Tesi di Laurea: il museo della città di Siracusa

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IL MUSEO DELLA CITTÀ DI SIRACUSA Un polo di ricerca tra memoria e futuro Mirko Franzoi Petra Montuschi Marco Morlacchi

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Tesi di Laurea Magistrale in Architettura, Politecnico di Milano Mirko Franzoi, Petra Montuschi, Marco Morlacchi

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IL MUSEO DELLA CITTÀ DI SIRACUSAUn polo di ricerca tra memoria e futuro

Mirko Franzoi Petra Montuschi Marco Morlacchi

La proposta di un museo della città a Siracusa nasce dall’attenta lettura della città e della storia urbana che, cristallizzata al di sotto delle molteplici stratificazioni, non risulta immediatamente comprensibile agli occhi inesperti di un visitatore.Patrimonio dell’UNESCO, Siracusa ha quindi la necessità di raccontarsi e svelarsi in tutta la sua ricchezza e comp-lessità; da qui la scelta del tema e l’individuazione dell’ar-ea di progetto: il vuoto urbano al limite di Ortigia liberato negli ultimi decenni dell’800 in seguito all’abbattimento del sistema difensivo a protezione degli attacchi dal mare.L’area tra l’ex Caserma Gaetano Abela, oggi distaccamento della Scuola di Architettura di Catania, e il Castello Mani-ace, memoria dell’epoca federiciana e della storia militare della città offre il momento più adeguato per far sintesi sul carattere della città.Con un’attenzione non solo al glorioso passato ma anche all’età contemporanea e futura, in forte sinergia con la Scuola di Architettura, il progetto genera un sistema della cultura e della ricerca che, ruotando attorno al museo, in-teressa direttamente tutta la comunità.L’intervento insiste attorno ad una piazza ipogea, fatto ur-bano del progetto che, ad una quota più bassa di quella della città, recupera la connessione diretta con il mare e propone un collegamento alternativo con la “seconda iso-la”, la punta estrema su cui è eretto il Castello Maniace. Sulla piazza, in diretto collegamento con gli spazi musea-li, affacciano un sistema di laboratori dedicati alla ricerca urbana ed architettonica con la previsione di un’aula per mostre temporanee e una sala conferenze ad uso della co-munità.La piazza può, inoltre, accogliere spettacoli ed eventi cul-turali proponendosi come nuovo cuore pulsante della città, luogo di connessione tra memoria del passato e progetto del futuro.

Politecnico di Milano, Scuola di Architettura CivileCorso di Laurea Magistrale in Architettura - Progettazione Architettonica Anno Accademico 2012-2013

Il museo della città di Siracusa. un polo di ricerca tra memoria e futuroAutori: Mirko Franzoi, Petra Montuschi, Marco Morlacchi

Relatore: Prof. Arch. Massimo FerrariCorrelatore: Arch. Claudia Tinazzi

Correlatore esterno: Prof. Arch. Vincenzo Latina

Docenti:Prof. Ing. Alberto Franchi - Teoria e progetto di costruzione e strutture Prof. Arch. Claudio Sangiorgi - Costruzione delle opere di architettura e Impianti tecnici Prof. Arch. Giovanna Crespi - Progettazione Architettonica

Consulenti:Ing. Francesca Schiavi - Impianti tecnici

IL MUSEO DELLA CITTÀ DI SIRACUSAUn polo di ricerca tra memoria e futuro

Mirko Franzoi Petra Montuschi Marco Morlacchi

1.0 EVOLUZIONE URBANA - La città fortificata, palinsesto di dominazioni e culture

1.1 Origine ed espansione greca - Le mura dionigiane

1.2 Il dominio romano

1.3 Il medioevo arabo

1.4 Periodo normanno svevo - La cinta muraria di Ortigia e il Castello Maniace

1.5 La dominazione spagnola - I forti, la vignazza e l’istmo

1.6 Il terremoto del 1693 e il Barocco

1.7 L’età moderna dopo l’unità d’Italia - La demolizione delle fortificazioni

1.8 L’età contemporanea - I vuoti urbani a seguito delle demolizioni

2.0 LA SOSTRUZIONE - Sedimentazione di culture e architetture

2.1 La cattedrale di Siracusa - Dall’Athenaion al Duomo, storia di una metamorfosi di pietra

2.3 La Siracusa sotterranea

2.4 Permanenze urbane nella città contemporanea

3.0 IL MUSEO DELLA CITTÀ 3.1 Ragioni della scelta e carattere di necessità

3.2 Il museo della città nell’epoca contemporanea

4.0 IL PROGETTO

4.1 Il vuoto urbano tra la facoltà di Architettura e il castello Maniace 4.2 Progetto di un sistema della cultura 4.3 Le parti del progetto - la biblioteca, il museo, la risalita al Maniace 4.4 L’architettura e i materiali

APPENDICE

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INDICE

Le Latomie, cave di pietra arenaria calcarea per la costruzione della

città e delle sue fortificazioni

Venne costruito il teatro greco, interamente scavato nella pietrae situato nel quartiere della Neap-

olis

Il tempio di Apollo, il più antico dei templi siciliani conservati, è

periptero, esastilo di ordine dorico arcaico

Dionigi dotò la pentapoli di una cinta muraria lunga 27 km cul-minante nel poderoso Castello

Eurialo

L’imponente Ara di Ierone II è la testimonianza dello splendore

della città durante gli anni della tirannide.

Le catacombe di S. Lucia rappre-sentato il più antico dei numerosi

sistemi ipogei paleocristiani

L’anfiteatro romano, frutto di un inter-vento urbanistico tardoclassico, comple-ta il sistema archeologico della Neapolis

La basilica di Santa Lucia al Sepolcro presenta ancora l’impianto basilicale normanno il quale

sarà rimaneggiato più volte in epoca rinasci-mentale e barocca

L’urbanistica islamica fatta di vicoli e cortili ha lasciato segni ancora chiaramente visibili sul

tessuto urbano, nei quartieri della Graziella e della Sperduta

Il Castello Maniace, fabbrica tipicamente federiciana si erge

sulla punta di Ortigia all’ingresso del porto

Il Castello Marchetti, del quale oggi non si ha più traccia, era un forte di costruzione araba posto

a difesa dell’istmo. TerremotoTerremoto Terremoto Terremoto

Sotto il regno di Carlo V Ortigia venne interamente cinta da mura a strapiombo sul mare e difesa verso la terraferma da

un sistema di forti e canali

Il vuoto urbano di Piazza Duomo as-sume l’odierna forma lenticolare , una grande cavea di edifici barocchi a fare

da scena alla cattedrale

Il quartiere Umbertino fu il nuovo quartiere a sos-tituirsi alle fortificazioni

abbattute

Piazza Archimede venne aperta demolendo un

intero isolato del tessuto medioevale

Luigi Mauceri elaborò una proposta di piano per l’espan-

sione della città sulla terraferma

In epoca fascista l’antico tessuto venne

sventrato per aprire via del Littorio

DALL’ATHENAION AL DUOMO:STORIA DI UNA METAMORFOSI DI PIETRA

“Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, al qual aggiungete per

intero una facciata Normanna, che viene abbattuta dal terremoto del 1693.Senza scoraggiarvi vi

rimettete all’opera e, cambiandocompletamente direzione sostituite la vecchia facciata con una deliziosa composizione barocca del’700.E il tutto deteriorato com’è continua a vivere e a

sorridere, diffondendo nel mondo la sua immagine come se fosse stato creato da un Leonardo o un Michelangelo.”

Lawrence Durell

Athenaion V sec a.C.Iconografia Templum Minervae, D. Vincenti Mirabellae, 1723

EVOLUZIONE DEL DUOMO DI SIRACUSA(Rielaborazione da S. Sgariglia) scala 1:500

Trasformazioni bizantineIl Duomo in età bizantina: planimetria secondo S. L. Agnello, 2001

Interventi posteriori al 1061Stemmi raffiguranti la facciata del duomo in età normanna esposti a Palazzo Bellomo, XI sec.

Interventi cinquecenteschiSchizzi del campanaro di Saragosa, Tribuzio Spannocchi, 1578

Interventi barocchiCattedrale di Siracusa con la veduta laterale del l’antico tempio di Minerva, N. Anito, 1761

VII s

ec. a

.C.

734 a

.C.

212 a

.C.

VI se

c.

535

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1060

1194

1361

1700

1861

664 a

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c. a.C

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480 a

.C.

1060

1570

1728

402 a

.C:

269 a

.C..

II se

c.

IV-III

sec.

VI se

c.

IX se

c.

1240

1168

X sec

.

1536

1562

XVII

sec.

1693

1783

1878

1889

1910

1933

600

GRECI ROMANI OSTROGOTI BIZANTINI ARABI NORMANNI SVEVI ARAGONESI BORBONE REGNO D’ITALIA

Le Latomie, cave di pietra arenaria calcarea per la costruzione della

città e delle sue fortificazioni

Venne costruito il teatro greco, interamente scavato nella pietrae situato nel quartiere della Neap-

olis

Il tempio di Apollo, il più antico dei templi siciliani conservati, è

periptero, esastilo di ordine dorico arcaico

Dionigi dotò la pentapoli di una cinta muraria lunga 27 km cul-minante nel poderoso Castello

Eurialo

L’imponente Ara di Ierone II è la testimonianza dello splendore

della città durante gli anni della tirannide.

Le catacombe di S. Lucia rappre-sentato il più antico dei numerosi

sistemi ipogei paleocristiani

L’anfiteatro romano, frutto di un inter-vento urbanistico tardoclassico, comple-ta il sistema archeologico della Neapolis

La basilica di Santa Lucia al Sepolcro presenta ancora l’impianto basilicale normanno il quale

sarà rimaneggiato più volte in epoca rinasci-mentale e barocca

L’urbanistica islamica fatta di vicoli e cortili ha lasciato segni ancora chiaramente visibili sul

tessuto urbano, nei quartieri della Graziella e della Sperduta

Il Castello Maniace, fabbrica tipicamente federiciana si erge

sulla punta di Ortigia all’ingresso del porto

Il Castello Marchetti, del quale oggi non si ha più traccia, era un forte di costruzione araba posto

a difesa dell’istmo. TerremotoTerremoto Terremoto Terremoto

Sotto il regno di Carlo V Ortigia venne interamente cinta da mura a strapiombo sul mare e difesa verso la terraferma da

un sistema di forti e canali

Il vuoto urbano di Piazza Duomo as-sume l’odierna forma lenticolare , una grande cavea di edifici barocchi a fare

da scena alla cattedrale

Il quartiere Umbertino fu il nuovo quartiere a sos-tituirsi alle fortificazioni

abbattute

Piazza Archimede venne aperta demolendo un

intero isolato del tessuto medioevale

Luigi Mauceri elaborò una proposta di piano per l’espan-

sione della città sulla terraferma

In epoca fascista l’antico tessuto venne

sventrato per aprire via del Littorio

DALL’ATHENAION AL DUOMO:STORIA DI UNA METAMORFOSI DI PIETRA

“Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, al qual aggiungete per

intero una facciata Normanna, che viene abbattuta dal terremoto del 1693.Senza scoraggiarvi vi

rimettete all’opera e, cambiandocompletamente direzione sostituite la vecchia facciata con una deliziosa composizione barocca del’700.E il tutto deteriorato com’è continua a vivere e a

sorridere, diffondendo nel mondo la sua immagine come se fosse stato creato da un Leonardo o un Michelangelo.”

Lawrence Durell

Athenaion V sec a.C.Iconografia Templum Minervae, D. Vincenti Mirabellae, 1723

EVOLUZIONE DEL DUOMO DI SIRACUSA(Rielaborazione da S. Sgariglia) scala 1:500

Trasformazioni bizantineIl Duomo in età bizantina: planimetria secondo S. L. Agnello, 2001

Interventi posteriori al 1061Stemmi raffiguranti la facciata del duomo in età normanna esposti a Palazzo Bellomo, XI sec.

Interventi cinquecenteschiSchizzi del campanaro di Saragosa, Tribuzio Spannocchi, 1578

Interventi barocchiCattedrale di Siracusa con la veduta laterale del l’antico tempio di Minerva, N. Anito, 1761

VII s

ec. a

.C.

734 a

.C.

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VI se

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c. a.C

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IV-III

sec.

VI se

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XVII

sec.

1693

1783

1878

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600

GRECI ROMANI OSTROGOTI BIZANTINI ARABI NORMANNI SVEVI ARAGONESI BORBONE REGNO D’ITALIA

EVOLUZIONE URBANA

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EVOLUZIONE URBANA

“Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. La sua fama non è usurpata: occupa una posizione molto forte, e inoltre bellissima da qualsiasi direzione vi si arrivi, sia per terra che per mare, e possiede due porti quasi racchiusi e abbracciati dagli edifici della città. Questi porti hanno ingressi diversi, ma che si congiungono e confluiscono all’altra estremità. Nel punto di contatto, la parte della città chiamata l’isola, separata da un braccio di mare, è però riunita e collegata al resto da uno stretto ponte. La città è così grande da essere considerata come l’unione di quattro città, e grandissime: una di queste è la già ricordata “isola “, che, cinta dai due porti, si spinge fino all’apertura che da accesso ad entrambi. Nell’isola è la reggia che appartenne a Ierone II, ora utilizzata dai pretori, e vi sono molti templi, tra i quali però i più importanti sono di gran lunga quello di Diana e quello di Minerva, ricco di opere d’arte prima dell’arrivo di Verre.All’estremità dell’isola è una sorgente di acqua dolce, chiamata Aretusa, di straordinaria abbondanza, ricolma di pesci, che sarebbe comple-tamente ricoperta dal mare, se non lo impedisse una diga di pietra.L’altra città è chiamata Acradina, dove è un grandissimo Foro, bellissimi portici, un pritaneo ricco di opere d’arte, un’amplissima curia e un notevole tempio di Giove Olimpio; il resto della città, che è occupato da edifici privati, è diviso per tutta la sua lunghezza da una larga via, tagliata da molte vie trasversali.La terza città, chiamata Tycha perché in essa era un antico tempio della Fortuna, contiene un amplissimo ginnasio e molti templi: si tratta di un quartiere molto ricercato e con molte abitazioni. La quarta viene chiamata Neapolis (città nuova), perché costruita per ultima: nella parte più alta di essa è un grandissimo teatro, e inoltre due importanti templi, di Cerere e di Libera, e la statua di Apollo chiamata Temenite, molto bella e grande, che Verre, se avesse potuto, non avrebbe esitato a portar via.”(Cicerone)

Il nucleo più antico della città, costituito dall’isola d’Ortigia, fu popolato nella preistoria dai Siculi. Nel 734 a.C. questi furono cacciati nell’entroterra da un gruppo di coloni greci provenienti da Corinto, capitanati da Archia, che si stabilirono nell’isola, permettendo il grande sviluppo della città, che vantava di una posizione strategica nel Mediterraneo e con caratteristiche naturali molto fertili, e quindi la possibilità di una crescita socio-economica rapida e fruttuosa.La particolarità dell’isola di Ortigia era anche la presenza di una fonte di acqua dolce, che aveva presumibilmente favorito la pre-senza di insediamenti antecedenti ai corinzi.La tradizione infatti vuole che Archia, prima di partire per fond-are la colonia, interpellasse l’oracolo di Delfi che così gli rispose:

“Un’isoletta, Ortigia, in mezzo al fosco mare ne sta, di contro alla Trinacria, ove la bocca sgorga dell’Alfeo, mista alla polla d’Aretusa bella”. 1 La fonte Aretusa nell’epoca greca. Ricostruzione congetturale di Luigi Mauceri

1.1 LE ORIGINI: SIRACUSA GRECA

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EVOLUZIONE URBANA

Il materiale per le costruzioni di questi maestosi monumenti, e in seguito per la costruzione del sistema difensivo della città, fu ricavato dalle Latomie, imponenti cave da cui i Greci estraevano la pietra calcarea tipica del territorio di Siracusa, necessaria alla costruzione della città stessa; il sistema di estrazione in queste enormi cave avveniva solitamente a cielo aperto, ma al fine di ricercare gli strati di roccia più compatta ci si spingeva in profon-dità (spesso le pareti superavano i 40 metri di altezza), scavando delle immense grotte al di sotto degli strati rocciosi della crosta superficiale, che veniva sorretta da enormi pilastri risparmiati nella roccia. Il complesso delle latomie siracusane, 12 in tutto, si estende per circa 1.5 km, secondo una linea curva che segue, grosso modo, il bordo della terrazza calcarea che domina la pianura costiera verso Ortigia, da Ovest.Le latomie, inoltre, si prestavano egregiamente a contenere pri-gionieri, condannati a scavare massi tra gli stenti e le intemperie. Lo stesso Cicerone le definisce come luogo sicuro contro ogni tentativo di evasione.

La prima delle più grandi costruzioni greche a Siracusa è il Tem-pio di Apollo, risalente agli inizi del VI sec. a.C., esso presenta le caratteristiche più arcaiche tra tutti i templi greci della Sicilia ed è il più antico tra quelli conservati: appartiene infatti alla prima età dell’architettura dorica e si presenta come tempio periptero esastilo con diciassette colonne nei due lati.Mutata interamente la morfologia della parte più bassa di Or-tigia, con l’innalzamento del piano stradale e l’interramento di parte dello specchio d’acqua, il Tempio di Apollo mostra i suoi notevoli resti in uno slargo, sprofondato nell’attuale piazza Pan-cali, ad una quarantina di metri dal mare.Leggermente posteriore al tempio di Apollo è quello di Zeus Olimpico, realizzato su di un’altura sovrastante il fiume Anapo, dirimpetto al porto grande.

Al V sec. a.C. risale invece il Teatro greco di Siracusa, situato nell’attuale Parco Archeologico della Neapolis, uno dei primi quartieri di Siracusa sulla terraferma: la sua conformazione at-tuale è il risultato di un radicale ampliamento e rifacimento, re-alizzato nel corso del III sec. a. C. da Ierone II; è però verosimile che il più antico teatro occupasse la stessa posizione. Il teatro, scavato completamente nella roccia, subì molte trasformazioni durante la dominazione di Ierone II e in seguito in epoca romana, fino ad assumere la forma semicircolare con una cavea tra le più ampie del mondo greco.

Gelone, divenuto nel 485 a.C. tiranno di Siracusa, dopo aver valu-tato i vantaggi naturali del territorio decise di ingrandire la città sulla terraferma: egli trasferì la sua corte a Siracusa e ingrandì la città facendo costruire due nuovi quartieri, Neapolis e Tyche, ed una nuova Agorà, della quale rimangono solo poche colonne di epoca posteriore. Gelone fece inoltre costruire degli arsena-li, che trasformarono Siracusa in una grande potenza navale; si diede così il via alla futura Pentapoli, con la costituzione dei primi quattro quartieri: Ortigia, Tyche, Neapolis e Acradina, in un peri-odo successivo si vedrà la nascita dell’ultimo quartiere, Epipoli. È da questi anni che Siracusa conobbe il suo periodo di massimo splendore.

2 Latomia del Paradiso, Fotografia di Giorgio Sommer

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EVOLUZIONE URBANA

Amministratore e condottiero di grandi capacità, Gelone insieme a Terone di Agrigento, si oppose con risolutezza alle pretese dei Cartaginesi che sconfisse durante una brillante azione militare sotto le mura di Imera. In ricordo di questa vittoria Gelone fece erigere, tra il 480 ed il 470 a. C, nella parte più alta di Ortigia, un tempio dedicato ad Athena, le cui colonne sono attualmente visi-bili sul fianco della Cattedrale di Piazza Duomo. Il nuovo tempio, nel quale il marmo sostituì i precedenti materiali più deteriora-bili, era di stile dorico classico, esastilo-periptero con 14 colonne sui due lati maggiori. Per la costruzione del nuovo tempio venne demolito il primitivo Athenaion ubicato fra la via Minerva e il cor-tile dell’attuale arcivescovado.

Morto nel 478, lasciando incompiute molte delle sue imprese, Gelone fu venerato subito come padre della patria. A Gelone successe il fratello Ierone I che ne continuò l’opera; promosse la cultura alla sua corte accogliendo filosofi e poeti, grazie al quale la città crebbe tanto in ricchezza e prosperità che la sua potenza cominciò a preoccupare gli Ateniesi: fu così che nel 415 ebbe inizio la grande guerra tra Siracusa (dorica) e Atene (ionica) descritta con una vivezza straordinaria da Tucidide.

Sfruttando la situazione precaria in cui si trovava Siracusa – dis-sanguata dalla guerra – e la condizione di debolezza in cui finiva inevitabilmente per cadere tutto il mondo greco con la sconfitta di Atene, i Cartaginesi ripresero i loro tentativi di occupazione della Sicilia, con un poderoso esercito distruggendo e devastan-do città.Di tutto ciò approfittò Dionigi, che si nominò tiranno nel 407 a.C. e concordò una tregua con Cartagine. In tal modo guadagnò il tempo necessario per approntare la dif-esa di Siracusa attraverso la costruzione di imponenti mura lun-go i ciglioni dell’Epipoli, quinto quartiere della città: al sommo dell’altura fu innalzato il grandioso castello Eurialo mentre gli abitanti di Ortigia venivano espulsi e l’isola trasformata in for-tezza.

3 Pianta del Tempio di Apollo4 I resti attuali del Tempio di Apollo5 Il teatro greco di Siracusa, situato nella Neapolis

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EVOLUZIONE URBANA

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EVOLUZIONE URBANA

Questa è la testimonianza di Diodoro Siculo, di come la costruz-ione di questa opera militare e dello stesso Eurialo abbia ne-cessitato dell’intera popolazione di Siracusa, così che si potesse costruire con la massima segretezza e nel più breve tempo pos-sibile. Le mura dionigiane costruite tra il 402 a.C. e il 397 a.C., cingevano completamente la Pentapoli, definendo e separando nettamente la cosìdetta Balza Akradina dalle campagne circos-tanti, per un perimetro di ben 27 km e si riunivano nel punto più alto della città. La cerchia muraria era rafforzata da torri quad-rangolari e una serie di piccoli forti ne guarniva i punti più deboli.

Le Mura erano costituite da tre sezioni: le mura settentrionali, lunghe 5,7 Km, tra il Castello Eurialo e il mare, le mura orientali, lunghe 7,8 Km, sulle scogliere a picco sul mare, e le mura me-ridionali, che si snodano per 4,4 km dal castello fino alla torre più orientale, fino a giungere al Porto Grande. Mentre quest’ulti-mo tratto è stato distrutto dall’abitato moderno, il percorso delle mura, in particolare il suo sedime, è ancora riconoscibile grazie ad alcuni resti delle stesse, in particolare in prossimità del quar-tiere Epipoli. L’intera opera difensiva aveva due culmini: dal lato del mare nell’imprendibile Ortigia e sul margine dell’Epipoli nel più grande e perfetto castello fortezza dell’antichità: l’Eurialo. Non si trattava di un castello adibito ad abitazione, bensì di una vera e propria fortezza che conteneva una guarnigione utile per difendere la città. La fortezza era costruita secondo le più in-gegnose scoperte della tecnica militare; sembra infatti che la sua costruzione sia debitrice dell’astuto ingegno di Archimede, ed era praticamente inespugnabile, infatti non venne mai preso nella sua storia plurisecolare. Il castello Eurialo venne costrui-to nel IV sec. a.C. e svolse egregiamente la sua funzione fino al 212 a.C., anno in cui Roma riuscì a conquistare Siracusa. Tutta la costruzione presentava degli elementi strategici che serviva-no per cogliere di sorpresa gli eventuali assalitori come, ad es-empio, l’intricato sussegursi di gallerie che dava la possibilità di spostare le truppe da un punto all’altro della fortezza senza es-sere visti, o la “porta ad invito” (opera a tenaglia), posta nel tratto nord delle mura, dove chi avesse tentato l’ingresso si sarebbe trovato circondato sotto l’attacco delle milizie del castello.

« Avendo visto che durante la guerra con Atene la città era stata bloccata da un muro che andava da mare a mare, temeva, in casi analoghi, di venir tagliato fuori da ogni comunicazione con il territo-rio circostante: vedeva bene, infatti, che la località chiamata Epipole dominava la città di Siracusa. Rivoltosi ai suoi architetti,in base al loro consiglio decise di fortificare le Epipole con un muro, ancora oggi conservato nella zona intorno all’Exapylon. Questo luo-go, rivolto a Settentrione, interamente roccioso e a picco, è inacces-sibile dall’esterno. Desiderando che le mura fossero costruite con rapidità, fece venire i contadini dalla campagna, tra i quali scelse gli uomini migliori, in numero di 60.000, e li distribuì lungo il settore di muro da costruire. Per ogni stadio designò un architetto e per ogni pietre un mastro muratore, a ciascuno dei quali assegnò 200 operai. 6.000 gioghi di buoi erano impiegati nel luogo designato. L’attività di tanti uomini, che si applicavano con zelo al loro compito, presenta-va uno spettacolo straordinario.[...]. Tale era l’entusiasmo di quella massa di lavoratori. Di conseguenza, il muro fu terminato, al di là di ogni speranza, in 20 giorni: esso era lungo 30 stadi, e di altezza proporzionata, e così robusto da esser considerato imprendibile. Vi erano alte torri a intervalli frequenti, costruite con blocchi lunghi 4piedi, accuratamente giuntati » (Diodoro, XIV 18, 2-7)

6 Antica mappa di Siracusa, con rappresentazione delle mura dionigiane7 I resti attuali della porta di Dionigi

Le mura Dionigiane ed il Castello Eurialo

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EVOLUZIONE URBANA

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EVOLUZIONE URBANA

Al concludersi della dominazione greca, Siracusa determinò la sua conformazione urbana e la sua massima espansione: il cen-tro urbano si spostò definitivamente in Acradina, il quartiere più antico della terraferma, il quartiere della Neapoli aveva preso il caratte del quartiere più monumentale e rappresentativo di Sir-acusa, mentre Tyche, perdendo il suo antico carattere di autono-mia, venne a essere pienamente innestata sul tessuto urbano circostante divenendo il quartiere residenziale più popolare; in-fine era nato un nuovo vasto quartiere, l’Epipoli, all’epoca ancora in parte disabitato e con caratteristiche e funzioni prettamente militari e difensive.

In tutto ciò Ortigia, che era stato il quartiere madre di tutta la città, dove nacquero i primi insediamenti preistorici e a seguito l’insediamento corinzio, conservò inizialmente il ruolo di centro: in essa si stabilirono gli edifici di maggior spicco, trovando il pro-prio centro proprio nell’agorà, che si trovava vicino al Tempio di Apollo. L’agorà fu però in seguito, durante la tirannide di Gelone, spostata ad Acradina, diventata allora il centro dei cinque quart-ieri della città.Fu così che Ortigia cominciò a vivere separatamente al resto del-la città, ospitando i più importanti templi e il tiranno con la sua corte, diventando una vera cittadella fortificata che dava le spalle al resto della città.

Tutto il sistema murario d’Ortigia, consistente a quanto pare in una doppia muraglia rafforzata da torrioni quadrati e saldamente ancorata alla fortezza, adiacente all’istmo, si apriva alla terrafer-ma attraverso un’unica porta fortificata. A seguito della tirannide di Gelone, Ortigia cambiò assetto con Timoleonte, che decise di abbattere la fortezza dei tiranni, cercando di eliminare ogni segno della tirannide; tutto ciò ebbe vita breve, poiché infatti con Ierone l’intera isola ridivenne sede del sovrano, con la ricostruz-ione stessa della fortezza.

In conclusione Ortigia, da Dionigi in poi, ebbe prevalentemente funzione civile. Il suo sistema di fortificazioni si rivelò inespugn-abile e non venne mai preso d’assalto, durante l’impeto ateniese,

mantenendo dunque intatto l’antico assetto urbanistico.In periodo romano, l’isola di Ortigia ospitava le sole funzioni gov-ernative ed era quasi completamente chiusa alla funzione abita-tiva, che si limitava invece ad Acradina.Marcello a questo proposito emanò un editto, ancora in vigore ai tempi di Cicerone, espressamente vietante ai cittadini di Siracu-sa di prendere stanza in Ortigia.

Quando nel 212 i romani conquistarono la città, Siracusa era già nella sua fase discendente, rispetto a quella che era stata al tempo di Dionigi, e per quanto la politica di Ierone II l’avesse tenuta fuori dalle stragi della prima guerra punica, la generale devastazione della Sicilia e il globale impoverimento la portarono però ad una dipendenza nei confronti delle proprie alleanze.Con la dominazione romana, la città conobbe una fase di elevato spopolamento, durante la quale la popolazione si spostò dalla città alla campagna, limitando l’estensione di Siracusa ai primi-tivi limiti di Ortigia e Acradina.

Gli interventi urbanistici ed architettonici più rilevanti sono rel-ativi ai primi tre secoli d.C. e sono il foro, la sistemazione della piazza antistante all’ara di lerone, la sistemazione del teatro per i nuovi spettacoli dei gladiatori, la costruzione del grande anfite-atro e la realizzazione del complesso del ginnasio.Tutti questi interventi si concentrarono nella Neapolis, creando un fitto tessuto di edifici pubblici e ludici, che portarono allo svi-luppo di una rete stradale a supporto di quella greca.

L’anfiteatro fu forse l’intervento più importante, le sue propor-zioni lo collocano fra i più grandi della romanità. Realizzato a poca distanza dal teatro e dall’ara di lerone, veniva a occupare un posto urbanisticamente importante della città e vi si inseri-va insieme a tutto un nuovo tessuto viario ed edilizio: un intero quartiere ellenistico-romano, attraversato da una strada segnata da un arco di trionfo. Questa fu l’ultima traccia di splendore della Siracusa classica: nel 282 infatti Siracusa verrà saccheggiata dai primi barbari; ver-rà poi la volta dei vandali e quindi dei goti.

1.2 LA SIRACUSA ROMANA

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Nel periodo a partire dal III sec. d.C. fino alla dominazione bi-zantina, lo spopolamento della città si fece più evidente, dichi-arato dall’avanzamento delle necropoli verso il cuore dei vecchi e ormai disabitati quartieri greci di Tiche e della stessa Neapolis per poi investire, già dal II secolo dopo Cristo, l’Acradina, con i sistemi cimiteriali di S. Giovanni e S. Lucia, il più esteso ed anti-co, e quelli di S. Maria del Gesù e di Vigna Cassia.I progressivi insediamenti cimiteriali di periodo cristiano delim-itano chiaramente lo spazio abitato di Siracusa in una zona che, oltre a comprendere Ortigia, investiva una piccola parte di Acra-dina.

Il complesso paleocristiano di gran lunga più importante, ubica-to nel limite fra l’Acradina e la Neapoli, fu la primitiva cripta di San Marziano, primo vescovo siracusano: il luogo era particolar-mente importante per il culto cristiano data la sepoltura del ves-covo e la stessa presenza delle attigue catacombe di S. Giovanni. Questa cripta, le cui forme attuali sono il risultato della ristrut-turazione d’età bizantina, fu probabilmente la prima “chiesa” di Sicilia e il primo luogo di culto.

La conquista di Belisario nel 535 segnò la nascita e lo sviluppo della cultura architettonica paleocristiana; il lungo periodo bi-zantino, spazzato via dall’invasione araba, effettuerà a Siracu-sa un’operazione di simbiosi fra la propria cultura e la corrente paleocristiana soprattutto da un punto di vista architettonico e non urbanistico. La basilica di S. Marziano, la chiesa di S. Pietro intra moenia (della quale venne demolita l’abside paleocristiana e mutato l’orientamento), la nuova chiesa di S. Lucia extra moe-nia e infine la nuova cattedrale ricavata nel tempio di Athena ap-partengono tutte a questo periodo. La trasformazione del tempio di Minerva avvenne nel VII secolo e si ottenne procedendo alla occlusione degli intercolumni e all’apertura di otto grandi arcate per lato sui muri della cella attuando così la sua trasformazione in basilica. Inoltre, per motivi legati al culto cristiano, la facciata fu spostata da oriente a occidente.

La trasformazione di un tempio pagano in basilica, operata in periodo bizantino, non era una prassi inusitata e la si riscontra ad esempio nel tempio della Concordia ad Agrigento.La riutilizzazione dei templi greci ci testimonia con sufficiente chiarezza della relativa povertà del periodo in esame che preferì riutilizzare anziché costruire, cosa che avrebbe comportato una spesa e un impiego di manodopera a quel tempo non reperibile, in specie se si volevano ottenere edifici dalle proporzioni simili a quelli ricavati dalla riutilizzazione dei templi greci.Nel corso dell’VIII secolo, facendosi sempre più concreta la mi-naccia di una massiccia invasione araba, il vescovo Zosimo tras-ferì la cattedrale da S. Marziano, ormai troppo piccola, nel cuore di Ortigia, nel riadattato tempio di Minerva.

8 Immagine dell’anfiteatro romano nella Neapolis9 La cripta di San Marciano

1.3 IL PERIODO BIZANTINO E ARABO

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Nell’anno 827 un’armata islamica sbarcava a Mazzara; il primo vero obiettivo militare fu l’antica capitale: Siracusa.“Tra le latomie e l’istmo giace a nel IX secolo un quartiere, murato senza meno dalla parte di terra dall’uno all’altro porto, sì che dovea apparire ai musulmani una vasta linea di fortificazioni.”Questo quartiere, murato senza soluzione di continuità, era la primitiva Acradina, il primo insediamento urbano di periodo gre-co in terraferma. Le mura recingenti il quartiere dovevano essere ancora ben salde se gli arabi, nella fase del loro primo slancio e personalmente guidati da Ased, rinunciarono a provare l’assalto.

Dopo dieci mesi d’assedio Siracusa cadde. Sulle rovine della reggia, nella zona dell’istmo, venne costruito l’imponente castello Marchetti (in arabo Marieth) distrutto poi dal terremoto del 1542.

Alla scarsità di elementi architettonici del periodo arabo sop-perisce, ancor oggi, all’interno dell’impianto urbano il segno dell’urbanistica islamica a vicoli e cortili, che caratterizza incon-fondibilmente ancora oggi i due quartieri della Graziella e della Sperduta, nella parte orientale dell’isola.Lo stesso Tempio di Apollo nel X secolo fu trasformato in mos-chea araba, come si legge da un’iscrizione musulmana tuttora osservabile sulle pietre del tempio greco; la sua vicinanza con la Graziella inoltre ci fa credere che si trattasse della moschea più importante della città.

10,11 Incisioni di Jean Houel rappresentanti le catacombe di Siracusa12 Pianta dell’istmo di Ortigia, con rappresentazione pianta Castello Marchetti

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Dopo vari anni di lotte arabo bizantine, un nuovo popolo prove-niente dal Nord Europa, concentrò le sue forze sulla Sicilia; fu così che nel 1086 il condottiero normanno Ruggiero conquistò Siracusa. Gli influssi della generale espansione economica seguita alla dominazione normanna si fecero ben presto sentire nella città con tutta una serie di opere di restauro, di nuovi importanti lavori, e, soprattutto, con una riconnessione con i due borghi di S. Lucia extra moenia e di S. Giovanni alle catacombe.

Nel 1168 un grave terremoto danneggiò l’abitato d’Ortigia, ed è questo il primo di una lunga serie di terremoti culminanti nel sis-ma del 1693 che avrà un ruolo di primo piano nel destino urban-istico della città. I nuovi dominatori operarono importanti mod-ifiche alla cattedrale, riportandola al centro della vita religiosa della città e cambiandone radicalmente le sembianze. Il piano della cattedrale, luogo di incontro e di scambio per la notevole attività mercantile, si conferma come spazio rappresentativo del potere religioso. Durante il periodo svevo nacquero numerosi conventi, che frazi-onano ulteriormente il tessuto urbano ed evidenziano il controllo della Chiesa nella città.

Dopo la decadenza normanna, la Sicilia fu dominata da Federico II. Nel quadro della generale opera di incastellamento della Si-cilia, supporto indispensabile alla stabilizzazione politica di Fed-erico, a Siracusa, dal 1232, venne realizzato il maestoso castello Maniace, costruito sulla zona di estrema propensione verso il mare dell’isola e concludendola da quel lato con la classica com-postezza della sua mole squadrata. Urbanisticamente il secolo XIII interessò Ortigia non solo per la splendida inserzione del castello Maniace che vi giocava un im-portante ruolo, ma anche per la costruzione, nel vivo della sua urbanistica, del palazzo Bellomo, a due passi dalla paleocristia-na chiesa di S. Martino.

Fu negli anni della dominazione normanno-sveva che Siracusa vide la nascita di un’altra comunità particolarmente influente: gli ebrei. La comunità ebraica siracusana era composta da “circa cinquemila uomini ebrei, tutti dotti e saggi” .Delle sinagoghe siracusane l’unica la cui attribuzione è certa è quella che sorgeva nel sito della Chiesa di S. Filippo Apostolo alla Giudecca, dove nel 1977 venne ufficialmente identificato un miqweh, un bagno di purificazione rituale ebraica.Dopo l’espulsione degli ebrei, il luogo venne dimenticato o utiliz-zato solo per l’approvvigionamento d’acqua potabile, così come altre fonti scavate, presenti nella zona, venivano usate prima come concerie e, in seguito, come cisterne. Per questo alcuni identificano con leggerezza alcune fonti, di cui del resto il sotto-suolo di Ortigia è costellato, con altrettanti bagni rituali.

13 1584 ca Veduta di Siracusa dal lato di Levante14 Immagine del miqwe ebraico in Ortigia

1.4 PERIODO NORMANNO SVEVO

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“Non ancora chiuso nel pesante anello dei contrafforti spagnuoli, lanciato come una sfida di contro il mare, dovette riflettere nel pas-sato, in un’interpretazione ricca di luce e di bellezza, le audacie di un ingegno veramente sovrano “Giuseppe Agnello ( L’architettura sveva in Sicilia)

Il Castello Maniace, così chiamato dal nome del generale bi-zantino che verso il 1038 strappò momentaneamente Siracusa ai musulmani, fu concepito come palazzo di rappresentanza più che come baluardo militare. L‘impianto originario del Castello Maniace risale ai primi decenni del XIII secolo, esattamente tra il 1232 ed il 1240 con progetto dell’architetto Riccardo da Lenti-ni, quando l’imperatore, da poco tempo ritornato dalla Crociata in Terra Santa, ne dispose la costruzione al pari di altri castelli siciliani e dell’Italia meridionale. Il Castello era destinato a far parte della difesa dell’area meridionale dell’impero di Federico II, quale luogo di rappresentanza dell’impero e residenza per la corte itinerante del re e per le riunioni del Parlamento.

La difesa ed il controllo della città di Siracusa erano infatti af-fidate in primo luogo alla mole oggi totalmente scomparsa del castello Marchetti, demolito tra il 1577 ed il 1578; quest’ultimo si ergeva sull’istmo che congiunge l’isola di Ortigia alla terraferma. II risultato della costruzione federiciana non avrebbe potuto es-sere più stupefacente. Un castello che per maestria di costruzi-one possiede un’armonia architettonica ed un simbolismo unici, al pari del famoso maniero pugliese di Castel del Monte.Il castello sorge sulla punta estrema della penisola di Ortigia, artificialmente isolata da un taglio che poteva essere allagato dal mare, le cui fondamenta poggiano direttamente sullo scoglio emerso.Il Castello Svevo si presenta come una poderosa struttura di 51 metri per lato e, con le sue quattro torri cilindriche agli angoli, riprendeva modelli di cultura araba e faceva parte di un sistema di castelli e torri distribuiti lungo le coste a difesa dell’isola.Nel 1240, quando i castra exempta rientrano sotto la giuris-dizione imperiale, il Castello di Siracusa è annoverato fra questi.

Il Castello Maniace

15 Immagine interna della sala del Castello Maniace16 1664 Veduta del Castello Maniace, di Schellinks

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17 Ricostruzione schematica della pianta originaria 18 Planimetria del Castello allo stato attuale

L’attuale pianta del Castello presenta una serie di aggiunte suc-cessive, tali da stravolgere del tutto quello che doveva essere l’assetto originario. L’intero piano terra era originariamente costituito da un unica grande sala di circa 2.500 mq, scandita da 16 colonne libere, 4 semicolonne angolari e 16 semicolonne pe-rimetrali, che sorreggevano 25 campate, coperte da volte a cro-ciera costolonate.

La campata centrale, libera, doveva avere funzione di impluvium, come ipotizzato dalla ricostruzione di G. Agnello e come sem-brerebbe confermare il saggio di scavo effettuato dall’archeologo Paolo Orsi; questa campata libera doveva servire anche all’illu-minazione dell’interno assieme alle quindici finestre disposte lungo le massicce pareti esterne.

Per tale schema ipostilo è stato richiamato il modello delle moschee islamiche, contraddetto però dal rigore geometrico dell’impianto e dai caratteri ‘gotici’ dell’esecuzione, di matrice cistercense. Di questo spazio eccezionale è stata avanzata anche una lettura in chiave simbolica, come rappresentazione dell’Im-pero universale, o meglio traduzione in termini architettonici del Teatrum imperialis palacii, allegoria del potere imperiale, pre-sente in un’immagine del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (1905, c. 142r, tav. XLVIII).

Resto odierno di tutto ciò sono le due navate, sia pure in parte reintegrate, che ancora sussistono lungo il lato sudoccidentale.

Nella sintesi del carattere del castello quadrilatero a grande sala unitaria su colonne e il raffinato sistema costruttivo, il cas-tello Maniace sviluppa soprattutto la dimensione della residen-za signorile di grande rappresentanza, trovando nella fabbrica dell’architettura federiciana conservata il solo analogo di Castel del Monte; la regolarità geometrica della pianta formata da ali disposte a quadrato intorno al cortile si ripropone invece con cas-tello Ursino a Catania.

Per quasi tutto il XV secolo il Castello fu adibito a prigione.Nel XVI secolo il castello fu destinato a funzioni militari; ci si ac-corse che poteva essere dotato di artiglieria ed armato con bat-terie di cannoni, per respingere gli attacchi provenienti dal mare.

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Si devono al Vicerè Gonzaga i primi progetti di rimaneggiamento del castello. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di for-tificazione della città, Castello Maniace diventa un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare Ferramo-lino. La nuova cinta difensiva, compiuta già nel 1576, non com-prendeva la parte più avanzata della scogliera e neppure l’area antistante il castello; era stato aggiunto solo un barbacane.Il forte Vignazza, con la sua caratteristica forma a punta di dia-mante, venne costruito successivamente in più momenti, tra il XVI e XVII secolo.

In seguito venne rafforzato e dotato di nuove opere realizzando dei terrapieni e dei parapetti per la difesa verso la città. La pi-attaforma della Vignazza, posta verso il mare e che nei progetti (Cesano e Spannocchi) doveva coprire tutta la scogliera, si ri-dusse ad un’opera di appena sei canne. Al Grunenbergh spetterà, nel XVII secolo, il completamento del-le opere di difesa del castello regolarizzando la cinta dinanzi al-costruendo un’opera a corno, composta da due semibaluardi. La difesa della Vignazza fu completata con la costruzione della punta di diamante. tale fabbrica, protesa verso il Plemmirio, era stata completata nell’anno 1677, nel quadro del potenziamento delle difese siracusane; essa venne ulteriormente potenziata nell’anno 1759 con una nuova struttura che avrebbe accolto le artiglierie della fortezza, a fil d’acqua.Nel 1704 un esplosione provocò ingenti danni all’edificio. Venne-ro distrutte otto volte a crociera e si decise di demolirne sei sul lato ovest del castello, per creare nuovi spazi, ampliando il cortile e lasciando intatte solo dieci volte. Nel 1837 il Marchese del Carretto ordinò la costruzione di un campo trincerato che collegasse il castello e le due cinte, per restituire alla guarnigione il controllo della città. Nel 1839 il progetto difensivo fu completato con la costruzione di casematte a due ordini di fuoco sulla Vignazza.

Oggi, dopo un lungo restauro, e la smilitarizzazione dalla storica caserma Abela (oggi Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania), il monumento è tornato alla pubblica fruizione. Negli ultimi anni infatti, oltre all’apertura per le visite turistiche e culturali, il castello è stato sede di spettacoli musicali, nonché sede del G8 ambientale nel 2009. 19, 20, 21 Foto dello stato attuale del Castello Maniace e le sue fortificazioni

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Morto Federico II, del trono siciliano si impadronirono gli angio-ini; tutta l’isola si oppose, però, ai soprusi dei francesi, li scac-ciò con la guerra dei «Vespri Siciliani», appoggiandosi alla casa d’Aragona che regnò, in seguito, sino al ‘700.

A Siracusa prevaleva il partito catalano e per questo durante la dominazione degli Aragona venne instaurata la Camera Regina-le che durò fino al 1536: Siracusa ed altri 8 comuni costituivano un’organizzazione politica a parte che veniva data in dote alla re-gina di Spagna e affidata ad un Governatore.La città ne trasse vantaggi economici soprattutto grazie aitraffici commerciali con tutta l’Europa che lasciarono il loro seg-no nel grande sviluppo architettonico della città.

Sotto Carlo V, Ortigia subì radicali trasformazioni di carattere militare. Venne interamente cinta da mura a strapiombo sul mare e difesa verso la terraferma da tutto un sistema di forti e canali. Purtroppo queste fortificazioni furono realizzate operan-do in massima parte la distruzione dei grandi monumenti greci che il tempo aveva risparmiato e che vennero utilizzati come cave di pietra. Ad esempio venne completamente distrutta la scena del teatro greco; non si trattava più dell’antica scena greca ma di quella ricostruita in periodo romano; sempre nel teatro greco gli ordini superiori delle gradinate, realizzati in muratura, vennero demoliti. Medesima sorte toccò alle parti realizzate in blocchi di calcare dell’anfiteatro romano e all’ara di Ierone che venne smantellata, e della quale venne risparmiato il solo basamento. In pratica si lasciarono intatte solo quelle parti dei monumenti greco-romani scolpite nella roccia; il resto lo si asportò. In più, nel corso delle opere di fortificazione, venne distrutto quasi tutto il tempio di Apollo: ogni blocco di pietra venne asportato e messo in opera nelle nuove mura di Ortigia.

È proprio in tale periodo che si può ammirare la trasformazione di Ortigia in una vera e propria cittadella fortificata, carattere che sarà motivo della conseguente evoluzione e quindi della fisiono-mia urbana contemporanea.

22 Immagine attuale del forte Vigliena 23 Plastico del Duca di Noja

1.5 LA DOMINAZIONE ARAGONESE

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avente la funzione di rivellino. Un nuovo canale separava quest’opera dalla fortezza vera e propria che protendeva dal lato di terra i due suoi grandi bastioni, il S. Michele e il Campana. Dal-la parte dell’isola vene realizzato un nuovo canale, di andamento irregolare, tagliato in mezzo da un rivellino avanzato e quindi le mura cittadine vere e proprie.

Nella zona del castello Maniace si procedette a una fortificazi-one analoga. Il castello svevo venne conservato all’interno delle nuove opere e ne assunse il ruolo di mastio.Tutt’intorno fu real-izzata una muraglia, di linea più bassa che non quella delle mura sveve. Fra l’opera fortificata e il retroterra si scavò un fossato che in tal modo venne ad isolarne le fabbriche dal resto d’Ortigia.

Il piano generale di fortificazione della città realizzò due zone chiave tattiche ai due punti estremi d’ Ortigia, e tutta una mu-raglia, scandita da grandi bastioni che la recingevano da ogni lato. Le due grandi fortezze vennero realizzate una all’imbocca-tura dell’isola e l’altra venne ad essere innestata sulle preesis-tenti strutture del castello Maniace.La prima era una grande fortezza completamente isolata e dalla terraferma e dall’isola attraverso una ingegnosa serie di canali. In tal modo questa vasta fortezza veniva ad assumere un ruo-lo autonomo nella difesa dell’isola ed, eventualmente, caduta questa, poteva continuare a resistere. Dalla parte di terraferma avevamo una prima opera fortificata o controscarpa, poi un pri-mo canale, indi una nuova zona fortificata detta opera coronata,

24 1682 Veduta della città di Siracusa

Le fortificazioni spagnole

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Le muraglie spagnole furono poi rimaneggiate fino ad assum-ere quella forma che oggi si nota, intervallate dalle grandi can-noniere, protese fin sulla punta dello scoglio.

La modernizzazione, resa necessaria dall’uso dell’artiglieria, ebbe inizio, dopo il già citato torrione di Casanova con la costruz-ione dei baluardi S.Giovannello, Campana e del forte Aretusa. Venne fortificata anche l’area dell’istmo con due baluardi chia-mati Settepunti e S. Antonio ed ebbe pure inizio la costruzione di una cittadella che doveva occupare tutto l’istmo, che fu però interrotta. Il progetto ideato nel 1576 dall’ingegnere Campi, prevedeva, la concentrazione della difesa nella parte alta dell’istmo, di frontealla muraglia medievale, trasformata in due potenti bastioni cui si dettero i nomi di S. Filippo e S.Lucia, la cui caratteristica forma è rimasta ancora a segnare la topografia del luogo anche dopo la loro demolizione.Dal baluardo di S. Lucia si partiva un sistema assai complesso di opere, in quanto avvenuto in più stratificazioni di fortificazioni, comprendente una bassa e massiccia costruzione atta ad ospi-tare una batteria di cannoni e la porta Marina, che prese origine dalle fortificazioni catalane.Fra la linea delle mura, ancora oggi chiaramente visibile, e il mare era una zona destinata al passeggio, la stessa che oggi, con il nome di Foro Italico, conduceva,fino a pochi anni addietro, alla Capitaneria di Porto. Questo muro andava a terminare nel bastione detto della Fon-tana che era nella zona compresa fra la odierna Capitaneria di porto e lo sbocco a mare della fonte Aretusa.Dal bastione della Fontana il muro fortificato correva fino in corri-spondenza dell’area del Castello Maniace per continuare nell’al-tra sponda dell’isola, e ricongiungersi al bastione di S. Filippo.

Dopo un periodo di stallo, dovuto al minor bisogno di difese, nel 1671, con la nomina a vicerè del principe di Ligne e l’arrivo di un nuovo ingegnere militare di origine fiamminga, Carlos de Grunembergh, vennero ripresi i progetti.Egli iniziò nuove opere nell’istmo e fece scavare sotto i baluardi di S. Filippo e S. Lucia, non più di un semplice fossato ma una vera darsena in grado di far passare le galere da un porto all’altro per evitare così un eventuale blocco marittimo della città.

Aggiunse nuovi ponti con le relative porte al passaggio di ogni fossato e nascose la cinquecentesca Porta Reale, anteponendovi una grandiosa porta reale, la porta di Ligny, la quale era la “mag-giore delle magnifiche superbe porte” che coronavano poi i fossati della piazzaforte, scomparse tutte nella demolizione” della fine ‘800.

Ortigia era già da molti secoli una penisola quando il re di Spagna affrontò l’enorme spesa di tagliare la lingua di terra che la univa alla Sicilia, riportandola al suo pristino stato. Sull’isola egli ha fatto erig-ere un forte imponente, quasi inespugnabile. Vi sono quattro solide porte, una dietro l’altra, ciascuna fornita di spalti, passaggio coperto, scarpa e controscarpa, e un largo e profondo fossato pieno d’acqua di mare e difeso da un immenso numero di cannoniere. (P. Brydone)

25 Pianta delle fortificazioni spagnole nell’Istmo261826 Pianta di Ortigia

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Nel 600 Ortigia, per il volere di Carlo V, era divenuta una citta-della spagnola fortificata; dichiarata piazza d’armi del Mediter-raneo, ma già in piena decadenza a causa proprio della funzione militare che aveva tagliato fuori la città da ogni possibile scambio commerciale, negandole il suo carattere mercantile e causan-done dunque il suo fallimento.È in questo contesto poco favorevole che accade la grande dis-grazia del terremoto nel 1693, uno dei più grandi disastri che avesse mai danneggiato la Sicilia, in particolar modo la Val di Noto. Nel confronto con le città limitrofe, Siracusa rimane uni-ca e inconfonfibile proprio per la fortunata sorte durante questo spietato terremoto: essa infatti subì molti danni, ma allo stesso tempo fu risparmiata rispetto ad altri centri; la città di Noto, che a seguito del terremoto fu completamente rasa al suolo e quindi ci fu la necessità della ricostruzione ex novo, con la conseguente perdita di un enorme patrimonio stori-co e culturale.

È proprio per questo motivo che Il barocco siracusano, lungo i suoi due secoli di esistenza, può essere distinto in due tempi, il primo dal 1600 al 1693, data del citato terremoto che, distrug-gendo o danneggiando molti fabbricati impose vari problemi di ricostruzione e soprattutto di restauro e quindi favorì l’affermazi-one di nuovi orientamenti del gusto; il secondo periodo intercor-rente fra il 1693 e la fine del secolo XVIII. Il primo di questi tempi è tutto dominato dall’edilizia religiosa mentre il secondo vede una certa ripresa delle fabbriche civili con l’eccezione di un solo grande lavoro ecclesiastico: la nuova facciata della cattedrale realizzata da Andrea Palma. Fu così che la “scena” d’Ortigia cambiò completamente:l’intro-versione e la compattezza architettonica e urbanistica vengono totalmente stravolte dalla tendenza barocca a spostare il centro d’interesse dell’edificio nella complessa macchinosità delle fac-ciate e negli affacci sulle strette vie medievali.L’ambiente più importante della città, la piazza della cattedrale, cambia completamente tutti i propri rapporti volumetrici, i suoi prospetti, le sue quinte dalle quali viene cancellato ogni riferi-mento al Medioevo.

27 Immagine della facciata barocca di piazza Duomo28 Immagine della piazza lenticolare

1.6 IL TERREMOTO DEL 1693 ED IL BAROCCO

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Il generale rinnovamento edilizio che nell’intera Sicilia caratter-izzò il barocco non fu accompagnato, a Siracusa, da una vera e propria ripresa della vita civile e da una espansione demografi-ca. La trasformazione barocca operata prima dalla chiesa e poi dalle grandi dimore civili, lasciò sempre ai suoi margini tutta una minuta edilizia popolare. Quello che ha acquistato un valore, quindi, non è tanto la singola costruzione ma l’insieme urban-istico che viene a vivere in un vincente innesto fra il vecchio e il nuovo, uniformandosi ed adattandosi al gusto barocco.

Come in ogni periodo di ripresa di cultura urbanistica, oltre che Ortigia, i lavori edilizi interessarono i due tradizionali punti di S. Marziano e di S. Lucia; la Chiesa di S. Lucia, probabilmente su disegno di P. Picherali, venne avvolta da un ordine architettonico che avrebbe dovuto costituire un plastico involucro che ne avreb-be totalmente nascosto le strutture. Vicinissimo era già stata re-alizzata la piccola chiesa del sepolcro di S. Lucia.

A S. Marziano invece, in una parte dell’area della distrutta basilica, si ricavò la chiesa di S. Giovanni.

Le famiglie nobiliari sostennero l’architettura tramite una serie di edifici, come il Palazzo Impellizzeri, il Palazzo Bevenentano del Bosco e l’Arcivescovado. Infine fu real-izzato palazzo Vermexio, oggi municipio, sede del governo della città. Ed è proprio la piazza del Duomo di Siracusa, il simbolo tutt’ora splendente dell’epoca barocca siracusa-na, essa presenta infatti una serie di facciate tipicamente barocche che si affacciano in uno dei pochi vuoti urbani all’interno del tessuto urbano compatto.

Fu così che la città rinacque sotto veste barocca, unendosi agli antichi stili greci, bizantini, arabi, normanni e rinasci-mentali.

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La grande decadenza urbana di Siracusa, si trascinò per tut-ta l’ultima parte del 700 e buona parte dell’800; mentre, però, il periodo barocco aveva lasciato tutto un vasto patrimonio ar-chitettonico donando un valore aggiunto ai caratteri della città, il secolo XIX fu caratterizzato da episodi prevalentemente distrut-tivi. Si assiste perciò alla violazione dell’equilibrio urbanistico che la città di Ortigia si era conquistata negli anni, dominazione dopo dominazione: il primo episodio accade proprio nell’ Otto-cento, con l’inserzione nel tessuto viario ed edilizio della città di elementi “estranei”, e prosegue senza soluzioni di continuità fino ad oggi.I lavori che maggiormente interessarono, distrutti-vamente, l’edilizia d’Ortigia e il suo legame con l’ambiente furono costituiti, prima ancora dell’unità italiana, dalla creazione della piazza Archimede, aperta poi nel 1878.Fino a quel momento l’unica piazza d’Ortigia era quella di forma lenticolare e urbanisticamente magnifica che Wstava dinnanzi alla Cattedrale.

Nel 1862 si provvide alla risistemazione della fonte Aretusa, che venne rinchiusa nell’attuale bacino, distruggendo la sua confor-mazione originale.Con l’unità d’Italia Siracusa nel 1865 ritornò capoluogo e fu chi-ara la necessità e il desiderio di una ripresa economica ed una riapertura verso le politiche commerciali. Il passaggio post-unitario ebbe come soggetto principale il vasto sistema difensivo che aveva chiuso per secoli la città. Con un pri-mo decreto, del 1878, venne stabilita la cancellazione dal dema-nio militare della cinta a mare e del fronte terra. Ma fu solo con il 1885 che il comune ottenne l’alienazione dei fortilizi, assumen-dosi l’obbligo di redigere un piano regolatore e d’ampliamento della città, essendosi creati conseguentemente alla distruzione delle fortificazioni, dei vuoti urbani significativi al limite tra isola e terraferma.

Nello stesso anno furono tracciati i primi isolati e si diede inizio alla costruzione della borgata di S. Lucia: la città cominciò ad espandersi fuori dalle mura e venne riprodotta dai disegni dei piani regolatori. 29 1891 Pianta di Ortigia

1.7 L’ETÀ MODERNA E L’UNITÀ D’ITALIA

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Lo sviluppo del tessuto urbano, a partire dall’antico nucleo di Or-tigia, prende il via dall’abbattimento delle mura e del dispositivo di difesa militare che aveva per secoli rappresentato un limite all’espansione della città. In particolare, dal 1890, con la redazione del primo piano regola-tore e di ampliamento della città, prendono vita tre diverse aree:Il quartiere Umbertino, occupa tutto lo spazio delle abbattute fortificazioni sull’istmo, ad ingresso della città, con la creazione di un ampio asse stradale, Corso Umberto, di collegamento tra il centro storico e la stazione ferroviaria; nata come prolungamen-to della città di Ortigia, il quartiere Umbertino si caratterizzò per una destinazione prevalentemente residenziale, con un tessuto urbano omogeneo e di dimensioni molto differenti al minuto tes-suto antico dell’isola.

Il Borgo Sant’Antonio, area affacciata sul Porto Grande, già in passato abitata, era caratterizzata da un tessuto costituito dacase rurali e strutture produttive; l’area svolgeva un ruolo di cerniera tra Ortigia e la zona delle paludi Lisimelie ed era al cen-tro degli snodi di comunicazione con Catania e Noto, divenne di-fatti con gli anni la zona industriale della città.Infine La borgata Santa Lucia, area agricola extra urbana di rac-cordo tra il Porto Piccolo e la zona di Acradina, sottoposta dal 1885 al 1925 ad una intensa attività edificatoria, tramite lottiz-zazione e costruzione da parte dei privati; il suo caratteristico sviluppo urbano, tramite un tessuto ordinato in lotti, fu il presup-posto per il successivo piano urbanistico del 1917, che assimilò la struttura di quest’ultima borgata, per un’ulteriore apliamento urbano. Nel periodo fascista si ha un ulteriore importante “squarcio” all’interno del tessuto compatto di Ortigia: per dare maggiore aria all’interno dell’isola e per renderne più decoroso l’ingresso, furono rasi al suolo quattro isolati medievali, per dar luogo alla via del Littorio, attuale Corso Matteotti, che andava a collegar-si direttamente con la recente Piazza Archimede. Quest’ultimo intervento fu probabilmente il più invasivo, permettendo il mas-siccio afflusso di traffico fin nel cuore d’Ortigia, modificandone definitivamente la sua natura.

30 1900 Pianta di Ortigia con aree di espansione31 Immagine storica di via del Littorio

La demolizione delle fortificazione e i nuovi piani urbanistici

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EVOLUZIONE URBANA

L’Ottocento fu prevalentemente un secolo distruttivo ma l’insieme dell’urbanistica isolana fu lasciata intatta, come intatta era rimasta per tutto il tardo Settecento. La grande contrazione economica dei secoli XVIII e XIX, infatti, non portò tanto alla realizzazione di un insieme di costruzioni, legate da uno stile, da un comune orientamento di gusto, tale da influenzare l’urbanistica d’ Ortigia nella sua globalità, quanto a sporadici interventi, tutti tessuti sopra il precedente sostrato culturale edilizio che venne lasciato intatto; e lo st-esso capitò fino alla seconda decade del XX secolo.Questo excursus nella storia urbana della città di Siracusa trova la sua sintesi e la sua espressione più forte nell’assetto contempo-raneo della città, in particolare in Ortigia.Essa è infatti il racconto tangibile della storia della sua città, attraverso permanenze urbane che sono sopravvissute nei secoli, alcune sono rimaste immutate, altre hanno accolto le modifiche del succedersi di epoche e popolazioni, subendo variazioni di funzione e di forma, fino ad arrivare ai giorni nostri. Dal tessuto viario greco, ancora presente all’interno della città, attraverso la memoria araba con il quartiere Graziella, l’importanza barocca con la piazza lenticolare, concludendo con gli interventi fascisti, tutto coesiste nella stessa città contemporanea, raccontando essa stessa la sua storia millenaria. Anche il ricordo di Ortigia in quanto città fortezza, è tutt’ora leggibile nella città; inanzitutto grazie all’imponente presenza del Castel-lo Maniace, che ancora governa la punta finale dell’isola, ricordando la posizione strategica di Ortigia nel Mediterraneo, e simbolo del suo carattere militare, sia attraverso la particolare conformazione dell’isola, circondata dal mare ma allo stesso tempo distanziata da esso tramita un dislivello, di circa 8 metri, che aveva la funzione di protezione dagli attacchi dal mare.

32 1927 Planimetria generale di Siracusa

1.8 L’ETÀ CONTEMPORANEA

LA SOSTRUZIONE

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« La costruzione di una basilica cristiana su un terreno preceden-temente occupato da un tempio greco non è un fatto particolarmente sorprendente. I luoghi sacri sono spesso tali da tempi remoti, e tali rimangono pur cambiando gli dei che in essi si venerano. Ciò che colpisce in questo caso è che la basilica cristiana a tre navate e il tempio greco peripte-ro sono letteralmente lo stesso edificio: vale a dire che si innalzano sulla stessa piante, le rispettive componenti hanno le stesse dimen-sioni e sono costituiti dagli stessi elementi materiali.Questo fatto appare con estrema evidenza, quasi una rivelazione, quando si percorre la navata laterale della basilica. Semi-incasto-nate nel muro perimetrale della chiesa si trovano alcune poderose colonne scanalate di 8,71 metri di altezza e 1.92 metri di diametro inferiore, che formano una successione insolita ed enigmistica.Sul lato opposto, si erige un muro di divisione rispetto alla navata centrale, omogeneo e privo di articolazioni, su cui sono state prat-icate una serie di aperture ad arco che assicurano il collegamento tra le due navate. Queste anomalie generano, in un primo momento, confusione e sorpresa, finchè improvvisamente troviamo la chiave della loro spiegazione. Comprendiamo allora che stiamo percorren-do la peristasi dell’antico tempio e che la navata centrale che intra-vediamo attraverso gli archi altro non è che la sua cella primitiva.Due semplici operazioni sono alla base di questa trasformazione: la muratura degli intercolumni della peristasi, che ne interrompe la co-municazione con l’esterno, e le forature modulari della parete della cella che servono a stabilire la necessaria permeabilità tra le navate. Gli attributi di chiusura e continuità che, nel tempio dorico, ap-partengono alla cella, vengono assunti nella basilica dalle pareti esterne delle navate laterali. Viceversa, gli attributi di apertura e dis-continuità propri alla peristasi, nella basilica caratterizzano la navata centrale. Una sorta di simmetria polare o di opposizione denota, in questo caso, la trasformazione dell’edificio.Un tipo deriva dunque dall’altro, per un meccanismo di inversione. Come un gioco di prestigio, mediante un semplice movimento si ot-tiene la sostituzione di un oggetto, al cui posto ne appare uno nuovo, del tutto imprevisto. Di conseguenza, due forme apparentemente tanto diverse, come la forma del tempio periptero, e quella della ba-silica, finiscono per mostrale la loro profonda identità.»

Sostruzióne s. f. [dal lat. tardo substructio -onis, der. di substruc-tus, part. pass. di substruere «costruire di sotto, fare le fondamen-ta» (comp. di sub «sotto» e struere «costruire»)]. – In archeologia, struttura in tutto o in parte sotterranea che serve di sostegno a un edificio sovrastante, in partic. quando, per l’andamento in pendenza del terreno, è destinata a formare il piano orizzontale di posa del-la costruzione; la sostruzione costituisce in questo caso un’opera di terrazzamento che talora, nelle parti visibili, prende aspetti architet-

tonici imponenti e assume un notevole valore compositivo.( Dizionario Treccani)

Nell’interpretazione della città di Siracusa, a seguito di un’analisi approfondita di tutta la sua storia urbana, si è deciso di adottare nella sintesi dell’essenza della città il termine sostruzione, un termine tecnico utilizzato in architettura in ambito costruttivo.L’immagine di Siracusa è infatti molto affine a questa descrizione: essa infatti, a seguito di una già lungamente descritta succes-sioni di popoli e culture è dunque scaturita una ricchezza cultur-ale e architettonica.Questa ricchezza architettonica ha però avuto la particolarita di costruirsi sempre negli stessi luoghi delle epoche preceden-ti; questo a causa della conformazione della città e soprattutto della sua storia militare: essendo stata per diversi secoli città fortificata e chiusa dunque da possenti fortificazioni all’interno dell’isola di Ortigia, la città si è dunque rigenerata su se stessa.Da qui l’immagine della cultura delle epoche passate che sostengono e creando un piano di appoggio per le epoche suc-cessive così da creare una stratificazione nel suolo della città, a partire dal piano sotterraneo, fino ad arrivare ai piani superiori degli edifici. A Siracusa la sostruzione non si limita però ad un semplice sovrapposizione costruita, materica, ma è invece im-portante sottolineare anche la presenza di una sostruzione cul-turale molto forte, data dal numeroso numero di popoli che ha vissuto nell’isola nel corso degli anni. A simbolo di questo concetto e della città stessa, è sicuramente la Cattedrale, della quale riportiamo una descrizione dettagliata di Carlos Martì Aris, in Variazioni dell’identità:

33 Giustapposizione del capitello dorico dell’Athenaion e del capitello corinzio del Duomo di Siracusa 34 Immagine dell’interno del Duomo, foto di G. Chiaramonte

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LA SOSTRUZIONE

“Prendete un tempio greco, incorporatelo per intero in un edificio cristiano, al qual aggiungete per intero una facciata Normanna, che viene abbattuta dal terremoto del 1693. Senza scoraggiarvi virimettete all’opera e, cambiando completamente direzionesostituite la vecchia facciata con una deliziosa composizione barocca del’700. E il tutto deteriorato com’è continua a vivere e a sorridere, diffondendo nel mondo la sua immagine come se fosse stato creato da un Leonardo o un Michelangelo.” Lawrence Durell

A seguito di un’approfondita analisi urbana, è possibile affer-mare che tutta l’estrema complessità della città di Siracusa, è forse racchiusa all’interno di un unico monumento, il tempio di Atena, l’odierno duomo di Siracusa. Esso rappresenta il simbolo di Siracusa e l’emblema della sostruzione, la testimonianza materica del succedersi di diverse culture, dell’appoggiarsi e sostenersi l’una sull’altra, senza però eliminare completamente i caratteri delle epoche passate, le tr-acce di ognuna di esse sono ancora visibili, scolpite in questa fabbrica millenaria.

Originariamente l’Athenaion è un tempio periptero esastilo eretto su un poderoso stilobate; esempio classico di tempio dorico che attualmente si trova addossato ad altre costruzioni, ma che in età greca si trovava isolato sul punto più alto dell’isola di Ortigia, in corrispondenza dell’acropoli e affiancato da un altro grande tempio di ordine ionico, di poco antecedente, del quale purtroppo rimangono solo pochi resti.

Con la conquista dei romani cessò la potenza siracusana e i suoi templi vennero profanati; cominciò così un periodo in cui l’edifi-cio, come scrive Paolo Orsi, fu lasciato in un “periodo di abbandono a cui fu condannato il tempio dal IV al VII sec. d. C., quando cioè non fu più tempio pagano, né chiesa cristiana, ma rimase forse (nulla di positivo sappiamo al riguardo) nello stato, se non di ruina, certo di abbandono completo, senza che alcuno ne cu-rasse la manutenzione”.

Più robusto nella struttura, il tempio dorico ebbe la fortuna di essere convertito in chiesa, poichè si ritenne che la chiesa di S.Giovanni, all’epoca chiesa di rappresentanza della città, fosse troppo piccola e soprattutto in una pozione poco protetta. Questo gli permise di conservarsi in quasi tutte le sue parti fino ai giorni nostri.

“L’interesse, anche in questo caso, non è dovuto solo alla bellezza dei manufatti dorici, bensì alla percezione concreta di quanto un’ade-guata continuità di usi, resa possibile dalla trasformazione del tem-pio in chiesa, abbia permesso di preservare e rinnovare un’architet-tura eccezionale svelando inoltre, dal vero, i legami che uniscono tipologie architettoniche di epoche così lontane tra loro.” A. Ferlenga

Nell’età bizantina avvennero dunque alcuni dei cambiamenti più sostanziali: con la trasformazione in basilica paleocristiana, lo spazio fra le colone doriche venne murato, e all’interno della cel-la furono aperti otto archi, a pieno centro, per lato di cui l’ultimo più grande, creando un pseudotransetto che intersecandosi con la navata centrale rievoca il simbolo della cristianità, la croce latina. Il prospetto principale, e dunque l’ingresso fu rivolto ad occidente, e cioè ribaltato rispetto alla fronte principale del tem-pio greco che era ad est.Tali interventi ribaltavano quasi totalmente la natura dell’ar-chitettura, portandola da un orientamento teogono ad uno antro-pogeno. Infatti il culto cristiano prevedeva l’entrata nell’edificio religioso di tutti i fedeli e non dei soli sacerdoti eletti.

La situazione della chiesa rimase come descritto fino all’878, in quel tempo la città cadde sotto il dominio dei musulmani che oc-cuparono l’edificio e ne saccheggiarono le ricchezze.

Dopo la dominazione araba il cristianesimo venne riportato a Sir-acusa dai normanni, che operarono delle modifiche sostanziali alla chiesa. Alzarono la navata centrale per portare la luce all’in-terno, ma soprattutto trasformarono il duomo in una “ecclesia munita” come testimoniano le merlature sul prospetto, analoga-mente alle cattedrali di Palermo e di Cefalù.

2.1 LA CATTEDRALE DI SIRACUSA

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LA SOSTRUZIONE

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La chiesa fungeva da vera e propria fortezza essendo posta an-che sul punto più alto dell’isola.

«Le caratteristiche di fortilizio apparivano all’esterno e si comunica-vano anche all’interno nei vari edifici che componevano il complesso, ed in modo molto evidente nella chiesa. Questa con la sua centralità e la sua evidenza altimetrica poteva essere simbolicamente parago-nata a ciò che nei castelli feudali era il maschio. Nella chiesa, come dimostrano le cattedrali di Catania, Cefalù, Monreale e Palermo, era presente un articolato sistema di difesa rappresentato dalle torri oc-cidentali di facciata, da quelle orientali che affacciavano il santuario o dal santuario stesso turriforme, dai merli sulla linea d’attico dei muri e da un raffinato sistema di percorsi che consentivano l’agibilità alle scorte armate delle quote alte». G. Bellafiore

Fu poi nel 1542 che un terremoto scosse la chiesa e fece cadere la facciata del campanile. Presto, la nuova facciata venne ricostru-ita e il nuovo prospetto fu rappresentato da Tiburzio Spanocchi nel 1578. Nel 1579 lo stesso campanile fu colpito da un fulmine ma presto fu ricostruito per volontà del vescovo Orosco.Il muro interno della navata a nord fu rinforzato, come ad assurgere a funzione di contrafforte, per contenere il disassamento dei rocchi delle colonne e restituirne l’equilibrio statico.

A seguito del successivo terremoto del 1693, che devastò l’antica facciata e il campanile, la cattedrale fu attraversata dal barocco provocandole molteplici cambiamenti sia nelle strutture e sia nei decori. Al sisma cedettero anche le volte delle navate minori che furono ricostruite a botte.

«Il presbiterio venne scisso in due parti; il coro, rettangolare, pro-fondo, che si prolunga oltre l’antica abside e la tribuna, dominata da un’ampia cupola» S.L. Agnello

Nella seconda metà del Settecento e nell’Ottocento il Duomo at-traversa un periodo di decadenza. Nel 1731 il paramento murario dell’interno del Duomo venne in-teramente ricoperto di stucchi eseguiti da Giuseppe Blanco su disegno di Pompeo Picherali, non vennero nemmeno risparmiate le colonne doriche.

Tuttavia sappiamo nel 1906 che il Duomo era chiuso poichè il soffitto cinquecentesco era in condizioni statiche poco sicure. Per volontà di Monsignor Bignami, venne dato inizio ai restauri della cattedrale che permisero nel gennaio del 1927 di riaprire la cattedrale. I restauri interessarono l’interno della cattedrale, che venne ripulito di tutti gli stucchi presenti sulle pareti del naòs e sulle colonne riportando alla luce tutta la magnificenza del pri-mo tempio greco. Attraverso la demolizione della cornice che si estendeva su tutta la navata venne restituita alla vista l’unitarietà percettiva dello spazio riportando in superficie i conci del naòs, gli archi e i pilastri bizantini.Sul prospetto esterno settentrionali, sono stati eseguiti dei sondaggi esplorativi che hanno rivelato la presenza della colon-na d’angolo, l’unica interamente visibile all’esterno, che venne “liberata“ e ridonata al suggestivo scorcio di via della Minerva.

35 Incisione di Jean Houel 36 Immagine della “colonna prigioniera” nel prospetto del duomo37 Immagine di Via della Minerva

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In aggiunta a tutte le testimonianze del susseguirsi di popolazini che sono tutt’oggi visibili e tangibili nel percorrere la città, non si può prescindere, nel racconto della stratificazione di Siracu-sa, dal ricordare e raccontare l’altro volto di Ortigia, non visibile attraverso una passeggiata “superficiale”, costituito in concreto dal complesso sistema ipogeico al di sotto del piano percorribile della città.

Questi sotterranei sono anch’essi simbolo della cosìdetta sostruzione, essi raccontano allo stesso tempo il succedersi di popoli e di conseguenti funzioni a seconda delle diverse tra-dizioni: dalla vera e propria nascita della città, in epoca paoloc-ristiana, i siracusani scavano la terra per ricavare acquedotti, cisterne, depositi, catacombe, gallerie, cunicoli, passaggi per usi civili, agricoli, religiosi e militari.

Gli Ipogei vennero scavati in età antica dai primi colonizzatori greci allo scopo di ricavarne materiali e blocchi per la costruzi-one.Le Latomie, come già è stato detto, rappresentano il simbolo dello scavo a Siracusa: molte di queste erano cave a cielo aperto, mentre ,ma al fine di ricercare gli strati di roccia più compatta ci si spingeva in profondità scavando delle immense grotte al di sotto degli strati rocciosi che veniva sorretta da enormi pilastri risparmiati nella roccia stessa; la più famosa tra queste grotte, contenuta all’interno della Latomia del Paradiso, è l’orecchio di Dionisio: questo nome le fu dato da Michelangelo, che visitò Sir-acusa nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo Mirabella, dando così forza alla leggenda cinquecentesca secon-do la quale il famoso tiranno Dionisio avesse fatto costruire ques-ta grotta come prigione e vi rinchiudesse i suoi prigionieri per ascoltere, da un’apertura dall’alto, le parole ingigantite dall’eco.

Nelle stesse Latomie si ha quindi nei secoli un cambio di funzi-oni: da cave per la costruzione della città a prigioni impenetra-bili, fino ad abitazioni per la popolazione umile, per poi divenire in epoca contemporanea giardini rigogliossissimi e veri e propri monumenti che coesistono insieme ai monumenti a cui loro st-esse hanno dato vita grazie all’utilizzo della propria pietra.

“Mirabella, nato a Siracusa e autore di una storia della città, c’infor-ma che questa grotta, chiamata Orecchio di Dionisio, in origine era una cava come le altre designata con il nome di Piscidina. Ci racco-nta che vi si rinchiudevano prigionieri importanti durante il regno di Dionisio e che il carceriere mettendosi in un certo punto del cunico-lo, a loro insaputa, riusciva ad ascoltarne i discorsi anche se parla-vano a voce bassa, per l’effetto straordinario di un’eco prodotta dalla forma della grotta. Una volta al corrente dei loro segreti, li riferiva a

Dionisio.” (Jean Pierre Louis Laurent Hoüel)

38 Incisione dell’Orecchio di Dionisio

2.2 SIRACUSA SOTTERRANEA

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LA SOSTRUZIONE

Una delle necessità, che portarono il cittadino siracusano a scav-are luoghi sotterranei, fu religiosa, con l’arrivo dei sistemi cimit-eriali. le catacombe, la cui utilizzazione ha inizio già nel corso del III sec. d.C., furono precedute da necropoli risalenti alla prima e alla media età imperiale.

La cripta di San Marciano, nel complesso religioso di San Giovan-ni è il primo luogo di culto del Cristianesimo per tutto l’Occiden-te: situata a cinque metri di profondità ha inglobato il sepolcro di San Marciano. A partire da questo luogo i cristiani cominciarono a scavare gal-lerie per la sepoltura dei morti; da qui prese avvio la costruzione della catacomba che ospitò in seguito i corpi dei molti siracu-sani uccisi durante le persecuzioni romane: collocate nella zona di Acradina, alla base del tracciato vi è una direttrice rettilinea, che probabilmente dimostra la presenza antecedente nel luogo di un vecchio acquedotto d’epoca greca abbandonato; da questa via si aprono ad angolo retto i cardini minori, dove si incontrano vecchie cisterne di forma conica, sempre del periodo romano, ri-adattate a cubicoli.

Nel gruppo delle catacome siracusana, è importante ricordare anche la più antica e più vasta di Siracusa: risale al II secolo d.C. la catacomba di Santa Lucia, nell’omonima borgata e nella zona del complesso di Santa Lucia Extra Moenia, sorse intorno alla tomba della santa, seguì poi la costruzione nel XVII secolo della cappella ottagonale del Vermexio. Secondo la tradizione, inoltre, il corpo della martire siracusana fu seppellito proprio in un arcosolio del gruppo catacombale, che da quel momento divenne un luogo deputato per le celebrazioni religiose che si svolgevano in città; la Catacomba, sottostante l’attuale Piazza Santa Lucia, si estende a sud-ovest della chie-sa ed è caratterizzata da una morfologia piuttosto complessa; è divisa in varie regioni con la presenza di loculi, cubicola e zone con sepolture privilegiate, trasformate in età bizantina in oratori aperti al culto. Nel XV secolo l’oratorio che si trovava nella regione più impor-tante del complesso, fu trasformato in cisterna perdendo la sua identità originaria, ma con la possibilità di conservarsi e resistere nei secoli a venire.

39 Immagine della cripta di San Marciano40 Pianta delle catacombe di S. Giovanni

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LA SOSTRUZIONE

ebraica siracusana: nel quartiere ebraico della Giudecca sono in-fatti presenti i cosìdetti miqwe: cioè bagni di purificazione rituale ebraica; il più famoso e ancora visitabile è nei sotterranei di un edificio patrizio nella Giudecca; l’ingresso conduce direttamente al cunicolo scavato nella roccia che scende in una stanzetta ret-tangolare (posta 18 metri sotto il suolo aretuseo) presso il cui centro vi sono tre vasche in cui sgorga ancora acqua.

Altro sistema ipogeo significativo è al di sotto della chiesa di S. Filippo, situato anch’esso nel quartiere ebraico della Giudecca sotto l’omo nima, costruita nel luogo in cui sorgeva la quattro-centesca Sinagoga ebraica di Siracusa, che venne poi trasfor-mata in Chiesa a seguito del terremoto del 1693; i suoi sotter-ranei, che ospitano ora la cripta, presentano ancora segni della precedente presenza ebraica. Il pozzo è accessibile mediante una scala a chiocciola di età cinquecentesca, dunque si crede sia connessa al periodo della cacciata degli ebrei avvenuta nel 1492, che lo collega alla soprastante chiesa. Al suo interno è ancora possibile osservare la presenza di acqua dolce con le stesse car-atteristiche delle altre polluzioni di acqua, già descritte, nel sub-strato di Ortigia e di cui però non si ha certezza che venisse usata anch’esso per i riti di purificazione ebraica.

L’Ipogeo di Piazza Duomo, il cui ingresso si apre alla base del giardino dell’Arcivescovado, è una di queste gallerie, che unisce cave di pietra e cisterne. Questo congiunge in senso est-ovest la piazza del Duomo alle mura della Marina andando a riconnettere le due quote della cit-tà contemporanea; articolandosi in una galleria principale, da cui si dipartono alcune gallerie minori, una di esse si ricongiunge alla grande cisterna del palazzo Arcivescovile.

Costruita dal vescovo Paolo Faraone (1619-1629), la cisterna ebbe un ruolo essenziale non solo per il rifornimento idrico del Palazzo Arcivescovile, ma per l’intera Ortigia. Un primo nucleo di gallerie è legato però alla presenza di una precedente cava ubicata in Piazza Duomo e ricordata nel XVIII secolo poiché, da essa era stata tratta la pietra per la costruzione della facciata della Cattedrale, Il punto di accesso, venne individuato nel 1869 durante la realizzazione di lavori pubblici “quasi rimpetto al por-tone d’entrata del palazzo Arcivescovile, ma che dava un po’ alla parte del Monastero di S. Lucia: vi si situò una gran carrucola, e per essa i mastri sollevavano pietra ch’era della stessa natura di quella delle colonne…”

Durante la seconda guerra mondiale la rete di cunicoli fu adatta-ta a rifugio contro i bombardamenti. Dopo le cave. le cisterne e i complessi sepolcrali, la tipologia di ipogeo presente al di sotto di Ortigia è sempre di carattere reli-gioso, e riguarda la presenza nel passato di una comunità

41 Sezione degli ipogei di Piazza Duomo42 Interno degli ipogei di Piazza Duomo, foto di Giulia Bottiani

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LA SOSTRUZIONE

La sovrapposizione e sedimentazione di epoche, che come si è potuto vedere è ben presente in alcuni edifici della città, e allo stesso tempo è celata al di sotto del suo piano, custodita dai sistemi ipogei, essa è ancora leggibile attraverso una terza lettu-ra della città, quella urbana.Siracusa infatti, a differenza di alcune città a lei limitrofe, nonos-tante i gravi danni del terremoto del 1693 e di quelli minori, non è stata rasa al suolo e ricostruita ex novo, come ad esempio Noto, ma nonostante i disastri subiti è riuscita a far pervenire fin’ora la memoria di ogni popolo che ha vissuto e popolato l’isola nella storia.

In particolare è possibile distinguere chiaramente quattro tessuti urbani predominanti: quello greco, con il quartiere della Giudec-ca e dei Bottari; quello islamico, grazie al quartiere della Graziel-la; il periodo barocco, post terremoto, che mantiene come sim-bolo la maestosa piazza lenticolare di piazza Duomo; ed infine il tessuto novecentesco e fascista, presente all’ingresso dell’isola ed a seguire nella terraferma.Il quartiere della Giudecca, analogamente a quello dei Bottari nella parte occidentale dell’isola, conserva ancora in molti punti, pur nelle trasformazioni successive, l’allineamento e l’orientam-ento dell’ antico assetto greco per strigas, mantenutosi per tutto il medioevo e l’età moderna.

Le caratteristiche delle unità edilizie hanno come caratteristica l’orientamento delle facciate a Nord-Sud, l’altezza degli edifici di massimo 3 piani fuori terra, e la caratteristica forma degli isolati con una dimensione molto stretta e allungata in direzione Est-Ovest e delle strade molto strette, circa 2,5m.

43 Pianta del quartiere Giudecca44 Pianta del quartiere Graziella

2.3 PERMANENZE URBANE NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA

[…] milioni di vite passate, presenti e future, quegli edifici recenti, nati su edifici antichi e seguiti a loro volta da edifici ancora da costruirsi,

mi sembra si susseguissero nel tempo, simili alle onde […]Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

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LA SOSTRUZIONE

Il quartiere Graziella, risalente al XI secolo, è testimonianza del tipico impianto urbano della città islamica, è difatti caratterizzato da uno straordinario aggregato di vicoli, ronchi, cortili e piccoli slarghi. Nemmeno il terremoto del 1693 portò ad una ricostruzi-one più ordinata, perché ci fu uno strano modo di intervenire. In-vece di rimuovere le macerie e procedere ad un’opera pianificata si pensò di ammucchiare le macerie nelle vie e nelle piazze con il risultato di aggiungere al disordine planimetrico anche quello altimetrico. I ronchi, infatti, sono più bassi anche di uno o più metri rispetto alle vie.

La piazza del Duomo copre un’area che rappresenta il punto cen-trale e più elevato di Ortigia, è l’area che costituì il cuore della città greca, di quella medioevale e, soprattutto, di quella barocca.Intorno a questo spazio aperto dall’età antica le diverse costruz-ioni, iniziate dall’Athenaion si impostano rispetto ad esso. La sua forma attuale è da leggere assieme alle vicende della architettu-ra barocca di Siracusa dopo il terremoto del 1693; nonostante le distruzioni provocate dal sisma del 1693 a Siracusa siano state meno forti che in altre città della Sicilia sud orientale, l’afflusso di denaro destinato alla ricostruzione favorì un’intensa attività edilizia, e fu l’occasione per adeguare l’immagine della propria città al nuovo gusto “moderno”. Grazie ad una serrata compe-tizione tra clero e nobiltà la piazza della cattedrale si trasformò in un vero e proprio cantiere che modificò gradualmente l’aspetto esteriore degli edifici che vi si affacciavano. Rispetto al barocco di Catania, Noto ed altre città in ricostruzione dopo il terremoto, prevalse il mantenimento della solidità e semplicità delle masse murarie, tutte rigorosamente rettilinee, per un orgoglioso senso di continuità di Siracusa con il mondo classico.

la forma semiellittica, “lenticolare”, della piazza è dominata dal-le facciate imponenti di alcuni palazzi nobiliari e da quelle baro-cche del Duomo e della chiesa di Santa Lucia alla Badia; accanto al Duomo è il Palazzo Senatorio, sede del Municipio e commis-sionato dal governo della città all’architetto Giovanni Vermexio,, costruito nel Seicento sui resti del tempio ionico; di fronte il Pala-zzo Beneventano del Bosco, ricostruito a fine settecento; infine, alla destra del duomo, il Palazzo Vescovile, costituito da strutture medievali restaurate e riutilizzate nel Seicento.

45 Pianta della piazza lenticolare del Duomo46 Immagine storica della piazza lenticolare

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LA SOSTRUZIONE

L’aspetto di Ortigia arrivò perciò in epoca moderna, con un ba-gaglio di sovrapposizioni e stratificazioni culturali, “rivestite” da forme barocche; creando nel loro insieme una sorta di equilibrio urbano, senza dissonanze. La violazione di questo coesistere comincio nell’Ottocento, a ca-vallo dell’unità d’Italia, attraverso l’inserimento nel tessuto ur-bano dell’isola, di elementi “alieni” al contesto, attraverso nuove costruzioni ma anche distruzioni delle passate.

Partendo con il colmare il vuoto lasciato a seguito della demolizione di tutte le fortificazione della città e del conseguente interramento dei canali difensivi, l’espansione moderna si inserì con tipologie edilizie che risultavano in chiara dissonanza con il tessuto urbano esistente, evidentemente minuto e compatto: le nuove costruzioni si presentavano infatti come edifici molto im-ponenti, inseriti in una maglia di lotti regolari, con strade ampie che li circondavano; gli edifici superavano inoltre i classici 2 piani fuori terra dell’antico tessuto edilizio.

Gli interventi più invasivi all’interno dell’isola furono in primis l’apertura di Piazza Archimede, nelle vicinanze della barocca pi-azza Duomo, fu ricavato uno slargo all’interno degli antichi isolati medievali, per dar vita alla nuova piazza.In seguito nel periodo fascista venne prevista la realizzazione di una nuova arteria, via del Littorio, l’attuale corso Matteotti, sec-ondo i piani di risanamento dell’epoca, per questo progetto ven-nero distrutti quattro interi isolati medievali, creando un vero e proprio sventramento all’interno del tessuto compatto di Ortigia.Nel 1862 si provvide alla risistemazione della fonte Aretusa, che venne rinchiusa nell’attuale bacino, distruggendo l’originale sua collocazione che probabilmente era più suggestiva.

Nello stesso anno, 1862, la popolazione di Siracusa ascendeva a 19.930 abitanti. La ripresa demografica di Siracusa ebbe come risultato ultimo della grande espansione edilizia una serie di demolizioni che non furono contenute nel quartiere di Ortigiia, ma che investirono l’intera area della Pentapoli. Le nuove costru-zioni, sia per motivi economici che di tempo,

47 Pianta della Siracusa Novecentesca e dei piani regolatori

IL MUSEO DELLA CITTÀ

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IL MUSEO DELLA CITTÀ

A seguito dell’avvenuta conoscenza della città e del suo passato, di un’analisi interpretativa che riconosce la presenza di un ba-gaglio storico e culturale celato in superficie, e di una comples-sità straordinaria, superiore a numerose città storiche italiane, è scaturita la proposta di istituire un museo della città collocato in Ortigia. Grazie anche alla presenza di resti archeologici tra i più impor-tanti e meglio conservati dell’intera area mediterranea, Siracusa è entrata a far parte dei beni di patrimonio dell’UNESCO, ed in quanto tale ha il compito e la necessità di identificare, proteggere e tutelare il suo patrimonio culturale, per la trasmissione alle generazioni future. Risulta quindi fondamentale la necessità alla città di mostrar-si in tutta la sua interezza e il suo splendore, svelando la sua complessa storia urbana, cristallizzata al di sotto delle molteplici stratificazioni, così da risultare poco visibile e comprensibile agli occhi inesperti di un visitatore.Vista la presenza di un museo archeologico e di altri musei mi-nori che raccontano separatamente diverse epoche della città, si è vista la necessità di creare un luogo che permettesse la sintesi di tutti questi luoghi nella città, considerando anche la presenza in diverse aree di Siracusa, di resti ancora integri e autentici del passato. Un’ altra ragione per l’inserimento di un museo della città, è stata la provata esigenza in Siracusa, in particolare in Or-tigia, di luogo della collettività, l’idea quindi di un museo che non funga solo da luogo espositivo, ma nella visione contemporanea di questa tipologia, un luogo a servizio della città e dunque un sistema della ricerca e della cultura. 48 Museo Archeologico Paolo Orsi, Siracusa

49 Palazzo Bellomo, Siracusa

3.1 RAGIONI DELLA SCELTA E CARATTERE DI NECESSITÀ

“Un museo della città è un’istituzione permanente o un organis-mo culturale senza scopo di lucro, DINAMICO E IN EVOLUZIONE, a servizio della società urbana e del suo sviluppo, e aperto al pubblico; esso COORDINA, ACQUISISCE, CONSERVA, RICERCA, COMUNICA ED ESPONE, con finalità di studio, istruzione, accordo tra le comu-nità e intrattenimento del pubblico, l’eredità tangibile e intangibile, mobile ed immobile, delle diverse popolazioni e del loro territorio.” (International Council of Museums - ICOM)

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IL MUSEO DELLA CITTÀ

L’evoluzione del museo della città nella storia

Il museo della città, inteso come raccolta di oggetti, documenti e testimonianze riguardanti la storia di una città, è un’istituzione generata nell’Ottocento, basato sui processi di cambiamento av-viati in tutta Europa dalla Rivoluzione francese. Ed è appunto la Francia la madre del museo della città, potendo forse collegare al tema del museo della città i temi del museo dei monumenti, nato già nel 1791, e in seguito il museo dei plastici e dell’architettura.I musei di fondazione più antica, quali il Musée Carnavalet a Pari-gi e il Museo di Roma, si occupano prevalentemente della docu-mentazione e della conservazione di testimonianze storiche.Il carattere negativo che si riscontra nei primi musei della città è proprio quella di diventare luogo di “ibernazione della città”: luogo in cui la città in espansione accatasta i resti di un passato ingombrante, minacciando di bloccare lo sviluppo urbano.A partire dal XIX sec. il museo della città si sviluppa in varie cit-tà d’Europa in maniera autonoma rispetto alle altre istituzioni museali, documentando la storia della città secondo un’ organiz-zazione classificatoria, scientifica e positivista. Con il passaggio al XX secolo, il museo della città amplia i pro-pri ambiti di interesse diventando una vera e propria istituzione museale: non si intende più il museo ”nel senso stretto di edifi-cio, ma come potente metafora sociale e come mezzo attraverso il quale la società rappresenta il rapporto con la propria storia” (Lumley).È proprio per scongiurare ed allontanarsi dalla tendenza di “ibernazione” che con il passare degli anni, a partire dal XX sec., il sistema di musealizzazione ha cominciato a rivolgersi indis-tintamente sia agli oggetti contenuti nel museo, sia agli oggetti conservati al di fuori di esso, evitando dunque la decontestual-izzazione e accentuando la relazione del museo della città con il territorio. Ad esempio musei più recenti come il Museum of London e il Montreal History Center, curano particolarmente la trasmissione del messaggio museale al pubblico. In epoca con-temporanea è dunque probabile trovare nelle città di maggiore importanza un museo della città, ma difficilmente è possibile trovare meccanismi comuni per ciascun museo, essendo stret-tamente legati al carattere della città.

50 Museo di Roma51 Museum of London

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Le tipologie del museo della città

IL MUSEO STORICO CRONOLOGICO

Precursore dell’istituzione del museo della città, questa prima forma è stata impiegata in più città per costituire il primo museo che contenesse e raccontasse la storia e il passato della città stessa. Spesso insediato in palazzi storici e significativi per lo sviluppo urbano, tale museo si sviluppa attraverso percorsi cro-nologici.Rischio di tale museo è quello di diventare luogo di “ibernazione della città”: luogo in cui la città in espansione accatasta i resti di un passato ingombrante, minacciando di bloccare lo sviluppo urbano.

IL MUSEO IN LOCO

La forma di musealizzazione “in loco” avviene nel momento in cui l’istituzione museale ha l’obiettivo di mostrare l’idea e il car-attere di una città, posizionandosi a ridosso o nelle estreme vic-inanze di una presistenza che permetta l’istantanea comprensi-one della città stessa.

1981, Museo Romano della Crypta Balbi, Roma

1880, Musée Carnavalet, Paris

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IL MUSEO ALL’APERTO

Estendendo e generalizzando il concetto di musealizzazione in loco, si può affermare che l’intera città può essere inclusa nel percorso espositivo del museo. I confini stessi del museo della città potrebbero dunque coincidere con la città stessa, o in caso con quelli di un quartiere significativo, simbolo della storia della città. é nel percorrere la città che il visitatore può comprendere attraverso le preesistenze e la convivenza tra varie epoche, l’es-senza della città stessa.

L’URBAN CENTER

In tempi più recenti, l’idea del museo della città, che si è resa pian piano più autonoma di città in città, in riferimento all’inter-pretazione della stessa, si è sviluppato all’interno di un concetto più esteso ed urbano, quello dell’urban center. Tale istituzione è una sorta di laboratorio urbano che si propone di organizzare at-tività ed iniziative di vario tipo, volte alla conoscenza, da parte del cittadino, delle politiche urbane e al confronto aperto su di esse. Tale concetto è dunque da pensarsi integrato all’idea primaria di museo della città, per una maggiore apertura verso la città.

2007, Citè de l’architecture et du patrimoine, Paris

1934, Musée urbain de la ville de Lyon, Tony Garnier

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Grazie all’indagine condotta sulla realtà attuale dei musei della città, è stato possibile individuarne le caratteristiche e le pecu-liarità che li differenziano dai musei archeologici e storici. Il museo della città ha per oggetto un tema unico nel suo genere: la città. La particolarità del tema in questione e l’importanza che esso riveste nei confronti dell’impostazione del museo, appare evidente, e lo rende quindi un museo che non è possibile catalog-are e definire attraverso un’unica tipologia.I musei della città costituiscono, oggi, una tipologia museale ric-ca di proposte e interpretazioni diverse, per quanto riguarda le finalità, le collezioni, gli esiti formali, il rapporto con la città che rappresentano. Uno però delle peculiarità del museo della città è il suo rapporto con il territorio, orizzonte di riferimento entro cui il museo si forma ed esplica le sue attività. è per questo motivo, il radicamento del museo della città nel suo luogo di appartenen-za, che non sempre le caratteristiche generali di un museo della città possono essere esportate. Non sarebbe possibile, quindi, tratteggiare i lineamenti di un ideale museo della città assem-blando diverse caratteristiche di musei dela città in diverse parti del modno. A partire dall’analisi delle vicende storiche che lo hanno interessato negli ultimi due secoli e dall’investigazione di alcuni casi emblematici, si è cercato di elaborare una concezione del museo della città che tenesse conto delle innovazioni che lo stanno interessando. Allontanandosi dalla classica concezione di museo storico cronologico, progettato come grande archivio di oggetti d’epoca, si è cercato di avvicinarsi alla tendenza attuale dei musei della città, concepiti come istituzioni dinamiche e op-erative. Oltre ad essere testimone e divulgatore della città pas-sata, questo organismo culturale deve rappresentare il centro di elaborazione e promozione della città futura.

“Il museo della città, dovrebbe contemplare sia il PASSATO, sia il PRESENTE, sia il FUTURO, non trascurando nessuna delle tre dette prospettive.” (K. Hudson, Museums of Influence, 1987)

“Il museo, quale istituzione, si propone come corsia preferenziale per una decodificazione ed una fluidificazione dei nodi più intricati”( M.F. Roggero, Il museo, dal taccuino all’esperienza, 1999)

Fredi Drugman (1998), “...veicolo della comunicazione: in particolare nel sollecitare lo sguardo del visitatore a attraversare le pareti del museo e spaziare attorno, per poi ritornare all’interno e riimergersi tra gli oggetti, ma con un sapere accresciuto”

3.2 IL MUSEO DELLA CITTÀ IN EPOCA CONTEMPORANEA: IL MUSEO TEMATICO ACRONOLOGICO

Il museo della città deve essere un “museo a finalità didattiche, mobile nelle sue scelte espositive, a natura sperimentale e fonda-mentalmente ludico […]. In tal senso si caratterizzerebbe, come deve essere, non come un luogo che si visita una volta sola, ma come un luogo di molti appuntamenti, scalati nel tempo.”(U. Eco, Idee per un museo, 1986)

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Nella scelta e nello sviluppo del museo della città per Siracusa, si è dunque tenuto di vari punti che potessero rendere il museo un luogo frequentato, necessario allo sviluppo della città e vissu-to sia dai turisti che dalla cittadinanza, creando dunque un nuovo centro della colletività, un centro pulsante della vita cittadina ric-co di attività e polarità necessarie a far vivere il luogo.

Nel procedere nello sviluppo del museo della città di Siracusa si è quindi operato con riferimenti non a delle tipologie museali, ma a dei concetti, quali: il museo come guida alla lettura della città, il museo come espressione della comunità locale, il museo come strumento della pianificazione urbana e della ricerca. Un museo della città che tenga conto di questi tre aspetti si riallaccia ad un nuovo concetto che in epoca contemporanea si sta sviluppando e concretizzando in diverse città, quello dell’urban center, una sorta di laboratorio urbano che si propone di organizzare attiv-ità e iniziative di vario tipo, volte alla conoscenza, da parte dei cittadini, delle politiche urbane e al confronto aperto su di esse; senza dunque abbandonare completamente il concetto originale del museo della città, è forse possibile andare ad integrare le due istituzioni, così da permettere il maggiore coinvoilgimento dei cittadini e la costante fruizione urbana del luogo.

Nell’impostazione del museo, è stato invece importante la lettu-ra della città che ha determinato conseguentemente lo sviluppo del percorso museale, che ha riletto in chiave critico interpre-tativa la storia della città, permettendo uno sviluppo differente da un normale museo della storia o museo archeologico, quindi non cronologico ma in stretta relazione con i temi e i caratteri di Siracusa.

Per una completa messa in opera del museo della città in cam-po urbano, nell’ideazione del sistema di allestimento ed espo-sizione si è tenuto da conto altri due elementi: l’idea di una sala temporanea, che possa dunque permettere la fruizione scandita e ripetuta nel tempo da parte dei cittadini, andando a coinvol-gere anche una delle istituzioni più importanti all’interno della città: l’Università, di importanza unica per la collaborazione con esperti in determinate disciplicine e la possibilità di eventi e con-ferenze su temi calzanti sull’ambito urbano, e soprattutto per il possibile coinvolgimento di tutte le fasce d’età.

“Il museo deve farsi carico di ricomporre un mosaico che appare scomposto, raccoglierne i frammenti e costruire su logiche deduz-ioni un processo di identificazione e di conoscenza che permetta un accostamento all’oggetto in quanto tale e, per estensione, alla realtà che l’ha giustificato e reso concretamente presente...”

“...così da situazione a situazione, si può prendere gradualmente co-scienza di quel labirinto o intrico segnico in cui ci muoviamo, trovar-ne i fili confusi, ricostruirne i percorsi, in un continuo processo fatto di rimandi.” (Frabboni e Zucchini, 1985)

“In un luogo di produzione culturale di questo tipo, il rapporto con l’Università è fondamentale. D’altra parte anche per l’Università questa opportunità è molto importante. La possibilità di valutare i prodotti di ricerca non solo rispetto all’autoconsumo accademico ma anche rispetto all’esigenza di educare un pobblico più vasto è molto importante. (Ceccarelli, 1995)

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IL PROGETTO

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A seguito della scelta del tema museale la cui necessità era com-parsa dalla lettura della città, la domanda successiva è quale lu-ogo sia più adatto ad ospitare questa funzione.La scelta iniziale riguarda la collocazione in Ortigia, in quanto quartiere cardine della storia della città, simbolo ed immagine della città fortificata, nonché indicato nella storia come quartiere di rappresentanza, che accoglieva al suo interno edifici pubblici per l’incontro della comunità.Nella lettura della città si è riscontrato un ulteriore carattere fondamentale all’interno del tessuto, quello dei vuoti urbani: in questa immagine evocativa del cretto, della città di pietra, si nota la presenza di vuoti che all’interno forniscono una pausa dall’ed-ificato, ma che a margine del tessuto creano un vuoto tra città e mare: è lì celata la memoria del passato militare della città, che si presentava appunto come una città introversa protetta dall’in-vasioni via mare da un sistema di fortificazioni, che soprattutto in Ortigia si presentarono efficaci e mai permisero l’invasione nel quartiere. A collegamento dei due vuoti che corrono lungo l’area edificata, identificati ora quali lungomarid della città, si trova il terzo grande vuoto urbano, in corrispondenza della punta

dell’isola e a termine del sistema urbano edificato; si tratta di un vuoto urbano liberato negli ultimi decenni dell’800 successiva-mente all’abbattimento del sistema difensivo che cingeva l’intera Ortigia e trovava nella punta la sua conclusione con la presenza della fortezza federiciana e della caserma militare.E’ l’unico vuoto urbano di ampie dimensioni che, in seguito alla demolizione delle fortificazioni, pur restituendo un rapporto di-retto col mare (è, infatti, l’unico momento dell’isola in cui il mare è visibile da est ad ovest), lascia uno spazio inedificato ed irrisol-to.Il limite prende dunque le caratteristiche di spazio di progetto.Questo luogo si è rilevato essere conforme all’accoglienza del edificazione per una serie di ragioni in relazione al tema e all’obi-ettivo. In particolare ci troviamo alla punta estrema dell’isola, raggiungibile via mare oppure a seguito dell’attraversamento della città: si ha quindi la possibilità di un duplice ragionamento: il museo si pone in un punto strategico in cui il visitatore, arrivan-do dalla terraferma, a seguito di una scoperta della città può far sintesi, conoscere le ragioni intrinseche alla natura della città, per una corretta comprensione e visione totale, inversa

4.1 IL VUOTO URBANO TRA LA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA E IL CASTELLO MANIACE

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mente ma comunque efficace, l’avvicinamento dal mare e quindi la prima visione della città attraverso il percorso museale, per poi visitare in loco gli attori della storia della città in maniera più consapevole.Una seconda caratteristica fondamentale dell’area, è la perma-nenza più importante della storia della città fortificata: oltre al vuoto, che insiste sul sedime delle demolite fortificazioni, l’area si confronta con la presenza del Castello Maniace, simbolo del passato militare della città di Siracusa. Il Castello si trova nella punta estrema di Ortigia ed è separa-ta dalla città attraverso la presenza di un dislivello rispetto alla quota urbana, tenuto insieme da un ponte, in quanto nel passato l’area del Maniace si proteggeva sia dal mare che dalle insur-rezioni civili attraverso un sistema di fortificazioni tra cui anche un ponte levatoio, che permetteva l’isolamento del Castello nei confronti della città. Questo luogo ribassato, che rappresentava quindi una sorta di fossato, ha la particolarità e il privilegio di un contatto con il mare che invece Ortigia, nonostante isola, non ha mai conosciuto nel passato se non in corrispondenza dei porti per ragioni commer-ciali; in quanto città fortificata, i suoi edifici hanno infatti sempre voltato le spalle al mare, dando alla città un carattere introverso cm che non gli ha permesso di sfruttare al meglio la sua straor

dinaria posizione. Ad oggi l’area del fossato è però chiusa e non esperibile dalla comunità, è visibile solo nell’attraversamento del ponte per raggiungere l’area del Maniace.Antagonista al Castello, l’area di interesse presenta un limite, una cesura al tessuto urbano tramite la presenza dell’edificio che ospitò in passato la caserma militare Gaetano Abela, oggi distaccamento della Scuola di Architettura della facoltà di Cat-ania.Il Castello e la Caserma rappresentano, inoltre, due fuoriscala all’interno del tessuto compatto, minuto e densificato di Ortigia, caratterizzato da edifici di massimo due o tre piani.Il Maniace, costruzione ad impianto centrale tipica delle fortezze volute da Federico II di Svevia, è stata una grande aula ipostila di rappresentanza per la corte siciliana e, come una grande pi-etra incastrata, poggia direttamente le sue fondazioni sulle rocce emerse.La caserma Abela invece, con proporzioni similari al castello, può essere letta, nello spazio della sua corte interna, come un’aulaa cielo aperto.Unico risulta inoltre lo spazio della Vignazza che si proietta dopo il Castello verso il mare: luogo destinato ad ospitare i dispositivi di difesa militare, offre un esempio significativo di come Ortigia sia stata esperitaa a quote diverse, per diverse funzioni.

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4.2 PROGETTO DI UN SISTEMA DELLA CULTURA

Il progetto si fa carico delle necessità e delle problematiche che insorgono nell’area coinvolta, offrendo una risposta concreta che possa conferire nuova centralità ed urbanità a questo spazio av-vertito come limite conclusivo della città.Si genera dunque un sistema della cultura e della ricerca che, insediandosi tra il Castello e la Caserma, offre un momento di sintesi dell’essenza della città Museo della città come organis-mo dinamico e in evoluzione a servizio della società urbana, un museo con finalità didattiche e di ricerca, uno spazio che coordi-na, conserva, ricerca e espone.

L’idea del sistema museale è quello di un museo mobile nelle sue scelte espositive, a natura sperimentale, un museo che con-templi il passato come il contemporaneo; un luogo che non si visita solo una volta ma centro di molti appuntamenti scalati nel tempo: è dunque questo il taglio che si è dato all’intervento qual-ificandolo come Urban Center al servizio di una città che tutt’oggi è in continua trasformazione.Il luogo diventa dunque una polarità attiva per la città, centro di documentazione di oggetti anche collocati altrove, ma che qui sono riconosciuti, dichiarati e sintetizzati.

Si faccia strumento di ricerca a supporto delle amministrazioni, degli studiosi, dell’Università.E’ per queste ragioni che si è deciso di lavorare in sinergia con la Scuola di Architettura articolando l’intervento in un sistema della cultura e della ricerca che, impostandosi sulle diverse quote es-istenti, chiami in causa tutti gli attori che si affacciano sull’area di progetto.

Il primo gesto caratterizzante l’intervento si concreta, infatti, nel-lo scavo di una piazza ipogea collocata a -4.5m dalla quota della città (+3.5m slm) dalla quale affiora il monolite del museo; il cor-po è presidiato da due baluardi che riportano alla memoria, nella loro giacitura e composizione formale, il genius loci del contesto.Il secondo volume emerso riconoscibile è il corpo della biblioteca inserito nella corte dell’ex caserma AbelaQuesta piazza concepita come una grande vasca di pietra, mi-mando l’operazione dello scavo archeologico, rilegge quasi di-dascalicamente la sostruzione di Siracusa mediante una pro-gressiva esfoliazione che mette a nudo le diverse stratificazioni.

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La piazza assume tutte le valenze di un cuore pulsante sul quale affacciano le attività e le funzioni insediate dando nuova colloca zione ad attività già presenti sul luogo quali Consorzio Plemmirio ed offrendo nuovi spazi aggiuntivi quali la sala conferenze che cerca di rispondere ad un sempre più attuale necessità che sta vivendo la città che a partire dal G8 del 2009 si sta trasforman-do in polo congressuale: offrendo una location più strutturata rispetto al Palazzo Vermexio, sede del comune.

la piazza a seconda delle necessità può cambiare natura e trasformarsi in un teatro a cielo aperto in cui la gradonata di discesa diventa cavea, la quota bassa orchestra ed il prospetto del museo frons scenae (proscenio) al fine di accogliere rappresentazioni ed eventi culturali quali sono quelli che già oggi animano piaz-za Federico II di Svevia e sono promossi dall’associazione Arena Maniace. L’intera piazza diventa diventa dunque una vera e pro-pria macchina scenica, flessibile a svariati usi e funzioni.

Ma il progetto non si pone solo quest’unico obiettivo, ma anche quello di riprendere in gioco parti di città e quote (+2.0m slm) che sono sempre state escluse; riappropriandosi di un rapporto con

il mare da sempre lasciato alle spalle a causa della natura in-troversa e fortificata di Ortigia, percepibile nelle sole aree della Marina (Foro Vittorio Emanuele) e del Lungomare di Levante.

Il percorso conduce poi inaspettatamente al mare così come gli ipogei situati sotto piazza Duomo nella loro uscita sulla Marina.Qui il rapporto col mare si concretizza fisicamente grazie alla presenza di un molo che consente l’attracco di piccole imbar-cazioni e quindi offre un ulteriore momento di approdo all’isola.Il tracciato prosegue offrendo un breve percorso espositivo pub-blico ticketless che introduce alla visita del Castello maniace e, con una rampa la risalita, al grande scoglio.

Si evidenzia, dunque, come il progetto diventi tanto sistema quanto fatto urbano che, a partire dalla strada ritagliata tra aula e bastioni, ridisegna interamente una parte di città e offre quel percorso libero ed alternativo al ponte di pietra che istituisce ed evidenzia il legame indissolubile tra memoria e futuro.

PLANIVOLUMETRICOscala 1:500

PLANIMETRIA LIVELLO IPOGEO QUOTA +3.7 mscala 1:500

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IL PROGETTO

L’intervento gravita dunque attorno all’elemento della piazza, su cui si affacciano le nuove funzioni insediate dal progetto: un mu-seo tematico della città, un auditorium, una biblioteca a servizio della Facoltà di Architettura, una serie di laboratori che fanno da filtro e tramite con la Facoltà, un collegamento alternativo al castello Maniace con attracco per piccole imbarcazioni.

L’intero sistema si sviluppa in particolar modo su due piani: il pi-ano della città, ed il piano ipogeo; quest’ultimo è proprio l’emen-to che tiene assieme tutti gli interventi, che se in superficie sono separati, e si legano alle diverse parti dell’area d’intervento, van-no invece a creare un percorso continuo nel piano ipogeo, creando la possibilità di attraversare tutti gli interventi ad un’unica quota, andando a collegare dunque interventi urbani e quindi legati alla città, con la quota più naturale dell’isola, quella del mare, che in tutta Ortigia risulta invece slegata al contesto cittadino.

Il percorso progettuale ha l’obiettivo, in entrambe le quote, di creare un continuum percorribile pubblicamente in ogni zona dell’intervento, così da permettere un prolungamento della vita urbana, fino alla punta estrema dell’isola.La biblioteca si inserisce nella facoltà rendendo la corte, attual-mente senza identità e funzione, uno spazio vissuto ed usufruibile soprattutto dagli studenti.Il museo, luogo pubblico ma spesso non accessibile gratuita-mente, prevede una grande aula a piano terra con funzione di aula per mostre temporanee, così da incrementare il flusso di visitatori, coinvolgendo anche gli abitanti stessi di Siracusa.Tra i corpi musealiun percorso quale fatto urbano permette la discesa alla piazza ipogea, integrando il polo museale in un sistema pubblico, andando a creare una sorta di strada urbana, in riferimento agli esistenti vicoli di Ortigia, fino ad arrivare all’in-contro con il mare, nella creazione di un nuovo spazio urbano.

4.3 LE PARTI DEL PROGETTO

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IL PROGETTO

L’intento progettuale è quello di insediare un corpo aggiuntivo con funzione di biblioteca e al tempo stesso di rispondere sop-perendo alle mancanze della facoltà: tra queste l’assenza di un ascensore che serva la Facoltà e di un sistema distributivo ben strutturato; inoltre la biblioteca presente è inseriti all’interno dei locali dell’edificio in maniera riduttiva e senza la presenza di una sala di lettura adeguata all’accoglienza di tutti gli studenti della facoltà.

L’intervento si presenta come un corpo longitudinale parallelo al lato della corte di dimensione maggiore concepito come una successione di 5 elementi verticali a torre deputati, ai piani alti, al deposito dei libri al piano terra a funzioni collaterali (spazi comu-ni, check in, deposito libri) che trovano la loro misura nel modulo scandito dalla successione delle finestrature, che ha dettato i lu-oghi di ancoraggio puntuale.Attraverso delle passerelle aeree questi elementi si legano alla preesistenza in cui sono stati aperti dei passaggi e in cui si è de-ciso di riservare due navate alle sale di lettura.

Le torri di libri si compongono di strutture a C di pietra che, mute verso l’interno della corte, rivelano la propria natura strutturale, come in sezione, nel lato più protetto, rivolto verso la Caserma in cui sono le librerie poggianti su solai leggeri retti da travi IPE acciaio vengono messe in mostra.La suggestione è stata offerta anche dalle Torri di San Pancrazio e dell’Elefante a Cagliari (1305-7) dell’ architetto sardo Giovanni Capula.Questi corpi sono collegati da dispositivi vetrati che accolgono la distribuzione che risulta dunque estradossata ed insediata in un’architettura che diventa passante: il corpo biblioteca assume la natura di bypass distributivo e di dispositivo di risalita in quan-to una torre ha l’unica funzione distributiva.

L’idea di progetto è quella di integrare l’edificio esistente di un corpo di supporto, è così che le torri si aprono verso l’edificio della facoltà, ed essendo permeabili a piano terra creano l’im-magine di una “strada di libri”.

La biblioteca

SEZIONE TRASVERSALE BIBLIOTECA-MUSEOscala 1:100

SEZIONE TRASVERSALE BIBLIOTECA-MUSEOscala 1:100

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IL PROGETTO

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IL PROGETTO

Il tema museale è stato sviluppato partendo sia dalla necesittà espositiva del tema scelto, che dal rapporto con il contesto e le preesistenze nell’area scelta. Il progetto si sviluppa dunque a partire dalla tipologia dell’au-la: tipologia che è possibile ritrovare nella memoria del Castello Maniace, in quanto nacque come grande sala ipostila a rappre-sentanza dell’impero.Il grande corpo ad aula si pone in corrispondenza del dislivello tra la piazza ipogea e il livello della città, è un elemento altro rispetto alla piazza lapidea, un elemento estraneo che si intro-duce nel sistema, depositandosi a cavallo di due quote fonda-mentali, condensando due temi chiavi della progettazione, il fatto urbano e l’architettura, con l’intento di raccontare proprio uno dei caratteri fondamentali della città: la dualità tra città scavata e città costruita.

La tipologia dell’aula si presta come unico grande “contenitore” di tutti gli elementi del museo che vengono svelati all’unisono all’interno di questo grande macchina architettonica; l’aula in-divisa, mantenendo sempre una continuità visiva tra le diverse parti dell’edificio, condensa al primo sguardo il sistema museale sviluppato in tre livelli, creando una “piazza” coperta sulla quale si affacciano le due gallerie superiori, che a loro volta trovano termine in uno spazio a tutta altezza che connette e sintetizza oltre ai due piani fuori terra, anche l’esposizione ipogea.

L’aula, elemento cardine del museo, rappresenta sia l’uscita che l’entrata al dispositivo espositivo, ma a due quote diverse: en-trando infatti alla quota della città, a seguito della percorrenza del sistema museale, permette di terminare tale percorso alla quota ipogea, che rappresenta per l’intero intervento lo spazio pubblico connettore di tutti gli elementi; l’uscita al museo porta dunque il visitatore nella piazza urbana, permettendo di contin-uare la visita all’area attraverso il collegamento alternativo al Castello Maniace, dove continua una galleria a cielo aperto che introduce l’evoluzione del Castello Maniace e delle sue fortifi-cazioni, attraverso una sistetica mostra della storia dell’area in oggetto.

Il museo, oltre all’aula è composta da due corpi accessori, lon-gitudinali, che contengono al loro interno la distribuzionee le funzioni di servizio sui tre livelli, al piano primo accolgono an-che una parte di espositiva, riguardande l’evoluzione delle mura nella città. Questi due edifici si posizionano infatti sul sedime delle antiche fortificazioni presenti nell’area, andando a reinterpretare la situ-azione di protezione e chiusura che Ortigia conobbe per molti secoli durante la sua storia.Questi elementi sono anch’essi su tre livelli, fino a raggiungere la quota della piazza ipogea, mentre uno di essi ha la possibilità di accedere al suo tetto, che si sviluppa come belvedere sull’in-torno, inquadrando in particolare il Castello Maniace dinzanzi, mentre alle spalle si mostra il tessuto urbano di Ortigia.

Il museo

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L’aula espositiva a piano terra: aula per mostre temporanee.

Il museo ha come primo spazio espositivo la grande aula, uno spazio indiviso in cui il visitatore ha la possibilità dicomprendere subito la strutturazione del museo, essa si com-porta infatti quasi come uno spazio aperto, pubblico, sulla quale si affacciano le due gallerie espositive al piano superiore, il dis-positivo della scala che dal primo piano porta direttamente al piano ipogeo, il quale è si mostra attraverso uno spazio a tripla altezza dove viene esposto il grande modello di tutta l’isola di Or-tigia, raggiungibile dal dispositivo scenico della scala circolare, unico sistema di distribuzione presente nell’aula.Nell’ottica di un museo della città dinamico, luogo di molti ap-puntamenti scalati nel tempo, l’aula è stata destinata alle mostre temporanee, così da permette un flusso continuo di visite e una maggiore permeabilità del museo, con l’idea di una collaborazi-one diretta con la facoltà di Architettura, i cui laboratori hanno accesso diretto agli spazi espositivi; è dunque la parte museale che funge da cerniera tra il sistema museale espositivo, e il sistema pubblico della cultura che il progetto in sè mira a tenere assieme e potenziare.

Le gallerie espositive al primo piano: L’evoluzione della città tramite la sostruzione, la città fortificata.

Un sistema di gallerie al piano superiore racconta il tema di Sir-acusa come città di pietra, che si è evoluta attraverso un pro-cesso di stratificazione, determinata dalla lunga storia delle sue fortificazioni, che vengono raccontate nelle gallerie espositive disposte nei due bastioni, corpi accessori che cingono l’aula e dai quali è possibile guardare verso il mare e verso il Castello Mani-ace, simbolo e memoria presente della città fortificata; nella pri-ma vengoso esposte le fortificazioni dionigiane, e nella seconda le fortificazioni di epoca moderna.Le gallerie interne all’aula invece si agganciano alle due grandi travi che sostengono la copertura centrale e si affacciano come matronei sull’aula centrale. Qui sono ospitate le esposizioni permanenti che raccontano l’evoluzione urbana: una galleria cronologica e una galleria che racconta le stratificazioni attraverso l’evoluzione del più impor-tante e simbolico edificio della città, la cattedrale.

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IL PROGETTO

Sezione ipogea: il racconto tematico della Siracusa sotterranea.

Il piano ipogeo del museo è costituito da quattro gallerie paral-lele, che hanno il compito di portare alla memoria la storia della città sotterranea di Siracusa, che si sviluppa nel corso della sto-ria attraverso un’evoluzione degli spazi ipogei dal punto di vista tematico, in particolare è possibile distinguere quattro temi prin-cipali:

Lo scavo, che ha come simbolo le Latomie, maestose cave di pi-etra che sono state necessarie nell’epoca greca alla costruzione della città stessa, la cui pietra è stata utilizzata per la creazioni dei monumenti e della successive fortificazioni; i siracusani sca-varono nel tempo per diversi altri obiettivi, quali quello di costru-ire acquedotti, cisterne, sepolcri.

Il secondo tema è quello dell’acqua, anch’esso generatore della città di Siracusa, per la presenza della fonte Aretusa, fonte di ac-qua dolce all’interno dell’isola di Ortigia, che probabilmente fu la causa prima per l’insediamento dei primi popoli paleocristiani .

Nel corso dei secoli, vennero poi costruite delle cisterne per il raccoglimento dell’acqua, che fanno parte del sistema ipogeico della città. L’acqua si trova anche grazia alla presenza del popolo ebraico nella storia, il quale per motivi religiosi creò dei bagni di purificazione sotterranei, fino a 18 metri sotto il livello del mare, chiamati miqwe, uno dei quali è tutt’ora presente nei sotterranei di Ortigia.

La necessità successiva, che portò il cittadino siracusano a sca-vare luoghi sotterranei, fu di ragioni religiose, con l’arrivo dei sistemi cimiteriali. le catacombe, la cui utilizzazione ha inizio già nel corso del III sec. d.C., furono precedute da necropoli risalenti alla prima e alla media età imperiale.

Funzione più recente del sistema sotterraneo di Ortigia, fu in tempo di guerra la riconversione di vari ipogei in rifugi antiaerei.Si può dunque vedere, nella storia tematica della città sotterra-nea di Siracusa, che il continuo rigenerarsi dei luoghi in funzioni differenti, in base all’epoca e alla necessità, ha permesso l’integ-rità e la trasmissione di tali luoghi nel tempo.

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IL PROGETTO

Il percorso conduce poi inaspettatamente al mare così come gli ipogei situati sotto piazza Duomo nella loro uscita sulla Marina.Qui il rapporto col mare si concretizza fisicamente grazie alla presenza di un molo che consente l’attracco di piccole imbarca-zioni e quindi offre un ulteriore momento di approdo all’isola, un nuovo ingresso che permetterebbe la visita alla città in maniera differente, con il museo a soglia della città, permettendo dunque l’istantanea comprensione dell’essenza della città.Il tracciato prosegue offrendo un breve percorso espositivo pub-blico ticketless che introduce alla visita del Castello maniace e, con una rampa la risalita, al grande scoglio. Si tratta di una galleria che nella maniera meno invasiva possibile attraversa la parete fortificata e offre l’esplicazione della storia del Castello e della sua evoluzione, per poi aprirsi all’interno della piazza an-tistante il Castello mostrando tramite lo scavo la presenza dello scoglio vivo proprio in corrispondenza del piano di calpestio; a seguire, una risalita con rampa, anch’essa espositiva, mostra gradualmente la maestosa presenza del Maniace per poi arriv-are al piano del castello con una visuale diretta, perpendicolare, alla facciata principale del Maniace.

Nel passaggio dall’isola di Ortigia a quella del Maniace si passa dunque dal tema urbano a quello archeologico: l’area del Cas-tello, nonostante i crolli ed i dovuti restauri, rimane un elemento ancora autonomo ed intatto rispetto alla città, è un vero e pro-prio scoglio fortificato dentro al quale si ha la sensazione di una fuga nel tempo; grazie alle sue mura è possibile percepire sul-la vignazza, il senso di protezione e chiusura, non avendo infatti la possibilità di vedere il mare, se non da puntuali feritorie. Per quanto riguarda il castello, nonostante i vari lavori che ha subito nel tempo, è ancora limpida la sua magnificenza e il suo splen-dore, ed è possibile in parte percepire anche l’importanza e lo stupore che l’aula poteva trasmettere. È dunque un processo di estranazione quello che si ha nel pas-saggio dall’area urbana a quella archeologica, ed è anche nel progetto che questo si rispecchia, attraverso un’attenzione e un rispetto nei confronti della preesistenza, per i quali il progetto si inserisce in maniera sileziosa all’interno di un’area ricca di storia

Il molo e il collegamento al Maniace

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IL PROGETTO

La porta di Dionigi Il tempio di Apollo Il Duomo di Siracusa

4.4: L’ARCHITETTURA E I MATERIALI

Nella scelta dei materiali da utilizzare nel progetto, fondamen-tale è stato inanzitutto anche in questo caso lo studio della sto-ria e della sua evoluzione. Come detto in precedenza, è possibile associare Siracusa all’immagine della città di pietra: essa infatti allo stato attuale in Ortigia, è completamente rivestita in pietra, a partire dalla pavimentazione esterna, salendo poi sulle facciate degli edifici. Le civiltà del Mediterraneo «hanno sviluppato, fin dalla più remota età, una concezione dell’architettura che sfrutta la durezza, la massa, l’indistruttibilità della pietra in grado di resist-ere nel tempo» (A. Aconcella, 2004); gli edifici storici di Siracusa, dall’epoca greca fino all’800, ne sono un esempio. Dalle opere monumentali, quali mura urbiche, castelli, chiese e palazzi, fino all’edilizia minore, l’uso della pietra permane nel tempo, sia per le parti strutturali che per gli elementi di facciata.

I materiali lapidei a vista sono usati principalmente per elementi architettonici quali cantonali, paraste, mensole e cornici di vario genere, raramente si trovano paramenti del tutto ricoperti di

pietra, se non per edifici monumentali. La pietra usata era rico-nosciuta in due diverse tipologie, denominate “pietra bianca forte” e “pietra giuggiulena”, rispettivamente una più chiara, compatta e resistente, una più gialla, porosa e tenera, ciascuna utilizzata in funzione delle proprie caratteristiche per le rifiniture o per le parti strutturali. Si tratta di una roccia, facilmente lavor-abile appena cavata, che poi indurisce notevolmente; di colore bianco tendente al giallognolo, e grana fine.

Dopo essere stata utilizzata nella storia nelle più grandi opere di fortificazione, come le mura dionigiane ma a seguire tutti gli al-tri sistemi fortificati, simbolo di ciò il Castello Maniace, e ancora prima per i più grandi monumenti del passato, quali il teatro gre-co, il tempio di Apollo, il Tempio di Minerva nonchè la Cattedrale di Siracusa, è stato recentemente utilizzato nel contemporaneo all’interno di Ortigia in due architetture particolarmente signif-icative per il loro rapporto con la storia ed il passato di Ortigia: il primo è l’intervento nell’ex mercato coperto di Ortigia, a cura

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IL PROGETTO

Il Castello Maniace Ex mercato coperto di Ortigia - E. Fidone Padiglione dell’Artemision - V. Latina

dell’architetto Emanuele Fidone, in cui la peculiarità è stata quella di intervenire sulle superfici lapidee con un criterio det-tato dall’idea della continuità del tempo. Si è operato cercando di non ripristinare una superficie pseudonuova e levigata ma las-ciando invece inalterata la consunzione del tempo e sostituendo solamente i conci che per la condizione di degrado erano stati-camente instabili.Il secondo intervento, strettamente legato al tema archeologico, riguarda la realizzazione del padiglione sui resti delle fondazioni del tempio ionico su via della Minerva, di fronte alla Cattedrale. Il padiglione è concepito come un monolite di calcare duro. Il rivestimento perimetrale dell’edificio è caratterizzato da una trama ed una tessitura muraria in pietra di Siracusa, che fa-vorisce la strutturazione di un paramento murario e rimanda ad un carattere di tipo medievale o catalano. Sono i caratteri prev-alenti che strutturano la composizione muraria di base di molti edifici di Ortigia, su cui si è innestato il barocco dopo il sisma del 1693, periodo di cospicua ricostruzione in Ortigia.

Per quanto riguarda dunque il progetto del museo della cit-tà e del suo sistema, i principi scelti sono stati due; per quanto riguarda la parte di progetto che si trovano alla quota ipogea, e che quindi sono caratterizzate dall’operazione dello scavo, si è scelto di mantenere coerenza ed uniformità rispetto all’area e alla città, andando a rivestire sia nella pavimentazione esterna che nelle pareti, utilizzando la pietra di Siracusa attraverso l’uso di un disegno controllato sia dal punto di vista delle misure che per quanto riguarda un’analisi cromatica; allo stesso modo per quanto riguarda i corpi in linea, accessori all’aula museale, si è scelto di mantenere la stessa tecnica in quanto essi risiedono sul vecchio sedime delle fortificazioni e raccontano anche al loro interno la storia della città fortificata. Per quanto riguarda invece l’aula, la si è trattata come elemento altro, nuovo rispetto al tes-suto e la composizione di Ortigia, perciò si è introdotto un nuovo materiale, il calcestruzzo, che in chiave contemporanea ha rivis-itato, reinterpretato il processo di sostruzione, chiave di lettura del progetto, attraverso una facciata “sedimentata”.

APPENDICE

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TEATRINO ALL’APERTOMarcella Aprile, Roberto Collovà, Francesco Venezia1983-1986 Salemi

CRETTO DI GIBELLINAAlberto Burri1984-1989 Gibellina

NEUE STAATSGALERIEJames Stirling1979-1984 Stoccarda

CHIESA DELLA MADONNA DEI POVERILuigi Figini, Gino Pollini1952-1954 Milano

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MUSEO DEL TESORO DI SAN LORENZOFranco Albini1956 Genova

TORRE DI SAN PANCRAZIOGiovanni Capula1305 Cagliari

UNTITLED (LIBRARY)Rachel Whiteread1999 Hirshhorn Museum & Sculpture Garden, Washington

FACCIATA DELLA CHIESA DELLA MADONNA D’ITRIACostantino Nivola1958 Orani

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Contatto tra il capitello dorico dell’Athenaion e il capitello corinzio del Duomo di SiracusaS. Sgariglia “L’Athenaion di Siracusa. Una lettura stratigrafica fra storia e segni”