorpassa l’esigenza dell’ordine e la proporzionedelle cose, e le cose stesse nessuna preesistente esigenzahanno verso Dio; dunque colla giustizia c’è anche lamisericordia che ne è il fondamento.

Quest. 22. Provvidenza di Dio. – 1. In Dio c’èProvvidenza, che è parte principale della prudenza edè assai bene definita da Boezio: la stessa ragione divinache dispone ogni cosa; infatti nelle cose c’è esistenza eordine al fine e l’una e l’altra cosa è opera di Dio; nelsuo intelletto perciò preesisteva il disegno dell’ordine,elle cose al fine;

2. e poiché la causualità di Dio e anche la sua scienzasi estende a tutti gli enti, a tutto si estende pure la Provvi-denza di Dio.

Casi e fortune ci possono essere relativamente a causeparticolari, non relativamente a Dio, causa universale,che talora permette il male per non impedire un qualchebene.

3. La Provvidenza si esplica nella disposizione dell’or-dine e nella esecuzione dell’ordine.

La disposizione, la tratta Dio immediatamente, l’esecu-zione l’affida alle cause seconde, e così nell’abbondanzadi sua bontà dà a creature dignità di causa.

4. Scopo della Provvidenza nella creazione è la Perfe-zione dell’universo con Enti di ogni grado, e con effetti

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preparati parte da cause necessaria, parte però anche dacause libere; dunque la provvidenza non è fatalità.

Quest 23. La predestinazione. – 1. In Dio non solo c’èprovvidenza, cioè il disporre in ordine al fine naturale diogni creaturà, ma anche il destinare, disponendo gli aiu-ti proporzionati, le creature razionali a un fine che ecce-de la proporzione e facoltà di natura creata, cioè la vitaeterna; in quanto questo disegno preesisteva nell’intellet-to di Dio si chiama Predestinazione. Non viene rivelataa nessuno, affinché non ci sia chi fa il negligente e chi sidispera.

2. La predestinazione, come disposizione dell’ordine,appartiene a Dio; come esecuzione appartiene passivamen-te anche agli uomini colla vocazione alla fede e colla glo-rificazione.

3. In Dio c’è anche la Riprovazione, ma questa importa:a) Dio di Provvidenza generale permette che alcuni perloro cattiva volontà facciano peccati e non è obbligato diimpedirli; b) destina loro la pena.

4. Mentre noi scegliamo quelli che amiamo, Dio amaquelli che sceglie; ama, cioè vuol bene, vuole efficacemen-te il bene, procura il bene, dunque i predestinati da Diosono eletti e diletti. Dio in generale vuole che tutti si sal-vino, in particolare vuole che si salvi chi lo merita.

5. Quanto alla causa della predestinazione: a) da partedi Dio nulla c’è sopra la sua volontà; b) da parte degliuomini non ci sono meriti antecedenti alla vocazione allafede, perché prima di avere la fede nessuno ha veri meritidavanti a Dio; quindi, benché in particolare si possa direche un primo buon effetto della predestinazione ne tiraun secondo, l’effetto totale della predestinazione non haaltra causa che la bontà divina.

6. Si sa che nella disposizione dell’universo (22. 4) glieffetti sono legati non solo a cause necessarie, ma anche

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a cause libere; resta dunque per l’uomo il libero arbitrio,e l’effetto della predestinazione non è necessitato; perIddio però, essendo alla sua scienza tutto presente e nullasfuggendo alla sua volontà, l’effetto della predestinazioneè certo e infallibile;

7. Cosicché Dio sa quanti e quali sono i predestinati,avendoli preordinati quale elemento principale dell’uni-verso, così come un ingegnere prefinisce le dimensioni eanche le mansioni del palazzo che vuol costruire e lo salui solo.

8. Le orazioni dei Santi aiutano la Predestinazione, senon per la preordinazione di Dio, la quale è ab aeterno,certamente per il suo effetto.

Quest. 24. Il libro della vita. – 1. Libro della vitaèespressione metaforica presa dal libro di coscrizione diquelli che sono scelti o per soldati o per consiglieri, esignifica la nozione fissa che ha Dio dei predestinati.

2. Ma come l’arruolamento dei soldati si fa non perchési armino, ma perché combattano, così il libro della vitaimporta elezione non alla grazia, ma alla gloria.

3. Rettamente si può dire che uno viene cancellatodal libro della vita, quando vien meno alla grazia che locondurrebbe alla gloria.

Quest. 25. Onnipotenza. – 1. Dio che è atto ed escludeogni potenza (4. 1), che cioè è tutto e nulla di più puòdiventare, nulla ha da acquistare e tutto a dare, egli hapotenza attiva e non passiva.

2. L’essenza di Dio è infinita, perciò anche tale poten-za attiva di Dio è infinita.

3. Questa infinita attiva potenza di Dio si dice onnipo-tenza, perché ne è oggetto ogni possibile, ossia tutte ciò

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che può esser fatto, che cioè non sia una contraddizionecome: – un bianco tutto nero – tutto ciò insomma chepuò essere.

4. Che il passato non sia passato Dio non può farlo,perché sarebbe come fare che ciò che è vero sia falso.

5. Quanto a ciò che Dio opera nel mondo, nonessendo Egli determinato da necessità di natura e nonesaurendosi nell’ordine presente la sua sapienza e bontà,potrebbe anche fare cose diverse da quelle che fa.

6. Quindi potrebbe fare cose migliori delle presentie che le presenti fossero migliori accidentalmente: p.e. che gli uomini fossero più alti; ma farne di miglioriessenzialmente non può, perché cambierebbero natura;p. e. se l’asino avesse la ragione non sarebbe più asino.

Quest. 26. Beatitudine di Dio. – 1. Beatitudine è: be-ne perfetto di intellettuale natura: Dio è perfettissimo esommamente intelligente, gli compete perciò la beatitudi-ne perfetta;

2. la beatitudine sta nella perfezione, la perfezionesta nella piena esplicazione della natura e questa stanell’operazione, perciò la perfezione e la beatitudine diuna natura intellettuale sta nell’intendere, che in Dio è:lo stesso suo essere.

3. I beati hanno Dio ber oggetto del loro atto di inten-dere; perciò la beatitudine è unica quanto all’oggetto, di-versa quanto agli atti.

Questa beatitudine contiene eminentemente ogni altra.Essa infatti porta come oggetto della felicità contempla-tiva Dio e tutte le cose; della attiva il governo dell’uni-verso; della felicità terrena, quanto ai piaceri: il gaudiopersonale e comune; quanto alle ricchezze: la sufficienzaindefettibile; quanto alla potenza: l’onnipotenza di Dio;quanto alla gloria: l’ammirazione di tutto il creato.

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LA TRINITÀQuest. 27. Le divine persone procedono... – 1. La

Scrittura parla di un procedere in Dio. Ario lo prese nelsenso di effetti procedenti da una causa, ma così il Verbosarebbe creatura e non già Dio; Sabellio lo prese nel sen-so di diverse operazioni di uno stesso soggetto, ma co-sì le persone sarebbero una, non tre. Errarono ambedueperché considerarono quel procedere come un’operazio-ne esteriore. Invece l’operazione di Dio si deve consi-derare alla stregua non delle creature più basse, ma del-le creature più alte, quali le intellettuali, nelle quali c’èuna operazione interiore, un’azione immanente, ossia ri-manente nel soggetto: p. e. il concetto che si forma inmente (Verbo), che si significa colla voce (Parola). Cosìintende la Fede il procedere delle persone in Dio.

2. Poiché il procedere, in somiglianza naturale, di unvivente da un non vivente congiunto quale principio vi-tale è Generazione, la processione del Verbo (= concet-to formato) dal Padre è Generazione. Infatti l’operazio-ne dell’intelletto è operazione vitale, perciò è un Viventeche procede da un Vivente; – gli è congiunto, perché nonsi tratta di operazione esteriore; – procede in somiglian-za naturale, perché è proprio del concetto dell’intellettorappresentare l’oggetto in cui si affissa. E poiché Dio co-nosce se stesso così che conoscente, conosciuto e mezzodi conoscere è lo stesso Dio (14. 4), così il Verbo è Dioeguale al Padre.

3. Ma la natura intellettuale ha una, duplice operazio-ne interna: di intelletto e di volontà. La processione delVerbo, per cui la cosa intesa è nell’intelligente, è secondol’operazione dell’intelletto. E come in noi secondo l’ope-razione della volontà c’è una seconda processione, quelladell’amore, che fa sì che l’amato sia nell’amante, così an-che in Dio oltre la processione del Verbo c’è la processionedell’Amore.

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4. Però la processione della volontà importa nongià riproduzione di simile, ma inclinazione quasi di unvento che, spirando, spinge e piega, e quindi ciò che cosìprocede in Dio procede non come Figlio, ma come ventoche spira, spirito.

5. Oltre quella dell’intelletto e quella della volontà inDio non ci sono altre processioni, sono quindi due sole.

Quest. 28. Relazioni in Dio. – 1. Ricordiamo che le cosepossono essere in 10 modi generali e cioè o come sostanzao come un che di inerente alla sostanza, e ciò in 9 modio accidenti, che sono: quantità, qualità, relazione, azione,passione, tempo, luogo, sito ed abito. Ecco le categorie diAristotele.

La relazione può essere naturale come: Figlio, creatu-ra... e questa è reale; può essere solo nell’intelletto di chiconsidera la cosa, e questa è mentale.

In Dio le relazioni che dipendono dalle processioni, lequali avvengono nella stessa natura divina, sono naturali,quindi, sono anche reali.

2. Ciò che è reale se è fuori di Dio è creatura, seappartiene a Dio è lo stesso suo essere, quindi in Diola relazione reale in sé è la stessa essenza di Dio; per lanostra mente è un riferirsi al suo opposto.

3. Le relazioni in Dio importano opposizione, l’oppo-sizione importa distinzione; la relazione è reale e reale èla distinzione.

4. Ogni relazione importa opposizione di 2 termini:le relazioni in Dio seguono le processioni e queste sono2, dunque le relazioni reali sono 4: paternità, figliazione,spirazione e processione per spirazione.

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Quest. 29. Le persone divine. – 1. Essere un individuo,conviene meglio alla sostanza che agli accidenti, e meglioancora alla sostanza razionale che non alle altre, perchéa lei spetta e azione e dominio dell’azione: l’azione poispetta all’individuo, benché la natura ne sia il principio.L’individuo che è sostanza di natura razionale si chiamapersona;

2. e persona nel genere delle sostanze razionali indicaciò che negli altri generi di sostanza indica: cosa di unadata natura, sussistenza, sostanza, (grec. ipostasi = ciò cheè sotto gli accidenti),

3. cosicché la parola persona designa l’individuo piùperfetto di tutta la natura; e poiché ogni perfezione dellecose si deve attribuire a Dio e in misura eminente, cosìanche il nome «persona» conviene adoperarlo per Dio e inmisura eminente.

4. Se persona indica: Individuo cioè «distinto» e la di-stinzione in Dio c’è per l’opposizione che consegue la re-lazione, persona in Dio indica relazione come sussistente;così la Paternità divina è Dio Padre.

Quest. 30. Le persone divine sono più di una. – 1. InDio le relazioni sono più di una, più di una sono anche lepersone

2. Tre sono le Persone divine; non mezzo e non più. In-fatti: reale opposizione di relazione (28. 4) c’è fra la pa-ternità e la figliazione e queste designano a persone: ilPadre e il Figlio. La spirazione e la processione per spi-razione sono opposte bensì fra esse due, non però con itermini precedenti, la spirazione perciò conviene a ambi-due i termini precedenti. Ma la processione per spirazio-ne non può convenire a nessuno dei 2 termini preceden-ti: Paternità e Figliazione, perché conseguono la proces-sione per intelletto, mentre la spirazione è processione divolontà; essa deve quindi designare una terza persona equesta è lo Spirito Santo.

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3. Il numero tre applicato alle persone divine importadivisione, non materiale, ma formale e va preso cometrascendentale al pari dell’uno trascendentale; e comequesto vale soltanto «negazione di divisione», così il treimporta soltanto «indivisione di ciascuna delle personedivine».

4. II nome «persona» è nome comune delle tre perso-ne, come è nome comune il nome «uomo» quando dicia-mo tre uomini.

Quest. 31. Cautele nell’uso dei termini. – 1. Trinitàvuol dire che le persone divine sono più di una e sonoprecisamente tre.

2. Quando diciamo che il Figlio è diverso dal Padre,contro Ario intendiamo dire che è distinto dal Padre,non però che sia separato, diviso e differente dal Padre,e contro Sabellio intendiamo escludere che sia una solae unica cosa col Padre o con lui confusa e che Dio sia unsolitario.

3. Parlando di Dio la parola «solo» possiamo adope-rarla non categoricamente = come predicato; p. e. Dio è.solo: ma sincategoricamente = come avverbio; p. e. soloDio è eterno.

4. e questa frase esclusiva: solo Dio è... la adoperiamorelativamente alla natura e alla personalità, non. relativa-mente alla persona. Diciamo: infinito è Dio solo, la pa-ternità in Dio è una sola, ma non diciamo: solo il Padre èDio.

Quest. 32. Conoscenza della Trinità. – 1. La ragioneumana da sé non può conoscere la Trinità, perché essa dasé conosce Dio in quanto è Causa del Mondo, e Dio ne

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è Causa in quanto è Uno nell’Essenza, non in quanto èTrino nelle Persone.

Le triadi concepite da Aristotele, dai Platonici, dalTrimegisto ecc. non sono la trinità, perché essa consistenella Paternità, Figliazione e Processione e questa nelsenso suo proprio i filosofi non la conobbero.

2. Per parlare distintamente delle Persone divine nonsolo in concreto, ma anche in astratto abbiano bisognodi fissare in Dio le nominazioni o nozioni o proprietà, ciòpoi non fa contro la semplicità di Dio, perché è il nostrointelletto limitato che si rivolge a Dio uno con concettimolteplici.

3. Abbiamo così: 5 Nozioni: Innascibilità, paternità,figliazione, spirazione e processione per spirazione.

4 Relazioni: paternità, figliazione, spirazione e proces-sione;

3 Persone: paternità, figliazione, processione.4. Finché pero i concetti delle nozioni non sono fissati

per autorità della Chiesa, si può su questi opinare anchediversamente.

Quest. 33. La persona del Padre. – 1. Al Padre competeil nome di principio (= ciò da cui procede...), perchéda lui procede il Figlio e nei rapporti della Trinità noiadoperiamo sempre la parola principio usando maggiordistinzione dei greci che adoperano indifferentemente leparole: causa e principio.

2. Il nome Padre è none proprio della Prima Persona,perché è il nome che la distingue dalle altre.

3. Il nome Padre compete alla Prima Persona più inquanto è principio del Figlio che in quanto è principiodelle creature, perciò gli compte più come Persona divinache come Dio.

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4. Il Padre è principio; principio importa che da luialtri proceda e esclude che egli proceda da altri, perciò alPadre è proprio essere ingenito.

Quest. 34. La persona del Figlio. – 1. «Verbo» in Dio ènome di persona, non di natura, perché Verbo (= parola)significa: a) concetto che la mente si forma di unacosa; b) imaginazione della parola che lo rappresenta; c)articolazione della voce che lo esprime; in tutti tre i casiindica un procedente da un principio, quindi in Dio, nonpuò essere che nome di persona;

2. e poiché «Verbo» indica processione di intelletto echi così procede si chiama Figlio e la sua processione èdetta Generazione, così Verbo è nome proprio del Figlio.

3. Il Verbo in Dio è il concetto rappresentativo,che, con un unico atto, Dio si forma e di se e dellecreature che dipendono dalla sua scienza e potenza; ilVerbo, quindi importa anche relazione alle creature ed èla ragione fattiva della Creazione.

Quest. 35. Della voce: Imagine. – 1. In Dio i nomirelativi a processione sono personali, quindi anche ilnome Imagine in Dio è nome di persona, perché in sensostretto una cosa è imagine di un’altra quando da leiprocede in similitudine di specie;

2. e propriamente il nome Imagine non compete allaSpirito Santo, perché la scrittura non glielo attribuiscemai; conviene piuttosto al Figlio, al quale, essendo Verbo(= concetto rappresentativo), conviene naturalmente lasomiglianza col Padre.

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Quest. 36. La persona dello Spirito Santo. – 1. La primaprocessione in Dio ha i nomi propri di Figlio, Verbe,Imagine; la seconda non ha un nome proprio, ma un nomeappropriato «Spirito Santo» e gli si appropria il nome diSpirito, perché, come di un vento che spira è propriospingere e muovere, così dell’amore e proprio spingerechi ama verso chi è amato e la seconda processione èappunto per modo di amore.

2. Le divine persone si distinguono fra di loro per op-posizione di relazione determinata da processione (28.3) se lo Spirito Santo non procedesse anche dal Figlio,mancherebbe la ragione di distinguerlo dal Figlio, dun-que procede anche dal Figlio.

3. Il Figlio ha dal Padre che dà lui proceda lo SpiritoSanto, perciò il Padre spira lo Spirito Santo medianteil Figlio e lo Spirito Santo procede dal Padre mediante ilFiglio; ciò però non costituisce un ordine di tempo o dipotenza, ma solo un ordine di persone.

4. Il Padre e il Figlio sono una stessa cosa in tutto ciòin cui non sono distinti per opposizione di relazione (28.3,4), e poiché ciò che distingue lo Spirito Santo dal Padree dal Figlio è una stessa e unica relazione, così Padre eFiglio, formano un unico principio dello Spirito Santo.

Quest. 37. Nome proprio dello Spirito Santo «Amore».1. In Dio per l’atto di intendere, che appartiene alla Na-tura divina, c’è il Verbo, che è nome di persona, perchéesprime la relazione del procedente al suo principio nel-la prima processione; nella seconda processione per l’at-to di amare si può dire che chi è amato si imprime nel-l’amante e questa relazione non si può meglio esprime-re che colla parola amore: Amore quindi può essere nomeproprio dello Spirito Santo.

2. Che Padre e Figlio si amino dell’Amore dello SpiritoSanto si può dire, non nel senso che lo Spirito Santo sia

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il principio dell’amore, il quale appartiene alla naturadi Dio, ma nel senso che, amandosi il Padre e il Figlio,procede la persona dello Spirito Santo, così come si diceche l’albero fiorisce di fiori.

Quest. 38. Nome dello Spirito Santo «Dono». – 1. Donoimporta a) attitudine di una cosa a diventare di altri; b)appartenenza di tale cosa a chi fa il dono.

Orbene, fra le persone divine qualcuna può essere diun’altra in quanto da lei procede e ha origine, e puòdiventare di altri p. es. della creatura ragionevole, chepuò possederla; dunque qualcuna delle divine Persone èDono.

2. In particolare poi questo nome «Dono» compete alloSpirito Santo, perché dono è ciò che si dà come bene;si dà come bene, perché si vuol bene cioè si ama, e loSpirito Santo è appunto Amore.

Quest. 39. Le persone in relazione alla Essenza –1. Poiché la relazione, d’onde la Persona (29.4), non èche la stessa sostanza rispetto ad altri (28. 2), essenza epersona in Dio è lo stesso; e se appunto per questo non c’èreale distinzione fra essenza e persona, ciò non impedisceche le Persone siano tre, essendovi tra loro distinzionereale per l’opposizione di relazione (28. 3). Così restauna essenza e tre persone.

2. Di Dio parliamo con concetti ricavati dalle cosecreate, e come in queste Essenza sarebbe la forma ePersona sarebbe ogni individuo che ha tale forma e noine parliamo adoperando un aggettivo che la designi, p.es.: quell’atleta ha una forma perfetta, così in Dio diciamoche tre Persone sono di una sola Essenza e che una solaEssenza è di tre Persone.

3. Perciò i sostantivi, che si riferiscono all’Essenza,vanno in singolare p. es. l’eterna onnipotenza; gli agget-

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tivi invece, che si riferiscono alle persone vanno in plu-rale, p. es. tre esistenti coeterni.

4. Secondo il significato della frase, il nome concreto dinatura, p. es. Dio, può riferirsi talora all’essenza, taloraa una persona, talora a tulle tre: p. es. «Dio Creò; DioGenerò; a Dio Gloria».

5. Ma il nome astratto di Natura, p. es. la Divinità, nonsi può prendere in luogo del nome di persona, perché por-terebbe a dire: la divinità generò la divinità; e benché gliaggettivi di persona non si possano attribuire all’essenza,p. es. l’essenza è generata,

6. tuttavia ciò si può fare coi nomi di persona, perchél’essenza divina è eguale per le tre persone quindi si dice:l’Unigenito è Dio; Dio è tre persone.

7. La Trinità non si può dimostrare, ma si può indi-care, e poiché ci sono più manifeste le proprietà di Na-tura che quelle di Persona è conveniente attribuire qual-che proprietà di natura a ciascuna persona in particolare,il che si dice: appropriare.

8. Convenientemente quindi i Padri attribuirono

al Padre al Figlio allo Spirito S.

in quanto Dioesiste:

l’eternità lo splendore la soavità

» » è uno: l’unità l’uguaglianza la concordia

» » è causa: la Potenza la Sapienza la Bontà

» » ha creato icomplementi

dal quale per il quale nel quale

Quest. 40. Le persone e le relazioni divine. – 1. Lerelazioni in Dio sono le stesse persone, perché sono reali,quindi esistenti, anzi sono la stessa essenza di Dio, collaquale pure si identificano le persone. Così la paternità èil Padre.

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2. Ciò che distingue una dall’altra le Persone divinenon si trova nell’essenza che è identica per tutte tre,ma si trova nell’origine e nella relazione; anzi più chenell’origine, che dice atto, p. es. generazione, taledistintivo va riposto nella relazione, che importa realtà.

3. Che se si dovesse fare astrazione in Dio delle relazio-ni e delle proprietà personali, cesserebbe ogni ragione didistinguere in Dio tre persone.

4. Ciò che designa l’ordine di origine di una personadall’altra si dice atto nozionale, p. es. il Padre genera ilfiglio, e gli atti nozionali si hanno in mente prima delleproprietà, perché ne sono la strada.

Quest. 41. Le tre Persone divine e gli atti nozionali. –1. È necessario attribuire alle Persone divine gli atti nozio-nali, perché essi designano l’origine e appunto secondol’origine si distinguono le tre divine Persone.

2. Gli atti nozionali si possono dire volontari in quantosono in Dio con volontà, ma non in quanto siano pervolontà e a volontà, perchè invece ne è principio lanatura.

3. Gli atti nozionali importano origine da qualcuno, neviene così che il Figlio non è creato, ma ha origine dalPadre e non in quanto il Padre a Lui fa parte della suasostanza, ma in quanto gliela comunica tutta intera.

4. Gli atti nozionali importano in Dio anche la Potenzache ne è il principio, p. es., la potenza di generare nelPadre.

5. Potenza di generare, se è soggetto (Nominativo) siriferisce alla essenza divina, negli altri casi può riferirsianche alla Paternità e relazione.

6. Ogni atto nozionale non può avere per termine cheuna sola persona, perché una sola procede come Verbo,una sola come Amore.

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Quest. 42. Le tre Persone divine sono eguali fra diloro. – 1. Le tre divine persone sono eguali, perchéciascuna sussiste nella divina essenza numericamente unae identica.

2. Il Figlio procede dal Padre non per volontà delPadre, ma per la Natura divina, anzi per effetto dellaperfezione della natura divina, ed essendo tale perfezioneeterna, ab eterno ci sono Padre, Figlio e così pure SpiritoSanto.

3. ne segue che nelle Persone divine c’è un ordine diprincipio d’origine: prima c’è il Padre, poi il Figlio, poi loSpirito Santo, ma ciò senza priorità; mai fu il Padre senzail Figlio.

4. Ne segue ancora che, importando la Trinità comu-nicazione a tre Persone della numericamente una e iden-tica natura divina, il Figlio è eguale al Padre nella Gran-dezza, cioè nella Perfezione di Natura;

5. e che essendo nel Figlio l’essenza del Padre, il Padreè nel Figlio e il Figlio è nel Padre;

6. e che il Figlio ha anche la stessa Potenza del Padre.

Quest. 43. Missione delle Persone divine. – 1. La Mis-sione (mandare) non disconviene a Persona divina, perchésignifica: origine da altra Persona e insieme nuovo termi-ne o nuovo modo di essere: così il Figlio che si incarnòsi dice mandato dal Padre nel mondo.

2. Relativamente al termine o punto di arrivo, che èfuori di Dio, la Missione è del tempo non dell’Eternità.

3. Missione invisibile di divina persona vale: esseremandata e essere ricevuta. Questo avviene nella graziasantificante, per la quale Dio si trova in una creaturaragionevole oltreché per essenza, presenza e potenza,anche conosciuto e amato, quindi come in suo tempio.

4. Al Padre che non proviene da nessuna persona, nonspetta missione. Cosicché,

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5. se colla grazia santificante si trova nell’anima tuttala Trinità, la missione invisibile resta propria del Figlio edello Spirito Santo,

6. e ne sono partecipi tanti quelli che hanno la grazia.7. Lo Spirito Santo ebbe la missione visibile a indizio

della invisibile nella Pentecoste.8. Nell’incarnazione si può dire che il Figlio lo ha

mandato lo Spirito Santo, non quale principio della Per-sona, ma quale principio dell’effetto della stessa incarna-zione.

Quest. 44. Processione delle creature da Dio. – 1. InDio essenza ed esistenza è lo stesso (3. 4). Egli quindiè l’Essere ed è da se stesso. Tale è uno solo (11. 3. 4);le altre cose invece non possono che avere un essere, e unessere partecipato e precisamente da Dio; quindi sono daDio.

2. La materia prima, si intenda o grossolanamente osottilmente, entra come costitutivo e fa parte delle cose:tutte le cose sono da Dio, quindi anche la materia prima.

3. Come l’artefice dà alla materia, che maneggia, unaforma secondo un esemplare che ha in mente o che hasott’occhio, così nella sapienza creatrice di Dio ci sonole forme esemplari delle cose; e queste, quanto alle cosesono la stessa unica essenza di Dio; Dio quindi è il primoesemplare

4. Dio creando agì per un fine; fine non può essereche il bene; ma per Iddio, il quale è infinito, non si trattadi bene da acquistare, ma di bene da comunicare, e laBontà divina è il fine dell’universo.

Quest. 45. In che modo procedono le cose dal primoprincipio. – 1. Quello che vien fatto, prima non c’era se

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anche l’universalità delle cose (44. 2) proviene da Dio,prima nessuna cosa c’era, niente c’era, e creare è fare dalniente.

2. Non solo Dio può creare; ma fu necessario checreasse; gli artefici, danno forma a cose che hanno dallanatura; la natura opera sulla già formata materia Dioinvece, siccome nulla c’è se non da Lui, perché ci sianole cose ha dovuto creare anzitutto la materia.

3. Nelle creature la creazione importa, non già muta-zione, perché vi manca il punto reale di partenza ma re-lazione reale verso Dio Creatore, come principio del loroessere.

4. Creare è dare a un ente l’esistenza; enti reali sonole sostanze e i composti, di questi, quindi si dice che sicreano; degli accidenti e delle forme va detto invece chesi concreano.

5. L’effetto universalissimo è termine esclusivo dellaCausa universalissima; l’essere è effetto universalissimoperciò creare spetta alla causa universalissima, a Dio solo.

6. e spetta a Dio in quanto è Dio, dunque creare èproprio di tutta la Trinità; però Dio fa coll’intelletto ciòche ha nel volere, va detto quindi che il Padre creò ilmondo col Verbo nello Spirito Santo.

7. Le creature irragionevoli rappresentano di Dio la so-la Causalità, esse quindi hanno in se solo un vestigio del-la Trinità, rappresentandola in quanto ognuna ha un es-sere, una data forma, una data inclinazione. Le creaturepoi che constano di intelletto e volontà portano in sé nonsolo il vestgio, ma anche l’immagine della Trinità: Padre,Verbo e Spirito Santo.

8. Siccome nella materia si trovano in potenza tutte leforme di cui essa è suscettibile, così nelle opere di naturae arte non si riscontra un vero creare.

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Quest. 46. Inizio della durata delle creature. – 1. Sol-tanto un Ente è necessario e sufficiente che esista ab aeter-no, e questo è Dio. Il mondo ha avuto una Causa, que-sta è la volontà di Dio; ma se si prova che Dio non puònon volere se stesso (19. 3), non si può altrettanto pro-vare che necessariamente Dio volesse il mondo eterno, econcludere che il mondo è eterno.

Ciò che a questo proposito dice Aristotele non è perdimostrare, ma per fare della dialettica.

2. Che però il mondo abbia cominciato e non sia eternolo si sa solo di fede, perché a farne la dimostrazione non siprestano i due suoi principii: l’interno cioè le Essenze el’esterno cioè la Causa: infatti le essenze sono universali,esistono quindi sempre e dappertutto; la causa poi è lavolontà di Dio, ma di questa soltanto se stesso si puòprovare che Dio vuole necessariamente; in quanto alresto si sa qualche cosa secondo che Dio lo manifesta,si sa dunque per fede;

3. e precisamente dalla Scrittura sappiamo che Diocreò le cose in principio: sia principio delle cose in Diocioè il Verbo; sia principio delle cose stesse; sia principiodel tempo.

Quest. 47. Distinzione comune delle cose. – 1. La molti-tudine e distinzione delle cose proviene dall’intenzione diDio, avendo egli creato il mondo per comunicare la suaBontà e non potendo questa essere resa sufficientementemanifesta da una cosa sola.

2. E parimenti procede dalla sapienza di Dio la disugua-glianza delle cose, necessaria alla loro distinzione formaleo di specie, nell’ambito della quale variano gli individuiper il più o il meno, che pero non cambia specie.

3. L’ordine del mondo gli dà unità, e avendo le le cosetutte ordine e fra se stesse e relativamente a Dio, come c’èun solo Dio, c’è un solo mondo.

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Quest. 48. Distinzione speciale delle cose. – 1. Cosasia il male si conosce dal suo opposto cioè il bene; bene èciò che è appetìbile in quanto perfeziona l’essere di chi locerca; bene quindi è entità; il male che è il suo opposto,sarà mancanza di bene, mancanza di entità.

2. La disuguaglianza delle cose (47. 2) è per la perfe-zione dell’universo; questa importa che ci siano esseri in-corruttibili e anche corruttibili, che non sarebbero peròcorruttibili se mai soggiacessero a corruzione o difetto:questo si avvera colla mancanza di relativo bene, cioè colmale; il male adunque è per la perfezione dell’universo.

3. La mancanza di relativo bene si trova in qualchesoggetto, che in quanto ha di entità è bene, dunque ilmale si trova nel bene.

4. Male è mancanza di tutto il corrispondente bene,ma non è corruzione dello stesso soggetto in cui si trova ilmale, perché allora neppur il male potrebbe esistere.

5. Atto primo è l’essere, atto secondo è l’operare; ilmale adunque è duplice: mancanza di atto primo o di attosecondo; nelle creature razionali si chiama male di penal’uno, male di colpa l’altro.

6. Il male di colpa, che procede dalla nostra volontà eche ci fa cattivi, giacché consiste nel disordine della stes-sa volontà, è maggiore del male di pena, che è privazionedi qualche cosa, che è oggetto della volontà.

Quest. 49. La causa del male. – 1. Il male ha la sua causa:non già causa formale e finale, essendo esso mancanza edi forma e di ordine al fine, ma bensì, causa materiale,ed è il bene che è il soggetto del male, e anche causaefficiente ed è quell’essere che per accidente lo produce:quindi causa del male si può dire il bene.

2. Dio non si può dire causa del male in quanto la suaazione sia difettosa, ma solo in quanto dipende da Dioquella mancanza di relativo bene, d’onde l’ineguaglianza

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delle cose (48. 2), e in quanto viene da Dio il male dipena per la punizione della colpa.

3. Il male assoluto, totale, principio del male non,esiste. Infatti a) mentre c’è il Bene sommo, il Bene peressenza (6. 2, 3), il male è soltanto mancanza relativadi bene, non c’è quindi male assoluto; b) il male non ècorruzione dello stesso soggetto in cui si trova (48. 4),perché altrimenti non potrebbe esistere, non c’è quindimale totale; c) il male ha origine dal bene, dunque nonè principio, ma principiato; quando poi è causa lo è peraccidente, dunque non è Causa Prima, perché la causaper accidente è posteriore alla causa propria.

Quest. 50. Sostanza angelica. – 1. Gli angeli sono in-corporei, perché dovendo l’universo rappresentare Dio,è necessario che nella scala degli esseri ce ne siano di pu-ramente intellettuali, quindi incorporei,

2. e perciò senza materia, perché l’intendere è opera-zione del tutto immateriale. Gli angeli quindi non risul-tano di materia e forma.

3. Essi sono sostanze separate, non pero nel sensodi Platone, cioè di esemplari delle cose sensibili: e vene sono in numero straordinario, conviene infatti allapotenza di Dio che, essendo esseri creati i più perfetti,fossero in gran numero.

4. Le cose composte di materia e forma per la formaappartengono a una stessa specie e per la materia sidistinguono fra loro quali individui; gli angeli invece nonrisultano di materia e forma, quindi è impossibile che cene siano due di una stessa specie.

5. La corruzione si fa per separazione, la separazioneè possibile in un composto, gli angeli non sono compostinemmeno di materia e forma, essi sono quindi incorrutti-bili.

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Quest. 51. Gli Angeli e i corpi. – 1. Nel generedelle sostanze intellettuali come c’è l’imperfetto, cioèl’uomo che all’anima ha unito il corpo e che si forma lascienza delle cose sensibili, così ci deve essere il perfettoche esclude il corpo: questo perfetto è l’angelo, l’angeloquindi non ha corpo.

2. Gli angeli però possono assumere corpo. Infatti lascrittura parla di Angeli che si sono resi visibili a tutti;questo fecero assumendo un corpo di aria, la quale percondensazione può prendere figura e colore come si vedenelle nubi.

3. Con un tal corpo gli angeli possono prendere moto,dare impulso a onde sonore così da far sentire ogni suo-no, ma non possono fare opere vitali, come sarebbe man-giare, perché a tal corpo non danno vita.

Quest: 52. Gli Angeli e i luoghi. – 1. L’Angelo puòtrovarsi in un luogo, ma non nel senso solito; vi si trova inquanto vi opera qualcosa e così anziché essere contenutonel luogo lo contiene.

2. L’angelo non essendo infinito non può trovarsicontemporaneamente in due luoghi diversi: può essereperò molto ampio il luogo in cui esercita la sua virtù.

3. Due angeli però non possono trovarsi in uno stessopunto, perché non possono darsi due cause complete diuna stessa cosa.

Quest. 53. Moto locale degli Angeli. – 1. L’angelo,come si trova in un luogo diversamente dai corpi, perchénon ne è circoscritto, ma lo abbraccia (52. 1), così anchesi muove diversamente dai corpi. I corpi si muovonocon continuità di parti, l’Angelo invece, come in unostesso luogo può applicare la sua azione e a tratti e con

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continuità, così può muoversi di moto non continuo econtinuo;

2. nel primo caso non passa per mezzo, nel secondo sì;3. e tanto nell’un caso come nell’altro l’azione viene

applicata in istanti successivi, perciò avviene nel tempo.

Quest. 54. Scienza angelica. – 1. Nelle creature l’azioneè della sostanza, ma non è la sostanza, perciò anche negliAngeli, che sono creature, l’intendere non è la sostanza.Dio solo, in cui tutto è perfezione infinita, è l’intenderesussistente. Se un angelo fosse l’intendere sussistentenon si distinguerebbe da Dio e nemmeno da altri angeli,mancando nell’intendere sussistente, nell’atto puro diintendere, il più e il meno.

2. Parimenti l’intendere degli Angeli, come l’azione diogni creatura, è nella esistenza e non è la esistenza. Ciòè evidente se si tratta di azione transeunte, perché è fuo-ri del soggetto; ed è chiaro se si tratta di azione imma-nente come l’intendere, perché importerebbe esistenzaassoluta, infinita, ma questa è propria di Dio solo;

3. perciò neppure il principio dell’intendere, cioè lapotenza intellettiva, è l’essenza dell’Angelo.

4. L’Angelo è sempre in atto di intendere e lo fa permezzo di imagini delle cose impressegli da Dio. Ma l’uo-mo non è da tanto, perciò l’intelletto nostro è agentequando sta in azione scrutando la verità, nel rendere ef-fettivamente, a forza di astrazioni, intelligibili le naturedelle cose materiali che per sé tali non sono; resta poipossibile finché della verità scrutata si imposessa forman-dosi il concetto.

5. Agli Angeli che non hanno corpo sono attribuibilisole quelle potenze dell’anima nostra che non hannorelazione col corpo, cioè l’intelletto e la volontà.

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Quest. 55. Mezzo della cognizione negli Angeli. – 1.L’Angelo non conosce tutto per la sua natura, cioè permezzo di se stesso, perché dovrebbe avere in se stessotutto ciò che può conoscere. Questo invece è propriodi Dio e l’angelo conosce per immagini mandategli daDio, per riflessi di Dio.

2. Cosicché tali imagini sono agli Angeli connaturalie non potrebbero essi averle dalle cose, perché alloradovrebbero la loro perfezione alle cose.

3. Dio perfettissimo conosce tutto nella sua essenzauna, semplice, universale. Gli Angeli superiori sono piùperfetti, più si assomigliano a Dio e più conoscono le coseper le imagini sempre più universali di esse.

Quest. 56. Conoscenza delle cose immateriali negliAngeli. – 1. L’Angelo che non consta di materia, è unaforma sussistente; questa forma è immateriale, quindiintelligibile, perciò l’Angelo conosce se stesso per mezzodella sua forma sussistente, cioè della sua sostanza.

2. Gli altri Angeli e le altre cose l’Angelo le conoscenelle imagini connaturali impresse nel suo intelletto.

3. L’Angelo può conoscere colle forze naturali Dioin modo migliore degli uomini in quanto cioè alla suapotenza conoscitiva si fa presente la imagine di Dio.Come per noi si forma l’imagine di un sasso nell’occhio,così per l’Angelo si rispecchia nella sua natura l’essenzadi Dio.

Quest. 57. Conoscenza delle cose materiali negli Ange-li. – 1. Gli Angeli che sono più vicini a Dio, più par-tecipano di Dio; le cose materiali preesistono in Dio, e,per partecipazione, anche negli Angeli, e precisamentesecondo l’essere degli Angeli, che è intellettuale; vi pre-

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esistono perciò nelle loro imagini intellettuali, e così gliAngeli conoscono le cose materiali.

2. Gli Angeli conoscono le cose particolari, ma noncome l’astrologo che nelle leggi universali prevede lesingole ecclissi, sibbene le conoscono in sé per imaginiinfuse da Dio.

3. Quanto al futuro, esso può essere conosciuto nellesue cause o in se stesso. Nelle sue cause gli Angeliprevedono il futuro necessario e congetturano megliodegli uomini il futuro ordinario; ma in se stesso il futuroè noto a Dio solo, che lo conosce nell’eternità.

4. Similmente i segreti dell’anima gli Angeli possonoconoscerli dagli effetti, mentre in se stessi sono a Dio solonaturalmente noti.

5. I misteri poi della grazia, che dipendono dalla solavolontà di Dio, gli Angeli non li conoscono se non percognizione soprannaturale e beatifica.

Quest. 58. Limiti della scienza angelica. – 1. Della co-gnizione naturale gli Angeli hanno sempre l’abito, maquesto non è sempre in atto: invece la cognizione bea-tifica del Verbo in loro è sempre in atto.

2. In assieme gli Angeli conoscono l’universalità dellecose di cognizione beatifica; ma di scienza naturale nonconoscono in assieme le cose di cui hanno infuse imaginidistinte.

3. Gli Angeli conoscono una cosa nell’altra, non unacosa per mezzo dell’altra; essi quindi hanno scienza in-tuitiva anziché discursiva.

4. E come non abbisognano di termine medio o diparagone, per passare dai principi alle conclusioni, cosìnon ne abbisognano per affermare o negare il convenireo no di un predicato ad un soggetto.

5. La scienza angelica quindi non è come quella degliuomini che per istrada può arrestarsi o deviare, essa va

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diritta al suo termine e non è soggetta a falsità, a menoche, come nei demoni, la cattiva volontà turbi l’intelletto.

6. Osserva S. Agostino che i 6 giorni della creazione,non sono come i nostri, perché il sole che li regola cifu soltanto al quarto; giorno perciò va inteso cognizioneangelica di sei generi di cose; vespero: gli Angeli hannoconosciuto le cose nel Verbo; mattino gli Angeli hannoconosciuto le cose in loro stesse.

7. È essenzialmente diverso conoscere le cose in sestesse vedendole nel Verbo, e vedendole nelle loro ima-gini agli Angeli connaturali, perciò essenzialmente diffe-riscono vespero e mattino.

Quest. 59. Volontà angelica. – 1. Tutto procede da Dioed è inclinato al bene: questa inclinazione si distingue innaturale, sensitiva e intellettuale; l’intellettuale si chiamavolontà. Gli Angeli hanno intelletto, quindi anche volon-tà.

2. Gli Angeli hanno volontà soltanto per il bene,intelletto anche per il male, perciò differiscono in lorointelletto e volontà.

3. Gli Angeli conoscono non un bene particolare cuisiano determinati, ma il bene in generale per giudicarese poi in particolare una cosa è bene o no; ciò equivalea giudizio libero, anche agli Angeli quindi spetta il liberoarbitrio.

4. Negli Angeli non c’è irascibile e concupiscibile,perché questi sono parti dell’appetito sensitivo.

Quest. 60. Amore negli Angeli. – 1. L’inclinazione checonsegue la conoscenza intellettuale è propria della natu-ra e, in quanto si accompagna a conoscenza intellettuale,si chiama amore; negli Angeli c’è dunque l’amore.

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2. Tale amore si distingue in naturale, che riguardail fine, ed elettivo che riguarda i mezzi, e il naturale èprincipio dell’elettivo anche negli Aneli.

3. Amare è voler il bene; questo bene è sostanzialeo accidentale: ciascuno ama se stesso volendo e il suoessere e la sua perfezione, perciò anche l’Angelo ama sestesso di amore naturale per naturale inclinazione, e diamore elettivo quando per elezione si desidera il bene;

4. di amore naturale l’angelo ama e vuole il bene dellapropria natura e quindi anche il bene di chi è partecipedella stessa natura, così e in questo gli Angeli si amano diamore naturale; nel resto si amano di amore elettivo.

5. L’inclinazione naturale è maggiore per ciò che èprincipale, minore per ciò che è subordinato; così istinti-vamente la mano si stende e si espone a un colpo per pro-teggere il capo. Dio è il Bene universale, perciò l’Ange-lo di amore naturale anta più Dio che se stesso, altrimentiavrebbe un amore perverso, impossibile fondamento allagrazia.

Quest. 61. Creazione degli Angeli. – 1. Solo Iddio esistedi per se stesso (3. 4), quindi anche gli Angeli, come tuttele cose, hanno in Dio la causa del loro essere.

2. E, come tutte le cose, furono creati dal niente,hanno avuto come precedente il niente, perciò non sono«ab aeterno»;

3. ed essendo l’ultimo gradino della scala degli esseridell’universo furono creati coll’universo e non prima,

4. ed ebbero una sede proporzionata alla loro naturaspirituale; non la terra, ma il cielo.

Quest. 62. Perfezione di grazia e di gloria negli Angeli.– 1. Beatitudine naturale (= ultimo grado di Perfezione)

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per una natura intellettuale è «contemplazione del som-mo intelligibile», che è Dio: e poiché l’Angelo a diffe-renza dell’uomo raggiunge direttamente il suo oggetto,così l’Angelo la ebbe appena creato. Beatitudine invecesoprannaturale (la visione dell’essenza di Dio) è sopra lanatura e non appartiene alla natura angelica averla subito;

2. e il rivolgersi a lei per conseguirla non potevadipendere che da una mozione di Dio, dalla grazia di Dio;

3. S. Agostino ritiene che tale mozione gli Angeli laabbiano avuta nella creazione e quindi che siano staticreati in grazia.

4. E per tale mozione indirizzandosi essi a beatitudinenon dovuta alla natura, convien dire che chi la conseguì,la meritò.

5. Come per l’intelletto, così anche per la volontàl’Angelo va direttamente al suo oggetto, bastò quindi unatto di amore per conseguire la beatitudine.

6. Ciascun Angelo ebbe grazia e gloria proporzionataalle forze della natura e ciò convenne e alla Sapienza diDio e agli stessi Angeli che chi è più forte più abbia dimozione, di grazia.

7. E poiché natura e grazia stanno fra loro come primoe secondo, negli Angeli beati non vengono distrutti, marestano e cognizione e amore naturale.

8. L’Angelo beato vede Dio, Bene essenziale, perciònon può volere agire se non indirizzandosi, se non mi-rando a Dio, perciò non può peccare.

9. Se gli Angeli potessero progredire in gloria arri-verebbero fino a comprendere Dio; ma Dio è infinito,quindi incomprensibile, quindi non si può dire che possa-no progredire.

Quest. 63. Malizia degli Angeli. – 1. Peccare, cioè venirmeno all’atto regolare nelle cose e naturali e artificiali emorali è proprio di ogni creatura. L’artefice che traccia

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uno schizzo da copiarsi, non sbaglia, ma può sbagliarechi deve copiarlo. La volontà di Dio è regola e nonsbaglia; le volontà create che a quella regola devonoconformarsi possono invece sbagliare.

2. Il primo peccato degli Angeli fu di affetto, non aibeni corporali, ma ai beni spirituali. L’affetto ai benispirituali in loro non poteva essere peccaminoso se nonin quanto discordante dalla regola del superiore, il cheè superbia e ribellione; tale peccato quindi non potevaessere che superbia.

3. Vollero gli Angeli essere come Dio, non nel senso ditrasmutarsi in Dio, perché questo non si conseguisce senon colla distruzione del proprio essere, il che ripugna alsentimento naturale ma nel senso che o pretesero di di-ventare come Dio, capaci di creare, o pretesero definiti-va la perfezione naturale, o pretesero di conseguire colleforze naturali, senza la grazia, la beatitudine soprannatu-rale.

4. Ogni effetto è rivolto al suo principio. Gli Angelisono effetto di Dio, sono perciò di lor natura rivolti a Dio,che è Bene. Ma questa naturale inclinazione al Bene puònelle creature intellettuali essere depravata dalla volontà.

5. Il peccato degli Angeli fu non del primo istante, maposteriore al primo istante della loro creazione, perchéquesta, cioè il loro essere, è termine della operazionedi Dio, che non si può dire agente difettoso, mentre ilpeccato è termine della loro malizia.

6. Il diavolo peccò subito dopo il primo istante dellasua creazione, perché lo si ritiene creato in grazia; colprimo atto, se non avesse peccato, avrebbe meritato labeatitudine.

7. Il peccato degli Angeli fu di superbia, il cui motivofu l’eccellenza, perciò è ritenibile che il primo degli Angeliribelli sia stato l’Angelo più eccellente; ed esso

8. indusse a peccare gli altri, che perciò gli furonoassoggettati nella pena;

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9. e poiché la inclinazione naturale non fu di peccare ela natura ordinariamente conseguisce il suo effetto, cosìquelli clic non Peccarono furono in maggior numero.

Quest. 64. La pena dei Demoni. – 1. I demoni furo-no danneggiati nell’intelletto, non quanto alla cognizionenaturale, ma quanto alla cognizione di grazia, perdendoparzialmente quella speculativa dei misteri di Dio e to-talmente quella affettiva. Così la cognizione vespertina.divenne per loro notturna e l’Incarnazione fu cognizioneterrificante.

2. Poiché la forza appetitivi si proporziona alla ap-prensiva e li adesione della volontà all’apprendimento in-tellettuale, l’intelletto dell’uomo apprende immobilmen-te qualche cosa cioè i primi principi; l’intelletti dell’An-gelo invece apprende tutto immobilmente e proporzio-natamente, quindi, come la volontà degli Angeli buoni èferma nel bene, così ora la volontà dei demoni é ostinatanel male.

3. Dolore corporale certamente non ne risentono idemoni, ma risentono dolore di volontà, cioè quell’inanerenitenza di volontà per cui non vorrebbero certe cose,p. es. la beatitudine dei Santi.

4. Luogo della pena dei demoni è l’inferno, ma fin-ché ci sono nel mondo uomini da tentare, avendo Diodisposto che l’uomo sia aiutato dagli Angeli e combattu-to dai demoni, essi si aggirano anche per l’aere caliginosodel mondo.

Quest. 65. Creazione delle creature corporali. – 1:Le creature corporali non provengono dal Principio del,male, ma da Dio, perché anche esse hanno l’essere, etutto ciò che ha l’essere viene da Dio.

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2. Né, come pensa Origene, è da ritenersi che lecreature corporali Dio le fece quando volle punire i ipeccati delle creature spirituali; le fece perché nella lorovarietà colla subordinazione delle meno nobili alle: piùnobili formassero un tutto rappresentante la bontà di Dioe manifestante la sua gloria.

3. Le creature corporee non si possono dire prodotte da-gli Angeli, perché anche in esse c’è l’esistenza che è ef-fetto universale nelle cose e che perciò si deve attribuirealla sola causa universale, Dio.

4. Platone ammetteva delle forme separate, di uomo,F di cavallo, di albero, da imprimersi come uno stampo,un’impronta, per dare l’essere specifico alle cose; Avi-cenna sosteneva che le forme delle cose non sussistononelle cose, ma sussistono negli intelletti separati, cioè ne-gli Angeli, come sussistono le forme delle cose artificia-li nella mente degli artefici. Queste sono opinioni inutili;perché nella creazione le forme furono create colle cosee nelle cose e non separatamente, perciò anche le formesono esclusivamente da Dio.

Quest. 66. Ordine di distinzione nella Creazione. 1. Leparole della Scrittura: «Le tenebre coprivano la terra ela terra era informe e vuota» non indicano che sia esistitacon precedenza di tempo una materia informe, cioè la ma-teria prima senza ancora nessuna forma sostanziale, per-ché questa sarebbe un essere senza essere; la preceden-za non può essere che di natura? detto informe cioè qua-si deforme, perché al cielo mancava la luce e alla terra,sommersa nelle acque, mancava á l’adornamento delleerbe e delle piante.

2. La materia non è unica per i cori celesti e per i corpiinferiori, altrimenti potrebbero trasmutarsi gli uni neglialtri, il che non avviene.

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3. Fu conveniente che in principio, insieme colla terrainforme, fosse creato un luogo di splendore, quale sededegli Angeli e inizio della gloria corporale, cioè il cieloempireo (= ardente).

4. Il tempo cominciò colla materia informe, perché écol tempo che si misura la sua durata in tale, stato e ilsuo passaggio agli stati successivi.

Quest. 67. Distinzione della Creazione. – 1. Luce signifi-ca: a) ciò che fa vedere, b) ciò che rende manifesto relativa-mente Balla vista degli occhi, e a ogni altra evidente co-gnizione sensitiva e allo stesso intelletto; perciò nelle co-se spirituali luce nel primo significato si adopera in sensometaforico; nel secondo si adopera in senso proprio.

2. La luce non è corpo, perché se fosse corpoa) la sua coesistenza cogli altri corpi farebbe contro la

legge dell’impenetrabilità;b) la rapidità della sua diffusione farebbe contro la

lentezza del moto locale proprio dei corpi;c) la sua cessazione avverrebbe per corruzione essa si

muterebbe in tenebre, anche queste corpo, e resterebbeinspiegabile il sorgere della luce all’altro emisfero.

3. La luce, che non è corpo, non è una pura nostrasensazione, perché i raggi di luce scaldano e le nostresenzazioni no; non è la forma sostanziale o natura delsole, perché le forme sostanziali si possono intendere,ma non vedere; è invece una qualità attiva conforme allanatura del sole e degli altri corpi luminosi.

4. Fu conveniente la creazione della luce al primogiorno per rimuovere la deformità delle tenebre, affinchépotessero le altre cose manifestarsi.

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Quest. 68. Secondo giorno della Creazione distintiva.1. Anzitutto ricordisi l’osservazione di S. Agostino: «LaScrittura, divinamente ispirata, dice sempre il vero, mala nostra interpretazione può essere errata».

Come e perché il Cielo o firmamento sia stato fatto nelsecondo giorno se è un composto dei quattro elementi,come pensa Empedocle, o se è un elemento semplice,come opina Platone, o se è un quinto corpo, come giu-dica Aristotele, è inutile ricercare, quando si ritiene conS. Agostino che i giorni della creazione indicano ordinedi natura più che di tempo. Del resto Firmamento indi-cherebbe quella parte di atmosfera in cui si condensanole nubi;

2. e così si spiega l’esistenza delle acque sopra il firma-mento; sono quelle che vengono portate a maggior gradodi evaporazione.

Non giova però sottilizzare tanto, perché ci ricorda S.Agostino che l’autorità della Scrittura supera la capacitàdel nostro ingegno.

3. L’opinione di Talete è che l’acqua sia un corpo infi-nito, principio digli altri corpi. Ma quando Mosè riferiscela parola di Dio: «si faccia il firmamento nel mezzo del-le acque» anziché acconciarsi a quella opinione, adatta-va le sue espressioni al rozzo Popolo ebreo, non nominan-do l’aria, che per gli ignoranti è lo stesso che il vuoto, edesignandola per i dotti col nome di firmamento.

4. Il cielo inteso naturalmente, o nelle sue proprietà,o metaforicamente, è uno solo, ma vien distinto in parti,in virtù e generi di visione; perciò la Scrittura: nominatalora il cielo, talora i cieli.

Nel sistema tolemaico i cieli sono 10: il cielo empireo,il cielo cristallino e, nel cielo sidereo, la sfera delle stellefisse e 7 sfere di pianeti.

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Quest. 69. Terzo giorno della Creazione distintiva. 1. Lariunione delle acque e l’apparizione della terra la Scritturala pone nel terzo giorno. S. Agostino, che considera piùl’ordine di natura che di tempo trova conveniente il terzogiorno, perché la terra vien terza in dignità dopo la lucee il cielo.

Altri Padri, che ammettono l’ordine di tempo, trova-no congruente il terzo giorno per la terra, perché dovevaprecedere la rimozione della deformità in cielo, le tene-bre, e della deformità nelle acque, gli abissi!

2. La terra brulla e deserta aveva anche una deformitàvisibile da rimuoversi, e la Scrittura dice che ciò fu fattorivestendosi la terra di erbe e di piante, o per lo menoricevendo la virtù di produrle, come opina S. Agostino.

Quest. 70. Creazione adornativa. Quarto giorno. – 1. Alperiodo di distinzione dei primi tre giorni corrisponde insimmetria un periodo di ornamento di altri tre giorni; alquarto giorno perciò bene la Scrittura pone che il cielo siadorna del sole, della luna e delle stelle;

2. e per distogliere il popolo dal culto degli astri benela Scrittura espone che essi sono opera di Dio e che sonofatti per utilità degli uomini.

3. I Platonici ammettevano che gli astri avessero l’ani-ma. Invece bisogna dire che non l’hanno, perché non cen’è bisogno né per la vita vegetativa, essendo essi incor-ruttibili; né per la vita sensitiva, non avendo essi contatticolle cose; né per la vita intellettiva, potendo l’intellettofare senza corpo; né per il moto, potendo questo essereimpresso e mantenuto da un agente esterno.

Quest. 71. Quinto giorno della Creazione. – 1. Come ilgiorno dimezzo del primo ciclo di tre giornate della crea-

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zione fu assegnato alla distinzione delle acque col firma-mento, così bene la Scrittura assegna il giorno dimezzo delsecondo ciclo all’ornato delle acque e del firmamento col-la produzione dei pesci e degli uccelli.

Quest. 72. Sesto giorno della Creazione. – 1. Similmen-te l’ultimo giorno del secondo ciclo, cioè il sesto, corri-sponde al terzo per l’ornato della terra, che si popolò de-gli animali terrestri, o che ricevette per lo meno la virtùdi produrli, come opina S. Agostino.

Quest. 73. Settimo giorno della Creazione. – 1. LaScrittura dice bene che il Signore nel settimo giorno diedecompimento all’opera sua, risultando la perfezione dell’u-niverso dall’unità delle parti;

2. ed aggiunge che il Signore si riposò, perché riposo ècessazione del moto, che è proprio dei corpi; ma si ap-plica alle cose spirituali come cessazione di opera o comeappagamento di desiderio; l’uno e l’altro convengono aDio.

3. Convenientemente poi la Scrittura assegna al setti-mo giorno la benedizione, che riguarda la moltiplicazio-ne degli esseri e la santificazione, che riguarda il loro ri-posarsi in Dio.

Quest. 74. Dei 7 giorni insieme. – 1. La enumerazionedei sei giorni della creazione fatta dalla Srittura è perfettasecondo i Pitagorici, che dicono perfetto il tre risultantedai principio, mezzo e fine, perché è narrata la distinzio-ne e l’ornato del cielo, dell’acqua e ella terra; ed è perfet-ta anche secondo S. Agostino, che dice perfetto il tre nel-

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la somma dei suoi componenti: uno, due e tre, che fannosei, perché sei sono i giorni della creazione.

2. S. Agostino ritiene che i 7 giorni non siano che ungiorno solo di settemplice rappresentazione dei diversigeneri delle cose fatta alle angeliche intelligenze.

Altri padri invece intendono sei diverse produzionipropriamente dette. In ogni modo è certo che Iddio nonha bisogno di tempo e si può ritenere che Iddio creò in-sieme tutte le cose, ma che esse non si formarono insiemequanto alla distinzione e all’ornato, bensì a diversi statidi perfezione indicati dai 6 giorni.

3. La Scrittura nel racconto della Creazione è sapiente,perché fa cenno del Verbo dicendo: In principio, cioè inchi è fonte ed archetipo, e fa cenno dello Spirito Santoparlando dello Spirito di Dio, che si libra sulle acque perdare vita al mondo.

Quest. 75. Essenza dell’anima umana. – 1. Ogni anima,essendo semplice, è inestesa, perciò non può essere cor-po, di cui è propria l’estensione. Anima è primo princi-pio della vita e la vita ha una duplice manifestazione: co-gnizione e moto. Antichi filosofi dicevano: ciò che non ècorpo è niente, l’anima, esistendo, non può essere nien-te, dunque è corpo. Errore! Un corpo non può esse-re primo principio di vita in quanto corpo, perché allo-ra ogni corpo sarebbe vivo. È invece vivo qualche corpo,p. es. il cuore, quel corpo cioè che ha in atto l’anima; l’a-nima quindi non è corpo, ma è l’atto, l’agente di qualchecorpo.

2. L’anima umana è qualche cosa in sé di indipendentedal corpo, perché è principio della cognizione intellettua-le, per cui conosce la natura di tutti i corpi, al che occor-re che non sia alcuno di essi, perché in tal caso non cono-scerebbe la natura degli altri corpi, come chi ha la boccaamara non percepisce gli altri sapori. – Cosicché è altresì

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impossibile che la cognizione intellettuale si compia permezzo di un organo corporeo.

3. L’anima dei bruti invece non è qualche cosa diindipendente dal corpo, perché la loro cognizione, che èsensitiva, si compie sempre con qualche mutazione delcorpo.

4. Ma l’anima non è l’uomo, perché l’uomo constadi anima e di corpo, avendo esso anche la cognizionesensitiva, che non è soltanto dell’anima. Si può peròdire che l’anima è l’uomo in quanto, essendo l’anima ilprimo principio della vita, tutto quello che fa l’uomo è alei riferibile.

L’uomo è composto di anima e corpo quali for ma emateria; questa carne p. es. è di me individuo, la carne,invece, è di ogni uomo;

5. ma l’anima, anziché essere composta di materia e for-ma, non può nemmeno avere materia, perché se ogni ani-ma è soltanto forma, tanto più lo è l’anima dell’uomo,che è intellettiva. Essa conosce p. es. la pietra nella suaragione formale assoluta di pietra, non nella ragione sen-sitiva particolare di questa pietra. Se dunque nell’animaci sono le ragioni formali assolute delle cose, essa che lecontiene deve essere una forma assoluta, non una formacomposta di materia.

6. Ne segue che l’anima umana è incorruttibile: Essa èqualche cosa di indipendente dal corpo, perciò la distru-zione del corpo non porta con sé necessariamente anchela distruzione dell’anima, come invece avviene degli ac-cidenti e delle forme materiali dei corpi. Se essa fossecomposta di materia e forma, cesserebbe di esistere al-la separazione della materia dalla forma. Essa invece èsolo forma e per cessare di esistere bisognerebbe, cosaimpossibile, che si separasse da se stessa.

Ne è anche segno il desiderio di perennità che naturaci inspira e non può essere fallace.

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7. L’anima umana però non è della stessa specie del-l’Angelo. Differiscono di specie, perché hanno operazio-ni generali differenti.

Quest. 76. Unione dell’anima col corpo. – 1. For-ma sostanziale del corpo umano e l’intelletto, principiodell’operazione intellettiva, della vita intellettiva dell’uo-mo, anima quindi dell’uomo. L’intelletto così, forma, siunisce immediatamente e intimamente al corpo, materia.Che la forma sostanziale del corpo umano, (= ciò che dàessere, anzi essere specifico all’uomo) sia l’intelletto, losi desume dalla natura umana, essendo per noi l’intende-re distintivo di specie ed essendo la forma costitutivo dispecie.

2. È evidente che di principii della vita intellettiva nonce n’è uno solo, che vale per tutti gli uomini, come pen-sava Averroè, perché allora ci sarebbe un’azione unica,una forma sostanziale unica, un’esistenza unica, perciòun solo uomo; ma invece i principi intellettivi sono tantiquanti i corpi umani.

3. Ed è anche evidente che, essendo l’anima la formasostanziale del corpo, ce n’è una sola per ciascuno e nontre essenzialmente differenti cioè la nutritiva nel fegato,la concupiscibile nel cuore, la conoscitiva nel cervello, co-me vorrebbe Platone, perché ciascuno sarebbe allora unessere triplice, e si potrebbe attendere contemporanea-mente alle tre diverse operazioni colla massima intensità,il che invece non è.

4. Inoltre, essendo l’anima intellettiva la forma sostan-ziale, che dà cioè l’essere, anzi l’essere specifico al corpoumano, c’è essa sola quale forma sostanziale. altre, comela sensitiva e la vegetativa non se ne devono supporre, per-ché, come nei numeri il più contiene i meno, così l’ani-ma intellettiva, essendo di grado superiore, fa quello chefanno le inferiori e anche qualche cosa di più.

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5. Il corpo umano, quale è, si deve dire conveniente-mente organizzato, affinché sia sua forma sostanziale l’a-nima intellettiva, perché se essa, come inferiore agli An-geli, deve raccogliere le cognizioni intellettuali dalle co-se per mezzo dei sensi, essa però informa un corpo nelquale è diffuso ed è fino più che negli altri animai il sen-so generale del tatto, che poi in certi organi specializza insenso di gusto, di olfatto etc.

6. Il corpo però, che è dall’anima informato, nonha precedenti disposizioni nemmeno accidentali, perchél’anima ne è il primo principio, l’anima ne è la formasostanziale, cosicché prima dell’anima non è nemmenosostanza, non esiste nemmeno.

7. Che se una cosa è un’unità in quanto esiste e l’uomoesiste per la forma sostanziale, che è l’anima l’uomoè un’unità coll’anima; e non c’è quindi bisogno di uncorpo intermedio, già proprio dell’anima prima che essasi unisca al corpo.

8. E l’anima intellettiva, forma sostanziale del corpo,c’è in tutto il corpo e in ogni sua parte, perché l’operazionespecifica dell’intellettualità può essere esplicata in ogniparte del corpo, p. es. nel piede, gestendo, e perché sel’anima si diparte il corpo non funziona più, né nel tutto,né in alcuna parte; l’anima, che semplice, se c’è in ogniparte, c’è tutta in ogni parte ma c’è di totalità di sostanza,non di totalità di operazione, perché la potenza visiva p.es. la esplica negli occhi e non nel naso.

Quest. 77. Potenze dell’anima in generale. – 1. Le ope-razioni dell’anima e ogni principio di queste operazioni;cioè le potenze e i relativi atti, non sono l’anima stessa,l’essenza dell’anima. Non lo sono degli Angeli (59. 2),tanto meno lo sono dell’uomo. Ed è evidente, perché co-me chi ha sempre l’anima è sempre vivo, così chi ha sem-pre l’anima dovrebbe avere in esercizio sempre e tutte le

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operazioni vitali; noi invece abbiamo l’anima, ma, quan-to alle operazioni vitali, ne abbiamo alcune in esercizio,altre in potenza.

L’anima adunque ha le potenze che sono principii dioperazione, l’anima è atto primo ordinata all’operazione,che è atto secondo; ed è atto primo del corpo che ha lavita non in esercizio,. cioè in atto secondo; ma soltantoin potenza.

2. Le potenze dell’anima sono parecchie, perché l’uo-mo, che si trova ai confini delle creature spirituali e cor-porali, ha molti atti, cui corrispondono parecchie poten-ze.

3. Le potenze sono principio degli atti, questi sidiversificano secondo gli oggetti, perciò secondo gli alti,e gli oggetti si diversificano anche le potenze; la potenzapoi è passiva se l’oggetto è relativamente a lei principio ocausa, è attiva se invece l’oggetto è termine o effetto.

4. In ordine di eccellenza prima vengono le potenze in-tellettuali; in ordine di origine prima vengono le potenzesensitive, in ordine poi di percezione la precedenza spettaalla potenza visiva.

5. La potenza operativa è di quel soggetto che ha ilpotere di operare, perciò il soggetto delle facoltà inorga-niche è l’anima sola e il soggetto delle facoltà organiche èil corpo unito all’anima, cioè il composto umano;

6. e appunto perché se il corpo non avesse l’anima,che ne è la forma sostanziale, non sarebbe il soggettodelle facoltà organiche, così anche le facoltà organichederivano dall’anima.

7. Le potenze poi difendono una dall’altra; in ordine dinatura si è prima animali e poi uomini, perciò l’intellet-to dipende dal senso: ma in ordine di azione ciò che vi-vifica il senso è l’anima che è intellettiva, perciò il sensodipende dall’intelletto.

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8. Quando poi si muore restano attive le potenzeinorganiche e le organiche rimangono soltanto in radice,in virtù.

Quest. 78. Potenze dell’anima in particolare. – 1. Sidistinguono nell’anima:

5 generi di potenze: la vegetativa, considerato l’oggettocome corpo unito all’anima; la sensitiva, l’appetitiva, lalocomotiva, considerato l’oggetto come corpo sensibile;l’intellettiva, considerato l’oggetto come ente universale;

3. anime: la vegetativa, la sensitiva, l’intellettiva, se-condo i tre gradi di superiorità sulla pura natura corpo-rea;

4. modi di vivere: il vegetativo, il sensitivo, il locomo-tivo, l’intellettivo, secondo i gradi dei viventi.

2. La potenza vegetativa ha tre parti: la generativa,l’aumentativa, la nutritiva, secondo le 3 finalità del cor-po: acquistare l’essere, raggiungere il completo sviluppo,conservarsi.

3. Gli organi sono proporzionati alla potenza e poichésono 5 gli organi del senso, perciò sono pure 5 le partidella facoltà sensitiva.

4. La vita dell’animale perfetto esige apprensione dellecose anche in loro assenza. Occorre quindi che l’animasènsitiva non solo riceva le imagini delle cose, ma anchele ritenga e conservi. Occorrono altri organi, distintidagli organi esterni. Perché l’agnello fugge il lupo? nonperché l’occhio scorge in lui brutti colori, ma perché unsenso dell’anima glielo fa riconoscere come un nemiconaturale. Questi sensi dell’anima, o sensi interni, sono 4:il senso comune, che raccoglie le diverse senzazioni, lafantasia che le conserva come in uno scrigno, la memoriache le riconosce come passate, l’estimativa che ne giudicautile o nocivo l’oggetto.

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Quest. 79. Potenze intellettive. – 1. L’intelletto è unapotenza dell’anima, non la stessa anima, perché l’uomoha potenza di intendere, ma non è sempre in atto di in-tendere, a meno che si voglia dire che tutte le operazio-ni dell’uomo, anche. quelle della vita vegetativa, sonooperazioni di intelligenza!

2. L’intelletto è una potenza passiva, ossia è termine dioperazione e non è già potenza attiva, ossia principio dioperazione. Infatti l’intelletto di Dio, Creatore, relativa-mente all’universo è principio, cioè atto; ma l’intellettoumano, che per di più fra le sostanze intellettuali è il piùdiscosto da Dio, quanto alle cose e in particolare quantoall’intenderle, è termine, è in potenza, è possibile, è perse una pagina bianca, pronta a ricevere una scrittura, masulla quale niente ancora è scritto. Tabula rasa.

3. L’intelletto pero è anche agente, perché compie l’at-to di astrarre la natura, l’essenza di ogni cosa per cono-scerne il genere e la specie; atto che è necessario da partedell’intelletto, non potendosi sostenere con Platone cheesistano le essenze separate, le quali imprimendosi nel-le cose formino gli individui, rendendosi così esse da séconoscibili al nostro intelletto.

4. Ciascuno sa per esperienza di saper fare astrazionidelle condizioni particolari di ogni cosa per conoscernel’essenza, perciò l’intelletto agente è proprio dell’anima diciascuno, ma poiché l’anima umana è soltanto in parteintellettiva, così è intellettiva per partecipazione, e perpartecipazione dello stesso intelletto infinito, che è Dio.

5. Se dunque l’intelletto agente è proprio di ciascunaanima, ce ne sono tanti quante sono le anime e non giàuno solo di tutti.

6. All’intelletto spetta anche memoria, perché quandoesso si è impossessato di un’idea, può ritornarvi su e in-tanto la conserva e più tenacemente ancora della memo-

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ria sensitiva; ma solo alla memoria sensitiva spetta il rico-noscere una impressione come passata, perché come ta-le, l’impressione è legata a circostanze particolari, il chespetta al senso e non già all’intelletto, che ha per oggettol’universale.

7. Tale memoria intellettiva non è una potenza distin-ta dall’intelletto non essendovi diversità di oggetto, ma èfunzione conservativa dell’intelletto che si è impossessa-to delle idee.

8. E nemmeno la ragione è una potenza diversa dall’in-telletto, ma è un’altra funzione dell’intelletto in ciò che siconosce gradatamente.

9. La ragione inferiore e la superiore non sono duepotenze, ma una stessa cosa, distinta secondo l’oggetto,che dell’una è la sapienza delle cose eterne, dell’altra è lascienza delle cose temporali.

10. Anche l’intelligenza, come la ragione, non è unapotenza diversa dell’intelletto, ma è l’atto, la funzionedell’intelletto.

11. Né sono due diverse potenze l’intelletto speculativoe l’intelletto pratico, ma una stessa cosa, distinta secondo-ché dell’uno è proprio l’apprendere, dell’altro è propriol’indirizzare all’opera ciò che fu appreso.

12. Non è potenza la sinderesi, ma è invece cognizioneabituale dei principi morali.

13. Non è potenza la coscienza, ma è invece atto dirapporto di un’azione, da farsi, colla legge morale.

Quest. 80. Potenze appetitive. – 1. L’appetitiva è, unapotenza dell’anima. L’anima ha una inclinazione, supe-riore alla naturale, in conformità alla cognizione superio-re di cui essa, in confronto degli animali, è capace.

2. E come la conoscenza sensitiva è diversa da cono-scenza intellettiva, così l’inclinazione sensitiva è diversadalla intellettiva e sono due potenze diverse.

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Quest. 81. La sensualità. – 1. Nella conoscenza lacosa va al soggetto, nell’inclinazione il soggetto va allacosa; l’inclinazione determinata da conoscenza sensitiva sichiama sensualità, o appetito sensitivo.

2. E poiché tale inclinazione si determina talora a fug-gire ciò che è nocivo e talora a resistervi, talora a segui-re ciò che attrae e talora a lottare contro gli impedimen-ti, perciò le potenze della sensualità sono due la concupi-scibile e l’irascibile,

3. ed obbediscono all’intelletto o meglio alla ragionenell’atto interno e alla volontà nell’atto esterno.

Quest. 82. Della volontà. – 1. La volontà ha inclinazionenaturale, e perciò necessaria, al bene in genere, che è ilsuo fine, e anche a ciò che per il fine è mezzo unicoe necessario, né però questa è violenza. Violenza èmoto contrario alla naturale inclinazione e poiché questainclinazione viene da un principio intrinseco, la violenzanon può provenire che da un principio intrinseco.

2. Ma per i beni particolari, che non sono quel mezzounico necessario al fine, la volontà non ha inclinazionenaturale e necessaria, così come l’intelletto, che aderiscenecessariamente ai primi principi, aderisce invece alleproposizioni, che non hanno necessaria connessione conessi, soltanto in seguito a dimostrazione.

3. L’intelletto «per sé» è potenza più nobile della vo-lontà e ciò per ragione dell’oggetto, perché prima vieneil vero, poi il bene; ma in qualche cosa la volontà é piùnobile dell’intelletto: p. e. è più amare Dio che cono-scerlo.

4. L’intelletto muove la volontà in quanto le presental’oggetto conosciuto come bene, come fine: ma la volon-tà, quale agente principale in ordine al fine universale,muove tutte le potenze compreso l’intelletto, escluse peròle potenze vegetative.

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5. Propriamente nella volontà non si distingue, comenella sensualità, l’irascibile e il concupiscibile, perché lavolontà, appetito intellettivo, ha per oggetto il bene ingenere, non qualche bene particolare. Però si può direin senso improprio che la speranza p. es., appartieneall’irascibile e la carità al concupiscibile.

Quest. 83. Del libero arbitrio. – 1. Se l’uomo non aves-se il libero arbitrio, i precetti e le proibizioni non avreb-bero ragione di essere. Ma l’uomo non è come una pie-tra che cade all’ingiù e non lo sa: non è nemmeno comela pecora che fugge il lupo, perché istintivamente, coll’e-stimativa, lo riconosce quale un nemico naturale. L’uo-mo agisce giudicando, non per istinto, ma per confrontodi ragioni, considerando il pro e il contro, e, con giudiziolibero, potendo appigliarsi all’uno o all’altro; e nelle co-se particolari, come per l’intelletto c’è il liberamente opi-nabile, così per la volontà c’è il liberamente operabile.L’uomo quindi ha il libero arbitrio.

2. Il libero arbitrio non è un’abitudine naturale,perché questa importerebbe una inclinazione naturalee necessaria, contraria perciò al libero arbitrio; non ènemmeno un’abitudine acquisita, perché questa impor-ta un’inclinazione molto forte, p. e. dell’intemperanza albere, mentre invece il libero arbitrio è indifferenza nellascelta: resta quindi che esso è una potenza; non è poi atto,perché l’atto passa, esso resta;

3. e la scelta, che è proprietà del libero arbitrio,risulta di cognizione, che esamina e giudica cosa siapreferibile, e di appetizione che accetta ciò che è giudi.cato preferibile e a esso tende, come a qualche cosa, che,quale mezzo, è utile. L’utile è bene, il bene è oggettodella volontà, il libero arbitrio è perciò potenza di volontà.

4. anzi il libero arbitrio sta alla volontà come la ragio-ne sta all’intelletto, perché come intelletto è l’intendere

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semplicemente e ragione è intendere con ragionamento,cosi volontà è volere semplicemente, libero arbitrio è vo-lere con scelta; perciò come la ragione non è potenza di-versa dall’intelletto, così il libero arbitrio non è potenzadiversa dalla volontà.

Quest. 84. Come l’anima nostra conosce le cose corpo-rali. – 1. L’intelletto nostro conosce i corpi, tanto è ve-ro che esistono la scienza fisica e le scienze naturali. Era-clito negava la scienza o conoscenza certa, dicendola im-possibile, stante la mutabilità delle cose.

Platone la asseriva, facendola derivare dalla visionedelle essenze separate.

Invece va ricordato che nella cognizione la cosa spassaa essere nel soggetto secondo la maniera di essere delsoggetto, e va perciò detto che l’intelletto conosce le cosemateriali e mobili immaterialmente e immobilmente, taleessendo la natura dell’intelletto.

2. Le cose corporali però l’anima nostra non le conosceper mezzo della sua essenza, perché questo è proprio diDio solo, la cui essenza contiene immaterialmente tutto,giacché nella causa preesistono virtualmente gli effetti eDio è Causa di tutte le cose.

3. non le conosce nemmeno per mezzo di imagini infuse,perché questo è riservato agli Angeli ed essa si trovacome una pagina bianca su cui nulla ancora fu scritto;tanto è vero che un cieco p. es. nulla sa e nulla puòsapere di colori;

4. le imagini intellettuali delle cose non provengono al-l’anima dalle essenze separate di Platone, le quali parteci-pate alle cose formano gli individui, partecipate alla men-te nostra formano le nostre cognizioni, perché allora nonavremmo più bisogno dei sensi, come invece abbiamo.

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5. Direttamente nelle ragioni eterne le cose immateria-li le conosce l’anima beata, noi quaggiù le conosciamo in-direttamente, attraverso cioè le cose sensibili.

6. È dalle cose sensibili che proviene la nostra cogni-zione intellettuale, perché è dal senso che proviene allafantasia l’imagine sensibile sulla quale lavora l’intellettoagente;

7. e senza imagine sensibile della fantasia l’intellettoumano quaggiù non può nemmeno ripensare alle cose,come avviene a chi ha lesioni celebrali. È perciò chegli insegnamenti si illustrano con esempi e che lo stessomatematico lavora colla mente sopra formole e figureimaginarie.

8. Quando i sensi sonto legati, come avviene nel sonno,anche il giudizio è impedito, non può essere perfetto,mancando il termine di confronto, cioè la realtà esterna;perciò quello che si fa nel sonno non è peccato.

Quest. 85. Modo e ordine dell’intendere. – 1. L’intellet-to nostro, che è immateriale, conosce immaterialmente;ma avendo bisogno dei sensi che, essendo materiali, co-noscono materialmente, esso conosce immmaterialmentemediante astrazione dalle immagini sensibili, riservandocioè di esse le nozioni generiche e stabili, trascurando leparticolari e variabili.

2. Ma le imagini intellettuali, ricavate mediante astra-zione dalle imagini sensibili, sono il mezzo e non l’ogget-to della nostra cognizione: conosciamo le cose mediantel’imagine, come attraverso il cannocchiale si vede la co-sa. Che se la nostra conoscenza diretta fosse dell’imaginee non della cosa, allucinati e pazzi avrebbero anche essiragione.

3. La cognizione intellettuale però non è tosto perfetta:prima è incompleta e generica, poi diviene completa especifica; così come in distanza si vede prima una cosa

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generica, poi si distingue, per esempio, che è un uomo,infine si distingue chi è.

4. A ogni atto corrisponde un oggetto e più cose in-sieme possono essere oggetto dell’intendere se raggruppa-te in una imagine unica. Dio vede tutte le cose insiemenella unica sua essenza.

5. Non essendo tosto perfetta la cognizione nostra, ab-biamo bisogno di procedere mediante confronti, giudican-do affermativamente o negativamente: a differenza del-l’Angelo, che conosce i paragoni, ma non ha bisogno diparagoni.

6. E poiché l’intelletto procede mediante i confronti,può venirne deviato ed arrivare al falso; ma per sé, elo si vede nelle cose semplici, l’intelletto non è falsocirca il suo proprio oggetto, come la vista non sbagliacirca la luce, che è il sensibile suo proprio mentre puòsbagliare quanto a un sensibile o comune o accidentale,scambiando per esempio miele con fiele.

7. Come avviene nei fisici e nei filosofi relativamentea un esperimento o a un assioma, uno può conoscere unastessa cosa più di un altro, non per la cosa in sé, ma per laforza più o meno grande dell’intelletto che la scruta.

8. L’indivisibile, che è anche indiviso, si conosce primadelle sue possibili divisioni: ma l’indivisibile in quantonegazione di divisione è un concetto negativo posterioreal positivo.

Quest. 86. Ciò che l’intelletto nostro conosce nelle cose.– 1. L’intelletto nostro mediante l’astrazione dalle ima-gini sensibili si forma un concetto generale della cosa equesto è l’oggetto diretto dell’intelletto; può però ancheconoscere la cosa stessa particolare, riflettendo sulla ima-gine sensibile di essa.

2. Si può dire che l’intelletto mostro ha infinite cose daconoscere, perché quante più ne conosce, tante più ne ha

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da conoscere; ma non sarà mai in atto di conoscere l’in-finità delle cose, perché conosce una cosa alla volta e lastessa visione di Dio, che è infinito, non è la comprensio-ne di Dio.

3. L’intelletto conosce anche le cose contingenti e even-tuali in quanto in esse c’è qualche rapporto di: necessità.Vero è che ci sono le scienze morali e sociali e la scien-za non è di particolarità, ma di principii e conclusionigenerali.

4. Il futuro è legato alle condizioni particolari deltempo e il particolare è oggetto del senso: ma il futuro èlegato anche alle sue cause, che sono le ragioni universalidi esso e queste sono oggetto dell’intelletto, quindi anchel’intelletto conosce il futuro.

Quest. 87. Come l’anima conosce se stessa e ciò che hain sé. – 1. L’anima conosce se stessa non per mezzo dise stessa, ma per mezzo del suo atto, perché l’intellettonostro è potenza conoscitiva, non già atto conoscente:quando non è in atto è solo potenza, è quasi latente, ed èsoltanto coll’atto che si fa presente. Così i corpi che sonoall’oscuro sono in potenza a essere visti, ma si vedonorealmente quando vengono illuminati.

2. E similmente gli abiti buoni o cattivi dell’anima, che,in quanto abiti, sono potenza, sono conosciuti dall’intel-letto non in se stessi, ma dai loro atti.

3. L’intelletto nostro conosce anche se medesimo dalsuo atto, ma con quest’ordine: prima conosce l’oggetto,poi l’atto, poi se stesso.

4. E poiché la volontà è inclinazione dell’intelletto,perciò l’intelletto può conoscere anche questa sua inclina-zione e con ciò l’atto di volontà.

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Quest. 88. Come l’anima’conosca le cose che le sono su-periori. – 1. L’intelletto nostro in questa vita è legato alsenso, perciò si riferisce direttamente alle cose materiali,presentategli dal senso, immaterializzandole nella cogni-zione colla operazione sua; alle sostanze immateriali nonsi riferisce direttamente, ma soltanto indirettamente, peresempio dagli effetti;

2. e quanto a conoscerle non le può conoscere qualisono, essendo esse di altra natura;

3. che se l’intelletto nostro quaggiù non può conoscerele sostanze immateriali create, in se stesse, tanto menopotrà conoscere la sostanza immateriale increata, cioè Dio.

Quest. 89. Cosa e come conosca l’anima separata. – 1.L’operare segue l’essere e il modo di operare segue il mo-do di essere. L’unione che l’anima nostra ha col corpo ènaturale e quindi di perfezione anche se perciò nell’in-tendere è legata alle imagini sensibili, perché come agliintelletti più tardi sono necessari gli esempi pratici, co-si all’anima nostra, che è all’ultimo grado delle sostan-ze spirituali, per intendere occorrono le imagini sensibi-li, altrimenti avrebbe una cognizione troppo generica econfusa. Quando però l’anima si separa dal corpo, le com-pete il modo di intendere che hanno le altre sostanze sepa-rate, le quali si riferiscono alle cose intelligibili semplice-mente e comprendono a misura dell’influsso che godonodel lume divino.

2. L’anima separata vede se stessa e così conosce se stes-sa e così pare le altre sostanze separale, cioè gli altri spiriti;ma poiché degli altri spiriti ne misura la cognizione su sestessa, perciò delle anime separate ha conoscenza perfet-ta, ma degli Angeli, che le sono superiori, ha conoscenzaimperfetta.

3. La cognizione nelle sostanze separate essendo com-misurata all’influsso del lume divino, gli Angeli, che ne

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sono più vicini, conoscono perfettamente la natura tutta:le anime dei trapassati, che ne sono più lontane, hannodella natura una cognizione generica e confusa;

4. e per la stessa ragione hanno conoscenza anche deifatti e delle cose particolari, soltanto però di quelle versole quali hanno un precedente legame o di cognizione odi affetto o di abitudine.

5. La scienza, che è un abito non della volontà, madell’intelletto, rimane nell’anima dei trapassati e non sarànemmeno più soggetta ad alterazione dipendente da fal-sità d’argomentazione, perché questa dopo morte non èpiù possibile non essendoci più l’uso dei sensi;

6. e non solo la scienza, ma anche le singole cognizio-ni restano solo morte, senza però la possibilità dell’usodell’immagine sensibile nel ripensare alle cose;

7. e appunto perché dopo morte l’anima ricava lesue cognizioni dall’influsso del lume divino e non dalleimagini sensibili, la forza del senso non c’entra più, e ciòche si ha a conoscere si conosce sia vicino o sia lontano.

8. Essendo però le anime dei trapassati separate dalconsorzio dei viventi per divina disposizione sono perciòimpedite di conoscere ciò che avviene nel mondo. Pergrazia però i Santi conoscono ciò che quaggiù avvienee tuttavia non se ne rattristano essendo essi beati.

Quest. 90. Produzione del primo uomo quanto all’ani-ma. – 1. Non si può dire che l’anima sia parte della so-stanza di Dio, perché Dio è puro atto, l’anima invece no-stra, che è intellettiva, non è sempre in atto di intendere,ma talora è soltanto in potenza di intendere; resta perciòche da Dio sia fatta.

2. L’anima è sostanza e non accidente; le competel’esistenza, a questa è via la produzione; non può esse-re prodotta da preesistente sostanza materiale essendonesuperiore; non può essere prodotta da preesistente so-

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stanza spirituale, perché le sostanze spirituali non si tra-smutano una nell’altra; perciò deve essere stata prodottadal niente e cioè creata;

3. e poiché creare spetta a Dio solo, deve esser statacreata immediatamente da Dio;

4. ed essendo parte dell’umana natura, ha la suaperfezione naturale quando è unita al corpo e perciòda Dio, il quale ha creato ogni cosa perfetta, fu creatainsieme col corpo.

Quest. 91. Produzione del corpo del primo uomo. –1. Il mondo risulta dalla distinzione e dall’ornato delcielo, della terra e delle acque e perciò l’uomo per essereil microcosmo, o piccolo mondo, doveva essere fatto diterra e d’acqua, cioè di loto, contemperato a una specialeincorruttibilità propria dei corpi celesti.

2. E poiché precedentemente non era stato formatoun organismo quale è quello dell’uomo, cosicché pergenerazione se ne potesse avere uno simile nella specie,Dio ha dovuto crearlo immediatamente;

3. e di Dio, ottimo artefice, deve dirsi che l’ha creatoquale conveniva per l’unione con un’anima spirituale; 4.e la Scrittura narra diffusamente la creazione dell’uomoper indicare che esso è il culmine e il re del creato.

Quest. 92. Creazione della donna. – 1. All’uomocompete, anzi in grado superiore, ciò che è propriodegli animali perfetti, cioè la generazione attiva e passivain sesso distinto: la donna perciò doveva essere creatadistintamente dall’uomo;

2. e perché l’uomo fosse effettivamente capo di tutto ilgenere umano, convenne che la prima donna creata fossericavata dall’uomo;

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3. e fu di fatto formata con tanta costa di Adamo eciò fu con significato simbolico, perché doveva esserglicompagna; uscì quindi non dal capo, perché non dovevaessere padrona e non dai piedi, perché non doveva essereserva.

4. Poiché la formazione della prima donna non potevaavvenire altro che fuori dell’ordine naturale, perciò la suaproduzione non può spettare ad altri che a Dio, autore ditutte le cose.

Quest. 93. Fine della creazione dell’uomo. – 1. Iddioè causa esemplare di tutto e anche l’uomo fu creato a suasomiglianza, anzi provenendo l’uomo da Dio e essendo asua somiglianza, in lui c’è l’imagine di Dio, la quale esigeappunto somiglianza con un soggetto e provenienza dalui;

2. non però qualunque somiglianza importa imagine,ma soltanto la somiglianza di natura o dell’accidenteproprio della specie, cioè la figura. L’uomo è simile a Dionon solo in quanto esiste e in quanto vive, ma anche inquanto intende; questa è vera somiglianza, compete allecreature intellettuali, perciò le creature irrazionali nonsono imagini di Dio;

3. e perciò ancora gli Angeli, strettamente parlando,sono imagini di Dio più dell’uomo.

4. L’uomo è sopratutto imagine di Dio quando imi-ta Dio nel grado maggiore e lo imita in grado massimoquando imita Dio che conosce e ama se stesso. Ogni uo-mo può farlo e questa è imagine di Creazione: lo fannoi giusti e questa è imagine di Redenzione; lo fanno poi ibeati in modo perfetto e questa è imagine di Glorifica-zione.

5. In Dio c’è una natura e tre persone secondo lerelazioni di origine (40. 2) e nell’uomo c’è l’imagine di

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Dio, e quanto alla natura divina e quanto alla trinità dellepersone.

6. Nel creato ciò che è materiale rappresenta Dio inqualità di vestigio, come sarebbero le orme del piededi uno che è passato, la cenere rimasta da un incendio,perché dicono causalità; si può anche dire che ogni, cosaha in se un vestigio della Trinità in quanto ogni cosaha un essere, una forma, un’inclinazione naturale; marappresentare Dio come imagine spetta esclusivamente allecreature ragionevoli, perciò questo appartiene all’uomoquanto all’anima e non quanto al corpo;

7. e spetta all’anima sopratutto in quanto ha gli atti dipensare e di volere, perché allora ha in sé un verbo e unamore;

8. e spetta all’anima quando rivolge il pensiero e l’amo-re a Dio perché allora lo imita in grado massimo.

9. Somiglianza e imagine non sono sinonimi; quandola somiglianza raggiunge la perfezione allora si chiamaimagine e l’espressione dell’imagine è la somiglianza.

Quest. 94. Stato del primo uomo quanto all’intelletto. –1. Non si può dire che il primo uomo vedesse Dio quale è,a meno che fosse rapito in estasi; perché la visione di Dioè la beatitudine, e chi gode la beatitudine non è tale darivolgere altrove la volontà e quindi peccare. Cosi è deiSanti.

Adamo aveva però di Dio una scienza più perfettadella nostra. Le creature sono specchio a Dio e Diotanto meglio si vede quanto più terso è lo specchio equanto più sano è l’occhio che dentro vi rimira. PerAdamo, prima che peccasse, le creature erano specchiotersissimo e il suo intelletto nel rimirarvi non era pernulla offuscato.

2. Benché lo stato di peccato non sia lo stato di inno-cenza, tuttavia tanto nell’uno come nell’altro stato c’e l’u-

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nione naturale dell’anima col corpo e la conoscenza del-l’intelletto per mezzo dei sensi; perciò come adesso l’uo-mo non può vedere direttamente gli Angeli, così non pote-va farlo neppure il primo uomo.

3. Dovendo Adamo essere capo di tutto il genereumano e avendo con ciò l’onere di istruirlo, bisogna direche aveva piena conoscenza delle cose naturali e sufficienteconoscenza delle cose soprannaturali.

4. Ma benché potesse a lui mancare la cognizione diqualche cosa, le cognizioni che aveva non potevano esse-re false, perché in lui le potenze inferiori erano soggettealle potenze superiori e non poteva perciò subire illusionidi fantasia e allucinazioni di senso.

Quest. 95. Stato del primo uomo quanto alla volontà. 1.Nel primo uomo c’era la soggezione del corpo all’anima,delle forze inferiori alla ragione e della ragione a Dio. Maquesto non era proprio della natura, altrimenti sarebberimasto anche dopo il peccato, perciò Adamo lo ebbeper grazia; dunque fu creato in grazia. Anzi la soggezionedella ragione a Dio importava la soggezione delle forzeinferiori alle superiori e del corpo all’anima, sicché lamancanza di soggezione della ragione a Dio, portò loscompiglio nelle forze inferiori e nel corpo.

2. Le passioni sono del bene, come il gaudio, e delmale, come il timore. Nel primo uomo c’erano le passioni,ma soltanto del bene e, stante il dominio perfetto dellaragione, non prevenivano il suo giudizio.

3. Nel primo uomo c’erano anche tutte le virtù. Main atto c’erano solo le virtù non ripugnanti al suo stato,come la giustizia e la fede, e le virtù ripugnanti al suostato, come la penitenza, c’erano in abito.

4. Il merito si può misurare e dalla carità di chi operae dalla difficoltà che egli incontra: quanto alla carità

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potevano essere più meritorie le opere di Adamo; quantoalla difficoltà sono più meritorie le nostre.

Quest. 96. Dominio dell’uomo in istato d’innocenza. –1. In istato di innocenza Adamo aveva l’effettivo dominiodegli animali, benché ne avesse meno bisogno di quelloche ne abbiamo noi ora;

2. aveva anche il dominio delle altre cose, adoperando-le senza impedimento e senza averne nocumento.

3. Però fra gli uomini ci sarebbe stata qualche disugua-glianza e quanto al sesso e quanto all’età e quanto al cor-po e anche quanto all’anima nei riguardi del libero arbi-trio,

4. e ci sarebbe stata non servitù, ma dipendenza di unoall’altro, perché, dovendo vivere socialmente, dovevaesserci un regime.

Quest. 97. Dell’uomo quanto alla sua conservazione.– 1. In istato di innocenza l’uomo era immortale nonper natura, ma per grazia, cioè per una virtù particolare,preservatrice della corruzione, concessa all’anima;

2. e non era soggetto a patire, cioè a subire ciò che lorimovesse dalla sua naturale disposizione.

3. Ma poiché nella naturale disposizione della vitavegetativa c’è il nutrirsi, il crescere, il riprodursi, anchenello stato di innocenza l’uomo aveva bisogno di cibo.

4. In chi è giovane il cibo fa anche crescere: in chi èadulto il cibo conserva, ma in chi è vecchio ciò il cibonon lo fa più; per riparare le perdite della vecchiaia c’eranel paradiso l’albero della vita.

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Quest. 98. Conservazione della specie. – 1. Anche nellostato d’innocenza c’era la Generazione e non era peccato,perché era necessaria per la moltiplicazione degli uominie per la conservazione del genere umano agli individuiche per sé non sono perpetui,

2. e sarebbe avvenuta così come avviene adesso, essen-do fin d’allora così conformati gli uomini; non ci si sa-rebbe però stato nulla di indecente e di libidinoso, datolo stato di innocenza.

Quest. 99. Condizione della prole quanto al corpo. –1. Come è adesso, così anche nello stato di innocenzai bambini non avrebbero avuto tosto la forza per l’usoperfetto delle membra per qualunque atto, ma soltantoper gli atti infantili, perché questa è condizione naturale,stante l’acquosità iniziale del cervello; sarebbero peròstati esenti dalle malattie, come più tardi sarebbero statiesenti dai difetti senili;

2. e a complemento della natura umana vi sarebberostati tanti maschi quante femmine.

Quest. 100. Condizione della prole quanto alla santità.– 1. I bambini sarebbero nati nella giustizia originale, es-sendo allora questa un dono di natura; non sarebbe sta-ta però trasmessa dai genitori, ma sarebbe stata conferi-ta da Dio a ogni nuove soggetto che fosse sorto di naturaumana;

2. tuttavia i bambini non sarebbero stati confermati ingrazia, ma sarebbero rimasti nella possibilità di peccarecome i genitori.

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Quest. 101. Condizione della prole quanto alla scienza.1. Anche nello stato di innocenza, nascendo il bambino,l’anima sarebbe stata «tabula rasa», pagina bianca, perchéquesta è condizione naturale, tuttavia allora i bambiniavrebbero senza difficoltà appreso e da sé e dagli altri;

2. e l’uso perfetto di ragione l’avrebbero avuto quandoil cervello avesse acquistato perfetta solidità.

Quest. 102. Luogo del primo uomo, il Paradiso. – 1. IlParadiso fu un luogo reale, altrimenti la Scrittura non neavrebbe fatto una narrazione storica.

2. Il Paradiso fu luogo conveniente all’uomo innocente,che era per grazia immortale. Infatti alla causa internadi morte si ovvia col cibo e nel Paradiso c’era l’alberodella vita; causa esterna di morte è un clima perfido e nelParadiso terrestre c’era un clima sano e mitissimo.

3. L’uomo fu messo nel Paradiso terrestre per custodirloe lavorarlo, non con un lavoro faticoso, ma con un lavorodilettevole; sarebbe stato uno studio della natura.

4. L’uomo non fu creato nel Paradiso, ma vi fu por-tato, perché come era di grazia il dono dell’immortalità,così fu di grazia e non già naturale il luogo convenienteall’immortalità.

Quest. 103. Governo dell’universo. – 1. Anzichéandare avanti a casaccio il mondo lo vediamo sospintoal meglio; c’è dunque una forza che lo sospinge, anzi lostesso ordine che vediamo nell’universo, come in una casabene ordinata, ci dice che c’è chi lo regola. Né potrebbeessere diversamente. Se la Bontà divina ha dato l’esserealle cose, alla stessa Bontà divina spetta condurle alla loroperfezione, guidarle al fine e questo è governare.

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2. Il mondo tende al bene, perché è attratto dal beneassoluto, dal bene in sé. Ma tutto il bene che c’è nelmondo è bene partecipato, il bene perciò cui tende ilmondo è un bene fuori del mondo;

3. il bene assoluto, il bene in sé, il bene sommo, cheattrae il mondo e così lo governai è uno solo, perciò nelgoverno del mondo c’è l’unità; questo è anche conformealla natura delle cose, cui ripugna lo smembramento.

4. Ma se relativamente al fine nel governo del mondoc’è un effetto unico, relativamente alla natura che tende aDio c’è un effetto duplice: assomigliare a Dio e nell’esserebuona e nel comunicare la bontà; relativamente poi aimezzi di ciò fare l’effetto è molteplice.

5. Dio è il fine di tutte le cosec come ne è anche ilCreatore, tutte le cose sotto perciò soggette al Governo,alla Provvidenza divina.

6. Nel Governo delle cose Dio riserva a sé il piano uni-versale di regime, ma, quanto alla sua esecuzione, ne fabarie anche alle cose, appunto perché devono assomiglia-re a Dio nel comunicare la bontà. Dio infatti non de-ve giudicarsi da meno dei bravi maestri, i quali istruisco-no i loro discepoli non solo perché sappiano, ma perchéanch’essi siano maestri.

7. Cosicché se qualche cosa sembra sfuggire l’ordinedella Provvidenza, ciò potrà essere relativamente a qual-che causa particolare, non relativamente allo stesso Dioche è causa prima e universale.

8. E come nessuna cosa può sottrarsi all’ordine delGoverno divino, così nessuna cosa può a esso ribellarsi,né lo fa, almeno nello spirito, benché sembri volerlo fare:infatti in ogni opera c’è un impulso e un fine; orbene, chisospinge il mondo e chi attrae il mondo quale fine, è Dioche governa il mondo.

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Quest. 104. Effetti del governo del mondo. – 1. Lacosa deve all’artefice la sua formazione, ma non tutto ilsuo essere; la statua deve allo scultore il suo essere sta-tua, non il suo essere pietra, e lo scultore conservandolale conserva il suo essere statua; distruggendola la distrug-ge come statua, ma non come pietra. La luce è parteci-pata dal sole e l’aria che viene illuminata dal sole resta il-luminata finché resta alla presenza del sole. Così e più dicosi noi, che abbiamo un essere partecipatoo, dobbiamo aDio, Essere per se, la nostra conservazione. Per Iddio laconservazione delle cose è una creazione continuata,

2. e come nella produzione delle cose, così purenella conservazione delle cose, Dio si serve anche di causeseconde.

3. Nessuna cosa fuori di Dio ha un’esistenza necessa-ria e Dio relativamente alle cose è libero, perciò non sipuò dire che Dio, se volesse, non potrebbe distruggere lecose;

4. tuttavia si può dire che nessuna cosa sarà ridotta alniente: Dio infatti ha fissato che le sostanze immateriali,Angeli, anime, siano incorruttibili; che la materia si muti,ma non si distrugga. La distruzione potrebbe avvenireper miracolo, ma sarebbe un miracolo contrario allabontà di Dio.

Quest. 105. Dio e la mutazione nel creato. – 1. Sullamateria, che è potenza passiva, Dio può agire immedia-tamente, perché ne è l’autore, e può informarla così chevenga attuata nella costituzione dei corpi;

2. tanto più quindi Dio può immediatamente muoverequalunque corpo.

3. Muovere vuol dire essere principio d’operazione eper gli intelletti muovere vuol dire dare la forza d’inten-dere e anche dare l’atto di intendere. Dio muove gli intel-

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letti in ambidue i modi, e perché è l’Ente primo immate-riale, e perché in lui preesistono tutte le cose intelligibili;

4. e similmente anche la volontà è mossa da Dio, sia inquanto forza di volere, il che è un’inclinazione, sia comeatto di volere relativamente a un oggetto; ciò è perchéDio è il Bene universale, verso cui tutto inclina, e perchéin ogni cosa risplende la sua bontà.

5. Benché Dio operi negli intelletti, nelle volontà e inogni agente, non fa però in modo che essi nulla più fac-ciano, quasi sopprimendo la loro azione; questo sarebbecontro la natura delle cose. Dio agisce così che anche lecreature agiscano, perché Dio come Creatore e conserva-tore dà e conserva loro l’essere specifico; Dio causa pri-ma, muove le cause seconde; Dio ultimo fine attira tuttoe tutto muove a operare.

6. Dio può fare qualcosa fuori dell’ordine da lui stabilitonelle cose, dell’ordine cioè risultante nelle cause seconde,perché questo dipende da lui; non può fare nulla control’ordine relativo alla causa prima, perché farebbe controse stesso;

7. e ciò che avviene all’infuori delle cause che ci sononote, desta la nostra ammirazione e perciò si chiamamiracolo; purché però si tratti di ammirazione assoluta, enon già di cosa che desta l’ammirazione di alcuni che neignorano le cause, e non degli altri che le conoscono.

8. I miracoli sono uno più grande dell’altro sia quan-to alla sostanza, del fatto, per esempio l’ingresso di GesùRisorto nel Cenacolo; sia quanto al soggetto, sper esem-pio, un morto che vien risuscitato; sia quanto al modo,p. es. una guarigione istantanea.

Quest. 106. Azione di una creatura sull’altra. – 1. UnAngelo può illuminare l’intelletto d’un altro Angelo, ossiamanifestargli una verità di cui esso ha cognizione;

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2. ma non può piegarne la volontà, perché ciò èriservato a Dio, bene universale, autore della naturaAngelica.

3. L’ordine poi delle cause seconde, disposte da Dioper la diffusione della sua bontà, porta non che un Angeloinferiore fossa illuminare un Angelo superiore;

4. ma che sia l’Angelo superiore, che può illuminarel’Angelo inferiore.

Quest. 107. Colloqui angelici. – 1. Un Angelo puòparlare a un altro Angelo, può cioè manifestargli un suoconcetto e a ciò fare basta un atto di volontà;

2. e parlare quando ciò non sia illuminare, può ancheun Angelo inferiore con un Angelo superiore;

3. parlare anzi può l’Angelo anche con Dio, o per chie-dergli qualche cosa, o per consultarlo o per ammirarne elodarne la gloria;

4. e nei colloqui angelici la distanza a loro non faostacolo, perché il luogo e il tempo sono contingenze deicorpi e gli Angeli sono incorporei;

5. e poiché il, parlare è determinato da un atto divolontà, il colloquio è riservato a chi si vuole, e non èaperto a tutti gli Angeli.

Ouest. 108. Gerarchia e ordini degli Angeli. – 1.Gerarchia significa principato sacro. Benché Dio siapadrone degli Angeli e degli uomini, tuttavia Angeli euomini non costituiscono una stessa gerarchia, essendodiverso il regime per gli uni e per gli altri; anzi neppurefra di loro gli Angeli costituiscono terza stessa gerarchia,ma ne costituiscono tre;

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2. e come in ogni genere c’è il grado supremo, il medioe l’infimo, così in ogni gerarchia ci sono tre ordini secondoi diversi uffici e atti;

3. in ogni ordine ci sono molli Angeli, ma non sappia-mo l’ufficio di ciascuno;

4. e la distinzione di gerarchie e di ordini si fondasulla natura degli Angeli, e va secondo i doni naturali checiascuno ha ricevuto per conoscere e amare Dio.

5. Opportunamente la Scrittura distingue gli ordiniangelici secondo i loro uffici e le perfezioni;

6. e, secondo le perfezioni spirituali, S. Dionigi gliordini degli Angeli li distingue così:

I. Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni.II. »»: Dominazioni, Virtù, Potestà.III. »»: Principati, Arcangeli, Angeli.7. Tali ordini resteranno dopo il Giudizio Universale

quanto alla distinzione di natura e di grazia; non reste-ranno quanto agli uffici da compiersi, che sono relativiall’umanità, di cui è compita allora la sorte.

8. Gli uomini, quanto al grado di gloria, possono essereeguagliati agli Angeli, nei loro diversi ordini.

Quest. 109. Gerarchia dei Demoni. – 1. Anche fra iDemoni ci sono i diversi ordini, fondati sopra i loro doninaturali;

2. perciò anche fra di loro ci sono i superiori e gliinferiori; ma essere superiore di ribaldi non è una felicità,è una miseria.

3. Poiché illuminare vale manifestare una verità inordine a Dio, non si dà fra i demoni; si dà però il parlare,cioè il manifestare a un altro il proprio concetto.

4. Gli Angeli buoni hanno impero soffra gli Angelicattivi quale partecipazione del supremo dominio di Dio.

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Quest. 110. Gli Angeli presiedono alle creature corpo-ree. – 1. La virtù intellettuale è universale, la virtù cor-porea è particolare: l’universale presiede al particolare,perciò gli Angeli presiedono alle creature corporali.

2. Ma la materia corporale con ciò non deve dirsi cheobbedisca al cenno degli Angeli, perché ciò che avvienenel mondo procede o immediatamente da Dio o dalleleggi naturali;

3. tuttavia gli Angeli hanno potere sui corpi quanto almoto locale.

4. Ciò però che fanno gli Angeli non è miracolo, perchéanche essi sono forze comprese nell’ambito delle forzenaturali e il miracolo invece è qualche cosa di oltre eall’infuori della natura.

Quest. 111. Azione degli Angeli sugli uomini. 1. Gli An-geli possono illuminare gli intelletti umani, rivelando lorocose divine, ma però proponendo la verità sotto imaginisensibili e così adattandosi alla natura degli uomini. Mal’uomo, mentre conosce di essere illuminato, non sempreconosce da chi lo sia.

2. Gli Angeli però non possono piegare le volontàdegli uomini, perché ciò è esclusivo di Dio. Gli Angelipossono indurre gli uomini colla persuasione e, comepossono fare anche gli uomini, possono muovere bensìla volontà, eccitando le passioni, ma non la possonoviolentare.

3. Gli Angeli e anche i demoni possono muovere l’im-maginazione, per esempio nel sonno, possono ridestare,e combinare le imagini sopite, eccitare gli umori, ed alie-nare dai sensi.

4. Gli Angeli possono perfino, e lo possono colle forzeloro naturali, impressionare i sensi nostri presentandoun sensibile magari di loro diretta formazione, oppure

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agendo internamente coll’eccitare spiriti e umori, così dafarci avere delle senzazioni.

Quest. 112. Missione degli Angeli. – 1. Gli Angeli pos-sono essere mandati a compiere qualche ministero pressoqualcuno o in qualche luogo particolare. Èovvio che sefossero infiniti e se fossero dappertutto non potrebberoessere mandati in qualche luogo particolare.

2. Tali missioni però vengono affidate agli Angeliinferiori, detti perciò Angeli, che vuol dire annunciatori.

3. Anche durante la missione continua la loro contem-plazione di Dio, perché lo vedono immediatamente.

4. Alcune missioni superiori furono affidate ad Angelisuperiori, cioè agli Arcangeli, e anche ad altre gerarchiecompete un ministero esterno, non però a tutte.

Quest. 113. Custodia degli Angeli e infestazione deiDemoni. – 1. Fu necessario che gli uomini, volubili nellecognizioni e negli affetti, fossero guidati dagli Angeli, chein ciò sono fermi.

2. Ogni uomo è custodito dal suo Angelo.3. Gli Angeli custodiscono gli uomini particolari, gli

Arcangeli ecc., custodiscono le Comunità e le Società ereggono la natura.

4. Tutti gli uomini, mentre sono quaggiù, hanno il loroAngelo custode, perché tutti corrono pericolo;

5. e lo hanno fin dalla nascita, perché fin dalla nascitasono uomini, e dai fanciulli gli Angeli tengono lontani idemoni.

6. La custodia degli Angeli appartiene alla esecuzio-ne dell’ordine della Provvidenza divina, e come nell’or-dine della divina Provvidenza c’è la permissione delle tri-bolazioni e del peccato, così allora avviene una specie di

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abbandono da parte dell’Angelo custode, abbandono peròche non è totale;

7. e poiché anche allora si compie la volontà di Dionegli scopi generali, gli Angeli, che alla volontà di Dioaderiscono, non si contristano, perché la tristezza avvieneda ciò che è contrario alla volontà.

8. Anche fra gli Angeli ci può essere lotta, ma solo inquanto sono in contrasto fra loro le cose affidate alle lorocure ed essi le vogliono tutelare.

Quest. 114. Infestazione dei Demoni. – 1. I demoni fan-no guerra agli uomini per malizia, sfogando invidia pei lo-ro progressi, ed esercitando la superbia di avere, dei di-pendenti nel fare la guerra. Il Signore ciò permette a fi-ne di bene e noi sorregge colla sua grazia e coll’assistenzadegli Angeli.

2. Il diavolo tenta non per provare e al caso aiutare,ma per nuocere e per indurre nel peccato.

3. Tutti i peccati però non derivano immediatamenteda tentazione del diavolo; alcuni derivano o da cattivavolontà o da corruzione; però indirettamente si devonotutti alla tentazione di Adamo e di Eva.

4. I diavoli possono anche sedurre gli uomini facendo,col potere naturale che ancora conservano, opere mera-vigliose, che però non sono veri miracoli. Così posso-no agire sulla fantasia e sui sensi; possono anche plasma-re coll’aria corpi visibili e sensibili di qualunque forma efigura ed assumendoli farli anche parlare ed agire.

5. Quando il diavolo nella tentazione è vinto, si ritira,almeno per un poco, dalla lotta.

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Quest. 115. Azioni delle creature corporali. – 1. Mentrela materia prima è puramente passiva, i corpi formatihanno anche attività specifiche.

2. Nella natura, e il nome è preso da ciò che è natoe che perciò ha la vita, ci sono le ragioni seminali, cioè iprincipi attivi e passivi.

3. I corpi celesti, come esercitano azione uno sul – l’al-tro, così esercitano azione anche sulla terra e coll’azioneesercitano anche un influsso.

4. Ma poiché l’influsso è sulla materia, potrà essereesercitato sul senso, non sull’intelletto e sulla volontà,che sono potenze spirituali, perciò resta intatto il liberoarbitrio;

5. e tanto meno può l’influsso dei corpi celesti essereesercitato sui demoni, che sono puri spiriti.

6. A ogni modo l’influsso dei corpi celesti non importaazione necessaria né alle volontà, cause libere, né allecose naturali, perché tale influsso può facilmente essereimpedito.

Quest. 116. Il Fato. – 1. Fato o destino sarebbe laProvvidenza divina, che ordina le cose al loro fine, ma, siapure con questo significato, i Santi evitano di adoperaretale parola.

2. Poiché le cause seconde sono da Dio determinatea conseguire dati effetti, perciò c’è un destino (= unadestinazione) nelle cose;

3. il quale non è invariabile relativamente alle causeseconde, ma è invariabile relativamente alla causa prima;però di necessità condizionata.

4. Tale destinazione inoltre è fissa soltanto nelle cosedipendenti da cause seconde.

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Quest. 117. Azione degli uomini. – 1. Un uomo puòistruire l’intelletto di un altro uomo, come fa il maestrocol discepolo;

2. ma non può istruire, cioè illuminare un Angeloperché l’Angelo gli è superiore; può però manifestarglii suoi concetti, ossia parlargli.

3. L’uomo non può colle forze dell’anima agire suicorpi, se non mediante il corpo;

4. perciò anche dopo la morte l’anima nostra, che è unaforma determinata a informare il corpo, non può agire suicorpi quanto al moto locale, come possono gli Angeli.

Quest. 118. Derivazione d’un uomo da un altro uomoquanto all’anima. – 1. Nella generazione, sin dal primoprincipio, è sempre un vivente che nasce da un vivente;quindi un’anima c’è nello stesso seme dell’organismo.

2. Ma l’anima intellettiva non può sorgere da esso; ella,che sussiste anche senza corpo, viene creata da Dio.

3. Le anime non furono create tutte insieme fin dalprincipio del mondo, ma vengono create quando vengo-no infuse nel corpo.

Quest. 119. Propagazione dell’uomo. – 1. L’alimentoserve anzitutto alla conservazione dell’individuo;

2. poi e nel soprappiù serve alla conservazione dellaspecie, nella riproduzione degli uomini.

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PARTE SECONDA

Sez. Prima

Quest. 1. Scopo finale della vita umana. – 1. L’uomoè padrone della sua volontà e dei suoi atti, i quali da leiprocedono, e sono atti umani. Ma oggetto della volontàè il bene, questo anzi è il fine, per cui si muove la volontà;nei suoi atti quindi l’uomo ha un fine ed è il bene.

2. Le cose irrazionali ignorano lo scopo cui sono,dirette; l’uomo lo conosce;

3. e il fine specifica i suoi atti in buoni e cattivi.4. L’uomo in ogni suo atto è mosso da uno scopo. E

ci deve essere di tutta la vita uno scopo finale, capace diappagare del tutto là volontà.

5. Questo scopo, se è finale, non può essere che uno;6. perché è scopo finale, l’uomo vi subordina ogni suo

atto di volontà;7. perché rappresenta la perfezione umana, è unico per

tutti;8. e perché l’uomo è il re del creato, a tale fine resta

coordinato tutto l’Universo.

Quest. 2. Cosa possa essere l’oggetto finale della Vita. –Questo scopo finale, che forma la beatitudine consiste:

1. non nelle ricchezze, perché non sono ogni bene siusano consumandole;

2. non negli onori, perché sono fuori di noi; sonosegno della stima che gli altri hanno di noi;

3. non nella fama, perché spesso è falsa e facilmente siperde, mentre la beatitudine non può essere che un benevero e stabile;

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4. non nella potenza, perché è piena di brighe e ditimori;

5. non in qualche bene del corpo, perché il corpo nonè tutto, ed è subordinato all’anima;

6. non nel piacere, che è non il bene, ma un effetto delbene;

7. non in qualche bene dell’anima, perché la beatitudi-ne è un bene universale oggetto di tutta l’anima;

8. non nell’universo medesimo che è finito, e fu creatoda Dio per Iddio; ma in Dio che è ogni bene e infinito.

Quest. 3. Cosa sia la beatitudine. – 1. BeatitudineOggettiva è Dio stesso, essa dunque è eterna; beatitudinesoggettiva invece è il nostro possesso di Dio, e questa èqualche cosa di creato.

2. La beatitudine è detta vita, vita eterna, e siccome; lavita sta nell’operare, così essa è un operare;

3. non è però operazione del senso, perché la beatitu-dine nel senso non c’è che di ridondanza;

4. ma perché distintivo dell’uomo è l’intelletto, essa èsopratutto: operazione dell’intelletto, poi è anche opera-zione della volontà;

5. e come operazione dell’intelletto, è propria dell’in-telletto speculativo, che è operazione perfetta, piú chedell’intelletto pratico:

6. non però in quanto l’intelletto conosce le scienzespeculative, perché questa è una cognizione bassa, cheche ha i suoi principii nel senso:

7. né in quanto vedesse gli Angeli medesimi, perché illoro essere è creato, finito:

8. ma in quanto l’intelletto ha la Visione della divinaessenza, che è la ragione dell’universo, cosa che non si hase non nell’altra vita.

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Quest. 4. Requisiti della beatitudine. – 1. Per labeatitudine è necessario: a) la contentezza, e questa si hadall’avere raggiunto il bene sommo; risponde alla carità;

2. b) la visione della divina essenza; risponde alla fede;3. c) la comprensione, non nel senso di chiudere Dio in

se stessi, ma di averlo presente, risponde alla Speranza:4. la rettitudine della volontà è evidentemente neces-

saria sia per conseguire che per godere la beatitudine:5. la compagnia del corpoo occorre per essere completi

nella natura, ma non per vedere Dio;6. al corpo poi compete il decoro e la perfezione conve-

niente.7. Non sono necessari beai esterni, i quali sono mezzi

al fine in questa vita;8. e nemmeno la compagnia degli amici, perché basta

Dio.

Quest. 5. Conseguimento della beatitudine. – 1. L’uo-mo ha nell’intelletto, capace di cognizioni universali, lafondamentale capacità della visione divina nell’altra vita;

2. in essa, di beatitudine soggettiva, uno può esserebeato più che un altro.

3. In questa vita nessuno può essere beato, perché nonpuò evitare ogni male; e cioè l’ignoranza per l’intelletto,le passioni per la volontà, le pene per il corpo; ne puòavere beni capaci di saziarlo.

4. La beatitudine del cielo non si può perdere, perchéesclude ogni male, quindi anche il timor di perderla.

5. L’uomo può acquistarla, ma solo coll’aiuto di Dio;da se non può acquistarla, perché supera le sue forze natu-rali;

6. anzi supera ogni natura creata, perciò gli Angelistessi non potrebbero darla, ma soltanto aiutare nei mezzidi conseguirla.

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7. Dio potrebbe fare per tutti che la volontà rettamen-te tendesse e tosto conseguisse l’ultimo fine; invece pergli adulti vuole non che lo conseguiscano tosto, vuole chevi arrivino per la via retta, quella delle opere buone e me-ritorie.

8. Ogni uomo aspira alla beatitudine in quanto è unbene perfetto; ma non tutti la cercano quale è, perchénon la sanno distinguere.

Quest. 6. Cosa sia volontario e involontario. – 1. Il vo-lontario, cioè quello che procede da un principio inter-no con cognizione del fine, è riscontrabile negli atti uma-ni, perché quando nell’uomo c’è la cognizione razionale,e perciò perfetta, del fine, verso cui da sé si indirizza;

2. negli animali come anche nei fanciulli c’è invece im-perfetta cognizione del fine: la cognizione del fine è per-fetta quando lo si conosce come fine, se ne vedono i mez-zi, si vede il loro rapporto col fine; allora c’è deliberazio-ne. Compete a chi ha l’uso della ragione.

3. Il volontario è diretto se c’è l’atto interno e anchel’esterno; è indiretto se c’è solo l’atto interno e l’attoesterno consiste in una omissione di chi può fare, devefare e non fa.

4. La volontà non si può violentare quanto agli attisuoi interni, cioè eliciti; ma si possono violentare gli attiimperati, cioè gli atti esterni dipendenti dalla volontà: inquesto caso si riscontra l’involontario; perciò

5. l’involontario è quello che procede da un principioesterno contro volontà.

6. Gli atti dipendenti da timore non sono involontari,perché procedono egualmente da principio interno concognizione del fine; ma siccome se non ci fosse il timorenon si farebbero, sono per se volontari, ma in qualchecosa, in certa maniera, involontari.

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7. Gli atti dipendenti da concupiscenza sono volontari,e tanto più quanto la volontà, che tende al bene, èrafforzata dalla concupiscenza di un bene: a meno chene sia impedito l’uso della ragione. Invece

8. gli atti dipendenti da antecedente ignoranza, noncolpevole, sono involontari, perché sono sì da principiointerno, non però con cognizione del fine; non così sel’ignoranza è o voluta o concomitante.

Quest. 7. Circostanze degli atti umani. – 1. Le circo-stanze sono estrinseche e perciò sono accidentali all’attoumano, tuttavia hanno con esso attinenza;

2. esse lo mettono più o meno in rapporto col fine,perciò meritano speciale considerazione;

3. riguardano l’atto o per modo di misura: in chetempo e luogo? o per modo di qualità: in che modo?o riguardano il fine: perché? o la materia: che cosa? ol’agente principale: chi? o l’agente strumentale con qualimezzi? o l’effetto: cosa si ottiene? Sono quindi sette;

4. e di esse le più importanti sono il che cosa, cioèl’oggetto dell’atto umano, e il perché, cioè il fine dell’attostesso.

Quest. 8. Volontà e cose volute. – 1. Appetito in Genereè inclinazione al simile o al conveniente. La volontà èappetito razionale e tende necessariamente a ciò che è, oalmeno apparisce bene.

2. La volontà, come potenza, si riferisce tanto al fineche ai mezzi; ma come atto, si riferisce soltanto al fine,perché i mezzi si vogliono per il fine;

3. perciò se l’atto di volere il fine può prescinderedai mezzi, viceversa l’atto di volere i mezzi, non puòprescindere dal fine.

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Quest. 9. Moventi della volontà. – 1. L’intellettomuove la volontà presentandole una cosa non in quantoé vera, ma in quanto è bene, presentandola come oggettoe così specifica l’atto della volontà; la volontà poi mettein esercizio tutte le potenze.

2. L’appetito sensitivo muove la volontà causando unadisposizione per cui ad un arrabbiato, p. es. sembra beneciò che non sembra a un calmo.

3. La volontà, volendo il fine, muuove se stessa avolere i mezzi: quindi è mossa dall’intelletto per ragionedell’oggetto, è mossa da se stessa per ragione del fine.

4. Oltre l’oggetto c’è un altro esteriore principio, moto-re della volontà, giacché la volontà non è sempre in attodi volere, e per cominciare a volere deve essere mossa daaltro principio esteriore.

5. Questo principio esteriore non sono i corpi celesti,perché i corpi non hanno azione diretta sullo spirito.

6. Questo principio esteriore invece è Dio, che muovesempre la volontà, come ultimo fine, e che talvolta lamuove a qualche atto particolare.

Quest. 10. Come è mossa la volontà. – 1. La volontà, cheè appetito razionale del bene, viene mossa naturalutenteda ciò che è bene;

2. ma quanto all’esercizio del suo atto non viene mossanecessariamente dagli oggetti esteriori, essendo libera;

3. né viene necessitata dall’appetito sensitivo, a menoche questo tolga l’uso di ragione;

4. e nemmeno viene necessitata da Dio, perché Dio lamuove come volontà libera.

Quest. 11. Accontentamento della volontà. – 1. Fruire(Godere) è aderire per amore a una cosa, e l’amore è parte

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appetitiva. Perciò la beatitudine in quanto visione è perl’intelletto, in quanto godimento è per la volontà.

2. Il fruire, come atto di volontà, non compete aglianimali.

3: Poiché soltanto dell’ultimo fine può appagarsi lavolontà, la vera fruizione è soltanto dell’ultimo fine;

4. e il fruire perfetto non può aversi che nel realepossesso dell’ultimo fine.

Quest. 12. Intenzione. – 1. L’intenzione è propria dellavolontà, che muove a conseguire il fine.

2. L’intenzione quindi, essendo moto verso il fine, siriferisce anche ai mezzi e non è esclusiva dell’ultimo fine;

3. può riferirsi a più cose, specialmente se una èsubordinata all’altra;

4. e poiché il fine è la ragione di volere i mezzi,l’intenzione del fine e dei mezzi è per sé un atto solo.

5. L’intenzione dice ordine dei mezzi al fine, di ordinesono capaci soltanto gli esseri forniti di ragione, perciòvera intenzione non compete gli animali.

Quest. 13. Elezione dei mezzi. – 1. L’elezione sostanzial-mente è atto di volontà, perché è tendenza a un propostobene e si compie in un movimento dell’anima al bene; masiccome c’è prima la ragione che propone il bene e la vo-lontà è detta appetito razionale l’elezione è formalmenteatto di ragione, materialmente atto di volontà.

2. Gli animali hanno istinto, non elezione, la quale eappetito con discernimento.

3. L’elezione si riferisce noti al fine ultimo, ma ai mezzida adoperarsi per conseguirlo,

4. i quali poi sono le cose stesse che noi facciamo,5. e cose tali che ci siano possibili, perché le impossibili

non possono essere oggetto dell’elezione;

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6. nella scelta dei mezzi non si è necessitati alla ele-zione, perché si può scegliere l’opposto e anche sceglierenulla.

Quest. 14. Deliberazione. – 1. L’elezione o deliberazio-ne della volontà è preceduta dal consiglio o discussione,che formalmente appartiene all’intelletto.

2. La discussione non si fa del fine, ma soltanto deimezzi;

3. anzi si fa soltanto di quei mezzi che sono in nostropotere;

4. e non si riferisce a tutte le cose, ma soltanto a quelleche sono discutibili;

5. la discussione procede con ordine risolutivo, cioèanalitico,

6. ma non procede all’infinito, perché l’infinito èirragiungibile.

Qvest. 15. Consenso. – 1. Il consenso, che seguel’elezione, essendo parte appetitiva, è della volontà.

2. Gli animali non l’hanno, perché non hanno intellet-to da deliberare e non sono padroni dei loro atti.

3. Il consenso facendo seguito all’elezione, è, comel’elezione, solo dei mezzi e non del fine;

4. e, benché si dica consenso, non appartiene al senso,ma appartiene alla parte nostra superiore.

Quest. 16. Uso dei mezzi. – 1. Procedere all’uso deimezzi, è un atto distinto, proprio della volontà e che seguel’elezione;

2. essendo atto di volontà libera, conseguente un attodella ragione riferente una cosa ad un’altra, non competeai bruti;

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3. l’uso dei mezzi, appunto perché dei mezzi, non siapplica all’ultimo fine;

4. è dopo l’elezione che la volontà passa all’uso deimezzi, perciò l’uso non precede, ma segue l’elezione, attodi intelletto; talvolta però diventa un mezzo la stessaricerca, dell’intelletto per la scelta dei mezzi.

Quest. 17. Atti imperati. – 1. Gli atti imperali procedonodalla ragione, ma supposto l’atto di volontà, in virtù dellaquale la ragione muove le facoltà esterne comandando:

2. procedendo essi dalla ragione, non competono aglianimali;

3. l’uso dei mezzi non precede, ma segue l’atto impera-to;

4. atto imperato però ed impero della ragione fannotutt’uno, perché sono uno per l’altro.

5. Possono essere «imperati» anche gli atti di volontà,perché la ragione, come giudica che sia bene volere unacosa, così può anche imperare di volerla.

6. Possono essere «imperali» gli atti di ragione, perchési riflette su se stessa e ci sono cose che per sé non laconvincono, lasciandola sospesa.

7. Possono essere «imperati» gli atti dell’appetito sensi-tivo, se dipendono dall’anima, come l’imaginazione; nonperò se dipendono dal corpo;

8. ma non possono essere imperati gli atti di vitavegetativa, perché sono naturali,

9. e non possono essere imperati i movimenti dellemembra che seguono le forze naturali, ma soltanto quelliche obbediscono alla parte sensitiva o alla ragione.

Quest. 18. Bontà e malizia degli atti umani. – 1.Le azioni, come le cose, sono buone in quanto hanno

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dell’essere, sono cattive in quanto mancano di qualchecosa che ci dovrebbe essere.

Le azioni morali devono essere buone da quattro capi,che sono: azione in se stessa, e questa è bontà generica;

2. oggetto, perché l’oggetto specifica l’atto; e questa èbontà specifica;

3. circostanze, le quali sono accidenti dell’atto, eagli accidenti completano la sostanza: e questa è bontaaccidentale,

4. fine, che importa nell’atto un ordine di dipendenza,e questa è bontà causale.

5. Poiché l’ogetto specifica l’azione, l’oggetto buonorende l’azione specificamente diversa dall’oggetto catti-vo.

6. Anche il fine specifica l’azione, perché esso specificala volontà dell’agente e con ciò il volontario cioè l’azionemorale.

7. Per sé però la specie morale del fine non fa parte del-la specie morale dell’oggetto, ma sono due specie dispara-te; nel rubare quindi per ubbriacarsi ci sono due maliziedistinte e uno stesso atto.

8. Un’azione, pur nella sua specie, può essere indiffe-rente, né buona, ne cattiva, se, per esempio, il suo ogget-to è indifferente in rapporto coll’ordine di retta ragione,come sarebbe levare una paglia.

9. Ciascuna azione però, in quanto intesa e voluta, è obuona o cattiva;

10. anche la circostanza può diventare differenza speci-fica di un atto buono o cattivo, se cioè riguarda uno spe-ciale ordine di ragione: così rubare alla Chiesa è sacrile-gio.

11. La circostanza che aggrava non cambia specie all’a-zione, perché il più e il meno non cambia specie.

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Quest. 19. Bontà e malizia degli atti interni della volontà.– 1. La volontà è buona quando ha per oggetto il bene.

2. La bontà della volontà è specificata dall’oggetto enon dalle circostanze che sono accidenti dell’atto.

3. La bontà della volontà dipende dalla ragione, perchéla ragione propone l’oggetto e se la volontà non la segueè disordinata, anziché subordinata.

* La ragione muove la volontà coll’oggetto; la volontàmuove la ragione all’esercizio dei suoi atti.

4. La bontà della volontà dipende dalla legge eterna;che è la prima causa rispetto alla ragione, causa seconda.

5. La volontà che non segue la ragione, anche se questaerra, è cattiva, perché fa contro la coscienza, la quale è laragione applicata alle nostre azioni,

6. e invece la volontà che segue la ragione è buona,anche se la ragione erra, se l’errore dipende da ignoranzascusabile; non però se l’errore dipende da ignoranzavincibile, o da ignoranza affettata, cioè voluta.

7. e quanto a ciò che fa raggiungere il fine la bontà dellavolontà dipende dall’intenzione, perché Dio rimuneraanche la sola intenzione,

– Acciocché la volontà sia buona occorre che voglia ilbene per il bene: bene poi è ciò che esclude qualunquedifetto: Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu.

8. Nel male la malizia della volontà è proporzioataalla forza della cattiva intenzione: nel bene invece nonsempre cosi: quindi taluno non ha tanto merito quantoha intenzione d’averne, se il suo atto non ha quel merito.

9. La bontà della volontà dipende dalla conformità allavolontà divina, che ne è la prima misura,

10. per cui deve volere ciò che vuole Dio, se non divolere particolare, almeno di volere universale.

Quest. 20. Bontà e malizia degli atti esterni. – 1. Labontà delle azioni difende e dalla ragione e dalla volontà:

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dalla ragione se in sé esse sono alla retta ragione confor-mi, dalla volontà se questa nella loro esecuzione non hascopi cattivi;

2. perciò la sola buona volontà non può far buono attoesterno in sé cattivo, ma la cattiva volontà può far cattivoun atto in sé buono;

3. e così pure un atto può essere cattivo in sé e inoltrecattivo anche per il fine.

4. L’atto esterno non accresce bontà o malizia, se nonin quanto nella esecuzione si rinnova e si estende l’attointerno di volontà.

5. L’effetto di un’azione accresce bontà o malizia se fuprevisto, perché così divenne volontario.

6. Uno stesso atto nella sua identità naturale può esserebuono o cattivo secondo la volontà dell’agente, ma nellasua identità morale non può essere nello stesso tempobuono o cattivo.

Quest. 21. Conseguenze degli atti buoni o cattivi. – 1.Male è termine più largo di peccato. Male è privazionedi bene. Peccato è azione non ordinata al fine: ogni attoumano è diretto al fine, perciò ogni atto umano o è retto oè peccato;

2. l’atto umano, essendo imputabile all’uomo, perchéne è padrone, gli merita lode se è buono e biasimo se ècattivo,

3. altrettanto gli merita o premio o pena,4. e questo anche presso Dio, che è l’ultimo fine e il re

dell’universo.

Quest. 22. Dove risiedano le passioni. – 1. Passione,(dapatire) nel senso di subire mutazione di cosa non altrapeggiore, non c’è nell’anima; che è semplice e non haparti variabili, soltanto le arriva per mezzo del corpo.

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2. La passione c’è piuttosto nella parte appetitiva per laquale tendiamo alle cose, che non nella parte apprensivaper la quale tiriamo a noi le cose,

3. e, poiché la passione in senso proprio importa.mutazione corporale, c’è nell’appetito sensitivo meglioche nell’appetito intellettivo, chiamato volontà.

Quest. 23. Distinzioni delle passioni. – 1. L’appetitoconcupiscibile ha per oggetto il bene e il male semplice-mente tale.

L’appetito irascibile ha per oggetto il bene e il malearduo e difficile.

Si distingue perciò specificamente il concupiscibile dal-l’irascibile.

2. Nelle passioni dell’irascibile l’opposizione, quale c’ètra speranza e timore, dipende sia dall’oggetto, sia dalmodo di comportarsi relativamente a uno stesso termi-ne; nelle passioni invece del concupiscibile l’opposizione,quale c’è fra amore e odio, dipende solo dall’oggetto.

3. Senza il suo contrario c’è solo l’ira per la singolaresua condizione di essere passione di un male incombentedal quale non c’è scampo.

4. Differenti di specie, ma non fra loro contrarie, sononel concupiscibile: l’amore, il desiderio, il gaudio; l’odio,l’avversione e la tristezza: e nell’irascibile: la speranza el’audacia; il timore, la disperazione e l’ira.

Quest. 24. Bontà e malizia delle passioni. – 1. Bene oMale morale c’è nelle passioni, non in quanto sono motidell’appetito, ma in quanto dipendono dalla ragione esono volontarie.

2. Le passioni, che sono principio di moto di volontà,regolate dalla ragione divengono virtù.

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3. La passione, assecondando la volontà, rende l’attoumano più perfetto e perciò gli aggiunge moralità.

4. Le passioni sono di specie buona o cattiva non nellaloro entità naturale, ma nella loro entità morale.

Quest. 25. Confronto fra le passioni. – 1. Le passioni delconcupiscibile prima sono inizio, poi divenrgono terminedelle passioni dell’irascibile, così per amore si lotta e poisi gode del conquistato bene.

2. Tra le passioni del concupiscibile prima c’è l’amore,che è del bene, poi c’è l’odio, che è del male.

3. Fra le passioni dell’irascibile la prima è la speranzache è del bene, poi viene il timore che è del male.

4. Gaudio e tristezza, speranza e timore sono lepassioni principali e gaudio e tristezza sono le passionifinali.

Quest. 26. Dell’amore. – 1. L’amore appartiene all’appe-tito concupiscibile ed è triplice: naturale, sensitivo, razio-nale.

2. L’amore strettamente parlando è passione dell’appe-tito sensitivo; in senso largo è passione della volontà.

3. Amore non è lo stesso che dilezione, perché qustaè esclusiva della volontà e presuppone una scelta fattadalla ragione.

4. Amare è voler bene, ma o si vuole bene a sé o sivuole bene ad altri, perciò l’amore si divide in amore diconcupiscienza e amore di amicizia.

Quest. 27. Cause dell’amore. – 1. Causa propria dell’a-more è il bene, ossia ciò che a ciascuno è connaturale eproporzionato: il male si ama se apparisce bene. Il bel-lo è lo stesso che il bene, colla differenza che il possesso

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del bello sta nella vista o nella cognizione, il possesso delbene nell’unione.

2. Causa prossima dell’amore è la conoscenza del bene.Ignoti nulla cupido.

3. Anche la somiglianza è causa di amore, perciòognuno ama il suo simile.

4. L’amore è il principio delle altre passioni, che a essosi possono ridurre, non può quindi esserne l’effetto, senon accidentalmente.

Quest. 28. Effetti dell’amore. – 1. L’amore ha per effettoun’unione reale alle cose presenti; un’unione di affettoalle cose apprese come parte di se stesso e questo è amoredi concupiscenza, o a quelle apprese come altro se stesso,e questo è amore di amicizia.

2. Effetto di amore è la mutua adesione dell’animoperché l’amore fa che l’amante sia nell’amato.

3. L’estasi è affetto di amore; può esserci per appren-sione di bene o anche di male, come nel frenetico, ovveroper una potente inclinazione.

4. Lo zelo e la gelosia sono effetto di amore, perchél’amore intenso fa ricacciare ciò che gli è contrario e loostacola.

5. L’amore, avendo per oggetto il bene, per sé èconservativo e perfettivo; può però riuscire lesivo per suaintensità o per l’oggetto cattivo.

6. L’amore è la causa di tutto ciò che fa chi ama: è peril fine che si opera.

Quest. 29. Dell’odio. – 1. Come il bene è causadell’amore, così il male è causa dell’odio.

2. L’odio deriva dall’amore, perché è l’amore che faconoscere una cosa come ripugnante a ciò che si ama.

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3. Benché sia più sensibile dell’amore, non è peròl’odio più forte dell’amore, perché sarebbe un effettosuperiore alla causa.

4. Ciascuno naturalmente ama se stesso; nessuno quin-di, per sé, può odiare se stesso; ciò può essere accidental-mente, cioè per falso giudizio;

5. e neppure si può, per sé, odiare la verità, perché veroe bene sono lo stesso.

6. L’odio universale non può esserci nell’appetitosensitivo se non come inclinazione naturale; nella parteintellettiva invece può esserci anche come intenzione.

Quest. 30. Del desiderio. – 1. La concupiscenza, ossiail desiderio del piacere, appartiene propriamente l’appetitosensitivo.

2. Il desiderio è distinto dall’amore e dalla gioia: l’og-getto presente appaga, ecco la gioia, – l’oggetto assen-te conforma a sé l’appetito, ecco l’amore; – l’oggetto as-sente attrae, ecco il desiderio; esso è quindi una passionespeciale.

3. C’è un desiderio naturale, come quello del cibo, checi è comune cogli animali e si chiama concupiscenza; ec’è un desiderio, non così naturale, che segue cognizionee si chiama cupidigia.

4. Si può dire infinito e il desiderio che segue la ragione,la quale va all’infinito, e il desiderio dell’ultimo fine cheè infinito.

Quest. 31. Del piacere o godimento. – 1. Il piacere o go-dimento, è una passione, perché è un moto dell’appetitosensitivo proveniente da cognizione sensitiva,

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2. essendo quiete dell’animo, per sè, non appartieneal tempo, che sta nel moto e successione; si misura peròanche esso sul tempo, se al tempo soggiace l’oggetto cuisi aderisce.

3. Differiscono piacere, o godimento, e gaudio, perchéil gaudio è proprio delle facoltà razionali, agli animaliquindi si attribuisce piacere, ma non gaudio;

4. può esserci infatti piacere anche nelle facoltà raziona-li, appunto perché c’è l’appetito razionale che si chiamavolontà.

5. Il godimento corporale è più sentito e più veemen-te, ma è maggiore il godimento che si ha da operazioni spi-rituali, perché più nobili, più vaste ed è più intima colbene posseduto la cognizione dell’intelletto, perché essopenetra ogni cosa, e si riflette anche su se stesso.

6. I piaceri del tatto sono i più utili, perché servono allaconservazione; ma quelli della vista sono più importantiperché servono all’intelletto.

7. Per causa di qualche difetto può esserci qualche go-dimento non naturale come quello di mangiare i carboni;

8. ci sono anche piaceri uno all’altro contrari, quellicioè che vicendevolmente si impediscono.

Quest. – 32. Causa del godere. – 1. Il godimentoproviene da operazioni, perché la consecuzione di unbene e la cognizione di tale consecuzione sono una speciedi operazione.

2. A dilettare concorrono il bene, l’unione col benee la cognizione di questa unione ma in tutto ciò c’è unamisura e perché non sopravvenga la noia occorre variare.Da ciò: variata placent: il variare è causa di diletto.

3. La speranza, che fa presente un bene come possibi-le, e la memoria, che ce lo fa presente col ricordo, sonocausa di godimento.

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4. Anche la tristezza può essere causa di godimento, inquanto fa pensare o alla cosa amata o al male sfuggito;

5. lo sono, anche, le altrui azioni, quando procuranoun bene a noi o agli amici nostri;

6. lo sono anche i benefici che facciamo, perché ilbene dell’amico è come nostro e perché possiamo speree compiacerci.

7. Anche la somiglianza, che genera amore, cagionagoimento.

8. La meraviglia, in quanto fa nascere la speranza diconoscere ciò che fa stupire, è causa di godimento; così,pure le rarità che ammiriamo ci procurano diletto.

Quest. 33. Effetti del godimento. – 1. Il godimento haper effetto di allargare, come metaforicamente si dice, lamente e il cuore.

2. Il godimento, quando è di cosa presente, ma nonposseduta, genera sete, ossia desiderio, di se stesso.

3. Il godimento corporale distrae dall’uso della ragione,ne è contrario, conturba troppo e lo impedisce; mentreil godimento spirituale lo accresce.

4. Il godimento fa che più si attenda all’operazione chelo produce, impedisce però le altre operazioni.

Quest. 34. Bontà e malizia del godimento. – 1. Ilgodimento non è sempre cattivo; se è conforme a ragione,è buono;

2. parimenti il godimento non è sempre buono, perchétalora è buono per qualcuno soltanto, od è solo apparen-temente e non veramente buono.

3. C’è poi un godimento che è ottimo, ed è quella delsommo bene cioè dell’ultimo fine.

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4. Regola del bene o del male è il godimento, non peròquello dell’appetito sensitivo, bensì quello della volontàche è appetito razionale.

Quest. 35. Del dolore e della tristezza. – 1. Il dolore èpassione dell’anima, benché la causa sia nel corpo, perchéè per l’anima, che lo fa vivere, che il colpo sente il dolore.

2. Il dolore che proviene da apprensione d’intelletto odi imaginazione, propriamente si chiama tristezza;

3. e questa è opposta al gaudio, perché opposto a quellodel gaudio ne è l’oggetto;

4. e in generale gaudio e tristezza sono sempre fra lorocontrari perché contrari fra loro sono bene e male che neformano l’oggetto: talora sono soltanto disparati e per-ciò non si escludono a vicenda; così può accompagnarsial dolore per la morte dell’amico il gaudio della contem-plazione;

5. a questo gaudio anzi nessun dolore è contrario esoltanto per accidente gli si unisce;

6. per sé il desiderio del piacere è più forte della fuga deldolore, talora però avviene il contrario; perché il bene siapprezza solo quando è perduto e il dolore impedisceogni diletto.

7. Il dolore interno è più forte del dolore esterno,che affligge solo il corpo; vero è che talora si incontravolontariamente il dolore esterno per evitare il doloreinterno.

8. Quattro sono le specie di dolore o tristezza:, miseri-cordia, invidia, ansietà è accidia.

Quest. 36. Cause del dolore e della tristezza. – 1. Ildolore è causato più dal male presente che dal bene chenon si ha più.

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2. Il desiderio possessivo, quando è ostacolato, puòcagionare dolore;

3. parimenti il desiderio unitivo, finché non è sodisfat-to, è causa di dolore, perché tutto ciò che contraria l’in-clinazione naturale è causa di dolore;

4. perciò anche un potere, cui si vorrebbe, ma non puòresistere, è causa di dolore.

Quest. 37. Effetti del dolore e della tristezza. Un grandedolore sensibile, impedendo l’applicazione dell’anima,impedisce di imparare.

2. Il dolore opprime l’anima come fosse un peso.3. inoltre rende fiacchi nell’operare, finché non diventa

principio di reazione.4. Il dolore nuoce al corpo più delle altre passioni,

perché ritarda il giusto battito del cuore: e ancora piùdelle altre pesa, perché il suo oggetto è un male presente.

Quest. 38. Rimedi del dolore e della tristezza. 1. ll doloresi lenisce con qualunque diletto, come fa il riposo per uncorpo affaticato.

2. Il dolore si lenisce col pianto, perché è il suo naturalesfogo, si riversa anche fuori e diminuisce dentro,

3. lenisce il dolore la compassione degli amici, chediventa un sollievo di amore,

4. lenisce grandemente il dolore lo studio del vero esopratutto la celeste contemplazione.

5. Il dolore si lenisce anche col sonno e col bagno,perché con questi la natura è ricondotta al suo stato eil cuore al suo battito regolare.

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Quest. 39. Bontà e malizia del dolore e della tristezza. –1. Il dolore per sé è male; ma non è, per esempio, malerattristarsi del male.

2. Quindi è onesto il dolore che proviene da rettitudinedi volontà e di ragione;

3. anzi è utile, quando eccita a fuggire ciò che sidete-sta.

4. Il dolore del corpo non è male sommo, perché è maledi pena ed è più grande il male di colpa.

Quest. 40. Speranza e disperazione. – 1. La speranza,come passione, è distinta dal desiderio: sia perché questoha per oggetto il bene semplicemente, mentre la speranzaha per oggetto un bene futuro, arduo, possibile; siaperché il desiderio è dell’appetito concupiscibile, mentrela speranza è dell’irascibile;

2. la speranza, riferendosi al bene, appartiene allafacoltà appetitivi anziché alla facoltà apprensiva.

3. L’appetito irascibile c’è anche negli animali, quindianche in loro c’è la speranza.

4. La speranza è di un bene arduo possibile cui ci siavvicina i la disperazione è di un bene arduo impossibileda cui ci si allontana, sono perciò una all’altra contrarie.

5. L’esperienza, rendendoci più atti e più esperti, ècausa di speranza.

6. Oggetto della speranza è un bene futuro, arduo,possibile: perciò hanno molta speranza i giovani, chehanno più di futuro e di vitalità e meno di esperienza;gli ubriachi che nulla considerano e gli stolti che tentanoogni impresa.

7. La speranza deriva dall’amore del bene che si spera,talvolta però è essa causa di amore verso colui nel qualesi spera.

8. La speranza giova all’opera, perché non solo nonimpedisce, ma invece favorisce la naturale inclinazione.

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Quest. 41. Del timore. – 1. Il timore muove a fuggireun male futuro, difficile a evitarsi, è quindi una passionedell’anima;

2. è anzi una passione speciale, perché il suo oggetto,cioè un male futuro difficile a evitarsi, è un oggettospeciale.

3. Il timore non è naturale nel senso che appartengaa tutta la natura, anche alle cose prive di cognizione;tuttavia c’è un timore naturale, come quello della morte,al quale la natura stessa ci inclina.

4. Il timore nell’agire dell’uomo può diventare ritro-sia, rossore e vergogna e nell’apprensione dell’uomo puòessere stupore, spavento e agonia.

Quest. 42. Oggetto del timore. – 1. Il bene è oggettoindiretto del timore, in quanto se ne teme la privazione:oggetto diretto è il male;

2. oggetto del timore può essere anche un male naturale,come è la morte, quando però sia evitabile;

3. non può invece propriamente essere oggetto deltimore il peccato, perché è in nostro potere di evitarlo;

4. si può anche aver timore di aver timore, come si puòdolersi di dolersi.

5. Le cose repentine si temono di più, perché appaionoun male maggiore e mancano i pronti rimedi.

Le persone calme e astute, che nascondono l’ira e ildanno che si teme, cagionano maggior timore di quelleche mostrano la collera.

6. Le cose poi contro le quali non c’è rimedio sonoqulle che maggiormente si temono, perché si reputano piùdurature.

Quest. 43. Cause del timore. – 1. Il timore derivadall’amore del bene di cui si teme la privazione, ma il

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timore può anche essere causa dell’amore, quando chiteme la punizione osserva i comandi, comincia a speraree viene avviato ad amare.

2. Causa del timore è o la debolezza nel soggetto, o laforza dell’oggetto che può nuocere.

Quest. 44. Effetti del timore. – 1. Il timore, che sta inuna contrazione, stringe il cuore e trattiene il respiro.

2. Il timore rende riflessivi, benché come ogni passioneimpedisca di bene riflettere.

3. Il timore fa tremare, perché il timore contrae lavitalità e le membra esterne si indeboliscono: quindi faanche impallidire;

4. toglie anche le forze del corpo e così impediscedi operare, ma quanto alle forze dell’anima, se non èeccessivo, le sollecita.

Quest. 45. Dell’audacia. – 1. L’audacia è il contrariodi timore, perché ha lo stesso oggetto, ma si trova al latoopposto.

2. L’audacia, che sta nell’affrontare un male terribile,deriva dalla speranza di conseguir un bene.

3. I difetti, per sé, non sono causa di audacia; lo possonoperò essere quei difetti che escludono il timore, come p.es. un cuore piccolo, che batte più forte, e l’amor delvino, che toglie la conoscenza del pericolo.

4. Gli audaci sono più eccitati in principio che in finedi un pericolo, perché il loro è un moto dell’appetitosensitivo con giudizio avventato. Fanno il contrariocoloro che sono veramente forti.

Quest. 46. Dell’ira. – 1. L’ira non è passione generalein quanto sia causa di altre passioni, ma in quanto deriva

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dal dolore subito e dalla speranza di vendetta, cioè dalconcorso di più cause.

2. L’ira vuole la vendetta quale bene, contro il nemicoche si reputa il male; questo è il suo oggetto.

5. L’ira appartiene non al concupiscibile, ma all’irasci-bile, tanto che dall’ira esso prende nome.

4. L’ira, fa la proporzione fra il male patito e la penada infliggersi, questo è proprio della ragione, nell’ira c’èquindi sempre un che di ragione;

5. perciò all’uomo l’ira è più naturale che la concupi-scenza, mentre all’animale è più naturale la concupiscen-za che l’ira.

6. L’odio è peggiore dell’ira, perché l’odio vuole il malecome male e l’ira lo vuole come giusta vendetta,

7. e poiché vuole la giusta vendetta di un’ingiustaazione, l’ira riguarda tanto la giustizia quanto l’ingiustizia;

8. l’ira poi, secondo i suoi gradi, si distingue in rabbiae furore.

Quest. 47. Cause dell’ira. – 1. Causa dell’ira è semprequalche cosa fatta contro chi si adira;

2. questa si riduce sempre a essere mancanza deldovuto rispetto.

3. Chi si adira ha per motivo dell’ira la propria dignità,ma ha per causa un difetto;

4. l’abbiezione poi di chi provoca è causa di più facile odi maggior ira, come avviene, quando il ricco è insultatoda un povero.

Quest. 48. Effetti dell’ira. – 1. L’ira, col pensiero e lasperanza della vendetta, cagiona diletto.

2. L’ira è ciò che più di tutto scalda il cuore, perché ilsuo è un moto di impetuosità e veemenza.

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3. L’ira sopra tutte le passioni impedisce l’uso di ragio-ne, perché più di tutte turba il cuore e sconvolge l’orga-nismo;

4. e lo sconvolgimento talora è tale, che la lingua restaimpedita di parlare e allora l’ira è causa di taciturnità.

Quest. 49. Abiti in generale. – 1. L’abito, parola chederiva dal verbo avere, e vale: «aversi secondo la proprianatura o secondo il fine», è: buona o cattiva qualità.

2. ed è una determinata specie della qualità, perchéè disposizione del soggetto in ordine alla sua natura eanche perché è disposizione stabile;

3. perché è disposizione secondo natura, e natura vuoldire sostanza considerata come principio delle operazio-ni; così abito importa sempre: principio di operazione.

4. Gli abiti sono perfezioni, la perfezione è necessariaessendo il fine stesso dell’esistenza, gli abiti quindi sononecessari.

Quest. 50. Soggetto degli abiti. – 1. Il corpo che ha il suomoto o dalla natura o dall’anima, che lo fa vivere, nonè propriamente soggetto di abiti che sono disposizionia operare; gli possono essere attribuiti come abiti lesue disposizioni abituali, quali la sanità, impropriamenteperò, perché non sono stabili; in un istante si perdono.

2. Prossimi principi di operazione per la natura sonole potenze, perciò gli abiti appartengono alle potenzedell’anima: la grazia tuttavia è sola dell’anima;

3. alle potenze sensitive però spettano solo in quantodipendono dalla ragione.

4. Poiché la scienza, la sapienza, l’intelligenza sonooperazioni dell’intelletto, i relativi abiti sono pure dell’in-telletto.

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5. Anche la volontà è una potenza dell’anima e a leicompete l’abito della giustizia.

6. Anche gli Angeli hanno nella volontà e nell’intellettogli abiti che bene li dispongono in ordine a Dio.

Quest. 51. Causa degli abiti. – 1. Abito naturaleè l’intelletto dei principî: cioè tutti hanno da naturala disposizione di applicare alle cose apprese dai sensiprincipi dell’intelletto: così vedendo una cosa e una suaparte si applica il principio che il tutto è maggiore dellaparte.

2. Una potenza spesso eccitata a operare diviene piùfacilmente eccitabile; così acquista una stabile disposi-zione a compiere il suo atto; acquista l’abito della suaoperazione, perciò si dice che la ripetizione di un atto neinduce l’abito.

3. Un solo atto non basta a generare un abito di virtùnella potenza appetitiva, perché con un solo atto non sene vince la resistenza passiva; basta invece nella potenzaconoscitiva, perché l’intelletto, capìta una volta una cosa,ne ha tosto la scienza.

4. Quanto agli atti che si riferiscono all’ultimo fine –la vita eterna – che eccede le forze umane, i relativi abitinon possono essere che infusi da Dio.

Quest. 52. Accrescimento degli abiti. – 1. L’abito puòdivenire più intenso o farsi più rilassato sia in sé, sia nellapartecipazione di chi ne è il soggetto e così può crescereo diminuire:

2. il crescere però non sta nell’aggiungere ancora abito,ma nel perfezionarsi del soggetto in esso; il crescere poidella scienza sta nell’estendersi delle cognizioni.

3. Ogni atto che sia all’altezza dell’intensità del suoabito lo accresce, se è al disotto lo diminuisce.

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Quest. 53. Diminuzione e perdita degli abiti. – 1. L’abitosi perde o per l’esercizio di atti a esso contrari, o per ilvenir meno della potenza cui si riferisce; così colui, cuivien meno la vista, può perdere la scienza dello spazio.

2. L’abito, come può crescere, così può diminuire;3. e la diminuzione avviene per la mancanza dell’eserci-

zio.

Quest. 54. Distinzione degli abiti. 1. Una stessa potenzapuò avere parecchi oggetti e perciò parecchi atti e quindiancora parecchi abiti; p. es. l’intelletto può possedereparecchie scienze.

2. Un abito si distingue specialmente da un altro perragione o del suo principio attivo, o della sua natura, odel suo oggetto;

3. gli abiti poi si distinguono sopratutto in buoni ecattivi, secondoché inclinano a atti convenienti o sconve-nienti alla natura.

4. Un abito non è mai un composto di molti altri abiti,perché ogni abito è una forma semplice.

Quest. 55. Virtù nella sua essenza. – 1. La virtùrende una potenza perfetta; la potenza è perfetta se hala determinazione al suo atto; la determinazione all’attoè un abito, perciò la virtù è un abito;

2. virtù umana è quella che perfeziona le potenzeproprie dell’uomo, cioè le potenze razionali; essa quindinon è abito entitativo, ma è abito operativo;

3. ed è abito operativo buono, perché altrimenti nonsa-rebbe perfezione delle potenze.

4. S. Agostino la definisce bellamente: Buona qualitàdell’animo per cui rettamente si vive, di cui male non siusa (e che Dio opera in noi, se la virtù è infusa).

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Quest. 56. Soggetto delle virtù. – 1. Soggetto dellevirtù sono le potenze; perché le virtù sono perfezioni dellepotenze;

2. ma una stessa virtù non può trovarsi in diversepotenze, perché è qualità, cioè accidente e un accidentenon può essere in più soggetti.

3. La virtù è propria della volontà o di una potenza, inquanto mossa dalla volontà; quindi anche dell’intelletto,in quanto mosso da buona volontà; così l’intelletto spe-culativo può avere la virtù della fede e l’intelletto praticopuò avere la prudenza.

4. La virtù può essere anche dell’irascibile, e del concu-piscibile in quanto obbediscano alla ragione;

5. ma le facoltà della conoscenza sensitiva non possonoessere soggetto delle virtù, perché le virtù morali o intel-lettuali ed i sensi possono soltanto esser buone disposi-zioni per l’intelligenza;

6. soggetto invece delle virtù può essere la volontà, dacui il concupiscibile e l’irascibile dipendono.

Quest. 57. Distinzione delle virtù intellettuali. – 1. Gliabiti intellettuali si possono dire virtù non in quanto fac-ciano essi operare il bene, perché questo è proprio dellavolontà, ma in quanto procurano la facoltà di operare ilbene.

2. Le virtù dell’intelletto speculativo sono 3: Intellettoo intuizione dei principi che si rendono evidenti; scienzao ragionata e piena cognizione dei diversi generi di cose;sapienza o conoscenza profonda che arriva agli ultimiperché delle cose.

3. L’arte, o giusta norma dell’esecuzione di un’opera èvirtù in quanto procura la facoltà di ben agire;

4. la prudenza invece o «giusta norma delle nostreazioni» è virtù non in quanto procura tale facoltà, ma

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in quanto esige l’uso retto delle facoltà, perciò è dietadall’arte.

5. Il ben vivere sta nel ben operare, il ben operaresta nella retta elezione, per la retta elezione occorre laprudenza, perciò la prudenza è all’uomo necessaria;

6. alla prudenza poi si accompagnano: l’eubulia, lasinesi e la gnome che fanno essere ponderati, perspicacie decisi.

Quest. 58. Distinzione delle virtú morali dalle intellet-tuali. – 1. Non tutte le virtù sono virtù morali; virtù mo-rali sono quelle che rettamente inclinando la parte appe-titiva regolano i costumi;

2. e benché anch’esse abbiano per principio la ragio-ne, tuttavia si distinguono dalle virtù intellettuali, perchéalla ragione obbediscono potendovi contraddire.

3. Nell’uomo non ci sono altri principi attivi oltrel’intellettivo e l’appetitivo; perciò è sufficiente la divisionedelle virtù in intellettuali e morali;

4. divisione non è però esclusione, ché anzi nonci può essere virtù morale senza le virtù intellettuali,dell’intelletto, che fa presenti i principî morali, e dellaprudenza; che procura la buona scelta;

5. le virtù intellettuali invece possono trovarsi senza levirtù morali; però eccettuata la prudenza che in se stessaè «retta norma dell’agire».

Quest. 59. Le virtù morali e le passioni. – 1. La virtùmorale, che è principio di moto dell’appetito sensitivo ebuon abito, non è passione, che è semplicemente motodell’appetito sensitivo, per se indifferente.

3. la virtù morale non è incompossibile colla tristezza;perché chi è virtuoso si rattrista di ciò che è contrariò allavirtù.

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4. La giustizia, che è virtù morale, regola la volontàche è appetito intellettivo, perciò non tutte le virtù moraliregolano passioni;

5. c’è quindi una virtù morale, cioè la giustizia, chepuò trovarsi senza la compagnia delle passioni; che sequalcuna,. come il gaudio, l’accompagna, ciò è solo perridondanza.

Quest. 60. Distinzione delle virtù morali tra di loro. –1. Le virtù morali appartengono alla volontà, la volontàha per oggetto il bene appetibile, questo varia secondoil suo rapporto colla ragione, varie sono quindi anche levirtù e non una sola.

2. Le virtù morali che regolano le azioni sono distinteda quelle che regolano i moti interni di passione, cosicchéchi percuote un altro manca esteriormente di giustizia einteriormente manca di mansuetudine.

3. L’ordine di ragione delle nostre azioni esterne sicommisura da ciò che a ciascuno è dovuto, c’è dunquea regola delle nostre azioni una virtù generale, che com-prende la religione, la pietà, la gratitudine etc. ed è lagiustizia;

4. a regola, invece dei moti interni di passioni diverseci sono diverse virtù; una sola è impossibile perché lediverse passioni appartengono a potenze diverse.

5. Le virtù morali si distinguono secondo la materia,le passioni e gli oggetti e anche secondo le operazioni, eAristotele ne numera undici.

Quest. 61. Le virtù cardinali. – 1. Virtù cardinali sonoquelle che contengono la rettitudine dell’appetito; que-sto è proprio delle virtù morali, fra queste sole quindicisono virtù cardinali;

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2. le virtù morali principali o cardinali sono 4: a regoladella ragione la prudenza, a regola della volontà la giusti-zia, a regola dell’appetito concupiscibile la temperanza,a regola dell’irascibile la fortezza.

3. Virtù cardinali oltre e piú di queste quattro non ce nesono, perché in queste quattro ci sono tutte le principaliragioni formali di virtù;

4. esse diversificano fra di loro secondo la diversitàdegli oggetti,

5. secondo poi i diversi atteggiamenti dell’uomo inordine a Dio, ultimo fine, tali virtù sono o politiche, opurificanti, o di animo purificato, od esemplari.

Quest. 62. Le virtù teologali. – 1. Oltre alle virtù mo-rali, che sono proporzionate alla beatitudine naturale, cene sono altre, proporzionate alla beatitudine sopranna-turale; esse si chiamano teologali, perché hanno Dio peroggetto, ed infuse, perché non le abbiamo se non da Dio;

2. e poiché è loro oggetto Dio, in quanto però eccedela cognizione della ragione nostra, esse si distinguonodalle virtù intellettuali e morali, il cui principio è laragione.

3. Le virtù teologali, che hanno per oggetto la beatitu-dine, la quale eccede la naturale capacità umana(perchéne occhio vide, ne cuor desiderò.... S. Paolo) sono 3: perl’intelletto la fede; e per la volontà: a tendere a Dio lasperanza; a unirsi a Dio, la carità; e questa è numerazionee distinzione perfetta.

4. La fede è prima della speranza e della carità, perchésenza conoscere Dio non si può amarlo; ma la carità èpiù eccellente della speranza e della fede perché è la loroperfezione.

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Quest. 63. Cause delle virtù. – 1. Da natura abbiamo,non la virtù, ma il principio di operazione, che virtùperfeziona.

2. La virtù morale possiamo averla dalla frequenza degliatti: ma la virtù teologica totalmente è solamente da Dio,perciò si dice infusa.

3. In proporzione delle virtù teologiche vengono innoi infuse da Dio anche alcune virtù morali.

4. Le virtù morali acquisite hanno uno scopo umano,invece le infuse hanno uno scopo soprannaturale, divino;queste perciò sono da quelle distinte.

Quest. 64. Giusto mezzo nelle virtù. – 1. Virtù èconformità colla retta ragione, da questa, che è misura,ci si allontana o per eccesso o per difetto, quindi virtù èstare nel giusto mezzo: In medio stat virtus.

2. Questo giusto mezzo della ragione non sta nellostesso atto della ragione, ma sta nella conformità dellacosa colla retta ragione, ovvero sta nella materia stabilitadalla retta ragione, che nella giustizia si identifica collacosa, e nelle altre virtù morali sta nel l’animo nostro.

3. Anche per le virtù intellettuali c’è un giusto mezzo esta fra un difetto e un eccesso, cioè fra un’ affermazionefalsa e una negazione falsa.

4. Invece nelle virtù teologali il giusto mezzo non èda ricercarsi in Dio, ma nella nostra condizione; mancaquindi chi non spera ciò che nelle sue condizioni puòsperare.

Quest. 66. Connessione fra le virtù. – 1. Le virtù moralisono perfette quando una non è senza l’altra, perchétutte sono radicate nella prudenza, e la prudenza non èperfetta senza le altre virtù: sono quindi fra loro legate.

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2. Le virtù morali acquisite possono stare senza lacarità; non sono però assolutamente perfette, perchési chiudono nell’ambito dell’ordine naturale; invece levirtù infuse che riguardano l’ordine soprannaturale nonpossono essere senza la carità,

3. e la carità non è mai scompagnata dalle virtù morali;esse vengono infuse insieme con lei, affinché l’uomo siaperfettamente ordinato al suo ultimo fine.

4. Per sé fede e speranza possono trovarsi senza la carità,perché nella loro origine non dipendono dalla carità; manon sono perfette, perché è perfetta la virtù che indirizzaa opera perfettamente buona, perciò non sono vere virtù;

5. la carità invece non può stare senza la fede e lasperanza, perché sono esse che iniziano alla carità.

Quest. 66. Grado delle virtù. – 1. Diversi sono i gradidelle virtù e cioè: nel genere di virtù secondo la lorospecie; nella stessa specie secondo i diversi soggetti; nellostesso soggetto secondo i diversi tempi: la virtú quindipuò essere maggiore o minore.

2. In un medesimo soggetto le virtù, che insieme si tro-vano, sono eguali, perché eguale per tutte è il giusto mez-zo che una medesima ragione segna; salvo le particolariinclinazioni o doni di grazia.

3. Come per sé l’intelletto è più nobile della volontà,così per sé le virtù intellettuali sono più nobili delle virtùmorali e di esse la più grande è la sapienza.

4. Ordine di nobiltà fra le virtù morali è: giustizia, cheregola più da vicino la ragione, fortezza e temperanza:prima virtù morale è quindi la giustizia:

2. invece fra le virtù intellettuali la prima è la sapien-za, che ha per oggetto la Causa Altissima, dalla quale siguarda poi ai sottostanti effetti; essa è detta virtù archi-tettonica.

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6. La più grande fra le virtù teologali è la carità, perchéla fede è di ciò che non si vede, la speranza di ciò chenon si ha, la carità è di ciò che si possiede.

Quest. 67. Durata delle virtù dopo la morte. – 1.Nell’altra vita restano le virtù morali, in quanto buoniabiti, ma senza passioni da regolare.

2. Nell’altra vita restano le virtù intellettuali, maper leidee, non per la fantasia.

3. Nell’altra vita la fede, che è di ciò che non si vede,cessa, perché allora si vede;

4. cessa la speranza, che è di ciò che non si ha, perchéallora si ha,

5. e non ne resta di loro nemmeno una parte, perchésono abiti semplici non divisibili in parti;

6. la carità invece si perfeziona da quello che era inquesta vita e resta anche nell’altra vita.

Quest. 68. I doni dello Spirito Santo. – 1. Le virtù sonoperché l’uomo segua l’eccitamento della ragione; i donisono perché l’uomo segua l’eccitamento dello SpiritoSanto, si distinguono adunque dalle virtù.

2. Ancorché la ragione sia informata dalle virtù teo-logiche, la sua mozione non è sufficiente al fine sopran-naturale; occorre anche la mozione dello Spirito Santo,occorrono i doni:

3. come le virtù, così anche i doni sono disposizionistabili e perciò abiti permanenti dell’anima.

4. I doni sono 7, così convenientemente disposti:a) Quanto all’Apprensiva:

Per la ragione speculativa – L’intelletto.

» » pratica – Il consiglio.

Per il giudizio speculativo – La sapienza.

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» » pratico – La scienza.

b) Quanto all’Appetitiva:

verso le persone – La pietà.

contro le cose che spaventano – La fortezza.

» le cose che allettano – Il timore di Dio.

5. I doni dello Spirito Santo sono fra loro legati, perchéradicati nella carità;

6. essi dureranno, nella loro essenza, anche nell’altravita e saranno perfettissimi.

7. La enumerazione solita dei doni, presa da Isaia, lidispone secondo l’ordine di dignità e si trova in accordocolla elencazione fatta sopra, benché ciò non sembri,perché son da prendersi a gruppi e l’ordine talora èinverso.

8. Le virtù teologali sono superiori ai doni, perché nesono la regola, ma i doni sono superiori alle altre virtù,perché essi danno una mozione superiore, cioè quelladello Spirito Santo.

Quest. 69. Le beatitudini. – 1. Le beatitudini sonooperazioni delle virtù e dei doni, le quali ci avviano allabeatitudine eterna; sono perciò distinte dai doni e dallevirtù;

2. i premi assegnati alle beatitudini sono premi dellavita futura, che cominciano in questa.

3. Le beatitudini sono bellamente ordinate; infatti:a) esse ritraggono dagli allettamenti di questa vita:

delle ricchezze e degli onori: Beati i poveri;

dell’irascibile: » i miti;

del concupiscibile » i piangenti;

b) esse nella vita attiva col prossimo

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inclinano alla giustizia: » i famelici;

ritraggono dall’avarizia: » i misericordiosi;

c) esse dispongono alla vita contemplativa

colla purezza: Beati i mondi;

col trattar bene il prossimo: » i pacifici.

4. Parimenti sono in bella corrispondenza enunciati ipremi delle beatitudini, che ritraggono dagli allettamentie reggono nella vita attiva e contemplativa, quando sidice: Beati i poveri. perché di loro è il regno dei cieli,ecc.

Quest. 70. I frutti dello Spirito Santo. – 1. I fruttidello Spirito Santo sono atti, quelli cioè che si compionosecondando la mozione dello Spirito Santo.

2. Essi vanno distinti dalle beatitudini; frutti sono ope-re virtuose che procurano gaudio spirituale; beatitudinisono opere perfette che procedono dai doni dello SpiritoSanto;

3. essi sono: carità, gaudio, pace, pazienza, benignità,bontà, longanimità, mansuetudine, fede, modestia, con-tinenza, castità, come dice S. Paolo (Ga1. V: 22 – 23);scaturiscono in noi in quanto per la mozione dello Spiri-to Santo l’anima si dispone bene o in se stessa, o riguardoal prossimo o riguardo ai propri atti:

4. essi ci fanno tendere al cielo e perciò possonodirsi contrari alle opere della carne, che ci fa tendere allebassezze della terra.

Quest. 71. Vizi e peccati: – 1. Vizio è il contrario dellavirtú, perché è contrario alla ragione e ordinato al male.

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2. Distintivo della natura umana è la ragione; la virtù èconformità alla ragione; il vizio è contrarietà alla ragionee quindi anche alla natura.

3. L’abito sta fra la potenza e l’atto ed è l’atto che ren-de cattivo l’abito più che viceversa; perciò l’atto vizioso èpeggiore del vizio.

4. Un peccato mortale fa cessare le virtù infuse, manon le acquisite, perché queste con un solo atto nons’acquistano e nemmeno si perdono.

* Il peccato mortale espelle la carità e con lei la fede ela speranza in lei radicate; se restano la fede e la speranza,restano perciò informi e quindi non vere virtù.

5. Il peccato non consiste sempre in un atto, perchétalvolta il peccato consiste nell’omissione di un atto, chesi poteva e si doveva fare.

6. Peccato è un atto umano cattivo; cattivo si puòdire in confronto di una norma e le norme sono due:la prossima cioè la retta ragione; la remota cioè la leggeeterna: alla norma poi si fa contro con atti, parole,desideri.

Quest. 72. Distinzione della specie dei peccati. – 1.Ogni atto viene specificato dal suo oggetto; il peccato èun atto, perciò un peccato è di specie diversa di un altrosecondo la diversità dell’oggetto.

2. L’oggetto del peccato produce un godimento disor-dinato e poiché tale godimento può essere o spirituale ocorporale, perciò i peccati si distinguono altresì in peccatispirituali e peccati carnali.

3. I peccati si distinguono specificamente, non secondola causa efficiente, che è eguale per tutti i peccati, essendoessa la volontà, ma secondo la causa finale, perché il fine,che è oggetto della volontà, specifica gli atti umani.

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4. Il peccato è un atto disordinato; l’ordine contro cuiva il peccato è triplice: Dio, prossimo, sé stesso, da ciò sidistinguono i peccati contro Dio, il prossimo e se stesso;

5. non si distinguono invece specificamente secondoil reato che importano, perché questo non precede, maconsegue il peccato: perciò la distinzione dei peccati inveniali e mortali non è una distinzione specifica;

6. e nemmeno, strettamente parlando, è una distin-zione specifica la distinzione di peccati di omissione e dicommissione, perché l’avaro pecca tanto rubando l’altruiguanto non pagando i debiti.

7. La distinzione dei peccati in peccati di pensiero, diparole e di opere è giusta; ma non è distinzione di specie,è invece distinzione di grado.

8. I peccati che stanno fra loro come l’eccesso e ildifetto sono fra loro contrari e perciò tanto più sonodifferenti di specie: p. es. l’avarizia e la prodigalità.

9. Le circostanze non mutano la specie dei peccati, ciòperò purché non ci sia in esse un motivo particolare, chediventa fine dell’atto, perché il fine specifica gli atti equindi i peccati.

Quest. 73. Gravità dei peccati. – 1. Le virtù sono legateuna all’altra, perché sono fra di loro connesse; i peccatiinvece non sono fra di loro connessi, perché ce ne sono diquelli che sono contrari uno all’altro come prodigalità eavarizia.

2. I peccati sono più o meno gravi secondo che siallontanano più o meno dalla rettitudine della ragionee perciò non sono tutti eguali.

3. La. gravità dei peccati varia secondo l’oggetto cosìgraduato: cose, persone, Dio; essendo le cose per l’uomoe l’uomo per Iddio;

4. varia anche secondo la dignità delle virtù cui vannocontro, perché anche esse prendono specie dall’oggetto.

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5. I peccati di carne sono di maggiore infamia; ma ipeccati di spirito sono più gravi, perché in questi l’incen-tivo è minore.

6. Le cause che diminuiscono l’uso della ragione edella volontà diminuiscono anche il peccato, perché allecause si proporziona l’effetto.

7. La circostanza influisce nel peccato e perciò lo ac-cresce, talvolta la aggrava soltanto, talvolta lo moltiplica;talvolta infine lo cambia anche di specie.

8. Il danno che un peccato produce aggrava il peccato,ed è sempre imputabile quando segue per sé l’atto delpeccato o quando essendone un effetto fu previsto edinteso.

9. Aggrava il peccato la dignità della persona contro cuisi commette, perché essa è in qualche modo oggetto delpeccato;

10. e lo aggrava anche la dignità della persona chelo commette, perché il peccato è più disdicevole e dimaggiore scandalo.

Quest. 74. Soggetto del peccato – 1. Il peccato è un attoumano; principio dell’atto umano è la volontà, perciòsoggetto del peccato è la volontà;

2. ma poiché oltre gli atti «eliciti» della volontà cisono anche gli atti «imperati» delle potenze che da leidipendono, perciò soggetto del peccato non è soltanto lavolontà,

3. anche la sensualità ossia il moto dell’appetito sensi-tivo, può dipendere dalla volontà, perciò anche nella sen-sualità può esserci il peccato;

4. all’ultimo fine però può assurgere la ragione enon la sensualità, perciò peccato mortale, ossia disordinerelativo all’ultimo fine, può esserci nella ragione, ma nonnella sensualità, quale solo appetito sensitivo.

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5. La ragione può mancare al suo compito o errandonella cognizione della verità o non bene regolando gliatti delle potenze inferiori, perciò anche nella ragione, siasuperiore che inferiore, può esserci il peccato.

6. La ragione deve regolare gli atti esterni e gli attiinterni e manca al suo compito non solo quando ordina imoti cattivi, ma anche quando non li reprime; in questosta la dilettazione morosa, essa perciò appartiene allaragione.

7. Il consenso all’atto non è che giudizio finale dell’at-to; il giudizio finale spetta al superiore, perciò il consensosta nella ragione superiore.

8. Altra cosa è dilettarsi di un nostro pensiero e altracosa è acconsentire al diletto che sorge in noi per il pen-siero di un oggetto cattivo; questa non è che consentirea un atto cattivo e perciò, se la materia è grave, è peccatomortale.

9. Il consenso spetta alla ragione superiore, il consen-so poi può essere di peccato veniale; nella ragione supe-riore può esserci quindi anche peccato soltanto veniale,

10. e poiché la ragione superiore nel suo stesso attopuò essere sorpresa e portata al consenso non con intui-zione e anche deliberazione, ma di sola intenzione c sen-za deliberazione, perciò anche il consenso di peccato mor-tale può essere peccato soltanto veniale per l’imperfezionedell’atto.

Quest. 75. Cause del peccato in generale. – 1. Il peccatoè un atto difettoso, esso perciò ha la sua causa come atto,ed è la volontà; ed ha la sua causa come difettoso, ed è lamancanza di dovuta rettitudine.

2. La causa interna del peccato è prossima cioè la ra-gione e la volontà, e remota cioè l’immaginazione el’ap-petito sensitivo.

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3. Causa esterna pel peccato possono essere le cosemondane, gli uomini, il demonio; ma la causa esternaè indiretta e vale in quanto muove la ragione e l’appetitosensitivo; può muovere, ma non indurre al peccato.

4. Un peccato può in vari modi essere causa di un altropeccato e sopratutto perché dispone ad altri peccati e neprepara la materia.

Quest. 76. Cause del peccato in particolare. – 1. L’igno-ranza può essere causa di peccato quando è privazione diquella scienza che, se ci fosse stata, avrebbe illuminata laragione e questa avrebbe diretto diversamente la nostraazione.

2. È peccato non sapere ciò che si può e si deve sapere;ciascuno poi è tenuto a sapere: 1. Le cose di fede – 2. Lecose principali della legge. – 3. I doveri particolari delproprio stato.

3. Solo l’ignoranza antecedente e invincibile di ciò chesi deve sapere può scusare totalmente il peccato.

4. Quando si pecca per ignoranza, se l’ignoranzaè colpevole il peccato diminuisce, perché diminuisce lavolontà di peccare; ma se fu apposta cercata il peccatocresce.

Quest. 77. Parte dell’appetito sensitivo nelle cause delpeccato. – 1. Le passioni dell’appetito sensitivo non agi-scono direttamente sulla volontà, perché essa è una fa-coltà immateriale dell’anima, ma agiscono indirettamen-te, e ciò in due modi, distraendola o impedendo il rettogiudizio della ragione.

2. La volontà tende sempre a ciò che è bene, o chela ragione le presenta come bene; ma la ragione puòessere sopraffatta dalla passione, la quale o distrae, o

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spinge al contrario la ragione, o commuove e conturbal’organismo, tanto che taluno per ira o amore impazzisce;

3. le passioni così si possono dire malattie dell’anima,che impediscono le operazioni sue proprie, come la mio-pia impedisce la vista chiara.

4. Causa del peccato è rivolgersi alle cose terrenecontro la norma della ragione, ciò si fa per disordinatoamore di se stessi, e questo quindi è sempre causa delpeccato;

5. e le cose terrene cui l’uomo si rivolge contro la normadella ragione sono i beni che dilettano il concupiscibile ocol contatto: concupiscentia carnis – o coll’apprensione:concupiscentia oculorum; e quelli che allettano l’irascibilecolla mira di cosa ardua: superbia vitae.

6. Un peccato può essere reso meno grave dalla passio-ne quando essa è antecedente e per la sua veemenza di-minuisce il libero arbitrio; non così se la passione è con-seguente, cioè viene di seguito all’uso del libero arbitrio.

7. Le passioni quando tolgono l’uso della ragione,scusano dal peccato, purché però non siano volontarie,

8. tuttavia il peccato, pur provenendo dalla passione,è mortale se la ragione potendo e dovendo non resiste atempo alla passione.

Quest. 78. La malizia come causa del peccato. 1. Ilpeccato di malizia certa è il peccato conosciuto e volutoed è di chi pecca per calcolo anziché per ignoranza opassione.

2. Abitudine è ferma e quasi naturale disposizionedella volontà al male; quindi chi pecca per l’abitudinepecca di malizia certa;

3. talora uno fa un peccato di malizia certa senzaaverne l’abitudine, come può fare un atto virtuoso senzaaverne la virtù, perciò un peccato di malizia certa indica

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sempre cattiva inclinazione, ma non indica sempre anchel’abitudine cattiva.

4. Chi pecca per abitudine è più reo di chi pecca perpassione, perché ha la volontà più legata al male.

Quest. 79. Cause esterne del peccato. – 1. Dio, sommobene, non può essere causa del peccato, che sta nel volereil male.

2. L’uomo nulla fa se non sostenuto da Dio, CausaPrima; ogni azione umana è quindi e dell’uomo e di Dio;però il peccato che è un’azione difettosa, procede da Dio,in quanto è azione; ma il difetto proviene dall’uomo. Cosìil zoppicare proviene non dai centri nervosi, ma dallagamba corta.

3. Dell’accecamento della mente e dell’induramentodel cuore Dio è causa non perché spinge al male, ma per-ché sottrae la grazia che illumina la mente e ammollisceil cuore;

4. ed hanno di mira talvolta il ravvedimento del reo etalvolta la sua dannazione ad altrui esempio.

Quest. 80. Parte del diavolo nelle cause del pecca-to. – 1. Il demonio non è per l’uomo causa diretta e suffi-ciente di peccato, esso agisce indirettamente sulla volon-tà: 1. Presentando qualche oggetto che eccita il senso. –2. Turbando la ragione con eccitare internamente la fan-tasia e l’appetito sensitivo. – 3. Sforzandosi di persuade-re la ragione che la cosa proposta è bene: causa direttadel peccato è la volontà;

2. il diavolo non sempre apparisce visibilmente, perciòistiga al peccato internamente eccitando la volontà, lafantasia e l’appetito sensitivo sia nel sonno che nellaveglia;

3. esso però non può sforzare mai la volontà, perché laragione, se non ne è impedito l’uso, non è legata.

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Quest. 81. Parte dell’uomo nelle cause del peccato. 1.Tutti i posteri di Adamo si possono considerare membradi un corpo, di cui capo è Adamo, e una sola persona conlui, perché hanno la stessa natura; questa natura aveva inAdamo la giustizia originale; Adamo col peccato la haprivata della giustizia e infettata di peccato; non potevapiù trasmetterla che come tale; tutti i suoi posteri hannoil peccato originale che si dice peccato di natura.

2. Gli altri peccati di Adamo spettano a lui non comenatura, ma come persona, perciò non si trasmettono aiposteri, come non si trasmettono i meriti.

3. Il peccato si trasmette colla naturale generazione;4. perciò se qualcuno venisse da Dio miracolosamente

formato, non l’avrebbe.5. Il principio attivo dell’umana generazione è l’uomo;

perciò se avesse peccato solo Eva, il peccato originale nonci sarebbe.

Quest. 82. Essenza del peccato originale. – 1. Il peccatooriginale è un abito non operativo, ma naturale: è unadisposizione disordinata derivante dalla dissoluzione diquell’armonia che formava la giustizia originale.

2. Il peccato originale è uno di numero in ciascun uomoed è anche uno di specie, perché unica ne è la causa, cioèla privazione della giustizia originale.

3. Punto culminante di quell’armonia che formava lagiustizia originale era la soggezione della volontà Dio:perciò nel peccato originale l’avversione della volontà aDio è la parte formale, è il reato; lo scompiglio internodelle facoltà dell’uomo è la parte materiale ed è la concu-piscenza.

4. Il peccato originale è eguale per tutti, perché tuttisono egualmente figli di Adamo.

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Quest. 83. Soggetto del peccato originale. – 1. Ilpeccato originale come colpa è nell’anima soltanto; nellesue conseguenze e come pena è anche nel corpo.

2. Il peccato originale è peccato della natura umana; lanatura umana si ha dalla forma sostanziale che è l’anima;l’anima è forma sostanziale del corpo non per mezzodelle sue potenze ma per la sua essenza, perciò il peccatooriginale ha per soggetto l’anima nella sua essenza.

3. Il peccato originale, in se stesso, inerisce all’essenzadell’anima, ma nella sua inclinazione riguarda le potenzee poiché nell’inclinazione ad agire la prima potenza è lavolontà, perciò esso riguarda la volontà prima che le altrepotenze,

4. e fra queste ne sono infette maggiormente quelle che,come la generativa, servono alla trasmissione dell’infettanatura umana.

Quest. 84. I peccati cause di peccati. – 1. Radice di ognipeccato, come dice S. Paolo, è la cupidigia delle ricchezze,perché le ricchezze giovano a nutrire ed effettuare ognidesiderio cattivo.

2. Inizio di ogni peccato, come dice l’Ecclesiastico èla superbia, in quanto è un disordinato amore della pro-pria eccellenza; che si persegue specialmente cercandoil maggior acquisto di beni temporali e così si confondecoll’avarizia che di ogni peccato è la radice;

3. ma peccati capitali, che cioè sono fini della volontàe che quindi come cause finali danno origine ed inizianoad altri peccati, non sono soltanto la superbia e l’avarizia.

4. Iniziano e dirigono ad altri peccati, ossia sono pec-cati capitali, oltre la superbia e l’avarizia, la lussuria e lagola con l’allettamento dei relativi beni; l’accidia coll’im-pressione della fatica pel profitto spirituale; l’invidia perl’altrui successo che impedisce la propria eccellenza; l’ira

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per l’altrui prevalenza che eccita alla vendetta; in tutti so-no quindi sette.

Quest. 85. Effetti del peccato. – 1. Il peccato originale ciprivò dei beni della giustizia originale, il peccato attualediminuisce l’inclinazione alla virtù; il peccato però nonci priva dei costitutivi della natura umana: essa quindi, èminorata, ma non estinta;

2. è anzi impossibile che il peccato estingua tutto ilbene dell’umana natura, perché, non potendo la colpa giàstare nella grazia se non rimanesse come soggetto dellacolpa la natura umana non potrebbe esistere nemmenola colpa; similmente se il peccato estinguesse tutto ilbene di natura umana, farebbe che l’uomo non sia piùragionevole e allora non sarebbe nemmeno più capace dipeccato.

3. La giustizia originale fortificava le forze dell’anima:intelletto, volontà, concupiscibile, irascibile: col peccatooriginale ci vennero: ignoranza, malizia, concupiscenza,fragilità: queste sono le quattro ferite della natura umana;

4. ogni ente, in quanto è bene, ha misura, specie edordine: il peccato è privazione di bene, perciò è ancheprivazione di misura, specie ed ordine;

5. per la perdita della giustizia originale, vennero lamorte e i dolori, che la giustizia originale allontanava, essiquindi sono un effetto del peccato originale:

6. l’uomo è composto di corpo e di anima; il corpo èmateria corruttibile, l’anima è spirito immortale; perciònelle ragioni universali di materia la morte e i dolori so-no naturali all’uomo, non lo sono nelle ragioni partitola-ri della forma sostanziale dell’uomo la quale è, per sé, in-corruttibile; che in fatto la forma supplisse alla materia el’uomo fosse immortale fu dono della giustizia originale.

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Quest. 86. La macchia del peccato. – 1. L’anima ha undoppio candore; il rifulgere del lume naturale di ragionee il rifulgere del lume divino, attaccandosi essa disordi-natamente alle cose, soffre un contatto che la deturpa e,metaforicamente, la macchia,

2. e finché dura la mancanza di candore dura anchela macchia, la quale perciò resta anche cessato l’atto dipeccato.

Quest. 87. Reato di pena. – 1. Peccando l’uomo si sottraeall’ordine: 1. della propria ragione; 2. della società di cuiè suddito; 3. del regime divino; incorre quindi nella penadel rimorso, del disonore e della collera di Dio.

2. Per sé un peccato non può essere pena di un peccato,perché il peccato procede dalla volontà e la pena inveceè contro la volontà; può però esserlo per accidente, inquanto cioè il peccato sottrae la grazia che rafforzaval’anima e preveniva i peccati.

3. Principio dei tre ordini: individuale, sociale uni-versale, è l’ultimo fine: la sovversione dell’ordine che in-tacca perfino il principio dell’ordine, cioè la soggezionedella volontà a Dio, è disordine irreparabile e fa incorrerenella pena eterna.

4. Il peccato importa avversione a un bene infinito, perconversione a beni finiti; deve quindi corrispondere unapena parte infinita, parte finita; cioè ha pena del danno equella del senso.

5. La pena eterna è dovuta al disordine irreparabile, al-l’avversione cioè al bene infinito, la quale rompe la ca-rità, cioè l’unione con Dio; ma ai peccati il cui disordi-ne non è così grave, cioè ai peccati veniali, si deve solo lapena temporale.

6. Nel peccato si distingue l’atto che cessa e la mac-chia che resta, in questa poi c’è il reato di colpa e il rea-to di pena; questa è dovuta a compenso della divina giu-

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stizia affinché chi troppo assecondò la sua volontà soffraqualcosa contro volontà; ancorché l’uomo si ricongiunga aDio colla carità, può rimanere per le ragioni della giustiziail reato di pena da soddisfare.

7. Le pene non sono tutte punitive, ce ne sono di me-dicinali e preservative, ma siccome se non ci fosse statoil peccato originale non ci sarebbero state nemmeno lepene, perciò tutte le pene dipendono dal peccato.

8. Taluno può portare la pena dei peccati di un altroquando forma con lui un’unica persona; tale pena perònon è che soddisfatoria, e non è mai medicinale, sonoquindi escluse le pene spirituali che sono sempre medi-cinali.

Quest. 88. Peccato veniale e peccato mortale. – 1. Lasovversione dell’ordine che arriva fino all’ultimo fine èper sé irreparabile e il peccato è mortale; il disordineinvece circa i mezzi, salvo l’ultimo fine, è riparabile epeccato è veniale, questo quindi è ben distinto da quello.

2. Il peccato mortale e veniale differiscono di genereper l’oggetto, come sarebbe bestemmiare Dio o burlareil prossimo, ma differiscono anche per l’intenzione del-l’agente; perciò un peccato che per oggetto è di suo gene-re mortale, può essere veniale per imperfezione dell’attonell’agente e viceversa un peccato che per l’oggetto è digenere veniale può diventare mortale per una particolareperfidia della volontà.

3. Un peccato di genere veniale se non dispone diretta-mente al peccato di genere mortale, che è specificatamen-te diverso, vi dispone però indirettamente, sia formandoun’abitudine del peccato, sia togliendo il ritegno al pec-cato mortale:

4. per sé, però, un peccato veniale non diventa maimortale, perché mortale e veniale, differendo di genere,differiscono sempre, anche andando all’infinito:

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5. altrettanto la circostanza di un peccato veniale, fin-ché resta circostanza di peccato veniale, non può farlo di-ventare mortale; può farlo soltanto quando lo fa diventa-re di altra specie:

6. il peccato mortale poi non diventa mai veniale perl’aggiunta di un peccato veniale, come ciò che è perfet-to non diventa imperfetto per l’aggiunta di una cosa im-perfetta; il peccato mortale può diventare veniale soloper l’imperfezione dell’atto, che si verifica quando man-ca qualche cosa alla perfetta deliberazione della ragione.

Quest. 89. Il peccato veniale in sé. – 1. Il peccato venialemacchia, ma in quanto priva solamente del candore chederiva dagli atti di virtù.

3. Un peccato di genere veniale se non dispone diretta-mente al peccato di genere mortale, che è specificatamen-te diverso, vi dispone però indirettamente, sia formandoun’abitudine del peccato, sia togliendo il ritegno al pec-cato mortale:

4. per sé, però, un peccato veniale non diventa maimortale, perché mortale e veniale, differendo di genere,differiscono sempre, anche andando all’infinito:

5. altrettanto la circostanza di un peccato veniale, fin-ché resta circostanza di peccato veniale, non può farlo di-ventare mortale; può farlo soltanto quando lo fa diventa-re di altra specie:

6. il peccato mortale poi non diventa mai veniale perl’aggiunta di un peccato veniale, come ciò che è perfet-to non diventa imperfetto per l’aggiunta di una cosa im-perfetta; il peccato mortale può diventare veniale soloper l’imperfezione dell’atto, che si verifica quando man-ca qualche cosa alla perfetta deliberazione della ragione.

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Quest. 89. Il peccato veniale in sé. – 1. Il peccato venialemacchia, ma in quanto priva solamente del candore chederiva dagli atti di virtù.

2. La S. Scrittura paragona i peccati veniali alla legna, alfuoco e alla paglia, perché come queste materie bruciano,così i peccati veniali si purgano col fuoco delle temporalitribolazioni.

3. Durante la giustizia originale, essendo perfetta lasoggezione del corpo all’anima e del senso alla ragione,l’uomo non poteva peccare venialmente.

4. Gli angeli confermati in grazia, non peccano nem-meno venialmente, perché mirano sempre a Dio; i demo-ni negli atti di loro volontà sono sempre guidati dalla lo-ro superbia e peccano sempre mortalmente.

5. Sede del peccato mortale è l’anima, non la sensualità,perciò i primi moti del senso, senza il consenso della ra-gione, non sono peccati mortali nemmeno negli infedeli.

6. Quando uno raggiunge l’uso di ragione, o tosto siindirizza debitamente al fine ultimo ed è mondato dalpeccato originale, o non si indirizza e pecca mortalmen-te; perciò in un adulto non si combina il peccato originalecon un solo peccato veniale.

Quest. 90. Le leggi. – 1. Legge (dal verbo legare) èregola e misura degli atti umani: come tale è cosa dellaragione; perché è della ragione disporre in ordine al fine;è la ragione principio e misura degli atti, come l’unità èil principio e la misura del numero.

2. Il fine in ordine al quale è proprio della ragionedisporre è il fine ultimo, che è fine comune di tutti gliuomini; quindi ha ragione di legge quello che è ordinativodel bene comune.

3. Disporre al fine comune di tutti gli uomini spettaalla ragione comune di tutti gli uomini, cioè alla molti-tudine; o spetta alla ragione del principe che fa le veci

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della moltitudine; e non spetta alla ragione di qualunqueprivato.

4. Perché la legge serva da regola o misura agli attiumani bisogna che questa regola o misura sia applicata,e l’applicazione si fa colla promulgazione.

La legge adunque va definita così: ordinamento dellaragione al bene comune, promulgato da colui cui spettala cura della società.

Quest. 91. Leggi diverse. – 1. Il mondo che è rettoda Dio e disposto in ordine al fine dalla ragione, che èeterna, di Dio, che è Padrone dell’universo; c’è quindinel mondo una legge eterna.

2. La disposizione data alle cose dalla Ragione di Dio,la legge eterna, è nelle cose impressa secondo la loronatura e all’uomo è partecipata secondo la sua naturadi essere ragionevole, perciò è conosciuta per il lumenaturale di ragione: così la legge eterna si fa naturale.

3. La legge naturale dà i principii comuni, che vengo-no applicati da disposizioni particolari della ragione uma-na e queste prendono il nome di leggi umane.

4. Legge eterna, naturale, umana bastano per l’ordinenaturale; non bastano per l’ordine soprannaturale, perquesto ci vuole una legge particolare di Dio, la leggedivina.

5. La legge divina si distingue in Legge Vecchia e LeggeNuova; una imperfetta, l’altra perfetta; una con promessedi beni sensibili terreni, l’altra con promesse di beniintelligibili celesti; una legge di timore, l’altra legge diamore.

6. C’è anche la legge del fomite, ed è la stessa inclina-zione della sensualità, che negli animali è semplicementelegge; in noi è piuttosto deviazione della legge fissata perlegge della divina giustizia in pena del peccato.

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Quest. 92. Effetti della legge. – 1. Effetto della leggeè fare buoni gli uomini, perché proprio della legge èindurre i sudditi alla virtù loro propria.

2. L’ufficio della legge è: comandare gli atti virtuosi eproibire i viziosi, permettere gli atti indifferenti, inoltrepunire i mancamenti.

Quest. 93. La legge eterna. – 1. Come la sapienzacreatrice è arte, esemplare, idea delle cose create, cosìlo è degli atti la Sapienza governatrice di Dio, che dirigetutte le cose al debito fine: e la legge eterna si può dire:la ragione della divina sapienza direttiva degli atti.

* La ragione in Dio è una sola, perché è la stessa suaessenza; ma perché ha per termine molte nature, vi sonoin Dio molte ragioni ideali.

2. La legge eterna in se stessa è nota soltanto a Dio eai beati; ma per la sua irradiazione nella cognizione dellaverità è nota a tutti.

3. Essendo la legge eterna esemplare di ogni di diret-tiva di atti, ogni disposizione umana, ne è partecipazione;quindi la sapienza di Dio dice di sé: per me i legislatoridecretano il giusto;

4. alla legge eterna sono soggette tutte le cose create,siano esse necessarie, siano contingenti; le cose invece diDio non sono soggette alla legge eterna, ma sono la stessalegge eterna.

5. alla legge eterna sono soggette tutte le cose naturali econtingenti, anche le irrazionali, perché Dio la imprimein loro come principio dei loro atti;

6. alla legge eterna sono soggette le cose umane inmodo particolare, perché l’uomo la ha impressa e nellesue naturali inclinazioni e nella sua ragione.

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Quest. 94. La legge naturale. – 1. La legge naturale èun abito, non in quanto è principio di operazione, ma inquanto si possiede e si conosce non sempre in atto, masempre in abito.

2. La legge di natura indirizza l’uomo a ciò che gliconviene come natura materiale, animale, razionale, a ciòquindi che così è bene. Ora, come il primo principiointellettuale: « ciò che è non può non essere» si fondasulla nozione di ente, così il primo principio morale sifonda sulla nozione di bene ed è: fare il bene, evitareil male: a esso si riducono tutti gli altri precetti.

3. Agli atti di virtù l’uomo è inclinato dalla naturaperciò gli atti di virtù derivano dalla legge di natura.

4. La legge naturale coi suoi principii generali è egua-le per tutti; variano piuttosto le più o meno prossime de-duzioni presso i singoli.

5. Alla legge naturale nulla si può togliere; si puòperò aggiungere qualche cosa utile come applicazione,qualche applicazione, non più pratica, sostituirla: cosìsolo essa è mutabile.

6. La legge naturale può essere abolita non nei principî,ma nelle applicazioni, dai cuori umani offuscati dallepassioni.

Quest. 95. La legge umana. – 1. L’uomo ha l’attitudinealla virtù, ma la perfezione della virtù non può venirgliche da una disciplina, alla quale però esso non è dasé, d’ordinario, sufficiente; tale disciplina, chi costringealla virtù col timore della pena, è la disciplina delleleggi, perciò le leggi umane sono non solo utili, ma anchenecessarie.

2. La legge umana che sia in disaccordo colla leggenaturale è in disaccordo anche colla retta ragione; non èlegge, ma corruzione della legge: la legge umana perciòdeve derivare dalla legge naturale.

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3. Come ogni cosa è retta e misurata se ha formaproporzionata alla sua regola e misura, così anche lalegge positiva è retta e misurata sulla legge superiore seè onesta, giusta, possibile, conveniente, necessaria e utile,come dice S. Isidoro.

4. Quelle leggi che derivano dalla legge naturale comeconclusioni di principii costituiscono il diritto delle gen-ti; quelle invece che derivano come determinazioni par-ticolari formano il diritto civile; ci sono inoltre le leggi de-gli uffici particolari, dei singoli Stati e degli speciali titoli,secondo la distinzione di S. Isidoro.

Quest. 96. Potere della legge umana. – 1. La leggeumana è ordinata al bene comune, deve perciò averecarattere di generalità e di stabilità.

2. La legge umana deve essere possibile; perciò deveavere riguardo alla generalità degli uomini e prescrivereciò che tutti possono fare e proibire soltanto i vizi piùgravi; se è troppo minuziosa: munge, troppo e cava ilsangue, direbbe Salomone.

3. La legge umana può prescrivere non gli atti di tuttele virtù, ma quegli atti di virtù che fanno al bene comune,allora è utile.

4. Le leggi giuste, quando cioè il fine è il bene comune,l’autore non esorbita nelle sue attribuzioni e gli oneriper il bene comune sono perequati, obbligano anche incoscienza in base alla legge eterna,

5. tutti sono soggetti a una legge superiore, ma nontutti sono soggetti alla stessa legge e soltanto i cattivi nesentono il peso.

6. Non è la cosa che serva al discorso, ma è il discor-so che serve alla cosa; l’espressione deve interpretarsi se-condo la causa che mosse il legislatore a formularla, quan-do la legge è più dannosa che utile stando alle parole; ciòsarebbe fare epicheia e per sé è di competenza del supe-

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riore, purché non sia il pericolo improvviso e il ricorso alsuperiore impossibile.

Quest. 97. Mutazione delle leggi. – 1. La legge umana èordinamento della ragione, ma la ragione può talora esi-gere che all’imperfetto si sostituisca qualche cosa di piùperfetto e che a mutate condizioni si sostituisca qualchecosa di più adattato alla comunità; perciò si può mutare:

2. ma poiché le mutazioni della legge sono semprea scapito della forza della legge, non si deve la leggemutare senza la vera necessità o almeno senza evidente,grandissima utilità della comunità.

3. Una legge si può stabilire non solo con parole, maanche con fatti; cioè con atti conformi ripetuti, ossia collaconsuetudine, perché il legislatore può manifestare la suavolontà non solo con parole, ma anche con atti.

4. Il superiore, quando avviene che la legge comune inqualche caso particolare impedisce un bene maggiore oproduce un danno, può dispensare nella legge umana, ilche è commisurazione della legge comune ai singoli.

Quest. 98. Legge di Mosè. 1. La legge di Mosè benchéfosse imperfetta, era buona, perché era conforme allaretta ragione;

2. e, benché fosse imperfetta, proveniva da Dio, e nondal principio del male, perché era ordinata al suo figlioGesù Cristo, Signor nostro;

3. fu però data per ministero degli Angeli, perché a Diodoveva essere riservato di dare immediatamente la leggeperfetta.

4. Doveva essere data al popolo ebreo solamente, per-ché conveniva che quel popolo, da cui doveva nascereCristo, si distinguesse per santità;

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5. perciò alla legge di Mosè non erano obbligati tutti gliuomini, eccetto in ciò che essa ha della legge naturale;

6. convenne poi che la legge scritta fosse data soltanto altempo di Mosè, affinché l’uomo si convincesse della suaignoranza e della sua impotenza.

Quest. 99. Precetti della legge di Mosè. 1. La legge diMosè aveva precetti molteplici e unità di scopo: l’amoredi Dio e del prossimo.

2. La legge di Mosè conteneva anche precetti moraliper la santificazione del popolo, che si riannodavano aidieci comandamenti;

3. conteneva anche precetti cerimoniali, che indirizza-no l’uomo a Dio col debito culto;

4. conteneva inoltre precetti giudiziali, riguardanti:l’amministrazione della giustizia, per mettere gli uominiin buona relazione fra loro e con Dio.

5. La legge stessa distingue solo i precetti, le cerimoniee i giudizi; perciò le altre disposizioni sono per l’adempi-mento della legge:

6. conteneva poi minacce e promesse di bene temporaleper indurre quegli uomini imperfetti a osservarla.

Quest. 100. I precetti morali della legge di Mosè. – 1. Iprecetti morali della legge di Mosè avevano per principiola legge naturale, perché il bene morale è bene di ragione.

2. Essi riguardavano tutti gli atti di virtù, perchéproibivano tutti i peccati,

3. ed erano contenuti nel Decalogo o come conclusionidi principii o come principii di conclusioni.

4. I precetti del Decalogo sono convenientemente di-stinti da S. Agostino in 3 precetti che riguardano Dio e 7che riguardano il prossimo.

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5. I dieci comandamenti mettono l’uomo nella dovutarelazione con Dio e col prossimo; proibendo ogni offesa diopera, di parola, di sentimento sia a Dio che ai prossimi econgiunti e non congiunti: il loro numero è quindi giusto:

6. e sono anche disposti nel debito ordine, perchécominciano da ciò che è più grave prescrivendo fedeltà,riverenza e culto a Dio e proscrivendo ogni danno allapersona, alla roba e all’onore del prossimo.

7. La legge di Mosè essendo data a un popolo bambinoaveva una sanzione temporale di prosperità e di avversità.

8. Nei dieci comandamenti, poiché rappresentano laprecisa intenzione del legislatore, non si può dispensare;dispensare si può solo circa la pratica determinazione diessi.

9. Compiere il precetto in modo virtuoso, ossia conscienza con proposito e con costanza, può la legge esi-gerlo quando può punirne la mancanza; la scienza la esi-gono la legge divina e anche la legge umana; il proposi-to può esigerlo solo la legge di Dio che vede il cuore; lacostanza non la esige né legge umana né la legge divina,perché nessuna pena è comminata a chi p. es. onora igenitori anche se non lo fa per virtù.

10. neanche il modo della carità, cioè il compiere il pre-cetto per spirito di carità, nonostante il precetto positi-vo della carità, è imposto dalla legge divina, altrimenti chinon ha la carità peccherebbe pur facendo opere buone.

11. Alla legge appartenevano anche altri precetti mora-li oltre il decalogo, ordinati alla purezza dell’anima; an-ch’essi però erano riducibili al decalogo o come conclu-sioni o come determinazioni di esso.

12. I precetti morali della Legge Antica non santificava-no, ma indicavano la santificazione e a essa disponevano.

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Quest. 101. Precetti cerimoniali. 1. I precetti cerimonialisono determinazioni dei precetti morali che riguardanoDio; sono perciò quelli che spettano al culto di Dio.

2. I precetti cerimoniali della Legge Antica eranofigurativi di Cristo che ci guida al Cielo; ossia eranoombre dell’immagine che qui abbiamo della vita futura.

3. I precetti cerimoniali dovevano essere molti, perchéavevano il compito di reprimere il male nei cattivi e dipromuovere, il bene nei buoni.

4. Le cerimonie del culto antico riguardavano distin-tamente i sacrifici del culto; le cose sacre o strumenti delculto; i sacramenti o mezzi di santificazione; e le osser-vanze o segni distintivi del popolo eletto.

Quest. 102. Cause dei precetti cerimoniali. – 1. I precetticerimoniali furono fissati dalla sapienza di Dio, per ciòconvien dire che avevano finalità ed erano ragionevoli.

2. Causa finale di tali precetti cerimoniali era chefossero figurativi del Messia venturo, perciò contenevanoun senso mistico, oltre il senso letterale.

3. Le cerimonie dei Sacrifici nel senso letterale avevanola finalità di indirizzare le menti a Dio e di rimuovere glianimi dall’idolatria; e nel senso figurativo, avevano la fi-nalità di adombrare la volontaria passione e immolazionedel Cristo.

4. Le cerimonie che riguardavano le cose sacre avevanolo scopo di indurre negli animi il concetto della maestàdi Dio perché sia venerato, e di rappresentare qualchesomiglianza del Cristo; perciò le cose sacre dovevanotutte essere speciali.

5. Le cerimonie dei sacramenti, istituiti per la santifica-zione del popolo e specialmente dei ministri, miravano astabilire lo stato del culto, l’uso di ciò che appartiene alculto e la rimozione di ciò che ne è impedimento e que-

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sto ottenevano sia nel loro senso letterate, sia nel sensofigurativo del Cristo.

6. Le cerimonie delle osservanze riguardavano tutto ilpopolo eletto, ma in modo particolare i sacerdoti, alloscopo che anche nella convivenza sociale si mostrasseroadoratori del vero Dio e prefigurassero la vita cristiana.

Quest. 103. Durata dei precetti cerimoniali. – 1. Ancheprima della legge di Mosè c’erano cerimonie, quelle perònon erano di istituzione divina promulgata da Mosè.

2. Le cerimonie dell’Antica Legge purificavano per lo-ro virtù dalle immondezze corporali, ma dal peccato puri-ficavano per virtù di Cristo, come implicite protestazionidi fede in Lui.

3. Esse cessarono di aver valore alla morte di Cristo,con cui la Vecchia Legge cessò,

4. tuttavia furono per alcun tempo conservate, comedopo morte per alcun tempo piamente si conserva un ca-davere: ma in sé non si possono conservare senza peccato,perché rappresentando esse il Cristo venturo, darebbe-ro una protestazione di fede non in Cristo già venuto emorto per noi, ma in Cristo ancora da venire.

Quest. 104. Legislazione sociale mosaica. – 1. I precettigiudiziali sono determinazioni dei precetti morali cheriguardano il prossimo, e la loro natura è che hanno forzadi obbligare non solo per la ragione, ma anche per divinaistituzione.

2. I precetti della legge sociale erano direttamenteordinati a stabilire la giustizia; indirettamente però eranofigurativi, perché tutto lo stato del popolo Ebreo erapreparazione di Cristo,

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3. e perché erano figurativi di Cristo, cessarono di avervigore alla venuta di Cristo in ciò che avevano di figurativodel Cristo;

4. essi si distinguevano secondo l’ordine cui si riferivanoe che riguardava i principi, i cittadini, gli stranieri e ifamigliari.

Quest. 105. Ragionevolezza di tale legislazione. –1. La legislazione sociale mosaica importava un ottimoordinamento governativo, perché esso era monarchico –aristocratico – democratico: infatti il principe suscitatoda Dio era assistito da 72 seniori e questi venivano elettidal popolo fra il popolo.

2. Essa importava un ottimo ordinamento sociale assi-curando una saggia amministrazione della giustizia e unben regolato regime della proprietà terriera. Infatti essastabiliva:

a) una primitiva divisione dei terreni per testa;b) la ricostituzione di quella primitiva divisione ogni

cinquant’anni col giubileo;c) il correttivo alle possibili deviazioni e concentra-

zioni di patrimonio per diritto ereditario proibendo al-le donne ereditiere di contrarre matrimonio fuori tribù.– Era provvisto anche per i poveri, perché a loro era con-cesso di saziarsi sul campo altrui e di spigolarvi e per dipiù era riservato a loro il prodotto di ogni settimo an-no. – Era provvisto per gli operai, perché si doveva loropagare giornalmente la mercede.

3. Essa regolava le relazioni internazionali stabilendodebiti riguardi coi pellegrini, coi viaggiatori e coi residen-ti stranieri in tempo di pace e fissava il regime di guer-ra per cui la guerra doveva essere preceduta dall’ultima-tum e dall’offerta di pace; iniziata, doveva essere condot-ta fortemente colla fiducia in Dio; il timido e chi avevaforti interessi sarebbe stato un impedimento e si doveva

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lasciare a casa; della vittoria si doveva fare un uso mode-rato.

4. Essa infine importava un ottimo ordinamento dellasocietà domestica sia coniugale che paterna, o padronale,mirando al rispetto della vita tanto come conservazionedell’individuo, quanto come conservazione della specie.

Quest. 106. La legge evangelica. – 1. Per legge nuovas’intende anzitutto la stessa grazia della Spirito Santoscritta nei cuori; si intende anche, ma in secondo luogo,la legge scritta, che alla grazia dispone:

2. nel primo senso rende giusti, nel secondo no, quindi:lo spirito vivifica, non lo scritto.

3. La legge nuova non conveniva che fosse data findal principio del mondo, perché, essendo legge perfetta,doveva essere preceduta dalla imperfetta e sopra tuttooccorreva che l’uomo riconoscesse il suo bisogno dellagrazia.

4. La legge nuova e già perfetta, quindi non attendealtra perfezione e durerà tale fino alla fine del mondo.

* Essa è opera di Cristo e anche del Padre e delloSpirito Santo; perciò non è da aspettarsi il tempo delloSpirito Santo.

Quest. 107. Confronto fra la legge nuova e la leggevecchia. – 1. La legge nuova, che è legge d’amore edi perfezione, è diversa dalla legge vecchia, che è leggedi timore e di preparazione, benché eguale dell’una edell’altra sia il fine.

2. La legge nuova compie la vecchia, perché compiequanto la legge vecchia prometteva e ne attua le figure,dando la Redenzione ed il Cristo, che completò la leg-ge dandone la intelligenza, precisandone i precetti ed ag-giungendo i consigli.

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3. La legge nuova era contenuta nella legge vecchia,perché vi era in potenza, come l’albero nel seme, essendol’una la perfezione dell’altra.

4. La legge vecchia era più pesante per il numero deiprecetti. Ma la legge nuova è più difficile perché riguardaanche l’interno.

Quest. 108. Precetti della legge nuova. – 1. Non doveva-no mancare nella legge nuova gli atti esterni di sacramen-ti da riceversi, di virtù da praticarsi, per cooperare allaGrazia di Gesù Cristo che opera nel nostro interno.

2. Le disposizioni della legge nuova circa gli atti ester-ni di uso dei sacramenti e di esercizio di virtù sono suf-ficienti perché a essa non spettava che determinare, co-mandando o proibendo, i sacramenti e i precetti moralirelativi a quelle che sono naturalmente virtù.

3. È poi perfetta nella legge nuova l’informazionecristiana della vita interiore; giacché nel discorso dellamontagna Gesù Cristo, dopo promulgate le beatitudini ecostituita la dignità apostolica, stabilisce l’uomo quantoal suo interno in perfetto ordine colle cose, col prossimo,con Dio.

4. La legge di Gesù Cristo liberò gli uomini dalla far-ragine di precetti cerimoniali e giudiziali della Legge diMosè, perciò è detta legge di libertà, conveniva quindiche la professione di perfetta virtù: castità, povertà, obbe-dienza, fosse proposta e inculcata a modo di consiglio.

Quest. 109. Della grazia. – 1. Certamente se Dionon ci avesse data e non ci conservasse la ragione e nonle movesse all’atto, nulla potremmo conoscere; questolume naturale basta da se per conoscere verità di ordinenaturale che sono intelligibili per mezzo di cose sensibili.Per cose, invece, più alte l’intelletto nulla può senza un

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lume particolare, per esempio, il lume di fede in questavita, il lume di gloria nell’altra.

2. Prima del peccato l’uomo aveva forza sufficienteper il bene proporzionato alla sua natura; non però per ilbene di ordine soprannaturale: dopo il peccato è comeun ammalato, e non ha forze sufficienti né per il benesoprannaturale né per tutto il bene naturale e abbisognadi un doppio aiuto divino: uno sanante, l’altro operante,oltre al movente, necessario sempre.

3. Amare Dio sopra tutte le cose avrebbe l’uomo potutonello stato di natura integra, – non ancora cioè corrottae nemmeno elevata all’ordine soprannaturale – perchéciò era naturale a lui come anche a tutte le cose, chetendono all’ultimo fine; abbisognava soltanto della graziamovente; ma per far ciò nello stato di natura corrottal’uomo anzitutto ha bisogno della grazia sanante.

4. Osservare tutti i comandamenti senza la grazia pote-va l’uomo prima del peccato, non può farlo dopo il pec-cato senza la grazia sanante; fare peraltro ciò per amoredi Dio senza la grazia non lo poteva neppure prima,

5. e neppure la vita eterna egli poteva meritare senzala grazia; perché essa supera le forze naturali.

6. Stato necessario per disporsi a fare buone opere emeritare con queste Iddio è la grazia santificante: ma perdisporsi ad acquistarla è necessaria una grazia di Dio cheispiri il buon proposito, perché ciò che primo muovela volontà è il fine, qui il fine supera le forze naturali;occorre perciò una mozione speciale:

7. altrettanto la grazia è necessaria per risorgere da unpeccato commesso, e ciò tanto più che Iddio deve ridarela grazia santificante, raddrizzare la volontà e rimetterela pena eterna, per riparare i danni del peccato.

8. In istato di natura integra l’uomo poteva evitare ipeccati mortali e veniali per la generale provvidenza diDio conservatore; in istato di natura riparata, può evitare ipeccati mortali e anche ogni singolo peccato veniale, non

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però tutti i veniali; in istato invece di peccato la fragilitànon solo pei veniali, ma anche per mortali è così grande,che non si può durare molto tempo senza commetterne,perché il loro peso trascina.

9. Astenersi dai peccati è parte negativa, quanto allaparte positiva – fare cioè opere buone e prevenire il male– date la concupiscenza e l’ignoranza che restano, è cosaper la quale anche i giusti hanno bisogno della graziaattuale:

10. e una grazia attuale di ordine speciale è necessaria algiusto per essere stabile nella grazia contro il complessodi tutte le tentazioni ed è la perseveranza finale.

Quest. 110. In che consiste la grazia. – 1. QuandoDio, non per l’amore per cui ama tutte le cose, ma perun amore speciale eleva una creatura razionale sopra lasua condizione a partecipare del bene di Dio, dà a lei lagrazia santificante e questa conferisce all’uomo uno statonuovo.

2. In proporzione di tale elevazione Dio conferisceanche una abituale inclinazione a conseguire il bene so-prannaturale, e questa inclinazione o grazia abituale è unaqualità.

3. Questa qualità – lume di grazia – è distinta dallevirtù infuse che sono da quel lume derivate e a questolume indirizzate.

4. Appunto perché c’è prima delle virtù, se le virtùappartengono alle potenze, essa appartiene all’essenzadell’anima, che delle potenze è principio.

Quest. 111. Divisione della grazia. – La grazia si distin-gue in grazia che fa l’uomo gradito a Dio ed è la graziasantificante, e grazia gratuitamente concessa, e sono i do-ni che superano la facoltà e i meriti della nostra persona

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e ci fa cooperatori della salute altrui: p. es. il dono deimiracoli.

2. La volontà umana non può muoversi al bene se nonriceve il moto da Dio: ecco la grazia operante; già mossaal bene non può, comandando alle facoltà, compierlo seDio non sorregge e la volontà e le facoltà: ecco la graziacooperante.

3. La grazia, per ragione degli effetti, sta con questoordine: 1. sana; 2. opera; 3. coopera; 4. dà perseve-ranza; 5. glorifica. Ciascuna sussegue a quella che è pri-ma, previene quella che è dopo: così si distingue in pre-veniente e susseguente.

4. Le grazie gratuitamente concesse ci fanno coopera-tori di Dio nella salute del prossimo; per questo compi-to è necessario conoscere intimamente le cose divine, po-terle provare, saper bene proporle: le grazie gratuite sonoperciò convenientemente ed ordinatamente noverate da S.Paolo così: spirito di sapienza, di scienza e di fede; gra-zia di guarigioni, di portenti, di profezia e di scrutazionedelle coscienze; dono dei linguaggi e dono dei discorsi.

5. La grazia santificante però, che direttamente ci indi-rizza all’ultimo fine, supera la grazia gratuita, perché que-sta ci indirizza solo a ciò che è preparatorio dell’ultimofine.

Quest. 112. Autore della grazia. – 1. La grazia è unaqualche partecipazione della natura divina; può venirequindi soltanto da chi ha natura divina, da Dio.

2. La grazia abituale che è qualità, forma, la qualenon può sopravvenire che a materia disposta a riceverla,esige da parte dell’uomo la disposizione; ma per la graziaattuale movente non ci può essere da parte dell’uomodisposizione che prevenga l’azione di Dio; invece tuttoproviene da Dio.

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3. Quando Iddio inizia una azione di grazia, è certoche anche la continua, purché il libero arbitrio dell’uo-mo non la contrasti, quindi a chi fa ciò che sta in lui Dionon nega la sua grazia, però il libero arbitrio che la asse-conda non può darsi il merito di pretenderla, perché èsempre azione che supera le esigenze e le facoltà naturalidell’uomo.

4. Grazia, chi ne ha più e chi ne ha meno e questavarietà di grazie fu disposta da Dio per bellezza dellaChiesa.

5. Se Dio non lo rivela, nessuno può sapere con certezzadi avere la grazia, perché essa dipende totalmente edesclusivamente da Dio; se ne possono però avere indizi.

Quest. 113. Effetti della grazia. – 1. La giustificazionedell’empio importa moto da contrario a contrario e cioèremissione del peccato e acquisto della giustizia; prendepoi nome da questa, perché più importante.

2. Il peccato reca a Dio offesa; l’offesa non vienerimessa se Dio non ci ridà la sua pace, che consiste nelsuo amore: effetto di questo amore è la grazia che cirende degni della vita eterna, perciò non s’intende laremissione della colpa se non coll’infusione della grazia.

3. Dio dà la giustificazione movendo l’uomo ad acqui-starla; e siccome egli muove tutte le cose secondo la loronatura, e l’uomo ha per natura il libero arbitrio, il motodell’uomo è sempre di libero arbitrio.

4. Per acquistare la giustificazione l’empio si rivolgecolla mente a Dio; questo primo rivolgersi colla mente aDio si fa colla fede, quindi per la giustificazione occorre lafede.

5. L’empio che di libero arbitrio si rivolge a Dio per lagiustificazione, deve altrettanto di libero arbitrio staccarsidal peccato colla detestazione e il proposito, perché Dioe peccato sono termini antitetici.

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6. Questo moto di distacco dal peccato, di odio alpeccato, viene completato dalla remissione della colpa daparte di Dio, anch’essa quindi fa parte della giustificazionedell’empio.

7. La giustificazione nelle sue varie parti avviene in unsolo istante, perché è opera della potenza infinita di Dio;

8. tuttavia per ordine naturale la prima cosa è la infu-sione della grazia, perché è questa che caccia la colpa e lapena.

9. Considerato il modo di operare, la Creazione,che è dal nulla, è più grande della giustificazione di unpeccatore; ma questa, per il suo termine che è il benesoprannaturale, è maggiore della Creazione, che ha pertermine cose di ordine naturale.

10. Dio solo può operare la giustificazione di un pec-catore, essa quindi può per questo dirsi un fatto miraco-loso; non è però tale dal lato della capacità naturale, per-ché l’anima non è come un cadavere che non ha capa-cità naturale di vita; essa ha una naturale capacità dellagrazia; infine è un fatto solito e non già straordinario.

Quest. 114. Del merito. – 1. Merito, in senso di mercededovuta per giustizia, ci può essere per coloro fra i qualic’è eguaglianza; fra Dio e l’uomo non c’è eguaglianza,perciò merito presso Dio c’è solo se Dio ha disposto chel’uomo consegua come mercede quello a che egli stessolo aiuta.

2. Senza aiuto di grazia l’uomo non avrebbe potutomeritare la vita eterna neppure prima del peccato; per-ché la vita eterna supera le forze naturali e per essa civuole quindi un moto, un impulso superiore; tanto me-no quindi dopo il peccato e col peccato.

3. L’uomo per la sostanza delle opere buone e per illibero arbitrio non può aver merito di giustizia, ma solodi convenienza per la vita eterna; però per effetto della

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grazia santificante, che lo eleva all’eguaglianza con Dio,può aver merito di giustizia. È lo Spirito Santo che operain lui.

4. Principio di merito più che le altre virtù è la carità,che indirizza a Dio e rende volonterosi.

5. Nessuno può meritare la prima grazia, quella chemuove l’uomo alla giustificazione, perché chi ne abbi-sogna è in stato di peccato e non può meritare; se fossegiusto e potesse meritarla, più non avrebbe bisogno dellaprima grazia.

6. Gesù Cristo come capo della Chiesa può meritare digiustizia la prima grazia per gli altri; i giusti invece posso-no meritarla solo di convenienza, e questo in proporzionedella loro amicizia con Dio.

7. Nessuno può assicurarsi la conversione dopo unpeccato futuro, perché quel peccato lo priva del meritodi giustizia e diventa un obice al merito di convenienza;

8. si può invece meritare anche di giustizia l’aumentodella grazia, che non è se non progresso nella via in cuiuno si trova per giungere al fine.

9. La perseveranza finale non è effetto della grazia, mapiuttosto principio e causa della grazia, perciò nessunopuò conseguirla come effetto del suo stato di grazia, Diola dà gratis a chi la dà.

10. Termine del merito è la vita eterna: se i benitemporali giovano alla vita eterna, sono oggetto di merito,se no, strettamente parlando, no.

Sez. Seconda

Quest. 1. Le Fede. – 1. L’oggetto della nostra fede è laprima verità, cioè Dio; esso è l’oggetto e insieme il motivodella nostra fede; va detto quindi che della Fede Egli èl’oggetto e materiale e formale.

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2. Dio, oggetto materiale della nostra fede, è un ogget-to complesso da parte dei credenti, perché l’intelletto no-stro può formularne gli articoli soltanto procedendo conaffermazioni o negazioni, ma non è un oggetto complessoda parte di Dio, perché Dio è semplice.

3. Dio è l’oggetto formale della fede, cioè il motivo percui crediamo; la fede perciò non poggia sul falso, perchéDio, che illumina la nostra fede, non può farci vedere ilfalso.

4. Fede si ha delle cose che non appariscono, perciòoggetto della fede non è ciò che l’intelletto da sé intende,ma ciò cui esso si piega per comando della volontà;

5. perciò una stessa verità non può essere oggetto edell’intendimento e della fede nello stesso tempo e peril medesimo soggetto, può invece esserlo per soggettidiversi: quello tuttavia che vien proposto da crederecomunemente non è inteso dagli intelletti.

6. Vengono distinte in articoli le verità da credere,perché, come nel nostro organismo distinguiamo gli arti,così, conviene al nostro intelletto che anche nell’oggettodella Fede, il quale è per lui complesso, distinguiamotanti piccoli arti, o articoli.

7. Lungo il corso dei secoli gli articoli di Fede crebberoma non quanto alla sostanza, bensì quanto al loro svolgi-mento e quanto alla professione esplicita dei Fedeli.

8. La Chiesa poi ha distintamente formulato gli articolidella Fede nella Divinità e della Fede nell’umanità di G.C.,

9. ed ha operato opportunamente riunendoli nel Sim-bolo.

10. Sul Simbolo però, trattandosi di cosa che riguardatutta la Chiesa, ha competenza chi è il Capo di tutta laChiesa, cioè il Papa.

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Quest. 2. L’Atto di Fede. – 1. Credere è pensarecon assenso e precisamente con assenso fermo, altrimentisarebbe o dubitare, o sospettare, o opinare.

2. Le espressioni: credo Deum, credo Deo, credo inDeum, indicano una l’oggetto materiale, l’altra l’oggettoformale, la terza l’oggetto finale della Fede.

3. Se fede si ha di ciò cui la mente da sé non arriva e sepoi senza fede non si può piacere a Dio, è necessario cre-dere in qualche cosa, che supera la ragione umana. La Fe-de infatti ci ammaestra in ciò che guida alla visione bea-tifica, la quale è di natura superiore alla natura umana.

4. Anzi, parlando in generale, si deve dire che la Fedeè necessaria anche in ciò, a cui la Ragione potrebbe da séarrivare, come l’esistenza di Dio; perché solo così tutti,subito e senza errori arrivano alla cognizione della veritàdivina.

5. Le prime cose da credersi, cioè gli articoli di Fede,si devono credere esplicitamente, invece le cose che han-no relazione secondaria colla Fede basta crederle impli-citamente.

6. I superiori poi, che devono istruire gli inferiori, de-vono credere esplicitamente più cose che non gli inferio-ri.

7. Dalla venuta di G. C. in poi la fede esplicita dell’In-carnazione è necessaria a tutti per salvarsi,

8. ed egualmente è necessaria la Fede, esplicita dellaTrinità, perché coll’Incarnazione fu resa a tutti manife-sta.

9. Credere è meritorio, perché è un atto libero, cheasseconda la mozione della grazia;

10. la ragione poi accresce il merito se si volge aillustrare la verità della Fede, ma la diminuisce se è essache induce l’intelletto a credere.

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Quest. 3. Professione della fede. – 1. La professioneesterna della Fede è atto di Fede, essendo termine dellaFede, così come la parola è termine del pensiero.

2. La professione della Fede è necessaria per salvarsi,essa però è, come ogni altro precetto positivo, che obbli-ga, ma non per ogni momento, sibbene per quelle datecircostanze.

Quest. 4. Virtù della Fede. – 1. Le parole dell’Apo-stolo: «Fede è sostanza di cose sperate e argomento dellenon parventi », benché non siano una definizione forma-le della Fede, ricavata cioè dal genere prossimo e dalladifferenza specifica, tuttavia ne sono una definizione de-scrittiva, desunta dal suo oggetto, la visione cioè beatifi-ca iniziantesi colla fede, e dal suo effetto, l’assenso cioèdell’intelletto alle cose non apparenti.

2. La Fede sta, come in suo soggetto, nell’intelletto,perché il credere è atto dell’intelletto, avendo il credereper oggetto la verità ed avendo la verità rapporto coll’in-telletto; e la Fede è principio del credere.

3. La Carità poi è la forma della Fede, giacché la formaè ciò che rende perfetto ed è la carità che rende perfettala Fede, la quale opera per amore:

4. e poiché la carità, che è la forma della Fede, appar-tiene alla volontà anziché all’intelletto così può darsi chela Fede si trovi in un intelletto unito a una volontà pri-va della Carità e della grazia e sia così una Fede imperfet-ta, informe, e che riesca poi una Fede formata e perfetta,quando cioè la volontà conseguisca la carità, cioè la gra-zia; e può darsi pure che una Fede prima formata, poi siainforme.

5. Vera virtù è soltanto la Fede formata, perché essasoltanto è principio di atti perfetti.

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6. La Fede, da parte degli uomini che la posseggono,è molteplice, ma da parte di Dio, che ne è l’oggetto, èunica ed eguale per tutti.

7. La Fede per sé è la prima virtù, perché è il principiodella vita spirituale e non si può amare Dio, ultimo Fine,né sperare in Lui, se non lo si conosce per Fede; acciden-talmente però, siccome senza umiltà non c’è Fede, così sipuò dire che la prima virtù è l’umiltà.

8. La Fede ha maggiore certezza della scienza, dellasapienza e dell’intelletto, sia da parte della sua causa,che è il Verbo di Dio; sia da parte dell’assenso, perchél’assenso della Fede è fermo.

5. Chi ha Fede? – 1. Gli Angeli e gli uomini furonocreati in grazia e perciò ebbero la Fede, che è inizio epreparazione alla visione beatifica.

2. Fede, che è assenso dell’intelletto sotto l’impero del-la volontà, ne hanno anche i demoni, costrettivi dall’evi-denza dei segni, ma la loro è una fede forzata che a lorodispiace.

3. Chi nega fede anche a un solo articolo della Fede,degli altri articoli non ha nemmeno la Fede informe,perché con ciò rigetta lo stesso oggetto formale dellaFede, cioè l’autorità della Chiesa, che procede da Dio;e perciò degli altri articoli l’eretico può avere soltantoun’opinione secondo la propria volontà.

4. Uno può avere più Fede degli altri sia quanto al nu-mero degli articoli, sia quanto alla fermezza dell’intellet-to e alla prontezza della volontà.

Quest. 6. Chi causa la Fede? – 1. È Dio che infondela Fede: Egli causa in noi la Fede quanto all’oggettomateriale, perché è Dio che rivela le verità da credersi;ed Egli causa in noi la Fede anche quanto all’assensodella mente, perché esso proviene dalla volontà, mossa

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però dalla grazia, e non già dal solo libero arbitrio comepretesero i Pelagiani.

2. La stessa Fede informe è dono di Dio, perché ancheessa è Fede e, se è informe, lo è per un difetto; nonintrinseco, ma estrinseco, per la mancanza cioè di Caritàdella volontà.

Quest. 7. Effetti della Fede. – 1. Effetto della Fedeè il timore; ed in particolare il timore servile è effettodella Fede informe che fa temere la punizione di Dio,Giudice; il timore figliale è effetto della Fede formatache fa temere la separazione da Dio, Sommo Bene.

2. Effetto della Fede è anche la purificazione del cuore,perché, se impurità è mescolanza con cose più basse, pu-rificazione sarà il contrario, e di questa il primo principioè la Fede, la quale ci innalza fino all’unione con Dio.

Quest. 8. II dono dell’Intelletto. – 1. L’Intelletto è undono dello Spirito Santo, perché esso è quel lume dellamente per cui si penetra nella considerazione delle cosesoprannaturali, alle quali la forza naturale della mentenon arriva.

2. Il dono dell’Intelletto non è incompatibile colla Fede,perché esso si esercita intorno ai misteri, come la Trinità,non per capirli, ma per ammirarne la consistenza degliargomenti di fronte alla inanità delle obiezioni; ovverosi esercita intorno a cose che non sono di fede, mahanno ordine alla Fede, come sarebbe una conoscenzaprofonda della Scrittura.

3. Il dono dell’Intelletto è non solo speculativo, maanche pratico perché esso si esercita anche in tutto ciòche ha ordine colla Fede e ordine colla Fede lo hannoanche le buone opere.

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4. Il dono dell’Intelletto lo posseggono tutti quelli chehanno la grazia, perché nessuno può essere indirizzatoperfettamente al bene soprannaturale senza la conside-razione di questo bene e in tale considerazione sta ap-punto il dono dell’intelletto.

5. Il dono dell’Intelletto perciò non si può trovare, senon impropriamente, in chi non ha la grazia santificante,perché non può dirsi che uno segue pienamente le mo-zioni, che lo Spirito Santo gli fa sentire, se ha il cuoredistolto dall’ultimo fine.

6. Il dono dell’Intelletto si distingue dagli altri donie perché appartiene alla potenza conoscitiva, anzichéall’appetitiva, e perché detta potenza conoscitiva è unafunzione speciale, la penetrazione cioè della verità dellaFede.

7. Per la visione di Dio occorre e l’intelletto e lamondezza del cuore: all’Intelletto quindi corrisponde la6. beatitudine.

8. E al dono dell’Intelletto corrisponde anche la Fedenei suoi frutti, che sono la certezza in questa vita e ilgaudio nell’altra.

Quest. 9. Il dono della Scienza. – 1. La Scienza è un donodello Spirito Santo, perché, come nelle cose materialiper l’assenso della mente occorre, oltre all’intelletto percapire ciò che è proposto, anche la scienza per giudicarese si deve o no prestare l’assenso, così anche nelle cosesoprannaturali occorre, oltre l’intelletto, anche la scienzaper discernere le cose che sono da credersi da quelle chetali non sono.

2. La Scienza vale a formulare un giudizio certo;giudizio certo è quello che si fa in base alle cause, perchécome la causa prima è causa delle cause seconde, cosìrettamente si giudica delle cause seconde in base allacausa prima. Della causa prima, cioè Dio, non si può

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giudicare che per se stessa, e questa è sapienza, ossiacognizione delle cause altissime: delle cause seconde, cioèdelle cose del mondo, si giudica invece rettamente in basealla causa prima, cioè Dio; e questa è scienza, distintadalla sapienza.

3. La Scienza è principalmente speculativa, perché fache sappiamo cosa si deve tenere per Fede, ma anchepratica, perché la Fede ci indirizza nelle opere all’ultimofine.

4. Al dono della Scienza corrisponde la 3. beatitudi-ne: Beati coloro che piangono, perché ci fa conoscere diquanto inciampo ci sono le cose del mondo nel camminospirituale.

Quest. 10. Gli infedeli. – 1. Un infedele è in peccato seè infedele, perché rigetta la Fede che gli viene predicata;ma non è in peccato se è infedele, perché della Fede nonha mai sentito parlare. La sua è piuttosto una disgrazia,effetto del peccato di Adamo.

2. Come il credere è atto dell’intelletto, così la man-canza di fede appartiene all’intelletto, come a suo sogget-to; ma appartiene anche alla volontà, come a causa moti-va.

3. Negare la fede è il peccato che più ci allontana daDio; però fra i tre peccati: infedeltà, disperazione e odiodi Dio, i quali sono i più gravi di tutti, perché sonoopposti alle virtù teologali, il più pernicioso per noi è ladisperazione della salute.

4. Non si può dire che ogni opera degli infedeli, anchele elemosine, siano peccati, perché è vero bensì che l’infe-deltà è peccato, il peccato però è corruttivo del bene so-prannaturale, ma non è corruttivo anche di tutto il benenaturale. Tuttavia tali opere, benché naturalmente buo-ne, non essendo fatte in grazia non sono meritevoli di vi-ta eterna.

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5. L’infedeltà rispetto alla Fede è di 3 specie: quelladei pagani, che resistono alla Fede, che non hanno mairicevuta; quella degli ebrei che resistono alla Fede rice-vuta e professata, ma solo in figura; quella degli eretici,che resistono alla Fede ricevuta e professata, ma solo inparte.

6. Quanto alla pervicacia nel resistere alla Fede, glieretici sono più rei degli ebrei e questi più dei paganie benché, quanto alla verità della Fede, errino i paganipiù degli ebrei e questi più degli eretici, assolutamenteparlando l’infedeltà peggiore è quella degli eretici.

7. Le dispute pubbliche con gli infedeli, può farlechi è fermo nella Fede e le fa a titolo di esercizio o diapostolato; pecca invece chi, non essendo fermo nellaFede, la fa per vedere se la Fede è vera: parimenti sipossono fare davanti a fedeli che sono dotti e fermi nellaFede; ma non si devono fare davanti a fedeli che sonopersone semplici e la cui Fede viene messa a repentaglio,perché gli infedeli e i cattivi approfittano della disputa edel contradittorio per insidiarla.

8. Chi nega la Fede, se fu battezzato, può esserecostretto a mantenere le promesse battesimali; invececontro chi non è battezzato non si può agire se non atitolo di difesa.

9. Trattare cogli infedeli si può se non c’è pericolo diperversione, purché non si tratti di scomunicati, che sidevono per precetto evitare.

10. Mettere i fedeli sotto la giurisdizione di infedeli nonsi può; però non si può nemmeno privare un infedele diuna giurisdizione che ha già, per il fatto che è infedele.

11. Il regime umano deve imitare il governo di Dioche lascia al mondo anche i cattivi, perciò il culto degliinfedeli si può tollerare a titolo di evitare mali maggiori,o di non impedire beni maggiori o per qualche beneparticolare, come sarebbe la testimonianza che vien dataalla Fede dal culto degli ebrei.

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12. I figli degli infedeli, quando i genitori ne sianocontrari, non si possono battezzare prima dell’uso dellaragione, e dopo l’uso di ragione si possono indurre, manon costringere al battesimo.

Quest. 11. L’eresia. – 1. La falsità è opposta alla verità;eretico è colui che a suo capriccio propone o seguel’eresia opinioni non conformi alla Fede e quindi false;perciò è contraria alla Fede ed è una specie di infedeltà.

2. L’eresia è contraria alla Fede o direttamente, cioènegli articoli stessi della Fede, o indirettamente, cioè neipresupposti necessari degli articoli di Fede e nelle veritàintimamente connesse colle verità della Fede; p. es.l’immortalità dell’anima è un presupposto dell’articolo:Vita eterna.

3. Gli eretici per sé non meritano tolleranza civile,perché falsare la Fede è peggio che falsare i documentie la moneta: ma la Chiesa per sua misericordia deveaspettarli e ammonirli una e due volte; non però oltre;se Ario non fosse stato tanto tollerato, non avrebbe fattotanto male.

4. Gli eretici che si convertono si devono sempre am-mettere alla penitenza, così vuole la Carità che ha riguar-do principale al bene spirituale del prossimo; ma ai benitemporali, che la Carità riguarda solo secondariamente,non si devono sempre e subito riammettere, così volendol’ordine disciplinare.

Quest. 12. L’apostasia. – 1. L’uomo si unisce a Diocoll’intelletto per la Fede, colla volontà per l’osservanzadella Legge e talvolta col dedicarsi a Dio mediante ilvoto. L’apostasia quindi, che è allontanarsi da Dio, ètriplice, perché si receda da Dio o per ragione della Fede,e questa è infedeltà e si dice apostasia di perfidia, o per

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ragione dei Precetti, o per ragione del voto: in questi duecasi c’è apostasia, ma non infedeltà, perché la fede resta.

2. In un regno cristiano se il principe diviene, apostatanon perde perciò la giurisdizione sui sudditi, perchéapostasia e giurisdizione non sono cose che si escludonoa vicenda; la Chiesa però può privarnelo e così i sudditisono sciolti dal giuramento di fedeltà.

Quest. 13. La bestemmia. – 1. La bestemmia, chein greco significa maledizione, è una derogazione dellabontà o perfezione di Dio, che compie chi bestemmia, sianegando ciò che a Dio spetta, sia attribuendogli ciò chea Dio non conviene. La bestemmia può essere interna odanche esterna, e questa è contraria all’esterna professionedella Fede.

2. La bestemmia, derogazione di quella bontà divina,che è oggetto della carità, è necessariamente peccatomortale in tutto il suo genere; non ammette perciò parvitàdi materia.

3. La bestemmia ha in sé la gravità della infedeltà ed èperciò peccato massimo.

4. I dannati, odiano i peccati solamente perché ne so-no puniti ma, quanto a Dio, ne detestano la giustizia, per-ciò adesso bestemmiano in cuor loro e dopo la risurrezioneanche colla bocca.

Quest. 14. La bestemmia contro lo Spirito Santo. –1. La bestemmia contro lo Spirito Santo non sta soltantonel dire parole contumeliose contro lo Spirito Santo,ma anche nel peccare con malizia certa, cioè volendoappositamente il male e respingendo ciò che distoglie dalpeccato;

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2. e poiché i mezzi che distolgono dal peccato sonosei, dalla ripulsa di quelli mezzi deriva che sono sei ipeccati contro lo Spirito Santo.

3. Fra i peccati contro lo spirito Santo la impenitenzafinale è irremissibile, ed anche irrimediabile, a meno cheintervenga un miracolo della misericordia divina.

4. Il primo peccato di un uomo può essere di maliziacerta, e quindi contro lo Spirito Santo, non per abitoprecedente, perché allora non sarebbe il primo, ma perspeciale istigazione del diavolo.

Quest. 15. Vizi opposti al dono della Scienza e dell’In-telletto. – 1. La cecità della mente, se proviene, non dadifetto naturale, ma da volontaria avversione alle consi-derazioni spirituali e da soverchia occupazione delle cosemateriali, è peccato.

2. L’ebetismo o ottusità del senso spirituale è diversodella cecità della mente, perché proviene da cause diversee perché esso importa debolezza della mente nella con-siderazione delle cose spirituali, mentre la cecità ne è laperfetta privazione: anche l’ebetismo però è peccato se èvolontario.

3. L’ebetismo proviene dalla gola e la cecità dalla lus-suria; per l’opposto la castità e l’astinenza dispongono insommo grado alle operazioni dello spirito, perché rimuo-vono gli impedimenti dei vizi carnali, gola e lussuria, lecui soddisfazioni trascinano colla più grande veemenza.

Quest. 16. Precetti di credere. – 1. Precetti di crederenon ce ne potevano essere nella Legge antica, perché nonerano allora da esporre i segreti di fede che furono poiesposti nel Vangelo; riguardo alla Fede in un Dio solo,il precetto di credere in Lui non potrebbe essere fatto senon a chi già crede in Lui e sarebbe quindi impossibile.

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2. Vengono però convenientemente dati nel VecchioTestamento precetti circa la Scienza e l’Intelletto, affin-ché siano questi ricevuti mediante l’insegnamento, usa-ti mediante la meditazione e conservati mediante il lororicordo.

Quest. 17. La speranza. – 1. La speranza è una virtù.È speranza in quanto ha per oggetto Dio, quale benefuturo, arduo, possibile coll’aiuto di Dio stesso, è virtù,perché, conformando gli atti nostri alla regola superiore,cioè a Dio, li rende buoni e non si presta a usi cattivi.

2. Oggetto della speranza, siccome essa si appoggiaa Dio dal quale è da sperarsi un bene infinito, è labeatitudine eterna. Non sappiamo precisamente in cosaquesta consista, però la concepiamo come bene perfetto.

3. La beatitudine eterna ciascuno la spera per sé; maper l’unione di carità col prossimo è atto di virtù sperarlaanche per altri.

4. La speranza ha per oggetto Iddio, come Bene,e il suo aiuto per conseguirlo. Sperare negli uomini,scambiandoli col sommo Bene, non si può; in loro si puòsperare soltanto quali aiuti secondari.

5. La speranza, avendo direttamente per oggetto Dio,è virtù teologale.

6. La speranza si distingue dalla Fede e dalla Carità,perché la Fede ha per oggetto Dio, quale principio di co-noscenza della verità; la Carità ha per oggetto Dio, qualetermine di unione dell’anima per amore; la speranza in-vece ha per oggetto Dio, quale principio del bene perfet-to in noi.

7. La speranza conferma la Fede, ma non esiste primadella Fede, che ci fa conoscere Dio in cui si spera.

8. La Carità viene dopo la speranza, ma da sua partela perfeziona.

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Quest. 18. – La speranza e il suo soggetto. – 1. Lasperanza risiede nella volontà, che è appetito razionale,perché essa ha per oggetto il bene e il bene si riferiscenon all’intelletto, ma alla volontà, e ha per oggetto Dioche non è un bene sensibile.

2. La speranza non c’è più nei beati, perché Dio non èpiù per loro un Bene futuro, ma presente.

3. Speranza non ne hanno i dannati, perché conosconoil sommo Bene, ma non come a loro possibile; c’è invecenelle anime purganti, per le quali Dio è futuro sì, mapossibile e ne ritraggono conforto.

4. In noi della Chiesa militante la speranza ha la dotedella certezza, purché proceda da una fede formata, resacioè perfetta dalla carità.

Quest. 19. Il dono del timore. – 1. Dio si può temere,non nel senso che Egli sia un male da fuggire, ma nelsenso che da Lui ci può venire il male di qualche castigo.

2. Il timore si distingue in filiale, iniziale, servile e mon-dano. Il timore mondano allontana da Dio facendo teme-re come mali i sacrifici che il servizio di Dio comporta;avvicinano invece a Dio il timore servile, facendone te-mere i castighi; il timore filiale, facendone temere l’offe-sa, e il timore iniziale che partecipa del servile e del filia-le.

3. Il timore mondano, che proviene dall’amore delmondo in opposizione a Dio, è sempre cattivo.

4. Il timore servile invece in sé è buono, nonostantela circostanza della servilità che è cattiva, perché essa èestrinseca.

5. Il timore filiale ha per oggetto il male di colpa, equindi specificamente diverso dal timore servile, che haper oggetto il male di pena.

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6. Il timore servile può stare insieme colla carità quan-do riguarda la perdita di Dio, ma non quando parte dal-l’esclusivo amore di se stesso.

7. Il timore è principio della sapienza, di quella sapien-za cioè che è direttiva della vita secondo le norme dellaragione divina; ma il timore servile ne è soltanto disposi-tivo, il timore filiale ne è invece radice.

8. Il timore iniziale perciò differisce dal timore filialenon sostanzialmente, una come da imperfetto a perfetto.

9. Il timore filiale è un dono dello Spirito Santo, perchéci abilita a seguirne le mozioni.

10. Col crescere della carità il timore filiale cresce, ilservile invece diminuisce.

11. Il timore filiale, che si esercita nella riverenza diDio, in Paradiso resta ancora, ma non vi resta il timoreservile, perché non c’è più da temere la perdita di Dio.

12. Al dono del timore di Dio corrisponde la beatitu-dine: Beati i poveri di spirito, perché esso induce alla ri-nunzia degli onori e delle ricchezze.

Quest. 20. La disperazione. – 1. La disperazione, deri-vando dal falso concetto che Dio non voglia perdonarei peccati, è contraria alla virtù della speranza e perciò èpeccato; anzi essa induce a commettere altri peccati ed èperciò non solo peccato, ma anche principio dei peccati.

2. La disperazione non dice anche mancanza di fede,perché la fede appartiene all’intelletto e la disperazioneappartiene alla volontà, non si escludono quindi a vicen-da.

3. La gravità del peccato sta nell’avversione a Dio, tal-ché la conversione alle creature, se non importa avversio-ne a Dio, non è peccato mortale: la disperazione, essendouno dei peccati contrari alle virtù teologiche che ci indi-rizzano a Dio, è uno dei più gravi peccati; anzi essa, ben-

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ché l’infedeltà e l’odio di Dio siano in sé più gravi, pernoi è la più perniciosa.

4. Se la speranza si riferisce a un bene arduo e possibi-le; l’accidia, che abbatte lo spirito e fa riputare il bene ar-duo impossibile, e la lussuria, per cui le cose divine nonsi stimano più un bene e tornano a nausea, danno originealla disperazione.

Quest. 21. La presunzione. – 1. La presunzione ècontraria alla speranza per eccesso. Essa fa pretendereda Dio il perdono senza la penitenza e la gloria senza imeriti ed è perciò contraria a Dio, per il cattivo calcolodella sua misericordia: essa fa ritenere a noi possibile ciòche supera le nostre forze ed è perciò contro lo SpiritoSanto, del cui aiuto non fa nessun calcolo.

2. Come si corrispondono verità e bene, così si corri-spondono falsità e male: la presunzione corrisponde a unfalso concetto di Dio, essa quindi e male, è peccato; menograve però della disperazione, perché di Dio è più pro-prio perdonare che punire.

3. La presunzione è opposta direttamente più che altimore alla speranza, perché è dello stesso genere.

4. La presunzione nasce dalla vana gloria, in quantosi fa troppo calcolo delle proprie forze e nasce dallasuperbia in quanto si fa cattivo calcolo della misericordiadi Dio.

Quest. 22. Precetti di speranza e di timore. – 1. La spe-ranza la troviamo comandata nella Sacra Scrittura primaper mezzo di promesse, poi per mezzo di precetti; e ciòdoveva essere perché la fede e la speranza sono pream-boli della legge senza le quali essa non viene accettata edosservata;

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2. e per la stessa ragione dell’osservanza della leggefu pure fatto precetto del timore filiale, insieme col pre-cetto di amare Dio, e del timore servile insieme con lacomminazione delle pene.

Quest. 23. La Carità. – 1. La Carità fra l’uomo eDio, essendo un mutuo amore col volere il bene l’unodell’altro, è amicizia.

2. La carità è qualche cosa di creato nell’anima, perchéil moto dell’anima ad amare Dio per se stesso e la po-tenza di fare atti, che sono soprannaturali, esigono unainclinazione abituale che non si ha da natura.

3. Se è virtù seguire la retta ragione, la carità, per cuisi segue e si raggiunge Dio, che è la norma suprema dellaretta ragione, è certamente virtù.

4. La carità è una virtù speciale, perché riguarda Diocome oggetto speciale, cioè come oggetto di beatitudine;

5. mentre però ci sono parecchie specie di amiciziaa seconda dell’intento o del vincolo, c’è una sola speciedi carità, perché la Bontà Divina, che è il suo termine, èunica.

6. La carità è la più eccellente delle virtù, perchériguarda Dio per se stesso, mentre la Fede e la Speranzariguardano Dio per qualche cosa che da lui a noi derivi.

7. Se virtù vera non c’è senza ordine all’ultimo fine,cioè al Bene infinito, senza la carità non può esserci nessu-na vera virtù;

8. e poiché quindi la carità indirizza le virtù all’ultimofine, è essa che le fa, che le forma vere virtù; essa è laforma delle virtù.

Quest. 24. La Carità e il suo soggetto. – 1. La caritàrisiede nella volontà e non nell’appetito sensitivo, perchésuo oggetto è Dio che è Bene, ma non un bene sensibile.

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2. La carità si risolve nella comunicazione della Bea-titudine eterna; questa è un bene gratuito e soprannatu-rale, per il quale non ci sono sufficienti le forze natura-li, la carità quindi in noi non c’è se non viene infusa dalloSpirito Santo;

3. ed essendo, così, nulla la nostra capacità naturalealla carità, lo Spirito Santo la dona a ciascuno secondo cheEgli vuole.

4. La carità può crescere in noi, e cresce col radicarsisempre più nell’anima nostra e coll’avvicinarsi semprepiù a Dio mediante l’affetto della mente;

5. cresce adunque non per aggiunta di altra carità, maper aumento di grado della stessa; cioè cresce intensiva-mente,

6. e ogni atto di carità aumenta direttamente la caritào almeno dispone all’aumento della carità.

7. La carità può crescere all’infinito, perché è parteci-pazione dello Spirito Santo, che è amore infinito; e ne ècausa operatrice Dio, la cui potenza è infinita.

8. La carità è perfetta quando si ama Dio quanto èamabile. Dio è amabile infinitamente, noi invece abbia-mo forze limitate, perciò in questo senso non è a noi pos-sibile una carità perfetta. Per noi si può dare una caritàperfetta in 3 modi: I. avere tutto il cuore sempre attual-mente fisso in Dio, e questo non ci è possibile se non al-l’altra vita; II. avere la mente solo occupata in Dio quan-to lo concedono le necessità di questa vita, e questo nonè comune a tutti i Santi; III. avere il cuore abitualmenteriposto in Dio così che nulla si voglia che a lui sia contra-rio, e questo è comune a tutti i giusti.

9. La carità è di tre gradi: incipiente di chi si allonta-na dal peccato; profìciente di chi si esercita nelle virtù;perfetta di chi è tutto unito con Dio.

10. La carità come può crescere, così altrettanto puòdiminuire, se non in sé direttamente, perché essa o c’éo non c’è, almeno indirettamente, per disposizione cioè

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contraria, indotta o dai peccati veniali o dalla cessazionedegli atti di carità.

11. La carità, una volta posseduta si può poi perdere,perché lo stato di carità quaggiù in noi è mutabile a se-conda del libero arbitrio, in quanto non siamo sempre at-tualmente rivolti a Dio ed allora può occorrerci qualchecosa che ci faccia perdere la carità.

12. La carità poi avviene che si perde anche per unsolo atto di peccato mortale. Negli abiti acquisiti un attocontrario non distrugge l’abito; ma la carità, essendo unabito infuso, dipende da Dio, la cui azione di infusioneè simile all’azione del sole, che cessa di illuminare se sifrappone un ostacolo che la impedisca totalmente: unatto solo di peccato mortale è una rivolta contro Dio e facessare totalmente la carità che è unione con Dio.

Quest. 25. Oggetto della Carità. – 1. La carità si estendea Dio e anche al prossimo, essendo lo stesso Dio la ragionedi amare il prossimo; volere cioè che il prossimo sia inDio.

2. Chi ama il prossimo ama l’amore del prossimo; ilprossimo si ama di carità, perciò la carità stessa si ama diamore di carità.

3. Se la carità ha per base la comunicazione dell’eternabeatitudine, essa non si estende agli animali, perché nonne sono capaci; possiamo però amarli per amore di caritàin quanto desideriamo che siano conservati a onore diDio e a utilità del prossimo.

4. Fra le cose che amiamo di amore di carità comeappartenenti a Dio ci siamo anche noi, perciò dobbiamoamare anche noi stessi per amore di carità;

5. e di amore di carità dobbiamo amare anche il nostrocorpo, perché esso viene da Dio e dobbiamo usarne insuo servizio; ciò quindi che impedisce questo, come lacolpa, dobbiamo eliminarlo.

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6. Dobbiamo amare di amore di carità anche i peccatori,non secondo la loro colpa, ma secondo la loro natura,che è capace di eterna beatitudine.

7. I peccatori amano se stessi, ma a differenza dei buo-ni che amano in sé l’uomo interiore, perché di sé stes-si stimano cosa principale la natura razionale, i peccato-ri amano in sé la natura sensitiva e corporea, perché que-sta stimano principale, la stimano falsamente, perciò an-che amano se stessi falsamente, cioè si odiano: Chi amal’iniquità odia l’anima sua.

8. È necessario per la carità amare anche i nemici; pe-rò proprio perché sono nemici, ma perché non si devonoescludere da quell’amore per cui amiamo in generale co-loro che hanno la stessa nostra natura, e basta che abbia-mo l’animo disposto ad amarli anche in particolare qua-lora si desse un caso di necessità; amarli poi in particola-re anche fuori del caso di necessità è carità perfetta;

9. per cui è parimenti necessario non negare ai nemicii segni comuni e generali dell’amore, quando per es. siprega per tutti i fedeli: ma non è altrettanto necessarioestendere in particolare anche a loro i segni di amore cheriserviamo ai nostri amici.

10. Se la carità ha per base la comunicazione dell’eter-na beatitudine, si devono amare di amore di carità anchegli angeli che ne sono già partecipi.

11. I demoni invece, come i peccatori, non si devonoamare secondo la loro colpa, ma si devono amare secondola loro natura, desiderando che conservino quanto danatura hanno per la gloria di Dio.

12. Infine, sulla base della comunicazione della eternabeatitudine, la carità vuole che nell’amare seguiamo que-sto ordine: a) chi ne è il principio, cioè Dio: b) chi ne hapartecipazione diretta, cioè gli angeli e gli uomini e per-ciò noi stessi e il prossimo: c) ciò cui spetta la partecipa-zione indiretta, cioè il nostro corpo.

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Quest. 26. Ordine della Carità. – 1. Nella carità, che daDio, principo della Beatitudine, si estende a tutto ciò chene è partecipe, c’è, come ci deve essere, un ordine.

2. Perciò Dio, che come principio della Beatitudine neè la parte principale, lo dobbiamo amare più del prossimoche ne è soltanto nostro compartecipe.

3. Anzi, essendo Dio il Bene comune e il principiofondamentale della Beatitudine di tutti e quindi anchenostra, lo dobbiamo amare più di noi stessi.

4. Secondo la natura spirituale, che è la ragione dellapartecipazione alla Beatitudine, ciascuno deve amare sestesso più del prossimo, perché a quella nessuno è piùprossimo di se stesso; non si devono quindi fare peccatiper liberare gli altri dai peccati;

5. e secondo la stessa natura spirituale, che è laragione della partecipazione alla Beatitudine, ciascunodeve amare più il prossimo quanto alla salute dell’animache se stesso quanto alla salute del corpo.

6. Nell’ordine della Beatitudine, di cui Dio è il princi-pio, alcuni ci sono più vicini e alcuni più lontani; dobbia-mo quindi amare alcuni giù degli altri.

7. Nell’ordine della Beatitudine i termini della propin-quità sono due: Dio e noi. Da parte di Dio dobbiamoamare di più quelli che a lui sono più vicini, cioè i giusti,da parte nostra dobbiamo amare di più quelli che ci sonopiù prossimi, come i genitori e i fratelli; il primo è amo-re di grado proporzionato a santità mutevole; il secondoè amore di intensità proporzionato a un vincolo stabile;

8. anzi questo vincolo stesso va distinto in carnale, civilee militare e ciascun vincolo ha relazioni e uffici che nedipendono e che non si devono scambiare; perciò negliuffici di natura siamo più doverosi ai genitori, ma negliuffici civili siamo più obbligati verso i concittadini e negliuffici militari verso i commilitoni. Se poi nel vincolodistinguiamo la stabilità, prevale a tutti il vincolo carnale.

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9. Da parte di Dio, principio universale, ci sono piùprossimi i genitori e questi si devono amare di più; ma daparte di chi ama si deve amare di più il figlio e perché èquasi parte del padre e per molti altri titoli.

10. Come principio dell’origine naturale è prevalentela parte del padre, da cui si prende nome; perciò per sé ilpadre è da amarsi più della madre, ma come cure e faticheè prevalente la parte della madre.

11. Se per ragione di principio dell’origine si devonoamare di più i genitori, tuttavia la moglie si deve amare dipiù per ragione dell’unione matrimoniale.

12. Per ragione di origine il benefattore, che è princi-pio del bene nel beneficato, si deve amare di più del be-neficato; ma il beneficato che diviene quasi fattura nostraha un titolo di maggiore propinquità e per questo lo siama di più.

13. In Paradiso questo ordine della carità resta quanto aDio, che si ama sopra ogni cosa come ultimo fine; maquanto a noi e al prossimo l’ordine cambia, perché ilmigliore, come più vicino a Dio, si ama più di se stessi.

Quest. 27. L’amore, atto principale della Carità. – 1.Della carità, che è virtù e perciò principio di azione, è piùproprio amare che essere amato.

2. L’amore, in quanto è atto di carità, include anchela benevolenza, ma questa è soltanto atto della volontàche vuole il bene del prossimo, mentre l’amore importaanche l’unione di affetto colla persona amata.

3. Dio è l’ultimo fine di tutte le cose, è la Bontà inse stessa; tutte le cose quindi le amiamo per Dio e Diolo amiamo in sé: che se talvolta si ama Dio per qualchebeneficio, questo diventa poi disposizione ad amarlo perse stesso.

4. Dio possiamo amarlo anche in questa vita immedia-tamente, perché se la nostra cognizione ci arriva media-

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tamente, non così l’amore, il quale comincia là dove lanostra cognizione arriva,

5. L’uomo può amare Dio totalmente nel senso diamarlo con tutto il cuore, ma non nel senso di amare Dioquanto è amabile.

6. Nell’amare Dio non si deve avere una misura, untermine: diceva S. Bernardo «La causa di amare Dio èDio stesso, e la misura è amarlo senza misura, perché Dioè infinito».

7. Amare l’amico è certamente amare una cosa miglio-re del nemico; ma amare il nemico è più meritorio, perchéè cosa più difficile e lo sforzo che si fa dimostra maggio-re amore di Dio, per amore del quale dobbiamo amareamici e nemici;

8. ed è più meritorio amare il prossimo per amor diDio, che non amare Dio senza amare il prossimo, perchésarebbe un amore monco.

Quest. 28. Il gaudio. – 28. Effetto della carità è ilgaudio spirituale, che si ha dalla presenza in noi del Beneamato, cioè dalla inabitazione di Dio in noi per la graziasantificante, frutto della carità.

2. Questo gaudio accidentalmente può essere unito allatristezza, derivante dal vedere che il Bene divino non èda tutti partecipato;

3. e questo stesso gaudio non può essere completo se nonnell’altra vita, perché là solo nulla più resta a desiderareed il gaudio quindi è pieno.

4. Il gaudio non è una virtù distinta dalla carità, ma èun effetto della carità.

Quest. 29. La pace. – 1. Pace non è lo stesso checoncordia. La pace è anche concordia, ma la concordia

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non è anche pace: la concordia la possono avere anche icattivi, ma per i cattivi non si dà pace.

2. Ogni cosa tende alla pace, perché ogni cosa tendeal suo fine, per quietarvisi superando gli ostacoli che im-pediscono l’ordine naturale, e la pace è appunto: quietenell’ordine.

3. La pace con Dio e cogli uomini è effetto della carità,la quale pure si estende a Dio e agli uomini.

4. La pace è un atto, un effetto della carità, ma nonè una virtù diversa dalla carità, soggetta a un precettospeciale.

Quest. 30. La misericordia. – 1. Motivo proprio dellamisericordia è il male e specialmente quel male che èsofferto immeritatamente: la misericordia infatti è: dellamiseria altrui cordiale compassione; e non vi è poi miseriapiù grande che ricevere male facendo bene.

2. È il male che causa la miseria e suscita la misericor-dia; il male poi sta sempre in qualche difetto, perciò laragione della misericordia è sempre qualche cosa che vienea mancare al prossimo, cui l’animo prende parte, e che siteme possa a noi stessi venire a mancare.

3. La misericordia è virtù quando è un moto dell’animoregolato dalla retta ragione.

4. Supplire alle indigenze e difetti del prossimo è piùche amarlo, perciò la misericordia è superiore alla cari-tà, ma questo relativamente al prossimo; perché relativa-mente a Dio nulla supera la carità che a Lui ci unisce.

Quest. 31. La beneficenza. – 1. Fare del bene al pros-simo è effetto del voler bene, cioè dell’amare e perciò labeneficenza comunemente è atto di carità: talvolta peròil fare del bene ai prossimo ha una ragione speciale edallora diventa una speciale virtù.

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2. Come la carità così anche la beneficenza si deveestendere a tutti, almeno come disposizione di animo epurché altre ragioni non si oppongano.

3. La beneficenza è atto di carità, perciò ha l’ordinestesso della carità, a meno che intervenga un caso dinecessità.

4. La beneficenza è atto di carità, non è una virtùdiversa dalla carità.

Quest. 32. L’elemosina. – 1. Dell’elemosina il motivoè la misericordia; questa è effetto della carità perciòl’elemosina è atto di carità.

2. Le elemosine si distinguono come le opere di mise-ricordia: ci sono quindi elemosine corporali ed elemosi-ne spirituali a seconda dei bisogni corporali interni edesterni e dei bisogni spirituali di intelletto e di volontàdel prossimo.

3. Evidentemente le elemosine spirituali sono superiorialle corporali; ma talvolta le corporali sono urgenti edallora prevalgono alle spirituali.

4. Anche le elemosine corporali per il loro motivo, cheè Dio, e per il loro fine, che è l’anima, hanno un fruttospirituale.

5. Fare l’elemosina è un atto di virtù che la stessa rettaragione comanda quando il prossimo si trova in caso di bi-sogno e d’altronde ciò che al prossimo è necessario a noiinvece non è necessario, ma superfluo; che se la necessitàè estrema, l’obbligo si fa grave e riguarda non solo il su-perfluo, ma anche il necessario. Dice S. Ambrogio: Pascichi muore di fame; se non lo pasci, lo uccidi;

6. e, fuori di questo caso, di ciò che non è superfluo, maè necessario, non c’è obbligo di fare elemosina, a meno cheintervengano ragioni superiori del bene comune dellaReligione e della Patria.

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7. Il maltolto si deve, non dare in elemosina, ma resti-tuire; il frutto ricavato da ingiusti maneggi non si può ri-tenere, ma si deve dare in elemosina; il lucro invece diazioni turpi, ma non ingiuste, si può ritenere e se si dà adaltri è libera e vera elemosina. – In caso di necessità estre-ma tutto diventa di proprietà comune e ciascuno a tale in-digente può somministrare anche l’altrui, che già appar-tiene, come al possessore, così anche a tale indigente.

8. Chi è sotto l’altrui potestà non può fare elemosina senon secondo l’ordine del padrone o dando del proprio.

9. L’elemosina deve seguire l’ordine della carità; quindii nostri prossimi più stretti hanno maggiore diritto allanostra elemosina, eccettuati i casi di persona più santa,più utile alla società e di maggiore indigenza.

10. Abbondare nell’elemosina è cosa lodevole; è peròmeglio farla a più indigenti anziché con uno abbondarecosì che ne abbia anche oltre il necessario.

Quest. 33. La correzione fraterna. – 1. La correzione fra-terna per rimuovere il peccato, come male di chi pecca,è un’elemosina spirituale dovuta come atto di carità; e lacorrezione fraterna per rimedio al peccato, che è di dan-no agli altri e di nocumento comune, è dovuta come attodi giustizia.

2. La correzione fraterna non è oggetto di un precettonegativo, che obbliga sempre, perché proibisce cose in-trinsecamente cattive; ma è oggetto di un precetto positi-vo, che comanda un atto di virtù, a tempo e luogo, perun dato fine; la correzione fraterna ha per fine l’emen-dazione del fratello; essa quindi è di precetto quando ènecessaria a quel fine.

3. Alla correzione fraterna, che è atto di carità, sonotenuti tutti; alla correzione fraterna che è atto di giustiziasono tenuti i superiori;

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4. perciò agli inferiori relativamente ai superiori nonspetta la correzione fraterna, che è atto di giustizia, masolo quella che è atto di carità e anche questa deve esserefatta colla debita umiltà.

5. Anche chi è peccatore è tenuto alla correzione frater-na, purché però essa non riesca un’irrisione, uno scanda-lo o un capriccio di vanità.

6. Se per la correzione fraterna il prossimo avesse a di-ventare peggiore, si deve smettere quella che è atto di ca-rità, perché andrebbe contro il fine, cioè l’emendazionedel prossimo; ma non si deve omettere quella che è attodi giustizia, perché la esige il bene comune minacciato dachi pecca.

7. Prima di denunziare il prossimo è necessario fare lacorrezione fraterna, per impedire che esso peggiori, se sitratta di peccati che sono occulti e di nocumento privato,ma se sono di nocumento generale o sono peccati pub-blici, ciò non è più necessario.

8. Anzi, la correzione che deve precedere la pubblicadenuncia, prima di arrivare a questo estremo, deve ricor-rere al mezzo di far intervenire qualche altra persona.

Quest. 34. L’odio. – 1. Dio può essere conosciuto oin sé o nei suoi effetti; in sé non è che Bontà e non puòche essere amato; ma nei suoi effetti, siccome ce ne sonodi quelli che ripugnano alle volontà disordinate, quali icastighi del peccato, può essere preso in odio da taluno.

2. L’odio di Dio, siccome rappresenta la totale edesplicita avversione a Lui, è il più gran peccato.

3. Quanto la carità è bene, altrettanto l’odio è male.Il prossimo si deve amare in Dio e perciò nella naturae nella grazia, non nella malizia e nel peccato: quindiodiare il peccato nel fratello non è peccato, ma è peccatoodiare il fratello.

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4. Quanto all’affetto di chi pecca, il più grave peccatocontro il prossimo è l’odio; ma quanto al danno del pros-simo i peccati esterni sono più gravi.

5. L’odio non è uno dei peccati capitali, perché questisono principio di altri peccati, l’odio invece non è prin-cipio di eversione della virtù, ma è termine di arrivo;

6. ognuno fugge la tristezza e cerca le soddisfazioni,da queste deriva l’amore, dalla tristezza l’odio e l’invidia,che è precisamente tristezza del bene altrui, genera l’odio.

Quest. 35. L’accidia. – 1. L’accidia, che è tristezza delbene divino e spirituale, del quale invece la carità gode,è peccato;

2. ed è uno speciale peccato in quanto è formalmentecontraria alla carità;

3. ed in quanto formalmente contraria alla carità, èanche peccato mortale; purché sia accidia perfetta.

4. Anzi, non solo è peccato, ma è anche peccatocapitale, perché essa è tristezza e gli uomini fanno moltecose così per la tristezza come per il piacere.

Quest. 36. L’invidia. 1. L’invidia è rattristarsi del benealtrui, non in quanto se ne teme un danno, ma in quantolo si considera un nostro danno, perché diminutivo dellanostra gloria o eccellenza.

2. L’invidia è peccato quando è rattristarsi perché ilprossimo spicca nel bene, perché ciò è contro l’amoredel prossimo; non è peccato se il motivo di rattristarsi èperché ne è indegno o perché si teme che ne abusi controdi noi; se poi il motivo è non già che il prossimo ha quelbene, ma che noi ne siamo privi, allora non c’è invidia,ma c’è emulazione.

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3. L’invidia è contraria alla carità, perciò è peccato digenere mortale; purché però sia nell’anima e non nei motidel senso;

4. anzi essa è peccato capitale, perché è principio dialtri peccati, quali la mormorazione e l’odio.

Quest. 37. La discordia. – 1. La discordia è contraria al-la concordia, che è l’unione dei cuori voluta dalla carità;la discordia, se è dissentire deliberatamente da ciò cheè evidentemente il bene di Dio o il bene del prossimo, èpeccato mortale, a meno che si tratti dei primi moti dell’a-nimo; dissentire in qualche opinione, che non sia errorepertinace contro la fede, nonè peccato mortale, perché laconcordia è unione dei cuori e non delle opinioni.

2. La discordia, per cui ciascuno tiene troppo a séstesso, è figlia della superbia e della vanagloria.

Quest. 38. Le contese. – 1. La discordia importa contra-rietà nelle volontà, e la contesa importa contrarietà nel-le parole. La contesa, se è impugnazione della verità conmodi disordinati, è peccato mortale; se è impugnazionedella falsità senza troppa acredine, è cosa lodevole; seimpugnazione della falsità con troppa acredine, è pecca-to veniale.

2. Come la discordia, così anche la contesa, per cui nonsi vuole stare al di sotto degli altri, è figlia della superbia.

Quest. 39. Lo scisma. – 1. Lo scisma è scissura deglianimi, contraria all’unione della carità, che unisce tuttala Chiesa nell’unità dello Spirito, unità considerata inordine al suo capo che è Cristo, di cui il Papa è Vicario.Lo scisma perciò è un peccato speciale, proprio di coloroche negano soggezione al Sommo Pontefice.

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2. L’infedeltà, che è peccato contro Dio stesso, è piùgrave dello scisma; ma uno scismatico può peccare piùgravemente di un infedele per ragione della sua pertina-cia o del pericolo degli altri.

3. La potestà sacramentale, o dell’ordine, è fissa, perciògli scismatici non la perdono, ma però restano proibiti diadoperarla; la potestà invece di giurisdizione è mobile e diquesta sono privati;

4. e poiché gli scismatici peccano contro la Chiesa, ègiusto che la Chiesa li colpisca colla pena dello scomunica.

Quest. 40. La guerra. – 1. Perché una guerra sia giustaoccorrono tre cose: I. l’autorità del principe, cui spettala tutela dello Stato; II. la giusta causa, cioè un’offesa oun danno cui non si vuol dare riparazione; III. la rettaintenzione, in chi la fa, di mirare al bene e di evitare ilmale; e non sono rette intenzioni, secondo S. Agostino,la voglia di nuocere, la crudeltà nella vendetta, la libidinedi dominio e l’insaziabilità dell’animo.

2. Il fare la guerra è affatto sconveniente agli Ordinatiper le inquietudini che cagiona e perché ad essi, che trat-tano il Sangue di Cristo, compete non uccidere e versarl’altrui sangue, ma essere pronti a versare il proprio. Percui è stabilito che siano irregolari coloro che anche senzacolpa versano sangue.

3. Gli stratagemmi che consistono nel dire bugie e nelmancare alla fede data sono illeciti; ma gli stratagemmi difinte e di diversivi per occultare al nemico gli obbiettivie i piani sono leciti.

4. L’osservanza delle feste non impedisce ciò che è or-dinato alla salute anche corporale, perciò se è necessario,è lecito combattere anche in giorno di festa.

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Quest. 41. Le risse. – 1. La rissa, contrarietà non aparole, ma a fatti, è una guerra privata e perciò è illecita,a meno che si tratti della legittima difesa fatta colla debitamoderazione.

2. La rissa è figlia dell’ira, la quale è voglia di vendetta,più che dell’odio, il quale molina piuttosto in segreto.

Quest. 42. La sedizione. 1. La sedizione, opponendosi aun bene speciale, cioè all’unità e alla pace della moltitu-dine, è un peccato speciale.

2. La sedizione, che si oppone alla giustizia e al benecomune, è un peccato di genere grave e più grave dellarissa, che è cosa privata.

Quest. 43. Lo scandalo. – 1. Lo scandalo, che significainciampo, nel cammino spirituale si definisce: un detto oun fatto meno retto che è occasione di rovina.

2. Lo scandalo, sia attivo che passivo, cioè sia datoche ricevuto, è sempre peccato; talora però c’è lo scandaloattivo senza il passivo; e talora invece lo scandalo passivosenza l’attivo, quando alcuno si scandalizza di cose chealtri fa bene.

3. Lo scandalo, che mira a uno speciale danno delprossimo, cioè a trarlo al peccato, e che è contro lacorrezione fraterna, è un peccato speciale.

4. Lo scandalo attivo è peccato mortale quando è datocon un peccato mortale, quando mira comunque a farpeccare mortalmente e quando si segue ogni capricciocon disprezzo della salute del prossimo.

5. Negli uomini perfetti non può esserci scandalo passi-vo, perché sono fermi nel bene;

6. e nemmeno può esserci scandalo attivo, perchésempre agiscono a norma della retta ragione, eccettuataqualche piccolezza dovuta all’umana fragilità.

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7. Se dalla verità deriva scandalo passivo, è meglio per-mettere lo scandalo che lasciare la verità; dice S. Gregorio;perciò le cose necessarie alla salute non si devono lascia-re per timore dello scandalo e nemmeno quelle che allasalute non sono necessarie, se lo scandalo è dovuto allamalizia altrui, come era quella dei Farisei; si deve invece,in queste, evitare o prevenire lo scandalo dei pusilli.

8. Le cose temporali si devono lasciare per timore delloscandalo soltanto se sono cose di proprietà nostra e sesi tratta dello scandalo dei pusilli che in nessuna altramaniera si può prevenire o impedire.

Quest. 44. Precetti di carità. – 1. Della carità, che èdovuta per il fine della vita spirituale, cioè l’unione conDio, era necessario fare un precetto.

2. Anzi erano necessari due precetti di carità, uno del-l’amore di Dio, l’altro dell’amore del prossimo, essendo-ci persone corte che non capiscono da sé che nel primoè contenuto anche il secondo.

3. Due precetti poi sono sufficienti, perché contempla-no il fine e ciò che ha ordine al fine, nel che sta tutto ilbene che è oggetto della carità;

4. e siccome il fine, a cui tutto il resto è ordinato, èDio, era da comandarsi di amarlo con tutto il cuore;

5. anzi a maggiore esplicazione fu detto: con tutta lamente, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte leforze, uomo cioè e interiore ed esteriore.

6. Il precetto dell’amor di Dio si può compiere in que-sta vita sufficientemente sì, ma imperfettamente; perfet-tamente si compie solo in Paradiso.

7. Era anche conveniente il precetto di amare il pros-simo come se stesso, cioè santamente, giustamente e vera-cemente.

8. L’ordine della carità appartiene alla stessa virtù eperciò anche esso viene comandato.

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Quest. 45. Il dono della sapienza. – 1. La sapienza,che conosce la causa suprema non di qualche genere, mauniversale, cioè Dio, e giudica secondo la verità divina,è un dono dello Spirito Santo, perché l’uomo non puòconseguirlo da sé, ma soltanto averlo dallo Spirito Santo.

2. Il dono della sapienza ha origine dalla carità, che èpropria della volontà, ma essa è proprio dell’intelletto.

3. La sapienza non è soltanto speculativa, ma anchepratica, perché giudica e dirige a norma di Dio i nostriatti.

4. La sapienza è un dono che deriva da una certaconnaturalità con Dio, dall’unione con Lui ed è figliadella carità, perciò se per il peccato cessano la carità el’unione con Dio, cessa anche il dotto della sapienza.

5. Tutti quelli che hanno la grazia hanno anche il donodella sapienza, almeno per propria istruzione e direzione;ma un dono più alto per istruzione e direzione anchedegli altri non lo hanno tutti.

6. Al dono della sapienza corrisponde la 7 beatitudine:«Beati i pacifici », perché la pace, che è tranquillitànell’ordine, è premio della sapienza.

Quest. 16. La stupidezza. – 1. Alla sapienza si opponela stupidezza, che è di chi non si commuove neppure perciò che fa stupire, e che consiste nell’ottusità del cuoree del senso: si oppone pure la fatuità, che consiste nellaprivazione totale di senso spirituale.

2. La stupidezza naturale non è peccato; ma la stupi-dezza spirituale, cagionata dall’amore del mondo, simi-le nelle cose spirituali a una infezione del palato per cuinon si sentono più i gusti delicati, è peccato;

3. e quell’amore del mondo sta sopratutto nella lussu-ria, per cui la stupidezza è figlia della lussuria.

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Quest. 47. La prudenza. – 1. La prudenza è virtùconoscitiva, perché è previsione del futuro.

2. Essa appartiene alla ragione pratica, anziché allaspeculativa, perché è retta norma delle azioni.

3. Ed è conoscitiva non solo dei principi generali, maanche delle applicazioni particolari.

4. La prudenza è virtù intellettuale e morale, perchéaggiunge la considerazione del bene alla applicazione delbene;

5. anzi è una virtù speciale, perché ha uno specificooggetto formale; si distingue dalle altre virtù intellettuali,perché suo oggetto sono le contingenze dell’agire; e si di-stingue dalle morali, perché essa è intellettuale e moraleinsieme.

6. Alla prudenza appartiene, non già fissare il fine allevirtù morali, ma disporre in ordine al fine, perché il finele virtù morali lo presuppongono.

7. Appartiene alla prudenza fissare il giusto mezzo allevirtù morali, perché così si conformano alla retta ragione.

8. Dei tre atti della ragione pratica, che sono discuterei mezzi, decidere di loro e dettare norma, quello cheè proprio della prudenza è il terzo, cioè dettare norma,perché così si ordinano i mezzi al fine.

9. La sollecitudine appartiene alla prudenza, perchéè cura di eseguire presto ciò che è frutto di uno studiolento.

10. Il bene privato è parte del bene pubblico; perciòla prudenza si estende anche al regime dello Stato, cioè albene pubblico, come a suo tutto.

11. La prudenza politica, domestica e monastica differi-scono fra di loro specificatamente, perché ciascuna ha unoggetto formale diverso, cioè il bene della società, dellafamiglia e dell’individuo privato.

12. La prudenza c’è, non soltanto nei principi, maanche nei sudditi, che stanno al principe come gli operaiall’architetto.

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13. C’è una triplice prudenza: I. la falsa, che è propriadei peccatori; II. la imperfetta, che è comune ai buoni e aicattivi; III. la vera, che, è propria dei giusti.

14. Tutti quelli che hanno la grazia hanno anche lavirtù della prudenza, perché tutte le virtù sono unite nellacarità.

15. La prudenza è virtù intellettuale, perciò di essadalla natura abbiamo i soli principii, e lo sviluppo si hadallo studio e dall’esperienza.

16. La dimenticanza è relativa alle cognizioni e laprudenza sta nel dettare norme; non sono perciò fraloro così opposte, che la dimenticanza faccia perdere laprudenza.

Quest. 48. Parti della prudenza. – 1. Le parti sono di trespecie: integrali, come il tetto nella casa; soggettive, comeil bue e il leone nel genere animale; potenziali, comela potenza vegetativa nell’anima. Nelle virtù adunqueci sono le parti integrali, che concorrono alla perfezionedell’atto; le parti soggettive, che sono le diverse speciedella virtù; le parti potenziali, che sono relative agli attisecondari della virtù principale.

Quest. 49. Parti integrali della prudenza. – Sono partiintegrali della prudenza:

1. la memoria, che dà la esperienza, per cui si accertaciò che nella maggior parte delle cose c’è di vero;

2. l’intelletto o buona estimativa dei principii, da cui laragione deduce la retta norma delle azioni;

3. la docilità, per cui si profitta degli insegnamenti,che vengono dall’esperienza dei saggi;

4. la solerzia, per cui ciascuno si industria di formarsida sé il retto concetto del da farsi;

5. la ragionevolezza, per cui si riesce ben consigliati;

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6. la previdenza, per cui si considerano le eventualitàfuture per raggiungere il buon esito;

7. la circospezione, per cui si coordinano i mezzi al finecol debito riguardo alle loro circostanze;

8. la cautela, per prevenire gli impedimenti.

Quest. 50. Parti soggettive della prudenza. – Sonoparti soggettive della prudenza, oltre alla monastica peril regime dell’individuo privato:

1. la regnativa, perché per ben regnare occorre laprudenza, ed una prudenza tutta speciale e perfetta;

2. la politica, perché il cittadino abbisogna di questaprudenza per ben condursi nell’obbedienza alle leggi inordine al bene pubblico;

3. la domestica, perché per ben reggere la famiglia,che sta fra l’individuo e lo Stato, occorre questa specialeprudenza;

4. la militare, perché ci sono anche le forze avverse,cui bisogna resistere; ed occorre questa prudenza perguardarsi dalle minacce e difendersi dagli assai nemici.

Quest. 51. Parti potenziali della prudenza. – Sono partipotenziali della prudenza:

1. la eubulia, che significa ponderazione, ed è unavirtù, perché rende retti gli atti,

2. ed è distinta dalla prudenza, perché avvia allaprudenza, la quale sta nel fissare le leggi più che neldiscuterle;

3. la sinesi, che significa buon senso, perché oltre laeubulia, che bene consiglia, occorre anche la sinesi, chefa comprendere i principii comuni in ordine al da farsi,per avviarsi all’atto di prudenza perfetta;

4. la gnome, che significa criterio, discernimento,perché oltre al buonsenso nei casi soliti, alla perfezione

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della prudenza occorre anche il criterio, il discernimentonei casi particolari.

Quest. 52. Il dono del Consiglio. – 1. I doni delloSpirito Santo sono disposizioni per cui l’anima si prestaalle mozioni dello Spirito Santo; durante la ponderazionelo Spirito Santo agisce per modo di consiglio, cui l’animasi presta; il Consiglio perciò è dono dello Spirito Santo;

2. e poiché la ponderazione è parte potenziale dellaprudenza, il dono del Consiglio corrisponde alla prudenza,che esso aiuta e perfeziona.

3. Il dono del Consiglio resta in Paradiso, dove Diocontinua ai beati la cognizione di ciò che sanno, e li illu-mina in ciò che non sanno relativamente alla rettitudinedelle azioni.

4. Il dono del Consiglio riguarda ciò che è utile al fine,perciò al dono del Consiglio corrisponde la 5 Beatitudine,cioè: Beati i misericordiosi che hanno pietà, perché lapietà è utile a tutto.

Quest. 53. Vizi contrari alla prudenza. 1. L’imprudenza,se è mancanza della dovuta prudenza, è peccato di ne-gligenza; se è vera imprudenza, contraria alla prudenza,come sarebbe disprezzare ogni ponderazione, è peccatocontro la prudenza ed è peccato mortale se è trascuranzadelle regole divine;

2. ed è peccato speciale perché opposta alla prudenzache è una virtù speciale.

Sono poi vizi che appartengono all’imprudenza:3. la precipitazione, che è contraria alla ponderazione

ed è propria di chi si lascia trasportare dagli impeti dellavolontà o della passione;

4. la inconsideratezza, che è contraria al buonsenso e alcriterio ed è propria di chi trascura e disprezza i principii

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generali e le circostanze particolari, da cui sorge il rettogiudizio.

5. la incostanza, che è contraria alla fermezza di pro-posito ed è propria di chi muta le norme precettive nellequali si risolve la prudenza.

6. E poiché nulla più assorbe anima quanto la lussuria,perciò questi vizi provengono dalla lussuria.

Quest. 54. La negligenza. – 1. La negligenza è un pec-cato speciale, perché è mancanza della dovuta sollecitu-dine, la quale è un atto speciale della ragione;

2. anzi la sollecitudine retta appartiene alla prudenza,perciò la negligenza che è mancanza di rettitudine, ècontraria alla prudenza.

3. La negligenza poi se è relativa alle cose che sonodi necessità della salute eterna o se è dipendente daldisprezzo, è in questi due casi, peccato mortale.

Quest. 55. Vizi della prudenza. – 1. La prudenza dellacarne, che fa consistere l’ultimo fine nei beni carnali, èmanifestamente peccato;

2. e se totalmente fa consistere il fine della vita nei be-ni carnali, è peccato mortale perché è totale avversione aDio; altrimenti no; anzi aver cura del mangiare per con-servare la salute non è nemmeno prudenza della carne.

3. L’astuzia, cioè lo studio dei mezzi per raggiungereil proprio fine per le vie della falsità e della simulazione,è anche essa un vizio, che è l’opposto della prudenza, laquale invece è retta norma delle azioni.

4. L’inganno appartiene all’astuzia; è l’astuzia in operasia con parole sia con fatti.

5. La frode appartiene all’astuzia, è l’astuzia in operamediante soltanto parole.

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6. La sollecitudine delle cose temporali è diversa dallaprudenza, ed è illecita quando quelle si cercano comeultimo fine; quando vi si mette uno studio eccessivo,che soffoca ogni cura dello spirito; e quando infine vi siunisce il timore esagerato, e contrario alla Provvidenza,che, cioè, altrimenti mancherebbe il necessario alla vita.

7. La sollecitudine del futuro deve aversi a tempo debitoe non si deve anticipare; così di primavera è giusta lasollecitudine della potatura delle viti, ma sarebbe scioccain quel tempo la sollecitudine della vendemmia.

8. Questi vizi, che assomigliano alla prudenza, sonocontro l’uso retto della ragione, che appartiene sopra-tutto alla giustizia, ed hanno origine dall’avarizia, che insommo grado alla giustizia si oppone.

Quest. 56. Precetti di prudenza. – 1. Nel decalogo nonoccorreva un precetto particolare sulla prudenza, perchéa costituire la prudenza, che è direttiva di atti virtuosi,concorre tutto il decalogo.

2. Ci sono, è vero, nel vecchio Testamento precet-ti proibitivi delle forme di simulata prudenza, quali l’in-ganno e la frode, ma ci sono più nei riguardi della giu-stizia, cui si oppongono, che nei riguardi della prudenza,cui somigliano.

Quest. 57. Il diritto. – 1. Mentre le altre virtùdirigono l’uomo in ordine a se stesso, la giustizia lodirige in ordine agli altri in ciò che loro si deve; si diceaggiustare, porre ciò che adegua, e ciò che adegua formaeguaglianza, perciò la giustizia importa eguaglianza; epoiché mirando a questo scopo l’uomo è ben diretto inordine agli altri, perciò la giustizia, che a ciò mira, ha peroggetto il diritto, latinamente jus.

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2. Una cosa può essere adeguata, cioè commisurata,all’uomo o per natura della cosa, o per un patto posto, cioèper una convenzione sia privata che pubblica: il dirittoquindi si distingue in naturale e positivo.

3. Il diritto naturale comprende ciò che per naturaè commisurato ad altri, e può esserlo o assolutamente,come la relazione tra un padre e il suo figlio, che devenutrire, o non assolutamente, come la relazione fra unpadrone e il suo campo, nella quale non è il campo cheesige di essere del tal padrone, ma è il padrone che per lacoltura e l’uso esige di possedere il tal campo. Il dirittonaturale poi si distingue dal diritto delle genti, perchéquello è comune anche agli animali, questo è propriosolo degli uomini.

4. Diritto è ciò che è commisurato ad altri: maquesto altri può essere o estraneo o non estraneo e il nonestraneo può essere o il servo o il figlio, perciò il diritto sisottodistingue in paterno e dominativo.

Quest. 58. La giustizia. – 1. La virtù che è abito ope-rativo, importa atti volontari, fermi e stabili; la giustiziaha per oggetto il jus o diritto, cioè quello che è commisu-rato ad altri, perciò la giustizia come virtù viene definita:Perpetua e costante volontà di attribuire a ciascuno il suodiritto.

2. Una cosa non si dice, se non metaforicamente,eguale a se stessa, perciò la giustizia, che importa l’egua-glianza, importa insieme relazione ad altri, e relazione ase stesso può importarla soltanto metaforicamente.

3. Ciò che rende buoni gli atti e chi li compie è virtù;la giustizia fa rette, e perciò rende buone, le operazionidell’uomo, perciò la giustizia è virtù.

4. La giustizia appartiene alla volontà e non già all’in-telletto, i cui atti sono conoscitivi e non operativi, e nem-

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meno all’appetito sensitivo perché questo non sa consi-derare la commisurazione di una cosa ad altri.

5. La giustizia si può dire una virtù generale, perchéessa dirige gli atti di tutte le virtù al bene generale ocomune; e poiché tale è il compito della legge, perciòtale giustizia generale si dice legale;

6. la giustizia generale è una speciale virtù se ha peroggetto particolare il bene generale, si identifica collealtre virtù se le coordina al bene generale.

7. Ma oltre alla giustizia generale, che dirige gli uomi-ni in ordine al bene comune, c’è anche la giustizia parti-colare, che dirige gli uomini nelle relazioni fra singoli.

8. E poiché le relazioni esteriori fra singoli stanno incose e in parole, perciò materia della giustizia particolaresono le cose e le parole;

9. e poiché invece relativamente alle passioni internegli uomini non stanno in immediata relazione fra loro,perciò le passioni interne non sono materia della giustiziaparticolare.

10. Se la materia della giustizia particolare sono leparole e le cose esteriori, il giusto mezzo di questo virtù stanel giusto mezzo delle cose stesse in relazione alle persone,

11. e perciò l’atto proprio della giustizia sta nel ren-dere alle persone le cose che dalla demarcazione del giu-sto mezzo restano loro proporzionate; atto di giustizia èrendere a ciascuno il suo.

12. La giustizia, che regola la volontà in ordine al benedegli altri, è la più utile delle virtù, essa quindi è la piùgrande delle virtù morali.

Quest. 59. La ingiustizia. – 1. La ingiustizia si opponealla giustizia; la giustizia è una virtù speciale, perciòl’ingiustizia è un vizio speciale.

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2. Chi commette un’ingiustizia con precisa intenzionee determinazione è ingiusto, non lo è invece chi la com-mette senza intenzione o agendo sotto l’impulso dell’ira.

3. Per sé, si agisce di volontà e si patisce controvolontà; perciò si può soltanto commettere l’ingiustiziavolendola e soffrirla non volendola; ma accidentalmente sipuò anche commettere l’ingiustizia non volendola, comequando non lo si sa, e patirla volendola, come quando sipaga più di quanto si deve.

4. Ciò che è contro la carità, che è la vita dell’anima,è peccato mortale; nuocere al prossimo è contro la caritàe nuocere al prossimo è fare cosa ingiusta; quindi il farecosa ingiusta è un peccato di genere mortale.

Quest. 60. Giudicare. – 1. Il giudizio è la determinazio-ne di ciò che è giusto, perciò giudicare è atto di giustiziae il giudice è la giustizia animata. Così Aristotele.

2. Il giudizio in tanto è lecito in quanto è atto di giusti-zia e perché sia tale occorre che non sia fatto né controgiustizia, né da chi non ha autorità, né con insufficientimotivi.

3. Il sospetto proviene o da eguale difetto, o da cattivoaffetto, o da troppa esperienza; in ogni modo è semprevizio e tanto più grande quanto più avanzato è il sospetto;in questo vi sono tre gradi: I. da lievi indizi si cominciaa dubitare, e questo è peccato veniale, di tentazioneumana; II. da lievi indizi si giudica come cosa certa unocattivo e questo in cosa grave è peccato mortale; III.un giudice per solo sospetto pronuncia una condanna equesta è diretta ingiustizia ed è peccato mortale.

4. Quando gli indizi sono dubbi, per non essere in-giusti col prossimo, dobbiamo interpretarli in bene e nonritenere cattivo nessuno senza prove. Nullus malus nisiprobetur.

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5. Le leggi insegnano il diritto naturale e contengono ildiritto positivo, perciò la sentenza, che è determinazionedel giusto, deve essere conforme alla legge scritta.

6. Una sentenza ha forza di legge perché è interpreta-zione della legge; ed alla stessa autorità spetta fare e in-terpretare la legge, perciò come una legge così anche unasentenza non ha valore se è emanata da chi non ha autori-tà.

Quest. 61. Parti della giustizia. – 1. Nelle relazioni digiustizia si può considerare l’ordine o delle parti fra diloro o del tutto colle parti, e cioè o delle persone parti-colari o delle comunità coi singoli e con ciò la giustizia sidistingue in commutativa e distributiva.

2. Il giusto mezzo nella giustizia commutativa va presomatematicamente, cosicché a chi presta dieci si devedieci; nella distributiva invece va preso geometricamente,cosicché uno per essere rimunerato il doppio degli altrideve valere o prestare il triplo di loro.

3. Benché alla giustizia commutativa e distributivaservano le stesse cose, tuttavia esse riguardano azionidiverse, perché la commutativa è direttiva degli scambi,mentre la distributiva è direttiva delle ripartizioni, hannoperciò materia diversa.

4. Nella giustizia commutativa la proporzione è di cosaa cosa e in tal maniera si devono corrispondere l’offesa e lapena, perché sia giusta, ed altrettanto la prestazione e laprivazione, l’opera e la mercede, l’azione e la ricompensae a servire a questo furono introdotte le monete. Ma nellagiustizia distributiva la proporzione invece è geometricae perciò il corrispettivo è diverso.

Quest. 62. La restituzione. – 1. Restituire significaristabilire uno nel possesso o nel dominio di ciò che è

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suo; in ciò si guarda all’eguaglianza di cosa a cosa, cheè propria della giustizia commutativa; perciò restituire èatto della giustizia commutativa.

2. Come è di necessità della salute conservare la giu-stizia, così è di necessità della salute restituire il maltolto,o in proprio, o in equivalente se il proprio è impossibile,come nel caso di mutilazione.

3. Dopo un furto è necessario e sufficiente restituiresemplicemente ciò che è d’altri; ma se si aggiunge ancheuna sentenza del giudice, che condanna a una pena,allora bisogna scontare anche questa pena.

4. Ciascuno è obbligato a restituire ciò di cui privòun altro; se la privazione è di ciò che questi realmenteaveva, deve seguirsi la proporzione di eguaglianza; ma sela privazione è di ciò che esso non aveva ancora ed erasoltanto in via di ottenere, non si è obbligati al tutto, masoltanto a un compenso proporzionato alla condizionedelle persone e degli affari.

5. L’eguaglianza che la giustizia importa vuole chechi ha meno di quanto gli appartiene abbia il completoperciò la restituzione, per se, è da farsi a colui cui fu tolto,a meno che non ci siano cause che vogliono altrimenti.

6. Nella restituzione bisogna distinguere la cosa altruipresa e l’azione di prenderla: quanto alla cosa, deve resti-tuirla chi la prese finché è in sua mano; quanto all’azionedi prenderla se fu in danno altrui, come nel furto, o invantaggio proprio, come nel prestito, si è tenuti alla re-stituzione della cosa ancorché non la si abbia più in mano;ma se non fu né in danno altrui né in proprio vantaggio,come nel deposito, allora non si è tenuti né per la cosapresa né per l’azione di prenderla.

7. Alla restituzione sono tenuti non solo coloro chepresero la roba altrui, ma anche coloro che vi concorserodirettamente o indirettamente sia con azione positiva chenegativa; e fra essi chi è in qualunque modo causa effica-

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ce del furto è obbligato alla restituzione, anche indipen-dentemente dall’obbligo altrui.

8. Come il prendere così il ritenere la roba altruicostituisce in istato di peccato, che si deve fuggire; perciòla restituzione si deve fare subito, per quanto è possibile.

Quest. 63. Preferenza di persone. – 1. Le preferenzedi persona sono peccato, perché sono contro la giustiziadistributiva; per esse infatti si dà a uno non perché lacosa gli è dovuta, ma perché egli è la tal persona;

2. e usare preferenze nelle cose spirituali di Chiesa èpeccato più grave, perché esse hanno valore più del cosetemporali.

3. Tale peccato può esserci anche negli atti di ossequioe di riverenza, quando si fanno solo in vista delle altruiricchezze, mentre per sé onorare è fare testimonianzadell’altrui virtù.

4. I riguardi personali e le preferenze sono peccato anchein una sentenza del giudice, perché impediscono che essasia atto di giustizia.

Quest. 64. L’omicidio. – 1. Nell’ordine naturale le coseimperfette sono a uso delle più perfette, sono quindi su-bordinate le piante agli animali e questi all’uomo. Perciò,il comandamento: non ammazzare, riguarda l’uomo.

2. Come le cose inferiori sono subordinate alle supe-riori, così la parte è subordinata al tutto e come per la sa-lute del corpo talora si amputa un membro malato, co-sì uno scellerato, che è pericoloso alla società, può ancheessere ucciso;

3. ma questo è riservato a colui cui spetta la tutela del-la società; non possono quindi i privati uccidere i malfat-tori;

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4. a coloro poi che hanno gli ordini sacri ciò è assoluta-mente proibito perché devono rivestirsi della mansuetu-dine di Gesù Cristo.

5. Il suicidio è proibito I. perché è contro la natura, cheinclina alla propria conservazione, e alla carità, per cuiciascuno deve amare se stesso; II. perché è un’offesa allasocietà, cui si appartiene; III. perché la vita è un donoaffidato da Dio, ma sempre soggetto al suo potere e ilsuicidio ne è usurpazione.

Perciò esso non è lecito né per voler andar tosto in Pa-radiso; né per sottrarsi a una morte terribile o a dispia-ceri gravissimi; né per punirsi di qualche peccato e nem-meno per impedire di essere oggetto dell’altrui peccato,perché non dobbiamo fare un peccato noi per impedi-re che ne commettano gli altri. Certe morti di Santi so-no da ascriversi all’ispirazione di Dio, padrone assolutodella vita umana.

6. Per chi è innocente non si verifica il caso delloscellerato nocivo alla società, perciò non è mai lecitouccidere un innocente.

Se noi siamo solo depositari della vita, Dio ne è pa-drone e il sacrificio di Isacco era lecito per il comando diDio.

7. Uccidere per difendersi non è peccato; perché la dife-sa importa due effetti cioè la conservazione propria, cuisi mira, e la uccisione altrui che ne segue senza volerla.Ciò però purché si usi la moderazione dell’incolpevoletutela propria.

8. Se caso è ciò che succede oltre la nostra intenzione,chi per caso uccide uno non è reo di omicidio a meno chene sia reo in causa, per non aver cioè usata la dovutadiligenza o per aver atteso a cose per tale pericolo illecite.

Quest. 65. La mutilazione. – 1. Mutilare può quell’au-torità pubblica che può anche uccidere, ma non può farlo

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un privato, neanche se colui che viene mutilato è conten-to, a meno che si tratti di un membro guasto che bisognaamputare per la salute del corpo.

2. A titolo di correzione e di disciplina i genitori pos-sono, non uccidere e nemmeno mutilare, ma battere i fì-gliuoli soggetti alla loro potestà; però con moderazione.

3. Infine privare del moto e dell’uso delle membra coiceppi e col carcere è lecito secondo l’ordine della giustiziaa titolo di pena o di prevenzione; agli altri è illecitaqualunque forma di detenzione.

4. Tali peccati poi a parità di condizione sono più gravise si commettono verso persone che hanno congiunti,perché a questi si estende l’ingiuria e il danno.

Quest. 66. Furto e rapina. – 1. È naturale all’uomo ilpossesso delle cose fuori di lui, non certo quanto alla loronatura, che è soggetta esclusivamente al potere di Dio,ma ben certo quanto al loro uso per la sua utilità;

2. e per ragione di questa utilità è lecita la proprietàprivata delle cose quanto alla produzione e destinazionedei frutti; questo è necessario alla vita umana per treragioni: I. ciascuno è sollecito di procurare ciò che deveservire a lui solo più di ciò che deve servire a tutti; II.c’è più ordine se a ciascuno è assegnata la propria cura;III. Tanto più lo Stato è pacifico quanto più ciascunoè contento del suo stato; ma non è lecita la proprietàprivata delle cose quanto al loro uso, quando questa siacoll’esclusione assoluta degli altri; perché l’uso si devecomunicarlo facilmente agli altri secondo le necessità.

La comunione dei beni è di diritto naturale nel sensoche il diritto naturale non assegna i privati possessi;questi dipendono da convenzione umana, per cui se laproprietà privata non viene dal diritto naturale, non gli ènemmeno contraria ed è un portato della ragione umana;

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il diritto civile poi regola l’uso e la trasmissione dellaproprietà.

3. Furto è prendere ciò che altri possiede come suo, dinascosto.

4. La rapina è prendere ciò che è d’altri, colla violen-za, aggiunge quindi al furto la violenza ed è perciò unpeccato di specie diversa dal furto.

5. Il furto è contro la giustizia ed ha anche dell’ingan-no o della frode, perciò ogni furto è peccato.

Le cose trovate, se esse prima non furono di nessuno ofurono abbandonate, sono di chi le trova.

6. Ciò che è contro la carità, che è la vita dell’anima,è peccato; il furto è contrario alla carità, perché nuoce alprossimo tanto che se gli uomini si rubassero di continuoa vicenda sparirebbe la stessa convivenza sociale; perciòil furto è peccato mortale.

Dal peccato mortale scusa la parvità della materia,perché il poco è riputato quasi niente.

7. Il diritto umano non può derogare al diritto naturalee divino. Nell’ordine naturale per divina provvidenzale cose inferiori sono ordinate a sovvenire alle necessitàumane. Perciò la proprietà privata, che procede da dirittoumano, non può impedire che con tali cose si sovvengaa una umana necessità. Perciò quello che sovrabbondasi deve di diritto naturale agli indigenti; resta libera ladistribuzione, perché questi sovrabbondano. Che se lanecessità è evidente ed urgente, ciascuno può soccorrerese stesso con ciò che altri ha e questo non è furto, nérapina.

8. La rapina è furto con coazione. La coazionespetta al principe secondo l’ordine di giustizia, cosicchéesercitata contro i malfattori e i nemici non sarebbe piùrapina: ma ai privati la coazione è sempre illecita.

9. La rapina è più grave del furto, perché oltre il dannoalle cose, involge anche ingiuria alle persone.

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Quest. 67. Ingiustizia nel Giudice. – Un giudice non puòdare sentenza su chi non gli è in qualche modo soggetto,perché la sentenza è una legge particolare e la legge nonpuò farla se non chi ha autorità sui suoi sudditi.

2. Il giudice, fungendo da autorità pubblica, deve giu-dicare secondo quanto gli risulta esercitando, nella discus-sione della causa, l’autorità pubblica di cui è investito,ancorché a lui, come persona privata, fosse noto il con-trario.

3. Il giudice non può condannate per un delitto semanca l’accusatore, perché egli è interprete della giustiziae la giustizia importa relazione ad altri; egli quindi nonpuò giudicare se non fra due.

4. Il giudice soltanto giudica fra l’accusatore e il reo egiudica, non di propria, ma di pubblica autorità. Spettaperciò a chi è investito della pubblica autorità, spettacioè solo al principe, condonare la pena se l’accusatoreconsente.

Quest. 68. L’accusa. – 1. Mentre la denuncia (33: 6,7) tende alla correzione del fratello, l’accusa tende allapunizione del reo. Le pene di quaggiù non sono l’ultimaretribuzione, ma servono di medicina o del reo o dellasocietà. Perciò chi conosce un delitto che è di pregiudiziodella società deve farne l’accusa, purché possa provarlo.

2. È convenientemente stabilito che l’accusa sia formu-lata per iscritto, perché così le cose si fissano e si precisa-no e danno modo al giudice di procedere con certezza.

3. L’accusa è ordinata al bene pubblico, ma questonon si deve promuovere ingiustamente; ciò avverrebbeo calunniando l’accusato o impedendone la punizionecolla frode; o desistendo dall’accusa; perciò è ingiustala calunnia, la prevaricazione e la tergiversazione.

4. Se la giustizia è eguaglianza, è giusto che l’accusato-re, il quale non può provare l’accusa, sia punito con quella

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pena con cui egli voleva fosse punito il prossimo; questaè la pena del taglione.

Quest. 69. Ingiustizia nel reo. – 1. L’accusato non puòsenza peccato mortale negare la verità per salvarsi dallacondanna, perché è atto di giustizia prestarsi nell’ordinegiuridico all’azione del giudice; ma se questi procede nongiuridicamente, può appellarsi e non rispondere, o inqualche modo sottrarsi.

2. Dire il falso è diverso dal tacere il vero: non si èsempre obbligati a dire il vero, ma si è sempre obbligatia non dire il falso; nel tacere il vero altre sono le viedella prudenza, come far uso di risposte evasive, e questesono lecite; altre sono le vie dell’astuzia, come difendersicalunniosamente, e queste sono proibite.

3. Può uno appellare quando confida nella giustiziadella sua causa, ma non può appellare quando mira adifferire l’applicazione della giustizia, perché sarebbeeluderla e difendersi calunniosamente.

4. Un condannato a morte se la condanna è giusta nonpuò resistere alla forza pubblica, perché ne seguirebbeuna guerra da parte sua ingiusta; ma se la condannaè ingiusta può resistere come si trattasse di assassini,purché però non ci sia scandalo da evitare.

Quest. 70. Ingiustizia nel teste. – 1. Chi è giuridica-mente citato dal suo superiore come testimone è tenuto acomparire quando i fatti si possono provare o sono noto-ri; altrimenti no; e se chi lo cita non è il suo superiore èobbligato a comparire solo quando si tratta di liberare ilprossimo da una condanna.

2. Nei fatti umani è possibile soltanto una certezzamorale che si ottiene per testimonianza della moltitudi-ne; la moltitudine risulta di almeno tre: principio, cor-

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po e fine; perciò la prova di due testi, che coll’accusatorefanno tre, è necessaria e sufficiente;

3. questa testimonianza, che non è di certezza assolu-ta ma soltanto di probabilità, è inefficace e può essere re-spinta quando involge una probabilità in contrario per lacondizione del teste dipendente o da infamia da inimici-zia e quindi con colpa; o da insufficiente uso di ragione,o da consanguinità o da stato e quindi anche senza colpa.

4. La falsa testimonianza è sempre peccato mortale,perché è uno spergiuro, un’ingiustizia e una falsità.

Quest. 71. Ingiustizia negli Avvocati. – 1. Patrocinarele cause dei poveri è una delle opere di misericordia ea queste si è tenuti del superfluo: a patrocinare poi lacausa di un dato povero è tenuto un avvocato solo quandosi verifica il caso di estrema necessità cui non si puòaltrimenti sovvenire.

2. L’ufficio di avvocato è vietato a taluni, come isordomuti, per ragioni di impotenza, e ad altri, come imonaci, per ragioni di decoro.

3. Difendere una causa ingiusta è cooperare all’ingiusti-zia, e se un avvocato scientemente lo fa, non solo pecca,ma è anche tenuto alla restituzione.

4. L’avvocato, fuori dei casi di obbligo, vende il suopatrocinio e perciò lecitamente prende quel denaro, chegli compete come giusta ricompensa.

Quest. 72. Le ingiurie. – 1. La contumelia sta neldisonorare uno principalmente colle parole rendendo notoin faccia di lui e di altri ciò che è contro il suo onore;

2. essa è peccato mortale se c’è proprio intenzionedi disonorarlo, perché togliere l’onore è per lo menoquanto togliere la roba altrui.

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3. Per la virtù della pazienza dobbiamo avere l’ani-mo disposto a tollerare le offese; ma talvolta dobbiamorespingerle o per correzione dell’offensore o per tuteladella nostra dignità e autorità.

4. La contumelia si può dire figlia dell’ira, perché il suofine coincide col fine dell’ira, che è la vendetta.

Quest. 73. La detrazione. – 1. La detrazione sta neldisonorare uno colle parole di nascosto; essa assomigliaal furto, come la contumelia assomiglia alla rapina, ese questa è derogazione dell’onore, essa è denigrazionedella fama;

2. ed essendo la fama la più preziosa delle cosetemporali, togliere scientemente la fama è per sé peccatomortale, che importa anche l’obbligo della restituzione.

3. La detrazione però non è il più grave peccato controil prossimo, perché la fama, che si lede colla detrazione,è uno dei beni esterni dell’uomo, mentre i beni internidell’anima e del corpo sono più preziosi.

4. Chi ascolta una mormorazione e non la impedisce perla ragione che gli piace, è reo dello stesso peccato, perchépartecipe; ma se non gli piace e omette di impedirlasolo per negligenza o per riguardo, di solito, pecca solovenialmente.

Quest. 74. La mormorazione. – 1. La mormorazioneè eguale nella materia e nella forma alla detrazione, mane differisce nello scopo, perché il mormoratore mira aseparare le amicizie,

2. e poiché l’amicizia è un bene maggiore della fama,perché la buona fama è mezzo alle amicizie, perciò lamormorazione è un peccato più grave della detrazione.

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Quest. 75. La derisione. – 1. La derisione si distinguedagli altri vizi di lingua, perché ha uno scopo distinto,quello cioè di fare arrossire chi vien deriso.

2. La derisione, che deprime non la fama di uno, mala sua stessa persona, è tanto più grave quanto più èonorabile tale persona; secondo quindi le circostanze deldifetto e della persona che si deride può essere peccatomortale.

Quest. 76. Le maledizioni. – 1. È illecito maledirecoll’animo di maledire cioè desiderando o imprecando unmale al prossimo; questo però è diverso dall’esecrare undelitto, dal prenunciare un giusto castigo e dal desiderareun correttivo del male.

2. Maledire alle creature irrazionali in quanto sonocreature di Dio è bestemmia; maledirle invece in se stesseè una cosa oziosa e sciocca.

3. Maledire con animo di maledire augurando un malegrave è peccato mortale se non lo scusa la leggerezza ol’impeto di passione.

4. La maledizione è meno grave della detrazione, per-ché questa ha per oggetto il male di colpa e quella ha peroggetto il male di pena.

Quest. 77. Frodi nelle compra-vendite. – Vendere più ca-ro usando frode è inganno e danno, è perciò peccato. An-che se non c’è frode, nelle compra-vendite, introdotteaffinché gli uomini si giovino a vicenda nella eguaglian-za delle cose determinata dalla moneta, vendere a mag-gior prezzo o comperare a minor prezzo è contro la egua-glianza, perciò è ingiusto ed illecito. C’è ragione di ven-dere a più caro prezzo se la cessione è per chi vende an-che una privazione, perché allora ha un doppio titolo;non così se per chi vende non c’è privazione, ma solo

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chi compra ha un giovamento, perché chi vende non hadoppio titolo.

Il giusto prezzo non è appuntino determinato, ma sicomputa fra un po’ più e un po’ meno.

2. Quando la cosa non è della stessa specie, ma viencambiata; ovvero la misura non è giusta, ma mancante;ovvero la qualità non è quella dovuta, ma scadente, lavendita è illecita, perché c’è difetto.

3. Essendo illecito dare occasione di pericolo o didanno, non si può vendere una merce viziata, a meno chesi manifesti il vizio se esso è occulto, e si riduca il prezzoquando il vizio è palese.

4. Il negoziare, benché non sia lodevole, perché ha perscopo solamente il lucro di cui facilmente l’uomo è insa-ziabile, tuttavia non è illecito quando il lucro è moderatoe ordinato a un fine onesto, come il sostentamento dellafamiglia.

Quest. 78. Mutuo ed usura. – 1. Usura è farsi pagarel’uso di una cosa; essa è illecita quando l’uso si identificacol consumo, come sarebbe del vino, perché non haragione o titolo di essere; non è invece illecita quandol’uso non si identifica col consumo, come sarebbe di unacasa. Nel denaro che si presta per le necessità della vital’uso si identifica col consumo, per esso quindi l’usura èillecita.

2. Ma se per tali prestiti è illecita l’usura, sia in denaroche in equivalente, come dovuta per patto espresso otacito, non è però illecito ricevere qualche spontaneo segnodi gratitudine ed esigere maggiore benevolenza ed amore,che non sono equivalenti di denaro.

Chi presta può, per es. pattuire un compenso per ildisagio e il danno che gli cagionano la privazione di ciòche presta.

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Nulla può essere pattuito per il pericolo del capitale; nelprestito di cosa, in cui coincide coll’uso il consumo, ildominio non resta in chi la presta, altrimenti il consumoè per conto suo: perit domino; il dominio è trasferito inchi la riceve e questi assume in sé il pericolo della perditadel capitale. Fare società poi non è trasferire il dominio;non c’è quindi mutuo, di cui è illecita l’usura.

3. Poiché nelle cose in cui non si distingue l’uso dalconsumo non c’è giuridico usufrutto, perciò chi ha inprestito di tali cose non è tenuto che a restituire il capitale,ancorché ne abbia ricavati dei frutti, perché questi sonodovuti alla sua ingegnosità; non così delle cose, come uncampo, in cui c’è giuridico usufrutto.

4. Farsi concedere un prestito a interesse è illecito,perché sarebbe indurre uno al peccato; è lecito peròadattarsi alla necessità di accettarlo da chi non prestadenaro se non a interesse, perché non è fare il male, masubirlo.

Quest. 79. Parti integrali della giustizia. – 1. Sonoparti integrali della giustizia, che concorrono cioè allaperfezione dell’atto, l’evitare il male e fare il bene, presinon nel senso generale, ma nel senso che per bene siintende ciò che al prossimo è dovuto e per male si intendeciò che al prossimo è di danno.

2. La trasgressione è uno speciale peccato, perché insé involge il disprezzo dello speciale precetto contro cuiva e anche perché la trasgressione è contro i precettinegativi, mentre la omissione è contro i precetti positivi,

3. e anche la omissione, che si oppone, non al benedovuto generalmente, ma al bene dovuto al prossimocome oggetto della giustizia, è uno speciale peccato.

4. Per sé la trasgressione, che è contro i precettinegativi, è più grave dell’omissione, che è contro i precettipositivi, perché anche quelli sono più gravi di questi.

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Quest. 80. Sue parti potenziali. – 1. Le parti potenzialidella giustizia sono le parti che riguardano gli atti secon-dari della virtù e in qualche cosa con lei convengono ein qualche cosa non convengono; e poiché la giustizia haper oggetto ciò che ad altri è dovuto, bisogna considerarel’«altri » come Dio, i genitori etc; e bisogna anche consi-derare l’«è dovuto», cioè il debito che può essere legale omorale e questo o di necessità di essere o di necessità dibene essere, sono perciò parti potenziali della giustizia: laReligione, la Pietà, l’osservanza ecc.

Quest. 81. La Religione. – 1. La Religione tantonel senso di rielezione, propugnato da Cicerone, quantonel senso di rilegamento, propugnato da S. Agostino,importa ordine di relazione esclusivamente a Dio.

2. La Religione porta a dare a Dio l’onore che a Luiè dovuto; rendere a uno ciò che gli è dovuto è un attobuono; la Religione quindi che ne è principio è virtù.

3. La Religione ha un oggetto unico, è quindi una virtùunica;

4. inoltre essa è una virtù speciale, perché ha unoggetto speciale, cioè l’onore dovuto a Dio, che è unonore tutto speciale;

5. e poiché l’oggetto della Religione è l’onore dovuto aDio, Dio è il fine, ma non l’oggetto di questa virtù, perciòessa non è virtù teologica;

6. e poiché ancora la Religione fra le virtù moraliè quella che più va vicino a Dio, perciò essa è la piùeccellente di quelle.

7. La Religione sta non solo negli atti interni, maanche negli atti esterni, perché questi sono subordinatiagli interni, come il corpo è subordinato all’anima.

8. Religione e santità, (che grecamente significa nien-te terra e latinamente mondezza) benché siano essenzial-mente la stessa cosa, tuttavia santità dice piuttosto appli-

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cazione della mente a Dio e Religione dice invece eser-cizio del culto a Dio dovuto, quindi c’è ragione di distin-guerle.

Quest. 82. La devozione. – 1. La devozione, che èuna volontà di fare con prontezza ciò che appartiene alservizio di Dio, è un atto speciale della volontà,

2. ed è un atto di religione, perché il servizio di Diospetta alla religione.

3. Della devozione la causa estrinseca e principale èDio, ma da parte nostra la causa intrinseca è la meditazio-ne, perché è l’intelletto che apre la via alla volontà, mo-strandoci la bontà divina e la miseria nostra;

4. e i suoi effetti sono: diletto per la considerazionedella divina bontà; tristezza unita a speranza per la consi-derazione delle miserie nostre.

Quest. 83. L’orazione. – 1. L’orazione (etimologicamen-te orale ragione ) è atto della ragione pratica, che disponein ordine a chi è superiore, cui conviene non comanda-re, ma domandare e perciò va definita domanda a Dio dicose convenienti.

2. Come non è vero che gli eventi umani non siano go-vernati dalla Provvidenza divina o che dipendano da unalegge di necessità, così non è neppure vero che i decre-ti della Provvidenza si mutino; ciò nonostante l’orazioneè necessaria per ottenere ciò che Dio ha disposto che sicompia per mezzo delle orazioni.

3. L’orazione è un atto di religione, perché coll’orazio-ne ci professiamo bisognosi di Dio, onoriamo così Dio el’onorare Dio è Religione.

4. L’orazione si presenta a uno o perché da lui siaesaudita o perché da lui sia patrocinata; nel primo mo-

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do si deve pregare solamente Dio, nel secondo modo sipossono pregare anche i Santi.

5. Benché Socrate pensasse che a Dio si deve doman-dare beni indeterminatamente, siccome ce ne sono diquelli, come gli onori, che riescono a male, così convienechiedere determinatamente i beni che giovano per questavita e per l’altra, come insegnò Gesù col Pater noster;

6. i beni quindi temporali si devono chiedere non comefine a se stessi, ma come mezzi alla beatitudine, cioè inquanto servono organicamente agli atti di virtù.

7. Dobbiamo chiedere ciò che dobbiamo desideraree siccome dobbiamo desiderare non solo il bene nostro,ma anche quello del prossimo, così dobbiamo pregare an-che per il prossimo, anzi la preghiera della carità fraternaè più grata a Dio;

8. e siccome la carità vuole che amiamo anche inemici, così vuole che preghiamo anche per i nemici, senon in particolare, fuori del caso di necessità, almeno nonescludendoli alle nostre preghiere.

9. L’orazione domenicale è orazione perfetta, perché inquella non solo si chiedono tutte le cose che possiamorettamente desiderare, ma anche coll’ordine con cui ledobbiamo desiderare; infatti si comincia col fine delnostro desiderio, cioè Dio, e seguono prima le cose chea quello ci conducono, poi le cose che da quello ciallontanano.

10. Se l’orazione è atto della ragione pratica, il pregarenon spetta agli animali irragionevoli;

11. e se l’orazione è atto di carità, i Santi, che sonoin Paradiso e hanno una carità più perfetta, tanto piùpregano per chi ne ha bisogno, cioè per noi, e le loroorazioni sono tanto più efficaci quanto a Dio essi sonopiù vicini.

12. l’orazione comune non può che essere vocale, ta-le perciò è l’orazione dei ministri della Chiesa: l’orazioneinvece singolare non è necessario che sia vocale; è però

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conveniente che lo sia: I. per incitare la divozione inter-na; II. per pagare a Dio il debito dovuto anche dal cor-po; III. perché è una naturale ridondanza dall’anima alcorpo.

13. L’orazione ha tre effetti e cioè di merito, diesaudimento e di pascolo della mente: per i primi èsufficiente l’attenzione di prima intenzione cioè virtuale,ma per il terzo è necessaria l’attenzione attuale, essa poipuò essere rivolta o alle parole, o al senso, o a Dio.

14. L’orazione deve essere continua nella sua causa,che è la carità, ma in se stessa deve durare quanto serve,senza tedio, a eccitare il fervore interno.

15. L’orazione non soltanto è causa di consolazionespirituale, ma è anche meritoria per la carità che ne è laradice ed è efficace per la grazia di Dio, il quale vuole chelo preghiamo mentre «non ci esorterebbe a chiedere seEgli non volesse dare». Ed è sempre esaudito chi chiedeper sé cose necessarie alla salute con pietà e perseveranza.

16. I peccatori che pregano come peccatori, cioè se-condo desideri di peccato, meritano di essere puniti an-ziché di essere esauditi; ma se la loro orazione provieneda desiderio naturalmente buono, Dio li ascolta non pergiustizia, perché non hanno merito, ma per sua misericor-dia.

17. Le parti dell’orazione, come si vede negli Ormus,sono 4: l’orazione nell’elevazione della mente a Dio, ilringraziamento dei benefici passati, il voto o desideriorelativo ai benefici futuri, e la supplica fatta per Dominumnostrum J. C.

Quest. 84. Culto esterno di latria. – 1. L’adorazione èatto di Religione, perché con essa si presta onore a Dio.

2. Dobbiamo a Dio onore corpo ed anima, perciò l’a-dorazione è esterna ed interna e l’una all’altra subordina-ta:

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3. ed un determinato luogo per esercitarla, se non è ne-cessario per l’adorazione interna, è certo però convenien-te per l’adorazione esterna.

Quest. 85. Il sacrificio. – 1. Offrire sacrificio a Dioè di diritto naturale; lo hanno praticato tutti i popoliin ogni età e la ragione naturale insegna che l’uomo hauna naturale dipendenza da un essere superiore e che ilnaturale modo di manifestarla sono i segni sensibili.

2. Il sacrificio esterno è segno del sacrificio interno,del sacrificio cioè dell’anima che si offre a chi è suoprincipio di creazione e suo fine di beatificazione. Matale è solo Dio; dunque il sacrificio si deve offrire solo aDio.

3. Offrire sacrificio è un atto che è fatto oggetto dispeciale lode nella S. Scrittura, perciò esso è un attospeciale di virtù e precisamente di religione.

4. Essendo il sacrificio di diritto naturale, tutti visono obbligati; va però distinto il sacrificio interno, alquale sono obbligati tutti, e il sacrificio esterno, il qualeincombe a coloro che vivono sotto la Legge, la qualetalora lo comanda e talora lo consiglia.

Quest. 86. Offerte e primizie. – 1. I fedeli sono tenutialle offerte, non per la Legge dell’Antico Testamento, mao per una convenzione fatta colla Chiesa, o per un votoemesso, o per le necessità della Chiesa, o in forza dellaconsuetudine.

2. Le offerte vanno fatte al Sacerdote, che è mediatorefra Dio e il popolo, affinché servano per i ministri dellaChiesa, per il culto della Chiesa e per i poveri dellaChiesa.

3. Nella Legge del Nuovo Testamento non c’è più ladistinzione fra creature monde ed immonde, ma tutto è

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mondo per merito di G. C. perciò si può di ogni cosa fareofferta a Dio, purché però sia di buon possesso.

4. I fedeli, come sono tenuti alle offerte, così sonotenuti alle primizie secondo la consuetudine della regionee della Chiesa.

Quest. 87. Le decime. – 1. Nel Vecchio Testamentole decime erano dovute per il sostentamento dei ministridella Chiesa: questa ragione naturale sussiste anche ora,perciò anche ora le decime sono dovute; e poiché nelNuovo Testamento l’autorità risiede nella Chiesa, cosìora spetta alla Chiesa stabilire con equità e benignità laparte che si deve intendere per decima.

2. La radice del debito sta in questo che chi seminale cose spirituali ha diritto di mietere nelle temporali, lequali sono tutte date da Dio, perciò il dovere di pagare ledecime si estende a tutte le cose temporali.

3. Chi semina le cose spirituali è il Sacerdote, a luiquindi si deve pagare la decima; essa però è una cosatemporale, perciò può passare anche ai laici.

4. Il dovere di pagare le decime si estende a tutti ifedeli che possedono di proprio, perciò anche quelli dellostato clericale, che possedono di proprio, devono pagarele decime.

Quest. 88. Il voto. – 1. Il voto è una promessa fatta a Dio;Dio legge anche il pensiero, perciò la promessa può es-sergli fatta anche col solo pensiero: ma la promessa pro-cede da un proposito e il proposito procede da volon-tà deliberata, perciò a formare il voto sono necessarie trecose: deliberazione proposito e promessa.

2. Il voto è una promessa che si fa Dio, deve perciòessere di cosa, non che gli sia contraria come il peccato,ma che gli sia grata come un atto di virtù; deve essere

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di cosa possibile e alla quale non si sia già tenuti pernecessità di salute, ma che meglio conduce alla salvezzadell’anima e perciò il voto si dice promessa di un benemigliore.

3. Se ogni promessa è un debito, tanto più lo è unapromessa fatta a Dio; perciò ogni voto obbliga;

4. e poiché ciò che si vota, più che ad utilità di Diotorna ad utilità nostra, perciò è conveniente fare voti.

5. Il voto è disporre qualche cosa in onore di Dio,perciò il voto è un atto di religione.

6. È più lodevole e meritorio fare qualche cosa per voto,che senza voto, perché col voto ogni atto diventa un attodi culto, ne segue una maggior soggezione a Dio e lavolontà resta fissata nel bene.

7. Il voto nel ricevere gli ordini sacri e nella professionereligiosa viene reso solenne per una benedizione spiritua-le o per una consacrazione di istituzione apostolica.

8. Se il voto è promessa di cosa possibile, deve esseredi cosa che non è soggetta all’altrui potestà, perciò idipendenti non possono fare voti senza il consenso deisuperiori.

9. I fanciulli non possono obbligarsi a farsi religiosi, eperché non hanno la capacità della relativa deliberazionee perché sono soggetti alla potestà dei genitori, e questaè tale che anche se ne avessero la relativa capacità, il lorovoto può essere annullato dai genitori.

10. Il voto importa una legge particolare, ma alla leggeparticolare prevale la legge generale, che può modificarela legge particolare in tutto o in parte; conciò il voto vieneo dispensato o commutato.

11. Uno non può restare monaco e contemporanea-mente essere dispensato dal voto di povertà e di casti-tà nemmeno per autorità del Sommo Pontefice, perchémonaco vuol dire solo.

12. Il voto è promessa fatta a Dio di qualche cosa chea Dio sia grata; ma chi giudica in persona di Dio ciò che

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è più o meno grato è il Superiore ecclesiastico; perciòalla dispensa o commutazione del voto occorre l’autoritàdel Superiore ecclestico.

Quest. 89. Il giuramento. – 1. Un fatto non si prova col-le ragioni, ci vogliono testimonianze; ma la testimonian-za umana non dà la certezza, occorre quindi ricorrere al-la testimonianza divina; questo ricorso si chiama giura-mento, che può essere assertorio o promissorio. Giurarequindi è chiamare Dio in testimonio di ciò che si asserisceo si promette;

2. e giurare è una cosa buona e perciò lecita, purchénon se ne usi male, cioè senza necessità e senza la debitacautela;

3. perciò il giuramento deve essere fatto con verità,con giudizio e con giustizia;

4. il giuramento allora importa una professione dellasuperiorità assoluta, della sapienza e della indefettibileverità di Dio; è un onorare Dio; è un atto di religione.

5. Il giuramento che rimedia il difetto della testimo-nianza umana è come una medicina, perciò al giuramen-to, come alle medicine, si deve ricorrere non sempre, maquando ce n’è necessità.

S. Si può giurare anche per le creature, non in se stesse,ma in quanto è in loro evidente la verità divina, come è ilSanto Vangelo.

7. Il giuramento di una fede data o di un impegno pre-so obbliga, purché sia fatto con giudizio e con giustizia;

8. mancare al giuramento è irriverenza, mancare alvoto è infedeltà e anche irriverenza, perciò mancare alvoto è più grave che mancare al giuramento.

9. Come per il voto, così per il giuramento, al partico-lare prevale il generale, che modifica in tutto o in parte ilparticolare, perciò anche nel giuramento si può dispensa-re.

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10. Essendo il giuramento un atto solenne in onoredi Dio a conferma di quanto si dice, sono esclusi dalgiurare i fanciulli, che non ne hanno sufficiente capacità;gli spergiuri, la cui parola non ha più credito, e i sacerdoti,la cui parola deve essere di per sé autorevole.

Quest. 90. Lo scongiuro. – 1. Si possono scongiuraregli uomini o esigendo qualche cosa in nome di Dio dachi ci è suddito, o da chi non ci è suddito semplicementedomandandola.

2. Si possono scongiurare i demoni, ma a fine di cac-ciarli da noi in nome di Dio come nostri nemici, non giàper invocarli che ci aiutino o ci insegnino.

3. Scongiurare le creature irragionevoli, che non capi-scono, è vano; però siccome sono mosse da Dio e anchepossono essere mosse ai nostri danni dal diavolo, cosìè lecito scongiurarle, intendendo di invocare prodigi daDio come intendono i Santi, o intendendo di ricacciarei danni del diavolo, come intende la Chiesa negli esorci-smi.

Quest. 91. Nominare Dio. – 1. Dio merita di essere loda-to, non però come facciamo cogli uomini, che lodiamo oper incoraggiarli o per eccitare altri ad imitarli; Dio lo lo-diamo per eccitare noi stessi a maggiormente venerarlo;lo facciamo quindi non in suo, ma in nostro profitto;

2. e a tale scopo fu assai opportuno introdurre il cantodelle divine lodi, perché esso è assai adatto per eccitarein noi gli affetti.

Quest. 92. La superstizione. – 1. La superstizione è unvizio opposto alla religione per un eccesso o di termine o

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di modo in quanto si presta culto divino anche a chi nonè Dio, o lo si presta a Dio, ma in modo che non si deve:

2. la ragione del modo costituisce una specie di idola-tria; la ragione del termine, ne costituisce tre secondo ildiverso fine; difatti il culto si presta o per onorare Dio,o per ottenerne i lumi, o per ottenerne gli aiuti, quin-di il culto rivolto, anziché a Dio, alle creature diventa oidolatria, o divinazione, o osservanza.

Quest. 93. Superstizione specifica. – 1. La superstizioneè una menzogna nel culto divino; una discordanza cioèfra il segno e la cosa significata: questa discordanza poipuò esserci o per parte della cosa, come sarebbe il cultoebraico, che è di attesa del Messia, ora che il Messia è giàvenuto; o per parte della persona, che, esercitando il cultoin nome della Chiesa, facesse contro le disposizioni dellaChiesa.

2. Relativamente a Dio che è infinito, niente è sovrab-bondante: ma relativamente alle cose ci può essere del su-perfluo nel culto quando esse non servono al culto inter-no, ovvero sono contro le disposizioni e le consuetudini.

Quest. 94. L’idolatria. – 1. L’idolatria è un eccesso direligione quanto al termine, perché è culto divino cheprestarono gli antichi o a imagini o a quelle creature dicui le imagini erano, sia perché le stimassero Dei, siaperché ritenessero tutto il mondo una divinità di cui Dioè l’anima; sia perché riputassero che al sommo Dio siannodasse una lunga catena di esseri superiori: perciòl’idolatria è una specie di superstizione.

2. Il sacrificio spetta a Dio solo, e non già anche acreature, che per quanto eccellenti sono a Dio inferiori; ilsacrificio poi è una cosa esterna bensì, ma sempre segnodel culto interno, e non si può tollerare come semplice

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materialità di consuetudine; perciò il sacrificio offerto achi non è Dio, cioè l’idolatria, è sempre peccato;

3. e poiché l’idolatria in sé sconvolge tutto l’ordinedella religione, perciò l’idolatria è il più grave peccato;però in chi lo commette, che può averne più o menocoscienza, può non essere il peccato più grave.

4. Dell’idolatria causa dispositiva furono gli uomini iquali o hanno troppo amato e venerato qualcuno; o trop-po si dilettarono di rappresentazioni espressive; o trop-po trascurarono di conoscere Dio: ma causa consumati-va dell’idolatria furono i demoni che cercavano di farsiadorare dagli ignoranti dando responsi e operando cosemirabili.

Quest. 95. La divinazione. – 1. L’uomo può predireun’eclissi e congetturare una tempesta, ma non può concertezza predire ciò che farà un altro uomo, perché que-sto è un futuro libero, noto a noi solo dopo il fatto, a Dioinvece da tutta l’eternità. Divinazione invece è la prete-sa di sapere, senza che ci sia rivelato, ciò che appartieneesclusivamente alla scienza divina;

2. e poiché in tale pretesa o si ricorre ai demonionorandoli o i demoni stessi si ingeriscono e voglionoessere onorati, perciò la divinazione è una specie dellasuperstizione.

3. I generi di divinazione sono tre: I. invocazioneespressa dei demoni, che danno le risposte; a) con appa-rizioni che possono essere o di prestigi, cioè di luci e disuoni, o di sogno, o di morti; b) con responsi di oracoli;c) con figurazioni nelle cose inanimate terrestri, acquee,aeree, ignee e aruspicali; II. invocazione non espressa deidemoni nelle pratiche degli astrologi, degli auguri, degliauspici, degli indovini e dei negromanti, fatte per cono-scere il futuro; III. invocazione non espressa dei demoninei giuochi di sortilegio fatti o coi dadi, o colle paglie, o

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colle carte o con altri oggetti e studiati per conoscere coseocculte.

4. La divinazione coll’espressa invocazione del diavoloè illecita, e perché è un patteggiare col diavolo, che ènemico di Dio e perché è un trattare con chi ha perultima mira la nostra perdizione, ancorché le sue primerisposte non siano contrarie alla verità.

5. L’astrologia è vana, perché pretende di conosceregli eventi futuri fortuiti i quali non hanno cause fisse,o gli eventi futuri umani, i quali hanno cause libere;perciò è anche illecita: non è invece illecito, bensì è utile,lo studio dell’astronomia e della metereologia, anche sesi tratta di formulare congetture di carattere generaledipendentemente dall’influsso fisico degli astri.

6. Dai sogni che hanno una causa naturale, per es. lafantasia, l’organismo, l’atmosfera, non si può trarre unaconoscenza certa del futuro, certe coincidenze sono af-fatto casuali; però non è illecito trarne congetture; dei so-gni mandati da Dio per ministero degli angeli si può gio-varsi per la conoscenza del futuro; ma dei sogni ottenu-ti con fatto diabolico è illusorio servirsi per la conoscenzadel futuro che Dio solo può conoscere, ed è anche illeci-to.

7. Altrettanto nelle altre specie di divinazione consi-stenti nelle pratiche degli auguri, degli indovini ecc. vo-ler estendere la propria scienza oltre l’ordine naturalee provvidenziale degli eventi è illusorio e superstizioso eperciò illecito.

8. Si distinguono le sorti in divisorie o delle parti,consultorie o degli atti, e divinatorie o del futuro.

Nel tirare le sorti: I. si può avere l’animo di rimettersialla fortuna in quelle divisorie, e questo è sempre vanità;II. si può avere l’animo di rimettersi agli astri od aglispiriti in quelle consultorie, e questa è superstizione; III.si può avere l’animo di rimettersi a Dio, unico padronedell’universo, e questo non è illecito, purché non lo si

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faccia nelle elezioni ecclesiastiche, perché è proibito e losi faccia non con mire di umane passioni; ma colla debitariverenza e quando c’è necessità.

Quest. 96. Vana osservanza. – 1. Le osservanze dell’ar-te notoria, cioè le pratiche della sedicente arte di acqui-stare il sapere, sono illecite, perché superstiziose, sono, va-ne, perché inefficaci. Fissare certe figure e pronunziareparole magiche non sono segni di istituzione divina, co-me i sacramenti, per l’acquisto della scienza; non posso-no quindi esserlo che per patto diabolico; ma infonde-re la scienza, in modo da conoscerla senza il preceden-te studio, può Dio, ma non il diavolo, che può dare soloqualche suggerimento particolare; perciò sarebbero ten-tavi vani.

2. Le osservanze o pratiche per ottenere modificazioninei corpi, come la sanità in un malato, sono lecite sequegli effetti possono essere naturali; se invece queglieffetti non possono essere naturali, bisogna pensare chequelle pratiche non ne sono le cause e sono invece segnidi un patto col demonio, perciò sono illecite.

3. Le osservanze o pratiche relative alle fortune o alledisgrazie, se non sono segni dati da Dio, resta che sianosegni di cooperazione della vanità umana e della maliziadiabolica e perciò illeciti.

4. Appeso al collo si può portare, non invocazioni deldiavolo; non parole ignote con sensi illeciti, o parolenote con sensi falsi; bensì qualche detto divino, purchénon sia mescolato con segni vani e purché la fiducia siariposta non nel modo di scriverlo e di portarlo, ma nellaassistenza divina.

Quest. 97. Tentazione di Dio. – 1. Tentare vuol direfare esperimento della scienza, potenza e volontà altrui,

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e quando uno trascura quello che può fare per evitarei pericoli e solo si rimette all’aiuto di Dio, tenta Dio,almeno interpretativamente, perché il suo fare non haaltra necessità e altro scopo che di provare la potenza,la sapienza e la bontà di Dio.

2. Tentare Dio è peccato, perché non si mette a provase non si dubita e tentare Dio quindi proviene da fededubbia. Non è invece peccato se lo si fa non per se stessima per gli altri e per glorificare così Dio e la fede.

3. Tentare Dio è un’irriverenza a Dio, è tutt’altroche onorare Dio, perciò è peccato contro la virtù dellareligione.

4. Poiché però l’errore è più grave del dubbio; lasuperstizione, che è professione di errore, è un peccatopiù grave della tentazione di Dio, che è solo professionedi dubbio.

Quest. 98. Lo spergiuro. – 1. Il fine del giuramentoè confermare la verità; ma se il giuramento è fatto confalsità, questa rende vano il fine del giuramento, chequindi, non è più giuramento, ma spergiuro.

2. Lo spergiuro viene a dire che Dio o non conosce laverità o testifica la falsità, il che è una irriverenza a Dio,perciò lo spergiuro è peccato contro la religione;

3. ed è non solo irriverenza, ma anche disprezzo diDio; e poiché tutto ciò che è disprezzo di Dio è peccatomortale, perciò lo spergiuro è sempre, anche nelle cosepiccole, peccato mortale.

4. Chi esige un giuramento che prevede sarà falso, seè un privato pecca, perché coopera al male anzi lo vuole;se è il giudice non pecca, perché vuole semplicementel’ordine giuridico.

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Quest. 99. Il Sacrilegio. – 1. Sacro è ciò che èdestinato al culto di Dio e che diviene così qualche cosadi divino, cui si deve riverenza che si riferisce poi a Dio.L’irriverenza perciò alle cose sacre è ingiuria fatta a Dioed è sacrilegio.

2. Il sacrilegio, che è lesione o violazione di cosa sacra,ha la sua speciale deformità, di essere cioè l’opposto dellareligione, che è una virtù speciale, quindi è un peccatospeciale.

3. Ciò che è sacro e che è oggetto del sacrilegio sidistingue in persone, luoghi, e cose sacre; ci sono quinditre specie di sacrilegio, cioè personale, locale e reale, ene cresce la gravità quanto più è grande la santità di ciòcontro cui si pecca.

4. Le pene hanno carattere di medicina, perciò se nonbasta la scomunica, contro i sacrileghi sono da adoperarsianche le penalità temporali.

Quest. 100. La simonia. – 1. Le cose spirituali sonomateria di contratti; I. perché nessun compenso terrenoè sufficiente; II. perché i prelati ne sono dispensatori enon padroni; III. perché in origine sono gratuito dono diDio: perciò chi vuol farne contratto fa irriverenza a Dio ealle cose divine e commette un peccato di irreligiosità, cheda Simon Mago ha nome di Simonia.

2. Le cose più spirituali sono i sacramenti, che produco-no la grazia spirituale, cui non c’è oro che si possa equi-parare; perciò non si può ricevere denaro o cosa equi-valente in corrispettivo dei sacramenti: non è però simo-nia offrire alcunché per il sostentamento dei ministri deisacramenti;

3. Altrettanto per gli altri atti del ministero ecclesia-stico che hanno effetti spirituali va detto che non si pos-sono contrattare, ma che si può ricevere quello che se-condo le consuetudini approvate dalla Chiesa viene of-

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ferto per il sostentamento dei ministri del Signore, an-zi, compiti quegli atti, le offerte si possono domandare edesigere.

4. Le cose annesse alle spirituali possono esservi annes-se con dipendenza dalle cose spirituali, come un benefi-cio, e possono esservi annesse perché preordinate alle spi-rituali, come un calice; delle prime ogni contratto è simo-nia, delle seconde no, purché si prescinda dal caratteresacro che hanno.

5. Per le cose spirituali è proibito ricevere denaro e ciòche al denaro è equivalente, e poiché il prestare servizi el’impiegare tempo in preghiera rappresentano un’utilità,che si può stimare a denaro, perciò sono proibiti, come ildenaro, così anche i servizi e le preghiere che, in fatto disimonia, si chiamano dono di ossequio e dono di lingua.

6. Oltreché ad altre pene spirituali i simoniaci sonosoggetti alla privazione di ciò che è frutto di simonia daparte e dei venditori e dei compratori e dei mediatori,perché non si può tenere ciò che fu acquistato contro lavolontà del Padrone, cioè di Dio che disse: come avetericevuto così date gratis.

Quest. 101. La pietà. – 1. L’uomo è doveroso ad altri se-condo la loro eccellenza e secondo i benefici ricevuti; co-sì l’uomo ha doveri prima verso Dio, poi verso i genitori,poi verso la patria. Coi genitori si intendono tutti i con-sanguinei; colla patria si intendono i cittadini. OnorareDio è religione, onorare Genitori e Patria è pietà.

2. Il dovere di pietà, per sè, sta nell’onorare; maaccidentalmente sta anche nel prestare soccorso.

3. La pietà ha un oggetto speciale, cioè il culto deiparenti e della patria, perciò è una speciale virtù.

4. Religione e pietà sono virtù ambedue, perciò nonsi escludono a vicenda quasi opposte fra loro come virtùe vizio, si devono quindi ambedue praticare nei debiti

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limiti; per cui se la pietà non impedisce la religione,si devono compiere anche i doveri di pietà; non cosìse la pietà impedisce la religione, perché non si deveabbandonare Dio per gli uomini: non si deve lasciare diconvertirsi per non fare dispiacere ai genitori.

Quest. 102. L’osservanza. – 1. L’osservanza è una spe-ciale virtù che fa parte della pietà e consiste nel prestareculto e onore alle persone costituite in dignità, le quali cisono principio nel governo come Dio ci è principio nellacreazione e i genitori ci sono principio nella nascita.

2. Il culto e l’onore è loro dovuto per l’eccellenza delloro stato e per l’ufficio che esercitano.

3. La pietà però, come virtù, supera l’osservanza, perchéessa è dovuta ai genitori e consanguinei che sono personea noi maggiormente congiunte.

Quest. 103. La riverenza. – 1. Onorare è testificare l’ec-cellenza altrui. L’eccellenza di Dio per Iddio si può te-stificarla col cuore, ma per gli uomini bisogna testificarlacon segni esterni, perciò l’onorare consiste in segni ester-ni e corporali.

2. L’eccellenza altrui che si testifica coll’onorare puòanche avere nessun rapporto con chi onora, e averlo sonocon altri, ma si tratta sempre di eccellenza che implicasuperiorità, perciò l’onore è dovuto a chi è superiore.

3. Altra è la riverenza che si deve agli uomini e altraè la riverenza che si deve a Dio, che ha dominio plenarioe principale su tutte le cose; a Dio si deve una riverenzasuperiore, gli si deve cioè il culto di latria, relativamenteagli altri padroni si deve riverenza, grecamente, dulia.

4. Questa dulia o riverenza dovuta dai servi ai padroni,è l’infima forma di culto.

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Quest. 104. L’obbedienza. – 1. Deve avvenire nelle co-se umane quello che avviene nelle cose naturali, che cioèle inferiori sono mosse dalle superiori. Muovere colla ra-gione e colla volontà è comandare, cui corrisponde l’ob-bedire, è quindi di diritto anche naturale che gli inferioriobbediscano ai superiori;

2. e l’obbedienza, perché ha questo speciale obbietto,è una virtù speciale.

3. Le virtù morali, radicate nella carità, hanno illoro pregio in questo che ci fanno rinunciare a tutto,piuttosto che perdere l’unione con Dio; l’obbedienza cifa rinunciare al massimo dei beni umani cioè alla volontàche supera gli altri beni sia interni dello spirito e del corpoche esterni delle cose, perciò l’obbedienza è la più grandedelle virtù morali.

4. Se obbedire è corrispondere da parte di chi è in-feriore alla mozione di chi è superiore alla mozione diDio, che è motore primo e universale devono corrispon-dere tutte le cose; perciò a Dio si deve, di diritto naturale,obbedire in tutto da parte di tutti.

5. Se una cosa inferiore non risponde alla mozionedella cosa superiore, ciò avviene o per l’intervento di unaforza maggiore o perché manca il contatto. Altrettantol’inferiore non è tenuto a obbedire al superiore se c’è dimezzo un precetto superiore di Dio, o se il superiore co-manda in ciò su cui non ha giurisdizione; come sarebbeper i genitori la scelta dello stato dei figliuoli.

6. La fede cristiana ha per fine di sostenere l’ordina-mento giuridico e non di sopprimerlo; e poiché esso vuoleche gli inferiori obbediscano ai superiori, perciò i fedelinon sono dispensati dall’obbedire alle potestà secolari soloperché sono cristiani.

Quest. 105. La disobbedienza. – 1. La disobbedienzaè contraria alla carità che mira ai buoi rapporti con Dio

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e con gli uomini: ciò che è contrario alla carità è per sépeccato mortale; quindi la disobbedienza è in sé peccatomortale.

2. Ma poiché disprezzare la persona di chi comanda èancor peggio che disprezzarne i comandi, perciò ci sonopeccati più gravi della disobbedienza.

Quest. 106. La gratitudine. – 1. Si deve ai benefatto-ri la gratitudine per qualche beneficio particolare rice-vuto; la gratitudine perciò ha un motivo particolare edè una speciale virtù, distinta dalla religione, dalla pietà edall’osservanza.

2. L’innocente deve a Dio più gratitudine del penitentese si guarda alla quantità della grazia ricevuta ma unpenitente deve a Dio più gratitudine dell’innocente sesi guarda alla gratuità del dono fatto da Dio, che diedegrazia quando si doveva pena.

3. All’ordine universale in cui Dio, motore immobi-le, è il principio e anche il fine di tutte le cose, deve con-formarsi l’ordine particolare del beneficio, che deve sot-to qualche forma ritornare al benefattore e precisamen-te sotto la forma di ringraziamento e, al caso, anche disoccorso.

Anche al servo si deve gratitudine se fa più del suodovere.

4. Un beneficio non si deve ricambiare subito e chi lofacesse mostra di avere l’animo del debitore anziché delriconoscente.

5. Nel ricambiare un beneficio bisogna prendere lamisura dall’effetto, se si tratta di un debito legale, dovutoper giustizia, come il mutuo, o di un debito di quelleamicizie che hanno per motivo l’interesse; bisogna inveceprendere la misura dall’affetto, se si tratta di un debitomorale originato da amicizia vera o da generosità.

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6. La gratitudine poi importa che nel ricambiare si diaanche più del ricevuto, perché altrimenti è pagamento didebito anziché ricambio riconoscente.

Quest. 107. L’ingratitudine. – 1. La gratitudine èun debito della onestà che virtù esige; l’ingratitudine èquindi contro la virtù ed è perciò peccato.

2. La gratitudine è una virtù speciale ed ha tre gradi:riconoscere il beneficio, ringraziare, ricambiare; l’ingra-titudine, che è opposta alla gratitudine, è perciò peccatospeciale ed ha anch’essa tre gradi: rendere male per bene,disprezzare il beneficio, riputarlo un’offesa;

3. cotesta sarebbe ingratitudine perfetta ed in sé sareb-be peccato mortale, l’ingratitudine invece imperfetta, cioènon ricambiare, non ringraziare, non riconoscere il benefi-cio è soltanto omissione di ciò che si deve per liberalità esarebbe soltanto peccato veniale.

4. Chi è ingrato merita la punizione di non ricevere piùbenefici; ma il benefattore deve mirare e rendere gratochi è ingrato e conviene perciò che ripeta il beneficio aquesto scopo.

Quest. 108. Le punizioni. – 1. Nelle punizioni bisognaguardare all’animo di chi punisce; se questi intende sol-tanto di vendicarsi, è peccato; se invece ha per scopo l’e-mendazione del colpevole o la tranquillità pubblica, nonè peccato.

Se pecca la moltitudine, non si devono punire tutti,ma solo i capi.

2. Il punire nei debiti limiti è secondare e perfezionarela naturale inclinazione di prevenire e di rimuovere ciòche nuoce, perciò è una virtù speciale;

3. il punire tuttavia è lecito e virtuoso quando miraa tenere in freno i cattivi, il che si ottiene col sottrarre

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a coloro che non sono amanti della virtù le cose cheamano ed hanno care ancor più di ciò che si procuranopeccando e queste cose sono p. es. la vita, gli averi, lalibertà ecc. cioè colle pene consuete.

4. Le pene come pene spettano solo a chi è reo, a chicioè pecca volontariamente; cogli altri si possono taloraadoperare come medicine; però come non si cava l’oc-chio per guarire il calcagno, così non si devono sottrarrei beni spirituali a medicina di qualche difetto temporale.

Quest. 109. La veracità. – 1. La verità è l’oggetto dellaveracità; dire il vero è un buon atto: la veracità fa dire ilvero, essa è quindi un buon abito, ossia è una virtù;

2. e poiché la veracità fa che l’uomo disponga il suoesterno cioè i fatti e le parole in ordine alla verità e tuttoquesto ha una bontà speciale, perciò la veracità è unavirtù speciale.

3. La veracità fa che soddisfiamo al debito morale,che ci viene dall’onestà, di manifestare agli altri il vero,perciò essa è parte della giustizia.

4. La veracità ha questa particolarità che fa che citratteniamo quando parliamo di noi e diciamo meno diquello che in noi c’è di bene; però, se questo dire menoarriva alla negazione di ciò che in noi c’è, allora non è piùvirtù, perché è falsità.

Quest. 110. La bugia. – 1. La veracità consiste neldisporre le nostre manifestazioni in ordine alla verità;quando invece si dispongono in ordine alla falsità, lavolontà può avere di mira o la falsità o anche il suoeffetto, cioè ingannare; se si dice il falso, se c’è, la volontàdi dirlo e se c’è l’intenzione di ingannare, c’è la falsitàmateriale, formale ed effettiva; orbene la bugia consiste

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nella falsità formale e più precisamente nella volontà didire il falso; perciò la bugia è opposta alla veracità;

2. la gravità poi della bugia va desunta dall’intenzionedi chi la dice e che può avere di mira o il danno altrui,o un vantaggio, almeno negativo, ossia la rimozione diun nocumento, o un divertimento; e con ciò la bugia sidistingue in dannosa, officiosa e giocosa.

3. Essendo naturalmente le parole segno di ciò chesi ha in mente, indirizzarle a scopo contrario è contronatura, perciò ogni bugia è peccato;

4. però, siccome la bugia giocosa e officiosa non sonocontro la carità, esse non sono peccato mortale.

Quest. 111. Simulazione e ipocrisia. – 1. Le nostremanifestazioni non sono soltanto di parole ma anche difatti; e se queste sono contrarie alla verità, sono bugie; lamanifestazione consistente in fatti contraria alla verità sichiama simulazione; la simulazione perciò è bugia e comela bugia è peccato.

2. L’ipocrisia è propria di chi internamente è cattivoed esternamente si manifesta buono; essa perciò è unasimulazione, benché non ogni simulazione, sia ipocrisia;

3. in quanto poi è una simulazione, l’ipocrisia diretta-mente si oppone alla veracità e indirettamente si opponead altre virtù, secondo cioè i fini e i mezzi suoi particola-ri.

4. L’ipocrisia di colui che non cura affatto la santità,ma ogni cura invece mette soltanto nell’apparire santo,è peccato mortale; fuori di questi estremi l’ipocrisia èpeccato mortale o veniale secondo che è, sì o no, controla carità.

Quest. 112. L’ostentazione. – 1. La jattanza o ostentazio-ne c’è quando uno si vanta non solo più di quanto è sti-

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mato, ma anche più di quanto esso è: e allora è contrariaalla veracità.

2. L’ostentazione poi è peccato mortale quando siarriva ad appropriarsi la gloria di Dio o ad offenderecon disprezzi la carità del prossimo; altrimenti è peccatoveniale, purché non costituisca un grave atto di superbia,o di inganno.

Quest. 113. La ironia. 1. La ironia ed irrisione di sestesso quando non è semplice reticenza, ma negazionedei meriti che si hanno e attribuzione di demeriti che nonsi hanno, è contraria alla veracità e perciò è peccato;

2. però l’irrisione di se stesso ordinariamente è menograve della ostentazione, perché questa procede da senti-menti più bassi.

Quest. 114. La cortesia. – 1. La cortesia, per cui cicomportiamo bene col prossimo nel comune conversaresia colle parole che cogli atti, ci dispone a un particolarebene, perciò essa è una speciale virtù;

2. essa fa che rendiamo al prossimo quello che è undebito di convenienza, quindi la cortesia è parte dellagiustizia;

Quest. 115. L’adulazione. – 1. Mentre la cortesia fa cheevitiamo di contristare il prossimo, l’adulazione fa chenel comune conversare cerchiamo di troppo piacergli esovente coll’intenzione di conseguire qualche vantaggio,il troppo, cioè l’eccesso è peccato, perciò l’adulazione èpeccato.

2. L’adulazione quando è fatta o per esaltare unpeccato, o per sorprendere la buona fede o per eccitare

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al peccato è contraria alla carità ed allora è anche peccatomortale, altrimenti no.

Quest. 116. Il litigio. – 1. Il litigio è contrario alla caritàse procede da avversione verso il prossimo che parla; èinvece contrario all’amicizia se procede da mancanza dicortesia.

2. Il litigio che è difetto di amicizia è in sé peggioredell’adulazione, che ne è un eccesso, perché è meglioabbondare che essere mancanti.

Quest. 117. La liberalità. – 1. La liberalità consiste nelfar buon uso dei nostri beni, mentre potremmo farne unuso cattivo, perciò è virtù.

2. La liberalità sta nel dare con larghezza, perciò ma-teria propria della liberalità è il denaro o i suoi equivalen-ti;

3. e poiché gli atti si specificano dai loro oggetti, l’attoproprio della liberalità è il buon uso del denaro;

4. e poiché l’uso del denaro sta nel darlo via, anzichénell’acquistarlo, perché questo sarebbe produzione piùche uso del denaro, e poiché ancora la emissione deldenaro è tanto più grandiosa quanto più esso va lungida noi, perciò alla liberalità appartiene più dare il denaroad altri che spenderlo per noi.

5. La liberalità ha attinenza colla giustizia, perchécome la giustizia ha per oggetto gli averi, per termine glialtri.

6. La liberalità, che ci regola nei beni esterni, è infe-riore però alle altre virtù, che bene ci regolano nei beniinterni.

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Quest. 118. L’avarizia. – 1. I beni esterni hannoloro ragione nell’essere utili per le necessità della vita;ma in tutto ci deve essere la debita misura: l’avarizia èun eccesso nel procurarsi e nel conservarsi questi beni,perciò l’avarizia è vizio, è peccato;

2. e l’avarizia nel senso che è un disordinato amore aldenaro è uno speciale peccato.

3. L’avarizia è contraria alla giustizia quando il troppoamore alle ricchezze fa che si prenda o che si tenga ciòche è d’altri, è invece contraria alla liberalità quando iltroppo amore ai denari fa che si trattengano anziché darlivia.

4. L’avarizia contraria alla giustizia è un peccato digenere mortale; l’avarizia invece contraria alla liberalità,finché non lede la carità, è peccato veniale.

5. L’avarizia, benché sia turpe, non è il più gravepeccato, perché si riferisce all’infimo dei beni umani, cioèal bene esterno e corporale, che sono le ricchezze.

6. L’avarizia è un peccato di spirito, perché la suasoddisfazione sta nella considerazione dei propri averi,mentre i peccati carnali consistono nelle soddisfazionicarnali, è perciò un peccato distinto.

7. A seconda del fine che si propone l’uomo operamolte cose o buone o cattive, e per il denaro, che è unfine pravo, molte cose cattive, perciò l’avarizia, che èamore al denaro, è principio di tanti peccati, è un peccatocapitale.

8. 1. L’avarizia è un eccesso nell’acquisto e nella con-servazione delle ricchezze; perciò da lei nascono: tradi-menti, frodi, inganni, spergiuro, inquietudine, violenza edurezza di cuore.

Quest. 119. La prodigalità. – 1. La prodigalità è contra-ria all’avarizia, perché ne è l’eccesso e il difetto oppostonell’uso del denaro: laprodigalità eccede nel darlo via ed

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è mancante nell’acquistarlo e conservarlo; l’avarizia inve-ce è mancante nel darlo via ed eccede nell’acquistarlo econservarlo.

2. La prodigalità quindi essendo l’estremo oppostodell’avarizia non mantiene neppur essa il giusto mezzonell’uso del denaro e perciò è peccato.

3. È però un peccato non più grave, ma meno gravedell’avarizia e perché alla virtù della liberalità, che stanel dare largamente, è più vicina la prodigalità, eccesso,che non l’avarizia, negazione; e perché il prodigo è utilea molti e l’avaro a nessuno; e perché invecchiando laprodigalità si sana e l’avarizia si peggiora.

Quest. 120. L’epicheia. – 1. L’epicheia o equità è unavirtù, perché è causa di atti buoni in quanto ci guidaa praticare la legge scritta secondo che esige e il sensodella giustizia e la pubblica utilità; per essa, ad esempio,neghiamo di restituire la spada che uno ci ha affidata sece la domanda mentre è sulle furie.

2. L’epicheia o equità è parte della giustizia in qualitàdi regola superiore degli atti umani.

Quest. 121. La pietà. – 1. La pietà, che fa cheprestiamo a Dio il debito culto ed onore per ispirazionedello Spirito Santo, è un dono dello Spirito Santo.

2. Al dono della pietà corrisponde la 2. beatitudine:Beati i miti, perché la mansuetudine toglie gli impedi-menti agli atti di pietà.

Quest. 122. Precetti di giustizia. – 1. Se per lagiustizia dobbiamo a ciascuno il suo, tutti i precetti deldecalogo, che stabiliscono cosa dobbiamo in particolarea ciascuno, appartengono alla giustzia.

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2. Come primo precetto del Decalogo fu conveniente-mente messo quello che riguarda Dio ultimo fine, perchéesso è il fondamento della vita religiosa e ne rimuove iprincipali ostacoli.

3. Come secondo precetto del Decalogo fu convenien-temente messo quello che riguarda l’uso del santo nomedi Dio, perché dopo il precetto che rimuove gli ostaco-li alla religiosità deve venire quello che della religiositàimpedisce le deviazioni,

4. e come terzo precetto del Decalogo fu conveniente-mente messo quello che riguarda il culto di Dio, perchérimossi gli ostacoli e le deviazioni della religiosità, l’uo-mo deve con opera positiva fondarsi nella Religione me-diante l’esercizio del culto.

5. Come quarto precetto del Decalogo fu conveniente-mente messo quello che riguarda i genitori, perché così sipassa dall’onore dovuto a Dio, come principio universaledi tutti noi, all’onore dovuto ai genitori, come principioparticolare di ciascuno di noi.

6. Gli altri sei precetti del Decalogo furono conveniente-mente disposti, come lo sono, dopo i primi quattro, per-ché così dopo l’onore di Dio e dei genitori viene speci-ficato e graduato ogni debito che abbiamo col prossimoper distinte e particolari ragioni.

Quest. 123. La fortezza. – 1. Virtù è ciò che rendel’uomo buono, cioè conforme alla retta ragione; questoavviene in tre modi: I. la ragione viene rettificata, e questoè compito delle virtù intellettuali; II. la ragione rettificataviene applicata alle cose umane, e questo è compito dellagiustizia; III. si rimuovono gli impedimenti di una rettaapplicazione di essa ragione derivanti o da attrattive, equesto è compito della temperanza, o da difficoltà, equesto invece è compito della fortezza e anche la fortezzaperciò è una virtù.

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2. C’è una fortezza generale, e questa è condizionedi ogni virtù, ma c’è anche una fortezza speciale, che stanell’affrontare i pericoli e nel sopportare le fatiche, equesta è una virtù speciale.

3. La fortezza si esercita quando il timore ci ritraedalle difficoltà o quando l’audacia ci porterebbe aglieccessi, la fortezza perciò si dice repressiva del timore emoderativa dell’audacia.

4. La fortezza sostiene la volontà del bene di fronteai mali corporali fino al più grande di essi; il più grandedei mali corporali è la morte, perciò la fortezza è contro iltimore dei pericoli della vita.

5. La fortezza più propriamente è quella che si prostranella battaglia, perché allora di fronte alla morte immi-nente la fortezza sostiene la volontà del bene comune dadifendersi colla guerra: però la fortezza è anche degli al-tri pericoli di morte.

6. La fortezza sta più nel reprimere il timore che nelmoderare l’audacia, perché quella è cosa più difficiledi questa; perciò l’atto principale della fortezza non èaggredire, ma stare fermi nei pericoli.

7. Fine prossimo di chi è forte è un atto di fortezza,ma fine remoto è la beatitudine, cioè Dio.

8. Nell’esercizio della fortezza c’è il diletto spiritua-le dell’atto compiuto, ma c’è anche la molestia corpora-le della vita compromessa, questa di solito impedisce lapercezione del diletto dell’anima, ma la fortezza impedi-sce che la ragione resti assorbita dalla molestia corpora-le.

9. La virtù della fortezza è propria sopratutto dei casirepentini, non nel senso che li sceglie di preferenza,perché essi non si scelgono ma capitano, bensì nel sensoche vi tiene l’animo preparato.

10. Chi è forte nel compire un atto di fortezza fa usodella passione dell’ira, che di sua natura non è né buona,

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né cattiva, ma come virtuoso fa uso di un’ira moderata enon già di un’ira sregolata.

11. Se virtù cardinali sono quelle che fanno operarebene fermamente, questo è proprio sopratutto della for-tezza, essa, quindi è una virtù cardinale;

12. essa tuttavia non è la maggior delle virtù cardina-li, perché la prima è quella che è costitutiva del bene ra-zionale cioè la prudenza; poi segue quella che del beneè produttiva, cioè la giustizia, infine vengono quelle chedel bene sono conservative, cioè la fortezza e la tempe-ranza, e fra queste due la precedenza spetta alla fortezza,perché nulla allontana dal bene più del pericolo di mortee di fronte a questo ci sostiene la fortezza.

Quest. 124. Il martirio. – Il martirio, per cui uno stafermo nella verità e nella giustizia contro l’impeto deipersecutori, è un atto di virtù,

2. ed evidentemente è un atto della virtù della fortezza,perché è questa che rende fermi nel bene anche di fronteal pericolo di morte.

3. Il martirio è il più grande atto di virtù, se nonsecondo la fortezza, che non è la più grande delle virtù,certo però secondo la carità, che ne è il motivo, essendoesso il segno del più grande amore.

4. Il martirio è testimonianza della fede, che è dellecose invisibili, col disprezzo di tutte le presenti cosevisibili, e della stessa vita che ne è la più grande; perciò ilmartirio è perfetto quando importa la morte per Cristo.

5. Il martirio è testimonianza alla verità di Cristo, epoiché tutte le virtù, in quanto si riferiscono a Dio, sonouna implicita protestazione della fede, perciò non la solafede, ma tutte le virtù possono essere causa di martirio.

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Quest. 125. La timidezza. – 1. Il timore disordinato,quello cioè che fa fuggire ciò che si deve tollerare perproseguire nel bene, è peccato; ma non è peccato il timoreordinato, quello cioè che fa fuggire ciò che la stessaragione dice di fuggire.

2. Timore ce n’è in ogni vizio, così l’avaro temesempre di perdere il suo denaro, ma il timore principaleè quello del pericolo di morte; questo è opposto alla virtùdella fortezza ed è un vizio che si chiama ignavia.

3. Il timore disordinato se è soltanto nella sensibilitànon è più che peccato veniale, ma se è accompagnatoda deliberata volontà di fuggire la morte o qualunquealtro male a costo di commettere una trasgressione oomissione grave è peccato mortale.

4. Il timore disordinato, che però non sconvolge l’usodella ragione, non scusa dal peccato, ma tuttavia lo rendemeno volontario.

Quest. 126. La temerità. – 1. La temerità, o disprezzodella propria vita, può derivare da scarso amore di sestesso, da superbia dell’animo o da stolidezza, e in ognicaso è un vizio.

2. Alla fortezza, che è repressiva del timore e modera-tiva dell’audacia, si oppone tanto la timidezza, che è uneccesso di timore, quanto la temerità, che è assenza totaledi timore.

Quest. 127. L’audacia. – 1. L’audacia, passione natu-rale dell’appetito irascibile, quando non è regolata dallaragione, ed è o con mancanza o con eccesso di modera-zione, diventa un vizio;

2. ordinariamente poi l’audacia viziosa è l’audaciaeccessiva e come tale è opposta alla fortezza in quanto,come la temerità, è mancanza del debito timore.

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Quest. 128. Parti della fortezza. – 1. Le parti integralidella fortezza, quelle cioè che ne rendono l’atto perfetto,sono 4: fiducia, magnificenza, pazienza e perseveranza; lafiducia e la magnificenza dispongono l’animo ad iniziarel’atto; la pazienza e la perseveranza sostengono l’animo aproseguirlo.

Quest. 129. La magnanimità. – 1. La magnanimità,come dice il nome, mira a cose grandi; fra le cose esternedell’uomo la più grande è l’onore; quindi la magnanimitàmira sopratutto agli onori;

2. anzi il nome stesso indica che mira, non agli onoricomuni, ma ai grandi onori, come a qualche cosa dibuono e di difficile, per cui occorre maggiore virtù;

3. ed è precisamente una virtù la magnanimità, perchéessa relativamente agli onori pone nell’animo la giustamisura di ragione.

Il magnanimo non è precipitoso, perché mira a coseche, in quanto grandi, sono poche ed esigono grandeattenzione.

Il magnanimo non è superbo; perché come non siinnalza negli onori, non stimandoli superiori a sé, cosìcerca di rendersene degno secondo i doni ricevuti daDio.

4. La magnanimità è una virtù speciale, perché ha unamateria speciale, cioè gli onori, però, siccome l’onore èpremio di ogni virtù, così la magnanimità è anche unavirtù generale.

5. La magnanimità ha attinenza colla fortezza, perché,come la fortezza rende fermi di fronte al pericolo dellavita, così la magnanimità rende fermi di fronte ai massimibeni da sperare e da conseguire.

6. Colla magnanimità poi ha attinenza la fiducia, laquale è forza della speranza, derivata da qualche con-

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siderazione, che dà grande opinione del bene da conse-guirsi;

7. ed ha attinenza anche la sicurezza, che importa quie-te d’animo, perché sebbene in quanto caccia il timore es-sa appartenga alla fortezza, tuttavia in quanto tiene lungiil disperare ha attinenza colla magnanimità.

8. I beni di fortuna molto conferiscono alla magnani-mità, perché essa tende agli onori grandi; a questi non sipuò arrivare se non operando qualche cosa digrande e difar questo danno facoltà, colle forze e le amicizie, i benidi fortuna.

Quest. 130. La presunzione. – 1. La presunzione, comeindica il nome, è assumersi e tentare ciò che supera leproprie forze; essa è quindi contro l’ordine naturale dellecose, è vizio e peccato.

2. La presunzione è contraria alla magnanimità essen-done un eccesso.

Quest. 131. L’ambizione. – 1. Ciò che merita onore èuna qualche eccellenza, e questa, se si ha, viene da Dioed è data a bene del prossimo; l’ambizione invece, cheaspira all’onore o non meritandolo, o non riferendolo aDio, o riducendolo esclusivamente a proprio vantaggio,è un disordinato desiderio di onore, e perciò è peccato.

2. Anche l’ambizione, come la presunzione, si opponealla magnanimità per eccesso.

Quest. 132. La vanagloria. – 1. Gloria, che vuoldire chiarezza, importa manifestazione di qualche cosa didecoroso, sia spirituale che corporale, coll’approvazionecomune; ma desiderare gloria o da cosa che non merita, opresso persone di scarso giudizio o a scapito della gloria

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di Dio e del bene del prossimo è vanagloria, cioè desideriodi una gloria inutile e vuota; è difetto e peccato.

2. Siccome la gloria è effetto dell’onore e questo èoggetto della magnanimità, così la vanagloria si opponealla magnanimità.

3. La vanagloria, quando non è contraria all’amoredi Dio né quanto all’oggetto della vanagloria, né quantoall’intenzione di chi la desidera, non è peccato mortale,ma peccato veniale.

4. La gloria, molto affine all’eccellenza che tutti mas-simamente desiderano, è cosa anch’essa molto appetibi-le; da questo desiderio derivano molti vizi, esso quindi èun vizio capitale;

5. e i vizi, figli della vanagloria sono: la disobbedienza,l’ostentazione, l’ipocrisia, le contese, la pertinacia, la di-scordia e lo spirito di novità, secondoché alla manifesta-zione della propria eccellenza si mira con parole, o confatti, direttamente o indirettamente.

Quest. 133. La pusillanimità. – 1. Quello che è contra-rio all’inclinazione naturale è contrario alla legge natura-le, e c’è in tutti l’inclinazione di fare ciò che è commisu-rato alle proprie forze; a questa, come è contraria la pre-sunzione per eccesso, così è contraria lapusillanimità perdifetto; anch’essa quindi è vizio, è peccato.

2. Il più o il meno non cambia specie, perciò lama-gnanimità e la pusillanimità sono della stessa specie e lapusillanimità è l’opposto della magnanimità.

Quest. 134. La magnificenza. – 1. La magnificenza inDio è virtù, nell’uomo ne è una partecipazione, perciòanche nell’uomo la magnificenza è virtù.

2. Magnificenza vale fare cose grandi; il fare stretta-mente è verbo transitivo che ha un oggetto esteriore e in

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questo senso la magnificenza è una virtù speciale: se in-vece il verbo fare si prende nel senso generico di qualun-que azione, sia interna che esterna, allora la magnificenzaè una virtù generale.

3. La magnificenza mira a grandi opere per le qualici vogliono grandi spese, perciò la materia della magni-ficenza sono le grandi spese; ma insieme ne sono materiaanche il denaro e l’amore stesso al denaro per regolarlocosì che non impedisca le grandi spese.

4. La magnificenza ha attinenza colla fortezza, perché,come la fortezza così anche la magnificenza tende a qual-che cosa di arduo e di difficile.

Quest. 135. La grettezza. – 1. Mentre la magnificenzaha per materia le grandi spese, la grettezza ha per materiale spese piccole, ma poiché chi poco spende molto spende,così chi è gretto non tiene la giusta proporzione fra lespese e l’opera e la grettezza è quindi un vizio.

2. Poiché al piccolo si oppone il grande, perciò allagrettezza si oppone lo spreco, ambidue distanti dal giustomezzo.

Quest. 136. La pazienza. – 1. La tristezza è unimpedimento a fare il bene secondo ragione; la pazienzarimuove l’impedimento della tristezza e fa proseguire lavia del bene, perciò la pazienza è virtù.

2. La pazienza non è la più grande virtù, perché, inconfronto delle altre virtù che costituiscono l’uomo nelbene, essa è impeditiva di ciò che ritrae dal bene, main ultimo grado, ed è in questo che essa rende perfettal’opera della virtù.

3. La pazienza, come virtù non si può avere senzaaiuto della grazia celeste perché, mentre l’anima aborriscenaturalmente dai dolori, essere tuttavia disposti a tutti i

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dolori pur di non perdere il bene della grazia non puòessere che effetto della carità.

4. La pazienza regge l’animo a sopportare i malanni;il massimo di questi è la morte ed a questo regge l’animola fortezza, la pazienza quindi è parte della fortezza.

5. La pazienza conviene colla longanimità nel senso chela pazienza è tolleranza di un male, la longanimità peròconviene di più colla magnificenza nel senso che questaè mira di un bene lontano.

Quest. 137. La perseveranza. – 1. La virtù ha per og-getto il bene difficile; dove c’è una speciale ragione delbene o del difficile ci vuole una speciale virtù; nell’atten-dere lungamente a qualche cosa di difficile c’è una spe-ciale difficoltà; la perseveranza reggel’animo a questo, laperseveranza quindi è virtù ed è speciale virtù.

2. La perseveranza regge l’animo alle cose difficili; lapiù difficile di queste è la morte, alla quale regge l’animola fortezza, la perseveranza quindi è parte della fortezza.

3. La costanza è parte della perseveranza, perché ten-dono ambedue allo stesso fine cioè alla fermezza nel be-ne; ma differiscono fra di loro in quanto la perseveranzarende fermi contro la difficoltà di attendervi lungamente,la costanza invece rende fermi contro le difficoltà esterne.

4. La perseveranza quale virtù ha bisogno del dono del-la grazia santificante, come tutte le virtù infuse; c’è poi laperseveranza finale, cioè l’atto di perseverare nel bene fi-no alla morte, e questa ha bisogno non solo della graziasantificante, ma anche di una grazia speciale, perché la so-la grazia santificante non è sufficiente a rendere immobi-le nel bene il libero arbitrio che per sé è volubile.

Quest. 138. Vizi della fortezza – 1. Molle e cedevoleè ciò che non resiste ma rientra e si ritira a ogni tocco;

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mollezza quindi o cedevolezza è il facile recesso dal beneper qualunque difficoltà: essa è contraria alla perseveran-za, che è fermezza nel bene con lunga tolleranza di cosedifficili e laboriose.

2. La pertinacia, ossia tenacia in tutto e tenacia im-prudente per la persistenza nella propria opinione più diquanto è ragionevole, si trova all’estremo opposto dellacedevolezza, ed anche è contro la perseveranza, che tieneil giusto mezzo di ragione.

Quest. 139. Il dono della fortezza. – 1. Se lavirtù del-la fortezza rende fermi nell’operare il bene e nel soppor-tare il male, la mozione dello Spirito Santofa che l’uo-mo giunga al fine di ogni opera buona cominciata sfug-gendo a tutti i pericoli imminenti, cosa che eccede le for-ze della natura umana; e questo è un dono dello SpiritoSanto, cioè il dono della fortezza, che consiste in una spe-ciale fiducia infusa nell’animo escludente ogni contrariotimore.

2. Al dono della fortezza corrisponde la 4. beatitudine,perché se la fortezza si mostra nelle cose ardue, unadelle cose più ardue è non solo compiere le opere dellagiustizia, ma averne un insaziabile desiderio, cioè la famee la sete.

Quest. 140. Precetti di fortezza. – 1. Fu convenienteche nella Sacra Scrittura Dio desse precetti di fortezza,perché tendono al fine degli altri precetti, cioè all’unionedell’anima con Dio;

2. e fu conveniente che i precetti fossero non soltantorelativi alla fortezza, ma anche alle virtù secondarie chesono parte della fortezza affinché siamo bene istruiti avivere rettamente.

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Quest. 141. La temperanza. – 1. Virtù è ciò che inclinal’uomo al bene e bene è ciò che è conforme alla ragione;la temperanza inclina l’uomo a temperarsi, a moderarsi,a contenersi conforme alla ragione, la temperanza quindiè virtù;

2. anzi, presa nel senso che frena l’appetito in quellecose che più delle altre allettano l’uomo, è una specialevirtù, perché ha una speciale materia.

3. Il bene di ragione è avversato da due moti dell’ap-petito sensitivo, uno che persegue i beni sensibili e cor-porali, l’altro che rifugge dai mali sensibili e corporali; ilprimo ripugna alla ragione, perché nel perseguire i benisensibili, i quali per sé sono naturali e non contrari allaragione, lo fa senza moderazione; il secondo ripugna al-la ragione, perché fuggendo dai mali corporali, che sonouniti al bene di ragione, si fugge dal bene stesso: e comeil secondo è regolato dalla fortezza, moderatrice fra il ti-more e l’audacia, così il primo è regolato dalla temperan-za, moderatrice fra la concupiscenza dei diletti e la tristezzadella loro mancanza;

4. e come la fortezza regge l’animo di fronte ai ma-li più grandi, così la temperanza contiene l’animo nei di-letti più grandi; i diletti sono tanto maggiori quanto piùnaturali sono le operazioni da cui derivano; le operazio-ni più naturali sono quelle dell’istinto della conservazio-ne dell’individuo e della specie e perciò la temperanza èrelativa ai piaceri del gusto e del tatto, che ne conseguono.

5. La temperanza è direttamente relativa al diletto de-rivante dall’uso di ciò che è necessario alla conservazio-ne; in questo è prevalente il gusto, perciò la temperanzaè più propriamente del gusto.

6. Bene è ciò che è conforme alla ragione e di questaè proprio disporre dei mezzi in ordine del fine; perciòla regola della temperanza va presa secondo la necessitàdella vita, per cui dei piaceri si deve far uso tanto, quantola necessità di questa vita lo esige.

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7. La temperanza è una virtù cardinale, perché lamoderazione, che è la regola comune delle virtù, ha lodeparticolare nella temperanza di quei diletti per i quali,venendo essi da operazioni che sono le più naturali e daoggetti che sono i più necessari alla vita, è più difficilel’astensione e il freno.

8. Come il bene pubblico è da anteporsi al privato,così le virtù che hanno attinenza col bene pubblico,quale è la giustizia, sono da anteporsi a quelle che hannoattinenza col bene privato, quale è la temperanza; essaquindi non è la virtù più grande.

Quest. 142. Vizi contrari. – 1. Fu la natura che unì il di-letto alle operazioni necessarie alla vita; ciò poiché è con-tro l’ordine naturale è vizioso, perciò come non si devecercare, così non si deve il diletto fuggire oltre quantoè necessario alla salute umana e alla conservazione del-la natura; e nel fuggirlo sta la insensibilità, che perciò èdifetto, è vizio.

2. L’intemperanza è un vizio bambinesco, non perchésia proprio dei bambini, ma perché è della loro indole,cioè poco ascolta la ragione, diventa presto incorreggibi-le ed ha bisogno di castigo.

3. L’intemperanza ha dei punti di contatto colla igna-via, questa ha per oggetto il pericolo di morte, quella in-vece i piaceri della vita, ma mentre l’ignavo è turbato nel-la ragione, l’intemperante è più sollecitato, perciò l’attovolontario è maggiore nell’intemperanza ed essa è un pec-cato maggiore dell’ignavia;

4. l’intemperanza poi, essendo il vizio che più ripugnaalla dignità umana, perché ha per oggetto i diletti cheabbiamo comuni coi bruti e perché il lume di ragione,che è lo splendore della virtù, poco o nulla vi ha parte,è ciò che vi ha di meno degno di onore, è il vizio piùobbrobrioso.

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Quest. 143. Parti della temperanza. – 1. Della tempe-ranza sono parti integrali, necessarie cioè alla perfezionedell’atto: la verecondia e l’onestà; sono parti soggettive,ossia specie: l’astinenza, la sobrietà, la castità e la pudi-cizia; sono parti potenziali, ossia virtù relative agli atti se-condari: la continenza, l’umiltà e la mansuetudine per gliatti dell’animo, e la modestia per gli atti del corpo.

Quest. 144. La verecondia. – 1. La verecondia ossia ver-gogna di un atto turpe, essendo conseguenza di un’azio-ne cattiva, non è propriamente virtù, che è una perfezio-ne; essa è piuttosto un sentimento lodevole; però ordina-riamente e in largo senso si prende come virtù, che facen-do temere l’obbrobrio ritrae dal male;

2. la verecondia quindi, che è timore della turpitudine,direttamente riguarda il vituperio, che è la turpitudinepenale, e indirettamente riguarda il vizio, cui il vituperioè dovuto.

3. Ci vergogniamo più davanti ai congiunti, che aglistranieri, perché reputiamo di più il giudizio dei con-giunti, e perché la loro testimonianza ci è quasi sempreaddosso, mentre quella degli stranieri è fuggitiva.

4. Non temono vergogna gli scellerati che ne hannoperduto il sentimento e di nulla più ritengono si debbavergognarsi, e nemmeno la temono i vecchi ed i virtuosi,che la ritengono non più possibile per loro e facilmenteevitabile.

Quest. 145. L’onestà. – 1. Onestà è stato di onore,l’onore si deve alla virtù, perciò onestà equivale a virtù.

2. Onesto è lo stesso che decoroso, cioè bello, ma bellodi bellezza spirituale, che consiste in questo chel’agire eil conversare dell’uomo sia proporzionato alla chiarezzaspirituale della ragione.

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3. Onesto, dilettevole e utile soggettivamente sono lostesso, così la virtù è decorosa, è oggetto di compiacenzaed è utile alla felicità; ma nel significato differiscono,perché onesto è ciò che splende di bellezza spirituale;dilettevole è ciò che appaga il desiderio, utile è ciò cheserve ad uno scopo; e se tutto ciò che è onesto e utileè anche dilettevole, non tutto che è dilettevole è ancheonesto o utile.

4. L’onestà è parte integrale della temperanza, perchése la temperanza trattiene dalle cose turpi, l’onestà im-porta bellezza spirituale che è l’opposto del turpe.

Quest. 146. L’astinenza. – 1. L’astinenza, o sottrazionedi cibo, per sé è indifferente; ma se è regolata dallaragione, allora è virtù;

2. ed è virtù speciale, perché trattiene l’uomo dall’im-peto speciale di passione verso i piaceri della gola.

Quest. 147. Il digiuno. – 1. Il digiuno, regolato dallaragione pel conseguimento di un triplice bene, e cioè: I. areprimere la concupiscenza, II. ad elevare la mente, III.a far penitenza dei peccati, è un atto di virtù;

2. ed è atto della virtù dell’astinenza, perché essoriguarda i cibi, relativamente ai quali è l’astinenza checi regola.

3. Il digiuno in quanto corrisponde al conseguimentodel suo triplice bene è di diritto naturale e ciascuno vi ètenuto quanto gli è necessario per conseguirli; ma la suadeterminazione pratica è di diritto positivo e spetta allaChiesa;

4. e ad esso sano tenuti tutti, eccetto coloro che nehanno uno speciale impedimento; il legislatore infattiguarda alla moltitudine e alla generalità, ma non intende

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di obbligare chi ragionevolmente è impedito di osservareil precetto.

5. Fu poi convenientemente fissato il digiuno per queitempi nei quali c’è una ragione particolare di purgare ipeccati e di elevare la mente a Dio, come è il tempo diquaresima, delle tempora e delle vigilie;

6. ed è ragionevole la legge dell’unica cogestione, per-ché così e si soddisfa alla natura e si frena la concupi-scenza.

È fissato il numero delle comestioni, ma non la quan-tità del cibo.

I liquidi sono permessi, perché servono più alla dige-stione che alla nutrizione.

7. Affinché poi davvero si ottenga che mentre si sod-disfa la natura si freni la concupiscenza, l’ora dell’unicacogestione fu fissata quando la digestione precedente èda parecchio tempo completa; in memoria poi dell’orain cui spirò Gesù fu stabilita l’ora nona;

8. e a chi digiuna, per lo scopo stesso del digiunofu giustamente interdetto l’uso delle carni, delle uova edei latticini, perché questi sopratutto sono deliziosi eprovocanti il senso.

Quest. 148. La gola. – 1. Essendo la gola un appetito dimangiare e bere, ma disordinato, cioè contrario all’ordi-ne della ragione, la gola evidentemente è un peccato.

2. La gola poi è un peccato mortale, quando fare cederedall’ultimo fine, ossia fa riporre l’ultimo fine nei piaceridel ventre; altrimenti è peccato veniale.

3. Benché la gola sia occasione di tanti peccati, essatuttavia non è il più grande peccato, perché sono maggioriper es. i peccati che sono contro Dio.

4. Le diverse specie della gola furono distinte secondole sue condizioni contenute nel verso:

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«Praepropere, laute, nimis, ardenter, studiose » e cheriguardano la sostanza, la qualità, la quantità dei cibi iltempo e il modo di mangiare.

5. Essendo i piaceri della gola una cosa molto appeti-bile, per raggiungere la quale si commettono molti pec-cati, perciò la gola è un peccato capitale.

6. Sono figlie della gola: la scipitezza, la scurrilità,l’immondezza, la loquacità, e l’ottusità di mente; vizi altridell’anima, altri del corpo.

Quest. 149. La sobrietà. – 1. La sobrietà, in quantovirtù, ha per oggetto ciò in cui c’è la ragione del bene edel difficile; e poiché sobrietà significa giusta misura, essasi esercita dove è difficile osservarla, cioè nelle bevandeinebrianti, in cui l’uso misurato molto giova e l’eccessomolto nuoce: la sobrietà quindi riguarda sopratutto ilbere, quel bere cioè che per i suoi fumi turba la mente;

2. e poiché il bere inebriante, che colla sua fumositàturba il cervello, è uno speciale impedimento al benedella ragione, la sobrietà, che mira ad impedirlo, è unaspeciale virtù.

3. Il vino non è illecito, per sé, ma può diventareillecito per accidens quando chi lo beve o è debole distomaco, o è legato da un voto, o eccede nella misura,o dà scandalo.

4. A misura poi del pericolo del vino e della condi-zione delle persone si richiede una maggiore sobrietà daigiovani, di per sé ardenti; dalle donne, troppo deboli; daivecchi, perché mai venga a loro meno l’assennatezza; daiprelati, per la gravità dei loro uffici.

Quest. 150. L’ubbriachezza. – 1. L’ubbriachezza,come stato di chi per il troppo vino ha perduto l’usodellaragione, è una penalità della colpa; l’ubbriachezza invece

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come atto di chi per disordinata voglia e uso di vinocade in quello stato è un peccato, a meno ciò avvengainopinatamente, perché il vino era troppo forte; ed èpeccato di gola.

2. Chi sa e che il vino è potente e che può restareubbriacato e vuole restare ubbriacato commette peccatomortale, perché si priva dell’uso della ragione, e si com-promette a fare il male.

3. L’ubbriachezza non è il più grande peccato, perché ipeccati per es. che sono contro Dio sono più gravi.

4. L’ubbriachezza quanto meno fu volontaria tanto piùscusa dai peccati che in essa si commettono, ma li aggravase fu volontaria e appositamente procurata.

Quest. 151. La castità. – 1. Castità significa castigataconcupiscenza, la quale ha bisogno di essere frenata comeun fanciullo, ed evidentemente è virtù.

2. In tal senso di castigata concupiscenza e presa me-taforicamente come freno di qualunque piacere ossia diogni unione dell’anima con ciò che non è Dio, è una vir-tù generale; ma nel senso suo proprio è virtù speciale, per-ché è freno speciale della concupiscenza relativamente aipiaceri impuri;

3. ed è distinta dalla temperanza, che riguarda i ci-bi, perché questa regola gli atti relativi alla conservazio-ne dell’individuo e quella regola gli atti relativi alla con-servazione della specie.

4. La pudicizia, che ha nome dal pudore o vergogna,ha per oggetto ciò di cui ci vergogniamo e sono gli atti incui si manifestano quei piaceri impuri che sono invecepartita della castità; perciò la pudicizia è distinta dallacastità e ne è parte.

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Quest. 152. La verginità. – 1. Verginità vale verdeggianteetà, immune dall’arsura prodotta dalla concupiscenza: laverginità formale e completa sta nel proposito di astenersisempre dai piaceri impuri; mentre la perdita impura, chedi essi è causa, ha relazione soltanto materiale coll’attomorale, e la violazione del fiore o sigillo verginale hacoll’atto morale relazione soltanto accidentale.

2. La verginità non è illecita perché non è viziosa, èinvece lodevole perché utile al bene supremo dell’uomo,che è la contemplazione della verità; e come è conformea ragione astenersi da qualche cosa esterna per la salutedel corpo così è conforme a ragione astenersi da qualchecosa del corpo per la salute dell’anima.

3. Il proposito di astenersi sempre da qualunquepiacere carnale, in cui consiste la verginità è distinto dalproposito, in cui consiste la castità, di astenersi cioè daidisordini in tali piaceri, perciò la verginità è una virtùspeciale, distinta dalla castità e di tanto ad essa superioredi quanto la magnificenza supera la liberalità.

4. Se il matrimonio ha per oggetto un bene di caratte-re corporale, cioè la prole, e la verginità invece ha per og-getto un bene di carattere spirituale, cioè la contempla-zione della verità, è certo che la verginità è migliore delmatrimonio con castità coniugale, comel’anima è miglioredel corpo.

5. Nel genere della castità la verginità è la più grandevirtù; non è però essa la giù grande di tutte le virtù; malo è la carità, che consiste in quell’unione con Dio, cui lastessa verginità serve.

Quest. 153. La lussuria. – 1. Lussurioso vale dissolutonei piaceri, e poiché sono sopratutto i piaceri impuriquelli che portano la dissoluzione nell’anima, perciò lalussuria è sopratutto il vizio dei piaceri impuri.

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2. Come è un bene la conservazione dell’individuo,così è un bene la conservazione della specie, perciò l’usodei piaceri carnali, in quanto si accorda con questo finesecondo l’ordine della ragione, può essere senza peccato;

3. data però l’importanza di tale fine qualunque cosasia contro l’ordine della ragione è vizio e peccato;

4. e poiché il piacere carnale, che è oggetto della lus-suria, ha molta attrattiva e per esso gli uomini commet-tono molti peccati, perciò la lussuria è un peccato capita-le.

5. Poiché poi nella lussuria le potenze inferiori lotta-no potentemente contro le potenze superiori, quando lepotenze inferiori vincono, le superiori, cioè la ragione ela volontà, restano molto scompigliate e ne seguono, co-me figlie della lussuria: la cecità della mente, l’inconside-ratezza, la precipitazione e l’incostanza nel giudizio dellamente; l’amore di se stesso, l’odio di Dio, l’amore dellavita presente e l’orrore della futura nellavolontà.

Quest. 154. Parti della lussuria. – 1. Secondo l’oggettodell’atto impuro le specie della lussuria sono 6: fornica-zione, adulterio, incesto, stupro, ratto e peccato contronatura.

2. La fornicazione in sé rappresenta una vita umana,quella della prole, messa in pericolo quanto all’educazio-ne, per il cui bisogno gli stessi animali si accoppiano efanno nido; quel pericolo poi è un grave nocumento allasicurezza della vita umana; la fornicazione quindi ha insé una gravità naturale. La Sacra Scrittura poi la qualifi-ca un peccato che fa perdere il Paradiso, cioè un peccatomortale.

3. Anzi essendo un peccato che nuoce non all’indivi-duo, ma alla specie, è un peccato molto grave; benché siainferiore per gravità ai peccati che sono p. es. controDio.

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4. Quando lo si fa senza malizia e per costume delluogo, abbracciarsi e darsi un bacio non è peccato; ma seinvece lo si fa per il piacere della lussuria, allora è peccatomortale.

5. Un disordine che avvenga mentre si dorme, mancan-do allora l’uso della ragione, non è peccato, purché non sisia colpevoli in causa, e la causa può essere interna, cioèil corpo e la mente, ed esterna, cioè ildiavolo.

6. Lo stupro, essendo fornicazione con chi è vergine edè ancora sotto la tutela del padre, è un peccato distinto,che aggiunge alla malizia della fornicazione e il dannofatto alla persona vergine e l’ingiuria fatta a chi ne èpadre.

7. Il ratto, consistendo nel rapire una persona a scopodi lussuria, è un peccato speciale perché aggiunge allamalizia della lussuria la violenza fatta alla persona.

8. L’adulterio, cioè peccato di lussuria di persona uni-ta in matrimonio con un’altra, è per questo un peccatoche alla malizia della lussuria aggiunge l’ingiustizia ver-so il coniuge tradito e il danno verso la propria e l’altruiprole, al cui bene dell’educazione sinuoce.

9. L’incesto, ossia peccato fra congiunti, è un peccatodistinto, che aggiunge alla malizia della lussuria l’irrive-renza a’ propri congiunti e alle domestiche pareti.

10. Il sacrilegio, ossia peccato di persona consacrataa Dio, aggiunge alla malizia della lussuria la lesione delcarattere sacro, ed è perciò un peccato speciale.

11. Il peccato contro natura non solo ripugna alla rettaragione, ma è anche contro l’ordine di natura, perciò èun atto distinto,

12. ed insieme è il più grave dei peccati contro la purità.

Quest. 155. La continenza. – 1. La continenza perfetta,cioè astinenza da qualunque piacere carnale, è lo stesso

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che verginità; la continenza invece, che è freno dellaveemenza dei desideri cattivi, è virtù in senso largo;

2. ed è precisamente freno dei desideri di atti impuri,ha quindi per oggetto i piaceri del tatto.

3. Essa poi è bensì freno dell’appetito concupiscibile,ma, come virtú, è propria della volontà.

4. La continenza perfetta è la stessa temperanza, lacontinenza invece, che è virtù in largo senso, fa partedella temperanza.

Quest. 156. L’incontinenza. – 1. Degli animali nonsidice che abbiano né continenza, ne incontinenza; seneparla invece solo dell’uomo che ha l’anima ragionevole,l’incontinenza perciò è cosa dell’anima e il corpo colle suepassioni ne è soltanto l’occasione.

2. L’incontinenza, o mancanza di freno, nei piaceriimpuri è peccato doppio, cioè recesso dalla retta ragionee immersione nelle cose turpi; nei desideri di onori, diricchezze e simili è peccato semplice, cioè recesso dallaretta norma della ragione; nel desiderio di cose nobiliinvece non è peccato, ma virtù.

3. In confronto dell’intemperanza, l’incontinenza èmeno grave, perché consiste nella mancanza di freno inqualche momento di passione, mentre l’intemperanza èuna inclinazione abitualmente cattiva.

4. In confronto invece dell’ira, come passione, l’incon-tinenza turpe è peggiore dell’incontinenza d’ira, perché èun disordine più grave contro la ragione; ma, come ef-fetti, quelli dell’ira sono più gravi perché nuocciono alprossimo.

Quest. 157. Clemenza e mansuetudine. – 1. Clemenza emansuetudine, benché gli effetti siano eguali, non sono lo

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stesso, perché la clemenza è propria dei superiori soltanto,la mansuetudine invece è propria di tutti;

2. ambedue tuttavia sono virtù, perché frenano l’ira anorma della retta ragione;

3. e fanno parte della temperanza, di cui è proprio ilfrenare le passioni.

4. Benché siano inferiori alle virtù teologali, tuttaviahanno un’eccellenza particolare, perché la mansuetudinefrena l’ira, che altrimenti impedisce di giudicare libera-mente la verità, e la clemenza avvicina alla carità, che è lapiù grande delle virtù.

Quest. 158. L’iracondia. – 1. L’ira è una delle passio-ni; queste sono cattive quando fanno contro la ragione,perché si volgono a un cattivo oggetto ovvero nel modoeccedono o mancano: l’ira quindi, se ècontro la retta ra-gione, è cattiva, se invece è conforme alla retta ragione, èbuona;

2. perciò l’ira, se è desiderio che si faccia quella ven-detta che è di ragione diventa zelo ed è lodevole, purchéil moto d’ira non sia esagerato; se invece è desiderio diuna vendetta ingiusta, o immeritata, cioè, od esagerata,allora l’ira è cattiva, è vizio;

3. ed è peccato mortale l’ira, che è desiderio di vendettaingiusta, perché è contro la giustizia e la carità, a menoche si tratti di piccola cosa; il moto invece troppo accesodell’ira è in sé peccato veniale, a meno che trascenda tantoda rompere la carità verso Dio e verso il prossimo.

4. L’ira, che è desiderio di vendetta cioè di punizioneper il bene, è per questo lato meno grave dell’odio edell’invidia, ma quanto al suo moto che è di scatti prontie violenti la vince sugli altri peccati.

5. Gli iracondi sono o acuti, che pungono per ognipiccola cosa; o amari, che si legano le offese ad un dito;o difficili, che non la perdonano più.

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6. Per la vendetta, a cui si è tanto propensi, e per gliscatti di collera, di cui si è tanto facili, si commettonotanti peccati; dall’ira quindi derivano tanti vizi ed essa èun peccato capitale,

7. e sono figlie dell’ira, secondoché essa è o nel cuore,o sulla bocca, o negli atti: le risse, la bile, le offese, glischiamazzi, l’indignazione e la bestemmia.

8. Dal mancare poi di ira, anche quando la rettaragione vuole che ci si agiti, deriva il vizio opposto all’ira,che si chiama apatia.

Quest. 159. La crudeltà. – 1. La crudeltà, che è crudaed aspra, si oppone alla mansuetudine, che invece è lenee dolce.

2. La crudeltà differisce dalla ferocia quanto la maliziaumana differisce dalla bestialità.

Quest. 160. La modestia. – 1. A freno delle concupi-scenze carnali di gola e di lussuria, che sono le più diffi-cili a frenarsi, c’è la temperanza; a moderare invece le al-tre concupiscenze c’è la modestia, virtù che fa parte dellatemperanza;

2. essa ha per oggetto non soltanto le azioni esteriori,ma anche gli atti interni, ed è umiltà quando moderalespinte a primeggiare, è studiosità quando modera la cu-riosità di sapere, è decoro quando modera gli atti sia seriche scherzevoli, ed è eutrapelia quando modera il diver-timento del giuoco.

Quest. 161. L’umiltà. – 1. Relativamente ad un benearduo è necessaria una duplice virtù, una che ecciti e unache impedisca all’eccitazione di riuscire eccessiva; allamagnanimità quindi, che eccita, occorre il contrappeso

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di una virtù, che sia freno all’animo, affinché non tendasmodatamente a cose alte; tale virtù è l’umiltà.

2. Questo freno viene dal conoscere ciò che è spro-porzionato alle proprie forze; cosicché la cognizione deipropri difetti è per l’umiltà la regola direttiva e l’umiltàconsiste nello stesso freno dell’appetito.

3. Di quanto c’è in noi, quello che è bene viene da Dio,quello che è difetto viene da noi stessi; perciòciascuno,mettendosi a confronto col prossimo e quanto al beneche ha da Dio e quanto al male che ha da se stesso, deveessere prono all’umiltà generalmente con tutti.

4. L’umiltà, che è freno dell’animo, è parte dellatemperanza.

5. L’umiltà è la più grande delle virtù; però dopo levirtù teologali; dopo le virtù intellettuali che informanola stessa ragione ordinatrice e dopo la giustizia, che costi-tuisce l’ordine universale, essendo l’umiltà un particolareordinamento della ragione.

6. S. Benedetto enumera 12 gradi di umiltà, dei quali ilprimo è: «mostrare sempre umiltà di cuore e di corpo», el’ultimo è: «temere Iddio e ricordarsi d’ogni suo precet-to»; e così dall’infima manifestazione di umiltà si arrivaal fondamento, che è il timor di Dio.

Quest. 162. La superbia. – 1. Superbia vale «sopra ciòche si è pretendere », essa è contro la retta ragione, laquale vuole che la volontà di ciascuno tenda a ciò che gliè proporzionato, perciò è peccato;

2. ed è un peccato speciale in quanto consiste in taledisordinato desiderio della propria eccellenza; in quantopoi questo disordinato desiderio si riversa negli altripeccati, per cui o gli altri peccati servono alla superbiao per la superbia si disprezzano i comandamenti di Dio,la superbia diventa un peccato generale.

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3. Oggetto della superbia è qualche cosa di arduo,e l’arduo è l’oggetto proprio dell’appetito irascibile; lasuperbia quindi si trova nell’irascibile, preso in sensostretto, se si tratta di cose sensibili, preso in senso largo,se si tratta di cose spirituali.

4. Quattro sono le specie della superbia: I. credersiautori del proprio bene; II. i doni del cielo riputarlidovuti ai propri meriti; III. vantarsi di ciò che non si ha;IV. disprezzare gli altri per essere singolari in ciò che siha. Così S. Gregorio Magno.

5. Se l’umiltà è soggezione anzitutto a Dio, la super-bia, che le è contraria, è ribellione anzitutto a Dio; nel di-stacco da Dio sta la morte dell’anima, perciò la superbiaè un peccato di genere mortale, sorgente dal ricusare sog-gezione a Dio e alla sua legge; è veniale soltanto se nonci sono questi estremi o se l’atto volontario è imperfetto.

6. La superbia anzi è il più grande dei peccati, se nonper il suo oggetto, certo però per la ribellione aDio cheessa rappresenta.

7. E poiché la ribellione a Dio porta per conseguenzail trasgredirne i precetti, perciò la superbia è il primopeccato e il principio degli altri;

8. la superbia quindi, come peccato speciale, è un pec-cato capitale, fonte di altri peccati i e inoltre come pecca-to generale, per la sua influenza su tutti gli altri peccati, èla regina dei peccati, come la chiama SanGregorio.

Quest. 163. Il peccato del primo uomo. – 1. Il peccatodel primo uomo, dato il suo stato di innocenza, nonpoteva essere di concupiscenza della carne dalla qualeera immune; resta perciò che sia stato di desiderio di unbene spirituale a lui sproporzionato, il che è superbia;perciò il primo peccato fu di superbia;

2. e il bene spirituale sproporzionato cui tese Adamo fula somiglianza con Dio; non la somiglianza diseguaglian-

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za, perché è impossibile ed egli non era così sciocco danon capirlo, ma la somiglianza di imitazione, la quale è ditre specie: di natura, di cognizione, e di operazione; quelladi natura Adamo l’aveva già; quella di cognizione l’ave-vano gli Angeli e non l’uomo; quella di operazione nonl’avevano né gli angeli, né l’uomo: Lucifero peccò aspi-rando all’imitazione di operazione; Adamo peccò aspiran-do all’imitazione di cognizione per fissarsi da sé la rego-la del bene e del male e passare poi alla somiglianza dioperazione.

3. Il peccato di Adamo fu il giù grave di tutti, se nonnella sua specie, perché la bestemmia per es. è piùgrave, certo però nelle circostanze della persona elle locommise, data la perfezione del suo stato.

4. Il peccato di Adamo fu più grave del peccato di Eva,se si guarda alla persona di chi peccò, perché Adamo erauomo e più forte di Eva; ma se si guarda al peccato stessodi superbia, il peccato di Eva fu maggiore, perché essacredette al serpente e indusse al peccato anche Adamo,il quale peccò per essere a lei compiacente: perciò Eva fupunita più gravemente di Adamo.

Quest. 164. Pene del primo peccato. – 1. Quando peruna colpa si è privati di un dono che si aveva ricevuto,la privazione di quel dono diventa la pena della colpa.Adamo aveva ricevuto la immunità dalla morte e dai di-fetti corporali come privilegio dello stato di innocenza;e cioè alla sua dipendenza a Dio corrispondeva in lui ladipendenza perfetta delle potenze inferiori alle superiorie del corpo all’anima spirituale in una specie di assorbi-mento: a questo successe il dissolvimento e la ribellione,in corrispondenza alla sua ribellione a Dio; ne seguironoper conseguenza la morte e i dolori, pene del peccato.

La morte è naturale al corpo per la condizione dellamateria, che è scomponibile; ma è anche una pena a

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cagione della perdita di quel dono, che preservava dallamorte.

2. La Scrittura determina esattamente le pene che de-rivarono in Adamo ed Eva dalla privazione di quel donoche avrebbe conservato l’integrità della natura umana. Illuogo competente al loro stato, cioè il Paradiso terrestre,non fu più quello e ne seguirono in loro tali impedimentida non poterlo più riacquistare; furono inflitte a ciascu-no pene di corpo secondo conveniva alloro sesso; e furo-no inflitte pene di anima, consistenti sopratutto nella ver-gogna e nel rimpianto della colpa passata e nello spettrocontinuo della morte futura.

Quest. 165. La tentazione dei progenitori. – 1. Anchedella natura umana è proprio che le altre nature le sianoo di aiuto o di ostacolo; nessuna sconvenienza al quindi seDio permise che gli angeli cattivi tentassero Adamo comefece che gli angeli buoni lo aiutassero; mentre poi egliaveva, per grazia speciale, che nulla potesse nuocerglicontro volontà.

2. L’uomo ha una doppia natura: intellettiva, sensiti-va; e nella prima tentazione fu tentato in ambedue; nel-la intellettiva per il desiderio della somiglianza con Dio enella sensitiva per mezzo e di un pomo, di un serpente edi una donna.

Quest. 166. La studiosità. – 1. Lo studio è applicazionedella mente a una cosa, e si effettua nella cognizionedella cosa, alla quale poi segue l’uso della cognizione; masiccome le virtù si specificano dal loro oggetto principale,perciò la studiosità è relativa alla cognizione e non al suouso.

2. Essa modera il desiderio di cognizione e poichémoderare i desideri è oggetto della temperanza, perciò la

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studiosità, che sta fra la negligenza e la curiosità, fa partedella temperanza.

Quest. 167. La curiosità. – 1. La cognizione della veritàin sé è buona, ed è accidentalmente cattiva quando unose ne insuperbisce o se ne serve per peccare: altrettantoil desiderio del sapere può essere buono, ma può essereanche cattivo o per il fine cui tende, cioè o insuperbirneo servirsene a peccare; o per un disordine che ha in sé,che si verifica; I. quando distoglie da uno studio piùnecessario; II. quando fa rivolgersi a chi non si deve;III. quando si studia la natura per obliarne l’autore; IV.quando per voler studiare cose superiori nonsi imparanoche errori. In tali cose il desiderio di sapere è curiositàviziosa.

2. La cognizione sensitiva è necessaria per provvede-re alle necessità della vita, ed è via alla cognizione intel-lettiva ed allora è buona; ma la curiosità dei sensi che di-strae dallo studio o che porta al male, come sarebberoi pensieri cattivi dal guardare cose pericolose, o le mor-morazioni dall’osservare sottilmente i fatti altrui; è unacuriosità peccaminosa.

Quest. 168. La modestia esterna. – 1. Le membrasono mosse dall’anima, il loro moto è quindi regolabiledalla ragione; e quando il moto delle membra è regolatoin ordine al decoro della persona e dell’ambiente in cuisi trova, allora c’è la virtù della modestia esterna.

2. Come il corpo ha bisogno di riposo, così l’animoha bisogno di sollievo, altrimenti «l’arco troppo teso sispezza». Ma il sollievo si deve cercare non nelle cose turpie non con jattura della propria dignità o prestigio, masempre in modo conveniente alle circostanze di tempo,luogo e persone; in ciò sta l’eutrapelia.

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3. Nel giuoco può esserci sregolatezza o dello stessogiuoco, che può essere o contro la purità o contro lacarità, ed è peccato mortale; o delle circostanze di tempo,luogo e persona, ed allora di solito è peccatoveniale.

4. Come è contro ragione l’eccesso, così è controragione e peccaminoso il difetto nel giuoco e consisteinquella che si dice musoneria e selvatichezza.

Quest. 169. Modestia nel vestire. – 1. Circa il vestirec’è una virtù, che consiste nell’evitare tutto ciò che vi è divizioso; questo poi può trovarsi e nella foggia del vestirecontraria ai costumi umani; e nel vestito troppo lussuosoche può avere senso o di libidine o di pompa, o di troppadelicatezza o di troppa ricercatezza; e anche nel vestitotroppo trasandato quando lo è o per poltroneria o perambizione nascosta;

2. quanto poi alle donne c’è da aggiungere che il loroabbigliamento provoca gli uomini alla lascivia; perciò sesi tratta di una donna che ha da piacere al marito nonè peccato; ma se si tratta di chi non ha da piacere anessuno è peccato ed anche peccato mortale se c’è loscopo perfido di provocare l’altrui concupiscenza; noncosì se lo si fa per leggerezza e vanità.

Quest. 170. Precetti di temperanza. – 1. Poiché scopodei Comandamenti è ottenere la carità di Dio e del pros-simo, era conveniente fissare precetti di temperanza spe-cialmente in ciò che più contraria quello scopo, furonoperciò dati il 6 e il 9 comandamento,

2. e per lo stesso scopo fu anche conveniente che fosse-ro aggiunti precetti delle virtù connesse con la temperan-za per impedire l’ira, per cui si offende il prossimo, e lasuperbia, per cui si nega il debito onore ai genitori.

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Quest. 171. Profezia. – 1. Profezia significa visione di co-se remote e la visione appartiene alla cognizione, perciò laprofezia consiste primieramente nella cognizione; secon-dariamente consiste nella locuzione, cioè nella manifesta-zione delle visioni, e in terzo luogo consiste anche nel faremiracoli a conferma della verità di ciò che si profetizza.

2. Per la visione è necessario il lume, lume intellettua-le se la visione è intellettuale; lume poi intellettuale supe-riore se la visione intellettuale supera la capacità natura-le; tale è la profezia per l’uomo. Il lume intellettuale puòessere o permanente, come la luce del sole, o transeunte,come la luce nell’aere; ma nei profeti esso non è perma-nente, perché non sempre sono in grado di profetare; re-sta quindi che la Profezia è un atto transeunte e non unabito permanente:

3. essendo però esso un lume divino, la visione pro-fetica si estende a tutte le cose, come la luce corporale siestende a tutti i colori; e tale visione essendo di cose re-mote, è non solo di ciò che supera l’intelligenza comu-ne e di ciò che di fatto a nessuno è noto benché lo pos-sa essere, ma anche si estende a ciò che a nessuno può es-sere noto se non a Dio, quali sono i futuri eventi umani, equesta è propriamente profezia.

4. Conosciuto perfettamente un principio in tuttala sua forza, si conosce anche tutto ciò cui si estende;conosciuto invece imperfettamente, si conosce soltantociò in cui esso si fa rilevare; il principio di tutto ciò cheè profetabile è la verità divina, ma questa i profeti non lavedono in se stessa, perciò i profeti conoscono soltanto ciòche loro viene rivelato.

5. La mente del profeta viene istruita o per mezzo diun’espressa rivelazione o per un istinto che essa incon-sciamente subisce; nel primo caso il profeta sa distingue-re ciò che viene dallo spirito di profezia da ciò che vienedal suo; nel secondo caso no.

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6. La profezia è partecipazione della verità divina; allaverità divina la falsità è impossibile, è impossibile quindila falsità anche alla profezia.

Non si avverò qualche profezia condizionata, comequella di Ninive, perché non si avverò la condizione.

Quest. 172. La profezia nelle sue cause. – 1. La profezia èvisione delle cose remote in se stesse e non già previsionedi eventi futuri nelle loro cause; questa è possibile agliuomini perché naturale, ma quella no, perché può aversisoltanto per rivelazione divina in quanto preconoscere ifuturi in se stessi è proprio esclusivamente dell’intellettodivino.

2. Di tale rivelazione la Scrittura ci dice che sonoministri gli Angeli, i quali possono illuminare l’intellettoumano.

. Dipendendo la vera profezia esclusivamente da ri-velazione divina, non c’ è predisposizione naturale a es-sa; e Dio nel fare rivelazioni può infondere la necessariadisposizione e anche crearne il soggetto.

4. Non si esige nemmeno come predisposizione lasantità; perché essa è propria della volontà, mentre laprofezia è propria dell’intelletto: può però la malvagitàessere impedimento al dono della profezia.

5. La profezia propriamente detta, essendo visionedegli eventi umani futuri in se stessi, è di cosa che èpropria esclusivamente dell’intelletto divino, non puòperciò aversi dal diavolo, il quale quindi, per quanto siadi acuto intelletto, non può fare che profeti falsi;

6. i quali però, dato l’acume dell’intelletto diabolico,possono insieme alle falsità intoppare a dire qualche cosadi vero.

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Quest. 173. Mezzi della cognizione profetica. – 1.Poiché la visione della divina essenza è riservata all’altravita, e la divina essenza è semplice e non si può quindidistinguere in lei l’oggetto della beatitudine pei santi elo specchio dell’eternità per i profeti; i profeti non viderola divina essenza, né, quello che videro, lo videro nelladivina essenza, bensì in qualche similitudine o specchiodella divina essenza.

2. La visione profetica si compie talora per influen-za del lume divino sulle nozioni già possedute, talvoltacoll’infusione di nozioni nuove, e talvolta con una nuovadisposizione delle nozioni vecchie;

3. e non avviene sempre con estasi, o astrazione dai sen-si, anzi quando si compie a mezzo di qualche rappresen-tazione sensibile, come il roveto di Mosè, è necessario sicompia senza l’astrazione dei sensi.

4. E poiché i profeti, in confronto dello Spirito San-to che li muove, sono strumenti deficienti, perciò non oc-corre che capiscano quanto dicono: così avvenne per es. diCaifa.

Quest. 174. Divisione della Profezia. – 1. La profezia èdi 3 specie: di minaccia, di prescienza, di predestinazione;perché o commina delle pene, o annuncia ciò che Dioprevede che sarà fatto dagli uomini; o predice ciò che hadestinato di fare Dio stesso.

2. La profezia, che è visione di una verità soprannatu-rale, può essere o visione diretta della verità, o visione amezzo di imagini della verità: ma quella è superiore a que-sta, perché più si avvicina alla visione beatifica e perchémostra nel profeta una maggiore altezza di mente.

3. Nella visione poi a mezzo di imagini della verità, se-condo la forma dell’imagine si distinguono i gradi di profe-zia; essi sono: sogno, visione durante la veglia; audizionedi parole; apparizione di simboli; apparizione del perso-

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naggio che parla, in sembianza angelica; apparizione del-lo stesso in sembianzadivina.

4. Mosè fu il più grande profeta e quanto alla visioneintellettuale, perché, come S. Paolo, vide apertamente laverità, e quanto alla visione a mezzo di imagine, perchéaveva l’apparizione del personaggio che parlava, in sem-bianza divina, e quanto infine alla manifestazione e al-la confermazione delle profezie; però Davide per es. an-nunciò di Dio più verità di Mosè.

5. Se la profezia è visione di verità remota, essa non haluogo nei beati, che hanno la verità presente.

6. Quanto al progresso della profezia esso non fu intutto conforme allo svolgersi dei tempi, perché se quantoalla profezia per la fede in Dio il suo graduale sviluppoè segnato dal tempo dei patriarchi, di Mosè e di Cristo;e se quanto alla profezia per la fede nell’Incarnazione ilsuo graduale sviluppo cresce a misura che il mistero siavvicina e si compie; invece quanto alla profezia per laregola dell’operare essa è più o meno grande a secondadei bisogni dei tempi.

Quest. 175. Il rapimento. – 1. Il rapimento, che diceviolenza, cioè forza dall’estrinseco, significa astrazionedella mente: ne può essere causa un’infermità, che faperdere i sensi; ne possono essere causa i demoni e nepuò essere causa anche la virtù divina e questo è il verorapimento per cui taluno viene elevato dallo spirito divinoa cose soprannaturali con astrazione dai sensi.

2. Il rapimento, che ha per termine la visione della ve-rità, appartiene per sé alla facoltà conoscitiva, talvolta pe-rò, avendo una causa affettiva, può appartenere alla fa-coltà appetitiva; in paradiso poi è di ambedue le facoltà.

L’estasi è effetto dell’amor di Dio; il rapimento peròaggiunge all’estasi, uscita di sé, il concetto di una speciedi violenza operata dalla spirito divino.

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3. S. Paolo nel suo rapimento è da ritenersi che abbiaveduto l’essenza divina medesima, perché si trovò nelcielo dei beati, che ne hanno la visione beatifica,

4. e nel suo rapimento S. Paolo fu alienato dai sensi,perché se le stesse nostre cognizioni intellettuali sonooperazioni di astrazione dai sensi, la visione altissimadell’essenza divina non può essere senza l’astrazione daisensi.

5. Alla visione però di S. Paolo non era necessario chel’anima si separasse anche dal corpo, perché bastava chel’intelletto di S. Paolo astraesse dalle imagini sensibilidella fantasia e da ogni percezione sensibile.

6. S. Paolo però, mentre sapeva di essere nel terzo cie-lo, non sapeva se la sua anima fosse separata o no dal cor-po; anche noi quando sogniamo conosciamo chiaramen-te il sogno, ma non badiamo a sapere se doriamo o siamodesti.

Quest. 176. Il dono delle lingue. – I. Gli Apostoli,che dovevano evangelizzare i diversi popoli della terra,ricevettero nella Pentecoste il dono di tutte le lingue eperché ne avevano bisogno e perché, come la confusionedelle lingue fu segno dell’allontanamento del mondo daDio, così il dono delle lingue doveva essere segno delriavvicinamento del mondo a Dio.

2. Il dono però della profezia supera il dono delle lingue,perché è più eccellente, più nobile e più utile alla Chiesa.

Quest. 177. Il dono del discorso. – 1. Oltre aldono delle lingue gli Apostoli ricevettero dallo SpiritoSanto il dono del discorso, perché avevano bisogno nonsoltanto di conoscere le lingue, ma anche di saper parlareefficacemente per convincere, commuovere e convertire.

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Il dono del discorso in loro ha supplito la mancanzadello studio della Retorica.

2. Al dono del discorso, della scienza e della sapienzapossono partecipare anche le donne, ma soltanto per idiscorsi famigliari e privati e non per i discorsi pubbliciin Chiesa, poiché questi sono di spettanza dei Prelati.

Quest. 178. Il dono dei miracoli. – 1. Poiché per l’uomoè naturale riconoscere le verità intellettuali per mezzo disensibili effetti, lo Spirito Santo, per provvedere sufficien-temente alla Chiesa aggiunse al dono delle lingue e al do-no del discorso anche il dono dei miracoli, i quali sono ef-fetti soprannaturali che inducono l’uomo alla cognizionesoprannaturale delle verità da credersi.

2. Cose mirabili possono operarle anche i demoni, maveri miracoli può operarli Dio solo; di essi Dio si servee per dimostrare la santità di un uomo e per dimostrarela santità della fede che egli predica e in questo secondocaso un miracolo può essere fatto anche se la persona chepredica la fede o invoca Iddio non è santa.

Quest. 179. Vita attiva e vita contemplativa. – 1. L’intel-letto, che è la caratteristica dell’uomo, si distingue in spe-culativo, la cui cognizione ha per fine la stessa contem-plazione della verità, e pratico la cui cognizione ha per fi-ne l’agire; perciò ci sono due vite: la contemplativa e l’at-tiva;

2. e poiché la vera vita umana ha principio dall’intel-letto, questa divisione è sufficiente.

Quest. 180. La vita contemplativa. – 1. La vita contem-plativa consiste principalmente nella contemplazione del-la verità, non però esclusivamente in questo; anzi, poiché

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l’intelletto è principio della volontà, dal possesso dellaverità da parte dell’intelletto ne deriva alla volontà com-piacenza ed amore;

2. e le virtù morali, benché non siano costitutivedella vita contemplativa, ne sono però dispositive, perchéfrenano le passioni che altrimenti impedirebbero la vitacontemplativa;

3. inoltre, benché la vita contemplativa consista nel-l’atto della contemplazione della verità, a questo si de-vono premettere altri atti, come l’ascoltare, il leggere, ilpregare, il meditare ecc.;

4. essa infine consiste primieramente nella contempla-zione di Dio, ma secondariamente anche nella contem-plazione dei divini effetti, perché è dalle cose visibili checonosciamo le cose invisibili di Dio.

5. La contemplazione di Dio, tuttavia, nella presentevita e durando l’uso dei sensi, non arriva alla visionedella stessa essenza divina; ciò può avvenire soltanto inun rapimento, quale fu quello di S. Paolo.

6. La contemplazione perfetta si compie o raccoglien-do nella sola contemplazione della verità tutte le opera-zioni dell’anima, o elevandosi dalle cose sensibili esterio-ri alle cose intellettuali, o lavorando di raziocinio in ba-se a lumi celesti: vi sono così tre moti distinti dell’anima ecioè il circolare, il retto e l’obliquo.

7. La vita contemplativa, sia perché consiste nella piùalta operazione umana, sia perché ha la radice nel divinoamore, è la vita più gioconda.

8. La vita contemplativa è diuturna non solo perchéil suo oggetto è inesauribile, ma anche perché in noisi compie nella parte incorruttibile, che è l’intelletto, esenza fatica del corpo.

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Quest. 181. La vita attiva. – 1. Gli atti delle virtùmorali appartengono tutti alla vita attiva, perché essa haper iscopo l’agire.

2. Anche la prudenza appartiene alla vita attiva, perchéessa è retta norma dell’agire.

3. L’insegnamento, in quanto è opera del maestroeconcorso dello scolaro, appartiene alla vita attiva; manello scolaro appartiene alla vita contemplativa quandoin lui diventa fissarsi nella contemplazione della verità ecompiacersene.

4. Il Paradiso consiste nella visione beatifica, che èvitacontemplativa, cesserà quindi in Paradiso la vita attiva.

Quest. 182. Confronto fra le due vite. – 1. Lenecessità della vita presente esigono maggiormente lavita attiva, ciò però non toglie che la vita contemplativasia la migliore.

2. Ed è anche più meritoria della vita attiva la vita con-templativa, perché essa si riferisce direttamente all’amo-re di Dio, il quale è più eccellente dell’amore del prossi-mo, cui si riferisce direttamente la vita attiva; a meno chesucceda che taluno si dedichi alla vita attiva per sovrab-bondanza del divino amore.

3. La vita attiva, in quanto è occupata nelle azioniesteriori, è di impedimento alla vita contemplativa; ma èinvece di giovamento ad essa in quanto modera le internepassioni dell’anima che impediscono la contemplazione.

4. Per natura sarebbe prima la vita contemplativa, per-ché essa diventa motivo della vita attiva, ma in ordine ditempo è prima la vita attiva, perché essa diventa disposi-tiva della vita contemplativa.

Quest. 183. Uffici e stati degli uomini. – 1. Stato signifi-ca condizione stabile, questa risulta non dalle ricchezze o

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dalle dignità, che sono mutevoli, ma dall’essere uno pa-drone di sé o meno; stato quindi riguarda direttamente lalibertà e la servitù, sia nelle cose civili che nelle spirituali.

2. Nella Chiesa c’è diversità di stati e di uffici, e ciò perla sua perfezione, la quale risulta dalla varietà nell’ordine;per la sua necessità, essendo varie le sue funzioni; infineper il suo decoro, essendovi tutto ingradazione.

3. La diversità poi degli uffici si distingue dai relativiatti, perché se la perfezione porta la differenza degli sta-ti, uno più perfetto degli altri; la necessità porta la diffe-renza degli uffici, che importano diversi ordini di azioni;mentre il decoro importa diversi gradi, essendoché anchein uno stesso stato od ufficio ci sono gli uni superiori aglialtri.

4. Spiritualmente ci sono due stati: uno di servitù alpeccato o alla giustizia, e uno di libertà o dal peccato odalla giustizia: il peccato è contrario alla natura umana,è perciò naturale all’uomo lo stato di libertà dal peccatoche diviene tosto stato di servitù della giustizia e come inogni cosa c’è il principio, il mezzo e il fine, così nello statodi servitù della giustizia si può essere incipienti, proficientie perfetti.

Quest. 184. Lo stato di perfezione. – 1. La perfezionecristiana si deve sempre guardare sotto il punto di vistadella carità, che è il vincolo della perfezione.

2. Amare Dio quanto esso è amabile e amare Dio colleforze tutte sempre e solo in atto di amarlo ci è impossibilenella presente vita; ma ci è possibile amareDio escludendosempre tutto quello che ripugna all’amor di Dio e in questosta la perfezione possibile nella presente vita.

3. La perfezione, che è riposta essenzialmente nella ca-rità, consiste primieramente nell’osservanza dei precetti, iquali hanno per fine la carità e la rimozione di ciò che ècontrario alla carità; nella pratica dei consigli, che hanno

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per fine la rimozione di certi impedimenti dell’atto di ca-rità che però non sono contrari alla carità, come l’occu-parsi di affari, consiste solo secondariamente.

4. La perfezione però, o stato interno, non coincidecollo stato di perfezione, o professione di vita di perfe-zione, perché c’è chi manca al suo dovere e c’è chi fa piùdi quello che deve; ci sono dei religiosi cattivi e ci posso-no essere dei semplici fedeli ottimi, ci sono adunque deiperfetti che non sono nello stato di perfezione e viceversa.

5. Nello stato di perfezione si trovano i religiosi pervoto e i vescovi per ufficio, perché gli uni per la solennitàdel voto, gli altri per la consacrazione episcopale sonoobbligati alla perfezione.

6. Coloro che sono insigniti dell’ordine del diaconato odel presbiterato non sono costituiti con ciò nello stato diperfezione, perché in loro l’ordine dice soltanto facoltà dicompiere atti sacri e la cura d’anime non li lega totalmen-te, giacché possono lasciarla, e ciò anche senza permessodel Vescovo se si fanno religiosi. Costituisce invece nel-lo stato di perfezione l’Episcopato, perché i vescovi sonolegati alla cura così, che senza il consenso del Papa nonpossono lasciarla.

7. Lo stato poi episcopale è superiore allo stato religio-so, perché agire è più che soffrire e lo stato episcopaleprevalentemente è di agire, mentre quello religioso è disoffrire.

8. I sacerdoti secolari, che hanno cura d’anime, inconfronto dei religiosi, che hanno gli ordini sacri ma nonhanno cura d’anime, sono inferiori quanto allo stato divita, che non è stato di perfezione; ma sono superioriquanto alla cura d’anime, perché è più difficile viverebene in cura d’anime che vivere bene in religione.

Quest. 185. Episcopato. – 1. Desiderare l’episcopato perl’ufficio, che è di pascere il gregge di Cristo e di essere

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utile al prossimo, è cosa buona per chi si sente in forze;ma desiderare l’episcopato per la riverenza, l’onore e l’o-pulenza che ne consegue è ambizione e cupidigia; deside-rarlo poi per la eccellenza del grado è presunzione.

2. Ma se l’episcopato anziché desiderarlo viene impo-sto non si può rifiutarlo, perché sarebbe contro la caritàdel prossimo e contro l’obbedienza dovuta al superiore.

3. Chi elegge all’episcopato deve eleggere il migliore, ecioè non semplicemente il più santo, ma chi è il più attoal governo della Chiesa da affidargli; chi poi viene elettonon deve stimarsi il più degno, deve però sapersi nonindegno.

4. Lo stato di perfezione episcopale consiste nell’at-tendere alla salute del prossimo per amor di Dio, e chi neè insignito vi è obbligato finché è utile alla Chiesa e nonpuò lasciarlo, nemmeno per farsi religioso, senza il con-senso del Papa e senza legittima causa; questa può tro-varsi in lui, per qualche difetto, cioè, sopravveniente o dianima o di corpo e può trovarsi anche nel gregge che alui non corrisponde;

5. e quando la salute del gregge esige la presenza corpo-rale del Pastore e del Vescovo, esso non può abbandonar-lo nemmeno per il pericolo della vita, a meno che possasufficientemente provvedere altrimenti.

6. I Vescovi non sono proibiti di possedere qualche cosadi proprio, giacché non sono legati né dall’ufficio che aciò non si estende, né dal voto di povertà, che non hannoemesso.

7. I redditi della Chiesa sono per i poveri, per ilculto e pei ministri, e quindi al vescovo ne spetta solouna parte; se l’amministrazione è distinta, il vescovo,che esige anche ciò che non gli spetta, pecca contro lagiustizia, ma di quello che gli spetta può far uso comefosse suo; se l’amministrazione non è distinta ed è alui affidata, nella ripartizione, non può attribuirsi una

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parte eccessiva, perché allora non è il dispensatore fedelerichiesto da S. Paolo.

8. Quando un religioso viene fatto vescovo deve conser-vare delle sue regole ciò che non impedisce l’ufficio Pon-tificale – il che potrebbe essere del silenzio, delle veglie,dei digiuni, dell’orario – e resta obbligato a ciò che servealla custodia della perfezione, come la castità, la povertàe l’abito, che è il segno della professione di vita perfetta.

Quest. 186. Lo stato religioso. – 1. Lo stato religiosoè stato di perfezione, perché religiosi si dicono quelliche totalmente si dedicano al servizio di Diocome inolocausto e nell’attendere totalmente a Dio consiste laperfezione.

2. La perfezione consiste essenzialmente nella carità;consequenzialmente nelle opere virtuose, e strumental-mente negli esercizi di perfezione. Chi si fa religioso siobbliga non ad avere già la perfezione, ma ad acquistar-la, perciò è tenuto a tendere alla carità perfetta, ad ave-re l’animo di manifestarla cogli atti di virtù, e a pratica-re quegli esercizi di perfezione che sono fissati dalla re-gola che ha professata; non è però obbligato agli esercizidi altre regole.

3. Per giungere alla carità perfetta bisogna avere ilcuore totalmente distaccato dalle cose mondane, perciòalla perfezione del religioso è necessario il voto di povertà.

4. Anche l’unione coniugale impedisce al cuore di dar-si totalmente al servizio di Dio, tanto più che vi si aggiun-gono le brighe della famiglia, perciò alla perfezione delreligioso è necessario anche il voto di castità.

5. La perfezione consiste sopratutto nell’imitazione diCristo; di Cristo fu lodata sopratutto l’obbedienza, per-ciò alla perfezione del religioso è necessaria l’obbedienza.

6. I religiosi appartengono allo stato di perfezione; lostato di perfezione lo costituisce per i vescovi la consa-

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crazione episcopale, per i religiosi l’obbligazione assun-ta solennemente, cioè con voto; perciò la povertà, la ca-stità e l’obbedienza, che sono necessarie alla perfezione,devono essere assunte con voto;

7. e poiché per questi tre voti il religioso è liberatoda ogni sollecitudine temporale, che gli impedirebbe diattendere alla perfezione, e inoltre esso fa sacrificio a Diodi quanto gli può appartenere perché gli offre ogni beneesterno, col voto di povertà e, dei beni interni, quelloche sarebbe suo possesso del corpo col voto di castità e,col voto di obbedienza, quello che sarebbe suo possessodell’anima, perciò in quei tre voti consiste la perfezionedel religioso.

8. Di quei tre voti poi il più importante è il voto diobbedienza, perché con quello si fa sacrificio a Dio dellavolontà, che è il bene nostro più intimo e più nobile, eperché la volontà è principio di tutta la vitareligiosa.

9. La professione religiosa riguarda principalmente itre voti, perciò i voti importano obbligazione grave; noncosì il resto della regola, la sua trasgressione quindi nonè peccato mortale, a meno che vi si unisca il disprezzodell’autorità.

10. Un peccato è più grave in un religioso che in unsecolare e ciò per il voto che esso ne può avere, poiper lo stato di perfezione che professa, e infine per loscandalo che ne deriva. Se però il peccato è per fragilitào ignoranza, nel religioso riesce più facilmente riparabileche nel secolare.

Quest. 187. Competenza dei religiosi. – 1. Lo stato re-ligioso non rende illecito ai religiosi il predicare, confes-sare, insegnare ecc., ma nemmeno ne conferisce loro lafacoltà; questa a loro viene conferita dagli ordini sacri edall’autorizzazione della competente autorità.

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2. Come è dello stato clericale, così è pure dellostato religioso che non si possono trattare affari per amoredi denaro, ma si può soltanto, per amor del prossimo,fare opera di amministrazione e di direzione colla debitamoderazione e coll’autorizzazione dei superiori.

3. I religiosi, che non lo hanno per regola, non sonoobbligati al lavoro, più di quanto lo siano i secolari, perciò,come essi, vi sono tenuti per procurarsi il vitto, perfuggire l’ozio, per frenare la concupiscenza dell’altrui eper poter fare elemosina; per lavoro poi si intende illavoro manuale e qualunque altra onestaoccupazione.

4. Ad ognuno è lecito vivere, anziché di lavoro, diciò che è proprio in quanto o lo si ha o se ne ha ildiritto; anche ai religiosi perciò è lecito vivere, non dilavoro, ma di elemosine, che divengono loro proprie inquanto o sono date dai benefattori o sono loro donate dalprossimo; sono poi loro dovute le elemosine quando essinon hanno sufficientemente da vivere, sono ammalati onon sono in grado lavorare, ovvero quando esse sono lacorresponsione di altre prestazioni; non è però lecito faruso delle elemosine dei benefattori se non si corrispondealle loro intenzioni e se si vuol vivere oziosamente.

5. Quanto al mendicare esso può essere considerato ocome esercizio di umiltà o come modo di acquisto; comeesercizio di umiltà è sempre lecito ai religiosi il mendica-re; ma come modo di acquisto il mendicare è loro lecitoper le loro necessità o per qualche impresa utile; non èlecito invece il mendicare se si fa per cupidigia di denaroo per vivere oziosamente.

6. Quanto al vestire l’uso di vesti vili è loro lecito perpenitenza e per disprezzo della pompa, ma non è lecitoneanche a loro l’uso di tali vesti se è per avarizia, perpoltroneria o per ambizione nascosta.

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Quest. 188. Differenza di religiosi. – Tutti i religiosisi danno al servizio di Dio, ma diversi sono i modi diservirlo, perché diverse sono le opere di carità e diversigli esercizi di pietà, perciò diverse sono anche le religioninella Chiesa.

2. Poiché alla perfezione della carità appartiene l’a-more di Dio, che è principio della vita contemplativa, edanche l’amore del prossimo, che è principio della vita at-tiva, perciò oltre ai religiosi della vita contemplativa ci de-vono essere anche religiosi di vita attiva.

3. E poiché a sovvenzione del prossimo può essereanche indirizzato l’ufficio dei soldati, non solo a pro’dei privati, ma anche a pro’ della repubblica cristiana,perciò è conveniente anche l’istituzione di ordini religiosimilitari.

4. E poiché il bene del prossimo sta sopratutto nel be-ne dell’anima e questo si procura specialmente predican-do e confessando, perciò è convenientissima l’istituzionedi ordini religiosi a questo scopo.

5. E poiché all’utile esercizio del predicare e del con-fessare è necessario lo studio, perciò è conveniente an-che l’istituzione di ordini religiosi che attendono agli stu-di, tanto più che lo studio giova altresì alla vita contem-plativa e promovendola e impedendone gli errori.

6. Nel confrontare gli ordini religiosi fra di loro biso-gna guardare prima al fine cui tendono, poi agli eserciziche praticano. Per sé quindi il primo posto spetta agli or-dini di vita contemplativa; ma c’è un genere di vita atti-va, cioè lo studio, che suppone la pienezza della vita con-templativa, questo adunque prevale su tutti, anche per-ché prepara all’insegnamento e alla predicazione, coseche sono le più vicine allo stato di perfezione dei vesco-vi, che è superiore allo stato di perfezione dei religiosi.

7. La perfezione consiste essenzialmente nella cari-tà; e nella povertà consiste solo strumentalmente, cioèin quanto serve a rimuovere quell’impedimento alla ca-

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rità che sono le ricchezze, per le quali c’è sollecitudine,amore, e vanagloria; la sollecitudine, però, quando è li-mitata alle cose necessarie alla vita, impedisce poco l’a-mor di Dio; quanto invece all’amore e alla vanagloria perle ricchezze bisogna considerare che sono massimi se lericchezze sono proprie; minimi se le ricchezze sono co-muni; perciò il possedere in comune non impedisce la per-fezione religiosa, purché non ecceda le necessità dell’or-dine secondo il suo fine; così gli ordini ospitalieri hannobisogno di maggiori mezzi che gli ordini contemplativi.

8. Negli ordini contemplativi la vita monastica odi so-litudine, è migliore della cenobitica o di comunità; pur-ché però ci sia la debita preparazione o della grazia di-vina o dell’esercizio delle virtù, che si affina vivendo incomunità.

Quest. 189. Del farsi religiosi. – 1. Il farsi religioso è utilea chi è virtuoso per crescere nella virtù, e a chi è peccatoreper diventare virtuoso;

2. ed è anche utile fare il voto di farsi religiosi, perchécol voto la cosa diventa più meritoria e la volontà si fissanel proposito.

3. Chi poi ha fatto un tale voto, ed il voto è valido, èobbligato a farsi religioso, perché se si devono eseguirei contratti fatti cogli uomini, tanto più si deve stare aicontratti fatti con Dio;

4. ed è obbligato anche a rimanere in religione persempre, se tale fu la sua intenzione quando fece il voto; oaltrimenti a rimanervi per tutto il tempo che votò; e se aciò non ha pensato quando fece il voto deve rimanere inreligione almeno fino all’anno diprova.

5. Quanto ai fanciulli prima dei 14 anni o il lorovoto non è valido per mancanza di debita capacità, oè irritabile dai genitori, sotto il cui potere si trovanoper tale riguardo fino ai 14 anni. È poi disposizione

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della Chiesa che una professione religiosa non abbiacomunque valore se emessa prima dei 14 anni.

6. A cagione della pietà verso i genitori l’ingresso inreligione deve sospendersi soltanto nel caso che i genitorisi trovino in tale necessità da avere assoluto bisogno delfigliuolo, perché non hanno altri che possa e che debbaaiutarli.

7. I sacerdoti in cura d’anime possono abbandonarela cura, anche senza il consenso del superiore, per farsireligiosi, perché lo stato religioso è stato di perfezione equello di cura non lo è.

8. È lecito anche passare da un ordine religioso adun altro o per zelo di una religione più perfetta, o peril disagio di una rilassata disciplina, o per debolezza dicostituzione; nel primo caso basta chiedere il permesso;nel secondo occorre ottenerlo, nel terzo è necessaria unadispensa.

9. È meritorio, non costringere, ma consigliare altri afarsi religioso, purché gli si parli con prudenza e sincerità.

10. Chi poi vuol farsi religioso, se è certo della sua vo-cazione, non abbisogna di consigliarsi con alcuno; a menoche possa avere qualche impedimento; abbisogna soltan-to di informazioni circa la religione che gli conviene e ilmodo di entrarvi.

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PARTE TERZA

Quest. 1. Convenienza dell’Incarnazione. – 1. Conve-niente per una cosa è ciò che le compete secondo la suanatura; così conviene il ragionare all’uomo, che è ragio-nevole. Dio è il bene; il bene è diffusivo di se stesso; glicompete quindi comunicarsi agli altri; l’Incarnazione èil modo sommo di comunicazione del Sommo bene allacreatura, dunque fu conveniente per Iddio l’Incarnazione,anzi fu convenientissima, perché così con cose visibili siresero evidenti gli invisibili attributi di Dio.

2. L’incarnazione fu altresì necessaria, non di necessi-tà assoluta, perché Iddio poteva in altri modi rimediareal peccato di Adamo, ma bensì di necessità relativa, per-ché fu il miglior modo di fare ciò coll’effetto di promuo-vere il bene dell’uomo, perfezionandone la speranza, lacarità, il retto operare e la partecipazione della divinità,e coll’effetto anche di rimuoverne il male, cioè la pretesadel diavolo di farsi adorare, la dimenticanza della nostradignità, la nostra presunzione, la nostra superbia; sopra-tutto poi eral’unico modo di liberare dal peccato l’uomodandone a Dio la condegna soddisfazione, che l’uomo persé non poteva e Dio per sé non doveva dare.

3. Se l’uomo non avesse peccato, Dio non si sarebbe in-carnato, perché la Scrittura ci parla sempre dell’Incarna-zione come rimedio del peccato. Questo tuttavia non èper limitare la potenza di Dio, perché Dio se avesse vo-luto avrebbe potuto incarnarsi ugualmente.

4. L’Incarnazione è per cancellare tutti i peccati, maprincipalmente per cancellare il peccato originale il quale èil più grande, almeno estensivamente, perché si estendea tutti gliuomini.

5. Non fu però conveniente che Dio si incarnasse alprincipio del mondo, perché così l’uomo ebbe modo di

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umiliarsi della sua superbia: si compì per la dignità delVerbo la pienezza dei tempi; e fu prevenuto il rattiepi-dirsi della fede per un mistero da troppo tempo compiu-to.

6. Non fu però nemmeno conveniente che l’Incarna-zione fosse differita alla fine del mondo, perché la gloriadell’Incarnazione, che cresce nel tempo per arrivare allaperfezione alla fine del mondo, non avrebbe avuto mo-do di crescere e di essere perfetta; poi perché superata lapienezza dei tempi, si sarebbe spenta gradualmente nelmondo la cognizione e la venerazione di Dio e anche l’o-nestà del costume; infine perché doveva essere più ma-nifesta la potenza di Dio che salva per la fede del Messiaventuro, ma anche per la fede nel Messia già venuto.

Quest. 2. Modo dell’unione del Verbo incarnato. 1. Na-tura, principio di operazioni proprie, significa l’essenza diuna cosa risultante da due elementi, uno come genere, l’al-tro come differenza specifica. Quando però di due cosesi forma una cosa nuova, talora si uniscono, restando ta-li e quali, due elementi in sé perfetti, ma allora la cosache ne risulta non è nuova che per la forma esterna, co-sì pietre accatastate formano una muraglia; orbene l’u-nione del Verbo alla natura umana non può essere tale,perché sarebbe un’unione accidentale, senza vera unità,e artificiale. Talora invece i due elementi in sé perfetti,che si uniscono, si trasmutano uno nell’altro e si formauna combinazione; ma nemmeno tale può essere l’unio-ne del Verbo, perché la natura divina è immutabile, poinella combinazione il risultante è specificamente diver-so dai componenti, infine fra i componenti ci deve esserepropinquità mentre fra la natura divina e la natura uma-na la distanza è enorme. Talora infine due elementi, insé imperfetti, si uniscono per completarsi a vicenda, co-sì corpo e anima formano la natura umana: ma neanche

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tale poteva essere l’unione col Verbo, perché in lui sonoperfette e la natura divina e la natura umana; poi la natu-ra divina non può essere parte o forma di una natura cor-porea, quale è l’umana; infine Gesù Cristo non sarebbepiù stato e di natura divina e di natura umana. Resta cosìtotalmente escluso che dall’Unione del Verbo alla naturaumana risultasse una nuova natura e fosse così un’unionedi natura.

2. L’Unione del Verbo fu invece un’unione nella perso-na. Mentre natura significa l’essenza di una specie, per-sona significa un individuo di quella specie; per l’uomosono cose fra loro realmente distinte natura e persona,perché la persona possiede la natura, ma non è la natu-ra, così di Socrate si dice che ha l’umanità, ma non è l’u-manità; non così invece di Dio, perché (P. I. q. 3 art. 3)di Dio si dice che è la divinità e non già che ha la divini-tà, e anche del Verbo, che è Dio, si dice che è la Divinità:se poi sempre quello, che diviene proprio di una perso-na, sia che appartenga alla sua natura, sia che non vi ap-partenga, si dice che si unisce nella persona, deve perciòdirsi che l’Unione del Verbo all’umana natura fu un’unio-ne nella persona del Verbo, tanto più che essendo esclu-so che possa essere unione in natura, non resta altro chesia unione in persona.

3. Ipostasi, o soggetto, è lo stesso che persona, con que-sta sola differenza che la parola persona, essendo propriadi un soggetto di natura intellettuale, ne mette in eviden-za la dignità ed è perciò nome di dignità. Non si puòquindi asserire che l’Unione del Verbo all’umana naturafu fatta nella persona e non nell’ipostasi, perché così si di-stingue realmente ciò che non è da realmente distinguer-si e, facendo così due di ciò che è uno, l’Unione sarebbenon intima, ma soltanto esterna, per conferire, cioè, au-torità e, peggio ancora, distinguendo in Gesù Cristo l’i-postasi del Verbo e la Persona, non si può più attribuireal Verbo, ma si deve attribuire ad altri ciò che è proprio

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dell’uomo cioè la nascita, la passione e la morte; e questofu l’errore di Nestorio.

4. La persona del Verbo dopo l’Incarnazione è insé semplice; ma secondo il modo di sussistere, siccomesussiste e nella natura divina e nella natura umana, cosìsi dice composta di due nature.

5. Gesù Cristo è uomo della stessa specie degli altriuomini e perciò come in ogni altro uomo si uniscono l’a-nima come forma e il corpo come materia per costituirela natura umana, così anche in Gesù Cristo ci fu l’animache si è unita al corpo.

Mentre però negli altri uomini anima e corpo unen-dosi formano una persona umana, in Cristo l’anima e ilcorpo non formarono una persona umana, perché si uni-rono in una persona superiore, cioè nella Persona divinadel Verbo.

6. L’unione del Verbo, che non è in natura e quin-di non è essenziale, non è perciò un’unione accidentale,perché è unione in persona, ossia è unione ipostatica conunità di persona in due nature. Errò quindi Nestorio, ilquale, distinguendo in Gesù Cristo la Persona Figlio diDio e la Persona Figlio dell’uomo, ammetteva un’unionedi inabitazione, di affetto e di operazione con comunica-zione di dignità e di nome e queste sono tutte unioni nonipostatiche, ma accidentali; peggio poi di Nestorio erra-rono altri i quali volendo rispettarel’unità della personasupposero in Cristo aroma e corpo fra loro separati e daCristo assunti come un’indumento, e questa è un’unioneancora più accidentale.

7. L’unione della natura umana alla divina è qualchecosa di creato, perché avvenne nel tempo, e tutto quelloche non è eterno, ma avviene nel tempo, è creato; non èperò Dio che si è mutato, ma è la natura umana che siè mutata rispetto a Dio, giacché la relazione (P. I. q. 13art. 6) che ne sorge è a Dio esterna.

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8. L’unione propriamente non è assunzione; l’unionedella natura divina ed umana consiste in una relazione frala natura divina ed umana secondoché convengono nellaPersona di Cristo; tale relazione dipende da una mutazio-ne e la mutazione consiste in una azione fatta da una par-te e subita dall’altra; l’unione importa la relazione, l’as-sunzione importa l’azione, perciò la natura umana si diceunita ed assunta; ma la natura divina si dice unita e nongià assunta.

9. L’unione ipostatica considerata da parte di coluiin cui essa avviene è la maggiore delle unioni, non èperò la maggiore delle unioni considerata da parte dellenature unite, perché vi restano distinte e fra loro sonoinfinitamentedistanti.

10. L’unione delle due nature in Cristo si dice fattaper grazia, sia perché viene dalla volontà di Dio di daregratuitamente, sia perché è un dono gratuito al quale lanatura umana non aveva precedenti meriti;

11. meriti, infatti, precedenti non ce ne furono da partedi Gesù Cristo, che, come Gesù Cristo non preesistevaall’Incarnazione e merito di giustizia non ne aveva altri,perché lo stesso meritare di giustizia è effetto della graziae il principio della grazia è per l’appunto l’Incarnazione.

I Santi dell’Antico Testamento avevano merito non digiustizia, ma solo di convenienza.

12. La grazia di Gesù Cristo, sia la grazia dell’unione,sia la grazia abituale si può dire naturale a Gesù Cristo,ma non come proveniente in lui dai principii che costi-tuiscono la natura umana, ma come causata nella naturaumana dalla natura divina e posseduta fin dalla nascita,ossia dal primo istante dell’esistenza.

Quest. 3. Modo dell’unione da parte della Persona assu-mente. – 1. Assumere la natura umana compete non allanatura divina, ma a Persona divina, perché l’assunzione è

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azione e le azioni sono delle persone; per di più l’unionedella natura divina all’umana fu fatta, come si disse, nonin natura, ma in Persona divina.

2. Però, siccome il principio dell’assunzione è lanatura divina, per virtù della quale essa si compì, perciò,benché proprissimamente si debba dire che una personaassunse l’umana natura, secondariamente si può anchedire che la natura divina si è incarnata assumendo lanatura umana.

3. L’intelletto umano, non può conoscere Dio infinitocon una sola idea, può soltanto conoscerlo con ideemolteplici e divise, e come può conoscere la bontà diDio indipendentemente dalla Paternità divina, così puòconoscere l’assunzione della natura umana da parte di Dio,senza pensare alla persona in cui si compie.

4. Nell’assunzione della natura umana distinguiamo ilprincipio e il termine dell’azione; come principio l’azioneprocede dalla virtù divina che è comune alle tre divinepersone, ma, come termine, l’unione, che è in personadivina, non può convenire che a una persona, cioè alVerbo, perciò l’Incarnazione è opera della Trinità e sicompi nella persona del Figlio.

5. Veramente, siccome la ragione della personalità èeguale per le tre divine persone, l’Incarnazione potevacompirsi tanto nella Persona del Padre, che del Figlio, chedello Spirito Santo, perché la potenza divina, che è il prin-cipio dell’Incarnazione, è comune alle tre divine personee le era quindi indifferente unire la natura umana a unao all’altra persona;

6. anzi se le tre divine persone tutte tre sussistonoin una unica natura divina, possono altrettanto tutte etre sussistere in una unica natura umana, perché se lanatura umana assunta costituisse anche persona, allorasì più persone non potrebbero assumere un unico emedesimo uomo in unicità di persona, ma essa invece

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non costituisce persona e niente quindi impedisce chel’Incarnazione si potesse compiere anche in giù persone;

7. per di più, la persona divina che assume la naturaumana, essendo di potenza infinita, non può essere limi-tata dalla natura umana assunta e coartata così da essereimpedita di assumere anche una seconda natura umana;

8. fu però convenientissimo che l’Incarnazione si com-pisse nella Persona del Verbo, perché con ciò il Verbo fu ilconcetto del sommo artefice, tanto nella creazione, quan-to nella riparazione della natura umana; il Verbo, che èil concetto della sapienza eterna, come fu principio co-sì divenne anche il perfezionamento della sapienza uma-na; gli uomini divennero figli adottivi di Dio per mezzodi chi ne era figlio naturale e il Verbo della vera sapien-za ricondusse a Dio l’uomo che se ne era allontanato perdisordinato amore di scienza.

Quest. 4. Modo dell’unione da parte della natura assun-ta. – 1. Fra le nature create la più atta a essere assunta daDio è la natura umana; essa infatti, essendo intellettua-le e potendo perciò conoscere il Verbo, era più degna diogni altra natura inferiore, che è sempre irrazionale; essa,avendo il peccato originale da riparare, era più bisognosadella natura Angelica, in cui non c’è un peccato di naturae di origine, ma un peccato personale e irrimediabile.

Si tratta però di un’attitudine negativa e non già posi-tiva; non si intende poi con ciò di limitare la potenza diDio.

2. Il Figlio di Dio assunse non persona umana, manatura umana individuata nella Persona del Figlio di Dio,perché se si preintende la persona nella natura umanaassunta, dopo l’assunzione questa persona o si corruppee non restò più assunta, o si conservò ed allora sono duepersone in Cristo, il che è l’errore di Nestorio.

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3. La Persona divina assunse natura umana, ma anon un uomo, perché un uomo significa un individuodi natura umana, cioè una persona umana, e saremmoancora nell’errore di Nestorio.

Nella frase si fece uomo, uomo è il termine dell’assun-zione; nella frase invece: assunse un uomo, uomo si prein-tende all’assunzione come individuo, anzi persona e que-sto è errore nestoriano.

4. Il Figlio di Dio assunse la natura umana concreta inse stessa e non già la natura umana astratta, e cioè: a) nonsecondo la intenderebbe Platone, ossia un’idea esistente inse stessa, perché ciò è contradditorio in quanto la natu-ra umana, che è materiale, avrebbe esistenza reale in mo-do immateriale; b) non come esistente nella mente divi-na, perché sarebbe idea divina, scienza divina, natura di-vina; c) non come esistente nella mente dell’uomo, perchésarebbe fittizia e non reale.

5. Il Figlio di Dio assunse le natura umana in concreto,ma non quella che è concreta nei singoli uomini, perchése così fosse, resterebbero soppressi i singoli uomini eCristo non sarebbe più primogenito fra molti fratelli, matutti sarebbero in lui ed eguali. Era conveniente checome una sola persona si incarnò, così fosse assunta lanatura umana in una sola anima e in un solo corpo che siunirono nella Persona del Verbo.

6. Dio preferì assumere la natura umana per generazio-ne da Adamo, anziché per altre vie, perché così la soddi-sfazione la diede chi peccò; fu elevata la dignità dell’uo-mo e si mostrò la potenza particolare di Dio che elevò indignità chi era caduto ed aveva prima bisogno di essererialzato.

Quest. 5. Modo di unione relativamente all’anima ealcorpo. – 1. Gesù ha assunto un corpo non imaginario,ma vero, perché: a) se doveva assumere l’umana natura,

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questa ha un corpo non imaginario, ma vero; b) se il cor-po assunto fosse stato imaginario, non sarebbe realmen-te morto; c) non conveniva che fosse una finzione ogniopera che veniva compita da chi è verità;

2. anzi questo corpo fu terreno, cioè di carne e ossa,perché tale è il corpo proprio della natura umana; inol-tre con un corpo celeste, che è impassibile, non avrebbepotuto patire; ed infine con un corpo celeste, fatto com-parire come terreno, Gesù avrebbe ingannato gli uomini,egli che è verità.

3. Gesù ha assunto non solo corpo, ma anche animaumana, perché la natura umana è costituita di corpo e dianima ed errò Apollinare insegnando che l’anima è sta-ta sostituita dal Verbo; infatti la Scrittura parla espressa-mente dell’anima di Gesù e gli attribuisce fame, sete, tri-stezza, indignazione, stupore, sonno, che sono propri del-l’anima umana ed impossibili al Verbo divino; inoltre senon avesse assunto l’anima, non l’avrebbe guarita ed eraproprio l’anima che aveva bisogno della redenzione; infi-ne il corpo di Gesù Cristo senza l’anima non sarebbe sta-to un corpo umano, perché è l’anima la forma sostanzia-le del corpo ed è per essa che il corpo nostro è di uomoe non di animale.

4. L’anima umana poi di Gesù Cristo aveva la sua pro-pria mente, ed errano gli Apollinaristi insegnando che inGesù Cristo, se non l’anima umana almeno l’intellettodell’anima è stato sostituito dal Verbo; infatti, lo stuporeche la Scrittura attribuisce a Cristo è possibile all’intel-letto umano, ma non al Verbo; poi l’anima che fu assun-ta, perché aveva bisogno di redenzione, è l’anima pecca-bile, l’anima quindi che ha la mente, perché non c’è pec-cato se non c’è mente che lo avverta; infine senza l’intel-letto il corpo, pur animato, assunto da Cristo non sareb-be stato un corpo umano, perché è per l’intelletto che ilnostro corpo si distingue da quello di un animale.

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Quest. 6. Ordine nell’assunzione dell’anima e del corpo.– 1. Distinguiamo ordine di tempo da ordine di natura.Secondo l’ordine di tempo non ci fu precedenza, ma secon-do l’ordine di natura Gesù Cristo assunse il corpo median-te l’anima, perché essendo l’anima la forma sostanzialedel corpo, è per esso che il corpo si forma e si svilup-pa, inoltre ciò esigeva anche l’ordine di dignità, perchél’anima è più nobile del corpo;

2. e per lo stesso ordine di dignità è da dirsi che GesùCristo assunse l’anima mediante l’intelletto, perché l’in-telletto è la più nobile delle altre potenze dell’anima, edè quella che al Verbo più si avvicina, perché è conoscen-te;

3. e come le anime nostre vengono create nell’atto chevengono infuse nel corpo, così fu dell’anima di Cristo e l’o-pinione di Origene, il quale riteneva che tutte le anime,anche quella di Cristo, fossero state tutte insieme createfin da principio, se è erronea per tutti, lo è doppiamen-te per Gesù Cristo, perché l’anima di Gesù Cristo preesi-stendo sarebbe stata persona ecosì si ricade nell’errore diNestorio, ovvero per salvarsi da tale errore bisogna pen-sare che all’atto dell’unione essa fu sostituita da un’altrae cessò ed è un altro errore.

4. Siccome poi il corpo, non è corpo di natura umanase in lui non viene infusa l’anima razionale, così GesùCristo non assunse il corpo prima che non fosse animatodall’anima razionale.

5. Ripetiamo che non si parla di ordine di tempo, madi ordine di natura: in questo ordine come il corpo è perl’anima e il corpo e l’anima sono per il tutto, così GesùCristo assunse il corpo mediante l’anima ed assunse ilcorpo e l’anima mediante il tutto.

6. Che Gesù Cristo abbia assunto la natura umana me-diante la grazia non si può dire, sia che si intenda la gra-zia dell’unione, perché essa si identifica coll’Incarnazio-ne; sia che si intenda la grazia santificante, perché essa,

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come effetto, è posteriore all’Incarnazione: si può peròdire che l’Unione fu fatta per Grazia, se si intende la vo-lontà generosa di Dio che ne è la causa efficiente.

Quest. 7. La grazia di Cristo come uomo. – 1. Chein Gesù Cristo ci sia stata la grazia santificante lo si deveritenere e perché l’anima sua era unita al Verbo, cioè aDio che ne è la fonte, e perché la sua anima nobilissimaera a Dio elevata, e perché era costituito mediatore fraDio e gli uomini.

2. La grazia riguarda l’anima, le virtù riguardano lepotenze dell’anima; in Gesù Cristo adunque, come ci fula grazia per l’anima, così ci furono le virtù per le potenzedell’anima fuorché la fede e la speranza:

3. la fede è di ciò che non si vede: Gesù Cristoinvece fin dal primo istante della sua esistenza videDioper essenza, dunque in Gesù Cristo non ebbe luogo lafede;

4. similmente la speranza teologica è di conseguirela visione beatifica; ma Gesù Cristo vedendo Iddio peressenza, fin dal primo istante della sua esistenza ebbe lavisione beatifica, perciò in Lui non ebbe luogo la speranzateologica, se non delle cose accessorie, per es. della gloriae della immortalità del suo corpo.

5. In Gesù Cristo ci furono i doni dello Spirito Santo,perché essi sono perfezioni delle potenze dell’anima, chele rendono docili alle mozioni dello SpiritoSanto; Gesùera pieno di Spirito Santo, in lui quindi necessariamenteci furono anche i doni:

6. e anche il dono del timor di Dio ci fu in GesùCristo, non per temerne male o di colpa o di pena, maper temerne la maestà con affetto riverenziale.

7. Essendo Gesù Cristo il primo e principale Dottoredella fede ci furono in lui tutti i doni di grazia, che poi si

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ripeterono ripartiti negli apostoli, i quali ebbero il donodelle lingue, dei miracoli ecc.

8. Gesù Cristo, avendo quaggiù la visione beatifica,era insieme comprensore e viatore; conosceva le coselontane e remote e le comunicava e così era Profeta.

9. In Gesù Cristo vi fu la pienezza della grazia, perchéfin dal primo istante della sua esistenza era vicinissimo aDio, principio della grazia, essendo a Dio unito; perchédoveva essere il principio della grazia per tutti noi; infineperché la sua grazia si estende a tutti gli effetti dellagrazia, quali sono i doni, le virtù e simili.

10. La vera pienezza della grazia è propria ed esclusivadi Gesù Cristo, perché egli la ebbe nella massima eccel-lenza e nella massima estensione degli effetti che le spet-tano; la pienezza di grazia, invece, ad altri attribuita, nonriguarda la grazia in se, ma solo la capacità di chi la pos-siede ed importa che uno, secondo la sua condizione, ab-bia pienamente la grazia.

11. In Cristo la grazia dell’unione, di essere cioè uni-to alla Persona del Verbo, è infinita quanto è infinito ilVerbo, che è Dio; la grazia invece abituale se si consideral’anima di Cristo che è limitata si devedire limitata, men-tre se si considera in se stessa anch’essa è infinita sia inquanto essa contiene in sé tutto quanto può dirsi grazia,sia in quanto è data senza misura.

12. Cosicché la grazia in Cristo non poteva crescere néper parte di Cristo, perché fin dal primo istante fu uni-to alla persona divina del Verbo ed ebbe la visione bea-tifica; né per parte della grazia, perché gli fu partecipa-ta quanto essa è all’umana natura partecipabile: potevainvece crescere Cristo nella grazia e ciò secondo gli effettidella grazia, cioè facendo opere sempre più sapienti.

l3. In Cristo la grazia dell’unione c’è prima della GraziaSantificante, ma ciò non in ordine di tempo, bensì inordine di natura, infatti anzitutto principio dell’Unioneè il Verbo, che è la seconda Persona divina, mentre

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principio della Grazia abituale è lo Spirito Santo, che è laterza persona divina; poi la grazia abituale, che è causatadalla presenza di Dio in noi, in Cristo è causata dallapresenza della persona del Verbo; infine la grazia che haordine all’azione, affinché sia con merito, presuppone lapersona cui spetti l’azione.

Quest. 8. Grazia di Cristo come Capo della Chiesa. – 1.Gesù Cristo è il capo del corpo mistico della Chiesa, perchéda lui derivano alla Chiesa, come in un corpo umano dalcapo, a) l’ordine, perché Gesù è la parte eccelsa dellaChiesa; b) la perfezione, perché in Gesù la Grazia c’è conpienezza; c) la forza di agire, perché la grazia è da lui anoi partecipata.

2. Cristo è capo della Chiesa relativamente alle anime,e questo in modo principale, e lo è anche relativamenteai corpi, e questo in modo secondario, in quanto per luiessi divengono, ora, strumenti di giustizia, poi, terminidi gloria.

3. Gesù Cristo, in quanto è capo di un corpo mistico,non è, come avviene nel corpo naturale, capo delle mem-bra che al momento a lui stanno unite, ma è capo di colo-ro che gli sono uniti e in atto e in potenza e perciò è capodi tutti gli uomini, perché tutti possono avere la salute inLui.

4. Corpo si dice una moltitudine ordinata con atti eduffici distinti: poiché la Chiesa è moltitudine ordinataalla gloria di Dio, anche gli Angeli vi appartengono eperciò Cristo essendo Capo della Chiesa è capo anche degliAngeli.

5. Essendovi in Gesù Cristo la pienezza della grazia,anche perché doveva esserne il principio per tutti noi, inLui la grazia santificante personale è la stessa grazia santi-ficante di capo della Chiesa per la santificazione altrui.

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6. Essere capo della Chiesa quanto all’interiore influssodella grazia è proprio di Gesù Cristo solamente; ma esserecapo della Chiesa quanto all’esterno governo, questo ècomune anche di altri, con questa differenza che mentreCristo è capo immortale e universale e governa di propriavirtù e autorità, gli altri sono capi temporali o locali, efacienti le sue veci.

7. Il diavolo, quanto al governo esterno, è capo di tuttii malvagi, perché li tira al suo fine, che è la rivolta a Dio;

8. anche l’Anticristo si può dire capo di tutti i malvagi;lo è già quanto alla perfezione, perché la sua malizia èsuperiore a tutte, e se non lo è ancora quanto al tempo eall’influsso, perché esso verrà alla fine dei tempi, tuttaviasi può dire il capo egualmente, perché il diavolo, o altriche lo procedette e lo procederà, nonne sono che lafigura.

Quest. 9. La scienza di Cristo. – 1. Oltre alla scienza di-vina bisogna ammettere in Gesù Cristo anche una scienzacreata, perché egli ha assunta intieramente l’umana na-tura cioè corpo e anche anima e quest’anima perfetta,perciò, non col sapere in potenza, ma col sapere in atto;per di più Cristo avrebbe avuto inutilmente l’anima in-tellettiva se non ne avesse fatto uso; infine se ogni animaumana possiede una scienza creata, quella cioè dei primiprincipi, non la si può negare a Cristo.

2. A Gesù, che aveva quaggiù la visione beatifica,competeva la scienza dei beati, tanto più che egli dovevaesserne le causa per i fedeli e la causa è sempre superioreagli effetti.

3. La scienza creata, che bisogna ammettere in Cristo,perché assunse una natura umana perfetta, (coll’animaquindi perfetta e coll’intelletto possibile in atto, fornitocioè delle specie intelligibili che sono le sue forme com-pletive), importa in Gesù Cristo una scienza infusa, come

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la ebbero gli Angeli, per la quale conosce le cose nella lo-ro natura mediante specie intelligibili proporzionate allamente umana.

4. Come c’è in ogni uomo, anche in Cristo, che è uomoperfetto, ci fu oltre all’intelletto possibile, che si fa padro-ne delle cognizioni, anche l’intelletto agente, che lavoraper ricavarle dalle cose; e si deve altresì ritenere che nonci fu inutilmente; perciò ci fu in Cristo anche una scien-za acquisita, ricavata cioè dalle cose per mezzo dell’intel-letto agente: ci fu adunque in Cristo la scienza acquisi-ta connaturale agli uomini; la scienza infusa connaturaleagli Angeli; la scienza beata connaturale a Dio.

Quest. 10. La scienza beata di Cristo. – 1. L’anima diCristo vide il Verbo, cui era unita, e con ciò conobbeDio nella sua essenza; ma non lo conobbe quanto èconoscibile, perché mentre Dio è infinito, l’anima diCristo è finita e l’infinito non può essere compreso dalfinito, perciò l’anima di Cristo conobbe l’essenza divina,ma non la comprese.

2. Nel Verbo quindi Cristo conobbe tutto ciò che vi èdi reale pel presente, pel passato e pel futuro, sia di fatti,che di detti, che di pensieri, perché ciò spetta alla suadignità specialmente di giudice del mondo; non conobbeperò tutto ciò che vi è di possibile dipendentemente dallapotenza, non degli uomini, ma di Dio, perché alloraavrebbe compreso la potenza divina e con ciò la essenzadivina.

3. L’anima di Cristo, che conobbe tutto ciò che vièdi reale in ogni tempo, non conobbe con ciò l’infinito inatto, perché tali realtà non costituiscono tal’infinito; co-nobbe però l’infinito in potenza ossia l’indefinito, perchéconobbe l’infinità di cose possibili dipendentemente dal-la potenza delle creature, con una scienza, non di visione,ma come di intelligenza semplice.

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4. La visione della essenza divina compete ai beatisecondo il lume di gloria loro partecipato, cioè secondola loro vicinanza al Verbo, ma l’anima di Cristo essendounita al Verbo, è la più vicina a Lui, perciò l’animadi Cristo vede l’essenza divina più chiaramente di tutti ibeati.

Quest. 11. La scienza infusa di Cristo. – 1. L’animadi Cristo colla scienza infusa ebbe cognizione di ogni cosa,perché era conveniente che fosse attuata ogni sua capaci-tà, che cioè, fosse ridotta in atto ogni sua potenza passi-va sia naturale, in dipendenza cioè da agenti naturali, cheobedienziale, in dipendenza cioè dalla causa prima: col-la scienza infusa quindi Cristo conobbe e tutto ciò cheumano intelletto può conoscere e tutto ciò che può esse-re a uomo da Dio rivelato.

2. Apparteneva quaggiù Cristo non solo ai poveriviatori, ma anche ai beati comprensori, cui compete nonessere soggetti al proprio corpo, Egli perciò poteva faruso della scienza infusa senza bisogno di imagini sensibilidella fantasia.

3. Scienza discorsiva è quella che passa dal noto al-l’ignoto, scienza collativa è quella che mette a confron-to due termini, per es. causa ed effetti, per conoscernela relazione; la scienza infusa di Cristo fu discursiva e col-lativa quanto all’uso e a pro degli altri, ma non quantoall’acquisto, perché gli venne dall’alto.

4. La scienza infusa di Cristo fu superiore a quella degliAngeli e per la moltitudine delle cognizioni e per la lorocertezza, perché ciò era dovuto al lume spirituale dellagrazia dato all’anima di Cristo, superiore a quello degliAngeli; essa però fu inferiore a quella degli Angeli quantoal modo di conoscere, perché questo si conforma allanatura dell’anima umana, che è inferiore a quella degli

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Angeli, i quali non fanno uso di sensi, di fantasia, diragionamento.

5. La scienza infusa di Cristo era quale si conveniva al-l’anima umana che Egli aveva assunto e cioè non semprein atto, non in sola potenza, ma in abito, giacché ancheper noi la scienza è un abito mentale;

6. ed appunto per ciò, come in noi ci sono tanti abitidi scienza quanti sono i generi di scibile, così in Cristo lascienza infusa fu distinta secondo i diversi abiti di scienza.

Quest. 12. La scienza acquisita di Cristo. – 1. Come lascienza infusa attuava completamente in Cristo l’intellet-to possibile, quello cioè che può farsi, conoscendo, tutto,così la scienza acquisita in Cristo doveva attuare comple-tamente l’intelletto agente, quello cioè per l’azione delquale l’intelletto possibile può farsi, conoscendo, tutto;perciò Cristo di scienza acquisita conobbe ogni cosa.

2. Crebbe poi Cristo come in età così anche nella scien-za acquisita, sia accrescendola mediante l’azione dell’in-telletto agente, che dalle imagini della fantasia ricavavasempre nuove intellezioni, sia manifestandola con ragio-namenti sempre più sottili e con opere sempre più sa-pienti.

3. Gesù non imparò niente dagli altri, perché ciò nonconveniva a Lui che era stato costituito da Dio capo dellaChiesa e anche di tutti gli uomini.

4. Neppure dagli Angeli Cristo ricevette alcun insegna-mento, perché la scienza infusa e la scienza acquisita era-no in se stesse perfette e d’altronde il ministero degli an-geli per la scienza acquisita, proveniente dalle imaginisensibili, è superfluo e per la scienza infusa, provenientedal Verbo, non era necessario.

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Quest. 13. Potenza dell’anima di Cristo. – 1. Lapotenza attiva di qualunque è conforme alla sua natura:l’anima di Cristo è parte della natura umana, che nonè infinita, perciò era impossibile all’anima di Cristo unapotenza infinita.

2. L’anima di Cristo secondo la natura e potenza suapropria poteva ciò che può un’anima, cioè virificare edirigere il corpo; ma se essa si considera come strumentodel Verbo, le si deve attribuire sulle cose la potenza ditutti i miracoli ordinabili al fine dell’Incarnazione, cheè quello di instaurare ogni cosa in terra ed in cielo;

3. e anche sul proprio corpo l’anima di Cristo aveva unpotere miracoloso immutativo, non come anima umanasemplicemente, ma come strumento del Verbo;

4. a ogni modo l’anima di Cristo poté ciò che volle,perché dove non bastarono le sue forze naturali agivacome strumento del Verbo.

Quest. 14. Miserie del corpo assunte da Cristo. – 1.Mentre l’anima assunta da Cristo doveva essere perfetta,il corpo invece doveva essere assunto colle sue naturalimiserie, perché così Cristo dava alla divina giustizia ladovuta soddisfazione, ai nemici della fede la prova dellarealtà dell’Incarnazione e a noi l’esempio della pazienza.

2. Il corpo di Cristo subì la necessità naturale dei dolorie della morte e subì anche la violenza dei carnefici, perchédai chiodi non poteva non essere forato, ma non subìviolenza la volontà, la quale, mentre di moto naturalerifuggiva dalla morte, di moto deliberato l’accettava.

3. Le miserie naturali del corpo Cristo non le contrasseper debito di peccato, ma per volere suo, perché Egli as-sunse la natura umana quale era nello stato d’innocenza eperciò, come l’assunse senza il peccato, poteva assumerlaanche senza le miserie che ne seguirono;

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4. e poiché venne per soddisfare al peccato della na-tura umana, al quale fine era in Lui necessaria la perfe-zione della scienza e della grazia, doveva assumere quel-le miserie corporali che sono comuni alla natura umana eche tuttavia non impediscono la perfezione della scienzae della grazia; tali sono la fame, la sete, il sonno; non do-veva però assumere certe miserie particolari che dipen-dono o da difetti gentilizi, come sarebbe il malcaduco, oda disordini personali, come sarebbe l’indigestione.

Quest. 15. Miserie dell’anima assunte da Cristo. – 1. Cri-sto non assunse nessuna miseria di peccato, perché il pec-cato non avrebbe giovato, come giovarono le miserie delcorpo, ai tre fini dell’Incarnazione, che sono soddisfareper noi, mostrare la verità della natura umana ed essercidi esempio, anzi sarebbe stato loro contrario.

2. Cristo possedeva nel modo più perfetto la graziaetutte le virtù le quali rendono il corpo soggetto allara-gione, in Lui perciò non ci fu il fomite della concupiscen-za, cioè l’inclinazione dell’appetito sensitivo a ciò che ècontro ragione.

3. Come la virtù esclude il fomite, così la scienzaesclude l’ignoranza: in Cristo oltre alla grazia e alle virtùci fu anche la pienezza della scienza, in Lui quindi nonebbe alcun luogo l’ignoranza.

4. L’anima di Cristo, formando una unità sostanzialecol corpo, pativa dei dolori del corpo; ci furono anche inLui, come in noi, le passioni animali, intesenel senso diaffezioni dell’appetito sensitivo, in modo però ben diversoda noi, perché 1. in lui non inclinarono mai a oggettiilleciti; 2. non prevennero mai il giudizio della ragione;3. tanto meno poi la travolsero, come in noi invecepurtroppo succede.

5. In Cristo ci fu il dolore sensibile, alla verità infatti deldolore sensibile occorre la lesione e il sensodella lesione e

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in Cristo l’anima aveva tutte le potenze naturali e il corpopoteva essere leso.

6. Il dolore si ha per una lesione percepita daltatto, latristezza invece si ha per un male percepito internamen-te dall’imaginazione e dalla ragione; nell’anima di Cristoperciò come ci fu vero dolore, ci fu anche vera tristezza,nonostante la visione beatifica di cui godeva, perché que-sta per divina dispensazione era contenuta nella mente.

7. La tristezza si differenzia dal timore solo in quantola tristezza deriva dall’apprendere un male come presen-te, il timore invece deriva dall’apprenderlo quale futuro;in Cristo come ci fu vera tristezza così ci fu vero timore;non ci fu però paura, che è trepidazione per un eventofuturo senza sapersene dare ragione.

8. In Cristo ebbe luogo anche la meraviglia, che si haper le cose nuove ed insolite, ma questa solo per la suascienza sperimentale, perché alla sua scienza beata edinfusa nulla poteva riuscire nuovo.

9. Dalla tristezza per un’ingiuria fatta a sé o ad altrideriva il desiderio di riparazione e ne sorge l’ira, passio-ne composta di tristezza e di desiderio di vendetta: inCristo, come poté esserci la tristezza, poté esserci l’ira, mal’ira senza peccato, perché in lui le passioni non preven-nero mai, né travolsero la ragione: quell’ira che si chiamazelo o santo sdegno.

10. Cristo quaggiù era comprensore, perché godevadella visione beatifica; ma questa per dispensazione divi-na era contenuta nella mente, gli restava però da conse-guire la beatitudine quanto al resto, cioè nell’anima pas-sibile e nel corpo passibile e mortale, perciò era insiemeanche aviatore.

Quest. 16. Conseguenti dell’unione ipostatica. – 1. «Dioè uomo » è verità, perché Cristo è vero Dio e vero uomo,perciò i due termini, soggetto e predicato, sono veri, ed

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inoltre il secondo si può attribuire al primo, perché uomosi può giustamente dire di ciascuno che abbia l’umananatura, e Dio si può dire di ciascuna delle tre divinepersone.

2. Supposta la verità della natura divina e della natu-ra umana e l’unione delle due nature nell’unica personadel Verbo, come si dice: Dio è uomo, si può anche dire: eun uomo è Dio, perché colla parola uomo si designa unapersona e questa può essere o una persona semplicemen-te umana, o la persona dal Verbo che ha assunto in sé lanatura umana;

3. che se dicendo: «quell’uomo che si chiama Gesù»,si designa la persona del Verbo che è lo stesso Dio, pa-drone dell’Universo, non si può dire che Gesù è uno uo-mo del Signore, ma si deve dire che è lo stesso Signore,altrimenti si è nestoriani: altrettanto però la natura uma-na non si può dire divina, ma deificata, e questo non permutazione, ma per unione alla naturadivina.

4. Si può dire: il Dio della gloria fu crocifisso e ilfiglio dell’uomo è onnipotente, perché essendo in Cristouna stessa la Persona che ha due nature, la quale vienedesignata tanto col nome Dio, quanto col nome uomo,ed essendo che i predicati e le azioni si attribuiscono allapersona, ne consegue la comunicazione delle proprietà«idiomi» di ciascuna natura sia alla parola Dio, sia allaparola uomo, che designano la persona del Verbo; beneinteso però che predicati ed azioni si riferiscono, come aloro principio, alla relativa natura.

5. Che se una stessa è la Persona, non è però unastessa, ma sono due le nature, e perciò la comunicazionedegli idiomi si può fare coi nomi concreti, come Cristo,che designano la persona, ma non si può fare coi nomiastratti, come la divinità, che designano la natura.

6. «Dio si è fatto uomo» è verità, perché, se Dio èuomo, non da tutta l’eternità, ma nel tempo ha assuntal’umana natura e ciò che comincia nel tempo si dice fatto;

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7. invece: «un uomo si è fatto Dio» è falsità, sesiintende che, divenendo un Dio, questo Dio abbia alloracominciato a essere Dio, perché Iddio è eterno; è falsitàanche se si intende che uno, già persona umana, siadiventato Dio o sia stato assunto da Dio, perché in GesùCristo la persona è sempre unica e divina; è invece veritàse si intende che avvenne che un uomo sia Dio.

8. «Cristo è creatura», detto così semplicemente, è par-lare secondo l’errore degli ariani e perciò non si può dire;se invece si aggiunge questa determinazione «secondo lanatura umana» allora si può dire; si può poi omettere ta-le determinazione quando attribuendo a Cristo ciò che èproprio della natura umana non si può sospettare che siintenda detto di lui come persona divina; così si può dire:Cristo nacque, Cristo patì, Cristo morì.

9. Avrebbe detto una falsità chi, indicando Cristo,avesse detto: quest’uomo ha cominciato ad esistere, per-ché la sua indicazione avrebbe designato direttamente lapersona di Cristo, la quale è divina ed eterna: nelcaso, pernon parlare secondo gli ariani, bisognerebbe aggiungereancora la determinazione: «secondo la natura umana ».

10. «Cristo, secondoché è uomo, è creatura» è veritào falsità secondo che si intende; se colla parola uomo siintende o in qualunque maniera si designa la persona,è falsità, perché la persona è divina; se invece, come disolito, colla parola uomo si intende designare la naturaumana, allora è verità.

11. «Cristo, secondo che è uomo, è Dio» è falsità secolla parola uomo si intende di designare non la persona,ma la natura umana di Cristo e poiché di solito si intendecosì quella è una frase che non è da non adoperarsi.

12. «Cristo, secondo che è uomo, è persona» è falsitàse si intende che l’umana natura in Cristo sia anchepersona; è verità solo se colla parola uomo si intende didesignare non la natura umana, ma la persona di Cristo;ovvero intendendo di designare la natura umana si vuol

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dire che essa compete a una persona e cioè alla Personadel Verbo.

Quest. 17. Unità di esistenza in Cristo. – 1. InDiosi identificano Persona e natura, essenza ed esistenza,si può quindi attribuire a una Persona la divinità tantoin concreto quanto in astratto e dire, p. es. che «ilFiglio è Dio ed è la Divinità»; la natura umana invecenon si identifica colla persona, per cui se si può direche «Cristo è uomo» non si può dire che «Cristo èl’umanità»; cosicché possiamo dire che Cristo ha duenature, ma non possiamo dire che Cristo è due nature;e poiché ancora le due nature in concreto sussistononell’unica Persona divina, dobbiamo dire che Cristo èuno solo e non già due e che in Cristo vi è un solo essere enon già l’unione di due esseri.

2. L’esistenza appartiene alla natura e alla persona; lapersona riguarda «chi» ha l’esistenza, la natura riguarda«ciò per cui» si ha l’esistenza: Cristo non ha unito asé una preesistente persona umana, ma ha assunto lanatura umana nella sua persona divina, la quale così ebbel’esistenza non solo secondo la natura divina, ma anchesecondo la natura umana; ciò importò in lui soltanto unanuova forma di relazione colla natura umana; ma, quantoall’esistenza, come in Cristo è uno solo «chi» ha l’esseree c’è un solo essere personale, così c’è in Lui una solaesistenza.

Quest. 18. Le volontà in Cristo. – 1. La natura umanaassunta da Cristo era perfetta, aveva perciò la volontà chene è una naturale facoltà, assumendo poi l’umana naturaCristo non subì nessuna diminuzione nella natura divina,

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cui pure compete la volontà, perciòin Cristo ci sono duevolontà, una divina e l’altra umana;

2. e poiché alla perfezione dell’umana natura, assuntada Cristo, appartiene anche l’appetito sensitivo, perciòci fu in Cristo anche questo moto del senso, il quale,guidato dalla ragione, partecipa della volontà.

3. Come in ciascun uomo c’è una sola volontà, cosìanche in Cristo, come uomo, c’è una sola volontà, la qualeperò come in tutti, al fine tende necessariamente e aimezzi tende liberamente, e perciò, ha dueatti: uno divolontà naturale, l’altro di volontà deliberativa.

4. La volontà deliberativa si attua colla scelta; la qualescelta è l’atto proprio del libero arbitrio: in Cristo c’èvolontà deliberativa con scelta, in lui quindi c’è il liberoarbitrio.

5. Cristo di moto della volontà naturale dell’appeti-to sensitivo, che partecipa della volontà, poté non volerela passione e la morte che Dio invece voleva, ma di mo-to della volontà deliberativa li volle come mezzi della Re-denzione e perciò ebbe sempre la volontà a Dio conforme.

6. Che poi il moto della volontà naturale e dell’appe-tito sensitivo in Cristo, come avvenne nella Passione, po-tesse non volere ciò che volle di volontà deliberativa, nonimporta in lui contrarietà di volontà, perché la contrarie-tà ci sarebbe stata qualora avesse voluta e anche non vo-luta la stessa cosa per lo stesso motivo, ma il motivo inve-ce era diverso; inoltre in Cristo la volontà naturale e l’ap-petito sensitivo erano soggetti alla volontà deliberativa, equesta come anche la volontà divina non erano impeditedalla volontà naturale e dall’appetito sensitivo.

Quest. 19. Le operazioni in Cristo. – 1. In Cristocome c’erano due volontà così c’erano due operazioni,perché in Lui agiscono, in comunione una coll’altra, lanatura divina e la natura umana; la natura umana poi

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serve da istrumento alla natura divina e, come la scurepartecipa al moto del legnaiuolo per fare uno sgabelloe conserva la propria azione che è quella di tagliare, cosìin Cristo la natura umana partecipa dell’operazione dellanatura divina e conserva l’azione sua propria, altrimentibisognerebbe dire o che la natura umana assunta da Luiera imperfetta o che si è confusa colla natura divina.

2. Come in ogni uomo c’è una sola operazione vera-mente umana, quella cioè che procede dalla volontà concognizione intellettuale, così, anche in Cristo, nel qualec’è una sola natura umana, c’è di conformità una sola ope-razione umana: e ciò in modo speciale, in Lui, perchémentre negli altri uomini ci sono operazioni, come quel-le della vita vegetativa, che non dipendono dalla volontà,in Cristo invece anche le operazioni naturali e corporalidipendono dalla volontà, perché espressamente volute.

3. Cristo colle azioni umane meritò per se stesso quelloche non aveva ancora conseguito, cioè la gloria del corponella Risurrezione, l’Ascensione al Cielo esimili, perchéera più nobile che ciò Egli avesse per merito e la Scritturaglielo attribuisce per l’obbedienza.

4. La grazia poi Cristo l’ebbe non solo come uomoparticolare, ma anche come capo del suo corpo mistico,che sono gli uomini, perciò il suo merito si estende ancheagli altri, che sono membri del suo corpo mistico.

Quest. 20. Soggezione di Cristo al Padre. – 1. La naturaumana dipende da Dio, 1. perché Dio è il principio diquanto in lei c’è di buono, 2. perché, come ogni cosa,così anch’essa è soggetta alla divina disposizione e 3.perché è soggetta alla divina legge quanto alla volontà;Cristo aveva la natura umana, anch’Egli quindi era cosìsoggetto a Dio e questa triplice soggezione Egli a Dioprofessò.

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2. E poiché Cristo nell’unità di Persona ha due nature,perciò secondo la natura divina è padrone di se stesso esecondo la natura umana è servo di se stesso.

Quest. 21. L’orazione di Cristo. – 1. In Cristo ci sonodue volontà, la divina e la umana e poiché la volontàumana non può ciò che vuole, ma all’uopo ha bisognodel soccorso della potenza divina, perciò a Cristo comeuomo compete pregare.

2. L’orazione è per tutti atto dell’intelletto e non attodel senso, tale quindi fu anche per Cristo; però si dicepregare secondo il senso quando coll’orazione si presentaa Dio qualche cosa che riguarda l’appetito sensitivo; eanche Cristo nella Passione pregò così per insegnarci e cheegli aveva assunto veramente la natura umana, e che èlecito così pregare il Signore e che in ogni modo bisognarassegnarsi alla divina volontà.

3. A Cristo poi convenne pregare per se stesso non solosecondo l’appetito sensitivo, ma anche secondo la volontàdeliberata per insegnarci che il Padre suo è l’autore diogni bene e per darci l’esempio della preghiera.

4. Cristo fu sempre esaudito nelle Preghiere che furonodi volontà vera ossia deliberata, perché allora non vollese non ciò che sapeva essere volere di Dio; non lo fuinvece nelle preghiere fatte secondo il desiderio naturalee l’appetito sensitivo; queste però sono preghiere più divelleità che di volontà.

Quest. 22. Il Sacerdozio di Cristo. – 1. Ufficio delSacerdote, così chiamato perché tratta le cose sacre, è diessere mediatore fra Dio e il popolo, offrendo a Dio lepreghiere e dando al popolo le grazie divine. Cristo haricondotto il mondo riconciliato a Dio, ha dato al mondo

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i doni celesti, Egli è perciò mediatore fra Dio e gli uominie gli compete il nome di Sacerdote.

2. È per Cristo che agli uomini fu condonato il peccato,donata la gloria e conferita la perfezione della gloria epoiché questi sono gli scopi del sacrificio, che perciò sidistingue in sacrificio per il peccato, in ostia pacifica edin olocausto, perciò Cristo è non soltanto sacerdote, maanche ostia perfetta.

3. A mondare perfettamente il peccato occorre lacancellazione e della macchia di colpa e del reato di pena,per cui occorre l’infusione della grazia e la soddisfazionedi ogni debito: Gesù Cristo ci rese giusti colla grazia eportò il peso nei nostri peccati, il suo sacerdozio perciòebbe per effetto l’espiazione perfetta dei peccati.

4. Cristo essendo mediatore fra Dio e gli uomini è al disopra degli uomini e perciò, come il sole illuminagli altrima non se stesso, così Gesù col suo sacerdozio santifica glialtri, ma non ha bisogno di santificare se stesso.

5. Il Sacerdozio di Cristo è eterno, non però quartoall’oblazione del sacrificio, bensì quanto ai frutti delsacrificio che si perpetuano in cielo.

6. Il sacerdozio di Mechisedech era figura del sacerdo-zio della Legge e questo era figura del sacerdozio di Cri-sto, perciò Cristo è sacerdote secondo l’ordine di Mechi-sedech; di tanto però è più eccellente di quanto la realtàsupera la figura.

Quest. 23. Adozione di Cristo. – 1. Adottare uno signi-fica ammetterlo alla partecipazione della propria eredi-tà: in quanto Dio per sua bontà ammette gli uomini all’e-redità della beatitudine rettamente si dice che li adotta, equesta adozione è superiore alla adozione umana, perché

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gli uomini, adottano chi è degno, Dio invece colla graziarende degno chi adotta;

2. e poiché tale adozione è relativa alle creature, è co-mune a tutte tre le Divine Persone, perciò adottarel’uo-mo in figlio di Dio spetta a tutta la Trinità.

3. L’essere adottato in figlio di Dio è riservato allecreature intellettuali, perché l’adozione ci assomiglia alVerbo, che è Figlio naturale del Padre e procede dalPadre per l’operazione dell’intelletto; ma poiché il Verboè unito al Padre, l’adozione resta per di più riservata a chiè unito a Dio mediante la grazia.

4. Gesù Cristo anche come uomo è sempre Personadivina e come tale è figlio naturale di Dio e perciò in nes-suna maniera si può chiamare Cristo figlio di Dio adotti-vo.

Quest. 24. La predestinazione di Cristo. – I. L’Incarna-zione, cioè l’unione delle due nature in Cristo, benché sisia compita nel tempo, fu però preordinata da tutta l’e-ternità; perciò Cristo si può chiamare predestinato.

2. Tale predestinazione sia nel decreto sia nel compi-mento è relativa alla natura umana: quindi non è erro-re il dire: Cristo in quanto uomo fu predestinato Figlio diDio.

3. La predestinazione di Cristo è l’esemplare della pre-destinazione nostra, non già quanto all’atto di Dio prede-stinante che non precedette l’atto della predestinazionenostra, ma certo bensì, quanto all’effetto e quanto al ter-mine di essa, perché è per lui che noi siamo predestinatiall’adozione di figli di Dio e ne abbiamo la grazia;

4. e perciò nello stesso senso, cioè se non quanto al-l’atto bensì quanto al termine, si può dire che la predesti-nazione di Cristo fu la causa della predestinazione nostra.

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Quest. 25. Adorazione di Cristo. – I. L’onore terminasempre alla persona, tantoché anche quando si onoraqualche parte di una persona nella parte si onora il tuttoed ancorché ci siano diverse ragioni di prestare onore,uno solo è l’onore che si presta a quell’unica persona chesi onora per molte cause: orbene in Cristo la persona èunica, benché due siano le nature, perciò si deve adorareGesù con un unico e medesimo culto di latria, sia nellanatura divina, sia nella natura umana;

2. perciò l’umanità di Cristo, intesa come una apparte-nenza della Persona divina del Verbo, si deve adorare conculto di latria; che se si intendesse di onorare l’umanitàdi Cristo, come umanità, per la sua perfezione, allora lesi deve culto di dulia;

3. anzi anche alle imagini di Cristo si deve culto di la-tria, quando si intende di onorarle con culto strettamen-te relativo, cioè come Cristo e non come segno;

4. la Santa Croce poi si deve adorarla con cullo di latriaanche per il contatto che ebbe colle membra di Cristo eper il prezioso Sangue di cui fu cosparsa.

5. Il culto di latria si deve solo a Cristo; alle creature,come creature, si deve culto di dulia, purché siano dellecreature razionali, che sole sono per sé capaci di onore;alla Vergine quindi, che è creatura, si deve non culto dilatria, ma culto, anzi speciale culto di dulia ossia culto diiperdulia.

6. Se dei nostri antenati ci sono cari i vestiti perché lo-ro appartenevano, i corpi, che a loro appartenevano piùstrettamente, ci devono essere anche più cari; ragionevol-mente perciò onoriamo le reliquie dei Santi, i quali sonomembra di Cristo, figli di Dio, nostri amici e nostri inter-cessori; tanto più che le onora lo stesso Dio, il quale perloro mezzo opera di continuo miracoli.

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Quest. 26. Cristo Mediatore. – 1. Mediatore è colui cheunisce gli estremi; fu Cristo che colla morte riconciliò gliuomini a Dio; Cristo quindi è il perfetto Mediatore fra Dioe gli uomini.

2. Il mediatore si trova fra i due estremi, cioè al di-sopra dell’uno e al disotto dell’altro e li unisce comuni-cando all’inferiore ciò che è proprio del superiore; Cristoperò non è al di sotto di Dio ma è Dio e non comunicaciò che è di altri superiore a sé, ma ciò che anche a Luiè proprio, perciò l’ufficio di mediatore a Cristo competenon come Dio, ma come uomo.

Quest. 27. Santità della Vergine. – 1. La Chiesanoncelebra la festa se non di qualche santo; nella Chiesa sicelebra la festa della Natività di Maria, dunque Marianacque colla santità.

2. La Vergine non poteva essere santificata prima dellasua animazione, perché la grazia è un dono dell’anima:doveva poi anch’essa venire santificata, perché Cristo èRedentore di tutti, doveva quindi esserlo anche di Lei.

3. Per fomite si intende la disordinata concupiscenzadell’appetito sensitivo, disordinata, cioè, perché contra-ria alla ragione: nella Vergine santa il fomite dapprima ri-mase nella sua essenza, ma fu come legato nei suoi effet-ti e fu soppresso poi quando divenne Madre del Redento-re, quasi a riverbero della immunità dal peccato propriadi Cristo.

4. La santificazione conseguita dalla Vergine importòche essa non commise alcun peccato, né mortale né venia-le, perché era preannunciata: Tota pulchra.

5. Inoltre per la Divina Maternità trovandosi la Ver-gine vicina a Cristo, principio della grazia, più degli stes-si Angeli da Lui conseguì la pienezza di ogni grazia, comesignificò l’Angelo chiamandola: Gratia Plena.

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6. Dalla Scrittura sappiamo che prima della nascita fu-rono santificati anche Geremia e il Battista i quali prefi-gurarono Cristo, l’uno nella Passione e l’altro nel Batte-simo.

Quest. 28. Verginità della Madonna. – 1. La Scritturadice che la Madonna fu vergine prima del parto, e ciòfu conveniente per la dignità del Padre, del Figlio cheè Verbo del Padre, e dell’umanità di Cristo, venuto perdistruggere il peccato e per fare rinascere gli uomini allagrazia.

Ecco Vergine una concepirà.... dice Isaia.2. La Scrittura aggiunge che la Madonna fu Vergine

nel parto, e ciò fu conveniente per la dignità del Verbo diDio che da lui nasceva; per lo scopo della Incarnazione,che doveva essere quello di togliere la corruzione e perl’onore della madre che Cristo nascendo doveva conser-vare. – E Vergine una partorirà.

3. La Scrittura insegna che la Madonna fu Vergine do-po il parto; pensare il contrario è derogare alla perfezio-ne di Cristo, che essendo unigenito come Dio doveva es-sere unigenito anche come uomo; ed è fare ingiuria al-la dignità dello Spirito Santo, alla santità della Madon-na e alla modestia di S. Giuseppe. – Questa porta chiusaresterà.

4. Le virtù sono più lodevoli se sono legate con voto;deve perciò ritenersi come consono alla santità dellaMadonna, cui convenne per tante ragioni la verginità,che Essa vi si legò con voto quando si legò in matrimoniocon S. Giuseppe.

Quest. 29. Sposalizio della Madonna. – 1. Fu convenien-te che Cristo nascesse da una Vergine sposata: I. per la le-

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gittimità della nascita, per la genealogia e per la tutela diCristo; II. per la buona fama e perl’appoggio terreno del-la Vergine; III. per la conferma della nostra fede, il buonesempio della prudenza el’onore dello stato di verginitàe di matrimonio.

2. Il matrimonio della Vergine con S. Giuseppe fuperfetto quanto alla forma, cioè nel consenso dell’unioneconiugale e fu anche perfetto quanto a quegli effettiche verso una prole divina rimanevano possibili, cioèl’educazione.

Quest. 30. L’Annunciazione della Vergine. – 1. L’an-nuncio del Mistero da compiersi che l’Angelo diede allaVergine era doveroso per l’ordine naturale delle cose; perla testimonianza del mistero che la Vergine doveva a noi;per l’ossequio della volontà che Ella avrebbe prestato aDio; e per la indicazione del matrimonio spirituale tra ilfiglio di Dio e l’umana natura che Ella avrebbe data.

2. Era doveroso che l’annuncio del mistero fosse datoa Maria da un angelo, che è ministro di Dio, perchébisognava trattare con una Vergine.

3. Era doveroso che l’Angelo, il quale veniva ad annun-ciare la visibile Incarnazione di un Dio invisibile, pren-desse forata visibile, perché cosi la Vergine fu più cerzio-rata della cosa.

4. Nell’annunciazione l’Angelo seguì un ordine conve-niente, perché prima richiamò l’attenzione della Vergine,poi le annunciò il mistero da compiersi, infine la indusseal consenso.

Quest. 31. Formazione del corpo del Salvatore. –1. Essendosi Cristo incarnato per purificare la natura

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umana dal peccato di Adamo era conveniente che Egli siformasse il corpo con materia derivata da Adamo.

2. Cristo, che doveva compiere le promesse fatte adAbramo e a Davide, doveva discendere per generazione daloro.

3. Gli Evangelisti ci danno di Cristo la genealogiacompleta, perché uno ci dà la genealogia naturale e l’altroci dà la genealogia legale; uno ci mostra la discendenzada Davide per mezzo di Giuseppe, l’altro ce la mostraper mezzo di Maria.

4. Benché il Figlio di Dio avesse potuto formarsiil corpo con qualunque materia, convenne tuttavia cheEgli nascesse di donna, perché così fu nobilitata l’umananatura e così pure la verità dell’Incarnazione fu megliostabilita.

5. Essendo Cristo nato di donna, ma di donna vergine,la sua generazione fu simile a quella degli altri uomini,ma fu anche distinta, e perciò il suo corpo fu formato dalsangue, ma dal sangue purissimo della Vergine.

6. E poiché il sangue è ossa e carne non in atto, ma inpotenza, Cristo non prese dalla Vergine per il suo corpoalcunché di ciò che apparteneva ai genitori ed antenatidella Vergine e quindi nessuna parte speciale e designatadi Adamo poté arrivare sino a Lui.

7. Perciò in Cristo nulla derivò da Adamo che fossestato nei suoi antenati soggetto a peccato; che se nei suoiantenati la natura umana derivata da Adamo era statasoggetta a peccato, ciò fu perché erano essi soggetti alpeccato.

8. Similmente si può dire che Abramo non pagò decimaa Melchisedech anche per Cristo suo discendente, perchéCristo aveva da ricevere decima, ma non dapagarne.

Quest. 32. Concepimento di Cristo. –1. Il principioattivo del concepimento di Cristo, cioè la causa efficiente

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dell’Incarnazione è stata tutta la Trinità, ma si attribuisceallo Spirito Santo, perché l’Incarnazione è opera di amoree di santificazione.

2. Perciò Cristo si dice concepito di Spirito Santo; loSpirito Santo ha col Figlio di Dio relazione di consostan-zialità e anche relazione di causa efficiente delsuo corpoe ambedue le relazioni si esprimono colla frase di SpiritoSanto.

3. Con tutto ciò lo Spirito Santo non si può dire Padredi Cristo, come uomo, e nemmeno si può dire Cristofiglio della Trinità, perché ha nome di filiazione ciòche procede in simiglianza di natura e ciò non fu diCristo come uomo relativamente allo Spirito Santo e allaTrinità.

4. La Vergine, essendo essa stata scelta come madre,per somministrare cioè la materia del corpo di Cristo, edessendo la materia distinta dalla forma, cui spetta ogniprincipio attivo, nel concepimento di Cristo fu principioesclusivamente passivo e in nulla fu principio attivo.

Quest. 33. Modo ed ordine del concepimento di Cristo.– 1. La formazione perfetta del corpo di Cristo dal sanguedella Vergine avvenne nello stesso istante del suo conce-pimento, benché soltanto in seguito sia cresciuto fino al-la debita grandezza, ciò poi era dovuto all’infinito pote-re della causa efficiente, cioè dello Spirito Santo così pu-re ciò era anche richiesto dall’unione ipostatica, cioè dal-l’unione di due nature in una sola persona;

2. e poiché Cristo assunse il corpo mediante l’anima,perciò nel primo istante della concezione il corpo non fusoltanto formato, ma anche animato.

3. Mentre diciamo che Dio si fece uomo, non diciamoche un uomo si fece Dio e perciò il corpo di Cristonello stesso istante del concepimento fu formato e anche

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assunto dal Verbo e in nessuna maniera preesistette a taleassunzione.

4. Il concepimento di Cristo si deve dire miracoloso per-ché il principio attivo, secondo il quale si è soliti parlaredelle cose, nel concepimento di Cristo è soprannaturale.

Quest. 34. Perfezione della prole di Maria. – 1. Laprole di Maria era stata preannunciata santa, perciò se nelprimo astante del concepimento era animata, ebbe anchequei doni dell’anima nei quali consiste la pienezza dellagrazia.

2. Cristo nell’istante medesimo del suo concepimentofu perfetto ed animato perciò ebbe insieme anche l’usodel libero arbitrio;

3. e poiché nello stesso istante fu anche santificato,la sua fu una santificazione con moto di libero arbitrio, eperciò meritoria, cosicché Cristo nel primo istante del suoconcepimento meritò;

4. e poiché la grazia che Cristo conseguì e conseguìsubito fu grazia senza misura e perciò comprendenteanche la grazia di beato comprensore, perciò Cristo fucompensore ed ebbe la visione beatifica nello stesso istantedel suo concepimento.

Quest. 35. Nascita di Cristo. – 1. Chi nasce è unapersona, ma la nascita ha per termine il conseguimentodella natura, perciò la nascita si dice via alla natura.

2. Se perciò la natura è il termine della nascita, aCristo, nel quale ci sono due nature, si devono attribuiredue natività: una eterna e una temporale;

3. e la Vergine, avendo prestato a Cristo tutto ciò chepresta una madre, è veramente Madre di Cristo.

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4. Essere concepito e nascere va attribuito non allanatura in astratto, ma alla persona in concreto; in Cristola persona è unica ed è divina, Cristo è Dio, e perciò laVergine se è Madre di Cristo è Madre di Dio.

5. In Cristo come ci sono due natività, l’eterna e latemporale, così ci sono due filiazioni, ma di ambedue unosolo è il soggetto, perciò riferendosi alla persona bisognaammettere una sola filiazione, l’eterna; riferendosi invecealle nature, se ne devono ammettere due.

6. Essendo la Madonna rimasta Vergine anche nelparto diedealla luce il Salvatore Gesù senza nessun doloree colla grande gioia che sia nato al mondo l’Uomo-DioRedentore.

7. Cristo volle nascere a Betlemme, perché di Betlem-me era Davidde, dalla cui stirpe Egli discendeva; e per-ché «Betlemme »vuol dire «Casa di pane » ed Egli era ilpane vivo disceso dal cielo, come disse di sé nel Vangelo.

8. Cristo si deve dire nato nel tempo più opportuno,perché fu quello che Egli, padrone del tempo, scelsesecondo i disegni della sua sapienza; e nacque quandoregnava la pace, il popolo ebreo aspettava il Messia e ilmondo abbisognava del Redentore.

Quest. 36. Manifestazione di Gesù. – 1. La nascitadi Gesù non doveva essere manifesta a tutti, perché altri-menti sarebbe stata impedita l’opera della Redenzione esarebbe stato diminuito il merito della Fede;

2. ma affinché poi essa fosse proficua doveva esseremanifesta ad alcuni e precisamente a testimoni preordina-ti, come fu altresì della sua Risurrezione;

3. e quei testimoni preordinati furono convenientemen-te scelti, perché ce ne furono di ogni condizione cioè: ipastori e i magi, Simeone ed Anna; ossia poveri e ricchi,ignoranti e sapienti, uomini e donne, giusti e peccatori;

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4. e convenne che Cristo si rendesse manifesto perloro mezzo e non già per se stesso per cominciare cosìla propagazione di quella Fede, in cui sta la salute.

5. A quei testimoni preordinati la manifestazione diCristo doveva effettuarsi per mezzo di segni a loro fami-liari, e questi furono l’ispirazione dello Spirito Santo per igiusti; gli Angeli per i pastori che erano dei Giudei solitiagli annunci angelici; e la stella per i magi, i quali eranodediti alla contemplazione degli astri e dovevano riceve-re l’annuncio di un fatto non terreno, ma celeste.

6. Nella manifestazione della nascita di Cristo fuseguito anche il debito ordine, perché allora fu fatta primaai pastori, poi ai magi e infine ai giusti nel tempio, comepiù tardi doveva farsi prima agli Apostoli e discepoli, poiai gentili ed infine alla nazione giudaicatutta.

7. La stella che apparve ai magi deve ritenersi non unastella comune ma una stella miracolosa, perché seguì unavia nuova, ebbe una apparizione improvvisa e risplende-va di notte e anche di giorno.

8. È da ritenersi che i Magi, i quali sono le primizie deigentili, siano venuti ad adorare Cristo seguendo l’ispira-zione dello Spirito Santo.

Quest. 37. Gesù Bambino e le osservanze legali. –1. Cristo subì la circoncisione per mostrare che avevaun corpo vero; per approvarne il rito; per provare lasua discendenza da Abramo; per non riuscire inviso aiGiudei; per darci esempio di obbedienza alla legge e perliberare i credenti dall’onere che essa portava.

2. A Cristo fu convenientemente imposto il nonne diGesù, che significa Salvatore, perché Egli era venuto persalvare gli uomini dalla morte del peccato; nome chel’Angelo aveva preannunciato a Maria e a Giuseppe.

3. La Legge di Mosè prescriveva che tutti i neonati fos-sero presentati al tempio e prescriveva inoltre che il pri-

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mo figliuolo che nascesse fosse offerto a Dio e riscattato;avendo Cristo voluto nascere al tempo della Legge con-venientemente si sottopose all’osservanza di quei due pre-cetti;

4. e come Egli volle sottoporsi all’osservanza dellaLegge, benché non ne fosse soggetto, perché era il Pa-drone e non il suddito, così volle che anche la sua Ver-gine Madre si sottoponesse alla Legge della Purificazione,benché non ne avesse bisogno.

Quest. 38. Il Battesimo di S. Giovanni. – 1. Il battesi-mo di Giovanni fu opportuno, perché diede occasione albattesimo e alla manifestazione di Cristo e perché assue-faceva gli uomini al battesimo di Cristo e colla penitenzane li rendeva degni.

2. Nel battesimo di Giovanni va distinta l’istitu-zione che era divina, cioè ispirata dallo Spirito Santo,dall’effetto, che era umano, perché era una esterna, ben-ché simbolica, abluzione;

3. perciò il battesimo di Giovanni non conferiva lagrazia, ma disponeva alla grazia in quanto preparava allafede, assuefaceva al battesimo di Cristo e induceva allapenitenza per riceverlo con frutto.

4. Altri oltre a Cristo dovevano ricevere il battesimo diGiovanni, perché se solo Cristo l’avesse ricevuto, sareb-be ad alcuni apparso migliore del battesimo di Cristo eperché erano gli altri che avevano bisogno di essere pre-parati al battesimo di Cristo;

5. ed appunto perché il battesimo di Giovanni pre-parava gli uomini al battesimo di Cristo non occorrevache cessasse quando Cristo cominciò a battezzare, tanto piùche la cessazione avrebbe potuto sembrare effetto di ge-losia, e poi i discepoli del Battista si sarebbero tanto piùadontati che Cristo battezzasse.

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6. Essendo stato il Battesimo di Giovanni non inaqua et Spiritu Sancto, ma in aqua soltanto, occorreva chetutti quelli che lo avevano ricevuto, per avere la grazia,ricevessero poi totalmente il battesimo di Gesù Cristo.

Quest. 39. Il Battesimo di Gesù. – 1. Gesù volle ricevereil battesimo non per essere santificato dalle acque ma persantificare le acque; per santificare non in se stesso, manegli altri la natura umana da lui assunta; e per darciesempio di sottomissione a ciò che egli aveva dispostonon per sé ma per gli altri.

2. Cristo ricevette il battesimo di Giovanni per appro-varlo e per santificare il battesimo; ma non ricevette ilbattesimo suo, perché nonne aveva bisogno.

3. Cristo ricevette il battesimo all’inizio del suo ministe-ro pubblico per apparire idoneo a insegnare e a predica-re e per mostrare che il battesimo rende l’uomo perfetto,come era Lui a quell’età.

4. Cristo ricevette il battesimo nel Giordano, perchéfosse significato che il Giordano per quel battesimo aprìl’adito al regno di Dio, come una volta il Giordano aprìl’adito al regno della terra promessa.

5. Quando Cristo si battezzò, i cieli si aprirono permostrarci che il battesimo è di una virtù celeste ed è lachiave del regno dei cieli.

6. Quando Cristo si battezzò lo Spirito Santo discese so-pra di Lui in forma di colomba per mostrare che tutti co-loro che ci battezzano ricevono lo Spirito Santo, purchési battezzino con semplicità di cuore, come è simboleg-giato dalla colomba.

7. La colomba che apparve si può ritenere una colom-ba vera, miracolosamente formata, perché le finzioni malsi addicono al figlio di Dio, che è la stessa verità.

8. Il battesimo ricevuto da Gesù è l’esemplare del bat-tesimo nostro, che viene dato nella virtù e nell’invocazio-

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ne della Trinità, perciò a completare l’esemplare quandoCristo si battezzò si fece anche udire la voce del Padre.

Quest. 40. Cristo e il suo modo di trattare cogli uomini.– 1. Cristo era venuto al mondo a manifestare la verità,a liberare gli uomini dal peccato e ad aprirci l’accesso aDio; a questi tre fini conformò il suo vivere; visse quindinon solitario ma in mezzo agli uomini.

2. Convivendo cogli uomini si conformò anche alloromodo di vivere ed anziché una vita austera nel mangiaree nel bere seguì il modo di vivere che è comune a tutti glistati di vita.

3. Scelse anzi il genere di vita più comune, che èlavita povera e così, senza beni da amministrare Egli erapiù libero di dedicarsi a predicare e conduceva una vita,cui fu degna corona la morte di croce; inoltre la suapredicazione appariva evidentemente disinteressata e lostato di povertà veniva in Lui esaltato.

4. Cristo conformò la sua vita anche ai precetti dellaLegge e con ciò la approvò, la compié in se stesso, po-nendovi così termine, e prevenne le maligne accuse deiGiudei.

Quest. 41. Tentazione di Cristo. – 1. Cristo volle esseretentato per mostrarci che nessuno, per quanto giusto, èesente da tentazioni, per insegnarci il modo di vincerle eper eccitarci alla confidenza.

2. Cristo volle essere tentato nel deserto per indicar-ci che quanto più cerchiamo la solitudine per il raccogli-mento dello Spirito Santo, tanto più siamo tentati.

3. Cristo volle che la sua tentazione venisse dopo il di-giuno per insegnarci che il digiuno è ottimo apparecchioalla tentazione e che anche chi digiuna è soggetto alla

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tentazione, e precisamente a tentazioni che riguardanolo stesso suo digiuno.

4. Cristo volle che la sua tentazione seguisse con quel-l’ordine e in quel modo per insegnarci che la tentazionecomincia dal poco e sale al molto, comincia da cose chesembrano esigenze naturali, progredisce colla superbiaed arriva fino al disprezzo di Dio.

Quest. 42. Insegnamenti di Cristo. – 1. Cristo acquistòil dominio di tutti i popoli colla sua Passione, perciòprima di essa la sua predicazione si limitò ai Giudei ancheperché a loro era stato il Messia promesso; a loro dovevarisultare evidente la sua venuta da Dio e a loro dovevaessere sottratto ogni pretesto di non entrare nella Chiesa.

2. Lo scandalo che mostrarono gli Scribi e Farisei erauno scandalo di malizia per impedire la salute del popolo,giustamente quindi Cristo lo sprezzò ed affrontò.

3. L’insegnamento di Cristo fu pubblico e non occul-to, perché Egli non era geloso della sua scienza, né avevadottrine furtive da insegnare; Egli insegnava sempre al-le turbe o anche ai soli Apostoli, ma in comune e se talo-ra fece uso di parabole, fu perché esseri vestivano bella-mente i misteri spirituali.

4. Cristo insegnò a voce e nulla scrisse e ciò conven-ne alla sua eccellenza di maestro che imprime gli inse-gnamenti nell’anima e non nella carta e ciò convenne an-che all’eccellenza della sua dottrina, che non può essereristretta e chiusa nei libri.

Quest. 43. I miracoli di Cristo in genere. – 1. Imiracoli confermano la verità di ciò che uno insegna emanifestano la presenza di Dio in Lui; l’una e l’altra cosa

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doveva essere nota agli uomini relativamente a Cristo, eraquindi convenientissimo che Egli operasse Miracoli.

2. I veri miracoli possono essere fatti soltanto pervirtù divina, perché Dio solo può mutare l’ordine dellanatura; Cristo fece veri miracoli; Egli perciò operò pervirtù divina.

3. I miracoli di Cristo avevano lo scopo di confermarela verità che insegnava e perciò convenne che aspettassea farli quando cominciò ad insegnare; doveva poi comin-ciare ad insegnare quando fosse giunto all’età perfetta,così si spiega perché cominciò a fare miracoli alle nozze diCana.

4. I miracoli di Cristo dimostrarono scientemente lasua divinità, e perché erano opere che trascendevanol’umano potere, è perché li operava in suo nome e cioèdi sua autorità, e perché Egli stesso li citava come provadella sua divinità.

Quest. 44. I miracoli di Cristo in specie. – 1. Fu con-veniente che Cristo operasse miracoli sugli esseri spiritua-li, cioè sui demoni, col cacciarli, perché questi miracoli,che erano diretti contro il diavolo, che è il nemico dellaFede, riuscivano i più validi argomenti della Fede.

2. Fu conveniente che Egli operasse miracoli anche suicorpi celesti come quando alla sua morte il sole si oscurò,perché così mostrò che il suo potere si estendeva ancheal cielo.

3. Fu convenientissimo che Cristo operasse miracolisugli uomini, ridonando ai malati la salute, perché così simostrò loro universale e spirituale salvatore.

4. Fu altresì conveniente che Cristo operasse miracolisulle creature irrazionali, con prodigi di ogni genere, permostrare che tutte le cose sono a Lui soggette ed aiutarecosì la fede degli uomini.

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Quest. 45. La trasfigurazione di Cristo. – 1. Opportu-namente Cristo si trasfigurò e si mostrò ai discepoli nellosplendore della sua gloria, per insegnare che essa è il finedella tribolazione.

2. Lo splendore della trasfigurazione era uno splendoreessenziale a Cristo, perché derivato dall’interna gloriadell’anima sua beata e della sua divinità; Egli però perun volere suo particolare lo contenne sempre dentro disé fin dalla nascita; fu perciò esso anche uno splendorefuggevole e non una qualità permanente del corpo.

3. Gesù volle che presenziassero alla sua trasfigurazio-ne Mosè ed Elia e gli Apostoli prediletti, perché ne fosse-ro testimoni gli uni quali rappresentanti degli uomini an-teriori a Cristo, gli altri quali rappresentanti degli uominia Lui posteriori.

4. La nostra adozione a figli di Dio comincia colBattesimo e si compie colla gloria del Paradiso; perciòcome si fece udire nel Battesimo di Gesù la voce delPadre, così fu conveniente che essa si facesse udire altresìnella trasfigurazione, per indicare che la nostra adozioneè perfetta.

Quest. 46. La Passione di Cristo. – 1. Per la Redenzio-ne del genere umano era necessario che Cristo subisse laPassione e la Morte; ma ciò non di necessità assoluta, per-ché Iddio poteva provvedere altrimenti, e neppure di ne-cessità estrinseca, perché nessuno poteva costringervelo,nessuno essendo a Dio superiore, bensì di necessità rela-tiva al fine da conseguire, che per noi era la liberazionedalla morte, per Cristo era l’esaltazione nella gloria e perIddio era l’adempimento delle promesse.

2. Quindi, assolutamente parlando, la Redenzioneumana era possibile a Dio con qualunque altro mezzo, al-l’infuori della Passione di Cristo; invece parlando relati-vamente alla prescienza e ai decreti divini la Redenzione

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umana non era possibile a Dio con nessun altro mezzo, al-l’infuori della Passione di Cristo.

3. La Passione poi di Cristo riuscì il modo più conve-niente dell’umana Redenzione, perché così l’uomo co-nobbe quanto Dio lo ama; Cristo ci diede l’esempio diogni virtù e ci acquistò non solo liberazione, ma anchegrazia e gloria; noi impariamo ad essere solleciti di con-servarci immuni dal peccato e l’umana natura, vinta daldiavolo, ebbe sul diavolo la rivincita e riacquistò il suoprestigio.

4. Fu poi convenientissimo che la morte di Cristo fossemorte di croce, perché con essa ci fu dato esempio e ci fuinfuso coraggio ad incontrare qualunque morte; perchécome da un albero ci venne la rovina, così da un alberoci venne la Redenzione; perché Cristo sospeso in ariapurificò anche l’aria piena di demoni, sollevato da terraci invitò al cielo, rivolto ai quattro angoli del mondo tuttichiamò alla salute e della Croce di sua passione fece laCattedra della sua dottrina; infine perché il legno dellaCroce corrispose a molte figure del Vecchio Testamentonelle quali il legno è strumento di salute, come nell’arcadi Noè e nell’arca dell’alleanza.

5. Si può dire che Cristo soffrì tutti i dolori nel sen-so che soffrì ogni genere di dolore: da parte degli uomi-ni concorsero alla sua Passione Giudei e Gentili, uominie donne, dignitari e popolo, estranei e familiari; da par-te della sua persona Egli soffrì nell’amicizia per l’abban-dono dei suoi, nella gloria per le ingiurie, nella fama perle calunnie, nella roba per la spogliazione delle vesti, nel-l’anima per la tristezza, il tedio, il timore, e nel corpo perle ferite e la flagellazione; da parte delle sue membra Eglisoffrì nel capo coronato di spine, nel viso schiaffeggiato,nelle mani e nei piedi trapassati dai chiodi, e in tutto ilcorpo sottoposto alla flagellazione; da parte dei sensi Eglisoffrì nel tatto per le spine, i chiodi e i flagelli, nel gustoper il fiele e l’aceto; nell’olfatto per i cadaveri del Cal-

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vario, che era luogo di supplizio, nell’udito per lo schia-mazzo degli spettatori e nella vista per il dolore di Mariae di Giovanni che stavano a pie’ della Croce.

6. I dolori della Passione di Cristo eccedono ogni altrodolore per 4 ragioni: I. per le loro cause: il dolore sensi-bile fu causato in Lui da lesioni acerbissime e generali;dolorosissima fu la sua morte in croce, perché le mani ei piedi nel centro della loro sensibilità furono trapassatida chiodi e straziati dal peso del corpo; lunghissimo fu ilsuo tormento a differenza di chi è decapitato, che muoresubito: il dolore interno fu causato dai peccati di tutto ilmondo, dalla perdizione del popolo eletto e dal naturaleorrore alla morte; II. per la sensibilità di Cristo: Gesù, fi-glio di Maria, era delicatissimo di corpo e di animo; III.per il dolore in sè: ogni dolore sofferto da Cristo fu senzamitigazione o conforto; IV. per il dolore considerato in re-lazione al fine: Gesù sofferse volontariamente e volonte-rosamente per la salvezza di tutto il mondo e la grandez-za di questo fine importava una grandezza proporzionatadi dolore.

7. Nei dolori della Passione pativa tutta l’anima diCristo, perché l’anima, che è forma sostanziale del corpo,quanto all’essenza c’è tutta in tutto il corpo etutta in tuttele parti del corpo; non così quanto alle potenze, ma lesingole potenze inferiori, che nell’anima erano radicate,partecipavano ai dolori delle altre; non pativa invece inCristo la ragione superiore, perché essa era fissa in Dio:

8. e perciò anche l’anima di Cristo, che quanto all’es-senza c’era tutta anche nella ragione superiore, godevacolla ragione superiore, mentre pativa nel corpo, né ciòè contradditorio, perché diverso era il motivo del goderee del patire.

9. Il tento della Passione fu scelto da Dio sapientissimo,si deve dire adunque il più opportuno, e tale davverofu, perché la morte di Cristo, Agnello senza macchia,

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coincidette col tempo Pasquale, e coll’ora del sacrificiovespertino ed avvenne nell’età perfetta di Cristo.

10. Anche il luogo della morte di Cristo si deve direopportunamente scelto dalla divina sapienza e tale fuperché Gerusalemme era il centro del mondo di allorae si riteneva che nel monte Calvario fosse seppellitoAdamo, da cui derivò la perdizione del mondo.

11. Fu pure sapiente disposizione di Dio che Cristofosse crocifisso fra due ladroni, perché così fin dalla Croceapparve Giudice degli uomini.

12. La Passione e morte di Cristo si può attribuire allaPersona divina di Gesù Cristo, non però alla sua naturadivina, perché la natura divina è impassibile eimmortale.

Quest. 47. Causa efficiente della Passione di Cristo. –1. Non Cristo uccise se stesso, ma lo uccisero gli altri; sipuò però dire volontaria la sua morte in quanto non laimpedì, pur potendo impedirla.

2. Gesù Cristo si sottopose per obbedienza alla morte diCroce e così offrì a Dio il sacrificio più gradito, quellocioè della volontà; sanò la disobbedienza di Adamo;diede a noi esempio di quella obbedienza, che è la virtùnecessaria per vincere;

3. il Padre poi ha dato il Figlio alla Passione e alla mortecoll’eterna preordinazione della sua volontà, coll’ispira-zione data al Figlio di voler patire e coll’azione negativadi non sottrarlo alle mani dei Giudei.

4. Come la Redenzione doveva avere corso prima coiGiudei e poi coi Gentili, così convenne che la Passione diCristo fosse iniziata dai Giudei e terminata dai Gentili.

5. I maggiori responsabili della morte di Cristo sapeva-no che Egli era il Messia, ma ignoravano, benché di igno-ranza affettata, che Egli fosse Figlio di Dio; il Popolo poinon sapeva bene nemmeno che Egli fosse il Messia;

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6. il peccato dei primi, perciò, fu gravissimo e pergenere di peccato e per la malizia della volontà; menograve fu il peccato dei secondi e più scusabili furono iGentili.

Quest. 48. Come meritò la Passione di Cristo. – 1. LaPassione di Cristo ha causata la nostra salute meritandola,perché Egli era capo della Chiesa e i meriti del capoappartengono anche al suo corpo mistico.

2. Cristo colla Passione ha causata la nostra salute sod-disfacendo per noi, anzi la soddisfazione da Lui prestataalla divina giustizia fu superiore al debito di tutti i pecca-ti del mondo e ciò per la immensità della carità di Cri-sto nel patire, per la dignità infinita della sua persona eanche per l’universalità dei dolori da Lui sofferti.

3. Essendo il Sacrificio un’opera in onore di Dio perplacarlo, la Passione di Cristo per la nostra salute ebbeanche il pregio del sacrificio; fu poi sacrificio accettissimo,perché proveniente da somma carità; fu sacrificio veroperché corrisponde alle molte e varie figure della Legge;fu sacrificio sommo, perché tale risulta se si considera achi, da chi, per chi e che cosa in esso viene offerto.

4. Per causa di Adamo l’uomo era soggetto alla schia-vitù del diavolo per il peccato ed era soggetto alla Giu-stizia di Dio per le pene dovute al peccato; Gesù Cri-sto soddisfacendo per noi ha come pagato il prezzo del-la nostra liberazione da quei due vincoli, e ci ha con ciò«redenti» vale a dire «ricomperati»;

5. e poiché il prezzo della Redenzione fu il sangueversato da Cristo, la Redenzione va attribuita al Figlio,che ha assunta l’umana natura, benché la causa prima nesia tutta la Trinità.

6. Anzi la Passione di Cristo si può dire causa efficientedella nostra Redenzione, benché sia causa efficiente stru-mentale e non principale.

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Quest. 49. Effetti della Passione di Cristo. – 1. La pas-sione di Cristo ci ha liberato dai peccati in tre modi: I.provocandoci alla carità che ridona la grazia; II. pagan-do il prezzo della nostra schiavitù del peccato; III. espel-lendo il peccato per virtù divina di cui la Passione erastrumento.

2. La Passione di Cristo ci ha sciolti dal potere del dia-volo, perché per essa il peccato ci fu rimesso, noi siamostati riconciliati con Dio e il diavolo rovinòse stesso pereccesso di malizia, esso infatti procurò la morte di Cristoche doveva essere la nostra Redenzione.

3. La Passione di Cristo ci ha liberati dalla pena dovutaai peccati sia direttamente, soddisfacendo cioè per noi, siaanche indirettamente, perché ne toglie cioè la radice cheè il peccato, dal quale essa cilibera.

4. La Passione di Cristo ci ha riconciliati con Dio perdue motivi: I. perché ha rimosso il peccato che ci fanemici di Dio; II. perché ha avuto pregio di sacrificio,il cui effetto è di placare Dio.

5. La Passione di Cristo ci ha aperte le porte del Cielo,perché ci ha liberati dalla colpa e dalla pena del peccatoche ce le tenevano chiuse.

6. Cristo colla Passione meritò la sua esaltazione; giu-stizia vuole che quanto più uno viene ingiustamente de-presso tanto più sia poi esaltato; nella Passione la digni-tà di Cristo fu oltremodo depressa: incontrò la morte cuinon era soggetto, il suo corpo fu posto in un sepolcro el’anima andò ai luoghi inferni, Egli sostenne ogni ignomi-nia e fu anche dato in potere dei nemici; gli spettò quin-di passare dalla morte alla Risurrezione gloriosa, dal se-polcro e dal limbo al Cielo nell’Ascensione, dal disprez-zo degli uomini al consesso con Dio alla destra del Padree dall’essere in potere altrui all’avere il potere su tutti,per esercitarlo nel Giudizio.

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Quest. 50. Morte di Cristo – 1. Fu opportuno che Cristomorisse, perché: I. la morte è la pena del peccato ed Egliha fatto suoi i nostri peccati; II. Nella morte mostrò laverità della natura umana; III. Colla morte ci ha liberatidal timore della morte; IV. morendo corporalmente peril peccato ci insegna a morire spiritualmente al peccato;V. morendo e poi risorgendoci infonde speranza nellarisurrezione.

2. Nella morte di Cristo la divinità non si separò dal suocorpo, perché la divinità era unita al corpo di Cristo perla grazia di unione e ciò che si ha per grazia si perde soloper la colpa; ma a Gesù non è imputabile nessuna colpa,Egli quindi conservò sempre la grazia di unione;

3. per la stessa ragione nella morte la divinità non si se-parò nemmeno dall’anima di Cristo, il che deve maggior-mente dirsi per la ragione che Cristo nell’Incarnazioneassunse il corpo mediante l’anima.

4. Uomo non è chi non ha il corpo animato; nella mortedi Cristo, che fu vera morte, l’anima si separò dal corpo,Cristo perciò nei tre giorni della morte non aveva uncorpo animato e perciò non era più uomo e soltanto sipoteva dire un uomo morto.

5. Il corpo di Cristo, vivo e morto, fu sempre numeri-camente quello stesso, cioè quell’unico e medesimo cor-po che, vivo e anche morto, era ipostaticamente unito al-la Persona del Verbo; non fu però totalmente lo stesso,perché il corpo vivo ha l’anima che è qualche cosa di es-senziale per lui, e il corpo morto non l’ha.

6. La morte di Cristo in fieri è la stessa Passioneed ha lo stesso merito della Passione; invece la mortedi Cristo in facto, ossia la separazione dell’anima dalcorpo, non meritò la nostra Redenzione, perché allamorte sua Cristo, «Dio e uomo», non esisteva più inessa però il corpo, benché separato dall’anima, era unitoalla divinità, e perciò di efficienza strumentale ci valse

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la liberazione dalla morte dell’anima per la grazia e dallamorte del corpo per la Risurrezione.

Quest. 51. Sepoltura di Cristo. – 1. Fu convenienteche Cristo vestisse sepolto, perché con ciò fu provatalaverità della sua morte; colla susseguente risurrezione hain noi attenuato l’orrore del sepolcro; col suo celarsi almondo ci ha insegnato che chi muore al peccato si sottraeai rumori del mondo.

2. Parimenti fu opportuno il modo con cui venne sepol-to, perché divenne argomento della verità della morte edella Risurrezione di Cristo e a noi ha segnalato l’esem-pio della pietà di coloro che alla sepoltura si prestarono.

3. Il corpo di Cristo non doveva nel sepolcro andare sog-getto alla dissoluzione e ridursi in polvere, perché la suamorte non era dovuta a infermità della natura assunta,ma a volontaria assunzione della morte.

4. Gesù Cristo rimase morto due notti e un giorno eciò ha un senso mistico: le due notti sono le due morti,quella dell’anima e quella del corpo, da cui liberò noi, lamorte sua invece era il giorno.

Quest. 52. La discesa all’inferno. – 1. Fu opportunala discesa di Gesù all’inferno, perché, come assoggettan-dosi alla morte liberò noi dalla morte, così discendendoall’inferno liberò noi dall’inferno; inoltre conveniva che,dopo di aver vinto il diavolo, gli strappasse di mano lapreda; infine conveniva che, come aveva mostrata la suapotenza in terra, la mostrasse anche all’inferno.

2. Colla sua anima Cristo discese solo all’inferno deigiusti, cioè al Limbo, ma colla sua azione discese ancheall’inferno dei dannati per rinfacciarli della incredulità e

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malizia loro e discese all’inferno delle anime purganti perconsolarle.

3. Nella morte di Cristo l’anima si separò dal corpo,ma né l’una né l’altro si separò dalla persona di Cristo cheè persona divina e perciò Cristo come persona fu alloratutto nel sepolcro, tutto all’inferno e tutto dappertutto.

4. La Scrittura sembra insinuarci che l’anima di Cristosia rimasta nel Limbo per tutto il tempo che il corpo rimasenel sepolcro.

5. Cristo discendendo al Limbo liberò i Santi Padri, cheivi stavano chiusi, perché essi vi erano per il peccato diAdamo, la cui pena fu la morte corporale e l’esclusionedalla gloria del cielo, e Gesù colla sua morte ha liberatoil mondo dalla colpa e dalla pena del peccato originale.

6. Ma poiché il frutto della sua morte era applicabilesoltanto a quelli che erano a Lui uniti di fede e di carità,delle quali i dannati mancavano, perciò la discesa di Gesùall’inferno non portò la liberazione ai dannati.

7. Gli stessi bambini morti col peccato originale, se nonerano a Cristo uniti di Fede e di Carità, non potevanoessere liberati alla sua discesa all’inferno.

8. Quanto poi alle anime del Purgatorio, siccome laPassione di Cristo doveva valere allora quanto vale oggi,si deve ritenere che alla discesa di Gesù all’inferno furo-no liberate quelle che erano pronte per la loro liberazio-ne.

Quest. 53. La Risurrezione di Cristo. – 1. Era necessariala Risurrezione di Cristo per l’esaltazione della Giustiziadivina, per l’istruzione della nostra fede, per l’erezionedella nostra speranza; per l’informazione della nostracondotta e per il compimento della nostra salvezza.

2. Fu conveniente che Cristo risorgesse il terzo giorno,perché Egli doveva restare nel sepolcro solo quanto eranecessario per confermare la verità della sua morte e per

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questo bastavano le due notti e il giorno compreso; ilterzo giorno poi aveva il senso mistico della terza età delmondo, che cominciava colla Risurrezione di Cristo.

3. La vera Risurrezione sta nel risorgere dalla morteper non mai più morire in seguito; in questa manieraCristo fu il primo a risorgere e le risurrezioni di altri primadi Lui furono risurrezioni imperfette.

4. Cristo fu causa della sua Risurrezione, perché risu-scitò se stesso per virtù della divinità che, essendo allamorte rimasta unita all’anima e al corpo, riunì nel terzogiorno l’anima al corpo; per virtù invece dell’umanità ciònon era possibile; essa aveva bisogno di essere risuscitatada Dio.

Quest. 54. Qualità di Cristo risorto. – 1. Il risorgere èproprio di ciò che cade: il corpo di Cristo, che cadde perla morte ed ebbe l’anima separata, fu quello che ritornòin vita per la risurrezione ed ebbe l’anima riunita; e comeprima della morte esso era un corpo vero, così dopo larisurrezione fu un corpo vero;

2. nella Risurrezione quindi il corpo di Cristo fuuncorpo della stessa natura, benché di diversa gloria; perciòriebbe quella carne, quel sangue, quelle ossa, quella pelledi prima, altrimenti non sarebbe stata verarisurrezione.

3. Il corpo di Cristo risorse glorioso, perché, se risor-gono gloriosi i giusti, tanto più doveva essere gloriosa larisurrezione di Cristo, che ne è l’esemplare; inoltre Cri-sto meritò la gloria della Risurrezione coll’ignominia del-la Passione; infine era stata disposizione della sua volon-tà che la gloria della sua anima, beata fin dal concepi-mento, non ridondasse nel corpo per non impedire il mi-stero della Passione; compìto questo quella disposizionecessava.

4. Fu poi conveniente che il corpo di Gesù risorgesse col-le cicatrici, perché esse erano per Gesù un segno di glo-

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ria, per gli Apostoli un argomento della sua risurrezio-ne, per il Padre un segnacolo del suo merito, per i fede-li l’emblema della sua misericordia e peri dannati la vocedella sua giustizia.

Quest. 55. Manifestazione della Risurrezione. – 1. LaRisurrezione non doveva essere resa manifesta a tutti, masoltanto ai testimoni preordinati da Dio, per cui, essendouna verità superiore, cioè rivelata, fu manifestata a coloroche dovevano poi predicarla.

2. Non era poi necessario che i testimoni preordinati daDio, cioè gli Apostoli, ne fossero spettatori, perché perloro era impossibile vedere l’anima di Cristo rientrarenel corpo; ciò invece era possibile per gli Angeli, efu disposto che gli Angeli ne dessero l’annuncio agliuomini.

3. Per rendere certi gli Apostoli della risurrezione e del-la gloria di Cristo bastò che Egli a loro più volte apparis-se, non fu però necessario che convivesse di continuo conloro come prima, anzi ciò non convenne, affinché si per-suadessero che il suo nuovo stato non era più quello diprima.

4. Essendo la Risurrezione una cosa divina dovevaessere manifestata nello stesso modo con cui vengonorivelate le verità divine e cioè secondo le disposizioni dianimo delle persone; perciò ai ben disposti apparve nellesue sembianze e ai tiepidi nella fede, come i discepoli diEmmaus, apparve nelle sembianze di un altro.

5. Dovendo Gesù provare, con argomenti, agli Apostolila verità della sua Risurrezione, lo fece anzitutto coll’au-torità della Scrittura, che è il fondamento della Fede, epoi con segni evidenti della sua vera risurrezione, affin-ché il loro cuore per l’autorità della Scrittura fosse pre-parato a crederla e per i segni evidenti diventasse poi fer-vente a predicarla; i ragionamenti erano inutili perché o

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non erano capiti se cominciavano con verità superiori, onon potevano concludere alla verità della Risurrezione,che è una verità superiore, se cominciavano con veritàcomuni.

6. Gli argomenti poi adoperati da Cristo erano suffi-cienti a dimostrare la verità della sua Risurrezione, per-ché l’argomento di autorità era ineccepibile, consistendonella testimonianza degli Angeli e della Scrittura, e l’ar-gomento di fatto era irrefragabile sia da parte del corpoche egli mostrò essere vero corpo, corpo umano e quellostesso di prima, sia da parte dell’anima di cui rese mani-feste le tre facoltà cioè la vegetativa, la sensitiva e l’intel-lettiva; mostrò anche la gloria della risurrezione entran-do nel cenacolo a porte chiuse.

Quest. 56. A chi si deve la Risurrezione. – 1. Il Verbodi Dio, che è causa della vivificazione nostra, operò perprima la Risurrezione del corpo che gli era naturalmenteunito e perciò più vicino, perché la risurrezione di Cristodoveva essere la causa della risurrezione dei nostri corpi,causa efficiente, non principale, ma strumentale, e causaesemplare:

2. ed è non solo causa efficiente ed esemplare della ri-surrezione dei corpi, ma anche delle anime nostre, affin-ché come i corpi vi sono per l’anima, così le anime vivanoper la grazia.

Quest. 57. Ascensione di Cristo. – 1. Colla RisurrezioneCristo iniziò una vita incorruttibile e immortale; a essaspettava un luogo proporzionato, che non poteva esserela terra, convenne quindi che Gesù dopo la risurrezioneascendesse al cielo; con ciò però se fu sottratta ai fedeli

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la presenza della sua umanità, non fu loro sottratta lapresenza della sua divinità.

2. Ascendere al cielo lasciando la terra poteva GesùCristo come uomo, ma non come Dio, che è dappertutto;ma ascendere dalla terra al cielo poteva Gesù Cristoper virtù divina, e non per virtù umana; nell’Ascensionequindi la nuova condizione è della natura umana e lacausalità efficiente è della natura divina.

3. Vi ascese però Gesù Cristo per virtù sua propria pre-cisamente prima per virtù divina e poi per virtù dell’ani-ma glorificata dall’unione del Verbo, non però per virtùnaturale dell’anima umana.

4. Cristo ascese nella parte più eccelsa del cielo, perchéil suo corpo è il corpo più glorioso di tutti, è quello chepiù da vicino partecipa della divinità.

5. Anzi, poiché il corpo di Cristo, se per la condizionenaturale è inferiore alle sostanze angeliche, è però a lorosuperiore per la dignità dell’unione ipostatica, in cielosalì anche al di sopra degli Angeli.

6. L’ascensione di Cristo è causa per noi di salvezza, peressa infatti l’anima nostra è attirata in cielo, e Cristo cene aperse la porta, vi entrò come il Sommo Sacerdote nelSancta Sanctorum e di là ci manda i suoi doni divini.

Quest. 58. Cristo alla destra del Padre. – 1. La parola«sedere» significa «riposare» e anche «fare da Giudice»; aCristo conviene in ambidue questi sensi sedere alla destradel Padre, perché col Padre è beato e col Padre regna suin cielo.

2. È come Dio che Cristo siede alla destra del Padre,perché ciò significa avere la stessa gloria, la stessa potestàdel Padre e la frase «alla destra» non indica distinzione dipotesti, di beatitudine e di gloria, ma soltanto distinzionedella Persona del Figlio dalla Persona del Padre.

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3. Cristo siede alla destra del Padre anche come uomo,ma ciò gli compete essenzialmente non in quanto è uo-mo, ma in quanto è Dio; gli compete per la grazia di unio-ne, non però per ragione dell’umana natura, ma per ra-gione della divina persona cui è ipostaticamente unita lanatura umana; gli compete anche per la grazia abituale,che in Cristo è abbondante più che in tutte le altre crea-ture, e che perciò la costituisce in beatitudine e poteresuperiore a tutte le altre creature. Quindi Cristo siede al-la destra del Padre anche come uomo, non perché è uomo,sibbene perché è persona divina anche nella natura uma-na; ovvero siede anche come uomo e in quanto uomo, maciò per la graziaabituale.

4. Se Cristo quindi siede alla destra del Padre, è egualeal Padre nella divinità; perché poi possiede la grazia ingrado superiore a tutte le altre creature, sedere alla destradel Padre è cosa esclusiva di Cristo.

Quest. 59. Potere giudiziario di Cristo. – 1. All’eserciziodel potere giudiziario occorrono tre cose: autorità, retti-tudine e sapienza; la sapienza poi è quella che dà formaal giudizio, il quale viene chiamato legge della sapienza:essendo Cristo la sapienza eterna, la verità che dal Padreprocede e il Messo del Padre in terra, a Cristo spetta inmodo particolare il potere giudiziario.

2. Il potere giudiziario compete a Cristo come uomo,perché Egli è il capo di tutta la Chiesa; tale poterepoigli conviene, 1. perché Egli è fra Dio e gli uomini,essendo l’Uomo-Dio; 2. perché Egli sarà un giorno laRisurrezione di tutti; 3. perché tutti, anche i cattivi,dovendo averlo per Giudice, devono poterlo vedere.

3. Come la gloria del corpo, così anche il poteregiudiziario compete a Cristo, perché è Persona divina;perché ha dignità di capo; perché possiede la pienezzadella grazia; ma anche perché lo meritò colla Passione.

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4. Tutte le cose del mondo sotto soggette al potere giu-diziario di Cristo non solo come Dio, ma anche comeuomo, perché per l’unione ipostatica l’anima suaè pienadella verità del Verbo; perché ciò Egli meritò colla mor-te; perché tutte le cose sono ordinate al fine della eternasalute per il quale si fa il Giudizio.

5. Dopo il Giudizio del tempo presente resta a farsi ilGiudizio finale, ciò perché di ogni cosa mutabile nonsi può formare un giudizio perfetto, se non quando ètotalmente compita, e come le azioni vanno consideratein sé e negli effetti, così la vita dell’uomo, benché collamorte finisca il suo tempo, tuttavia resta nella memoria,nei figli, nei suoi effetti, nella tomba e nelle cose cheformavano l’oggetto degli affetti; e di queste cose nonsi può fare completo giudizio se non quando il mondototalmente finisce.

6. Anche gli Angeli sono soggetti al potere giudiziariodi Cristo non solo come Dio, ma anche come uomo,perché la natura umana assunta dal Verbo è a Dio piùvicina degli Angeli; perché Cristo per la Passione fuesaltato sopra gli Angeli; e perché gli Angeli hanno unamissione relativamente agli uomini dei quali Cristo è ilcapo; Cristo poi è giudice degli Angeli quanto alle loroopere, quanto ai loro doni accidentali e anche quantoall’essenziale premio degli Angeli buoni e all’essenzialepena degli Angeli cattivi, giudicati già in principio dalVerbo.

Quest. 60. I Sacramenti. – 1. Come per analogia diciamosano non solo l’uomo, ma anche la medicina o la dietache tale lo fanno, così diciamo sacramento non solo ciòche ha in sé una santità, ma anche ciò che ha ordine allasantità, quali la causa e il segno, e precisamente nel sensodi segno adoperiamo ora la parola Sacramento.

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2. Se adunque «Sacramento » significa «Sacro Segno»,segno però disposto per gli uomini affinché da una cosanota apprendano una cosa ignota, è Sacramento ognisegno di cosa sacra per la santificazione degli uomini.

3. Nella santificazione degli uomini si deve conside-rare la causa, che è la Passione di Cristo, la forma che èla grazia e il fine che è la eterna beatitudine, perciò ogniSacramento è un segno triplice, cioè rememorativo, dimo-strativo e prenunziativo.

4. Essendo naturale all’uomo conoscere le cose intelli-gibili per mezzo delle cose sensibili, il Sacramento, segnoper gli uomini di cose spirituali oggetto dell’intelligenza,doveva essere ed è un segno sensibile.

5. I Sacramenti non sono soltanto atti di culto, lalacui istituzione può competere agli uomini, ma sonoanchemezzi per santificare gli uomini, la cui istituzione compe-te solamente a Dio, perciò i Sacramenti consistono in cosedeterminate per divina istituzione;

6. alle cose poi dovevano unirsi anche delle parole nellaistituzione dei Sacramenti, e ciò per tre ordini di ragione:I. perché devono conformarsi al Verbo, che ne è lacausa e che l’Eterna Parola del Padre; II. perché devonoconformarsi all’uomo, di cui sono medicina spirituale, eche consta di anima e di corpo cioè di forma e di materia;III. perché devono conformarsi alla loro natura, che è diessere segno sacramentale e che non riesce tale se nonquando alla materia si uniscono le parole come forma,altrimenti il segno resta indeterminato, infatti un bagnodi acqua, per es. può servire tanto per lavarsi che perrefrigerarsi.

7. E poiché le parole nel Sacramento sono la forma,la quale è sempre principio di determinazione, se neiSacramenti dovevano essere determinate le cose, tantopiù dovevano essere determinate le parole;

8. a queste parole poi, che sono la forma dei Sacra-menti, nulla si può aggiungere e nulla si può togliere quan-

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do colla mutazione che si introduce si mira a cosadiversada quella che intende la Chiesa, ovvero si altera il sensosostanziale.

Quest. 61. Necessità dei Sacramenti. – 1. Alla salvezzadell’anima i Sacramenti sono necessari, perché con essil’uomo viene istruito per mezzo di cose sensibili; vieneumiliato, conoscendosi soggetto alle cose corporali eviene preservato da azioni cattive con esercizi salutari.

2. Nello stato di innocenza l’uomo non abbisognavadi Sacramenti, perché essi sono medicina del peccato edallora non c’erano peccati da guarire.

3. Poiché nessuno può essere santificato dopo il pec-cato se non per mezzo di Cristo, fu necessario che an-che prima della sua venuta ci fossero segni di protesta-zione della fede nel Messia venturo, e perciò anche primadi Cristo dovevano essere istituiti Sacramenti;

4. e per la stessa ragione dovevano esserci Sacramentidopo Cristo, quali segni di protestazione della fede nelMessia venuto.

Quest. 62. Effetto principale dei Sacramenti. – 1. Isacramenti sono causa efficiente della grazia, non certocausa principale, perché questa è Dio, bensì però causastrumentale.

2. La grazia fa partecipi di una qualche somiglianzadell’essenza divina; come poi dall’essenza dell’anima de-rivano le potenze, così dall’essenza della grazia derivanoalle potenze dell’anima alcune perfezioni che si diconodoni e virtù; e poiché i Sacramenti sono ordinati a effettispeciali nella vita cristiana, perciò la grazia sacramentaleimporta sopra lei grazia comune uno speciale aiuto divinoa conseguire il fine del Sacramento.

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3. I Sacramenti della nuova Legge contengono la grazia,perché ne sono causa efficiente, benché strumentale; edappunto perché ne sono causa istrumentale la contengo-no in modo transitorio e incompleto e non già come cau-sa univoca e con forma propria e permanente della gra-zia, infatti essi ne sono strumento egli strumenti agisco-no solo quando sono adoperati ed agiscono secondo l’in-flusso dell’agente principale.

4. Del resto come ogni strumento ha anche un’azionepropria, proporzionata alla sua natura, così pure i Sacra-menti hanno un’azione propria strumentale, che si esplicaquando si compie l’azione dell’agente principale e perciònon è da dirsi che i Sacramenti abbiano soltanto un’azio-ne concomitante.

5. Relativamente all’agente principale lo strumentopuò essere separato, come è il bastone, ovvero congiun-to, come è la mano; orbene, relativamente a Dio, causaprincipale della grazia, i Sacramenti sono strumento sepa-rato, invece la Passione di Cristo è lo strumento congiun-to, perché è l’effetto della Passione che mediante il Sa-cramento viene trasmesso all’animanostra.

6. Per il che i Sacramenti della Legge vecchia non pote-vano trasmettere la grazia, perché di questa è causa effi-ciente, meritoria e soddisfattoria la Passione di Cristo eallora questa non si era ancora compiuta, perciò poteva-no soltanto procurare la grazia per mezzo della Fede cheessi significavano.

Quest. 63. Il carattere. – 1. I Sacramenti sono ordinatia due fini, sono cioè di rimedio al peccato e di perfezio-ne all’anima in ordine al divin culto; e poiché l’uso portache chi viene deputato a un ufficio ne riceva un contras-segno, il quale per i soldati veniva stampato con carat-teri sul corpo, perciò anche i cristiani venendo deputa-ti per effetto dei Sacramenti a uffici spirituali ne ricevo-

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no il contrassegno, cioè un segno spirituale che si chiamacarattere.

2. Essendo un segno spirituale è una cosa dell’anima;nell’anima distinguiamo la passione, l’abito e la potenza:il carattere però non può essere passione, perché questapresto passa; non può essere abito, perché questo è unadisposizione stabile o al bene o al male, mentre delcarattere si può servirsi ora per il bene, ora per il male;resta quindi che il carattere sia potenza cioè un poterespirituale.

3. Per il carattere i fedeli vengono deputati a dare oa ricevere ciò che riguarda il culto di Dio; vengono cosìconfigurati al sacerdozio di Cristo e perciò il carattere èun segno di Cristo.

4. Il culto divino, cui i fedeli vengono deputati peril carattere, consiste in atti, gli atti provengono dallepotenze, perciò è nelle potenze dell’anima che si imprimeil carattere.

5. Il carattere è indelebile sia perché è partecipazioneal sacerdozio di Cristo che è sacerdozio eterno; sia per-ché si imprime nelle potenze spirituali dell’anima, chesono incorruttibili.

6. I Sacramenti che abilitano l’uomo a qualche ulte-riore potere di dare o di ricevere in ordine al culto di-vino sono il battesimo, che è la porta dei Sacramenti, lacresima, che del battesimo è la confermazione e l’ordine,che rende ministri del culto; perciò Sacramenti che impri-mono il carattere sono soltanto il Battesimo, la Cresima el’Ordine Sacro.

Quest. 64. La causalità nei Sacramenti. – 1. L’opera-zione interna della santificazione non può competere chea Dio, se si considera l’agente principale; ma se si conside-ra l’agente strumentale può competere anche agli uomini

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quali ministri, perché il ministro non è che lo strumentoin mano di Dio.

2. E poiché lo strumento deriva il suo effetto dall’a-gente principale, e questi non può essere che Dio, si de-ve conchiudere che Dio solo può istituire i Sacramenti.

3. Cristo medesimo aveva il potere di operare l’effettointerno dei Sacramenti, cioè la santificazione, non comeuomo, ma come Dio, perché quel potere è un potere divi-no e il potere divino Cristo lo aveva non come uomo, macome Dio; esso, come uomo, aveva per la sua Passione eMorte soltanto un potere strumentale, di strumento peròcongiunto, come sarebbe la mano, e perciò di eccellen-za e non soltanto di strumento separato, come sarebbe ilbastone che si tiene in mano.

4. Perciò Cristo tale potere di autorità, proprio dell’es-senza divina, non poteva comunicarlo, come non può co-municare la essenza divina; poteva però comunicare adaltri il potere strumentale di eccellenza, in modo che po-tessero istituire Sacramenti, e produrne l’effetto, cioè lagrazia, senza far uso di essi; ciò perché il potere di ec-cellenza competeva a Lui come uomo; poteva, ma non lofece.

5. Poiché i ministri nei Sacramenti hanno una azio-ne soltanto strumentale, non viene impedito l’effetto delSacramento ancorché il ministro sia cattivo, perché ancheun medico può ridonare la salute benché abbia malato ilsuo corpo, strumento della sua anima nell’esercizio dellascienza medica.

6. I ministri però devono conformarsi a Dio, e perciòse uno funge da ministro della Chiesa ed amministra iSacramenti in stato di peccato commette peccato.

Amministrare il battesimo in caso di necessità non èfungere da ministro della Chiesa, ma è sovvenire all’altruinecessità.

7. La virtù santificatrice dei Sacramenti è derivata dal-la Passione che Cristo subì come uomo, a Lui quindi nel

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suo Sacerdozio possono conformarsi gli uomini, ma nonpossono conformarsi gli Angeli che sono puri spiriti, per-ciò gli Angeli non sono ministri dei Sacramenti. Dio perònon ha legata l’azione sua santificatrice esclusivamente aiSacramenti; può santificare anche fuori di quelli e farnenunzi gli Angeli.

8. Nei Sacramenti occorre l’intenzione, della quale leparole sono la manifestazione, perché così solo l’effettosacramentale è determinato, altrimenti è ambiguo; cosìper es. il bagno, per sé, può servire tanto per pulizia cheper refrigerio;

9. non occorre invece la fede nel ministro del Sacramen-to, perché la sua è un’azione soltanto strumentale e per-ciò, come non importa che sia buono o cattivo, così nonimporta che abbia fede o no.

10. Altrettanto non occorre che il ministro abbia rettaintenzione nel conferire il Sacramento, purché però l’in-tenzione perversa non intacchi la stessa azione sacramen-tale per annullarla (come sarebbe battezzare per scherza-re), ma si riferisca solo a effetti conseguenti il Sacramen-to, come sarebbe il consacrare onde servirsi del Sacra-mento nelle stregonerie.

Quest. 65. Numero dei Sacramenti – 1. I Sacramenti so-no ordinati a 2 fini: a rimedio cioè del peccato e a per-fezione dell’anima nella vita spirituale. Quanto alla vitaspirituale essa si conforma alla vita corporale: come nellavita corporale l’uomo nel riguardo individuale nasce, cre-sce, si nutrisce e, se ammalato, guarisce e anche si libe-ra da tutti i residui della malattia, e nel riguardo sociale,si abilita al governo degli altri e divien atto alla naturalepropagazione della specie, così e di conformità nella vi-ta spirituale ci sono prima i cinque sacramenti di ordineindividuale: Battesimo, Cresima, Eucarestia, Penitenza eOlio Santo, poi gli altri due, cioè Ordine Sacro e Matri-

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monio, di ordine sociale. Quanto al peccato può essercibisogno di rimedio o nella mancanza della vita spiritua-le, o nella debolezza dell’animo, o nella sua fragilità, oin una recente caduta, o nei residui delle cadute e questodiordine individuale; ovvero nella dissoluzione della mol-titudine, o nella sua quotidiana deficienza e questo nel-l’ordine sociale; a tutto ciò sono ordinati rispettivamenteprima i primi cinque Sacramenti, poi gli altri due. Perciòsette sono i Sacramenti della Chiesa.

2. Da ciò poi apparisce chiaramente non soltanto cheil loro numero è sette, ma anche che la loro disposizioneè ordinata e razionale.

3. Il massimo dei Sacramenti è l’Eucarestia; 1. perchéesso contiene l’autore stesso dei Sacramenti; 2. perchéa esso hanno ordine i Sacramenti tutti, ed esso ne è ilcentro; 3. perché in esso quasi si completano gli altriSacramenti; così per es. dopo l’Ordine Sacro si riceve laComunione.

4. Una cosa può essere necessaria, quale mezzo senzadi cui non si può conseguire il fine e questa si dicenecessità di mezzo; ovvero è necessaria quale mezzo utileo prescritto per meglio conseguire il fine e questa sidice necessità di precetto. Necessari di necessità di mezzosono soltanto: il Battesimo per tutti, la Penitenza perchi ha peccati attuali e l’Ordine per la Chiesa; gli altriSacramenti sono necessari di necessità di precetto.

Quest. 66. Il Battesimo. – 1. Il Battesimo come segnoconsiste nell’abluzione; come cosa significata consistenella santificazione; come cosa significata e segno insiemeconsiste nel carattere.

2. Il Battesimo fu istituito prima della Passione, cioè nelBattesimo di Cristo, ma la sua necessità fu promulgatadopo la Risurrezione.

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3. Per istituzione divina la materia propria del Batte-simo è l’acqua, ed essa convenientemente significala no-stra rigenerazione e anche il nostro con seppellimento inCristo.

4. Qualunque acqua poi, per quanto artificialmente onaturalmente tramutata, purché però conservi la sua speciedi acqua, serve al Battesimo.

5. Le parole: io ti battezzo nel nome del Padre, delFiglio e dello Spirito Santo, giustamente costituiscono laforma del Battesimo, perché con esse si esprime la CausaPrincipale del Battesimo, cioè la Trinità e anche la causastrumentale, cioè chi l’amministra.

6. Il Battesimo ha valore dalla istituzione di Cristo,Cristo l’ha istituito colla forma: io ti battezzo nel nomedella Trinità, perciò qualunque forma diversa, anche laforma: io ti battezzo nel nome di Cristo: non serve alBattesimo.

7. L’uso invece dell’acqua sta nell’abluzione e perciòin qualunque modo l’abluzione si effettui, sia per infusio-ne, sia per aspersione, sia per immersione, serve al Batte-simo e non è di esclusiva necessità l’immersione.

8. Al Battesimo è assolutamente necessaria l’abluzio-ne dell’acqua; quanto invece al modo di compiere l’ablu-zione non vi è altrettanta necessità, quindi una abluzio-ne è necessaria per la validità del Sacramento e l’abluzio-ne trina non è di necessità, ma di prescrizione dell’autoritàdella Chiesa.

9. Il Battesimo non si può ripetere, I. perché esso è larigenerazione spirituale e come si nasce una sol volta allavita del corpo, così una sol volta si rinasce alla vita dellospirito; II. perché esso è configurazione nostra alla mortedi Cristo, e Cristo morì una volta sola; III. perché esso èdirettamente istituito per cancellare il peccato originale equesto si contrae una volta sola; IV. perché esso imprimeil carattere e questo è un segno che una volta impressonell’anima vi resta per sempre, perché è indelebile.

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10. Il rito della Chiesa nel battezzare contiene, oltre aciò che è di necessità, anche cose che sono di solennitàe queste vi furono introdotte opportunamente, perchéconciliano rispetto al Sacramento; sono di istruzione e diedificazione ai fedeli; e accrescono la grazia sacramentaleal battezzato col tenerne lontano il diavolo mediante gliesorcismi.

11. Il Battesimo ha efficacia dalla Passione di Cristoe più remotamente dalla virtù dello Spirito Santo, per-ciò non solo c’è il Battesimo di acqua che ci configura al-la Passione di Cristo, ma c’è anche il Battesimo disangueche ci conforma alla morte di Cristo e c’è pure il Batte-simo di desiderio per cui il nostro cuore è direttamentesotto l’azione e la virtù dello Spirito Santo; il Battesimoquindi è di tre specie;

12. e il Battesimo più grande è il Battesimo di sangue,perché in quello converge larghissimamente l’efficaciadella Passione di Cristo e la virtù dello Spirito Santo, chedanno valore al Battesimo.

Quest. 67. Ministri del Battesimo. – 1. Al Diacono nonappartiene per sé l’ufficio di battezzare, perché l’ufficio delDiacono, come dice il suo nome, è ufficio di inserviente.

2. Il Sacerdote invece, al quale spetta consecrare il cor-po di Cristo, che è il Sacramento dell’ecclesiastica uni-tà, ha l’ufficio di battezzare per rendere gli altri partecipidell’ecclesiastica unità.

3. Siccome però il Sacramento del Battesimo è il piùnecessario di tutti, affinché nessuno possa restarne privo,la misericordia divina ha disposto che ne sia materia unacosa comune, cioè l’acqua, e che ne possa essere ministroanche uno non ordinato, quando c’è il caso di necessità.

4. E poiché il ministro principale è sempre Cristo ein Cristo non c’è distinzione fra uomo e donna, in caso

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di necessità può battezzare anche una donna, quando nonsia possibile o conveniente il ministero di un uomo.

5. Ed appunto perché il ministro principale del Bat-tesimo è Cristo e nel caso di necessità qualunque uomopuò battezzare, anche uno non battezzato può battezzare.

6. Se due battezzassero contemporaneamente una stessapersona senza mutare le parole e senza deformare collapropria intenzione l’intenzione della Chiesa si avrebbeuna unica azione e con ciò un unico Battesimo, comeprescrive l’Apostolo; ma sarebbe un’azione disordinata.

7. Come i bambini appena nati abbisognano dellanutrice, così quelli che rinascono per il Battesimo hannobisogno del Padrino, che faccia loro da nutrice nella vitaspirituale.

8. Il Padrino però non è obbligato a prestare l’istruzionecristiana a chi ha tenuto al sacro fonte, senon nel caso chenon gli sia altrimenti prestata.

Quest. 68. I battezzandi. – 1. Nessuno può salvarsi senon in Cristo e nessuno può diventare membro di Cristose non per mezzo del Battesimo, tutti quindi sono tenutia ricevere il Battesimo;

2. e nessuno può salvarsi senza Battesimo, però biso-gna distinguere il Battesimo reale e il desiderio del Bat-tesimo; un adulto che è privo dell’uno e dell’altro nonpuò salvarsi, perché non è incorporato a Cristo né sacra-mentalmente, né mentalmente; ma chi ha il desiderio delBattesimo e muore senza potersi battezzare può salvarsi,perché allora il Battesimo di desiderio supplisce il Batte-simo di acqua.

3. Il Battesimo non si deve differire coi bambini, perchéè l’unico mezzo di provvedere all’eterna loro salute; co-gli adulti poi, nei quali il Battesimo di desiderio può sup-plire il Battesimo di acqua, parrebbe che si dovesse diffe-rire il Battesimo per la garanzia della Chiesa, per la loro

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istruzione e per il rispetto al Sacramento; ma non convie-ne farlo se sono sufficientemente apparecchiati per pre-venire qualunque pericolo di morte.

4. Quanto ai peccatori, se uno si dice peccatore per isuoi trascorsi, gli si deve dare il Battesimo che è appuntoistituito per mondarvelo; se invece uno si dice peccato-re per l’attuale volontà pervicace nel male non gli si puòdare il Battesimo, perché tale volontà cattivagli impedi-sce di unirsi a Cristo, perciò il Battesimo sarebbe ammi-nistrato invano e anche sarebbe un rito irrisorio, perchél’abluzione esterna non potrebbe indicare l’abluzione in-terna dell’anima.

5. Chi viene battezzato viene conseppellito nella mor-te di Cristo, che ha soddisfatto per i peccati di tutto ilmondo, a chi si battezza quindi non si deve imporre nes-suna penitenza.

6. La Confessione dei peccati va distinta in confessio-ne interna che si fa a Dio, e in confessione esterna, che sifa al Sacerdote, e questa è necessaria pel Sacramento del-la Penitenza; ma siccome chi non ha ricevuto il Battesi-mo non può ricevere il Sacramento della Penitenza, per-ciò questa confessione esterna per chi ha da battezzarsi nonsolo non è necessaria, ma non è nemmeno possibile, qua-le parte integrante della Penitenza; per lui quindi è suf-ficiente la confessione generale contenuta nelle rinunziedel Battesimo.

7. Poiché pel Battesimo si muore alla vita di peccatoper iniziare la vita nuova della grazia, al che occorre, inchi ha l’uso della ragione, un atto positivo di volontà,perciò occorre nel battezzando l’intenzione di ricevere ilBattesimo, che della vita nuova della grazia è il principio.

8. Nel Battesimo per ricevere la grazia è necessariala Fede, perché essa è via alla giustificazione, inveceper ricevere il carattere non è necessaria la Fede nénel battezzando, né nel battezzante, perché l’effetto delSacramento dipende, non da loro, ma da Dio.

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9. Si devono battezzare anche i bambini, perché il Bat-tesimo cancella il peccato originale e il peccato originalelo hanno anche i bambini.

10. Tuttavia i bambini degli infedeli, se non hanno an-cora raggiunto l’uso della ragione, non si possono battez-zare contro la volontà dei genitori, perché la natura li haaffidati alle loro cure e perciò si farebbe contro il dirittonaturale; se invece hanno raggiunto l’uso della ragione, sipossono indurre ed ammettere al Battesimo, perché nellecose dell’anima sono già padroni di sé.

11. I bambini che sono ancora nel grembo maternonon si possono battezzare, se non possono in qualchemodo ricevere l’abluzione.

Non si deve uccidere la madre per battezzare il fan-ciullo, se invece la madre è già morta si può operare perbattezzare il fanciullo.

12. I pazzi e gli scemi, che tali sono fin dalla nascita, so-no nella condizione dei bambini e perciò, come i bambi-ni, si devono battezzare; quelli invece che tali divennerodopo l’uso della ragione non si possono battezzare se pri-ma o nei lucidi intervalli non ebbero volontà di ricevereil Battesimo.

Quest. 69. Effetti del Battesimo. – 1. Per il Battesimol’uomo muore alla vita vecchia del peccato e cominciala vita della grazia, perciò il Battesimo cancella tutti iprecedenti peccati, che costituiscono la vitavecchia.

2. Per il Battesimo si è incorporati a Cristo e si è fattipartecipi della sua Passione che soddisfece peri peccatidi tutto il mondo, perciò il Battesimo libera da ogni reatodi pena dovuta ai peccati.

3. Il Battesimo ha anche la virtù di liberarci dallepenalità della vita presente, questo però esso non lo operase non per i giusti nella risurrezione dei morti: ciò perchéanche Cristo, cui si è incorporati per il Battesimo, le

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ha sopportate nella presente vita; esse poi servono dispirituale esercizio e fanno si che il Battesimo si cerchinon per l’interesse terreno, ma per la vitaeterna.

4. Il Battesimo che ci incorpora a Cristo ci rendemembri di Cristo, e perciò, come dal capo alle membra,così da Cristo a noi vien derivata col Battesimo la pienezzadella grazia e delle virtù.

5. Di tutto ciò poi la Scrittura vuole che qualcosa siamesso in evidenza e precisamente che si è incorporati aCristo; che l’intelletto viene illuminato dalla sua verità; eche la volontà viene fecondata di bene dalla grazia.

6. Anche i bambini per il Battesimo divengono mem-bra di Cristo, perciò anche i bambini conseguiscono la gra-zia e le virtù, bisogna però distinguere fra atto e abito: es-si hanno la grazia e le virtù in abito; ma quanto all’attone sono impediti per l’impedimento del corpo, come delresto avviene anche in chi di noi dorme.

7. Il Battesimo cancella ogni reato di colpa e di pena,esso perciò apre la porta del regno dei cieli.

8. Nel Battesimo l’effetto di rigenerazione è eguale pertutti; l’effetto della grazia che sta nella carità, per gliadulti si proporziona al loro fervore; l’effetto infine deidoni particolari si proporziona solo al volere della divinaProvvidenza.

9. Poiché nei battezzandi adulti occorre la volontà diricevere il Battesimo, uno che finge la volontà di ricevereil Battesimo, come sarebbe o se non crede, o se disprezzail Sacramento, o se cambia il rito, o se lo compie senzadevozione, è uno che non ha la vera volontà e non nericeve perciò l’effetto della grazia;

10. questo effetto però è soltanto tenuto sospeso dallafinzione della volontà; rimosso l’impedimento per mezzodella penitenza il Battesimo conseguisce il suo effetto.

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Quest. 70. La circoncisione. – 1. Nel Battesimo c’èuna specie di professione della fede; una medesima è lafede nostra e quella dei patriarchi e per loro c’era unaspecie di protestazione della fede nella circoncisione; lacirconcisione perciò fu figura e preparazione del Battesimo.

2. Opportunamente la circoncisione, che è protestazio-ne di fede e aggregazione ai fedeli, fu istituita da Dio conAbramo, perché Abramo per primo fu da Dio segregatodagli infedeli;

3. ed anche il rito della circoncisione, quale era, fu op-portunamente istituito, perché fu dato ad Abramo, da cuidoveva nascere il Messia, e stabilito in rimedio del pecca-to originale, che si trasmette colla naturalegenerazione.

4. Anche nella circoncisione veniva conferita la graziaper tutti gli effetti di essa, con questa differenza però, cheil Battesimo la conferisce per virtù sua come strumentodella Passione di Cristo già compita, invece la circonci-sione conferiva la grazia in virtù della Fede nella Passio-ne di Cristo da compiersi; maggiore è quindi la graziadel Battesimo come la realtà è maggiore della speranza;inoltre il Battesimo imprime il carattere e la circoncisionenon lo imprimeva.

Gli adulti poi venivano liberati dai reati di colpa, manon da ogni reato di pena.

Quest. 71. Rito precedente l’atto del Battesimo. – 1. NelBattesimo c’è una specie di professione della Fede, perfare la quale, però, è necessario essere istruiti nella fede;ecco quindi perché il primo atto del rito del Battesimo ècostituito dal Catechismo;

2. e vengon dopo subito gli esorcismi per cacciaregli impedimenti al Battesimo e sopratutto il diavolo chetiene l’uomo in sua potestà; seguono poi e la benedizioneper impedire il ritorno al diavolo e le altre cerimonie per

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far accettare e approvare la dottrina della fede e infinel’unzione per rendere atti a combattere il diavolo.

3. Gli esorcismi non sono semplici segni, ma sono ceri-monie efficaci, che rimuovono gli impedimenti intrinsecied estrinseci posti dal diavolo.

4. Poiché il ministro del Battesimo è il Sacerdote,spetta al Sacerdote il rito del Catechismo e degli esorcismi.

. 72. La Confermazione. – 1. La Confermazione èper rendere perfetti cristiani, cioè per dare perfezione inquella vita spirituale, di cui il Battesimo è rigenerazione;la Confermazione quindi ha uno speciale effetto di graziae perciò è uno speciale Sacramento.

2. Conveniente materia di questo Sacramento è il Cri-sma, perché è composto di olio e di balsamo e significacosì i due effetti di questo Sacramento cioè la pienezzadello Spirito Santo e il buon odore di Cristo, cioè dellevirtù.

3. Non essendo l’olio una di quelle materie che Cristosantificò col farne Egli uso, e che sono l’acqua del Batte-simo e il pane dell’Eucarestia, il Crisma deve essere primabenedetto da chi è il ministro ordinario della Cresima; equesto va pur detto dell’Olio Santo.

4. Le parole: Io li segno col segno della Croce, eti confermo col Crisma della salute nel nome ecc., sonoconveniente forma della Cresima, perché, come deve farela forma, determinano il Sacramento nella sua speciein quanto nominano la Trinità, quale causa della pienaforza spirituale; designano l’effetto del Sacramento, cioèla forza, dicendo: ti confermo; ed esprimono l’ufficio acui elevano, quasi dando le insegne del soldato, col dire:ti segno.

5. Il carattere è una spirituale potestà; come nelBattesimo si riceve il potere della vita spirituale, cosìnella Cresima si riceve il potere della pugna spirituale e

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perciò come il Battesimo imprime il carattere, così anchela Cresima imprime il carattere.

6. Come non si può diventare perfetti uomini se primanon si nasce, così non si può diventare perfetti cristiani seprima non si è cristiani, perciò il carattere della Cresimapresuppone il carattere del Battesimo ese non si ha ilBattesimo non si può ricevere la Cresima.

7. Il Sacramento della Cresima conferisce lo SpiritoSanto a fortezza; il conferimento poi dello Spirito Santonull’altro è se non la grazia santificante e perciò la Cresi-ma conferisce la grazia santificante.

8. Come è intenzione della natura che ognuno che na-sce divenga uomo perfetto, così e più di così è intenzio-ne di Dio che ognuno che nasce spiritualmente divengaanche spiritualmente perfetto, perciò il Sacramento dellaCresima è per tutti.

9. La Cresima conferisce la forza per la pugna spiri-tuale; convenientemente perciò questo Sacramento si con-ferisce in fronte, sia perché il cristiano come soldato de-ve portare la sua insegna manifesta, cioè in fronte, sia pertenere lontano la vergogna e il timore, che fanno schivarela pugna, e che si manifestano in fronte.

10. Come il neonato ha bisogno della nutrice, così ilsoldato novello ha bisogno dell’istruttore, perciò comeoccorre il padrino nel Battesimo, così anche per la Cresi-ma occorre il padrino.

11. Poiché dare la perfezione ad un’opera spetta alsupremo artefice, perciò rendere perfetti cristiani spettaa quelli che hanno la somma potestà nella Chiesa; eccoperché è riservato ai Vescovi conferire il Sacramento dellaCresima.

12. Il rito della cresima è stabilito dalla Chiesa che ègovernata dallo Spirito Santo, esso quindi deve ritenersiconveniente.

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Quest. 73. L’Eucarestia. – 1. Come nella vita corpo-rale oltre al nascere e al crescere occorre il quotidianoalimento, così nella vita spirituale oltre al Battesimo e laCresima occorre un Sacramento che sia alimento spiri-tuale; tale è l’Eucarestia, essa è quindi un Sacramento.

2. In questo Sacramento due sono le specie, cioè ilpane ed il vino, l’uno per cibo, l’altro per bevanda, mapoiché coll’uno e coll’altro si forma un unico e completoalimento, perciò nell’Eucarestia sono date le specie sacra-mentali; ma uno solo è il Sacramento, perché uno si diceanche ciò che è completo nella sua unità e perfezione.

3. Nell’Eucarestia la cosa significata è l’unione al cor-po mistico di Cristo, fuori della quale non c’è salute, macome nel Battesimo l’effetto del Sacramento si può con-seguire anche col desiderio del Battesimo, quando il Bat-tesimo non è possibile, così nell’Eucarestia l’effetto delSacramento si può conseguire anche col suo desiderio;mentre però senza il Battesimo la vita spirituale non ènemmeno iniziata, senza l’Eucarestia, invece, può esse-re già iniziata e anche resa perfetta; perciò l’Eucarestiaè bensì necessaria quanto il Battesimo da parte della co-sa significata, ma non è necessaria quanto il Battesimo daparte del Sacramento ossia del segno.

4. L’Eucarestia, che in sé significa «buona grazia », incommemorazione del passato si chiama sacrificio; in ri-guardo del presente si chiama comunione, e in significa-zione del futuro si chiama viatico; e questi diversi nomi leconvengono tutti.

5. Sapientemente l’istituzione dell’Eucarestia fu fattanell’ultima Cena: 1. perché era il migliore ricordo cheCristo potesse dare ai suoi apostoli lasciandoli; 2. perchéera la più parlante memoria della sua prossima Passione,fuori della quale non c’è salute; 3. perché fu la migliormaniera di rendere caro e venerato questo Sacramentoistituendolo negli ultimi momenti passati cogli Apostoli.

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6. Molte furono nella Vecchia Legge le figure dell’Eu-carestia, a cominciare da Melchisedecco; ma la principalefigura dell’Eucarestia fu l’Agnello Pasquale, perché ancheGesù, innocentissimo come l’Agnello, fu come l’Agnelloimmolato ed il suo sangue fu la salvezza del suo popolo.

Quest. 74. Materia dell’Eucarestia. – 1. La materia del-l’Eucarestia è il pane e il vino, perché pane e vino adope-rò Gesù Cristo nell’istituirla e furono convenientemen-te scelti, perché in riguardo nostro il pane e il vino for-mano l’alimento comune degli uomini; nei riguardi dellaPassione di Cristo rappresentano la separazione del san-gue dal corpo avvenuta in Lui alla morte; e nei riguardidella Chiesa mostrano che in essa, i diversi fedeli forma-no un’unità come il pane è il risultato di diversi grani difrumento e il vino si forma coi molti acini di uva.

2. Benché sia determinata la materia dell’Eucaristia,non ne è però fissata la quantità; questa deve essere re-golata dalla partecipazione all’Eucaristia che ne farannoi fedeli, perché fine di questo Sacramento ne è l’uso daparte dei fedeli.

3. Il pane però, quale materia di questo Sacramento,deve essere di frumento e non di altri cereali; Cristoinfatti: 1. consecrò in pane di frumento; 2. alludendoalla sua morte, di cui l’Eucaristia è commemorazione, siparagonò a grano di frumento cadente in terra; 3. volevaindicare con tale pane, che è il più nutritivo, l’effetto diquesto Sacramento.

4. Quanto alla sostanza tanto vale il pane lievitato cheil pane azimo; il rito latino tiene il pane azimo, perchéCristo istituì l’Eucaristia nel primo giorno degli azimi;meglio esso si confà a divenire il corpo di Cristo, dalquale fu lungi ogni corruzione; meglio essosi confà ancheai fedeli, perché esprime la sincerità di cui devono essereadorni nel parteciparne.

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5. Parimenti soltanto il vino di vite è materia propriadi questo Sacramento, perché è in vino di viteche Cristoconsacrò; esso poi bene esprime l’effetto di questo Sa-cramento, che è la spirituale letizia.

6. Per grave precetto della Chiesa bisogna unire al vinoda consacrare un po’ di acqua, non solo perché così feceCristo nell’istituzione dell’Eucaristia, ma anche perchéciò è meglio riferibile alla morte di Cristo nella quale uscìdal suo cuore acqua e sangue e anche perché significal’unione del popolo a Cristo nell’Eucaristia;

7. questi però sono effetti del Sacramento, ma non co-stituiscono l’essenza del Sacramento, perciò l’acqua ne-cessaria alla liceità della consecrazione, ma non è necessa-ria alla validità del Sacramento.

8. Che se dunque la materia strettamente necessariaalla validità del Sacramento è il vino, l’acqua che vi si deveunire deve essere poca per non alterare la natura del vino.

Quest. 75. La transustanziazione. – 1. Che nell’Eucari-stia ci sia il vero corpo e sangue di Cristo non si può perce-pire per mezzo dei sensi e nemmeno per mezzo dell’in-telletto, ma lo si sa per fede, in base all’autorevolissimatestimonianza di Dio. Che poi nell’Eucaristia Cristo cisia veramente è cosa sommamente opportuna, perché 1.se i sacrifici della Legge antica contenevano Cristo in fi-gura, il sacrificio perfetto della Legge nuova doveva con-tenerlo in realtà; 2. se Cristo per stare cogli uomini si èincarnato, ritornando al cielo, non doveva privarli dellasua presenza corporale; 3. se fede è credere ciò che nonsi vede, la perfezione della fede cristiana esigeva che lefosse occultata non solo la divinità, ma anche l’umanitàdi Cristo.

Perciò dire che Cristo nell’Eucaristia non c’è veramen-te, ma c’è per es. in figura o in simbolo, è errore.

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2. Cristo non può farsi presente nell’Eucaristia la-sciando il cielo, perciò la sua presenza non può effettuar-si che colla mutazione del pane e del vino in Cristo cheè in cielo; che se poi il pane ed il vino si mutano in Cri-sto, dopo la consacrazione nell’Eucaristia non c’è più la so-stanza di pane e di vino, e questo precisamente è ciò cheimportano e le parole della consacrazione, e il senso deifedeli e il rito della Chiesa.

3. Che se adunque la conclusione è che la sostanza delPane e del Vino alla consacrazione si muta nella sostanzadi Gesù Cristo, non si può parlare di annichilazione delpane e del vino o della loro risoluzione nelle materieoriginarie loro, perché mutazione non è annichilazionee nemmeno risoluzione nei componenti;

4. tale mutazione o conversione della sostanza del pa-ne e del vino in Gesù Cristo non è una mutazione natura-le operata da agenti naturali, perché questi possono sol-tanto indurre una nuova forma nelle cose, ma non pos-sono mutarne tutta l’entità; essa invece è una mutazionesoprannaturale, operata da Dio, la cui potenza è infinita eche perciò può mutare le cose anche in tutta la loro en-tità; questo passaggio di sostanza è chiamato con nomeproprio transustanziazione.

5. Però, come i sensi ci dicono, restano dopo la transu-stanziazione gli accidenti, ossia le apparenze del pane edel vino; ciò anzi fu sapientemente disposto perché altri-menti 1. noi avremmo orrore di mangiare carne umana edi bere umano sangue; 2. gli infedeli ci irriderebbero; 3.la nostra fede non avrebbe merito.

6. Ma benché restino gli accidenti o apparenze sensi-bili del pane e del vino, non ne resta però la forma sostan-ziale, perché la forma insieme colla materia costituisce lasostanza, e tutta la sostanza di pane e di vino si convertenella sostanza di Gesù Cristo: che se avvenisse la conver-sione soltanto della materia del pane e non della forma,

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questa diverrebbe una forma separata, cioè un angelo, ilche è inconcepibile.

7. La transustanziazione è istantanea, sia perché il pa-ne non è suscettibile di preparazione alla sua tramutazio-ne, sia perché Cristo nella sua presenza reale non vi vagradatamente crescendo, ma sopratutto perché vi operal’infinita potenza di Dio.

8. Dire: «dal pane si forma il corpo di Gesù Cristo»non è falso, nel senso però che la particella dal indica ilpunto di partenza come quando si dice che dal niente Diocreò il mondo; e anche nel senso che il pane è la materiadell’Eucaristia, come quando si dice che dall’aria umidasi forma l’acqua, perché qualche cosa del pane resta ecioè, non il soggetto ola materia come nelle mutazioninaturali, ma gli accidenti; ma è falso nel senso che ilpane ha naturale ordine al corpo di Cristo e quindi nonsi può dire senz’altro che: il pane può diventare il corpodi Cristo o che: col pane si forma il corpo di Cristo,perché queste frasi designano la causa consostanziale, esi adoperano per le mutazioni naturali, perciò dovendoleusare bisogna dichiararne il senso.

Quest. 76. In qual modo Cristo è nell’Eucaristia. – 1.Tutto Cristo si trova nell’Eucaristia, perché per le paroledella consecrazione vi si trovano il suo corpo e il suosangue e, per naturale concomitanza, anche l’anima e ladivinità, che in Cristo ora sono realmente uniti al suocorpo e al suo sangue.

Le dimensioni del pane appartengono alla quantità equesta è un accidente, perciò queste non si convertonoin Cristo, ma restano del pane; invece tutta la sostanzadel pane si converte in tutta la sostanza di Cristo, perciòdove prima c’era sostanza di pane, sia in grande chepiccola quantità, si trova tutta la sostanza di Gesù Cristo,ossia tutto Gesù Cristo.

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2. Parimenti Cristo si trova tutto sotto ciascuna specieconsacrata, con questa distinzione però che perle paroledella consecrazione sotto gli accidenti del pane si trovadirettamente il corpo di Gesù Cristo; e il sangue, l’animae la divinità vi si trovano per concomitanza; e, similmente,sotto le specie del vino direttamente si trova il sangue diCristo e il resto vi è per concomitanza. Che se si fosseconsacrato durante la morte di Gesù Cristo il corpo nonavrebbe avuto per naturale concomitanza il sangue, né ilsangue avrebbe avuto il corpo, perché realmente alloraquella concomitanza non c’era.

3. E se Cristo si trova tutto sotto ciascuna specieconsacrata, per effetto della reale concomitanza vi sitrova anche con la sua quantità dimensiva, non però permodo di dimensioni, ma per modo di sostanza; e poichétutto Cristo si trova là dove prima c’era sostanza, anchein minima quantità, di pane, perciò Cristo si trova tuttoin tutte le parti dell’Ostia anche prima che se ne faccianoframmenti;

4. e tutta la quantità dimensiva di Cristo si trova nel-l’Eucarestia; ciò però non direttamente, cioè per le paro-le della Consacrazione, che hanno per termine solo la so-stanza di Cristo, ma per concomitanza, perché la sostan-za di Cristo non si divide dalla sua quantità dimensiva, enemmeno dagli altri accidenti.

5. Cristo però non si trova nell’Eucarestia localmen-te, perché sarebbe «luogo » troppo piccolo; prima dellaconsacrazione il luogo occupava la sostanza delpane me-diante le sue dimensioni, dopo la consacrazione occupa illuogo la sostanza di Cristo bensì, ma mediante dimensio-ni altrui, cioè del pane; Cristo non vi è localmente, vale adire non vi è circoscritto.

6. Poiché Cristo nell’Eucarestia è come è in Cielo, persé vi si trova perciò immobilmente, perché immobilmen-te si trova in Cielo e quindi per sé vi è incorruttibilmente;solo può dirsi che si muove di moto locale al muoversi

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delle specie, e quindi anche che cessa di essere nell’Eu-carestia al cessare delle specie.

7. Il corpo di Cristo, come è nell’Eucarestia, nessun oc-chio lo può vedere, nemmeno un occhio glorificato; infat-ti nell’Eucarestia le specie proprie di Cristo non vi si tro-vano direttamente, ma vi si trovano per mezzo della so-stanza di Cristo, perciò non potrebbero colpirei sensi al-tro che per mezzo di tal sostanza, la quale dai sensi nonè percepibile; tale sostanza è percepibile dall’intelletto, èquindi, non visibile, ma intelligibile; siccome però Cristonell’Eucarestia vi si trova soprannaturalmente, in sé es-sa è intelligibile agli intelletti soprannaturali, di Dio cioèe dei beati; ma a noi essa è intelligibile soltanto per fe-de; come pure per fede è intelligibile ai demoni, indottidall’evidenza deisegni.

8. Le apparizioni miracolose, per le quali nell’Eucare-stia appariscono goccie di sangue, carne viva, il Bambi-no ecc. o avvengono solo nei sensi di chi vede in quan-to Dio li modifica, e questo sembra doversi dire quandoappariscono ad uno sì e ad altri no; ovvero possono es-sere apparizioni reali nel Sacramento, come sembra do-versi dire quando a tutti egualmente e per lungo tempoappariscono: non è però da dirsi che quelle siano le sem-bianze proprie di Cristo: e neppure si devono dire finzio-ni, ma miracoli: è la figura o il colore soltanto che si mu-ta; ma finché restano le precedenti dimensioni, che so-no il fondamento degli altri accidenti, rimane l’adorabilecorpo di Cristo.

Quest. 77. Le specie sacramentali. – 1. Nell’Eucarestiagli accidenti del pane e del vino, ossia le apparenze sensi-bili, non possono avere per soggetto la sostanza del pa-ne e del vino perché essa nell’Eucarestia non c’è più; nonpossono avere per soggetto la sostanza di Cristo, perchénon possono essere apparenze di un corpo umano; non

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possono passare a un altro soggetto, per es. l’aria, siaperché essi non migrano, ma conservano il loro postoche non è quello dell’aria, sia perché l’aria non è suscet-tiva delle apparenze del pane e del vino e conservandole apparenze proprie non può assumere le apparenze al-trui; per conseguenza restano senza soggetto, in quantoDio, causa prima onnipotente, supplisce alla sostanza delpane e del vino, causa seconda della loro esistenza.

2. E così la quantità, che è il primo degli accidenti, di-venta il soggetto degli altri, il che si deve asserire 1. per-ché tale apparisce ai sensi: il colore, per es. appariscenelle dimensioni del pane e del vino; 2. perché la primadisposizione della materia è sempre la quantità dimensi-va; 3. perché il soggetto deve essere principio di indivi-duazione e la quantità è elemento costitutivo del princi-pio di individuazione. Che poi possano gli altri accidentiessere soggetto della quantità è affatto inconcepibile.

3. Le specie del pane e del vino, che restano nell’Euca-restia, continuano ad agire sui sensi e sui corpi come primadella transustanziazione, perché se Iddio colla sua onni-potenza le conserva nel loro essere di accidenti, natural-mente al loro essere va dietro l’operare: conservano quin-di, come prima, l’operare loro proprio tutti gli accidenti,cioè la quantità, la qualità, l’azione, la passione, la relazio-ne, il luogo, il tempo e il sito;

4. inoltre, come prima della consacrazione potevanocorrompersi, così possono corrompersi dopo la consacrazio-ne, sia per se stessi, coll’alterazione per es., del colore, delsapore, della quantità ecc. sia accidentalmente, ossia perragione del soggetto, cioè pane e vino, con cui, e non giàcon Cristo, ha relazione il loro essere di accidenti; per cuitutto quello che agendo sul pane e sul vino poteva farlicorrompere prima della consacrazione, può anche dopola consacrazione: di conseguenza, siccome nell’Eucare-stia la sostanza di Cristo succede alla sostanza di pane edi vino, se dalla corruzione degli accidenti si rileva che

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alla sostanza di pane e di vino sarebbe succeduta un’al-tra sostanza diversa dal pane, non può esservi più la so-stanza di Cristo, che succede solo alla sostanza del paneed allora è cessata la presenza reale.

5. Le specie eucaristiche, come sono corruttibili, cosìsono anche tali che possono generare per es. cenere,polvere ecc., come avrebbe potuto fare la sostanza delpane e del vino prima della consacrazione; è poi certoche tali cose non provengono dal corpo di Cristo, perchéCristo è incorruttibile, in Lui quindi non si avvera che lacorruzione di una cosa porta la generazione di un’altra cosae viceversa; per non moltiplicare senza necessità miracoliconvien dire che tali cose provengono dalla capacitàdella quantità, soggetto degli altri accidenti, di diventareanche il soggetto delle forme susseguenti, cosa che èpropria della materia, e questo non è un nuovo miracolo,ma una conseguenza del miracolo precedente.

6. Con ciò è spiegabilissimo che le specie sacramentalipossono anche nutrire, perché come possono convertirsiin cenere, così possono convertirsi in corpo umano.

7. Che poi le specie sacramentali si frangano è realee senza difficoltà, perché soggetto della frattura dellespecie è la quantità difensiva, che nell’Eucarestia restadel pane e del vino; non si frange però Cristo, perchécome è incorruttibile è anche infrangibile.

8. Parimenti, come poteva essere mescolato qualche li-quore al vino prima della consacrazione, può esserlo an-che dopo: diversi sono poi gli effetti; se ciò che si mesco-la è in tanta quantità, che ne risulta una terza cosa in cuinon sono conservate le specie del vino consacrato, cessaanche la presenza reale; altrettanto si dica se si aggiungeeguale vino ma in tale quantità che non sia più lo stessodi numero il vino della consacrazione; se invece la quan-tità che vi si mescola è così piccola che la mescolanza silimita a una parte, cessa la presenza reale in questa parte,ma non nellealtre.

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Quest. 78. Forma dell’Eucaristia. – 1. Mentregli altri Sa-cramenti si compiono nell’uso della materia, l’Eucaristiasi compie nella consacrazione della materia e mentre ne-gli altri Sacramenti la consacrazione della materia con-siste in una benedizione, nell’Eucaristia consiste in unamiracolosa conversione, che Dio solo può operare; neglialtri Sacramenti la forma deve essere relativa all’uso dellamateria, per es. io ti battezzo, nell’Eucaristia invece de-ve essere relativa alla consacrazione della materia, perciòsono forma dell’Eucarestia le parole: questo è il mio corpo;questo è il mio sangue, queste poi il Sacerdote le pronun-cia in persona di Cristo e non già in persona di ministro,come quando dice: io ti battezzo.

2. Le parole della consacrazione del pane: «questoè ilmio corpo » esprimono l’attuale effetto della transustan-ziazione, perciò ne sono la forma conveniente: tanto piùche, terminando l’attuale effetto della transustanziazio-ne al corpo di Cristo, ciò da cui comincia la transustan-ziazione, cioè il pane, che poi resta solo negli accidenti,viene designato col solo pronome: questo.

3. Conveniente forma della consacrazione del vino sonoinvece le parole: questo è il calice del mio sangue collealtre che seguono: del nuovo ed eterno testamento..., lequali pure appartengono alla forma della consacrazionedel vino, perché sono determinazione del predicato ilmio sangue; e mentre le parole: questo è il calice del miosangue designano la conversione del vino in sangue, lealtre che seguono designano gli effetti del Sangue versatonella Passione.

4. Essendo l’Eucaristia il Sacramento più degno, biso-gna ammettere che le parole della forma di questo Sacra-mento, che il Sacerdote pronuncia in persona di Cristo,contengano una virtù creata, effettiva della transustanzia-zione, sempre però istumentale.

5. Le parole della consacrazione hanno virtù fattiva enon valore significativo; fanno la cosa e non la presup-

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pongono, ed operano istantaneamente e non successiva-mente, si prendono perciò secondo l’ultimo istante delloro proferimento; allora significano: «quello che è con-tenuto sotto queste specie e che prima era pane, è il cor-po di Cristo»; il soggetto non vi è determinato con un no-me, ma vi resta indeterminato con un pronome, perciò leforme della consecrazione sono locuzioni verissime.

6. Le parole della consecrazione del pane conseguisconosubito il loro effetto ed è falso che aspettino ad avverar-si quando è pronunciata anche la forma della consecra-zione del vino; perché il verbo adoperato: questo «è» ilmio corpo, è di tempo presente e non di tempo futuro eperciò si avvera subito.

Quest. 79. Effetti dell’Eucaristia. – I. L’Eucaristia èper la vita spirituale del mondo, essa perciò conferisce lagrazia, come è ovvio da chi considera: 1. che l’Eucaristiacontiene Cristo, il quale è autore della grazia; 2. che èla rinnovazione della Passione di Cristo, la quale diedeal mondo la grazia; 3. che è data a modo di cibo e dibevanda per l’aumento della vita spirituale che consistenella grazia; 4. che ha per effetto l’unione nostra conCristo la quale è unione di carità e perciò di grazia;

2. per queste stesse ragioni poi l’Eucaristia, oltreallagrazia, ha per effetto anche il conseguimento della gloria,perché ce ne apersero la porta Cristo e la sua Passionee ce ne danno un saggio anticipato e il cibo spirituale el’unione con Cristo che nell’Eucaristia sicontengono.

3. L’Eucaristia, che contiene Cristo, autore della gra-zia, in sé ha il potere di rimettere anche il peccato morta-le; ma in relazione a chi la riceve, se questi ha un pecca-to mortale e ne ha coscienza, l’Eucaristia non lo cancella,ma lo aggrava, perché essendo l’Eucaristia cibo spiritua-le, non può di lei cibarsi se non chi è spiritualmente vivo;se invece ha un peccato mortale e non ne ha coscienza,

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l’Eucaristia divotamente ricevuta lo cancella per effettodella carità.

4. I peccati veniali vengono tutti indistintamente rimes-si dall’Eucaristia, prima perché essi sono debolezze del-l’anima causati dalla concupiscenza e l’Eucaristia è ilciboche ristora le forze dell’anima; poi perché l’Eucaristia haper effetto di eccitarci ad atti di carità, e questi rimettonoi peccati veniali.

5. Quanto poi alla pena del peccato l’Eucaristia, comeSacramento, ha direttamente per effetto di nutrire l’ani-ma e non di rimettere la pena dei peccati; indirettamenteperò ha anche questo effetto proporzionatamente al fer-vore di carità che eccita in noi; come Sacrificio invece,ha valore soddisfattorio, in favore dell’offerente e con ri-guardo più all’affetto che alla quantità dell’oblazione.

6. Il peccato è morte dell’anima: la morte può avveni-re o per dissoluzione interna o per esterna violenza; or-bene l’Eucaristia ci preserva da tali forme di morte del-l’anima, perché essa come cibo corrobora la vita spiritua-le e come segno della Passione di Cristo è arma terribilecontro i demoni; l’Eucaristia quindi preserva dai peccati.

7. L’Eucaristia a chi la riceve giova sia come sacra-mento che come sacrificio; che se come Sacramento gio-va solo a chi la riceve, come sacrificio giova anche aglialtri,perché per tutti è morto Cristo.

8. L’effetto del Sacramento viene in parte impedito daipeccati veniali, non passati, ma presenti, che ingombranola mente, perché impediscono la percezione di tutta ladolcezza che c’è nel cibo spirituale dell’Eucaristia.

Quest. 80, La Comunione. – 1. Poiché talora il frut-to dell’Eucaristia viene impedito e si riceve allora in mo-do imperfetto, bisogna distinguere il modo imperfetto e ilmodo perfetto di ricevere l’Eucaristia e il primo si dirà sa-

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cramentale, cioè del solo Sacramento, il secondo spiritua-le, cioè anche dell’effetto spirituale.

Si distingue anche la Comunione spirituale, che èildesiderio di ricevere l’Eucaristia, dalla ComunioneSacra-mentale, che è il ricevere realmente l’Eucaristia.

2. Cristo nell’Eucaristia è sotto le specie di pane e divino, mentre in cielo è sotto le sembianze sue proprie;perciò l’Eucaristia è cibo esclusivo degli uomini, inveceCristo in cielo è cibo degli angeli sotto le specie sueproprie.

3. Sacramentalmente, senza l’effetto spirituale, l’Euca-ristia può riceverla anche il peccatore, perché la presenzareale di Gesù nell’Eucaristia, finché durano le specie, c’èsempre e per tutti.

4. L’Eucaristia significa anche il corpo mistico di Cri-sto, cioè l’unione dei fedeli, e ricevere l’Eucaristia signi-fica professarsi uniti a Cristo per fede resa perfetta dal-la grazia; perciò chi riceve l’Eucaristia in peccato mortalecommette una falsità e fa perciò un sacrilegio.

5. I peccati contro la divinità di Cristo sono in sépiù gravi dei peccati contro l’umanità di Cristo; ma inchi li commette questi possono essere più gravi di quelli;perciò l’eresia e la bestemmia in sé sono più gravi diuna Comunione sacrilega, ma la Comunione sacrilega èil giù grave peccato se si commette concerta scienza e condisprezzo del Sacramento.

6. Ai peccatori certi e notori e della cui penitenza nonsi può avere presunzione, se si accostano a ricevere laComunione, il sacerdote deve rifiutarla; non può invecerifiutarla se quelli che si accostano cogli altri a ricevere laComunione sono peccatori occulti.

7. Dopo una perdita notturna, dipenda essa da causeo per nulla colpevoli, o venialmente colpevoli o mortal-mente colpevoli, è decoroso e opportuno astenersi dal-la Comunione, qualora il bisogno spirituale non consiglialtrimenti.

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8. L’aver precedentemente presi cibi o bevande non im-pedisce la Comunione per se stesso, come fa il pecca-to mortale, ma impedisce la Comunione per precetto del-la Chiesa, che fu stabilito per significare che Cristo de-ve entrare per primo nel nostro cuore ed essere il fon-damento del nostro vivere e che gli si deve tanto rispet-to da sottrarlo a ogni pericolo di vomito: la Chiesa peròesclude i casi degli infermi.

Per digiuno si intende il digitino naturale, dalla mezzanotte, di tutto, anche in minima parte, che si prendacome cibo, come bevanda o medicina; le reliquie invecedel cibo che si trovano nella bocca e che si deglutiscononon come cibo, ma come saliva non rompono questodigiuno.

9. A chi non ha mai raggiunto l’uso della ragione nonsi deve dare la Comunione; a chi l’aveva e lo ha perduto,ma prima di perderlo ha avuto divozione dell’Eucaristia,in articolo di morte si deve dare la Comunione, se lostomaco la può tenere.

10. La Comunione è capace di apportare una utilitàquotidiana a chi la riceve e chi la riceve può avere ognigiorno le disposizioni per ricavare dalla Comunione unaquotidiana utilità, perciò la Comunione quotidiana nonha impedimenti né per parte del Sacramento, né perparte di chi si comunica.

Variò in proposito la disciplina della Chiesa, ma fusempre lodato l’accostarsi spesso alla Comunione.

11. Astenersi invece totalmente dalla Comunione è il-lecito, perché tutti sono tenuti per comando di Cristo al-la Comunione almeno spirituale, cioè al desiderio di farela Comunione, e questo desiderio sarebbe un desideriomenzognero se quando si può non la si facesse; la Chiesapoi ha determinato il tempo di soddisfare al divino pre-cetto.

12. Il Sacramento dell’Eucaristia esige primieramentee per sé di essere assunto sotto tutte due le specie, per-

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ché sotto le due specie esso è perfetto e perciò il sacer-dote che consacra deve anche completare il sacrificio as-sumendo tutte due le specie; secondariamente e in ordi-ne ai fedeli esso esige di essere ricevuto con decoro e de-vozione e appunto per provvedere al decoro e alla devo-zione fu introdotto l’uso di comunicare il popolo soltantosotto le specie del pane e non sotto le specie del vino.

Quest. 81. L’uso dell’Eucaristia in Cristo. – 1. Nellacena Cristo prima di comunicare gli Apostoli comunicò sestesso, perché era suo uso prima dare l’esempio e poiinsegnare.

Come potevano le specie sacramentali essere nelle suemani, così potevano essere nella sua bocca.

2. Gesù comunicò anche Giuda, perché volendo esserciperfetto esempio di giustizia non volle rendere manifestoil peccato occulto di Giuda negandogli la comunione.

3. Cristo diede agli Apostoli il corpo che aveva allora,cioè corpo passibile, tuttavia come Egli, visibile, si trovavanel Sacramento in modo invisibile, così Egli, passibile, sitrovava sotto le specie in modo impassibile.

4. Se si fosse consacrato al tempo della morte di Cristoci sarebbe stato nell’Eucaristia Cristo morto, perché in so-stanza il corpo di Cristo è lo stesso nelle apparenze sueproprie e in questo Sacramento, diverso è invece quantoal modo, ossia quanto alla relazione dimensiva coi corpicircostanti; Cristo nelle apparenze sue proprie tale rela-zione la ha mediante le dimensioni sue, nel Sacramentoinvece la ha mediante le dimensioni delle specie del panee del vino, per cui essere crocefisso poteva nelle sue sem-bianze, non poteva esserlo sotto le specie sacramentali.

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Quest. 82. Ministro dell’Eucaristia. – 1. L’Eucaristiaè un Sacramento di tanta dignità che si consacra in per-sona di Cristo; questo potere viene concesso al Sacerdo-te quando viene ordinato, perciò solo del Sacerdote è pro-prio consacrare.

2. Come gli Apostoli hanno cenato con Cristo cenan-te, così i Sacerdoti appena ordinati celebrano insieme colVescovo ordinante, perciò possono più Sacerdoti consa-crare insieme una sola e medesima Ostia.

3. Distribuire la Comunione appartiene al Sacerdote,1. perché anche nella Cena Cristo che ha consacrato fuquello che ha distribuito la comunione; 2. perché è ilSacerdote il mediatore fra Dio e gli uomini; 3. perchéuna cosa così Sacra conviene che sia toccata solo da manisacre.

4. Il Sacerdote che consacra deve anche assumere l’Eu-caristia, perché l’Eucaristia è non solo Sacramento, maanche sacrificio e chi offre sacrificio deve partecipare delsacrificio.

5. Il Sacerdote non consacra in persona propria, main persona di Cristo, e non cessa di essere Sacerdote diCristo quando è un Sacerdote cattivo, quindi anche unSacerdote cattivo validamente consacra.

6. Nella Messa bisogna distinguere la parte principa-le, cioè il Sacramento e la parte secondaria, cioè le pre-ghiere per i vivi e per i morti; come Sacramento tanto valela Messa del Sacerdote buono, quanto quella del Sacerdotecattivo, perché ambidue consacrano; come preghiere bi-sogna distinguere nel Sacerdote il Ministro della Chiesae la persona privata del Sacerdote; le preghiere del Mi-nistro della Chiesa sono fruttuose pel merito della Chie-sa; le preghiere del Sacerdote come persona privata sonoinvece più o meno fruttuose secondo la sua santità.

7. Anche i Sacerdoti eretici, scismatici e scomunicaticonsacrano validamente, perché la consacrazione dell’Eu-

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caristia dipende dal potere dell’Ordine, che essi non han-no perduto.

8. Nemmeno per la degradazione un Sacerdote perdeil potere dell’Ordine, perciò anche un Sacerdote degrada-to, se consacra, consacra validamente.

9. Tutti costoro però, benché consacrino validamente,consacrano illecitamente, perché l’esercizio dell’Ordineè loro proibito, quindi non è lecito ricevere i Sacramentida loro, né ascoltare la loro Messa, perché con ciò si ècomplici del loro peccato.

10. Un Sacerdote non può senza peccato far sempre ameno di celebrare la Messa, perché ciascuno deve far usodelle grazie ricevute e il sacrare è una grande grazia.

Quest. 83. Il rito dell’Eucaristia. – 1. Nell’EucaristiaCristo si offre in sacrificio come sulla Croce, e ciò nonsolo perché l’Eucaristia è un mistero rappresentativo delsacrificio della Croce, ma anche perché ce ne partecipa ifrutti facendo a noi l’applicazione dei meriti di Cristo;

2. noi abbiamo ogni giorno bisogno di tali meriti eperciò la Chiesa ha disposto che ogni giorno si celebri epoiché la Passione di Cristo avvenne dopo l’ora di terza,perciò la Messa solenne si celebra di regola nel tempocorrispondente, cioè sul mezzogiorno.

3. L’apparato per la celebrazione della Messa deve es-sere relativo sia alla Passione del Signore, di cui la Messaè rappresentazione, sia anche alla dignità del Signore cheè realmente presente nell’Eucaristia; per questo riguar-do hanno ragione di essere le Chiese sontuose, gli altariconsacrati, i vasi sacri preziosi e le suppellettili monde.

4. Il Sacramento dell’Eucaristia comprende tuttoil mi-stero della nostra Redenzione, per questa ragione vienecelebrato con più solennità degli altri Sacramenti, ed èbene disposto nelle sue parti, che sono: I. la preparazioneconsistente nella lode a Dio, nell’espressione della pre-

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sente nostra miseria, del ricordo dell’eterna gloria, nellapreghiera e nell’istruzione del popolo: II. la celebrazio-ne del mistero, distinta in oblazione colla lode del popoloe l’offerta del Sacerdote; in consacrazione preceduta dalSanctus e dal Memento dei vivi e seguita da protesta del-la nostra indegnità e memento dei morti; in assunzionedel Sacramento cui il popolo viene preparato colla ora-zione domenicale e con orazioni speciali: III. il ringrazia-mento con canto di esultanza e preghiere del Sacerdote.

5. Nell’Eucaristia oltre alla rappresentazione dellaPassione di Cristo c’è anche un riferimento al corpo mi-stico di Gesù Cristo e al devoto uso del Sacramento; nel-la Messa quindi le azioni e le parole furono tutte sapiente-mente disposte in ordine a questi tre fini.

Così il lavabo è per la riverenza dovuta al Sacramento;le croci per rappresentare la Passione di Cristo; le cinquevolte che il Sacerdote si volge al popolo ricordano lecinque apparizioni di Gesù risorto; le sette volte che ilSacerdote saluta il popolo designano i sette doni delloSpirito Santo.

6. Benché le prescrizioni liturgiche siano molte e mi-nuziose, non sono però impossibili a osservarsi e si ov-via sufficientemente ai difetti in cui si può incorrere cele-brando la S. Messa prevenendoli colla diligenza, correg-gendoli colla solerzia o rimediandoli colla penitenza.

Le rubriche stesse, messe in principio del Messale,prevedono tutti i possibili difetti in cui si può incorrerecelebrando la Messa e indicano il modo di comportarsi.

Quest. 84. La Penitenza. – 1. La Penitenza è un Sacra-mento, perché anch’essa consiste in una cosa santa ordi-nata alla santificazione; tale infatti è l’atto del peniten-te che detesta i suoi peccati e l’atto del Sacerdote che loassolve, nei quali atti consiste la Penitenza.

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2. La materia della Penitenza sono gli atti sensibili delpenitente, cioè il dolore, l’accusa e la soddisfazione; mala materia di questi atti sono i peccati che il peccatoredetesta, perciò i peccati sono la materia remota dellaPenitenza.

3. L’effetto della Penitenza, che è la rimozione deipeccati, viene benissimo espresso colle parole «Io ti as-solvo» perciò queste parole sono la forma del Sacramentodella Penitenza.

4. Il Sacramento della Penitenza è istituito per rimet-tere i peccati e non per implorare grazie particolari e di-stinte; perciò in questo Sacramento non si richiede l’im-posizione delle mani.

5. Per conseguire l’eterna salute è necessaria la rimo-zione del peccato; e i peccati commessi dopo il Battesi-mo non si rimuovono se non mediante la Penitenza, per-ciò la Penitenza è necessaria di necessità di Salute per chiha peccato dopo il Battesimo;

6. e in questo senso la Penitenza è la seconda tavoladi salvezza, perché come a chi passa il mare è necessa-rio o conservare intera la navicella o aggrapparsi a unatavola se la navicella si sfascia, così a noi è necessario oconservare l’integrità della grazia dataci dal Battesimo, oaggrapparci alla tavola di salvezza dellaPenitenza.

7. Il Sacramento della Penitenza fu realmente e conve-nientemente istituito nel Nuovo Testamento: infatti quan-to alla materia, benché essa, come negli altri Sacramen-ti, preesista in natura, perché è naturale all’uomo dete-stare il male fatto, viene tuttavia da Gesù Cristo la deter-minazione degli atti del penitente come materia della Pe-nitenza, viene pure da Cristo la determinazione dell’uf-ficio dei Ministri, e ciò quanto alla forma; l’efficacia poidel Sacramento della Penitenza ha origine dalla passionedi Gesù Cristo e ha inizio dopo la suarisurrezione.

8. La Penitenza dei peccati commessi deve durare tuttala vita nel senso che non si può mai aver piacere di

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averli commessi, deve perciò durare per tutta la vita lapenitenza interna, non però la penitenza esterna.

9. La stessa penitenza interna poi, che deve durareper tutta la vita, deve essere continua come abito, nonperò come atto, perciò basta che non si faccia un attocontrario, ma non occorre che si attenda di continuoadatti di penitenza.

10. Il Sacramento della Penitenza si può ricevere ripe-tutamente, avendo così disposto la misericordia di Dio,perché anche la carità pur una volta avuta si può perde-re per un peccato, e nessun peccato poi è così grande dasuperare in grandezza la misericordia di Dio.

Quest. 85. La penitenza come virtù. – 1. Pentirsisignifica dolersi di ciò che si è fatto; tale dolore poi seè nella parte sensitiva è una passione; se invece è nellavolontà dipendente da retta ragione allora è una virtù oun atto di virtù; ed è di questa che qui sitratta.

2. La penitenza in quanto è indirizzata a distruggereil peccato, quale offesa di Dio, è una virtù cheha unospeciale oggetto, perciò è una virtù speciale.

3. La riparazione dell’offesa, che si compie e cessandodall’offendere e prestando la dovuta riparazione, è dispettanza della virtù della giustizia, perciò la penitenzaè parte della giustizia, non però della stretta giustizia checorre fra eguali, ma della giustizia largamente presa.

4. La penitenza poi, in quanto virtù, parte della giu-stizia, appartiene alla volontà, perché la stessa giustizia èferma e costante volontà di dare a ciascuno il suo.

5. La penitenza, come abito, è infusa da Dio senzanostro concorso; come atto invece essa è il concorso dellanostra volontà all’azione di Dio, che ci tocca il cuore edesta in noi la fede; comincia in noi col timore servile deicastighi e diventa prima speranza del perdono, poi amore

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e dispiacere del peccato in se stesso e infine diventatimore filiale, o vera penitenza.

6. La Penitenza quindi non è la prima virtù nemmenoin ordine di tempo, perché la precedono la fede, lasperanza e la carità; può dirsi la prima soltanto nel sensoche da lei ha inizio la giustificazione del peccatore.

Quest. 86. Effetti della Penitenza. – 1. Un peccatodiventa irremissibile quando o non si può pentirsene,ovvero il pentirsene non vale; ma i viventi non hannola volontà fissa nel male, come i demoni, l’hanno inveceancora flessibile come al male così al bene, perciò deipeccati essi possono sempre pentirsi; essendo poi infinitae la misericordia di Dio e l’efficacia della Passione diCristo il pentirsi dei peccati vale sempre a ottenerne ilperdono: ogni peccato quindi può essere cancellato collaPenitenza;

2. ed altrettanto per contro nessun peccato è remissibilesenza la penitenza, presa come virtù; perché colla graziaDio si rende grato l’uomo, cosa che non si può supporrese l’uomo, che per il peccato si è reso avverso a Dio pervolgersi alle creature, non volge le spalle alle creatureper rivolgersi a Dio: quanto invece alla Penitenza, presacome Sacramento, i peccati sono remissibili anche senzadi quello, perché Dio, che in esso assolve dai peccati permezzo del Ministro, può assolvere anche direttamentesenza di lui.

3. Non può peraltro essere rimesso un peccato sì e unpeccato no, perché la grazia è incompossibile anche conun solo peccato mortale e la penitenza, che è lasciarequanto è offesa di Dio, non può esserci di un peccatosì e di un peccato no.

4. Nel peccato mortale in corrispondenza al reato dicolpa, che è doppio e cioè avversione a Dio e conversionea beni caduchi, c’è un doppio reato di pena, cioè: I. quello

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di pena eterna, per la perdita dell’eterno bene e questoviene rimesso colla penitenza e colla grazia; II. quello dipena temporale in relazione ai beni caduchi, e questo perla giustizia ha bisogno di qualche espiazione.

5. Dopo la penitenza e la remissione dei peccati pos-sono rimanere delle disposizioni e inclinazioni cattive de-terminate dai precedenti atti di peccato; restano adunquele reliquie dei peccati.

6. La penitenza, quale virtù, cioè gli atti del peniten-te, benché valga ad ottenere il perdono da Dio diretta-mente, cioè anche fuori del Sacramento della Peniten-za, è tuttavia ordinata come materia del Sacramento del-la Penitenza, in cui il potere delle chiavi funge da forma,che, come in ogni Sacramento, è la parte determinantedella materia: perciò la Penitenza cancella i peccati comevirtù, ma più principalmente come Sacramento.

Quest. 87. La remissione dei peccati veniali. – 1. Anchei peccati veniali sono una separazione da Dio, benchéparziale soltanto; anche questa deve essere riparata ela riparazione se si può fare colla penitenza, cioè conun dispiacere del fatto, non si può invece fare come èevidente, senza qualche, almeno implicito, dispiacere delfatto; perciò nemmeno i peccati veniali possono essererimessi senza la penitenza per lo menovirtuale.

2. Ma poiché i peccati veniali non tolgono la grazia,non è necessario ricorrere ai mezzi che sono necessari al-l’infusione della grazia per chi l’ha perduta; è sufficien-te un solo moto della carità e della grazia per cancellarli;che se avviene l’infusione della grazia in un adulto, sic-come essa non si compie senza un moto libero di cari-tà, perciò ogni infusione di grazia in lui porta con sé lacancellazione dei veniali.

3. Se adunque per la remissione dei veniali non è ne-cessaria l’infusione della grazia, ma basta un moto di gra-

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zia o di fervore per cui essi o esplicitamente o implicita-mente dispiacciono, essi vengono cancellati non solo coiSacramenti, ma anche con altri atti, che ne importano l’e-splicita detestazione, come il Confiteor e il Pater noster eanche con atti che non importano la detestazione impli-cita, come sono gli atti di devozione e le benedizioni checon devozione si ricevono.

4. Ma poiché è la grazia che opera la remissione ditutte le colpe, non si può avere la remissione dei peccativeniali e rimanere col peccato mortale, che esclude lagrazia;

Quest. 88. Dei peccati già rimessi. – 1. Quando sitorna a peccare i peccati già perdonati non ritornano inse stessi, ma torna col nuovo peccato mortale ciò che atutti i peccati mortali è comune cioè l’avversione a Dio eil conseguente reato di pena eterna.

2. Si può poi dire che essi ritornano come reato di in-gratitudine virtualmente contenuta nel peccato seguen-te, perché si agisce in opposizione al beneficio già rice-vuto della remissione dei peccati e tale ingratitudine siriscontra particolarmente nell’odio fraterno, nell’aposta-sia, nel disprezzo della Confessione e nel rimpianto diessersi confessati.

3. Non si può però dire che per un nuovo peccato l’in-gratitudine ritorna così grande come sarebbe la sommadei peccati già perdonati, perché l’ingratitudine si pro-porziona non solo al beneficio ricevuto, ma anche allecondizioni d’animo di chi ne è reo, si deve invece direche il nuovo peccato è più grave in proporzione del nu-mero e della gravità dei peccati già perdonati.

4. Tale peccato poi di ingratitudine contenuto in unnuovo peccato non è sempre un peccato speciale, lo èsoltanto quando ce n’è l’intenzione esplicita.

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Quest. 89. Il ricupero delle virtù. – 1. Le virtù ritornanocolla Penitenza, perché esse scaturiscono dalla grazia ecol tornare della grazia tornano anche le virtù.

2. L’ultima disposizione all’infusione della grazia è ilmoto del libero arbitrio, perciò secondo che questo èpiù o meno intenso, le virtù ritornano in grado maggiore,eguale o minore di prima.

3. Colla Penitenza l’uomo riacquista la pristina dignitàdavanti a Dio, perché torna a essere suo figlio; non riac-quista la pristina innocenza, perché questa è una voltaper sempre perduta; le dignità ecclesiastiche poi non leriacquista se si è impediti dalle disposizioni canoniche inquanto o la Penitenza non è fatta, o fu negligentementefatta, o c’è ammessa l’irregolarità, o c’è la ragione delloscandalo da riparare.

4. Le opere vive, cioè le opere buone fatte in istato digrazia, diventano opere mortificate per un peccato mortale,perché cessano dalla loro funzione vitale di condurre allavita eterna, in quanto il peccato mortale ne sospendel’effetto;

5. ma queste stesse opere mortificate, riviviscono, cioèritornano vive, quando si rimuove per mezzo della Peni-tenza l’impedimento che ne teneva sospeso l’effetto, cioèil peccato mortale.

6. Invece le opere morte, cioè le opere buone fatte inistato di peccato e perciò prive della vita spirituale, nonriviviscono, perché non è possibile sostituire il principiodi vita al principio di morte in opere che appartengonoal passato e che nella loro identità numerica non si rias-sumono.

Quest. 90. Le parti della Penitenza. – 1. Parti si chiama-no quelle in cui il tutto si divide ed esse sono proprie del-la materia; nella Penitenza gli atti del penitente costitui-scono la quasi materia del Sacramento e poiché sono di-

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versi gli atti che occorrono alla perfezione della Peniten-za, come la contrizione, la confessione e la soddisfazione,perciò si devono assegnare le Parti alla Penitenza.

2. Le parti essenziali del Sacramento della Penitenzasono la materia e la forma, le parti quantitative invecesono le parti della materia e queste nel Sacramento del-la Penitenza sono tre, cioè la contrizione, la confessionee la soddisfazione, perché la Penitenza non consiste inuna giustizia vendicativa, ma in una riconciliazione ami-chevole e perciò occorre I. avere volontà di riconciliazio-ne, ecco la contrizione; II. rimettersi al giudizio del rap-presentante di Dio, ecco la confessione; III. prestare ilcompenso stabilito, ecco la soddisfazione;

3. e poiché nessuna di queste tre parti è l’intera Pe-nitenza, ma tutte e tre occorrono per costituirla integral-mente, perciò esse sono le parti integrali della Penitenza.

4. La Penitenza poi come virtù si distingue in Peniten-za prima del Battesimo, Penitenza dei peccati mortali e Pe-nitenza dei veniali; perché una ha per scopola nuova vi-ta dello spirito; l’altra ha per scopo la riforma della vitacorrotta e la terza ha per iscopo una vita più perfetta.

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SUPPLEMENTI

Quest. 1. La contrizione. – 1. In senso propriosi dice trito un corpo duro, che cedendo totalmenteal suo stato di durezza, si riduce in minutissimi pezzi;in senso figurato si dice contrito un cuore che recedetotalmente dalla sua durezza spirituale, la quale lo avevareso ribelle a Dio. Contrizione quindi è dolore dei peccaticol proposito di confessarli e di farne la penitenza e questeparole sono la vera definizione della contrizione, perchéle convengono e come virtù e come parte del Sacramentoin relazione alle altre parti.

2. Come il gonfiarsi nella propria volontà cattiva èmale, così il contrirsi della propria volontà cattiva è bene,perché è moto contrario e perciò la contrizione è atto divirtù.

3. L’attrizione non può diventare contrizione, perchéil principio ne è diverso; infatti il principio della attribu-zione è il timore servile, mentre il principio della contri-zione è il timore filiale.

Il dolore sensibile non appartiene alla essenza dellacontrizione, ma ne può essere effetto.

Quest. 2. Oggetto della contrizione. – 1. Se il cuore sidice contrito, in quanto recede dalla sua durezza spiri-tuale nel male, la contrizione non si ha delle pene che siincontrano, di queste si può avere dolore, ma non con-trizione;

2. Altrettanto si può avere dolore del peccato originale,ma non contrizione, perché in quello non ci siamo caccia-ti di nostra volontà.

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3. Ogni peccato nostro attuale rappresenta una durez-za spirituale del cuore, perciò il cuore, per essere contritocosì da cancellare il peccato, deve essere contrito di ognipeccato attuale.

La contrizione generale di tutto ciò che è offesa di Diovale anche per i peccati dimenticati e per i peccati veniali.

4. La prudenza, che muove tutte le virtù, quantoai peccati passati determina la contrizione e quanto aipeccati futuri determina la precauzione, ma dei peccatifuturi non può esserci contrizione, che solo riguarda ilpassato.

5. Può diventare contrito quello stesso cuore che pri-ma era duro; ma il cuore duro di un altro non può iden-tificarsi col cuore contrito nostro, perciò degli altrui pec-cati può esserci detestazione, ma non può esserci contrizio-ne.

6. Come ci confessiamo di ciascun peccato, così di cia-scun peccato dobbiamo contrirci; però, siccome il fine del-la confessione è unico per tutti i peccati, cioè l’acquistodella grazia, così è sufficiente la contrizione generale ditutti.

Quest. 3. Quantità della contrizione. – 1. Quantomaggiore è il male, tanto maggiore deve esserne il dolore,ma la colpa è il male più grande, perciò la contrizione,che è dolore della colpa, è il dolore più grande. Ciò peròquanto al dolore spirituale che sta nella volontà; non cosìinvece del dolore sensibile, perché la parte sensitiva èmossa con più veemenza dalle cose che le sono proprie,cioè dalle cose sensibili, che non dalla ridondanza in leidelle forze spirituali.

2. La contrizione, come dolore nella volontà, non puòmai essere troppo grande, perché si riferisce al peccato,che è offesa di Dio; ma in quanto è dolore sensibile

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per ridondanza della volontà, può essere eccessiva se vacontro alla conservazione dello stesso soggetto.

3. Dei peccati ci pentiamo, perché sono offesa di Dio,e poiché un peccato è maggiore offesa di Dio di un altro,perciò di un peccato bisogna pentirsi di più che di un altro.

Quest. 4. Il tempo di pentirsi. – 1. Come uno che viaggiadetesta sempre ciò che gli occorse in qualche momentoe che gli fu causa di ritardo nell’arrivo; così per tuttala vita dobbiamo essere contriti del peccato, che fu untempo irremisibilmente perduto nel nostro viaggio perl’eternità, il quale deve essere una corsa verso Dio.

2. In fatto di contrizione, quale dolore della volontà,come non può esserci eccesso nell’intensità, così non puòesserci eccesso nell’estensione; perciò conviene pentirsisempre dei peccati, in modo però da non impedire le altrevirtù: invece in fatto di contrizione, quale dolore nellaparte sensibile per ridondanza dalla volontà, può essercieccesso come nell’intensità, così nella durata.

3. Dopo la presente vita non può esserci contrizione,perché essa importa tre cose: dolore, carità e merito; ilprimo manca ai beati, la seconda manca ai dannati, e laterza manca alle anime purganti.

Quest. 5. Effetti della contrizione. – 1. Come il disor-dinato amore del cuore produce il peccato, così il dolo-re proveniente da ordinato amore di carità lo distrugge,quindi ciò che rimette il peccato è la contrizione; lo rimet-te come causa strumentale quale parte del Sacramento, lorimette come causa materiale qualeatto di virtù.

2. La contrizione può importare una carità così inten-sa da meritare l’assoluzione di ogni reato di colpa e anchedi pena; inoltre per ridondanza nella parte sensitiva può

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causare un tale dolore sensibile, che è già una pena, daessere accettato da Dio come sufficiente per la cancella-zione di ogni colpa e di ogni pena.

3. Ogni dolore poi, per quanto piccolo, se è veracontrizione è sempre sufficiente per cancellare qualunquepeccato.

Quest. 6. Confessione e sua necessità. – 1. Il peccatonon viene rimesso se non per mezzo di un Sacramentodella Chiesa ricevuto in atto o almeno in desiderio; e conciò uno si sottomette al potere della Chiesa; ma poichéla Chiesa non può applicare il rimedio se non conosce ilmale e questo si ottiene colla Confessione del peccatore,perciò la Confessione, per chi peccò, è necessaria.

2. I Sacramenti non sono di diritto naturale, ma di di-ritto divino soprannaturale; perciò anche la Confessioneè necessaria, non di diritto naturale, ma di diritto sopran-naturale divino.

3. Per diritto divino sono obbligati a confessarsi tut-ti quelli che hanno peccato mortalmente; per precetto ec-clesiastico sono invece tenuti a confessarsi tutti, anche per-ché così il pastore conosce le sue pecorelle. La Confes-sione è non solo per la remissione dei peccati, ma ancheper la direzione spirituale.

4. La Confessione si fa per manifestare la coscienzaal confessore, ma invece di manifestarla la occulta tantochi non confessa i peccati commessi, quanto chi confessapeccati non commessi; anche questi perciò commettecosa illecita.

5. Il precetto della Confessione urge per accidente,quando si deve ricevere un altro Sacramento, per il qualeoccorre essere in grazia di Dio; urge invece per sé quandola dilazione, come avviene pel Battesimo, osi basa suragioni peccaminose, o si connette col pericolo di moriresenza Confessione.

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6. La Confessione per chi ha peccato mortalmente ènecessaria di precetto divino e non ecclesiastico, perciònemmeno il Papa può dispensarlo dalla Confessione.

Quest. 7. Essenza della Confessione. – 1. «Confessioneè quella per cui si manifesta il male nascosto perla spe-ranza del perdono». Questa definizione di S. Agostino èla più completa, perché contempla tutte le circostanze es-senziali dell’atto e i suoi effetti.

2. La Confessione che ha per condizione fondamentalela verità è un esercizio della sincerità e perciò è un atto divirtù.

3. E poiché tale Confessione mira allo stesso scopo cuimira la virtù della penitenza, cioè alla cancellazione delpeccato, perciò è un atto della virtù della penitenza; men-tre la confessione di un reo in giudizio è atto di giustiziae la confessione dei benefici ricevuti è atto digratitudine.

Quest. 8. Il ministro della Confessione. – 1. LaConfessione è necessario farla a un Sacerdote, perché soloil Sacerdote, che ha potere sul corpo reale e sul corpomistico di Gesù Cristo, può distribuire la grazia.

2. La Confessione sacramentale si può fare solo alSacerdote; farla ad un laico sarebbe solo esercizio diumiltà;

3. e tale atto di umiltà potrebbe, come un sacramen-tale, cancellare i peccati veniali.

4. L’assoluzione che il Sacerdote impartisce è non sol-tanto esercizio dell’Ordine, ma anche della giurisdizio-ne, perciò la Confessione i fedeli devono farla ai propriSacerdoti, cioè a coloro che hanno giurisdizione sopra diloro.

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5. Un Sacerdote può essere impedito dall’ascoltare leconfessioni dei fedeli o perché gli manca la giurisdizioneo perché gliene fu sospeso l’esercizio; può quindi ascolta-re la Confessione di qualunque fedele se gli viene, nel pri-mo caso, partecipata la giurisdizione che gli manca; e seviene evitata la sospensione nel secondo caso.

6. La Chiesa ha limitata la giurisdizione dei Sacerdotiper ragioni di disciplina; ma la necessità non ha legge,perciò quando c’è il caso di necessità per il pericolo dimorte quella limitazione disciplinare della Chiesa cessae ogni Sacerdote può assolvere.

7. La pena temporale che si impone non viene sempreproporzionata ai peccati, così che per un peccato maggio-re si imponga una pena maggiore, perché la pena deveessere vendicativa e medicinale, ad un tempo; la propor-zione perfetta c’è nel purgatorio.

Quest. 9. Qualità della Confessione. – 1. La Confessionecome atto di virtù, non può essere informe, cioè scompa-gnata dalla grazia, altrimenti non è meritoria: invece co-me parte del Sacramento, che precede l’assoluzione del Sa-cerdote, può essere informe, cioè finta; ma chi la fa non nericeve il frutto se non rimedia alla finzione.

2. Come il malato, se vuole guarire, deve manifestaretutto il suo male al medico, perché se ne manifesta solouna parte il rimedio non può essere adeguato, così ilpeccatore deve manifestare tutti i suoi mali; s enon lofa non si può dire che si confessa, ma che finge diconfessarsi.

3. La Confessione, come parte del Sacramento, hail suo determinato atto in unione agli altri ed è l’attoordinario di manifestare le proprie colpe, cioè dirle dipropria bocca; perciò confessarsi per mezzo di un altroo per mezzo di uno scritto, può essere una sostituzioneconsentita solo quando ce n’è una necessità.

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4. Una Confessione fatta a perfezione risponde a moltecondizioni, le più importanti sono che sia integra, sempli-ce, umile, discreta e fedele, vocale, mesta, pura e prontaad obbedire.

Quest. 10. Effetti della Confessione. – 1. La Confessio-ne libera dalla morte del peccato, perché nel presente or-dine la contrizione è efficace soltanto col voto della Con-fessione; la Confessione attuale quindi è completava del-la contrizione e coll’assoluzione del Sacerdote infonde-rebbe la grazia ove la contrizione precedente non fossestata sufficiente.

2. La Confessione non solo libera dalla pena eterna, maanche diminuisce la pena temporale; perché essa stessa èuna pena per il rossore che importa;

3. e con ciò stesso la Confessione apre la porta delParadiso; perché sono i reati di colpa e di pena, che essacancella, quelli che ne impediscono l’ingresso.

4. La Confessione dà la speranza dell’eterna salute,perché in essa il fedele si sottopone al potere delle chiavi,cui è riservato applicare i meriti di Cristo.

5. Per i peccati commessi, ai quali si è estesa la contri-zione, è sufficiente a cancellarli la Confessione generale,anche se ce ne sono di dimenticati, perché il potere dellechiavi agisce su tutto, se il penitente non vi mette ostaco-lo.

Quest. 11. Il sigillo della Confessione. – 1. In qualunquecaso il Sacerdote deve tener nascosti i peccati conosciutisotto sigillo sacramentale, perché egli li sa come ministrodi Dio e perciò deve tenerli celati come li tiene celati Dio,che mai li rivela.

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2. Sotto il sigillo cadono direttamente tutti i peccati,e indirettamente tutte le cose che potrebbero renderemanifesto il peccatore, perciò anche altre cose oltre ipeccati vengono sotto il sigillo.

3. Per sé è al Sacerdote che spetta come il potere dellechiavi, ossia di assolvere, così il dovere del sigillo, cioèdi tacere; accidentalmente però può esserci anche altriche, ascoltando, è partecipe dell’uso delle chiavi fattodal Sacerdote e perciò deve essere partecipe anche deldovere del sigillo.

4. Può il Sacerdote col permesso del penitente palesaread altri un suo peccato conosciuto sotto sigillo, perché ilpermesso del penitente fa che il confessore sappia anchecome uomo e di scienza comunicabile ciò che primasapeva di scienza incomunicabile, come Dio.

Tale permesso però, fuori del penitente, nessun altropuò darlo, nemmeno il Papa.

5. Il sigillo riguarda tutte e sole quelle cose che sivengono a sapere in Confessione e la cui rivelazione riescedi gravame al penitente; ma se quelle cose il confessorele conosce anche all’infuori della Confessione, e perciòdi scienza comunicabile, può per sé parlarne; però pertimore dello scandalo e per rispetto al Sacramento devefarlo soltanto in caso di necessità e in modo da far capireche ne parla, ma non come di cose sapute in confessione.

Quest. 12. La Soddisfazione. – 1. La virtù formalmentesta nel giusto mezzo; la soddisfazione è un giusto mezzofra il diritto di Dio e il dovere dell’uomo, perciò lasoddisfazione è formalmente un atto di virtù;

2. e poiché quale mezzo mira a quell’eguaglianzatra cosa e cosa, che è compito della giustizia, perciòla soddisfazione è un atto della virtù della giustizia epiùprecisamente della giustizia vendicativa, perché questa èquella che riguarda un’offesa precedente.

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3. La soddisfazione importa due cose: compenso peril passato e precauzione per il futuro; perciò la belladefinizione di S. Anselmo: «la soddisfazione è pagarea Dio il dovuto onore » si completa con quella di S.Agostino: «è togliere le cause del peccato».

Quest. 13. La Soddisfazione è possibile. – 1. Soddisfa-zione deriva da satisfacere, che significa fare abbastanza;soddisfare a Dio quanto Dio merita all’uomo è impossibi-le; gli è invece possibile soddisfare quanto può, e poi-ché la forma di giustizia da parte dell’uomo è conservata,perciò questo è sufficiente.

2. Soddisfare per un altro come compenso del passatonon è proibito, anzi è cosa che davanti a Dio ha grandemerito di carità; ma in quanto la soddisfazione è dirimedio per i peccati futuri non è possibile che valga lapenitenza fatta da uno per un altro.

Quest. 14. Qualità della Soddisfazione. – 1. Nonsi può dare soddisfazione di un peccato sì e di un altrono, perché ogni peccato mortale toglie la grazia e perciòbasta anche un solo peccato mortale, di cui non si vogliadare soddisfazione, per impedire la riconciliazione conDio.

2. Poiché le opere imposte per la soddisfazione nonriescono a Dio accette se l’amicizia più non dura, ma èstata rotta con un nuovo peccato, perciò della soddisfa-zione non si può essere sicuri se non la si presta in istato digrazia.

3. Se quindi sono necessarie per la soddisfazioneopere fatte in istato di grazia, le opere fatte in istatodi peccato sono opere morte che non rivivono e perciò

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non potrebbero cominciare ad avere valore nemmenoquando si riacquista la grazia.

4. Merito si chiama quell’azione per cui è giusto da-re qualcosa a chi la fa, e quel qualcosa sarebbe il dovuto,ossia il debito; si distingue poi il debito di giustizia o decondigno, che si riferisce a chi ha da ricevere il qualcosa,e il debito di convenienza o de congruo, che si riferiscea chi ha da dare il qualcosa: nelle nostre opere di sod-disfazione ciò che offriamo a Dio è già di Dio, non re-sta quindi altro che l’amore con cui le facciamo che pos-sa a loro dare valore di merito; ma se manca l’amore diDio, e con ciò la grazia di Dio, le opere buone non posso-no avere, per chi le fa, merito di giustizia; possono ave-re soltanto merito di convenienza e giovare o per conse-guire benefizi temporali, o per disporsi alla grazia o perassuefarsi alla virtù in questa vita;

5. per l’altra vita poi non valgono certo a liberare dallapena infernale già meritata; valgono a prevenire una penamaggiore e a diminuire o a differire le penetemporali.

Quest. 15. Opere di Soddisfazione. – 1. Il compenso aDio dovuto non si può prestare che con una privazionenostra; perciò la soddisfazione deve consistere in un’operache non solo sia buona e sia in onore di Dio, ma ancheche sia penale o di penitenza.

2. I flagelli della presente vita possono essere opere sod-disfattorie nostre se o ce li assumiamo o li accettiamo daDio, perché allora solo, divenuti di nostra proprietà, so-no una privazione nostra, altrimenti restano solo castighidi Dio.

3. Se la soddisfazione consiste in privazioni nostre,di nostro abbiamo l’anima, il corpo e i beni di fortuna,perciò le privazioni relative saranno orazione, digiuno edelemosina e queste sono vere opere soddisfattorie, perchéhanno valore di compenso del passato e di precauzione

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per l’avvenire, in quanto ci dispongono bene verso Dio,verso il prossimo e verso noi stessi.

Quest. 16. Il Penitente. – 1. L’infusione della graziaporta con sé tutte le virtù e quindi anche la virtù dellapenitenza, ma in coloro che conservano l’innocenza batte-simale non c’è materia di penitenza cioè peccati, in lo-ro quindi la penitenza non c’è come atto, ma solo comeabito, giacché anch’essi possono peccare.

2. Nei Santi invece che sono già in gloria la penitenzaresta, ma solo come atto di gratitudine per la misericor-dia di Dio; e che in loro la gratitudine resti è certo, per-ché le virtù cardinali restano anche in Paradiso e la peni-tenza è parte della giustizia, che è una virtù cardinale.

3. Gli Angeli non sono suscettibili di penitenza, comevirtù, perché questa è ordinata al fine di conseguire lamisericordia di Dio e questo è solo possibile agli uominiche sono su questa terra; nei demoni e nei dannati c’èsolo la penitenza come passione, cioè come detestazionedel loro male, perché ciò è naturale a tutti.

Quest. 17. Il potere delle chiavi. – 1. Potere delle chiaviè il potere di aprire le porte del Paradiso che il peccatoci chiude; tal potere appartiene alla Trinità per l’autoritàsua; appartiene a Cristo per il merito della sua Passione,ed appartiene anche alla Chiesa, che uscì dal costato diCristo, e perciò anche ai ministri della Chiesa che sonodispensatori dei Sacramenti, nei quali è riposta l’efficaciadella Passione.

2. Un potere si definisce dai suoi atti, gli atti delpotere delle chiavi sono di chiudere e di aprire, che siesercitava dagli Ebrei legando o sciogliendo lo spago delcatenaccio, perciò rettamente si definisce quel potere

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per cui «l’ecclesiastico giudice riceve i degni e respinge gliindegni dal regno»;

3. e si dice il potere delle chiavi anziché della chiave,perché sono due gli atti che competono all’ufficio diecclesiastico giudice, cioè il giudizio dell’idoneità allagrazia di chi si presenta al giudizio, e la sentenza diassoluzione; sono dunque due chiavi anziché una.

Quest. 18. Effetto delle chiavi. – 1. Il potere delle chiavinon si limita alla remissione della pena, ma si estende allaremissione della colpa, perché altrimenti non ci sarebberagione che occorrano le disposizioni interne dell’animoda parte di chi riceve il Sacramento.

2. Il potere delle chiavi nel Sacramento della Peniten-za opera anche la remissione della pena temporale; non ditutta, perché l’uomo colla Penitenza si dice non rigene-rato, ma sanato e, per di più, restano le cicatrici o i resi-dui del morbo spirituale; certo però di una parte alme-no, perché altrimenti non ci sarebbe ragione di imporreuna pena temporale.

3. Il potere delle chiavi, essendo un potere razionale, ènon soltanto potere di sciogliere, ma è anche potere di fa-re l’opposto, cioè di legare; quanto al reato di colpa diret-tamente scioglie, cioè assolve, e solo indirettamente lega,cioè nega l’assoluzione e lascia nella colpa; quanto allapena, direttamente lega, cioè impone la soddisfazione eindirettamente scioglie, cioè libera dalla pena temporale.

4. Il Sacerdote però non può sciogliere e legare a ca-priccio, perché nell’uso del potere delle chiavi egli è mi-nistro e strumento di Dio, che è il principale agente neiSacramenti, perciò deve farne uso secondo l’ordine di-vino; l’ordine poi divino è che le medicine siano appro-priate anche quanto alla dose all’ammalato; perciò anchela soddisfazione non deve imporsi così grande da spaven-tare il penitente e allontanarlo dal Sacramento.

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Quest. 19. Ministri del potere delle chiavi. – 1. ISacramenti del Vecchio Testamento non conferivano lagrazia, ma soltanto la figuravano, perciò i Sacerdoti delvecchio Testamento non avevano il potere delle chiavi.

2. In Cristo c’è il potere delle chiavi, ma in modo su-periore al nostro, perché in noi c’è il potere di strumen-to, come compete ai Sacramenti, in Cristo c’è il potere diagente, come compete all’autore dei Sacramenti. Il pote-re delle chiavi si chiama di strumento in noi; di eccellenzain Cristo; di autorità nella Trinità.

3. Il potere delle chiavi è di ordine e di giurisdizione;il potere di ordine si riferisce direttamente al Cielo edè esclusivo dei Sacerdoti; il potere di giurisdizione siriferisce direttamente alla Chiesa anticamera del Cielo,e si esercita colle scomuniche e relative assoluzioni equesto può esserci anche in chi non è ancora Sacerdote.

4. L’uomo nell’uso delle chiavi non agisce per sestesso, ma agisce come strumento, perché non comunicala grazia sua, ma quella di Cristo, perciò per quantasantità uno abbia se non è sacerdote per essa sola non hal’uso delle chiavi;

5. e per la stessa ragione che il Sacerdote non comunicala grazia sua, ma quella di Cristo, perché non è agente persé, ma solo strumento, per quanto egli sia privo di grazia,cioè per quanto sia cattivo non viene privato dell’uso dellechiavi.

6. Invece negli eretici, scismatici, scomunicati, sospesie degradati il potere delle chiavi resta come potere diordine, ma ne viene sospeso l’uso, perché sono privati delpotere di giurisdizione.

Quest. 20. Soggetti al potere delle chiavi. – 1. Comein Cielo fra gli Angeli, così anche in terra nella Chiesac’è una gerarchia e con ciò c’è uno che ha giurisdizioneuniversale e sotto di lui altri che hanno giurisdizioni

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particolari e poiché per l’uso delle chiavi occorre oltre alpotere di ordine anche il potere di giurisdizione, perciòle chiavi non si possono usare se non con coloro sui qualisi ha giurisdizione.

2. Col proprio suddito però un Sacerdote non può farsempre uso delle chiavi, perché ci sono dei casi in cui lasua giurisdizione è limitata e perciò deve rimettere il suosuddito al superiore.

3. Per sé il potere delle chiavi si estende a tutti ed è perragione di gerarchia che un Sacerdote ha la giurisdizionelimitata dal suo superiore; ma se il superiore gliela allargafino a se stesso, allora il Sacerdote può far uso delle chiavianche col suo stesso superiore.

Quest. 21. La scomunica. – 1. La scomunica importadiverse penalità, cioè la privazione di comunicare coifedeli nella convivenza sociale, nella partecipazione deiSacramenti e nelle preghiere comuni, le conviene quindila solita definizione: «La scomunica è separazione dallacomunione della Chiesa, dal frutto di questa comunione edalle generali Preghiere».

2. Come fa Iddio coi peccatori, che manda castighi perindurli a penitenza e che gli abbandona a se stessi per-ché riconoscano la loro insufficienza, altrettanto deve fa-re la Chiesa coi peccatori ostinati scomunicandoli, cioè se-parandoli dai fedeli, affinché siano umiliati e si pentano.

3. La scomunica è un’esclusione dal regno, dal qualevanno esclusi gli indegni; indegni ne sono quelli cheperdono la grazia col peccato mortale; il peccato mortalepuò esserci anche in un danno grave recato al prossimo,anche per tal danno quindi uno può essere scomunicato;ma, essendo la scomunica una pena gravissima, bisognariservarla come misura estrema, cioè dopo esperiti glialtri mezzi.

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4. Una scomunica se è ingiusta per il fatto che ilsuperiore nell’infliggerla pecca di odio o di ira è validaegualmente; ma se è ingiusta o perché non c’è la dovutacausa o perché non si seguono le formalità strettamenterichieste, allora la scomunica è invalida e nulla.

Quest. 22. Scomunicanti e scomunicati. – 1. Non chiun-que Sacerdote, ma soltanto i Vescovi e i Prelati maggio-ri possono scomunicare, perché essi soltanto hanno giu-risdizione nel foro esterno della Chiesa,

2. ed appunto perché la scomunica è un atto di giu-risdizione esterna e di questa sono capaci anche coloroche non sono ancora Sacerdoti, perciò, anche un non Sa-cerdote può scomunicare.

3. Ma scomunicare non può uno, il quale sia scomuni-cato, perché la scomunica lo priva della giurisdizione; enemmeno può farlo uno che dalla giurisdizione sia sospe-so.

4. Poiché poi la giurisdizione si esercita sugli inferiori,perciò uno non può scomunicare né se stesso, né un eguale,né un superiore.

5. La scomunica non si può dare se non in base a unpeccato mortale; ma il peccato mortale c’è nei singoli enon in una comunità; perciò saggiamente la Chiesa hadisposto che non si possono scomunicare le comunità.

6. Contro uno che è già scomunicato si può rinnovare lascomunica e se ne possono lanciare anche altre per altrecause, queste poi diventano tanti vincoli diversi.

Quest. 23. Condotta cogli scomunicati. – 1. Lascomunica è a titolo di medicina per la resipiscenza delreo, perciò anche con uno, che si deve evitare per effettodi una scomunica, è lecito trattare quando sia per ridurlo

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a penitenza ed è lecito trattare anche per servirlo nellenecessità della vita secondo il dovere naturale che nehanno quelli di casa;

2. Seguire le parti di uno che è scomunicato, e cioèseparato dalla Chiesa, è separarsi dalla Chiesa, perciò chela Chiesa colpisca di scomunica anche quelli che, fuoridei casi previsti, comunicano con uno scomunicato, nonè illogico;

3. e non si può negare che essi commettano anchepeccato mortale, se c’è in loro o partecipazione al delitto,o comunicazione in cose sacre o disprezzo della Chiesa.

Quest. 24. Assoluzione dalla scomunica. – 1. Unsacerdote può assolvere dalla scomunica il suo penitente,quando ne abbia le dovute facoltà.

2. La scomunica è una pena, ma non una colpa, per-ciò mentre i peccati non si contraggono che per volontàe contro volontà non vengono rimessi, invece la scomu-nica, come si contrae contro volontà, così contro volontàpuò essere rimessa;

3. e si può essere assolti da una scomunica senza essereassolti dalle altre, appunto perché le scomuniche sonopene e non hanno connessione fra loro come le colpe,cioè i peccati.

Quest. 25. L’Indulgenza. – 1. La penitenza rimette lapena eterna e parte della pena temporale, e della penatemporale che resta si può ottenere la remissione mediantele indulgenze, che valgono anche davanti a Dio, perchésono l’applicazione dei meriti sovrabbondanti di Cristo edi Santi, che sono meriti comuni di tutta la Chiesa, la cuidistribuzione appartiene a chi della Chiesa ha il governo.

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2. Le indulgenze valgono tanto quanto dicono, sempre-ché però chi le concede ne ha l’autorità, chi le riceve è inistato di grazia e la causa di concederle è la pietà, che com-prende l’onore di Dio e l’utilità del prossimo: la giusti-zia di Dio non ne scapita, perché si tratta solo di questo,che la pena sofferta da uno viene computata a vantaggiodi un altro.

3. Si possono concedere indulgenze anche per aiuti tem-porali e prestazioni materiali, se queste vengono disposteed adoperate per uno scopo spirituale, perché allora nonsono più cose semplicemente materiali.

Quest. 26. Chi può concedere Indulgenze. – 1. Soltantoil Vescovo ha giurisdizione piena nel foro esterno dellaChiesa, nel qual foro avviene il compenso dei meriti degliuni colle pene temporali dovute da altri; perciò i Vescovipossono concedere indulgenze, e non possono concederlei parroci,

2. e poiché la concessione delle indulgenze è eserciziodella potestà di giurisdizione, anziché di ordine, perciòanche chi non è ancora Sacerdote può concedere indulgen-ze se ha la dovuta giurisdizione.

3. Il governo di tutta la Chiesa, e perciò l’intera ammi-nistrazione del suo tesoro di meriti, spetta al Papa; i Ve-scovi invece che sono chiamati a parte della sua pastoralesollecitudine, possono concedere indulgenze solo quantoè loro consentito dal Papa di concederne.

4. Il concedere indulgenze è atto di giurisdizione equesta non si perde, come la grazia, per un peccato,perciò sono valide le indulgenze concesse anche da chi èin peccato mortale.

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Quest. 27. Chi lucra le Indulgenze. – 1. A chi èin istato di peccato mortale non si possono applicare leindulgenze, perché non si può rimettere la pena se nonè prima rimessa la colpa; gli si possono però applicare imeriti della Chiesa, i quali dispongono alla grazia.

2. Le indulgenze valgono anche per i religiosi, perchéessi non sono da meno dei fedeli.

3. Chi non compie le opere prescritte non può lucrare leindulgenze, perché esse sono concesse sotto condizionedi fare tali opere.

4. Le indulgenze può lucrarle anche chi le concede,perché altrimenti sarebbe in condizione peggiore deglialtri.

Quest. 28. La penitenza pubblica. – 1. La medicinadeve essere appropriata al male; perciò a qualche peccatopubblico e di molto scandalo può essere appropriata lapenitenza pubblica.

2. La penitenza solenne si assomiglia all’espulsionedi Adamo dal Paradiso terrestre, perciò come egli nefuscacciato una volta sola, così la penitenza solenne non sideve ripetere, anche perché altrimenti perderebbe la suaimportanza.

3. La penitenza solenne, che era pubblica e con unrito che ricordava l’espulsione di Adamo dal Paradisoterrestre, non si imponeva a chi aveva gli Ordini Sacri,perché ciò sarebbe stato maggiore scandalo; invece lapenitenza pubblica, ma non solenne, si poteva imporreanche a loro come agli altri e si poteva imporre anche aloro come agli altri e si poteva ripetere.

Quest. 29. L’Estrema Unzione. – 1. I Sacramenti si di-stinguono dai Sacramentali per il loro effetto, che è di

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guarire dal peccato e non soltanto di disporre a quel-l’effetto come fanno i Sacramentali; l’effetto dell’EstremaUnzione, come dichiara S. Giacomo, è di guarire dal pec-cato, essa quindi è un Sacramento enon già un Sacramen-tale.

2. Come il Battesimo è un Sacramento solo, purrisultando di tre infusioni o immersioni, così l’EstremaUnzione è un Sacramento solo, benché risulti di diverseunzioni perché tutte concorrono a significare e causareuna cosa sola, cioè la grazia; e questa è unità di perfezione,secondo la quale anche una casa è una, pur risultando diparecchie parti.

3. Benché l’Estrema Unzione non sia uno dei Sacra-menti promulgati da Cristo, tuttavia fu da Cristo stesso,come tutti gli altri, istituito, perché soltanto da istituzio-ne divina possono i Sacramenti derivare la loro efficaciadi conferire la grazia.

4. La medicina spirituale, che si adopera come ultima,deve essere perfetta e lenitiva; l’olio, che è lenitivo, pene-trativo e diffusivo era attissimo a significarla, era la con-venientissima materia di questo Sacramento; deve poi es-sere olio di oliva, perché il vero olio, come dice il nome èquello di oliva.

5. L’olio non fu, come furono invece l’acqua per ilBattesimo e il pane e il vino per l’Eucarestia, santificatodall’uso diretto di Cristo, perciò bisogna benedirlo primadi adoperarlo, anche perché a ridonare la salute corporalenon valgono le sue naturali proprietà;

6. e deve essere consecrato dal Vescovo, perché l’effi-cacia sacramentale gli deriva da Cristo e deve a lui di-scendere con ordine e quindi per via gerarchica, cioè dalVescovo, anziché dai Sacerdoti.

7. Anche l’Estrema Unzione ha la sua forma, ossia leparole che determinano fra i molti sensi, cui la materiasi presta, quello che è il proprio di questo segno sensibi-le ed efficace della grazia; ciò non solo perché cosi è di

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tutti i Sacramenti, ma anche perché S. Giacomo espres-samente ne parla.

8. La forma però dell’Estrema Unzione, anziché essereindicativa, è deprecativa, perché più appropriata a unSacramento che si conferisce a chi è in fine di vita e ilcui effetto non sempre dipende dal giudizio e volontàdel ministro.

9. Di conseguenza le parole: Per questa santa unzioneecc., le quali designano il Sacramento, la misericordia diDio che in esso opera, e la remissione dei peccati, chene sono l’effetto, sono la forma conveniente di questoSacramento.

Quest. 30. L’effetto dell’Estrema Unzione. – 1. L’E-strema Unzione è un Sacramento istituito come medici-na spirituale; la medicina si dà a chi è ammalato, ma nona chi è morto, perciò l’Estrema Unzione non si dà a chi èspiritualmente morto per il peccato originale o mortale,ma si dà a chi è spiritualmente ammalato, cioè affetto diquella debolezza spirituale, che è reliquia e conseguenzadel peccato originale o mortale; ma poiché il vigore spiri-tuale, che essa dona, non è che la grazia, la quale escludeil peccato, perciò l’effetto dell’Estrema Unzione è la re-missione dei peccati quanto alle loro reliquie o conseguen-ze: ed è anche la remissione del peccato, che ne è causa,se per caso c’è.

2. Come il Battesimo lava l’anima e anche il corpo,così l’Estrema Unzione sana l’anima e sana anche il corpo,se questo effetto secondario è in armonia coll’effettoprincipale.

3. L’Estrema Unzione non imprime il carattere, perchéper essa, l’uomo non viene deputato a uffici spirituali.

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Quest. 31. Ministro dell’Estrema Unzione. – 1. Ministridei Sacramenti sono solo i Sacerdoti, fatta eccezionedel Battesimo per la sua necessità: l’Estrema Unzionenon è di tanta necessità; perciò i laici non possono maiamministrare l’Estrema Unzione;

2. nemmeno il Diacono può amministrarla, perchéS.Giacomo parla espressamente dei Sacerdoti;

3. non è però riservata ai soli Vescovi, perché aiVescovi sono riservati quei Sacramenti che costituisconochi li riceve in uno stato superiore; e l’Estrema Unzionenon ha questo effetto.

Quest. 32. A chi si deve dare l’Estrema Unzione. – 1.L’Estrema Unzione non si deve dare ai sani, ma solo agliammalati, perché di questi parla S. Giacomo;

2. non si può però amministrare per qualunque in-fermità, ma solo per quelle infermità che conduconoall’estremo della vita, perché appunto da ciò si chiamaEstrema Unzione;

3. poiché all’effetto di questo Sacramento molto con-ferisce la divozione di chi lo riceve, non lo si deve dare aipazzi e ai furiosi, a meno che abbiano dei lucidi intervalli;

4. per la stessa ragione non lo si deve dare nemmeno aibambini.

5. L’unzione non si deve estendere a tutto il corpo, per-ché nemmeno le medicine si applicano a tutto il corpo,ma solo alla sola parte malata, e l’Estrema Unzione è atitolo di medicina.

6. In noi i principii di peccare sono quelli stessidel nostro agire e sono il principio conoscitivo, comedirigente, il principio appetitivo, come imperante e ilprincipio locomotivo, come eseguente: perciò a titolo dimedicina spirituale si fanno le unzioni ai sensi, nei piedied ai reni;

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7. e si devoto fare, come meglio si può, anche aimutilati, perché se sono privi di un membro non sonoperò privi del relativo principio di agire.

Quest. 33. Olio Santo iterato. – 1. L’Estrema Unzionenon ha un effetto perpetuo, perché si può di nuovoperdere la salute sia dell’anima che del corpo; perciòl’Estrema Unzione si può iterare;

2. e lo si può fare anche nella stessa malattia se sirinnova lo stato di gravità, perché il Sacramento nonriguarda la malattia, ma lo stato grave di una malattia.

Quest. 34. L’Ordine. – 1. Nella Chiesa doveva essereriprodotta la bellezza dell’Universo in cui Dio trasmet-te per gradi la sua influenza fino agli estremi; perciò Id-dio stabilì nella Chiesa un Ordine per cui alcuni ammini-strassero agli altri i Sacramenti e fossero così quasi coo-peratori di Dio.

2. Le parole «segnacolo di spirituale potere» sono unadefinizione giusta dell’Ordine come Sacramento, perchéne esprime la natura di segno e l’effetto proprio.

3. L’Ordine poi è un Sacramento, perché consiste insegni visibili e in una consacrazione spirituale.

4. La Forma dell’Ordine è imperativa: «Ricevete » «Fa-te», ed è conveniente che sia così, perché la Sacra Ordi-nazione non è che una trasmissione o partecipazione dipoteri.

5. Come gli altri Sacramenti hanno la loro materia,così ha la sua materia anche l’Ordine; essa deve significarei poteri che vengono partecipati e perciò è quella chenell’uso di tali poteri si adopera.

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Quest. 35. Effetto dell’Ordine. – 1. L’Ordine è unSacramento e poiché i Sacramenti conferiscono la graziasantificante, anche l’Ordine conferisce la grazia per lo spe-ciale scopo di amministrare degnamente i Sacramenti.

2. Il carattere è un segno distintivo; in ciascuno degliOrdini viene conferita una distinzione per cui si vienestabiliti in un gradino sempre più alto, perciò ciascunodegli Ordini imprime il carattere.

3. Il carattere dell’Ordine però presuppone il caratteredel Battesimo, perché il Battesimo è la porta dei Sacra-menti e chi non ha il Battesimo non è suscettibile di altriSacramenti:

4. che se il Battesimo rende suscettibili di ricevere glialtri Sacramenti, ne viene che il carattere del Sacramentodella Cresima non si preesige di necessità per il Sacramen-to dell’Ordine, è però della massima convenienza averlo,perché è esso che fa perfetti cristiani;

5. ed altrettanto per la stessa ragione non si preesigedi necessità il carattere degli Ordini inferiori per riceveregli Ordini superiori; la Chiesa però vuole che ciò sia,affinché tutto proceda ordinatamente.

Quest. 36. Qualità degli ordinandi. – 1. Chi riceve unOrdine viene anche costituito nel suo grado quasi guidaagli altri nelle cose divine, ma a fare da guida deve ave-re attitudine, ossia deve avere la debita preparazione spiri-tuale che consiste nella santità e perciò ragionevolmentela Chiesa la richiede nell’ordinando;

2. ciascuno poi deve anche essere istruito in ciò a cuisi estende l’ufficio cui viene deputato, perciò nell’ordi-nando si esige anche la scienza relativa all’esercizio del suoOrdine.

3. Il ministro non conferisce la grazia, ma amministraiSacramenti che conferiscono la grazia, perciò una santitàanche spiccata non è, né conferisce nessun Ordine, tanto

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più che la santità si può perdere e invece l’Ordine Sacrono, perché imprime il carattere.

4. «Il servo fedele è messo a capo della famiglia perdare le cose divine secondo la capacità di ciascuno », diceS. Luca, perciò pecca chi conferisce l’Ordine Sacro a chinon ne è capace per l’indegnità della vita.

5. Le cose sante devono essere trattate santamente,perciò non può essere immune da peccato chi esercital’Ordine amministrando i Sacramenti in stato di peccatomortale.

Quest. 37. I singoli Ordini. – 1. Diversi sono gli ufficinella Chiesa e perciò diversi sono gli Ordini e con ciò I.viene esaltata anche nella Chiesa quella sapienza di Dioche ha disposto l’unità nella varietà dell’Universo; II. èprovvisto con molti aiuti alla insufficienza di un ministrosolo; III. è aperta una via di progresso nella perfezione.

2. Il Sacramento dell’Ordine è istituito in ordine al-la Eucaristia, relativamente alla quale ci sono sette uffi-ci e perciò sette sono gli Ordini; ci sono quindi: il Sacer-dote che la consacra; il Diacono che lo assiste nel distri-buirla; il Suddiacono che ne prepara la materia nei vasisacri; l’Accolito che ministra le ampolle coll’acqua e il vi-no; l’Esorcista che caccia il demonio che turba i comuni-candi; il Lettore che dispone l’animo dei comunicandi el’Ostiario che caccia dalla Chiesa gli indegni:

3. ciascuno di essi è un Ordine Sacro, perché è Sacra-mento, ma in senso stretto si dice che ha gli Ordini Sa-cri soltanto chi è insignito di uno dei tre Ordini maggio-ri, cioè Suddiaconato, Diaconato e Presbiterato, perchéquesti importano un’ufficio relativo a cosa consacrata;

4. con tale distinzione poi non solo sono assegnati isingoli atti caratteristici e principali di ciascun Ordine, maviene fissata anche la gradazione degli Ordini a seconda

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che importano un’azione più o meno prossima all’Euca-ristia.

5. L’atto proprio del Sacerdote è di consacrare; perciòegli viene abilitato a questo atto e con ciò istituito nelsacerdozio, quando gliene viene data la facoltà; questafacoltà gli viene comunicata quando il Vescovo gli porgela materia del sacrificio, cioè il calice col vino e la patenacoll’Ostia dicendo: Ricevi il potere di consacrare; quindiè allora che si imprime il carattere sacerdotale.

Quest. 38. L’ordinante. – 1. La potestà del Vescovo, re-lativamente a quella dei ministri inferiori, è come una po-testà politica, che prospetta il bene comune, fissa le nor-me agli inferiori determinandone gli uffici e negli uffici liistituisce; perciò come a lui è riservato il cresimare, cosìal Vescovo è riservato di conferire gli Ordini Sacri.

2. I Vescovi eretici e scomunicati conferiscono valida-mente gli Ordini Sacri, perché non si può perdere la Con-sacrazione una volta ricevuta e quindi nemmeno il pote-re che essa conferisce; ma il Sacramento dell’Ordine daloro amministrato non conferisce agli ordinati la grazia,perché lo ricevono disobbedendo alla Chiesa.

Quest. 39. Impedimenti all’Ordine Sacro. – 1. OgniOrdine forma un gradino di preminenza; la donna inveceha uno stato naturale di soggezione e questo dà ragioneal precetto apostolico che alle donne non siano conferiti gliOrdini Sacri.

2. I bambini, come ricevono validamente il Battesimoe la Cresima, per conto del Sacramento possono riceverevalidamente anche gli Ordini Sacri, pur essendo impe-diti di esercitarli dalla mancanza dell’uso di ragione; in-fatti i Sacramenti che imprimono il carattere, cioè Batte-

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simo, Cresima e Ordine, conferiscono una potestà spiri-tuale, che è valida e si presume sempre accettata quandonon è espressamente rifiutata; per conto invece della con-venienza della cosa e del precetto della Chiesa gli Ordinimaggiori non si possono conferire che a una debita età.

3. Anche gli schiavi si trovano in uno stato di sogge-zione che è in contrasto colla stato di preminenza checonferiscono gli Ordini Sacri; perciò anche agli schiavi èproibito di conferire gli Ordini Sacri;

4. e altresì a chi è reo di omicidio è proibito di conferiregli Ordini Sacri, perché l’omicidio è in opposizione conquella pace di cui è simbolo l’Eucaristia,

5. e ai figli illegittimi è pure proibito di conferire gliOrdini Sacri, perché un’origine disonorata non si conciliacolla dignità di ministro della Chiesa.

6. Infine ai mutilati è proibito conferire gli Ordini Sacrise la mutilazione li rende deformi, o ne impedisce l’eser-cizio, perché sono moralmente o materialmente inetti.

Quest. 40. Annessi dell’Ordine Sacro. – 1. ServireaDio è regnare, perciò i ministri del Signore devono portarela tonsura, che ha la figura di corona; la rasura poi deicappelli, in cui essa consiste, indica che a loro non siaddicono le vanità del mondo.

2. La tonsura però non è un Ordine, perché non con-ferisce nessun potere spirituale, è piuttosto una prepara-zione agli Ordini Sacri.

3. La tonsura poi importa una rinunzia non reale ma diaffetto alle cose temporali, perché non è il possesso dellecose temporali che ostacola il servizio di Dio, ma la lorosoverchia sollecitudine.

4. Il Sacerdote quanto al suo atto principale, che èdi consacrare il corpo reale di Gesù Cristo, ha pieno ilpotere di Ordine; quanto invece al suo atto secondarioche è di reggere il corpo mistico di Gesù Cristo, cioè

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i fedeli, ha invece un potere di giurisdizione limitato,perché dipendente dall’autorità vescovile.

5. Se quindi il Sacramento dell’Ordine è tutto relativoall’Eucaristia e nel sacerdozio esso è completo, l’Episco-pato, che nulla di più conferisce relativamente all’Euca-ristia, non è un Ordine; lo si può però chiamare Ordinein quanto importa un ufficio speciale di carattere gerar-chico relativamente al corpo mistico di Gesù Cristo, cioèla Chiesa.

6. Poiché poi tutta la Chiesa forma un unico corpo,occorre un potere reggitivo universale al disopra del pote-re dei Vescovi, che reggono le Chiese particolari e que-sto è il potere del Papa: chi non lo riconosce è scismatico,che scinde cioè l’unità della Chiesa.

7. Opportunamente furono istituite le vesti sacre co-me distintivo dei singoli uffici in cui ciascuno degli Or-dini istituisce quelli che sono i Ministri della Chiesa edesse significano le attitudini generali e anche speciali chein loro si richiedono a cominciare dall’Amitto, comune atutti i ministri, fino al Pallio, proprio solo degli Arcive-scovi.

Quest. 41. Il Matrimonio ufficio di natura. – 1. Il Matri-monio è diritto naturale nel senso che l’inclinazione vie-ne dalla natura e si completa col libero arbitrio: l’incli-nazione poi naturale tende al fine principale del Matri-monio che è il bene della prole consistente non solo nel-la procreazione, ma anche nell’educazione completa del-la prole; e tende anche al fine secondario del Matrimo-nio, che è il mutuo aiuto dei coniugi conseguibile collacoabitazione.

2. Ma poiché tale inclinazione naturale mira al benedella moltitudine e non dei singoli, perciò i singoli nonsono obbligati al Matrimonio, anzi per il bene della mol-titudine è utile che alcuni si astengano dal matrimonio;

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ed il filosofo Teofrasto dimostra che ai sapienti non con-vengono le nozze.

3. L’atto del Matrimonio, che mira alla procreazionedella prole, la quale è il fine inteso dell’inclinazionenaturale, è sempre lecito ed è precetto dell’Apostolo ilrendersi il debito coniugale.

4. Anzi, poiché rendere il debito è atto di giustizia emirare al fine della natura è rendere omaggio a Dio chene è l’autore, perciò l’atto del Matrimonio è non soltantolecito, ma anche meritorio.

Quest. 42. Il Matrimonio Sacramento. – 1. Il Matri-monio è un segno sacro che conferisce santità, perciòèun Sacramento, e Sacramento lo chiama espressamente laScrittura.

2. La procreazione della prole era necessaria ancheprima che Adamo peccasse e il matrimonio è per la pro-creazione della prole; perciò il Matrimonio fu istituito,come ufficio di natura, prima del peccato; come rimedioal peccato, dopo il peccato e come Sacramento fu istitui-to da Gesù Cristo; a regolare le altre utilità che dal Ma-trimonio derivano interviene la legge civile e conciò essoha anche un ufficio di civiltà.

3. Il Matrimonio è un Sacramento, perciò conferiscela grazia e conferisce la grazia di compiere santamente idoveri matrimoniali.

4. Ciascuna cosa ha la sua primaria perfezione nell’es-sere ed ha la sua secondaria perfezione nell’operare; per-ciò anche il Matrimonio può essere perfetto nel suo essereancorché non ne segua l’uso.

Quest. 43. Gli sponsali. – 1. Gli sponsali non sono Matri-monio, ma promessa di futuro Matrimonio; tale promes-

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sa può essere assoluta o condizionata ed è sempre obbli-gatoria, purché la condizione non sia contraria agli stessifini del Matrimonio.

2. L’uomo può ritenersi capace di sponsali alla finedel primo settennio, ma soltanto alla fine del secondosettennio può ritenersi capace di contrarre Matrimonio,perché allora può non solo apprendere dagli altri, maanche da se stesso comprendere ciò che riguarda la suapersona; ciò invece che riguarda le cose a lui esterne puòda sé comprenderle solo alla fine del terzo settennio eperciò solo a 21 anni si è ottimi.

3. L’obbligazione degli sponsali cessa se uno dei due sifa religioso o direttamente contrae Matrimonio con altrapersona; fuori di questi casi bisogna al caso ricorrere alGiudice ecclesiastico.

Quest. 44. Definizione dei Matrimonio. – 1. Il Matri-monio è un’unione, perché ad un unico e medesimo sco-po tendono marito e moglie, cioè alla procreazione ededucazione della prole e al vicendevole aiuto.

2. Il Matrimonio che dalla sua essenza si chiama unio-ne coniugale e dalla sua causa vien chiamato sposalizio, sichiama Matrimonio per gli oneri particolari che alla ma-dre incombono quanto alla procreazione e alla educazio-ne della prole.

3. La definizione del Matrimonio: «Unione maritaledi un uomo e di una donna fra persone legittime conmetodo comune ed unico di vita» è una definizioneappropriata, perché dichiara l’essenza del Matrimonio,che è unione; i soggetti del Matrimonio, che sono unuomo e una donna; e il valore di tale unione, che èindissolubile.

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Quest. 45. Il consenso nel Matrimonio. – 1. In ogni Sa-cramento c’è un’operazione materiale, come l’abluzionenel Battesimo, che significa l’operazione spirituale; per-ciò anche nel Matrimonio c’è una operazione spirituale,in quanto è Sacramento, significata, in quanto è ufficiodi natura e di civile consorzio, da una operazione mate-riale e questa è il mutuo consenso, che è la causa efficientedel Matrimonio.

2. Il mutuo consenso deve essere espresso verbalmentein tutti i contratti e deve esserlo anche nel Matrimonio ediviene così il segno sensibile del Sacramento;

3. e tale mutuo consenso deve essere espresso conparole di tempo presente, perché se è espresso con paroledi tempo futuro è solo promessa di Matrimonio e cioè:sponsali.

4. Il consenso però espresso verbalmente con paroledi tempo presente non produce il Matrimonio se mancail consenso interno, perché allora non c’è intenzione dicontrarre Matrimonio, ma intenzione di scherzare o diingannare.

5. Il consenso espresso verbalmente con parole ditempo presente, ma clandestinamente, cioè senza la so-lennità di rito, è per se valido quando e dove tali solenni-tà non sono prescritte sotto pena di nullità.

Quest. 46. Consenso giurato. – 1. Il consenso espressocon parole non di tempo presente, ma di tempo futuro,produce non il Matrimonio, ma gli sponsali ed anche sevi si aggiunge il giuramento non produce matrimonio, masolo sponsali giurati.

2. E anche se invece del giuramento a un tale consensosi aggiunge l’atto coniugale esso non ancora produceMatrimonio.

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Quest. 47. Consenso estorto o condizionato. – 1. Anchenel Matrimonio può darsi che la volontà di uno sia forzataed il consenso sia estorto, perché ciò può avvenire in ognicontratto a cagione del timore incusso.

2. Tale coazione può subirla anche un uomo fortequando è costretto a subire un male minore per timoredi un male maggiore;

3. ma una coazione così forte da forzare anche la vo-lontà di un uomo forte non può produrre un contrattoperpetuo, perciò non può valere nemmeno per il Matri-monio, il cui vincolo è perpetuo.

4. E poiché il Matrimonio è relazione fra due termini,se manca un termine la relazione non sussiste nemmenoper l’altro termine; una perciò non può essere sposadi uno se questo non è suo marito; non si dà quindimatrimonio che zoppichi e se il consenso da una parte èforzato, è nullo anche per l’altra parte che lo forza.

5. Il consenso condizionato produce il Matrimonio sela condizione è di cosa presente e non contraria ai finidel Matrimonio, o di cosa futura ma certa perché giàpresente nelle cause; non produce invece Matrimonio,ma solo sponsali se è di cosa futura e incerta.

6. Nessuno può essere comandato di contrarre matrimo-nio nemmeno dal proprio padre, perché il Matrimonio èquasi uno stato di servitù, e non si può sottoporvi unapersona libera.

Quest. 48. Oggetto del consenso. – 1. Il consenso va-lido pel Matrimonio riguarda solo implicitamente l’attoconiugale ed esplicitamente esso riguarda il vicendevoledominio di se stessi che i coniugi l’uno all’altro si conce-dono, perché in questo e non in quello sta l’essenza delMatrimonio.

2. Il consenso valido produce Matrimonio anche se fucausato da fini disonesti da raggiungersi con un Matri-

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monio onesto, perché essi sono posteriori al Matrimonioed è il precedente che rende cattivo il susseguente, non ilsusseguente che rende cattivo ilprecedente.

Quest. 49. Beni del Matrimonio. – I. Bisogna convenireche il Matrimonio porta con se dei beni, altrimenti non cisarebbe ragione di dire che il Matrimonio rende lecitociò che fuori del Matrimonio non è lecito.

2. I beni che il Matrimonio porta con se sono: laprole, cui il Matrimonio mira; la fedeltà coniugale cheesso esige; e il Sacramento che esso è, per la grazia checonferisce.

3. Di questi tre beni il più degno di tutti è il Sacramento,perché è di ordine soprannaturale; se invece quei tre benisi considerano nell’ordine naturale ed essenziale primoè la prole; secondo è la fedeltà; terzo è il Sacramento,perché apparteniamo prima alla natura e alla grazia poi;

4. e l’atto coniugale, che fuori del Matrimonio è ungrave disordine, viene dai tre beni predetti giustificato inse stesso, in modo da essere per se stesso un atto buono,anzi santo;

5. perciò se tale atto mira alla prole ovvero alla fedeltà,che i coniugi si devono, è senza peccato di qualunquegemere, altrimenti no.

6. Non è però peccato mortale quando in tale attosi cerca solo la soddisfazione, sempre però nei limiti delMatrimonio.

Quest. 50. Impedimenti matrimoniali. – 1. Gli impe-dimenti matrimoniali sono parecchi e convenientementestabiliti: ci sono infatti gli impedimenti che riguardanola solennità del Matrimonio, così come è di altri Sacra-menti, e questi lo rendono illecito, ma non invalido si di-

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cono impedienti; ci sono poi gli impedimenti che riguar-dano l’essenza stessa del Matrimonio o da parte del con-tratto o da parte dei contraenti e questi lo rendono nonsolo illecito, ma anche invalido e si chiamano dirimenti.

Quest. 51. L’errore. – 1. Causa efficiente del Matri-monio è il consenso della volontà; un atto della volon-tà presuppone un atto dell’intelletto e un difetto in que-sto porta un difetto anche in quello; l’errore impediscel’atto dell’intelletto e quindi impedisce anche l’atto del-la volontà e perciò di diritto naturale l’errore invalida ilMatrimonio;

2. non però qualunque errore invalida il Matrimonio,ma soltanto l’errore circa ciò che è in sé o equivalente-mente essenziale nel Matrimonio, e cioè l’errore o del-la persona o della sua capacità giuridica a contrarre; ciò,perché il Matrimonio è unione di due persone ed è vi-cendevole dominio che i coniugi si concedono ai fini delMatrimonio.

Quest. 52. Stato di schiavitù. – 1. Lo stato di schiavitùimpedisce l’adempimento dei doveri coniugali, perciò lostato di schiavitù ignorato dal consorte libero, e quindidi condizione superiore, rende invalido il Matrimonio.

2. Uno schiavo però può contrarre Matrimonio indipen-dentemente dalla volontà del suo padrone, perché fa usodi un diritto naturale, che non può essere sopraffatto danessun diritto civile.

3. E poiché uno schiavo può prendere moglie anchecontro la volontà del padrone, perciò altrettanto un uo-mo libero può darsi in servitù contro la volontà della mo-glie, perché con ciò non compromette i doveri coniugali,e si ha così la schiavitù susseguente il Matrimonio.

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4. La condizione servile riguarda il corpo; questo i figlilo hanno dalla madre, perciò i figli seguono in questo lacondizione della madre; le dignità invece riguardano lapersonalità e questa fa capo il padre, perciò nelle dignitài figli seguono la sorte del padre.

Quest. 53. Ordine Sacro e Voto. – 1. Uno non puòpiù disporre di una cosa quando ne ha trasferito in altriil dominio; ma la promessa di una cosa non trasferisceil dominio di quella cosa; il voto semplice è semplicepromessa di osservare nel corpo continenza in onoredi Dio, perciò dopo un voto semplice uno resta ancorapadrone del suo corpo e se, contraendo Matrimonio necede al coniuge il dominio, la cessione è valida benchéillecita, perciò il voto semplice, per sé, è impedimentoimpediente e non dirimente;

2. col voto solenne invece, annesso alla solenne pro-fessione religiosa, si trasferisce in Dio il dominio del pro-prio corpo mediante una specie di Matrimonio spiritua-le, perciò dopo il voto solenne non se ne ha più il domi-nio, non si può più cederlo ad altri col Matrimonio ed ilvoto solenne è impedimento dirimente.

3. Per chi ha gli Ordini Sacri e deve trattare le coseSacre la castità non solo è decorosa, ma è doverosa enella Chiesa Latina gli ordini maggiori, sia per se stessisia anche per il voto di castità, che vi è annesso, sono unimpedimento matrimoniale, che impedisce di contrarreMatrimonio a chi non l’ha contratto e proibisce l’uso delMatrimonio a chi l’avesse prima contratto;

4. dopo il Matrimonio si possono ricevere gli OrdiniSacri se la moglie è defunta o se, viva, acconsente allostato di castità del marito; infatti se è lecito, dopo ilMatrimonio, darsi in servitù di un uomo, è ancora piùlecito darsi al servizio di Dio.

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Quest. 54. 1. «La consanguinità è il vincolo dei discen-denti, da uno stesso stipite, contratto per naturale propa-gazione»: questa è completa definizione della consangui-nità, perché nel suo genere di vincolo viene differenziata,quale specie, da chi ne è soggetto e da ciò che ne è causa.

2. La consanguinità, che è vicinanza naturale fondatasulla nascita, va distinta in gradi che si dicono di linearetta, se si tratta dei discendenti o ascendenti, e di lineatraversale, se si tratta di collaterali; il computo legale deigradi è diverso dal computo canonico, perché il legaleconta le generazioni da tutte due le parti fino allo stipitecomune; invece il canonico le conta da una parte sola.

3. Il bene della prole, che è il primo cui mira il Ma-trimonio, è ostacolato dalla consanguinità, perciò la con-sanguinità e un impedimento di diritto naturale; infattil’ordine naturale e l’onestà domestica sarebbero sovver-titi se per esempio una figlia, che è naturalmente sogget-ta al padre come i fratelli, potesse diventare uguale al pa-dre e padrona; e se l’affetto fraterno potesse scambiarsicoll’affetto coniugale.

4. Come fece già Mosè per gli Ebrei, così fa ora peri fedeli la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo; essafissa i gradi di consanguinità che sono impedimento delMatrimonio, fermandosi precisamente a quei gradi cheordinariamente non rendono difficili le combinazioni diMatrimonio e che più che un vincolo di parentela nonrappresentano oramai che un vincolo di amicizia.

Quest. 55. Affinità. – 1. Poiché marito e moglie nel-l’atto coniugale formano tutt’uno, perciò ciascun coniu-ge diventa attinente ai consanguinei dell’altro e questaattinenza, che sorge dal Matrimonio, si chiama affinità.

2. L’affinità è causata dalla consanguinità, e come laconsanguinità è perpetua e non cessa colla morte di chine fu la radice, così l’affinità una volta contratta continua

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a sussistere anche dopo la morte del coniuge che ne fu ilprincipio.

3. Quella commistione che si verifica nell’atto coniu-gale e che è causa dell’affinità si verifica anche nella forni-cazione, perciò anche questa per sé produce affinità chei Canoni talora contemplano.

4. Dagli sponsali invece, che non sono Matrimonio,ma preparazione al matrimonio, non deriva affinità, masoltanto ciò che si dice pubblica onestà.

5. Però l’affinità che un marito contrae coi consangui-nei della moglie si ferma in lui e non si trasmette ai con-sanguinei di lui e altrettanto avviene per la moglie, per-ché è Canone giuridico che l’affinità non produce affini-tà.

6. L’affinità precedentemente contratta è un impedi-mento dirimente del Matrimonio; ma non ne spezza ilvincolo se viene contratta dopo il Matrimonio.

7. L’affinità non ha gradi di per se stessa, ma poichéè causata dalla consanguinità riceve i suoi gradi dallaconsanguinità;

8. e perciò anche si estende per tanti gradi quanti sonoi gradi della consanguinità (se la Chiesa così dispone).

9. Un Matrimonio contratto fra i gradi proibiti diconsanguinità o di affinità è invalido, e per sé va soggettoalla separazione;

10. a tale separazione è da procedersi quando ne vienepresentata accusa al Giudice ecclesiastico:

11. e l’accusa si deve provare coi testimoni.

Quest. 56. Cognizione spirituale. – 1. Il cristiano èmembro della Società e anche della Chiesa e come perla generazione corporale, che lo fa membro della Socie-tà, contrae un vincolo di cognazione naturale, che è unimpedimento matrimoniale, così pure per la rigenerazio-ne spirituale, che lo fa membro della Chiesa, contrae un

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vincolo di cognazione spirituale, che è di impedimento alMatrimonio.

2. La spirituale rigenerazione comincia col Battesimoe si fa perfetta colla Cresima, perciò la cognazione spiri-tuale si può contrarre solo col Battesimo e colla Cresima;

3. nella rigenerazione spirituale chi la riceve diventafigliuolo di Dio e della Chiesa; perciò si contrae cognazio-ne spirituale col Ministro, il quale fa le veci di Dio, e coipadrini, i quali fanno le veci della Chiesa.

4. La cognazione spirituale per sé viene comunicata daun coniuge all’altro;

5. ed altrettanto passa per sé dai genitori ai figliuolicarnali, perciò le vecchie regole canoniche ne facevanoun impedimento matrimoniale.

Quest. 57. Cognazione legale. – 1. Adozione è assunzio-ne di una persona estranea in figlio, in cui il diritto positi-vo supplisce alla mancanza di generazione naturale collagenerazione legale e conseguente cognazione legale.

2. Le stesse leggi civili di solito fissano la cognazionelegale quale impedimento matrimoniale e a esse si confor-mano le leggi della Chiesa.

3. La cognazione legale si approssima alla cognazionenaturale più della cognazione spirituale; se persé quin-di questa viene comunicata ad altri, più facilmente puòestendersi ad altri la cognizione legale, per es. ai discen-denti dell’adottato in linea retta e, in forma di affinità,alla moglie dell’adottato.

Quest. 58. Impedimenti vari. 1. L’incapacità all’atto co-niugale, quale si richiede pel primo bene del Matrimo-nio, che è la prole, se è un difetto naturale inguaribile

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e perpetuo rende impossibile il Matrimonio ed è perciònullo il Matrimonio contratto con tale impedimento;

2. ed è nullo il Matrimonio anche se tale incapacità in-guaribile e perpetua è dipendente da maleficio e stregone-ria, può essere quindi incapacità relativa non a tutte lepersone, ma ad una sì, ad altra no.

3. Anche la pazzia antecedente il Matrimonio rende ilMatrimonio invalido, purché non sia stato contratto inun lucido intervallo.

4. Le leggi Canoniche vecchie considerano comeimpedimento del Matrimonio anche quella affinità chederiva da illecite; commercio carnale coi congiunti di chiè già, o sta per essere il coniuge.

5. Spetta alla legge positiva la determinazione dell’e-tà nella quale i contraenti sono dichiarati capaci di deli-berazione sufficiente per il Matrimonio; perciò anche lamancanza di età è da considerarsi come impedimento di-rimente il Matrimonio.

Quest. 59. – 1. La prole, che è il primo bene delMatrimonio, è per il culto di Dio; la disparità di culto fraun fedele e un infedele impedisce tale effetto, essa perciòè un impedimento del Matrimonio.

2. Il Matrimonio ha per naturale scopo non soltanto-la generazione della prole, che può aversi anche fuori delMatrimonio, ma bene ancora l’educazione della prole fi-no al suo sviluppo perfetto; questo sviluppo perfetto puòessere o solo di natura o anche di grazia; benché questo,cioè di grazia, sia esclusivo dei fedeli cristiani, quello in-vece, cioè di natura, è comune ai fedeli e anche agli infe-deli, perciò anche tra gli infedeli c’è il Matrimonio, peròsolo come ufficio di natura.

3. Quindi se di due coniugi infedeli uno si converte, ilvincolo coniugale con ciò non si spezza; anzi il convertitonon solo può rimanere unito al coniuge infedele, ma fa

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bene a rimanervi per la speranza di convertirlo; che seinvece tale speranza non c’è, ma c’è invece il pericolocontrario, allora, come dice S. Paolo, non è tenuto arimanergli unito;

4. infatti se per restare fedele al suo coniuge c’è perico-lo che egli divenga infedele a Dio, non può essere tenutoa una simile obbligazione, tanto più che per la rigenera-zione del Battesimo è morto alla vita precedente e conciòanche al precedente vincolo che lo legava al coniuge;

5. e, liberato così dal precedente vincolo, può unirsi inmatrimonio con altri;

6. Fuori però di tale caso il Matrimonio quanto alvincolo non si scioglie più; si può invece sciogliere quantoalla convivenza nei casi di infedeltà spirituale o materiale,cioè di apostasia o di adulterio; per altri vizi invecenon è da ammettersi nemmeno lo scioglimento dellaconvivenza, potendo bastare un castigo temporaneo.

Quest. 60. Coniugicidio. – 1. Chi coglie il coniugein peccato può ricorrere alla giustizia umana per farlocondannare alla pena anche se questa è pena di morte;ma non può farsi giustizia da sé uccidendo il coniugeinfedele: ed anche se ci fossero delle leggi civili chelo consentono, per la Chiesa invece c’è sempre colpadavanti a Dio e alla Chiesa stessa.

2. Chi invece procura la morte del coniuge allo sco-po di sposare un’altra persona non può sposarla e giu-stamente l’uxoricidio o coniugicidio è un impedimento delMatrimonio, altrimenti il delitto sarebbe lecitamente uti-le.

Quest. 61. Voti solenni. – 1. Chi si è unito in Matri-monio non può darsi a Dio senza il consenso del coniuge,

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perché non può liberamente disporre di ciò che non gliappartiene, perché dovuto al coniuge,

2. a meno che il Matrimonio non sia ancora perfetto,sia cioè contratto bensì ma non ancora consumato col-l’atto matrimoniale, perché allora è ancora libero di farsireligioso, ed in tal caso il Matrimonio si scioglie come permorte;

3. e che per es. una donna, il cui marito, dopoil Matrimonio contratto, ma non consumato, si è fattoreligioso, possa sposare un altro è evidente, perché nonsi può obbligare lei alla continenza per il marito che si èfatto religioso.

Quest. 62. Infedeltà del Matrimonio. – 1. Nelle conven-zioni uno non resta obbligato a tener fede all’impegno sela comparte vi manca; perciò un marito può allontanareda sé la moglie infedele, eccettoché l’infedeltà non le siaimportabile a colpa o che vi abbia colpa lo stesso marito.

2. Tale allontanamento della moglie infedele è consen-tito dal Vangelo a scopo di correzione, perciò non è piùnecessario se la correzione già si è verificata, è invece do-veroso se la moglie è incorreggibile, altrimenti il maritosembra connivente.

3. Nel caso di infedeltà della moglie il marito puòprocedere di propria autorità per la separazione di letto,ma per la separazione di letto e di tetto deve invocare ilgiudizio della Chiesa in causa propria.

4. Marito e moglie in tali casi vanno giudicati allapari, perché l’adulterio è proibito tanto all’uno quantoall’altro coniuge, però se in quanto riguarda la mancanzaalla fedeltà coniugale il delitto è uguale, in quanto inveceriguarda il primo bene del Matrimonio, che è la prole, ildelitto della moglie è maggiore.

5. Nessun fatto però sopravveniente al Matrimonio,neppure l’adulterio, può sciogliere il vincolo matrimo-

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niale e perciò finché il coniuge infedele è vivo l’altro nonpuò passare ad altre nozze.

6. Il marito come può fare a meno di allontanare dasé la moglie infedele sì, ma pentita, così può poi in qua-lunque tempo richiamarla; non deve però richiamarla seè pertinace nel suo peccato.

Quest. 63. Le seconde nozze. – 1. Il vincolo matrimo-niale dura fino alla morte; colla morte di uno dei coniugicessa, e perciò il coniuge superstite può sempre contrarrenuove nozze;

2. ed anche le nuove nozze sono Sacramento, perchéanche in esse c’è la materia e la forma del Sacramento,cioè le persone dei contraenti e il consenso.

Quest. 64. Annessi al Matrimonio. – 1. Il Matrimonioha anche lo scopo di essere di rimedio alla concupiscenzaed insieme esso è radicalmente ufficio di natura, di quel-la natura, secondo il cui ordine di quanto appartiene allapotenza nutritiva non si dà alla conservazione della spe-cie se non di ciò che sopravvanza alla conservazione del-l’individuo; perciò i coniugi sono sempre tenuti vicende-volmente al debito coniugale con ordine alla prole e salvaprima l’incolumità della persona;

2. Il rimedio viene dato dal medico anche se il malatonon lo chiede; altrettanto perciò il marito deve prestarsial debito coniugale anche se la domanda della moglie èsolo interpretativa.

3. L’incolumità della prole correrebbe pericolo neigiorni delle purge mensili, perciò allora l’atto matrimo-niale rimane proibito come era nella Legge di Mosè.

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4. La moglie però, dovendo obbedire al marito, anchein tale circostanza può, dietro richiesta, prestarsi senzapeccato al debito coniugale.

5. Marito e moglie si dicono coniugi, perciò nel Matri-monio sono eguali, nel senso però che ciascuno è egual-mente tenuto ai doveri ed oneri del Matrimonio, ma l’uo-mo da uomo e la donna da donna.

6. I coniugi si hanno vicendevolmente ceduto il do-minio di se stessi, perciò nessun dei due può più dispor-re di sé, nemmeno per consacrarsi a Dio, senza il consensodell’altro.

7. Nei giorni che sono consacrati a Dio e all’anima chie-dere il debito coniugale non può essere senza peccato;

8. questo peccato però non è peccato mortale, perchéla circostanza di tempo è circostanza aggravante e noncircostanza mutante specie del peccato.

9. Che se non è senza peccato chiedere il debitoconiugale in giorno sacro, è però senza alcun peccatorenderlo, perché così parla S. Paolo.

10. Siccome però la celebrazione delle nozze portamolta dissipazione di spirito, essa doveva essere proibitanei tempi in cui i fedeli sono invitati ad elevare lo spirito.

Quest. 65. Poligamia. – 1. Legge naturale è quel con-cetto naturale che guida l’uomo a operare conveniente-mente in ordine al fine che compete a lui e come anima-le e come ragionevole; ciò che fa contro tale fine si dicecontrario alla legge naturale; il fine può essere primario osecondario e ciò che è contrario al fine può o totalmenteimpedirlo o soltanto renderlo difficile; ciò quindi che im-pedisce il fine primario è proibito dai primi precetti dinatura; quello invece che impedisce il fine secondario orende difficile il fine primario è proibito dai secondi pre-cetti di natura. Nel Matrimonio per tutti il fine prima-rio è la prole e il secondario è la fedeltà coniugale; per i

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cristiani poi c’è un terzo fine in quanto è Sacramento: lapluralità delle mogli è per tutti contraria al fine seconda-rio del Matrimonio, benché non sia contraria al fine pri-mario, essendoché non impedisce la procreazione e l’e-ducazione dei figli: per i fedeli poi essa è contraria al ter-zo fine, perché se il Matrimonio è simbolo dell’unione diCristo alla Chiesa, c’è un solo Cristo e una sola Chiesa.

2. Essendo la prole il fine primario del Matrimonioper questo fine poteva essere sacrificato il fine secondariodel Matrimonio quando era necessaria la moltiplicazionedella prole, come al tempo dei Patriarchi; però la leggedell’unica moglie è di diritto divino e perciò occorrevache la dispensa da tale legge venisse da Dio.

3. L’unione invece con una donna colla quale non si èuniti in Matrimonio, ma che è solo concubina, servendonon al fine primario del Matrimonio ma alla passionecattiva, è contro la legge naturale;

4. tale peccato poi non solo perché è un disordine gra-ve, ma anche per l’autorità della Scrittura è peccatomor-tale;

5. il disordine di tale peccato consiste nell’esserecontrario ai primi precetti di natura, che non ammettonomai dispensa; perciò le concubine dei Patriarchi, di cuiparla la Scrittura non erano vere concubine, ma piuttostomogli di secondo grado.

Quest. 66. Bigamia. – 1. Il Matrimonio comeSacramen-to è simbolo dell’unione di Cristo colla Chiesa e poichéc’è un solo Cristo e una sola Chiesa, per essere perfettodeve essere Matrimonio di uno solo con una sola; la bi-gamia invece è contraria a questo, perciòessa è una im-perfezione ed importa irregolarità all’Ordine Sacro.

2. La bigamia sia di diritto che di fatto, sia successivasia contemporanea, ovvero sia anche similitudinaria, è

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sempre imperfezione, perciò anche chi ha due mogli unadi diritto e una di fatto incorre nell’irregolarità.

3. Anzi l’imperfezione ci sarebbe anche se uno contraeMatrimonio con una che ha già perduta la verginità,perciò anche in tal caso si incorre nella irregolarità.

4. L’irregolarità poi non si evita neppure ricevendo ilBattesimo, perché il Battesimo toglie le colpe, ma non ilvincolo coniugale da cui deriva l’irregolarità.

5. L’irregolarità però non è di diritto naturale, ma didiritto positivo e perciò la Chiesa può dispensare.

Quest. 67. Il libello del ripudio. – 1. Il Matrimoniomira, come a fine inteso dalla natura, all’educazione del-la prole non per poco tempo, ma per tutta la vita, tan-to che i figli sono naturali eredi dei genitori: la prole ap-partiene egualmente al padre e alla madre, la prole quin-di richiede che padre e madre siano sempre uniti, perciòl’indissolubilità del Matrimonio è di diritto naturale.

2. Come il corso naturale delle cose può mutare o perl’incontro di un’altra causa naturale o per l’intervento diuna causa soprannaturale, così i precetti della legge natu-rale possono essere sospesi o per la prevalenza di precettidi maggior grado o per la dispensa data da Dio, come puòessersi verificato nel precetto dell’inseparabilità del Ma-trimonio, che sembra non appartenere al fine primariodella natura.

3. Al tempo della legge di Mosè il mandar via la moglienon sembra sia stato reso lecito, ma piuttosto legalmentetollerato per evitare maggiori mali;

4. e conseguentemente non sembra sia stato lecito auna donna ripudiata sposare un altro uomo, ma piuttostolegalmente tollerato, cioè non punito secondo la legge;

5. non poteva però il marito ripigliare la moglie ripu-diata, e ciò era prescritto affinché ponderasse bene il fat-to.

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6. Il «libello di ripudio» era permesso per evitare l’u-xoricidio cagionato dall’odio, perciò la causa del ripudioera l’odio, ma questo stesso odio doveva avere le sue cau-se, che furono poi tanto disputate;

7. queste cause però nel libello del ripudio non venivanospecificate, ma soltanto accennate in genere, per evitare lediscussioni in merito.

Quest. 68. Prole illegittima. – 1. Illegittimo è ciò cheè contro l’ordine della legge; i figli che nascono fuori delvero Matrimonio nascono contro l’ordine della legge dinatura; essi quindi sono figli illegittimi.

2. Si subisce danno sia quando si è privati di ciò cheera dovuto, sia quando non si consegue ciò che si potevaconseguire: i figli illegittimi non subiscono danno nellaprima maniera, ma lo subiscono nella seconda maniera,perché sarebbe stato diversamente di loro se fossero natilegittimi; ed appartiene alla Chiesa fare opera perché aloro sia provvisto.

3. I danni che incontrano i figli illegittimi sono fissatinon per legge naturale, ma per legge positiva, perciòdalla legge positiva tali danni possono anche essere toltimediante la legittimazione.

Quest. 69. Luogo delle anime dopo la morte. – 1. Glispiriti non dipendono nel loro essere dai corpi, cionono-stante Dio ha disposto che le cose corporali siano gover-nate da sostanze spirituali e da ciò ne derivò loro un le-game ed anche una certa gradazione, perché le cose piùnobili furono assegnate a spiriti più degni; in questa ma-niera si dice che anche gli spiriti hanno il loro luogo: illuogo più eccelso, che chiamiamo Cielo, lo assegniamoa Dio e diciamo che anche i Santi sono in Cielo, perché

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hanno conseguita la perfetta partecipazione della divini-tà: alle anime belle convengono luoghi luminosi, luoghitenebrosi alle animenere.

2. Come i corpi vanno o in alto o in basso secondola loro tendenza se non sono trattenuti, così le anime,sciolte dal legame del corpo, vanno direttamente o allapena o ai premio meritato se qualche reato di penatemporale non le trattiene in Purgatorio.

3. Non possono le anime lasciare il Paradiso o l’Infernonel senso di mutare lo stato di premio o di pena, eneppure nel senso di lasciare il loro stato di segregazionedalla conversazione coi viventi, perché costoro, legaticome sono ai sensi, non possono direttamente trattarecogli spiriti; possono però gli spiriti per disposizionedella Provvidenza farsi sentire e farsi vedere ai vivi o perammonirli o per pregarli; questo però, essendo alcunchédi miracoloso, è possibile alle anime dei giusti quando lovogliono; alle anime dei dannati invece è possibile soloquando Dio lo permette.

4. La pace dopo la morte non si ha che per la fedein Cristo; il primo ad averla fu Abramo, perciò l’espres-sione: «nel seno di Abramo », significa stato di pace dopomorte; ma poiché prima dell’Ascensione di Gesù al Cie-lo quello era uno stato di privazione della gloria, si chia-mava anche margine o limbo dell’Inferno: ora però nonsi equivalgono più seno di Abramo e Limbo.

5. Limbo non è lo stesso che Inferno, perché dalLimbo sono usciti i Patriarchi e dall’Inferno non uscì mainessuno: perciò, benché quanto a luogo possano esserelo stesso, in quanto il Limbo è il margine dell’Inferno,tuttavia non sono lo stesso quanto alla quantità dellapena che vi si soffre:

6. per la stessa ragione il Limbo dei Padri è diverso dalLimbo dei fanciulli, benché il luogo possa essere eguale,perché i Patriarchi vi stavano colla speranza della gloria,che non hanno invece i bambini morti senza Battesimo.

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7. I ricettacoli delle anime non sono altro che gli statidelle anime, questi sono cinque e perciò si distinguonocinque ricettacoli dopo la morte: Paradiso, Purgatorio,Inferno, Limbo dei Patriarchi e Limbo dei fanciulli.

Quest. 70. Sensibilità dell’anima separata. – 1. Le poten-ze sensitive sono proprie del corpo congiunto all’anima,perciò morto il corpo esse restano nell’anima soltanto inradice, cioè come nel principio loro proprio perché nel-l’anima resta l’efficacia di attuare di nuovo queste poten-ze se di nuovo al corpo essa si unisce.

2. A maggior ragione gli atti e le operazioni delle Po-tenze sensitive non restano nell’anima separata dal corpose non in radice e radice remota.

3. Come sono tormentati dal fuoco materiale dell’In-ferno i demoni, che sono spiriti puri, così tanto più pos-sono essere tormentate dal fuoco le anime, che sono formasostanziale dei corpi; e non basta dire che i demoni so-no tormentati dal fuoco in quanto lo vedono e in quantolo temono, perché non lo temerebbero nemmeno, se sa-pessero che a loro, che sono spiriti, esso non può nuoce-re: esso è strumento della giustizia vendicatrice di Dio elo strumento trasmette sempre il potere dell’agente prin-cipale; può anche essere deputato come luogo degli spi-riti e coartarne così la libertà; in tal modo ha anche unpotere naturale di punizione.

Quest. 71. Suffragi dei morti. – 1. Le opere che facciamovalgono o come merito, che si basa sulla giustizia di Dio,o come orazione, che si basa sulla divina misericordia:quaggiù le buone opere di uno non possono valere comemerito e acquistare la grazia e la gloria per un altro;possono però valergli come orazione; per chi poi ha

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assicurata la sua salute eterna le altrui opere possonovalere non solo come orazione ma anche come meritoper effetto della carità, che si attua nella Comunione deiSanti,

2. e poiché la carità abbraccia non solo i vivi ma anchei morti, che colla carità uscirono da questa vita, perciò leopere buone dei vivi valgono da se stesse anche per i morti;e tanto più valgono se sono indirizzate a loro suffragio.

3. Nei suffragi prestati dai peccatori bisogna distinguereil merito dell’opera e il merito della persona; e nella per-sona bisogna distinguere il rappresentante dal rappresen-tato; ai defunti giova sempre il merito dell’opera, p. es.la S. Messa; giova anche il merito della persona rappre-sentata, p. es. la Chiesa nei suoi ministri; non giova in-vece il merito del rappresentante, perché, se questi è unpeccatore, non ne ha.

4. Il suffragio giova anche a chi lo fa, perché, comeopera buona fatta in stato di grazia, è sempre meritevoledi vita eterna; però come opera espiatoria giova soloall’anima alla quale si presta il suffragio.

5. Nonostante l’errore di Origene, che anche inseguitofu da altri, benché mitigato e modificato, riprodotto, èpiù sicuro dire che i suffragi non giovano alle anime deidannati; tanto è vero che nella Chiesa per loro non siprega, perché allora tanto varrebbe pregare anche per idemoni.

6. I suffragi valgono invece per le anime del Purgatorio,perché esse sono in istato di salvezza, abbisognano di essie ci sono unite nella Comunione dei Santi;

7. non valgono per lo contrario per i fanciulli che sononel Limbo, perché essi non sono in istato di salvezza;

8. e non valgono nemmeno per i Santi del Paradiso,perché essi non ne hanno bisogno.

9. I suffragi dei vivi giovano ai defunti in quanto cisono uniti nella carità e in quanto l’intenzione si rivolgea loro; perciò giovano le opere della carità e prima di

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tutte l’Eucarestia, che è il vincolo della cristiana carità,poi l’elemosina che è frutto della carità; giovano infinele preghiere in quanto rappresentano l’intenzione dei vivirivolta ai defunti.

10. Le indulgenze direttamente si applicano a chi fa leopere ingiunte; ma queste i defunti non possono com-pierle, perciò ai defunti le indulgenze non si applicanodirettamente; possono però essere a loro applicate indi-rettamente, se lo concede chi dispensa le indulgenze; nonè però in potere del superiore ecclesiastico liberare dalPurgatorio le anime, perché sono fuori della suagiurisdi-zione.

11. Le pompe funebri, che sono un ufficio di umani-tà e un conforto per i superstiti, non giovano per sé né aimorti né ai vivi; accidentalmente però giovano anche spi-ritualmente ai vivi e ai morti; ai vivi in quanto fanno pen-sare alla morte e sono una professione di fede nella risur-rezione; ai morti in quanto richiamano la loro memoria esono spesso un mezzo od una forma di fareelemosina.

12. I suffragi in quanto provengono dalla carità giova-no a tutte le anime del Purgatorio, che tutte ci sono uni-te nella carità; ma in quanto provengono dall’intenzionedi chi li fa giovano soltanto all’anima a cui sono indiriz-zati, come qua in terra il denaro che si paga per il debi-to di una persona viene conteggiato in favore di quellapersona e non delle altre.

13. Benché nella letizia della carità tutti in Purgato-rio godano dei suffragi che si fanno per tutti come se sifacessero per uno solo; tuttavia, avendo il suffragio unaefficacia limitata, i suffragi che si fanno per tutte le ani-me del Purgatorio non giovano a ciascuna di loro tantoquanto se fossero fatti per una solo;

14. e poiché i suffragi, secondo l’intenzione di chili fa, giovano a quelle anime cui sono indirizzati e nonalle altre, perciò alle anime del Purgatorio giovano più

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i suffragi speciali uniti ai suffragi comuni, che non i solisuffragi comuni.

Quest. 72. Invocazione dei Santi. – 1. Nell’essenza diDio si può conoscere tutto; tuttavia i Santi, benché veda-no l’essenza divina, non possono in essa conoscere tut-to, perché vedono bensì Dio, ma non lo comprendono;però siccome la loro beatitudine importa che conoscanotutto ciò che a tale beatitudine si riferisce, così in Dio iSanti conoscono la devozione, i voti e le preghiere che noiloro indirizziamo.

2. Il retto ordine importa che noi, che siamo lontanida Dio e a Lui pellegriniamo, siamo a Lui avvicinatida chi gli è più vicino e a Lui siamo condotti da chiè già nella Patria celeste: dobbiamo quindi rivolgerciall’intercessione dei Santi: che se ci raccomandiamo allepreghiere delle persone sante che sono ancora quaggiù,tanto più dobbiamo farlo colle persone sante che sonolassù.

3. Le Preghiere dei Santi in nostro favore sono sempreesaudite, perché essi non vogliono se non ciò che vuole ilSignore e la volontà di Dio sempre si compie: può esserciperò da parte nostra qualche difetto che impedisce ilfrutto delle loro orazioni.

Quest. 73. Segni precursori del Giudizio. – 1. La venutadel Signore per il Giudizio deve essere preceduta da parti-colari segni, spettanti alla dignità della sua potestà giudi-ziaria per indurre gli uomini al rispetto e alla soggezione;quali però essi siano non si può facilmente saperlo.

2. All’avvicinarsi del Giudizio può darsi che il sole, laluna e le stelle per divina virtù siano private della loroluce e così si oscurino per atterrire gli uomini diallora.

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3. La Scrittura dice che le virtù dei cieli o colonne delCielo si scuoteranno; ciò si può intendere sia di tutti glispiriti celesti, che resteranno meravigliati della novità chesuccederà; sia di quel Coro degli Angeli, che si chiamanoVirtù e che presiedono al giro degli astri, ai quali allorasottrarranno la loro assistenza.

Quest. 74. Il fuoco della conflagrazione finale. – 1.L’Apocalisse annunzia che ci saranno cieli nuovi e terranuova; questo rinnovamento importa una purgazione edinvero dovendo servire alla gloria dei beati è necessarioche vi siano eliminati quegli elementi di imperfezione edi peccato che ora vi sono.

2. Tale purgazione S. Pietro annunzia che avverràper mezzo del fuoco; e a ciò il fuoco bene si presta,perché esso ha naturale capacità di sprigionare luce e nonammette in sé elementi contrari, ma tutto a sé riduce;

3. tale fuoco poi per la purgazione del mondo nien-te impedisce che sia fuoco come il nostro, perché come altempo del diluvio il mondo fu purgato con acqua comu-ne, così convien dire che nella purgazione finale il mon-do sarà purgato con fuoco comune.

4. Nei cieli superiori non c’è nessuna disposizionecontraria alla gloria, essi quindi non hanno bisogno dellapurgazione e non saranno dal fuoco toccati.

5. Gli elementi di cui risulta il mondo resteranno nellaloro sostanza e perciò conserveranno anche le qualità loroproprie; ma dalle disposizioni tendenti alla corruzionesaranno purgati, perché a ciò tende la purgazione delmondo.

6. Saranno poi purgati tutti e soli gli elementi chesubirono l’infezione del peccato e cioè tutti e soli quelliche si trovano entro l’atmosfera che circonda la terra.

7. Il fuoco della finale conflagrazione precederà il Giu-dizio, perché al Giudizio i Santi si presenteranno col cor-

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po glorioso, per il quale il mondo deve essere già pre-parato e discosto colla purgazione: ma quanto all’azio-ne di ravvolgere i cattivi esso continuerà anche dopo ilGiudizio.

8. Il fuoco della conflagrazione finale agirà e di natura-le virtù e come strumento della giustizia di Dio; di natu-rale virtù agirà tanto sui buoni che sui cattivi, che alloravi saranno, ma come strumento della divina giustizia tor-menterà i cattivi, via non nuocerà ai buoni, come avvennedei tre fanciulli nella fornace;

9. quel fuoco poi, mentre involgendo i reprobi li tra-volgerà all’Inferno, trasporterà i giusti nelle alte regionidella gloria insieme cogli elementi nobili.

Quest. 75. La Risurrezione finale. – 1. Fine ultimo del-l’uomo e sua perfezione finale è la beatitudine; l’uomonon vi arriva in questa vita, e neanche vi arriverebbe nel-l’altra vita se non risorgesse il corpo, perché né il corpoproviene dal principio del male, per doverlo eliminare,né l’uomo consiste soltanto nell’anima; perciò la risurre-zione dei corpi bisogna ammetterla;

2. e poiché gli uomini sono tutti della stessa naturaleragioni che valgono per uno valgono per tutti, bisognaquindi ammettere la risurrezione generale di tutti.

3. Ciononostante la Risurrezione sarà un a cosa mira-colosa e non una cosa naturale, perché nessun principioattivo della risurrezione c’è nella natura e nessuna dispo-sizione; infatti una prima privazione ha piuttosto ordinenaturale di progresso a altre privazioni, anziché di regres-so; tuttavia la risurrezione si può dire naturale nel sensoche l’uomo vi ha una naturale inclinazione e tendenza.

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Quest. 76. Causa operante la Risurrezione. – 1. Cristo,mediatore fra Dio e gli uomini, ci ha liberati dalla morte,a Lui si deve quindi la nostra risurrezione; anzituttoEgli ne è causa come Dio, poi ne è causa quasi univocacome Dio-uomo; la sua Risurrezione poi è causa, nonsolo esemplare, ma anche strumentale, della risurrezionenostra.

2. Il suono di tromba chiama all’Assemblea, desta allabattaglia e invita alla festa, e la voce, il comando di Cristosarà la tromba che suonerà alla nostra Risurrezione.

3. Come ora nel Governo del Mondo Iddio si serve delministero degli Angeli, così nella Risurrezione universaleIddio si varrà del ministero degli Angeli, per la raccoltadegli elementi materiali; invece la riunione dell’anima alcorpo sarà opera immediata di Dio, come ora è opera im-mediata di Dio la creazione dell’anima e la sua immissio-ne nel corpo.

Quest. 77. Tempo e modo della Risurrezione. – 1. Giob-be dice che la Risurrezione non avverrà prima della confla-grazione finale e ciò conviene perché dovendosi risorge-re in stato incorruttibile la Risurrezione deve essere dif-ferita alla fine del mondo.

Cristo doveva risorgere prima, perché esso è primiziadei risorgenti e può risorgere prima chi ne ha specialeprivilegio.

2. Come a ciascuno è tenuto occulto il tempo dellasua morte, così è tenuta occulta al mondo la sua fine edil tempo della Risurrezione universale; il Signore ha dettoche non lo sanno nemmeno gli Angeli; tantomeno quindipossono conoscerlo gli uomini ed effettivamente tutte leprevisioni fatte finora sbagliarono tutte.

3. Neppure l’ora della Risurrezione si può sapere concertezza, tuttavia non è improbabile che essa avvenga sulfare del mattino, perché in tale ora si compì la Risurre-

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zione di Cristo, la quale è l’esemplare della Risurrezionenostra.

4. La Risurrezione, essendo opera dell’infinita potenzadi Dio, si compirà in un istante.

Quest. 78. Da che cosa si risorgerà. – 1. Tutti risor-geranno da morte, infatti: se da Cristo abbiamo tutti laRisurrezione, da Adamo abbiamo ereditato tutti la mor-te; perciò tutti dovranno morire per poi risorgere; per dipiù se la Risurrezione è universale e non c’è Risurrezio-ne se non si cade prima colla morte, anche la morte saràuniversale; infine è impossibile che nella conflagrazionefinale alcuno resti vivo.

2. Per tale conflagrazione, che si compirà col fuoco,tutto si ridurrà in cenere e tutti perciò risorgeremo dallacenere, avverandosi così il detto di Dio in pulverem rever-teris.

3. Le ceneri poi colle quali si ricostituirà il corpo diciascuno, non hanno nessuna inclinazione naturale versol’anima che al corpo si riunirà, perché non è disposizionenaturale, ma è disposizione divina che dalle ceneri risorgail corpo umano.

Quest. 79. Identità di chi risorge. – 1. Risurrezione nonsi può dire quando l’anima non riabbia il medesimo cor-po di prima, perché risorgere vuol dire levarsi in piedi dinuovo ed è di colui che cade il levarsi di nuovo in piedi;altrimenti non si direbbe Risurrezione, ma assunzione diun nuovo corpo; gli errori in proposito derivano sopra-tutto dal non considerare l’anima come forma sostanzialee come principio dell’essere e della vita del corpo.

2. Chi risorge è numericamente il medesimo uomo diprima; infatti la Risurrezione si deve ammettere, perché

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altrimenti l’uomo non ottiene la sua perfezione finale néconsegue il suo ultimo fine; qualora invece non sia lostesso e identico uomo di prima chi risorge, ma un altro,la Risurrezione è inutile all’ultimo fine, alla perfezione,cioè, finale: in questo poi Giobbe nella Scrittura ci èmaestro infallibile.

3. Se le cose artificiali, nelle quali la materialità prevalepiù che nelle naturali, si dicono rifatte e tornate quelledi prima, ancorché le parti materiali non ritornino allostesso sito, tanto più facilmente saranno quelli di primai corpi dei risorgenti ancorché i resti e le ceneri delcorpo non ricostituiscano la parte cui appartenevanoprima: questo però quanto alla necessità della cosa,perché quanto alla convenienza certo conviene che leparti, almeno le essenziali, ritornino al posto di prima.

Quest. 80. Integrità dei risorgenti. – 1. La Risurrezioneavviene non per opera della natura, che può essere difet-tosa, ma per opera divina, che è perfetta; perciò il corpodi chi risorge corrisponderà perfettamente all’anima, chene è la forma e il fine, e avrà tutte le sue membra intera-mente;

2. risorgeranno anche i capelli e le unghie, perché an-ch’essi appartengono alla perfezione umana, almeno disecondo ordine; sono infatti a protezione delle membra,che appartengono alla perfezione umana di primo ordi-ne;

3. e poiché tutto ciò che appartiene all’integrità dell’u-mana natura tornerà in chi risorge, col corpo risorgeran-no anche i suoi umori, quelli si intende che appartengonoalla costituzione del corpo.

4. Ciò che veramente appartiene alla costituzione del-l’umana natura è tutto ciò che è informato dell’anima ra-gionevole, ed è precisamente per l’anima ragionevole che

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il corpo è ordinato alla risurrezione, perciò risorgerà delcorpo tutto quello che è informato dall’anima ragionevole;

5. Però non risorgerà tutto ciò che fu materialmenteparte delle membra umane, perché deve risorgere tuttociò che appartiene veramente alla costituzione dell’uma-na natura ed è relativo alla specie umana, consideratanella sua quantità, figura, sito e ordine delle parti; in-vece la totalità della materia, che ci fu in un uomo dalprincipio alla fine della vita, eccede la quantità dovutaalla specie.

Quest. 81. Qualità dei risorgenti. – 1. Dio farà risorgerela natura umana senza difetti come senza difetti Dio lacreò; perciò tutti risorgeranno nell’età della perfezione,che è quella di Cristo, la cui Risurrezione è l’esemplaredella nostra; di tale età risorgerà tanto chi morì vecchio,quanto chi morì bambino.

2. La quantità naturale in ciascuno di noi è relativanon solo alla natura di uomo, ma anche alla natura diindividuo e poiché nella risurrezione non sarà variatalanatura di ciascun individuo, perciò non risorgeranno tuttidella medesima statura, perché qui non eguale la quantitànaturale di ciascuno; tutti però risorgeranno colla staturache a ciascuno spettava, escluso ogni difetto, nell’etàdella perfezione;

3. inoltre, appunto perché non sarà variata la natura diciascun individuo, ognuno risorgerà nel suo sesso, il cheperò non sarà motivo di rossore, perché nell’altra vita laconcupiscenza è totalmente morta;

4. infine, essendo ordinata la Risurrezione alla perfe-zione dell’umana natura, tutto ciò che è relativo non aperfezioni, ma a difetti della natura umana, quali sono leazioni della vita animale, non risorgerà e perciònon ci sa-rà nell’altra vita né il mangiare, né il bere, né il generareecc.

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Quest. 82. Impassibilità dei Beati. – 1. Dopo laRisurrezione nei Beati il corpo è totalmente sottratto alleinfluenze esterne nocive e resta totalmente dominatodall’anima spirituale, perciò il corpo non è soggetto amutazioni contrarie alla disposizione sua naturale e cioèèimpassibile.

2. L’impassibilità negativa, o esclusione dai dolori,sarà eguale in tutti i Beati, ma l’impassibilità positiva, cioèil dominio dell’anima sul corpo varierà, perché esso derivadalla visione beatifica e a essa quindi si proporziona.

3. L’impassibilità però non esclude dai corpi gloriosi lasensibilità fisica, altrimenti la vita dei Beati in Paradisosarebbe allora quasi un sonno, che si dice mezza vita, ilche contrasta colla perfezione che a tale vita compete: sa-rà però diverso dal presente il modo di sentire, perché al-lora i sensi riceveranno ogni impressione secondo il loroessere spirituale, cioè con mutazione spirituale anzichémateriale; la mutazione spirituale è paragonabile all’oc-chio, che vede il rosso ma non diventa rosso; la mutazio-ne materiale è invece paragonabile alla mano che sentecaldo e anche divien calda.

4. Nei Beati dopo la Risurrezione, saranno in azionetutti i sensi e non già alcuni soltanto, perché così esigela perfezione dovuta a tale stato la quale va riposta nellepotenze sensitive e nel loro atto insieme, più che nellepotenze sensitive solamente.

Quest. 83. Sottigliezza dei corpi dei Beati. – 1. Sottile sidice ciò che penetra; la sottigliezza si attribuisce ai corpinei quali predomina non la materia, ma la forma; nei cor-pi dei Beati dopo la Risurrezione la forma prevarrà total-mente sulla materia, per il completo dominio dell’anima,a loro quindi spetta la sottigliezza, chela Scrittura indicachiamandoli corpi spirituali.

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2. Se gli stessi Angeli non si possono distinguere nu-mericamente tra loro se non perché sono in luoghi diver-si, tanto meno si potranno distinguere fra loro due o piùBeati dopo la Risurrezione se non perché si troverannoin luoghi distinti, e perciò non potrà darsi che un corpoglorioso si trovi in uno stesso luogo con unc orpo non glo-rioso per la sola ragione della sua sottigliezza; potrà peròdarsi per divina potenza che si trovi in uno stesso luogoinsieme con un altro corpo e ciò a perfezione di gloria;

3. non è infatti impossibile che per miracolo duecorpi si trovino in uno stesso luogo, perché tutte lecose dipendono e dalle loro cause prossime e soprattuttoda Dio, causa prima di tutte, e Dio, causa prima, puòconservare in essere le cose anche cessando l’azione dellecause seconde; e come può conservare l’accidente, anchescomparso il suo soggetto, così può fare che un corporesti distinto dall’altro, benché quanto al sito la materiadell’uno non sia distinta dalla materia dell’altro;

4. per divina potenza potrebbe pure darsi che un corpoglorioso si trovi nello stesso luogo con un altro corpoglorioso, ma questo non avverrà mai, perché il debitoordine, che in Paradiso regna, vuole che ciascuno abbiail suo luogo distinto e che uno non impedisca l’altro;

5. anzi la sottigliezza non rimuoverà nemmeno la ne-cessità che ciascun corpo glorioso occupi quello spazio chegli è proporzionato, perché la sottigliezza non diminuiscele dimensioni del corpo glorioso, non essendo essa né ra-refazione, né condensazione, ma solo penetrabilità;

6. la sottigliezza infine non renderà il corpo glorioso im-palpabile, perché, come fu di Cristo risorto, così sarà deicorpi gloriosi, saranno cioè tangibili ma non pertransibi-li; essi però, non per la sottigliezza, ma per virtù sopran-naturale, possono quando vogliono rendersi impalpabili.

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Quest. 84. Agilità dei corpi gloriosi. – 1. Per il totaledominio che esercita sul corpo glorioso l’anima, la quale neè non soltanto la forma sostanziale, ma anche il motore,il corpo è pronto e spedito ad obbedire all’anima in tuttii suoi moti e in ciò sta la dote dell’agilità;

2. di questa dote i Beati faranno uso certamente almenoquando saliranno al cielo, come fece Cristo, e potrannopoi farne uso a loro volontà per visitare le opere di Dio,né cesserà allora la visione beatifica di Dio per loro,perché lo avranno sempre presente;

3. il loro moto esigerà un, benché impercettibile, tempo,perché il loro corpo non diventa mai spirito cessandodi essere corpo e devono sempre attraversare lo spazio;il loro moto quindi non sarà assolutamente istantaneo,perché se ciò fosse si troverebbero in due o più luoghiinsieme, il che è contradditorio.

Quest. 85. Chiarezza dei corpi gloriosi. – 1. La scritturaci dice che i corpi gloriosi avranno anche splendore e in ciòconsiste la dote della chiarezza, dovuta dalla ridondanzadella gloria dell’anima sul corpo, e perciò maggiore ominore secondo del Beato;

2. e poiché la luce naturalmente colpisce l’occhioe l’occhio naturalmente riceve l’impressione della luce,perciò per la stessa chiarezza, senza che occorra un mira-colo di Dio, lo splendore del corpo glorioso sarà natural-mente visto anche da occhio non glorioso;

3. però per il totale dominio dell’anima sul corpodipenderà dalla volontà del Beato essere visto o non visto,mostrarsi o non mostrarsi a chi non è Beato.

Quest. 86. I corpi dei dannati. – 1. I dannati risorge-ranno deformi, ma non mutilati o difettosi per quei di-

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fetti che dipendono da debolezza di principii di natura,perché la risurrezione sarà anche per loro ricostituzionedella natura umana in forma perfetta:

2. e poiché il tempo presente, che consuma ognicosa, sarà allora passato, perciò anche i corpi dei dannatisaranno incorruttibili e sottostaranno eternamente allagiustizia di Dio,

3. ciò perché l’incorruttibilità non importa impassibili-tà; infatti se cesserà la cosidetta passione di natura, noncesserà la passione di anima, colla quale patiranno i sen-si.

Quest. 87. Cognizione dei propri meriti al Giudizio.– 1. Al Giudizio la coscienza di ciascuno gli renderàtestimonianza, perché per divina virtù sarà richiamatoalla memoria di ciascuno ogni suo fatto e in ciò consisteil libro della vita;

2. e poiché allora è necessario che anche la giustizia diDio apparisca evidentemente a ciascuno, così a ciascunosaranno noti anche i meriti e i demeriti degli altri e ciascu-no ne conoscerà il premio o la pena;

3. e benché ciò non possa avvenire in un istante,perché p. es. i dannati non hanno l’intelletto così elevatoda vedere tutto nel Verbo, come hanno i Beati, tuttaviaciò per l’onnipotenza di Dio avverrà in brevissimo tempo.

Quest. 88. Tempo e luogo del Giudizio. – 1. Dopo la Ri-surrezione deve esserci certamente un Giudizio Universa-le, in cui apparisca in tutto la Giustizia di Dio: il Giudi-zio particolare corrisponde all’opera di Dio nel Governodel mondo: il Giudizio universale occorre alla comple-ta e finale sistemazione del mondo e quale compimentodell’opera iniziata da Dio nella Creazione del mondo.

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2. È però da ritenere che la locuzione del Giudizio uni-versale sarà una locuzione mentale anziché orale, perchéquesta esigerebbe troppo tempo.

3. La fine del mondo non è dovuta a cause create, cosìcome a cause create non è dovuto il principio del mondo;perciò come la cognizione del principio del mondo furiservata a Dio, che lo creò quando volle, così sarà dellafine del mondo e per noi il tempo del Giudizio finale èignoto.

4. Quanto al come si farà e si radunerà il Giudiziopoco si può sapere; si può ritenere che si farà nella valledi Giosafat, che vuol dire valle del Giudizio di Dio.

Quest. 89. Giudici e Giudicati. – 1. Giudicare significaaccusare, approvare la sentenza, sedere a fianco del Giu-dice, ma più propriamente significa pronunciare senten-za; pronunciarla di propria autorità appartiene a Dio so-lo, comunicarla solennemente a chi spetta sarà ufficio de-gli uomini giusti:

2. e sarà premio di coloro che si fecero poveri per Cristo,affinché coloro che a tutto rinunciarono per Cristo sianomessi a parte di ciò che di più grande vi è in Cristo.

3. Il giudicare è riservato a Cristo, Figlio di Uomo;potranno perciò partecipare alla sua dignità di Giudice,chi è partecipe dell’umana natura, gli Angeli quindi nondovranno giudicare.

4. Ai diavoli spetta l’esecuzione della sentenza suidannati, perché è giusto che chi si sottomise al diavolocol peccato gli sia sottomesso nella pena, mentre invecegli Angeli ministreranno ai buoni i lumi divini.

5. La potestà giudiziaria spetta a Cristo per la suaumiliazione nella Passione: allora Egli patì per tutti, tuttiquindi gli compariranno al Giudizio.

6. Il Giudizio importa due cose: discussione dei meri-ti e sentenza di premio o di pena; i buoni compariranno a

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Giudizio per la sentenza di premio; quanto invece alla di-scussione dei meriti, essa non si farà per coloro che han-no minimi demeriti; si farà invece per coloro che han-no meriti mescolati con demeriti, ma finirà con sentenzaassolutoria;

7. i cattivi compariranno al Giudizio per la sentenzadi pena; quanto invece alla discussione dei meriti essa sifarà solo per coloro che ebbero la fede, che è la radicedel merito.

8. Gli Angeli non subiranno un giudizio diretto, ma sol-tanto un giudizio indiretto, relativo cioè all’opera da lo-ro prestata agli uomini, che accrescerà la gioia degli An-geli buoni e accrescerli, la pena dei demoni, avendo es-si colla loro istigazione accresciuta la comune catastrofeinfernale.

Quest. 90. La venuta del Giudice. – 1. Il potere di giu-dicare è dovuto a Cristo come Figlio di uomo, perché fucolla sua Passione che Cristo acquistò il dominio sull’U-niverso; perciò Cristo comparirà al Giudizio nell’umananatura.

2. E poiché il giudicare è atto di autorità e di gloria,perciò apparirà in forma gloriosa.

3. L’essenza della Beatitudine sta nella visione di Dio;la Beatitudine poi è gaudio, perciò la Divinità non sipuò vedere senza gaudio; gli empi quindi al Giudiziovedranno i segni evidenti della Divinità di Gesù Cristo,ma non ne vedranno la Divinità, altrimenti sarebberobeati.

Quest. 91. Il mondo dopo il Giudizio. – 1. Il mondo fucreato da Dio come abitazione degli uomini; l’abitazionedeve convenire a chi l’abita; dopo il Giudizio l’uomo

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sarà glorificato, perciò anche il mondo, sua abitazioneavrà la sua innovazione, mediante l’aggiunta di una talperfezione di gloria per cui meglio rispecchi la maestà diDio.

2. Tutto il mondo e anche gli astri del cielo furonocreati per l’uomo, ma quando l’uomo sarà glorificato nonavrà più bisogno di quegli influssi e moti degli astri cheora alimentano quaggiù lo sviluppo della vita, quei motidegli astri perciò allora cesseranno.

3. L’innovazione che il mondo avrà dopo il Giudizioha per iscopo di rendere quasi sensibile Dio agli uomini,al che serve il maggiore splendore che il mondo avràe, poiché lo splendore degli astri sta nella luce, allainnovazione del mondo gli astri avranno chiarezza e luce.

Le tenebre allora saranno ridotte al centro della terra,che perciò è luogo conveniente per i dannati.

4. Alla innovazione del mondo avranno maggior chia-rezza e luce gli astri del cielo, e per riflesso anche i cor-pi della terra; non tutti però egualmente, ma ciascuno se-condo la sua attitudine.

5. Ma di piante e di animali allora non ci sarà piùbisogno, perché essi furono creati per conservare la vitadell’uomo, e l’uomo allora sarà incorruttibile.

Quest. 92. La visione beatifica. – 1. Se la Beatitudine,che è l’ultimo fine dell’uomo, consiste nella visione bea-tifica, bisogna dire che l’intelletto umano può vedere Id-dio nella sua essenza, cioè può vedere Dio quale è, nono-stante l’insuperabile distanza che c’è fra l’intelletto no-stro e la divina essenza; in modo che l’essenza divina, laquale è atto puro, informi di sé l’anima del beato ed av-venga una specie di unione come c’è in noi fra l’animaspirituale, che è la forma, e il corpo, che è la materia.

2. I beati però non vedranno Dio dopo la Risurrezionecogli occhi corporali, perché questi percepiscono soltanto

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colori e dimensioni, che in Dio non vi sono; degli occhicorporali i beati potranno servirsi per vedere le bellezzedel mondo innovato annuncianti Dio, e per vedere l’u-manità di Cristo; così Dio sarebbe per l’occhio un sensi-bile per accidens, ma non può mai essere un sensibile persé.

3. Però i Santi, pur vedendo Dio, non vedono anchetutto ciò che vede Dio, il quale conosce tutte lerealtà collascienza di visione e conosce tutti i possibili colla scienza disemplice intelligenza: i beati non possono conoscere tuttii possibili, perché a ciò occorre un intelletto uguagliantela infinita potenza di Dio, mentre il loro intelletto restasempre un intelletto finito; non conoscono tutte le realtà,benché vedano Dio, perché conoscere la causa non vuoldire conoscerne tutti gli effetti: la scienza dei beati variaperciò secondo il loro lume di gloria con cui vedono ladivina essenza.

Quest. 93. Beatitudine e mansioni dei Santi. – 1.La beatitudine dei Santi sarà maggiore dopo il Giudizio,perché coll’anima riunita al corpo glorificato sarà piùperfetta la loro natura e con ciò più perfetta anche la lorooperazione; con ciò però sarà maggiore estensivamente,non sarà invece maggiore intensivamente.

2. Mansione significa posto raggiunto in cui si rimane,perciò le mansioni dei Santi sono i modi coi quali rag-giunsero mediante il moto di volontà l’ultimo fine; ta-li modi sono diversi, secondoché vi arrivano più o me-no vicino, diverse quindi sono in cielo le mansioni ossia igradi di beatitudine.

3. Le mansioni sono diverse secondoché sono diversii gradi della carità, la quale quaggiù è la ragione delmerito, principio remoto della beatitudine; e in cielo è laragione della visione beatifica, principio prossimo dellabeatitudine.

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Quest. 94. Relazione dei Santi coi dannati. – 1. AiSanti bisogna riconoscere tutto ciò che conferisce allaloro beatitudine; a questa conferisce la conoscenza delsuo opposto, per essere della beatitudine maggiormentelieti e grati a Dio; perciò i beati conoscono le pene deidannati;

2. i beati però non ne sentono compassione, né nel sen-so di partecipazione alla pena, perché sono beati, e nep-pure nel senso della misericordia, che cerca di allontanar-ne i mali, perché ciò è oramai impossibile e sarebbe unamisericordia inutile;

3. ma i beati neppure godranno di tali pene inquantoi dannati ne soffrono; ne godranno, invece in quanto inesse si mostra la giustizia di Dio e in quanto da quelle essifurono scampati.

Quest. 95. Dote dei beati. – 1. Il Paradiso è una speciedi matrimonio spirituale dell’anima con Cristo, perciòcome nei matrimoni terreni la sposa viene fornita di dotee di ornamenti, così, per l’ingresso in Paradiso, l’anima,come indica la Scrittura, viene dal Padre fornita di dote edi ornamenti spirituali.

2. Poiché la Beatitudine è un’operazione e la dote è in-vece un possesso, la dote si deve fare piuttosto consisterein disposizioni e qualità ordinate alla stessa Beatitudine.

3. A Cristo non compete avere tale dote, né averla intale senso, perché l’unione in Lui della natura umanaalla natura divina non è un matrimonio spirituale, ma èun’unione ipostatica; con ciò però non si nega che Cristopossegga in grado eccellente ciò che nei Santi forma ladote.

4. Spose di Cristo diventano in Paradiso le anime deifedeli che appartengono alla Chiesa, vera sposa di Cristo,ma gli Angeli non appartengono alla Chiesa, a loro perciònon compete lo sposalizio con Cristo e non compete a

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loro la dote del Padre; nulla tuttavia impedisce che sipossano a loro attribuire metaforicamente almeno quelleprerogative che formano la dote dei beati.

5. La dote dell’anima beata consiste in tre doni: cioèvedere Dio, conoscerlo come bene presente e sapere chetal bene presente è da noi posseduto; ciò corrisponde alletre virtù teologali fede, speranza e carità.

Quest. 96. Le aureole. – 1. In Paradiso il premio es-senzialmente consiste nell’unione perfetta dell’anima conDio posseduto e amato; questo premio è detto metafo-ricamente corona aurea: l’aureola, invece, diminutivo, èqualcosa di inferiore e accidentale, derivato o soprag-giunto; perciò si chiama aureola sia la gloria del corpoderivata dalla gloria dell’anima, sia il gaudio delle pro-prie opere buone in cui si vede la propria vittoria, chesi aggiunge al gaudio di possedere Dio e così l’aureola èdistinta dalla corona aurea.

2. Dall’aureola differisce il frutto, che consiste nelgaudio che proviene dalla stessa disposizione d’animodel beato per un maggior grado di spiritualità conseguitadall’avere approfittato della parola di Dio: tanto poi essone differisce che il frutto viene dalla Scrittura attribuitoa tali ai quali non si attribuisce l’aureola.

3. Il frutto spetta più alla continenza che alle altrevirtù, perché essa, liberando l’uomo dalla soggezionedella carne, lo introduce nella vita spirituale,

4. e proporzionatamente alla misura di spiritualità chela continenza procura ci sono tre frutti, menzionati dalVangelo cioè il trentesimo, dovuto alla continenza coniu-gale; il sessantesimo, dovuto alla continenza vedovile e ilcentesimo, dovuto alla continenza verginale.

5. La verginità poi, per ragione della particolare vit-toria sopra la carne, che essa rappresenta, importa anchel’aureola, poiché però la verginità è virtù in quanto è vo-

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lontà di perpetua integrità di mente e di corpo, perciòtale aureola compete a coloro che ebbero il proposito diconservare perpetuamente la verginità.

6. Se è dovuta l’aureola alla verginità, che è perfettavittoria interna, si deve l’aureola anche alla perfetta vitto-ria esterna, che è quella dei martiri; ed è perfetta la vitto-ria dei martiri, perché essi affrontano la stessa morte cheè il maggiore dei mali esterni, e la affrontano per Cristo,cioè per la causa più bella che ci sia; bene dice S. Agosti-no: «Fa martire non la pena, ma la causa ».

Se causa del martirio non si dice la Fede, ma si diceCristo, tutte le virtù, non politiche, ma infuse, che hannoper fine Cristo sono causa di martirio.

7. E poiché una perfetta vittoria è anche quella cheriportano i Dottori cacciando il diavolo da sé e daglialtri colla predicazione e colla dottrina, perciò anche aiDottori si deve l’aureola, come la si deve ai vergini e aimartiri per la vittoria riportata sulla carne e sulmondo.

8. A Cristo, che è la ragione principale e piena di ognivittoria, non si deve l’aureola, che è soltanto partecipazio-ne di vittoria; e questo si dice non per negargli un pre-gio, ma per affermarlo superiore all’aureola, che è vocediminutiva.

9. Agli Angeli non si deve aureola, perché essa corri-sponde a una vittoria riportata con di mezzo il corpo egli Angeli non hanno corpo.

10. L’aureola l’hanno anche adesso i Santi del Paradi-so; essa consiste in gaudio e merito che sono propri del-l’anima, al corpo quindi non è dovuta aureola se non comeridondanza dello splendore dell’anima.

11. Tre sono le battaglie che incombono ad ogniuomo: contro la carne, contro il mondo e contro ildiavolo; tre le vittorie privilegiate che se ne possonoquindi riportare; tre i privilegi ad aureole corrispondenti,cioè l’aureola dei vergini, dei martiri e dei dottori.

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12. Assolutamente parlando, l’aureola dei martiri èla più eccellente, perché la loro battaglia è la più aspra;ma in un certo senso è superiore l’aureola dei vergini,perché la loro battaglia è più lunga, più pericolosa, piùstringente.

13. Il premio si proporziona al merito, questo puòessere maggiore o minore; maggiore o minore perciò puòessere anche il premio accidentale cioè l’aureola, unoquindi può avere un’aureola giù fulgida dell’altro.

Quest. 97. Pena dei dannati. – 1. I dannati non avrannosoltanto pena del fuoco, ma anche da altri elementi, per-ché il fuoco finale che purgherà il mondo eleverà al cie-lo gli elementi nobili a gloria dei beati e travolgerà all’in-ferno gli elementi ignobili a pena dei dannati.

2. Il verme dei dannati sarà un verme spirituale, cioè ilrimorso, ma non sarà un verme materiale, perché il fuocofinale non lascierà più nessun animale o pianta.

3. Il pianto dei dannati non sarà pianto corporale, comeversamento di lagrime, perché ciò sarebbe contrario al-l’incorruttibilità che ai dannati spetta; sarà invece piantocorporale come commozione e turbamento.

4. I dannati si troveranno immersi in tenebre corporali,e soltanto nella penombra avranno la vista afflittiva di ciòche li tormenterà, perché così compete ai dannati.

5. Il fuoco dei dannati sarà corporale, perché doven-do tormentare i corpi dopo la Risurrezione deve esserefuoco corporeo per essere pena adattata ai corpi.

Benché però esso sia materiale come il nostro, percerte sue particolari proprietà non è come il nostro;

6. ma tali sue proprietà per cui differisce dal nostro,quali quelle di non consumare e di non consumarsi, nonfanno sì che il fuoco dell’inferno non sia della stessa speciedel nostro, perché il fuoco è sempre fuoco nonostante ladiversità delle materie cui è appiccato.

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7. «In che parte del mondo sia situato l’inferno, dice S.Agostino, non credo lo sappia alcuno, se lo Spirito Santonon glielo rivela »; tuttavia, secondo le espressioni dellaScrittura, è da ritenersi che sia sotterra; tanto più checosì indica il nome inferno, cioè parte inferiore a noi, eche quello è il sito conveniente ai dannati, come il cielo èil luogo conveniente ai beati.

Quest. 98. Volontà e intelletto dei dannati. – 1. Nono-stante che nei dannati resti l’inclinazione naturale al be-ne, di cui è autore Dio, tuttavia la volontà loro propria ècontraria a Dio, che è l’ultimo fine e il sommo bene e an-che quando vogliono qualche bene lo vogliono per finecattivo, perciò la volontà dei dannati è sempre cattiva;

2. quindi i dannati non si pentono del male che hannofatto per se stesso; ma si pentono per la pena che nedevono portare;

3. e di volontà deliberativa non possono desiderare diesistere, cioè di assolutamente non essere, perché ciò nonrappresenta nessun bene, rappresenta invece la totaleprivazione di ogni bene; possono però desiderare di nonessere così male, perché la privazione del male importaun qualche bene.

4. Come i beati per la carità perfetta godono del benedi tutti, così i dannati per l’odio consumato si contristanodel bene altrui e vorrebbero che anche i buoni fosseroall’inferno.

5. Dio, nonostante che sia la bontà per essenza, idannati lo odiano, perché non lo conoscono in sé, ma loconoscono negli effetti della sua Giustizia, che alla lorovolontà ripugna.

6. Questa cattiva volontà però in loro non è più nécolpa, né demerito, perché se il merito è in ordine a altrecose, essi nulla più hanno da sperare e nulla di più datemere.

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7. Ai dannati compete tutto ciò che converge alla lo-ro miseria affinché sia perfetta, perciò compete ai danna-ti l’uso delle cognizioni che in questo mondo avevano perrattristarsene, considerando il male fatto e il beneperdu-to.

8. Di Dio, in quanto è fonte d’ogni bontà, non pense-ranno i dannati, perché tale pensiero è di conforto; inve-ce penseranno di Dio in quanto nella punizione risentonogli effetti della sua giustizia.

9. I dannati prima del Giudizio potranno vedere chei beati sono in gloria e ne saranno punti di invidia; dopoil Giudizio saranno privati di ogni vista dei beati, ma nesaranno tormentati lo stesso, cioè della loro memoria.

Quest. 99. Misericordia e Giustizia di Dio nei dannati.– 1. Chi pecca mortalmente contro Dio, che è infinito, me-rita una pena infinita e questa deve scontarsi coll’infernoeterno: difatti nelle pene si distingue l’acerbità e la dura-ta; alla colpa poi vien proporzionata la loro acerbità, manon la durata; quindi è che un adulterio, che pur si com-pie in un momento, non si punisce colla pena di un solmomento nemmeno per legge umana; la durata della pe-na si proporziona invece alla disposizione d’animo di chipecca e come il traditore della patria si è reso per sempreindegno della sua città, così chi offende Dio si rende persempre indegno del suo consorzio; e chi sprezza la vitaeterna meritala morte eterna.

2. Che le pene dell’inferno, sia degli uomini, che deidemoni, abbiano fine per divina misericordia è un erroredi Origene, contrario alla Scrittura e alla Giustizia stessadi Dio, perché se hanno termine le pene dei dannati,dovrebbe altrettanto finire anche il gaudio dei beati.

3. La misericordia di Dio non impedirà che anche gliuomini, oltre ai demoni, siano in eterno puniti, perché gli

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uni e gli altri sono per sempre ostinati nel male e nonpossono essere perdonati.

4. Non terminerà per la divina misericordia, neppurela pena di quei dannati che furono cristiani, perché ancheessi come gli altri dannati non hanno tenuto la via del-la salute, benché l’abbiano conosciuta; anzi per questosono più rei degli altri,

5. e anche i cristiani, che fanno opere di misericordiasaranno ciononostante eternamente puniti, se morirannoin istato di peccato, perché senza la grazia nulla giova permeritare la vita eterna.

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