Tesi - Semiologia Del Cinema, La Pubblicità Come Fellini 00-16-59-350

534
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE TESI DI LAUREA IN SEMIOLOGIA DEL CINEMA E DEGLI AUDIOVISIVI LA PUBBLICITÀ COME ESPRESSIONE ARTISTICA LA "FIRMA" DI FEDERICO FELLINI Relatore: CH.MA PROF. COSETTA GONZO SABA Correlatore: CH.MO PROF. LUCIANO DE GIUSTI LAUREANDA: VERONICA MECHI MATR. N° 45000416

description

cinema

Transcript of Tesi - Semiologia Del Cinema, La Pubblicità Come Fellini 00-16-59-350

Tesi

UNIVERSIT DEGLI STUDI DI TRIESTE

Facolt di Scienze della Formazione

Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

TESI DI LAUREA IN

SEMIOLOGIA DEL CINEMA E DEGLI AUDIOVISIVI

LA PUBBLICIT COME ESPRESSIONE ARTISTICA

LA "FIRMA" DI FEDERICO FELLINI

Relatore: Ch.ma Prof. Cosetta Gonzo Saba

Correlatore: Ch.mo Prof. Luciano De GiustiLaureanda: Veronica MechiMatr. n 45000416

anno accademico 2000/01

Ringrazio e abbraccio Giorgio e Mara, Gastone e Mariapia, Marianna e - a mio modo - le "guide" di sempre Franco e Amauri. Ringrazio anche tutti gli amici e soprattutto Michele, il cui intervento stato "provvidenziale".

Infine un particolare segno di riconoscenza spetta alla prof. Cosetta Gonzo Saba, che con la sua preziosa collaborazione ha saputo essere di stimolo durante la realizzazione di questo lavoro e al prof. Luciano De Giusti.INDICE

INTRODUZIONE p. 1

CAPITOLO 1. PUNTI DI CONTATTO TRA ARTE E PUBBLICIT NELLA LORO CRONISTORIA p. 6

1.1. Tra Ottocento e Novecento: la rclamep. 9

1.1.1. Il Futurismop. 24

1.2. Dagli anni Venti agli anni Cinquanta: l'advertisingp. 28

1.2.1. Dadaismo e Surrealismo p. 39

1.3. Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta: la publicityp. 42

1.3.1. Verso la neotelevisionep. 50

1.3.2. La Pop Artp. 61

1.4. Dagli anni Ottanta ai giorni nostri: la "meta-pubblicit"p. 65

1.4.1. Una nuova esteticap. 71

CAPITOLO 2. IL FILM PUBBLICITARIO TRA ESIGENZE COMMERCIALI ED ESPRESSIONE ARTISTICAp. 73

2.1. L'agire strategico e l'agire comunicativop. 73

2.2. Per una definizione del modello comunicativo della pubblicitp. 79

2.2.1. Pubblicit come atto comunicativop. 83

2.2.2. Verso un nuovo scenariop. 90

2.3. Dal modello comunicativo della pubblicit all'analisi del film p. 93

2.4. Il film pubblicitario d'autorep. 99

CAPITOLO 3. LE PUBBLICIT DI FEDERICO FELLINIp. 104

3.1. L'arte della modernit: formazione del concetto di autorep. 110

3.1.1. La Nouvelle Vaguep. 113

3.2. La pubblicit vista attraverso le opere di Fellinip. 119

3.2.1. La pubblicit nei testi filmicip. 121

3.2.2. I film pubblicitarip. 135

3.2.3. Uno sguardo d'insiemep. 145

CAPITOLO 4. ANALISI DEI FILM PUBBLICITARIp. 149

4.1. Premesse generali all'analisip. 149

4.2. Analisi del film pubblicitario Bitter Campari per Campari (1984)p. 157

4.2.1. Sinossip. 157

4.2.2. Analisi delle componentip. 158

4.2.3. Analisi della rappresentazionep. 159

4.2.4. Analisi della narrazionep. 161

4.2.5. Analisi della comunicazionep. 163

4.2.6. Sintesip. 166

4.2.7. Analisi schematica p. 168

4.2.8. Scheda filmograficap. 175

4.3. Analisi del film pubblicitario Alta Societ Rigatoni per Barilla (1986)p. 176

4.3.1. Sinossip. 176

4.3.2. Analisi delle componentip. 176

4.3.3. Analisi della rappresentazionep. 178

4.3.4. Analisi della narrazionep. 179

4.3.5. Analisi della comunicazionep. 180

4.3.6. Sintesip. 184

4.3.7. Analisi schematicap. 186

4.3.8. Scheda filmograficap. 189

4.4. Analisi del film pubblicitario Tunnel per Banca di Roma (1992)p. 190

4.4.1. Sinossip. 191

4.4.2. Analisi delle componentip. 192

4.4.3. Analisi della rappresentazionep. 196

4.4.4. Analisi della narrazionep. 199

4.4.5. Analisi della comunicazionep. 200

4.4.6. Sintesip. 206

4.4.7. Analisi schematicap. 208

4.4.8. Scheda filmograficap. 219

4.5. Analisi del film pubblicitario Lion per Banca di Roma (1992)p. 220

4.5.1. Sinossip. 220

4.5.2. Analisi delle componentip. 221

4.5.3. Analisi della rappresentazionep. 224

4.5.4. Analisi della narrazionep. 225

4.5.5. Analisi della comunicazionep. 227

4.5.6. Sintesip. 233

4.5.7. Analisi schematicap. 235

4.5.8. Scheda filmograficap. 245

4.6. Analisi del film pubblicitario Train per Banca di Roma (1992) p. 245

4.6.1. Sinossi p. 246

4.6.2. Analisi delle componenti p. 247

4.6.3. Analisi della rappresentazione p. 248

4.6.4. Analisi della narrazione p. 250

4.6.5. Analisi della comunicazione p. 251

4.6.6. Sintesi p. 255

4.6.7. Analisi schematica p. 257

4.6.8. Scheda filmografica p. 266

4.7. Conclusione delle analisi p. 267

BIBLIOGRAFIAp. 273

Appendice illustrataA. I - XXII

INTRODUZIONE

Tra tutti gli ambiti inerenti alla comunicazione, la scelta di indagare la pubblicit dovuta essenzialmente al fatto che essa rappresenta un terreno di esperienze e sperimentazioni che nel tempo si arricchito notevolmente fino al punto di non essere pi collocato a latere rispetto alla comunicazione dei media tradizionali. Infatti nel corso della sua storia ha raggiunto un livello di raffinatezza di modi di espressione tale che ha finito per diventare una sorta di "replicante" capace di assumere e rielaborare le caratteristiche "mediatiche" pi funzionali ai suoi scopi. In tal modo il suo grado di pervasivit aumentato fino al punto di consentirle di inserirsi agevolmente in ogni contesto comunicativo. Essa ha svolto tale attivit all'interno di un generale processo di autosignificazione che l'ha portata quindi a divenire una sorta di "metagenere" caratterizzato da un proprio linguaggio, da un'autonomia espressiva e comunicativa che opera in maniera trasversale sui mezzi di comunicazione di massa rivelando in molte occasioni tutte le sue potenzialit fascinatorie.

Il presente lavoro si posto come obiettivo quello di comprendere le ragioni che, anche da un punto di vista semiologico, siano in grado di rendere conto di una particolare forma di pubblicit che soprattutto negli ultimi anni molto ricercata: la pubblicit d'"autore".

Per inquadrare meglio il fenomeno inerente al rapporto che la pubblicit ha intrattenuto con le diverse manifestazioni artistiche e, nel caso specifico, con il cinema, si deciso di procedere innanzitutto con l'evidenziare in un generale contesto storico-culturale i punti di contatto, di scambio e di interferenza tra i due fronti (pubblicit/arte). Sostanzialmente si ritenuto funzionale a tale scopo operare una suddivisione temporale lungo tutto l'arco di tempo che va dalla fine dell'Ottocento ai giorni nostri; sono quattro le fasi principali che hanno manifestato al loro interno caratteristiche particolari derivanti da un lato, dall'evoluzione dei mass media e dall'altro, da un adeguamento delle modalit comunicative della pubblicit alle trasformazioni del "pubblico" dei consumatori per quanto attiene in modo particolare agli atteggiamenti, agli stili di vita e alle esigenze specifiche (collettive e individuali). Coestensivamente a questa evoluzione hanno operato con particolare fervore alcuni movimenti artistici, le avanguardie, che per prime hanno saputo rendere conto dei cambiamenti in atto a volte anticipandoli, a volte sostenendoli o all'opposto rifiutandoli.

Nel prosieguo del lavoro (capitolo 2) si voluto studiare il film pubblicitario come atto comunicativo partendo dal presupposto che la comunicazione non si pone mai come unico scopo quello di "trasmettere" da un "emittente" a un "ricevente" una serie di semplici informazioni. E allora, se la pubblicit come atto comunicativo pu assolvere contemporaneamente pi funzioni, ci si chiesto se possa manifestare anche delle qualit estetiche. A questo punto sembrato utile ricordare che tra le funzioni del linguaggio proposte fin dal 1956 dal linguista Roman Jakobson, figura anche una funzione denominata appunto estetica (o poetica) che riguarda l'organizzazione interna del messaggio e il modo in cui realizzato. A questo punto, una volta definita la comunicazione come un atto strutturato e complesso con delle sue peculiari funzioni, apparso di fondamentale importanza, soprattutto con riferimento alla comunicazione pubblicitaria che per sua natura deve produrre delle precise azioni sul suo destinatario (a seconda dei casi sedurre, convincere, persuadere) soffermarsi ad indagare il rapporto che si instaura tra chi emette il messaggio e chi lo riceve. Grazie ai contributi di autori come Umberto Eco, Seymour Chatman (in riferimento ai testi narrativi) e Gianfranco Bettetini, si prefigurata la possibilit di una sorta di "comunicazione delegata" presente all'interno del testo che demanda al testo stesso l'esemplificazione del rapporto che l'autore prevede di instaurare con il suo interlocutore fittizio. Da ci l'idea che lo studio del film pubblicitario debba essere condotto nel testo. Per questi motivi (analisi nel testo e ricerca al suo interno di qualit estetiche) sembrato opportuno adottare come metodo di analisi quello proposto da Francesco Casetti e Federico di Chio che considera il testo non solo come "oggetto" di scambio, ma anche come "terreno" della comunicazione e che permette di individuare al suo interno i peculiari atteggiamenti comunicativi che esso mette in atto. Inoltre, per rendere conto in maniera pi approfondita della questione estetica, ci si avvalsi della categoria di "stile" proposta da Christian Metz.

A questo punto nel circoscrivere in concreto un ambito in cui poter verificare la validit e la pertinenza del metodo di analisi del film applicato alla pubblicit, sembrato di particolare interesse rivolgersi al corpus filmico di uno dei maggiori registi italiani degli ultimi anni: Federico Fellini. Egli, essendo un autore dallo stile molto marcato e vivendo un momento di trasformazione delle "regole" nel modo di "fare" e "pensare" il cinema sembrato essere in grado di esemplificare in maniera ottimale tutti gli aspetti che possono riguardare la pubblicit "firmata" da un "autore". Fellini, infatti, ha operato un'investigazione sicuramente personale del fenomeno pubblicitario come si vedr nel capitolo dedicato alle sue pubblicit nei testi filmici.

Nel terzo capitolo, dopo una prima parte dedicata all'approfondimento del contesto storico-culturale nel quale ha vissuto il regista (Rimini, 1920 - Roma, 1993) si voluto tracciare un ipotetico percorso che ha segnato il rapporto che Fellini ha intrattenuto per vari aspetti con la pubblicit e che si articola a partire dai suoi primi film (e ancor prima forse durante la sua attivit di scrittore satirico e fumettista) e si conclude con i suoi film pubblicitari per Banca di Roma.

Lo scopo dell'ultimo capitolo, infine, stato quello di verificare "sul campo" l'attinenza del metodo di analisi che si scelto di applicare. A questa verifica generale poi, seguendo l'ipotesi esplorativa che ha guidato l'intero lavoro di analisi - ovvero comprendere se la "presenza" nel testo delle marche autoriali apporti un surplus di valore -, seguita la necessit di individuare una prospettiva specifica da adottare in vista delle osservazioni conclusive. Si ipotizzato che ci fosse un'area di indagine (tra quelle proposte da Casetti, di Chio) che offrisse maggiori spunti interpretativi. Nel tentativo di circoscrivere tale area, si sono dovuti in primo luogo riconoscere e approfondire i possibili punti di vista e cio quelli riguardanti la rappresentazione, le componenti, la narrazione e la comunicazione e successivamente verificare quale di questi fosse, appunto, quello pi consono per "osservare" i testi in esame. Il metodo utilizzato a tal fine stato quindi quello di procedere per eliminazione. Si scelto un elemento tra quelli analizzati secondo le diverse prospettive e si verificato quale di queste riuscisse a renderne conto in maniera pi esauriente sullo sfondo sempre dell'ipotesi esplorativa. In altre parole si sono prima osservati i testi da tutti i possibili punti di vista e poi, per mezzo di un particolare "parametro" applicato in maniera a questi "trasversale", si evidenziato quello da privilegiare. In sede conclusiva si proceduto infine all'interpretazione dei vari elementi messi in luce dalla disamina dell'oggetto d'analisi, svolta a partire dalla particolare prospettiva adottata.

1. PUNTI DI CONTATTO TRA ARTE E PUBBLICIT NELLA LORO CRONISTORIA

Nel corso dell'Ottocento l'invenzione della fotografia produce una rilevante frattura nei linguaggi visivi modificando lo statuto dell'immagine. L'atto di trascrizione manuale e concreto operato dalla pittura o dalla scultura, diviene un atto meccanizzato e "immateriale" della visione che (attraverso procedimenti particolari come l'ingrandimento) pu spingersi ad indagare la realt l dove non arriva lo sguardo naturale.

Ancora, attraverso il negativo fotografico, lo "scatto" originario pu essere riprodotto innumerevoli volte. questa possibilit di riproduzione tecnica che modifica il carattere complessivo dell'arte e che, in particolare, modifica la funzione dell'opera, come ha intuito Walter Benjamin in alcuni suoi saggi del 1936 pubblicati postumi nel volume L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit tecnica.

Prima della nascita della fotografia, all'opera d'arte era riconosciuto un valore "culturale": "avvicinarsi" ad essa per contemplarla prevedeva l'esercizio di un rituale molto complesso che contribuiva a connotare l'opera stessa pi come oggetto di magia o di culto che non di conoscenza. Ora l'opera riprodotta tecnicamente pu essa stessa "avvicinarsi" al suo pubblico dato che moltiplicando la riproduzione aumentano le possibilit di esposizione. In questo modo all'opera riprodotta sottratto l'hic et nunc dell'originale, l'ambito della tradizione (che costituisce il concetto della sua autenticit); essa non possiede pi la virt di essere testimonianza storica, di perpetuare un'eredit culturale. L'opera comincia, allora, a non essere pi apprezzata per l'"aura" che le si crea intorno, ma per le sensazioni che riesce a suscitare in chi entra in contatto con essa: ad un certo tipo di valore "culturale" si sostituisce un valore "espositivo". L'avvento della fotografia, quindi, da un lato interferisce con le funzioni tradizionali della pittura e con i suoi modi di rappresentazione e dall'altro, costituisce l'esperienza in base alla quale i linguaggi estetici e i linguaggi di massa cominciano a confrontarsi gli uni con gli altri. Si modificano allora il ruolo dell'artista visivo e il suo rapporto con il pubblico e si creano dei mutamenti nelle regole, nei confini e nelle funzioni delle forme artistiche (e qualcosa di simile sta succedendo in questi anni con i linguaggi elettronici e telematici).

Sempre secondo Benjamin, ogni forma d'arte si trova nel punto di incidenza di tre linee di sviluppo: ogni tecnica tende ad avvicinarsi ad una determinata forma d'arte; la ricerca di effetti particolari ad opera delle forme d'arte tradizionali finisce per concretarsi in una forma d'arte nuova; quest'ultima si avvantaggia dei nuovi modi di ricezione prefigurati dalle continue e a volte impercettibili, modificazioni sociali. Se tutto questo vero, allora si riesce a capire come il cinema sia stato la diretta emanazione della fotografia. Da un punto di vista "tecnico" risulta intuitivo comprendere il passaggio che si attuato dalle immagini statiche alle immagini in movimento; meno evidente, forse, il fatto che soprattutto con la nascita di un pubblico di massa si prefigurata la necessit di una forma d'arte che potesse soddisfare il criterio della simultaneit della visione collettiva. In pratica il cinema si avvantaggia delle novit apportate dalla tecnica fotografica per meglio adeguarsi alla ricezione e alle aspettative del nascente pubblico di massa.

L'immagine cui ci ha abituato la pittura un'immagine "totale" in cui la coscienza dell'uomo a elaborare la realt, mentre il divenire filmico nasce da una serie di immagini "isolate" (le singole riprese) che sono successivamente ricomposte (attraverso il montaggio) in un unicum originale, secondo una logica diversa per ogni film e in cui trovano manifestazione uno spazio e un tempo autonomi che sono "altri" rispetto a quelli della quotidianit. Questo perch si sceglie di muovere la cinepresa in un certo modo (essa segue o si allontana, ingrandisce o riduce, isola, interrompe, sale, scende e cos via) e perch non vi mai, in realt, corrispondenza tra il movimento dell'icona (che procede con una successione di 24 fotogrammi al secondo) e il movimento dell'oggetto rappresentato. Attraverso le potenzialit dell'obiettivo il cinema ci ha portato ad un approfondimento della nostra appercezione e ha conferito alla nostra immaginazione la possibilit di "vagabondare" in luoghi e tempi assolutamente lontani dalla nostra esperienza quotidiana. Da una poetica della contemplazione, del "sublime", si passati con l'avvento del cinema ad una sorta di poetica della "flnerie dell'immaginario".

Dunque il "sistema" dell'arte ha sempre intrecciato delle strette relazioni con i media ed proprio sullo sfondo di questa consapevolezza e in una generale prospettiva storico-culturale che si cercheranno di evidenziare i momenti pi significativi in cui la pubblicit (come forma di espressione mediatica) e l'arte hanno avuto dei momenti di contatto, di identificazione o di interferenza.

1.1. Tra Ottocento e Novecento: la rclameTra Ottocento e Novecento l'Europa attraversa una fase di rinnovamento in cui, parallelamente al consolidarsi dei fenomeni dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione del territorio, allo sviluppo del capitalismo e delle economie di mercato, si passa da un modello di societ "semplice" ad un modello "complesso". Al piccolo centro urbano si sostituisce la metropoli. In essa, grazie al proliferare di nuove aree adibite alla diffusione dei beni di consumo come le Esposizioni, i Grandi Magazzini e le vetrine dei negozi, cominciano a circolare nuovi valori e nuovi temi. Si inizia a parlare delle merci, dei beni di consumo, delle tecnologie e dei nuovi significati che essi veicolano in quanto inscritti nella logica nel nascente capitalismo. La comunit testimone della progressiva perdita di senso dei valori tradizionali, dei rituali e delle credenze di un tempo e ha bisogno di trovare nuove forme di simbolizzazione della realt. La pubblicit diviene uno dei mezzi privilegiati per esprimere tali necessit. Fino a quel momento il linguaggio e l'iconografia della pubblicit erano stati associati quasi esclusivamente alle merci di lusso, quasi a rimarcare la distanza incolmabile tra chi poteva permettersi tali beni e chi poteva solo sognarli. Ora, con l'espansione delle merci e col bisogno di veder aumentare la domanda di beni non strettamente necessari, prende forma gradualmente un linguaggio pi "democratico" della pubblicit in seno al quale si sviluppano delle vere e proprie strategie del desiderio e di attivazione di nuovi modelli di produzione e consumo, i quali contribuiscono da un lato a far progredire il progresso tecnologico e dall'altro, la nascente societ di massa. Inizialmente la comunicazione pubblicitaria a cavallo dei due secoli, definita rclame, non si basa ancora su una tecnica consolidata di creazione dei messaggi pubblicitari, ma si affida sostanzialmente all'estro creativo di singoli professionisti provenienti da settori tra loro diversi, quali artisti, tipografi, disegnatori, poeti e cos via. Nel tempo il linguaggio pubblicitario, avvalendosi di particolari tecniche e strategie, si evolve grazie alla capacit di servirsi della sua funzione persuasiva e promozionale, alla capacit di sapersi inserire all'interno di una generale logica di mercato (in cui la preoccupazione essenziale quella del mantenimento del contatto tra acquirente e consumo) e alle contaminazioni avvenute con i fenomeni artistici.

In tale contesto merita particolare attenzione il ruolo svolto dalle Esposizioni Universali. Esse sono costituite da vasti insediamenti territoriali in cui vengono pubblicizzate le tecnologie e le merci. Esse da un lato hanno polarizzato su di s l'interesse dell'intero sistema di produzione capitalista sensibile alla possibilit di poter promuovere i propri prodotti e le proprie tecnologie e di poter mettere in campo le strategie di comunicazione commerciale, dall'altro hanno costituito un polo di attrazione per l'immaginario collettivo grazie alla loro capacit di inscrivere le merci in un contesto spettacolare e suggestivo che ha anche contribuito ad accrescere le mitologie legate al progresso. Esse dunque assolvono le funzioni di socializzazione e modernizzazione oltre ad accelerare i processi di spettacolarizzazione sia delle merci stesse sia dei mezzi di comunicazione.

Attraverso la spettacolarizzazione delle merci messo in atto principalmente dalle Esposizioni e grazie ad un parallelo sviluppo delle tecniche e delle sperimentazioni nel campo della comunicazione, si instaura un legame tra i linguaggi degli oggetti di consumo e i linguaggi di quei mezzi di massa che vengono di volta in volta privilegiati. Dunque nelle Esposizioni si pu ricercare la matrice di quel tipo di rapporto strumentale che ha finito negli anni per legare la pubblicit ai mezzi di comunicazione. Tale relazione con i media ha subto per soprattutto con l'avvento della televisione un profondo cambiamento. Nel caso, ad esempio, dei primi annunci sulla stampa la pubblicit costituiva una sorta di "parentesi" che non produceva effetti sulle modalit comunicative proprie del mezzo. Con la radio e poi con la televisione invece la pubblicit intratterr un tipo di relazione "strutturale" per cui sar in grado di interferire sia sui linguaggi sia sull'evoluzione in termini economici e di consumo del mezzo stesso. Questo perch radio e televisione sono nati senza che ne fossero stati previsti i contenuti, ma solo come sistemi per "trasmettere" e "ricevere". A seguito dell'affermarsi della cosiddetta neotelevisione (anni Ottanta) e del film pubblicitario come lo intendiamo oggi, la pubblicit ha stretto col cinema un legame "indiretto". Infatti la pubblicit cinematografica non ha mai conosciuto una fase di grande sviluppo, ma la pubblicit televisiva ha mutuato dal cinema linguaggi, generi, atmosfere, testimonial e personaggi contribuendo a confermargli il ruolo predominante di "creatore di immaginario". Grazie all'interrelazione tra i diversi apparati di comunicazione (in particolare per quanto attiene ai manifesti, al cinema, alla televisione) e le diverse modalit discorsive pubblicitarie, il fenomeno della spettacolarizzazione che ha trovato la sua manifestazione originaria (per quanto attiene alle merci) nelle Esposizioni, tende nel tempo ad investire ogni aspetto della comunicazione moderna: partendo appunto dalle merci essa arriva all'editoria, all'informazione e, recentemente, alla fiction. Detto in altre parole, le Esposizioni hanno l'effetto di poter inserire i prodotti non solo in un contesto fisico, ma anche - e soprattutto - mentale. La merce non si limita pi a essere semplicemente mostrata, ma viene "raccontata" e messa in relazione con il consumatore.

A partire dalle Esposizioni del Novecento, si delinea un legame tra arte e mercato che predispone l'esperienza delle avanguardie storiche e il conflitto tra cultura "alta" e cultura di massa. Siamo nell'epoca in cui l'opera d'arte pu essere riprodotta tecnicamente e questo toglie all'opera originaria la sua "aura" e vale a dire il fatto di poter affrontare il passare del tempo senza mutare l'hic et nunc della sua nascita. L'opera riprodotta tecnicamente non porta pi in s la tracce della testimonianza storica, non pi autentica, non fa pi parte dell'ambito della tradizione. Ed ecco il punto: l'opera riprodotta viene attualizzata da quel fruitore, in quel momento della storia, in quella situazione. Finisce l'epoca dell'arte per l'arte e cominciano nella cultura a farsi strada nuove concezioni dall'arte "utile" al suo opposto e cio l'arte "pura" che respinge qualsiasi funzione sociale e qualsiasi determinazione da parte di un elemento oggettivo in quanto non pu rappresentare il reale perch essa stessa il "reale". E se la funzione dell'opera d'arte "autentica" poteva aver trovato la sua ragion d'essere nella reiterazione di un rituale (quello in cui aveva acquisito il suo primo e originario valore d'uso) ora, per via dell'elevato grado di esponibilit, la sua funzione non pi, per cos dire, prettamente "artistica". Anzi, questo valore che si pu definire "culturale" viene riconosciuto sempre pi come marginale a vantaggio di un altro valore: quello "espositivo".

Mezzo privilegiato di espressione della nuova cultura e del nuovo interesse dell'arte per il linguaggio delle merci il manifesto. Esso diventa un particolare tipo di testo che pu essere condiviso socialmente grazie allo spazio pubblico che occupa e grazie, in modo specifico, alla sua peculiare forza comunicativa che lo rende accessibile anche a chi non alfabetizzato. Fin da subito c' una tendenza che vede cambiare la concezione della merci che acquistano una propensione a perdere il loro valore d'uso a vantaggio di una loro caratterizzazione estetica. In questo modo comincia a rendersi evidente uno scarto tra i bisogni (soddisfatti dall'uso) e i desideri (la cui soddisfazione legata principalmente a dei fattori immateriali). Parimenti quello che permette alla forma-arte e alla forma-pubblicit di incontrarsi il fatto di avere posto in posizione di rilievo il fruitore e il suo immaginario.

possibile affermare che a partire dalla Rivoluzione Industriale l'opera d'arte cessa di essere fruita come pura manifestazione del bello e del metafisico e diviene la rappresentazione di un modello di sensibilit e di comportamento. Attraverso le Esposizioni da un lato e la specificit dei manifesti dall'altro, vi un vero e proprio scambio di identit tra arte e pubblicit. La spettacolarizzazione dei beni, quindi una loro caratterizzazione estetica, fa in modo che gli originali beni culturali vengano ad essere identificati come beni di "consumo" rivolti ad un gruppo eterogeneo di fruitori (non pi costituiti da un'lite colta e raffinata) permettendo quindi l'affermarsi di una comunicazione di massa.

Il manifesto un artefatto grafico che, per sua stessa natura, deve colpire l'attenzione dei passanti quindi sia l'elemento verbale sia quello visivo vengono valorizzati nella loro iconicit che deve condurre a forme seducenti di immediata percezione e di massima ricchezza informativa. Questo mezzo utilizzato fin dal XV secolo dopo l'invenzione della stampa a caratteri mobili, divenuto facilmente un luogo di contaminazione di linguaggi e di espressione di temi diversi. Ma nel XIX secolo che i manifesti assumono la loro valenza di strumento di comunicazione pubblicitaria. Ora, l'invito all'acquisto (o, come stato soprattutto all'inizio, la spettacolarizzazione dei progressi tecnologici e produttivi della nuova civilt metropolitana) pu essere rivolto ad un numero sempre maggiore di persone e costituire un valido strumento di differenziazione per i commercianti che cominciano a dover fare i conti con la concorrenza.

La funzione mediatica principale del manifesto pubblicitario quindi quella di attirare l'attenzione del passante distratto che si muove tra la folla e il traffico in aumento delle metropoli. Mutano i concetti naturali di spazio e tempo: i manifesti affissi sui muri moltiplicano i percorsi visivi e dell'immaginario attivando nella mente del passante una concatenazione di associazioni di tipo analogico. Il tempo e il raccoglimento che erano necessari alla contemplazione dell'opera artistica si frammentano e alla poetica del "sublime" va sostituendosi la poetica del "flneur".

In tale contesto si concretizzato il primo importante contatto tra gli artisti e il manifesto quale forma di espressione iconica persuasiva e suasiva.

Come ha scritto Simona De Iulio: "Le affiches francesi di fine Ottocento, [] sono un indizio della faticosa elaborazione di un'iconografia del moderno da parte di una societ in transito tra le forme della civilt preindustriale e quelle della cultura di massa". Diversi pittori si dimostrano pronti a mettere la loro opera di progettazione e di realizzazione al servizio dell'affissione, considerandola una variante della produzione artistica. Gli artisti francesi Jules Chret, Henri de Toulouse-Lautrec e Alphonse Mucha si dedicano allo studio delle linee e dei colori e alla ricerca di un legame pi stretto tra testo e immagine al fine di ottenere una maggiore concisione e incisivit comunicativa.

I manifesti per Le Moulin Rouge di Toulouse-Lautrec (1891) o di Chret, in particolare, si rivolgono direttamente al passante grazie all'interpellazione delle figure in primo piano che lo invitano a entrare metaforicamente in un luogo "altro" dal reale. Grazie al contributo estetico di questi autori, quindi, il manifesto raggiunge la propria autonomia espressiva e stilistica. Inoltre vi un processo inverso per cui molti pittori come Pablo Picasso, Juan Mir, Marc Chagall o Henri Matisse creano dei manifesti per pubblicizzare le proprie mostre personali, usando quindi la propria arte come mezzo di auto-promozione.

Gli italiani, invece, preferiscono dedicarsi allo studio di nuovi legami tra prodotto pubblicizzato e elementi decorativi. Spiccano per la loro originalit molti autori tra cui, solo per citarne alcuni, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz, Gino Boccasile, Giovanni Mataloni, Adolfo De Carolis, Duilio Cambellotti, Marcello Nizzoli, Achille Luciano Mauzan, Aldo Mazza e Aleardo Terzi. Per la maggior parte di essi l'attivit grafica svolta nel campo della cartellonistica un passaggio importante per la contemporanea (o successiva) affermazione nell'ambito della pittura.

L'attivit pubblicitaria di Cappiello risulta particolarmente significativa in quanto egli percepisce il fatto che in pubblicit fondamentale rendere la presenza della merce memorabile. Egli pur essendo principalmente un pittore (appartiene al gruppo dei pittori post-macchiaioli) riesce a fondare i suoi cartelloni su un linguaggio fortemente pubblicitario. Nell'elaborazione dei suoi manifesti la merce subordinata spesso ad un'immagine-simbolo che la rappresenta (egli era solito definire questa immagine sorprendente, ad alto impatto visivo come "arabesco"). Tale associazione tra simbolo e merce deve servire a rendere quest'ultima riconoscibile e facilmente memorizzabile. In tal modo il manifesto inventa e diventa un vero e proprio marchio. Il manifesto che d l'avvio a questo modo espressivo quello che raffigura una donna verde su un cavallo rosso con sfondo nero e scritte gialle, per la ditta Klaus produttrice di cioccolato. Altri modelli grafici possono essere individuati in: il cavallo rosso zebrato per Cinzano, il Pierrot che sputa fuoco per Thermogne, il Turco con la tazza per il Caff Martin, un folletto che esce da un'arancia, il gallo o l'orso bianco per Campari. In tal modo Cappiello ha anticipato quel fenomeno noto con il nome di "vampirizzazione" per cui si crea una cos stretta associazione tra personaggio e prodotto che quest'ultimo finisce per esistere solo come attributo del personaggio stesso (o addirittura rischia di essere dimenticato!).

L'elaborazione di immagini-marchio stata riproposta anche da Aleardo Terzi con la scimmietta per Dentol (1920) e con il famoso cane del Colorificio Italiano (poi Max Meyer, del 1921).

L'iconografia di Dudovich, invece, viene ricordata soprattutto per aver "messo in scena" gli agi della borghesia italiana nel periodo della Belle poque: l'eleganza, la mondanit, le corse dei cavalli, gli abiti eleganti, la "femminilit" gioiosa delle donne altolocate (non a caso l'interprete ideale per la moda femminile dei grandi magazzini Mele dal 1906 al 1914 e della Rinascente). In manifesti successivi, invece, si discosta da un certo stile Liberty abbandonando le tinte piatte e soffermandosi sulla resa dei volumi e sull'inserimento di veri e propri slogan: "A dir le mie virt basta un sorriso" per Kaliklor, "C' una Bugatti non si passa!" per le omonime autovetture e "Fisso l'idea" per gli inchiostri di Padova. E se lo slogan non presente, comunque il prodotto appare come protagonista assoluto, senza che l'artista senta il bisogno, a differenza del collega Cappiello, di creare delle associazioni cos come appare emblematicamente nel manifesto per il cappello Zenit, con il quale vinse nel 1911 il concorso Borsalino: nell'immagine assente qualsiasi figura umana a cui, per, allude in maniera sottile la "messa in scena" del prodotto. Si fa riferimento con molta probabilit alla visita galante di un gentiluomo che ha lasciato sulla poltroncina di un'elegante boudoir il bastone, i guanti e il cappello (che occupa la parte centrale del manifesto).

Nell'attivit reclamistica di questi autori, nel modo in cui mettono in contatto arte e pubblicit, possibile individuare alcuni tratti di quella stessa "artisticit" che sono rinvenibili anche nella figura odierna di pubblicitario. Tuttavia vi anche una profonda differenza in quanto oggi tale figura professionale si trova a dover comunicare a gruppi eterogenei di persone con i quali spesso non condivide posizione sociale e cultura (anzi, attualmente ci si sta avvicinando sempre pi ad una comunicazione studiata ad hoc per ciascun individuo), mentre la comunicazione di questi artisti, dalla fine dell'Ottocento e per molti anni a venire, si rivolge esclusivamente a quella limitata lite di persone con le quali l'autore pu condividere gusti e modelli di comportamento e di sensibilit. L'acquisto rimane un privilegio e su questo ci si pu permettere di ironizzare come capita con il cartellone per la Citron di Plinio Codognato (1923) in cui un uomo cerca di sfuggire al traffico arrampicandosi su un lampione. Non vi in pratica uno scarto tra l'autore e il suo pubblico, non vi tutto quel lavoro di mediazione tipico del pubblicitario moderno che deve studiare il target a cui di volta in volta si riferisce, cercando di coglierne gli atteggiamenti, il linguaggio, i gusti, i valori. Ci che importa ai "maestri" della rclame tutto nel manifesto e cio nell'ideare delle relazioni di volta in volta diverse tra disegno e nome del prodotto in modo da veicolare in maniera originale le informazioni ad esso inerenti. Tutte le componenti figurative contribuiscono ad accrescere la polisemia e il valore "estetico" della merce raffigurata. Proprio per il differente rapporto tra autore e pubblico che sotteso alla pratica pubblicitaria dei primi anni del Novecento (in pratica il fruitore colto, che in grado di apprezzare l'opera d'arte lo stesso che "comprende" il manifesto e che ha un certo potere d'acquisto) si pu parlare di questi primi "pubblicitari" pensandoli soprattutto come "artisti": essi, pur realizzando le loro opere con una precisa funzione pubblicitaria, possono rimanere fedeli alla loro abilit pittorica.

Come rilevano Francesco Casetti e Ruggero Eugeni la pubblicit di questo periodo, denominata rclame, svolge a livello istituzionale un'attivit di mediazione su un piano strettamente economico, serve cio a mettere in contatto il produttore e il consumatore attraverso un meccanismo di immediatezza che favorisca la circolazione della merce.

Nel caso della rclame, quindi, la comunicazione pubblicitaria diretta: l'emittente coincide con chi effettivamente produce il bene, il destinatario con chi lo acquista e il messaggio attesta semplicemente l'esistenza di quel prodotto assicurando una trasmissione di informazioni. I processi di simbolizzazione e di astrazione sono perci ridotti al minimo, mentre l'iconografia delle precedenti correnti artistiche ancora molto presente.

L'informazione reclamistica per essere accurata si serve della messa in scena. Essa permette di collocare il prodotto in un contesto che lo valorizzi sia esaltandone i particolari, sia attribuendogli una dimensione simbolica per mezzo di richiami mitici o decorativi o pittorici. Inoltre la messa in scena consente di aggiungere all'immagine del prodotto un'immagine di marca (per esempio raffigurando una fase del processo produttivo di quella merce) e di attirare l'attenzione dell'acquirente suscitandone il desiderio ( il caso dei manifesti che raffigurano l'uso del prodotto).

La comunicazione attuata attraverso la messa in scena richiama, sempre secondo Casetti ed Eugeni, il tema del potere: il poter essere dell'oggetto (la sua esistenza), il poter fare della fabbrica (il produrre; quindi un potere finanziario e politico) e il poter avere del consumatore (l'acquistare) che allo stesso tempo un potere d'acquisto e un potere simbolico, un indicatore di status, in quanto si ostenta la propria ricchezza.

Fin dagli esordi, dunque, la pubblicit si caratterizza come un'attivit che lavora sulle immagini, sulla "superficie" degli oggetti. Essa mette in gioco l'iconicit del prodotto attraverso la sua visualizzazione su porzioni di spazio quali muri o pagine e lo fa prescrivendone una fruizione disimpegnata e a carattere ludico. Nel caso della visualizzazione sul video come per il cinema e successivamente per la televisione, tali caratteristiche acquisteranno nel tempo sfumature diverse dovute fondamentalmente ad un diverso tipo di fruizione caratterizzante i due mezzi. Istituzionalmente tale compito si prefigura come un'attivit di mediazione tra aspetti che, altrimenti, non avrebbero alcun nesso causale.

La rclame quindi opera una mediazione tra la produzione di un bene e il suo acquisto. Il suo terreno d'esercizio lo scambio economico; essa deve assicurare la circolazione dei prodotti e del denaro informando il consumatore che un prodotto disponibile, che esiste.

Il manifesto si attesta in questi anni come uno dei media pi pervasivi mentre il cinema deve ancora conoscere un vero e proprio sviluppo di massa, cos come la pubblicit cinematografica, che rimane circoscritta al quartiere o alla citt in cui operano negozianti indigeni e piccole imprese a carattere locale.

1.1.1. Il futurismo

Il manifesto, dunque, rappresenta per tutte le avanguardie e in particolare per i futuristi, una forma di arte popolare capace di condurre ad un superamento dell'iconografia tradizionale ancora legata ai canoni della cultura dominante che considera l'arte come l'espressione dei valori e dei simboli dell'aristocrazia.

I futuristi che si dedicano all'attivit pubblicitaria come Filippo Tommaso Marinetti, Fortunato Depero, Marcello Dudovich avvertono cos la necessit di innovare il manifesto attraverso nuove forme e un linguaggio pi veloce che simulano l'attivismo, il dinamismo, la produzione, i nuovi rumori della civilt industriale e di massa.

L'artista moderno, secondo questi autori, deve prendere possesso di tutte le forme di comunicazione: stampa, cinema, fotografia, radio e, naturalmente, i manifesti. Non si tratta solamente di porre al servizio della comunicazione pubblicitaria la propria creativit, ma anche di gestire dall'"interno" le strutture e le strategie del linguaggio persuasivo "flettendolo" alle proprie esigenze programmatiche e artistiche come la propaganda al movimento; la contaminazione tra cultura alta e cultura bassa all'interno di un dispositivo - l'opera d'arte - che vuole essere il prodotto della tecnologia e del progresso.

I futuristi hanno voluto per un verso dare all'arte pubblicitaria pari dignit delle arti maggiori, per un altro "democratizzare" l'arte (farne una "avanguardia di massa") proponendola agli occhi di tutti, facendola uscire dalle gallerie e dai musei e questo scopo come poteva essere meglio raggiunto se non grazie alla commistione tra pubblicit e arte? La pubblicit diventa, allora, "sistema del fare arte" (a detta di Claudia Salaris). Viene cancellata la distinzione tra arte pura e arte applicata in modo che la dimensione estetica venga a contatto con il quotidiano sociale. Ma, forse, i tempi sono prematuri rispetto a questi obiettivi, perch il loro rapporto con la grande industria di tipo saltuario. Essi operano in una dimensione ancora legata alla piccola bottega e all'artigianato che non permette loro di rendere le loro opere effettivamente accessibili ad un vasto pubblico.

Comunque sia, i futuristi hanno diffuso l'idea secondo cui ora i linguaggi estetici si devono rapportare all'industria e alla comunicazione di massa; il loro merito, come dice Gian Luigi Falabrino, " di aver attivato la tematica dei linguaggi di massa" e di aver lasciato al prodotto la possibilit di far emergere fantasmagoricamente il proprio potere simbolico grazie allo slancio creativo e originale dell'artista. La pubblicit diviene un elemento imprescindibile: i suoi meccanismi di persuasione vengono attivati per diffondere le idee stesse del movimento e i prodotti degli artisti, oppure vengono introdotti veri e propri frammenti di pubblicit nelle opere stesse (come ad esempio fa Umberto Boccioni). Tale pratica rientra in un generale ripensamento del concetto di opera d'arte che diviene quindi "totale" e cio un'opera che si apre alle possibili contaminazioni con gli altri linguaggi e le altre tecniche. A differenza di opere cubiste, si pensi ad esempio a quelle di Picasso, in cui il frammento pubblicitario (brandelli di marche commerciali, lettere di insegne) viene inscritto come puro elemento compositivo all'interno dell'opera pittorica, per i futuristi la pubblicit (futurista) a funzionare essa stessa da opera d'arte (come avviene per il cosiddetto "libro imbullonato" di Depero, un volume dal titolo Depero futurista con la copertina in metallo rilegata tramite due bulloni, esempio di "opera futurista" che svolge, in questo caso, una funzione auto-pubblicitaria).

Essi capiscono che l'arte non pu limitarsi a ri-presentare e qualificare i prodotti industriali. L'opera, l'artista e il fruitore hanno bisogno di condividere quel linguaggio che permetta di superare la frattura del continuo e dell'unico pittorico praticata dalla fotografia prima (1839) e dal cinema poi (1895) con il loro far vedere solo frammenti del reale. Viene avvertita l'esigenza di sperimentare le nuove tecniche espressive e di scoprire i limiti a cui pu arrivare la visione e la sua significazione. Infatti, qualsiasi elemento di novit per quanto frammentario e non organicamente inserito in un sistema dell'arte gi prefigurato ha un valore estetico nel suo essere processo di ricerca, di attivit critica, di tensione verso nuove definizioni di creativit. Tali autori si inseriscono prepotentemente in questi inusuali universi comunicativi e li modellano rendendoli il pi possibile simili alla realt che essi osservano e cio caratterizzata dalla velocit (si diffondono le automobili), dalla pervasivit, dalla visibilit (le insegne luminose, i cartelloni, ), dall'efficacia. I ritmi stessi dell'evoluzione artistica che una volta erano scanditi dal passare di decenni o addirittura di secoli, sono molto pi convulsi. Questo perch, oltre al fatto che sono mutati i concetti stessi di tempo e spazio, gli artisti, scomparendo i committenti, sono costretti a lavorare per il mercato nel quale trovano riconoscimento e successo proporzionalmente alla novit delle loro proposte figurative.

L'artista, facendosi da tramite tra arte e vita attraverso i vari linguaggi visivi, pu quindi qualificarsi come "coordinatore percettivo". Affinch questo sia possibile, occorre anche creare nuovi spazi di fruizione dei codici artistici, occorre cercare delle "corrispondenze" nuove tra i vari frammenti che creino un unicum dove tout se tient. I media diventano il nuovo terreno d'azione dell'artista moderno e la continua sperimentazione non pu che portare ad una estetizzazione della comunicazione. Cos, anche se tra arte e industria non c' corrispondenza di intenti, si profila la possibilit per l'artista di intervenire sul senso della tecnologia alla ricerca di una nuova estetica. I nuovi mezzi vengono investigati e destrutturati e l'arte non pi un esercizio di stile, ma diventa ricerca, esperienza; si tratta di un divenire artistico capace di autoalimentarsi, annullando cos la distinzione tra arte e vita, tra arte cosiddetta "pura" e arte applicata senza che, per questo, quest'ultima venga sminuita.

1.2. Dagli anni Venti agli anni Cinquanta: l'advertisingNei primi decenni del Novecento si cerca una nuova definizione per quel modo di comunicare che comincia ad essere meno "casuale" e pi strutturato, che diventa una "scienza" spesso esteticamente rilevante. Alla base di questo cambio di prospettiva vi la nascita della societ di massa e il potenziamento del sistema industriale. I prodotti disponibili sul mercato aumentano e con essi (ma questo accadr pi avanti nel tempo) aumentano i potenziali consumatori, mentre si diversificano i loro desideri. Come ha scritto Falabrino: "La pubblicit nasce quando le industrie si sostituiscono all'artigianato, quando le vendite di un prodotto non avvengono pi nella bottega dove stato fatto, o nelle fiere dove il mercante si sposta di volta in volta, ma avvengono - contemporaneamente - in decine di negozi della stessa provincia e, pi tardi, in migliaia di negozi sull'area di un intero paese".

Della stessa opinione Vanni Codeluppi quando afferma: " comunque solamente a partire dagli anni Venti di questo secolo che la pubblicit assume la natura di un vero e proprio sistema industriale e di comunicazione che produce valori e modelli di comportamento e che contribuisce in maniera determinante alla creazione di una cultura di massa per la nascente societ dei consumi". Codeluppi insiste proprio sul fatto che il principio della visibilit che accomuna e fa procedere di pari passo da un lato la pubblicit (distinta dunque dalla rclame) e, dall'altro, la modernit in quanto sia la nuova massa delle metropoli che il numero crescente di prodotti circolanti sul mercato devono acquisire ciascuno un'immagine appropriata ed efficace che li renda distinguibili.

Nella disamina dei punti di contatto tra arte e pubblicit nella loro cronistoria possibile registrare l'uso comunicativo del manifesto in chiave propagandistica avvenuto con l'avvento del fascismo. Si tratta di notare il fatto che la comunicazione, nonostante l'uso particolare che ne stato fatto, ha rivestito un ruolo di centrale importanza.

Con l'avvento di Mussolini al potere, accanto ai cartelloni in pieno stile Liberty, troviamo una comunicazione per certi aspetti "atipica" che ha finalit ideologiche e di propaganda. Essa, da un punto di vista strettamente espressivo, si allontana dalla simbologia fino a quel momento dominante per appropriarsi dei miti classici come ad esempio il Mercurio alato. Alle figure evanescenti e leggiadre del Liberty, si affiancano le rappresentazioni dei lavoratori comuni, instancabili e fieri. Ora il "prodotto" da vendere uno solo: la figura del Duce e il fascismo.

Nel frattempo i futuristi continuano la loro attivit e il loro interesse per la pubblicit diviene pi concreto.

Depero, ad esempio, inizia nel 1926 la sua proficua attivit per Davide Campari che, dopo aver visto un suo quadro (Squisito al seltz) esposto alla Biennale di Venezia rappresentante due uomini al bar davanti ad un Bitter Campari decide di comprarlo e utilizzarlo come manifesto trasformando, quindi, un'opera d'arte in mezzo pubblicitario (si tratta di un'operazione interessante in cui un elemento del dipinto come l'insegna "Bitter Campari", peraltro in parte coperta, viene dapprima privata dal pittore della sua funzione commerciale e inscritta nel quadro come riferimento "neutro" all'arredo urbano e successivamente viene risemantizzata e ricontestualizzata dal nuovo utilizzo proposto dall'industriale Campari). Da questo momento Depero e Campari trovano un terreno d'azione comune in cui l'attivit dell'uno trae beneficio dall'attivit dell'altro. Campari sembra essere pi che convinto che l'intervento dell'"artista" possa recare dei vantaggi all'"immagine" del suo prodotto e Depero ritiene che la pubblicit ben si adatti alle esigenze del lavoro artistico essendo l'esemplificazione di un'arte popolare, viva e, soprattutto, moderna che ha pari dignit delle arti maggiori come la pittura. L'"arte pubblicitaria" risponde all'esigenza tipicamente futurista di riorganizzare "dinamicamente" la societ e per questo i contributi in questo campo investono sia i manifesti, sia gli allestimenti per le fiere, sia la grafica.

Davide Campari dimostra di essere molto favorevole agli interventi degli artisti dell'avanguardia anche in altre occasioni: sempre nel 1926 propone al pubblico il manifesto di Nizzoli (Campari, l'aperitivo), nel 1928 si affida allo stile futurista di Sinpico (Raoul Chareun), nel 1931 si rivolge ancora a Nizzoli (Bottiglia di Bitter su cabaret e Cordil).

Durante il ventennio fascista movimento industriale e pubblicit rimangono comunque sullo sfondo rispetto alle manovre del Duce, ma si possono ricordare alcuni eventi significativi che costituiscono i primi passi verso una "razionalizzazione" della pubblicit che presupponga una sua efficacia commerciale.

Nel 1922 nasce la prima scuola italiana di pubblicit; nel 1924 si costituisce la prima associazione pubblicitaria con un carattere ufficiale; compaiono le prime agenzie italiane (sono del 1930 la Enneci fondata da Nino Caimi e la IMA); si organizzano i primi Congressi.

Il risultato, come si diceva, un ridimensionamento della creativit e un suo indirizzamento verso le esigenze commerciali. Non mancano i nomi importanti, associabili a delle vere e proprie innovazioni. Innanzitutto Emilio Gergo, il quale per primo esprime la necessit di una teorizzazione capace, tra l'altro, di rendere conto del perch di certi insuccessi pubblicitari. Per questa sua capacit di analisi stato in grado di portare a compimento una vera strategia creativa per Campari. Dino Villani, poco pi tardi si rende conto che l'immagine aziendale dev'essere adeguata agli scopi prefissati, quindi dedica un'attenzione marginale alla pubblicit del prodotto per concentrarsi su una strategia globale di immagine aziendale. Oltre a creare per Motta il "Premio della Notte di Natale", ha un'altra intuizione, quella di rivolgersi agli opinion leaders per avere informazioni utili riguardo alle possibilit di mercato. In questi anni, inoltre nascono le campagne collettive (per le banane, il rayon, la birra, il riso e lo zucchero), le prime forme di sponsorizzazione (ad esempio quella della radio con l'offerta dei concerti), e di merchandising (Perugina lancia un concorso basato sulla raccolta di figurine).

Chiusa questa breve parentesi sul fenomeno comunicativo degli anni di piena espansione del fascismo, c' da ricordare un'altra novit importante, che ha segnato lo sviluppo della pubblicit soprattutto a livello di impatto visivo e, se vogliamo, di strategia, che comincia a farsi evidente a partire dagli anni Trenta grazie all'incontro tra futurismo, costruttivismo russo e Bauhaus. Il prodotto diventa il protagonista delle affiches che non sono pi puramente descrittive e lineari, ma che cominciano, invece, a suggerire quella modalit di fruizione della pubblicit moderna di tipo allusivo, metaforico e associativo, in cui assumono sempre pi importanza le relazioni figurative. Insomma ci che importa creare un impatto visivo che sia intimamente legato al prodotto e che si sleghi dalla logica della semplice rappresentazione. Si pu affermare che se prima la "forma-arte" ha condizionato la "forma-pubblicit", in quanto quest'ultima ha usufruito delle sperimentazioni compiute in ambito artistico per reinventarle e portarle all'interno dei circuiti comunicativi della societ di massa, ora la "forma-pubblicit" si rende autonoma, diventa linguaggio dal quale la "forma-arte" non pu prescindere se si pone il fine di essere fruita e non pi di essere esclusivamente contemplata. Essa adotta il rigore dello stile del Bauhaus e si rif alla tecnica fotografica e alla tipografia. I principali esponenti sono Antonio Boggeri che crea a Milano uno studio grafico nel 1933, nel quale convergono artisti come Bruno Munari, (il quale innova il linguaggio pubblicitario con il suo "Camminate Pirelli"), Erberto Carboni (che per primo comprende l'importanza della cosiddetta immagine coordinata, della comunicazione integrata del cliente), Remo Muratore e su un altro versante, operano coloro i quali si raggruppano attorno alla rivista connessa al movimento dell'astrattismo "Campo Grafico" (che esce nel 1933) diretta dal pittore Attilio Rossi, dal grafico Carlo Dradi e da un gruppo di tipografi. La pubblicit comincia ad assorbire i canoni estetici proposti dalla scuola di Weimar: la linea e la composizione geometrica vengono rivalutate e contrapposte all'ormai superata enfasi data ai colori piatti e saturi dai cartellonisti di vecchia generazione. Si possono ricordare, allora, le sagome lineari e scarne che hanno caratterizzato i protagonisti dei manifesti di Federico Seneca (ad esempio la suora per la pastina glutinata Buitoni). A riprova del diverso modo di rendere la profondit dell'immagine, emblematico il fatto che tale pittore solito realizzare preventivamente dei modellini di gesso, in modo da poter studiare e rendere in maniera appropriata nei suoi manifesti il volume delle figure (al contrario, appunto della resa coloristica dei cartellonisti precedenti che tendeva ad appiattire le immagini). Altra importante novit viene attuata da Sepo (Severo Pozzati), il quale nel 1928 firma un manifesto per Noveltex in cui compare solo un colletto bianco e nel 1934 crea il famoso panettone per Motta con la grande "M" rossa: il prodotto non viene pi necessariamente inscritto in un particolare sfondo compositivo, esso acquista una propria autonomia espressiva e significante. Sepo prima di tutto pittore, scultore e scenografo, ma il lavoro che svolge nel campo pubblicitario con tanta maestria, lo porta ad essere chiamato dai francesi a dirigere l'importante agenzia pubblicitaria Dorland.

Il sistema produttivo continua a svilupparsi velocemente e con esso nascono nuove modalit di consumo e nuove ideologie che fanno della scelta del consumatore un'operazione delicata.In questo caso il discorso pubblicitario si preoccupa di riconoscere e articolare il legame tra l'atto della produzione e dell'acquisto e di far ottenere alla merce una legittimit, cio deve assicurare che essa soddisfi tutte le necessit (interne) del consumatore. Tale legittimazione affidata al recettore-consumatore attraverso la sua interpellazione diretta. Egli diventa, cos, il vero soggetto pubblicitario la cui identit ideale pu figurativizzarsi in un testimonial (in genere un divo del cinema), oppure pu essere direttamente invitato a partecipare alla scena rappresentata attraverso un appello: per mezzo di scritte alla seconda persona; di sguardi diretti, di dita puntate dei personaggi raffigurati; di spazi che cercano di travalicare i bordi del quadro per includere lo spazio al di fuori di esso, cio lo spazio pi vicino al fruitore. Tutto, insomma, costruito attorno al destinatario della comunicazione per coinvolgerlo emotivamente, per evocare i suoi desideri, per sedurlo oltre che persuaderlo. Si legge in questo l'esigenza di rivolgersi pi al singolo consumatore che alla massa indistinta. Il consumatore diventato sia colui per il quale si agisce, ma anche colui grazie al quale la comunicazione viene attivata.

L'opera di mediazione messa in atto dalla pubblicit in questo caso quella che avviene, appunto, tra bisogni e consumi. Le merci si sono differenziate ed ecco che per il consumatore possibile scegliere il prodotto pi vicino alle proprie esigenze: la pubblicit sente la necessit di creare dei collegamenti tra bisogno e consumo, tra desideri e soddisfazioni e non solo tra produzione e acquisto. Il bisogno scarta verso il desiderio e il desiderio produce uno stato di tensione verso quel qualcosa che lo possa colmare, sia esso un bene materiale o il sogno ad esso associato. La pubblicit riveste quindi i prodotti di "desiderabilit" attingendo al grande serbatoio dell'immaginario collettivo e assicurando, in tal modo, le condizioni sociali o psicologiche (oltre a quelle economiche) della circolazione delle merci. Per queste ragioni, secondo Casetti e Eugeni, in questa fase, in cui lo stato di tensione un fatto totalmente interno al consumatore, si esplica la dinamica del volere, quindi, i desideri, le motivazioni, le tentazioni che sono alla base dei sogni del destinatario.

Attingere alle forme dell'immaginario, sedurre, interpellare, stimolare i desideri pi segreti dell'inconscio, portano il cinema ad essere il principale luogo di circuitazione della pubblicit. Fin dalle sue origini che risalgono al 1895 quando i fratelli Lumire proiettano al Gran Caf des Capucines di Parigi una serie di brevissimi film ad un pubblico pagante, il cinema si presenta come un sistema codificato di produzione di senso. Esso passa rapidamente da una fase di produzione "artigianale" a una fase di produzione "industriale" che mira a raggiungere il grande pubblico. Nel frattempo sviluppa altrettanto velocemente il suo "linguaggio" perfezionando la sua prerogativa di resa "illusionistica" della realt che supera di gran lunga quella della fotografia. La "realt" cos rappresentata permette una nuova circolazione delle immagini e un ampliamento delle capacit percettive dei suoi spettatori. Dunque il cinema diviene un dispositivo tecnologico il cui linguaggio appare sempre pi come un terreno di possibili sperimentazioni anche estetiche.

Inoltre con l'avvento del sonoro (tra il 1928 e il 1930) e successivamente del colore, ma soprattutto grazie al successo del nostro neorealismo e del recupero dei film e dei "divi" americani che attirano un pubblico molto numeroso, il cinema italiano del secondo dopoguerra si trova a vivere una stagione di grande successo che produce i suoi effetti anche sugli investimenti nella pubblicit cinematografica che aumentano notevolmente.

Intanto nel Regno Unito (esattamente nel 1936) viene attivato il primo regolare servizio televisivo, la BBC (British Broadcasting Corporation) che costituir il modello per le emittenti televisive del resto dell'Europa. La televisione pubblica del Regno Unito nasce completamente svincolata da qualsiasi funzione commerciale; essa deve informare, educare, divertire. La pubblicit, dunque, non prevista dal servizio televisivo anglosassone che deve trarre sostentamento esclusivamente dal pagamento di un canone da parte del pubblico, cio di una tassa sul possesso dell'apparecchio (ma dagli anni Sessanta costretto comunque a far ricorso ai finanziamenti della pubblicit).

Negli Stati Uniti, viceversa, lo sviluppo del mezzo televisivo fin dall'inizio finanziato interamente dagli sponsor che ne decidono la programmazione. Questa viene spesso progettata da un'agenzia di pubblicit affinch siano ideati programmi dai contenuti attinenti agli scopi perseguiti dagli sponsor. Nel 1941 allora cominciano le trasmissioni del primo canale televisivo commerciale al mondo (WNBT), con una pubblicit degli orologi Bulowa.

In Italia la questione se far rientrare la pubblicit o meno in un servizio a carattere "pubblico" porter al compromesso di Carosello, una struttura che rappresenta un vero avvenimento storico, ma soprattutto culturale, e che, date le sue caratteristiche cos originali, otterr dei riconoscimenti anche al MOMA di New York.

Tuttavia attraverso il lavoro della avanguardie che arte e pubblicit trovano dei punti di contaminazione, come nel caso gi descritto dei futuristi per i quali l'arte, per essere tale, deve essere pubblicitaria e parimenti trovano dei punti di interferenza, come, in particolare modo, per i dadaisti e i surrealisti che esplorando i meccanismi della percezione o dell'inconscio, suggeriscono ai pubblicitari nuove strade da attraversare.

1.2.1. Dadaismo e surrealismo

I movimenti delle avanguardie, da un punto di vista ideologico, si pongono in violento e radicale contrasto con i valori espressi dal positivismo di impronta borghese. Vi un atto di sfiducia nella ragione e nell'idea che il progresso scientifico serva da solo a far evolvere anche il progresso sociale e umano.

Il movimento dada discende in parte dal futurismo. I dadaisti propongono una totale destrutturazione della realt culturale e sociale sullo sfondo di un agire anarchico. Sul piano della poetica bisogna riconoscere al movimento di essere riuscito, per primo, a fare effettivamente tabula rasa dei vecchi modelli culturali e di aver legittimato l'improvvisazione e l'assurdo intenzionale come canoni estetici, negando che l'opera d'arte debba per forza essere organica e intenzionalmente comunicativa o rispondere ad una logica di mercato. Per i dadaisti non esiste pi pubblico, n mercato, esiste solo il messaggio o, pi precisamente, un'anti-comunicazione, uno choc grazie al quale si nega la fruizione perch si nega sia l'adeguamento al sistema culturale e artistico dominante sia ogni riconoscimento sul piano etico e culturale del presunto progresso apportato dal sistema di produzione industriale. Solo facendo in modo che il messaggio non si assoggetti alla logica industriale possibile operare per mezzo di esso un progetto generale di continuo rinnovamento estetico, svincolato da ogni legge economica.

Ed proprio nell'anti-opera dadaista per eccellenza, il collage, che trova posto il linguaggio pubblicitario. Esso, assieme al linguaggio del quotidiano o del mondo industriale, diventa il modo per rendere "estetico" anche quello che per sua natura non lo ; perch tutto ci che nella realt quotidiana ci circonda pu sviluppare una propria funzione estetica.

Dallo scioglimento del movimento dada nasce il surrealismo. Sul piano della poetica l'intento di rendere l'uomo libero viene attuato attraverso l'automatismo psichico alla ricerca di un'arte che arrivi a sondare gli aspetti pi profondi e nascosti dell'inconscio. La realt del pensiero pu emergere laddove non vi sia alcun controllo operato dalla ragione, o preoccupazione estetica o morale. Ecco, allora, l'alogicit, lo scarto alla norma linguistica, il nonsense, l'assurdo, che scardinano i principi di non contraddizione, di causalit e di vettorialit temporale delle opere.

I pubblicitari hanno colto l'importanza di questa ricerca sulle forme dell'inconscio e se ne sono serviti per creare nuovi effetti visivi carichi di emotivit e in grado di evocare le simbolizzazioni affettive dei sogni.

Dadaismo e surrealismo permettono di spostare l'attenzione sul meccanismo che regola il rapporto tra soggetto e oggetto, sulle relazioni che si instaurano tra inconscio e desideri. L'oggetto viene "smaterializzato", privato delle sue finalit utilitarie, per essere ricondotto (come limite, biffa) al flusso delle nostre rappresentazioni mentali che hanno tempo e spazio propri, che si susseguono in maniera asindetica e spesso incongrua: l'opera intesa come sintesi cessa di esistere ed emerge l'idea di un'opera "aperta", tesa alla ricerca di quel punto dello spirito in cui non esiste pi contrasto.

Se i dadaisti utilizzano elementi pubblicitari in chiave ironica o parodistica soggettivando la percezione (quindi lo sguardo che investe l'opera), i surrealisti "riconsegnano" alla collettivit gli oggetti del mondo o secondo un "impulso creativo" dell'inconscio, o attraverso la rappresentazione di una realt fantastica che metta in dubbio lo statuto della percezione. Lo stile di alcuni pittori surrealisti trova origine nella forza rappresentativa dell'illustrazione pubblicitaria privata delle sue potenzialit comunicative. Ren Magritte, ad esempio, lavora a lungo nella pubblicit (apre anche una propria agenzia, lo studio Dongo) facendo in modo che l'illustrazione "illusionistica" della pubblicit serva ad attestare la rappresentazione del quotidiano, della "realt". Si trovano, infatti, le stesse immagini sia nelle illustrazioni pubblicitarie che nei quadri in un gioco che mira a confondere scopi e categorie estetiche.

Ora la pubblicit, summa di tutte le arti popolari, grazie alla sua pervasivit, alla sua capacit di ri-ordinare e ri-creare ad infinitum, ha appreso le capacit necessarie per ridefinire ogni categoria del vivere: i principi, la morale, i valori, le aspirazioni, l'immaginario, le regole. In tal modo si prepara il terreno ad una nuova sensibilit del pubblico, il quale, passati gli anni dell'entusiastica e acritica accettazione del nuovo diventa pi sensibile e in grado di osservare e giudicare i linguaggi di massa.

1.3. Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta: la publicityAll'indomani della seconda guerra mondiale l'Italia attraversa un periodo in cui si sviluppano notevolmente i consumi anche per il diffondersi del modello di vita americano (che si affermer definitivamente verso la met degli anni Sessanta). La storia della pubblicit naturalmente segue (e segna) questa fase di "ricostruzione": si sente il bisogno di nuove strutture, nuove idee, nuovi linguaggi. Agli studi dei cartellonisti, agli studi grafici e alle ancor poco strutturate agenzie, si affiancano (grazie allo sviluppo dei consumi che attira gli investimenti esteri) le prime agenzie straniere (soprattutto anglosassoni) "a servizio completo" come la Lintas (1948), la Thompson (1951), la CPV(1952), le quali usufruiscono di nuovi mezzi di ricerca come il marketing, le indagini di mercato o quelle psicologiche e sociologiche. In pratica si comincia a capire che il lavoro pubblicitario non sempre e solo orientato alle vendite, ma pu anche essere orientato a creare nella mente del consumatore un atteggiamento favorevole nei confronti delle merci (e soprattutto verso quelle merci la cui novit viene guardata con sospetto o con timore, come nel caso dell'introduzione nello spazio domestico dei primi elettrodomestici che hanno mutato in primis il ruolo delle casalinghe). In questa fase, quindi, le agenzie sono marketing oriented e il lavoro "creativo", individuale, dei vecchi artisti viene subordinato alle esigenze di tutto lo staff d'agenzia. I modi di questa "nuova pubblicit" possono apparire molto argomentati e razionali e poco divertenti o informali. Questo perch lo sviluppo dei consumi, seppur presente, non cos rapido come negli Stati Uniti. Il reddito medio pro capite bassissimo e i valori predominanti (il sacrificio e il risparmio) sono ancora legati al periodo bellico.

In questo contesto fanno eccezione due grandi artisti italiani che continuano a disegnare i loro manifesti seguendo il loro "intuito" creativo: Armando Testa e Dino Villani. I manifesti di Testa (che nel 1956 trasforma lo studio grafico che aveva fondato dieci anni prima in una agenzia di pubblicit, la Armando Testa) costituiscono un esempio dell'influenza reciproca tra arte e pubblicit. La grafica aveva gi accettato alcuni moduli compositivi dei cubisti o dei surrealisti e Testa rielabora questi modelli innovandoli al punto di creare uno stile di grande immediatezza visiva e di estrema sintesi, sempre carico di quell'umorismo che il marketing tende in questi anni a penalizzare. La sua creativit abbraccia tutte le arti visive: dai cartelloni, ai marchi, alle confezioni, ai personaggi delle storie televisive ("Caballero e Carmencita" per la Lavazza o "Il pianeta Papalla" per la Philco), ai film pubblicitari come quello interamente costruito sul jingle "Appuntamento yes, con Punt e Mes" (1962) o quelli pi umoristici come "La pancia non c' pi" di Mimmo Craig per l'Olio Sasso (1968), "Ma che sono io, Babbo Natale?" per la Bistefani(1984) con la regia di Paolo Pratesi. O ancora l'utilizzo di tecniche miste come nel caso della macchia personificata per la candeggina Pu nel film pubblicitario interpretato da Angela Finocchiaro.

Nel 1954, intanto, viene inaugurato il servizio televisivo italiano. C' un solo canale (il cui nome Programma nazionale) e ci sono molte aziende che chiedono di potervi inserire della pubblicit. Questo possibile in base ad una Convenzione stipulata tra la Rai e il Ministero delle Poste nel 1952. Tale pubblicit, secondo l'accordo, deve "essere contenuta nelle forme pi convenienti per non recare pregiudizio alla bont dei programmi". Dal 3 febbraio 1957 al 1 gennaio 1977 va dunque in onda Carosello, una sorta di compromesso tra la nascente ideologia del consumo e l'atteggiamento anti-industriale e anti-moderno di parte della societ italiana. In base alle Note per la realizzazione della pubblicit televisiva redatte dalla Sacis per controllare la pubblicit, ogni comunicato deve essere costituito da 100 secondi di "spettacolo" non pubblicitario e da 35 secondi di pubblicit vera e propria. La prima parte, in cui assolutamente proibito qualsiasi riferimento esplicito alla merce deve, da sola, rappresentare un evento spettacolare autonomo. In una fase ancora iniziale del fenomeno, nel cosiddetto "codino" (la seconda parte), il prodotto, ad esempio, pu essere nominato fino a cinque volte. A queste disposizioni di base, ne sono poi seguite molte altre. Lasciando da parte i motivi politici e ideologici che sottostanno alla nascita di Carosello, utile ricordare brevemente i motivi di innovazione che esso ha apportato e il perch del suo enorme successo.

Quella che sembra costituire una difficolt insormontabile per i pubblicitari di allora diventa l'elemento su cui far leva per dimostrare la propria abilit: riuscire a creare una forte relazione tra lo "spettacolo" e il "codino". Su questo aspetto si fondata una tendenza nel modo di fare pubblicit alternativa a quella importata dai modelli americani cos seri e "a prova di test". Un maestro nel trovare i collegamenti pi umoristici e "assurdi" tra intrattenimento e prodotto Marcello Marchesi, ma anche altri sceneggiatori e talenti del variet contribuiscono a costituire un vero e proprio Italian Style. Oltre a questo, Carosello, contribuisce a introdurre il fenomeno del "divismo" in pubblicit: volti noti dello spettacolo (attori, cantanti, presentatori televisivi) e registi famosi danno il loro importante contributo per attestare le caratteristiche positive della merce che si impegnano a rappresentare. Per la regia si parte da Luciano Emmer, per arrivare a Ermanno Olmi (Nescaf, Asti Cinzano, Ciao Piaggio), Pupi Avati (Cynar), Gillo Pontecorvo, Dino Risi, Sergio Leone, i fratelli Taviani, Nanni Loy (Polaroid) e molti altri. Anche in questo fattore si nasconde un motivo del successo di Carosello.

I consumi vengono associati al linguaggio della favola e al fascino dei divi, essi vengono vissuti come un mondo di magia che bene pu esorcizzare il mito del risparmio dopo anni di grande povert. Con il suo rituale Carosello riesce a veicolare in maniera quasi pedagogica l'intero sistema dei consumi e la necessit di nuove convenzioni sociali. Con la sua struttura che permette ad ogni azienda un solo ciclo di sei spot a distanza l'uno dall'altro di dieci giorni, Carosello suscita nello spettatore un particolare godimento estetico provocato dal ritorno del gi noto. Chi guarda vive con gioia l'epifania di un personaggio a cui si affezionato e che, dopo un po' di tempo ricompare sullo schermo magari inaspettatamente. In sintesi Carosello si conquista la simpatia del pubblico grazie al divertimento che suscita e in questo modo riesce a dare popolarit alla pubblicit che stenta ad essere accettata a causa dell'atteggiamento antimodernista della classe dominante.

Un altro fattore che in questi anni d un forte impulso alla nascita di nuovi modelli di riferimento e stili di vita il diffondersi dell'american way of life, un modello imperniato sul mito del successo, sulla competizione, sulla democratizzazione del benessere individuale che contribuisce a creare un atteggiamento pi favorevole nei confronti dei diversi beni industriali proponendoli come un segno tangibile del miglioramento socio-politico in atto e un mezzo utile per l'acquisizione di un ruolo attivo all'interno del sistema di consumo (per dirla con Francesco Alberoni, i beni svolgono in questa fase una funzione "di cittadinanza").

Dal 1963 opera in Italia, al di fuori dello scenario televisivo, una nuova agenzia americana che finisce per fare scuola. Si tratta della Young & Rubicam frequentata, tra gli altri, da Emanuele Pirella. Con essa iniziano a prendere consistenza il concetto di creativit e i lineamenti di una moderna cultura della comunicazione. Grazie all'attivit di famosi fotografi, illustratori o registi (come Art Kane, Richard Avedon, Bookbinder) nasce l'art direction italiana. Sta avvenendo un grande cambiamento che trover massima espressione negli anni Ottanta. Se fino a questo momento la creativit pubblicitaria si riferiva al layout, quindi alla parte grafica, "ferma" del progetto comunicativo (e di conseguenza il vero protagonista del progetto di lavoro era il fotografo) ora, con l'esplosione del mezzo televisivo, comincia ad assumere un'importanza centrale e strategica la campagna audiovisiva e di conseguenza si rende necessario il contributo di una cultura e di una professionalit cinematografica che sia in grado di far fronte alle nuove esigenze espressive dei film pubblicitari. Tutto il lavoro creativo tende allora, a orbitare attorno alla figura del regista.

In questo contesto il discorso pubblicitario assume un nuovo obiettivo. Oltre a informare dell'esistenza di un prodotto e a interrogare il destinatario su cosa ne pensa, costruisce un universo esistenziale appropriato alla merce, la contestualizza, offre le risposte ai possibili interrogativi del consumatore, ne soddisfa le curiosit; in altre parole agisce sul versante del sapere.

Riprendendo, anche in questo caso, quanto detto da Casetti e Eugeni, si tratta di un sapere che ha a che fare sia col "sentire" che col "credere" e che oscilla tra la sensibilit individuale e l'opinione. Questo sapere pu focalizzarsi sull'oggetto pubblicizzato e quindi presupporre che il destinatario possieda gli strumenti linguistici o pratici per riconoscerlo e catalogarlo. Oppure pu focalizzarsi sul soggetto ricevente al quale si chiede di esplorare il suo universo interiore e di prendere coscienza di s e dei propri bisogni. La pubblicit "insegna a sentire" perch mette in gioco la sensorialit e l'affettivit, ma insegna anche a "sentire con" (qualcuno con cui vogliamo condividere un'esperienza) e a "sentire per" (grazie a certe pratiche recuperiamo il mondo dei nostri affetti pi lontani). Il terzo oggetto su cui si pu focalizzare il sapere quello dei comportamenti inter-soggettivi, un "saper stare" che serve come chiave di lettura per non perdersi nella complessit dei rapporti sociali.

L'ideazione di un appropriato contesto comunicativo pu riguardare il prodotto o lo stesso discorso pubblicitario che svela i suoi meccanismi dichiarando la sua natura. Nel caso del prodotto si evidenzia l'atmosfera che l'uso del prodotto vuol ricreare nella mente del consumatore (vedi le campagne per Barilla o Marlboro), oppure si punta a ricreare ad hoc una situazione di consumo (Averna, Buitoni, Heineken, ) o ancora si cerca di attrarre l'attenzione attraverso la paradossalit dell'ambientazione; nel caso del discorso abbiamo spot che si riferiscono ad altri spot, spot che recuperano in maniera nostalgica campagne del passato, spot che annullano ogni informativit del messaggio, spot che citano le opere pittoriche o letterarie.

Quindi micro-racconti e meta-pubblicit assumono una nuova funzione e cio quella di distogliere l'attenzione del consumatore dalle caratteristiche "materiali" del prodotto considerato in s e per s, per proiettarla in una dimensione pi legata alla sensibilit e alla soggettivit del sentire. La merce si fa pi "immateriale", ma anche pi facilmente inseribile nel mondo personale e sociale del recettore. E il suo valore direttamente proporzionale al grado di fruibilit del discorso fatto su di essa.

Negli anni della publicity vi una situazione di pluralit mediatica: il primato spetta alla televisione che si afferma come il principale mezzo di comunicazione di massa favorita anche dallo svilupparsi delle prime Tv commerciali. C', poi, la fotografia che sviluppa, sull'esempio americano, la capacit di attivare le dinamiche dell'inconscio, di sedurre o di provocare. Si possono allora ricordare le foto per i jeans Levi's o per i Jesus, quelle per la birra Peroni o le discusse foto di Oliviero Toscani per la United Colors of Benetton.

Il cinema perde la sua posizione di leader nel far circolare i miti e le storie sedimentate nell'immaginario collettivo, ma costituisce comunque un dispositivo a cui la pubblicit televisiva fa costantemente riferimento: prima attraverso la consuetudine di servirsi dei divi del cinema come testimonial, poi attraverso la citazione diretta o indiretta di testi cinematografici (come lo spot del Tonno Palmera costruito sul modello di Indiana Jones); il riferimento a generi come il western, la fantascienza (il "marziano" della Kodak), l'on the road, il noir; l'allusione ad un determinato film (come Blade Runner ); la citazione ironica (come per il film pubblicitario per le caramelle Golia del 1980, che si riferisce a Prova d'orchestra di Fellini).

1.3.1. Verso la neotelevisione

Dopo tante promesse di benessere inficiate dalla scarsit di strutture pubbliche e di servizi di prima necessit, tra il '68 e i primi anni Ottanta la delusione degli italiani si esprime attraverso forme di contestazione anticonsumistica e anticapitalistica che comunque rimangono limitate a certe lites culturali, ai gruppi giovanili, alle donne e agli emarginati.

Un libro emblematico, che preannunciava questo clima di acceso dibattito, era gi stato tradotto in Italia nel 1958. Si tratta del noto I Persuasori occulti (The Hidden Persuaders) di Vance Packard che ha inaugurato la stagione della contestazione culturale radicata soprattutto nell'ideologia del marxismo anti-capitalista e nella cultura "bianca" anti-industriale. Seguono negli anni a venire gli studi sociologici (soprattutto quelli di Lazarsfeld e Duesenberry ), mentre dopo il Sessanta viene tradotta la pi radicale critica marxista di Adorno e Horkheimer. In questi anni viene, dunque, negata qualsiasi legittimazione alla pubblicit che rappresenta per i consumatori un mezzo per l'asservimento ideologico. Ma tale tentativo di contestazione finir per soggiacere di fronte al colossale sistema industriale e le stesse lites contestative e le loro proposte perderanno il loro spessore ideologico e diventeranno "fenomeni di moda".

Con la crisi economica del '71 - '72 (accompagnata da una forte contestazione sindacale) e quella petrolifera del '73 - '74 la pubblicit diviene l'emblema dello spreco e di uno sviluppo economico insensato e pericoloso; cos le grandi agenzie internazionali sembrano mettersi da parte a favore di strutture pi piccole e pi dedite alla qualit estetica come le cosiddette boutiques creative o i gruppi di free lances. I creativi cercano nuovi stimoli e pi "calore", vuoi con un ricorso alle immagini erotiche e ad un linguaggio allusivo, vuoi con un ritorno all'"artistico", al manifesto in stile "psichedelico"(come lo definisce Falabrino), vuoi con il ricorso agli stereotipi culturali dell'epoca: "l'ecologia, la contestazione, l'happening, gli amori di gruppo, la proiezione fantascientifica, il femminismo, il kitsch, il desiderio di terre lontane, il sit-in, la nuova pedagogia, le formule magico-chimiche, gli echi letterari ". Quello che conta, ora, recuperare la naturalit e la genuinit dei prodotti tipiche dei tempi dell'artigianato.

Negli anni Settanta si prova a infrangere il monopolio detenuto dalla RAI; nasce la prima radio privata (Radio Sicilia Libera) le cui trasmissioni durano, per, solo ventiquattro ore. Nel 1971 trasmette la prima televisione via cavo, Telebiella che viene imitata da altre emittenti dello stesso genere. Il governo, allora, modifica il Codice Postale annoverando anche "il cavo" tra gli impianti le cui trasmissioni necessitano di autorizzazione ministeriale. Dopo essere stata disattivata, Telebiella reagisce in giudizio e il 10 luglio 1974 la Corte costituzionale emana le prime due sentenze sulla radio e sulla televisione. Con la sentenza n. 225 si ribadisce la legittimit del monopolio televisivo via etere a patto che rispetti alcune condizioni (che nella fattispecie mancavano). Con la sentenza n. 226, la Corte stabilisce la legittimit degli impianti di televisione a carattere locale via cavo. In tal modo Telebiella pu riprendere le trasmissioni. Sempre nel 1974 un imprenditore di Milano, Silvio Berlusconi, inaugura TeleMilano 2, mentre nascono numerose radio. Di fronte alla predominanza delle televisioni straniere che utilizzano i ripetitori italiani per trasmettere via etere, si pronuncia ancora la Corte costituzionale che, con la relativa sentenza n.202 del 28 luglio 1976, dichiara illegittimi gli articoli 1, 2 e 45 della legge del 14 aprile 1975 n.103, nella parte in cui non sono consentiti, previa autorizzazione statale, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale (e sulla definizione del concetto di "ambito locale" la Corte costituzionale invita il Parlamento e il Governo a fare chiarezza).

In pratica cade il monopolio Rai. A questo punto le cosiddette "tv libere", o "commerciali", esplodono e arrivano ad essere quasi cinquecento. Concessionarie come la Manzoni, la Spi, la Spe, ritengono proficuo cominciare a gestire la pubblicit di queste emittenti che nel giro di un anno, dal 1978 al 1979, vedono il loro fatturato quintuplicare. Si preannuncia l'esplosione dei network.

Il 1 gennaio 1977 va in onda l'ultimo appuntamento con Carosello. Nel 1978 la televisione trasmette a colori e Berlusconi crea Tele Milano che, due anni dopo, diviene Canale 5 il primo network italiano che si propone di trasmettere in tutto il paese.

Il vero sviluppo della pubblicit avviene, dunque, in questi anni. Le concessionarie comprano sui mercati principali e soprattutto in USA altri programmi visto che i magazzini delle case di distribuzione cominciano a segnalare il tutto esaurito.

Gi nel 1983 la TV di Berlusconi supera in audience e fatturato (e per di pi in prime time) la Rai. Le nuove reti non offrono solamente pi spazio agli inserzionisti, ma offrono l'accesso alla pubblicit a tutte quelle aziende che fino ad allora ne erano rimaste escluse. In questo decennio aumentano gli investimenti nella pubblicit oltre che nelle forme alternative della comunicazione d'impresa. E tale crescita non dovuta solamente all'introduzione delle tv private, ma anche ad altri fattori quali l'aumento dell'imprenditorialit italiana, la maggiore propensione al consumo, la nascita della grande distribuzione (e quindi della brand image, della corporate image e della product image), il diffondersi di nuovi mezzi.

Proprio nell'incremento della grande distribuzione bisogna leggere l'evoluzione della "forma-pubblicit" che ora pu rivolgersi anche ai pi giovani un tempo destinatari esclusi dalla comunicazione in quanto non ancora in grado di essere considerati acquirenti a tutti gli effetti. E per creare attenzione e consenso la pubblicit deve divertire, "deve divenire il lato estetico del momento del consumo". Essa diviene allora pi giocosa, ironica, tende a raccontare piccole storie al limite del fantastico con ritmi sempre pi sincopati. Sempre grazie alla grande distribuzione si assiste ad un altro fenomeno. Ora la marca diviene un fattore rilevante nella scelta d'acquisto del consumatore perch gli permette di dare un orientamento preciso alle sue scelte definendo un sistema di corrispondenze tra ogni merce presente sul mercato e i suoi attributi. Essa, poi, diventa spesso sinonimo di qualit e questo riduce di molto l'ansia di dover scegliere tra prodotti apparentemente simili. Per l'azienda diventa centrale fare in modo che la propria marca esprima chiaramente le qualit che differenziano il proprio prodotto da quello dei concorrenti e che crei un coerente sistema di attese con quello che sar lo sviluppo dell'immagine dell'impresa nel tempo. Il futuro consumatore dovr, quindi, essere in grado di ricordarsi chiaramente quella marca e dovr percepire nella sua mente i vantaggi materiali e immateriali che gli deriveranno dopo quel particolare acquisto. In questo modo per i creativi in cerca di nuovi attributi da collegare al loro prodotto diventa sempre pi importante conoscere approfonditamente le caratteristiche comportamentali e sociali del target di riferimento, oltre ad attingere da quel grande serbatoio di contenuti gi organizzati eideticamente costituito dall'immaginario collettivo.

Intanto i consumatori maturano e cominciano ad operare le loro scelte tra i prodotti. Cos, dopo l'iniziale euforia che aveva sostenuto gli acquisti negli anni Sessanta, ora l'agire di consumo si frammenta dando luogo a delle segmentazioni a livello dei consumatori. Soprattutto dal 1984 in poi, si assiste ad una nuova corsa ai consumi che sembra simile a quella avvenuta negli anni Sessanta. In realt cambia un dato di fondo: negli anni Sessanta divenire consumatori significava aver debellato la povert; adesso che il sistema dei consumi si definitivamente affermato in un clima generale di maggior benessere anche economico, c' invece la necessit di esprimere la propria individualit, i propri bisogni personali. Ai valori di tipo collettivo, ad istituzioni come la famiglia o il sociale, si oppongono valori edonistici, legati alla sfera del privato.

Si apprezza la cultura industriale, l'edonismo, il profitto, il successo, il lusso, l'ambizione, la grinta, l'arrivismo, l'individualismo, l'ostentazione dei beni per affermare il proprio status. La comunicazione pubblicitaria non solo aumenta in quantit, ma finisce per divenire una "lingua aggiunta" al consueto parlare delle zone sociali. Questa rivoluzione cambia anche l'impostazione metodologica delle agenzie che ora hanno a che fare con nuovi specialisti della professione: registi, producer, creatori di jingle, scenografi, ecc. "Il creativo deve non solo imparare nuove tecniche, ma imparare un nuovo lavoro di gruppo. In breve il set diventa il luogo d'elezione della pubblicit anni Ottanta. [] La spettacolarit garantita dal mezzo televisivo sar determinante per il successo globale della pubblicit".

Questo bisogno ha come effetto quello di voler premiare le qualit estetiche della pubblicit come forma autonoma di comunicazione e di espressione. Ci avviene grazie al festival di Cannes in cui essa diventa occasione di spettacolo e di divertimento e si auto-promuove. Dopo un periodo in cui nei modi di "pensare la pubblicit" c' stata una propensione per l'eccesso (eccesso di goliardismo, di esteriorit ed effetti speciali, di allusioni troppo esplicite all'erotismo, di superficialit e stereotipia) che ha portato ad una progressiva perdita di referenzialit nei confronti del prodotto e di creativit a livello comunicativo, si comincia a sentire l'esigenza di una professionalit di "qualit", capace di ridare dignit e spessore alla pubblicit. Si cercano nuovi contenuti, nuove forme, soprattutto grazie ad un uso oculato della sceneggiatura. Il valore aggiunto di una campagna tende a passare attraverso la competenza e l'abilit di chi capace di creare e di innovare.

Federico Fellini, che a partire dal 1984 viene chiamato a "firmare" alcuni spot pubblicitari (per Campari, Barilla e Banca di Roma) l'esempio pi emblematico di quello che certe aziende vanno cercando: una sola persona ha creato, scritto e realizzato secondo la sua tecnica e il suo stile, un prodotto pubblicitario che, per queste caratteristiche, risulta essere unico.

Ma lo sviluppo quantitativo abnorme della pubblicit televisiva fa nascere numerose polemiche. Ricordiamo quelle dei rappresentanti della Sinistra che insistono nel presentare una proposta di legge (siamo nel 1990) per limitare le interruzioni pubblicitarie nel corso della trasmissione dei film. A questo dibattito si uniscono attori e registi, primo fra tutti, Federico Fellini. Egli aveva tra l'altro espresso l'opinione che le interruzioni continue abituano lo spettatore " a un linguaggio singhiozzante, balbettante, a sospensioni dell'attivit mentale, a tante piccole ischemie dell'attenzione che alla fine faranno dello spettatore un cretino impaziente () Ma perch mai dovremmo preoccuparci delle sorti di emittenti televisive che per ventiquattr'ore su ventiquattro rovesciano nelle case degli italiani spettacoli demenziali con i comici che nemmeno il pi scalcinato avanspettacolo dei tempi di Cacini avrebbe degnato di una scrittura, e vecchi film continuamente interrotti da soffritti sfrigolanti, cascate di rag e ascelle irrorate da spray deodoranti?". In tal modo il ritmo, la struttura narrativa, il controllo del regista sulla sua opera, quindi sull'integrit dell'espressione artistica, vengono meno nel moment