Tesi chimica fisica

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Relatore: Prof. Giuseppe Chidichimo L’Atomo Candidato: Cristian Tavano Pagina 1 di 40 Matricola PAS: 167938 La struttura dell’Atomo “Non mi scoraggio, perché ogni tentativo sbagliato scartato è un altro passo avanti” Thomas Edison Prerequisiti Conoscere i simboli degli elementi e i loro nomi Conoscere la differenza tra un elemento ed un composto Distinguere un atomo da una molecola Obiettivi Conoscere le particelle fondamentali che costituiscono un atomo Determinare la massa atomica di un atomo e la massa molecolare di un composto Definire il concetto di carica elettrica Illustrare le proprietà di elettroni, protoni, neutroni presenti negli atomi Descrivere la struttura dell’atomo secondo Rutherford Distinguere il concetto di numero atomico da numero di massa Definire il concetto di unità di massa atomica Definire il concetto di isotopo

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Matricola PAS: 167938

La struttura dell’Atomo

“Non mi scoraggio, perché ogni tentativo

sbagliato scartato è un altro passo avanti”

Thomas Edison

Prerequisiti

Conoscere i simboli degli elementi e i loro nomi

Conoscere la differenza tra un elemento ed un composto

Distinguere un atomo da una molecola

Obiettivi

Conoscere le particelle fondamentali che costituiscono un atomo

Determinare la massa atomica di un atomo e la massa molecolare di un

composto

Definire il concetto di carica elettrica

Illustrare le proprietà di elettroni, protoni, neutroni presenti negli atomi

Descrivere la struttura dell’atomo secondo Rutherford

Distinguere il concetto di numero atomico da numero di massa

Definire il concetto di unità di massa atomica

Definire il concetto di isotopo

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Indice

1. Una proprietà della materia: la carica elettrica Pag.

2. Le particelle subatomiche Pag.

3. Radioattività Pag.

4. Il modello atomico di Rutherford Pag.

5. Numero atomico e massa di un atomo Pag.

6. Isotopi Pag.

7. Massa atomica Pag.

8. Massa molecolare Pag.

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La Struttura dell’Atomo

1. Una proprietà della materia: la carica elettrica

Prima di iniziare lo studio della struttura della materia, è opportuno chiarire

alcuni concetti riguardanti l’elettricità.

Sappiamo, per esperienza, che una biro di plastica strofinata con un panno di

lana o di pelle attira oggetti molto leggeri come pezzi di carta. Analogo

comportamento presenta una bacchetta di vetro strofinata con un panno di lana.

Questi fenomeni ci inducono a pensare che le forze di attrazione che le

bacchette strofinate esercitano sui pezzetti di carta siano dovute ad una proprietà

della materia che è chiamata carica elettrica.

La carica elettrica del vetro strofinato con un panno di lana o di seta è chiamata

positiva e si indica con il segno +, mentre quella della plastica strofinata con un

panno di pelle è chiamata negativa e si indica con il segno -.

Di norma la materia presenta un contenuto di cariche positive e di cariche

negative che si annullano esattamente, per cui si dice che è neutra. Solamente in

seguito a strofinio si crea uno sbilanciamento della carica e la materia presenta

gli effetti della carica elettrica positiva o negativa.

Sperimentalmente si può verificare che tra due corpi carichi elettricamente si

esercitano forze di repulsione o di attrazione.

Caricando elettricamente, per contatto, con bacchette di vetro o di plastica, due

palline di sambuco, si possono verificare i casi illustrati nella figura seguente

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Possiamo pertanto dire che:

cariche elettriche dello stesso segno si respingono e cariche elettriche di segno

opposto si attraggono.

2. Le particelle subatomiche

Per la formulazione della teoria atomica, Dalton suggerì che le più piccole

particelle che costituiscono la materia sono gli atomi. Numerosi esperimenti

condotti fin dalla fine del XIX secolo hanno evidenziato che gli atomi sono

costituiti da particelle più piccole, chiamate particelle subatomiche, che

risultano essere di tre tipi:

a. Elettroni b. Protoni c. Neutroni

Elettroni

Per studiare le particelle che costituiscono un atomo, il fisico inglese Joseph J.

Thomson (1856-1 940) utilizzò un tubo di vetro, da cui era stata tolta la maggior

parte dell'aria, contenente due bacchette metalliche, saldate ciascuna ad una

estremità del tubo, chiamate elelettrodi. Applicando un alto voltaggio ai due

elettrodi (dell'ordine di decine di migliaia di volt), notò che la parete di vetro di

fronte al catodo (elettrodo negativo) emetteva una debole fluorescenza (il tubo

di vetro era stato trattato con solfuro di zinco).

Le radiazioni che partono dal catodo, da cui il nome di raggi catodici, e che si

dirigono verso l'elettrodo positivo (anodo), colpendo la parete di vetro

determinano la fluorescenza. Questo è quanto si verifica anche in uno schermo

televisivo. Queste radiazioni si propagano in linea retta perché, colpendo un

ostacolo come la croce di Malta, ne proiettano l'ombra sulla parete opposta.

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I raggi catodici hanno natura particellare perché mettono in rotazione, all'interno

del tubo catodico, un mulinello a palette di mica che si trova sul loro cammino

(Fig.); inoltre possiedono carica elettrica negativa perché, fatti passare tra due

piastre di metallo cariche, vengono attirati dalla piastra carica positivamente

(Fig.). Ai raggi catodici venne dato il nome di elettroni.

Thomson calcolo, inoltre, il rapporto carica/massa dell'elettrone, mentre la

carica dell'elettrone fu determinata con grande precisione da Robert Millikan

(1869-1953) nel 1908.

I dati ricavati con questi esperimenti si possono così riassumere: un elettrone ha

una massa di 9,11 x 10-31

kg e porta una carica negativa di -1,6 x 10-19

C (C

rappresenta il coulomb, l'unità di carica elettrica nel SI).

All'elettrone si assegna convenzionalmente carica 1-.

Protoni

Una volta accertata l'esistenza di particelle negative (elettroni), era prevedibile

l'esistenza di particelle con carica positiva, considerato che l'atomo è

elettricamente neutro. Queste particelle furono scoperte utilizzando un tubo a

raggi catodici modificato; in questo caso il catodo, che occupa una posizione

centrale, è forato. Quando un alto voltaggio è applicato al tubo contenente un

gas rarefatto (ad esempio idrogeno), gli elettroni emessi dal catodo collidono

con le molecole del gas. In questa collisione ogni atomo di idrogeno perde un

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elettrone, che viene attirato dall'anodo, e si trasforma in una particella che si

muove verso il catodo forato attraversandolo (raggi canale). Poiché vengono

attirate dal catodo, queste particelle devono avere carica positiva (ioni positivi).

A queste particelle fu dato il nome di protoni.

Fu ancora Joseph J. Thomson a dimostrare che un protone ha una carica uguale

a quella dell'elettrone, anche se di segno opposto, e la sua massa è circa 1836

volte quella dell'elettrone.

Con lo spettrometro di massa si è trovato che un protone ha una massa di 1,67 x

10-27

kg e porta una carica positiva di 1,6 x 10-19

C.

Al protone si assegna convenzionalmente carica 1+.

Neutroni

Il fisico inglese James Chadwich (18911974), nel 1933, scoprì un'altra particella

subatomica che ha una massa di 1,675 x 10-27

kg, cioè circa uguale a quella del

protone (alle due particelle si può assegnare lo stesso valore). Poiché questa

particella non presenta carica elettrica fu chiamata neutrone. Un neutrone ha

quindi carica elettrica zero.

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3. Radioattività

Il fisico francese Henry Becquerel (1852 1908), nel 1896, studiando un

composto dell'uranio, trovò che questo, oltre che presentarsi fluorescente,

emetteva radiazioni.

Le radiazioni erano dotate di potere penetrante, infatti oltrepassavano spessi

strati di cartone; inoltre erano in grado di impressionare una lastra fotografica e

possedevano carica elettrica.

Becquerel diede il nome di radioattività alla proprietà che possiede l'uranio di

emettere radiazioni. Nel 1922, Marie Curie {1867-1934) isolò per prima una

sostanza radioattiva, il radio.

Studi successivi hanno confermato che esistono tre tipi di radiazioni: raggi

gamma (γ), particelle beta (β) e particelle alfa (α).

Queste radiazioni mostrano un comportamento differente quando passano tra

due lastre cariche elettricamente.

Le particelle α e β vengono deviate, mentre i raggi γ passano indisturbati.

I raggi gamma sono simili ai raggi X; una particella beta è un elettrone ad alta

energia; una particella alfa ha due cariche positive (He2+

) .

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4. Il modello atomico di Rutherford

Per studiare la struttura atomica Rutherford (1871-1937), nel 1910, pensò di

bombardare una lamina di oro molto sottile con particelle α .

Queste particelle presentano due cariche positive ed hanno la stessa massa

dell'elio. Il campione radioattivo che emette le particelle α viene sistemato nel

centro di un cubo di piombo nel quale è praticato un forellino molto sottile.

Intorno alla lamina di oro è posto uno schermo fluorescente che evidenzia una

luminescenza quando viene colpito dalle particelle α .

In questa esperienza la maggior parte delle particelle attraversa la lamina senza

subire deviazione dal suo cammino; un numero ridotto viene deviato; nel caso

della lamina di oro si verifica che una particella su 20.000 viene riflessa.

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Per spiegare che la maggior parte delle particelle α attraversava la lamina di oro

senza subire deviazione, Rutherford suppose che gli atomi fossero costituiti,

prevalentemente, da spazio vuoto e che la maggior parte della massa dovesse

essere concentrata in una zona piccolissima che chiamo nucleo.

Le particelle α venivano riflesse, rimbalzando indietro nella direzione da cui

erano arrivate, quando colpivano più o meno direttamente il nucleo.

Il nucleo doveva possedere tutta la carica positiva dell’atomo, per cui le forti

deviazioni che subivano alcune particelle non erano dovute ad urti contro gli

elettroni, perché questi hanno una massa molto piccola rispetto a quella delle

particelle α e quindi non ne potevano modificare il percorso, ma alla repulsione

elettrica che si creava quando una particella α positiva arrivava molto vicina al

nucleo positivo dell'atomo.

La forza di repulsione tra particelle e nucleo sarà tanto maggiore quanto minore

è la loro distanza.

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Il diametro di un atomo, compreso tra 1 x 10-7

mm e 3 x 10-7

mm, è determinato

dagli elettroni che occupano lo spazio attorno al nucleo. Considerato che il

diametro del nucleo è dell'ordine di 1 x 10-12

mm, si ricava che in un atomo è

prevalente lo spazio vuoto.

Quando, come si è detto, nel l93l fu scoperto il neutrone, risultò chiaro che il

nucleo è costituito da protoni e neutroni (detti nucleoni), legati tra loro da forze

molto intense dette forze nucleari.

5. Numero atomico e massa di un atomo

Il fisico inglese Henry Moseley (1887 1915), nel 1913, determinò per ogni

elemento il numero delle cariche positive, cioè dei protoni.

In un atomo, il numero atomico, che si indica con Z, rappresenta il numero dei

protoni. Poiché in un atomo neutro il numero delle cariche positive contenute

nel nucleo è uguale al numero degli elettroni che vi ruotano intorno, il numero

atomico rappresenta anche il numero degli elettroni.

ll numero atomico viene evidenziato in basso, a sinistra, del simbolo

dell'elemento.

6C

Questa rappresentazione sta ad indicare che il carbonio, con Z uguale a 6, ha sei

protoni e quindi sei elettroni. Possiamo ora porci la seguente domanda. Qual è la

massa di un singolo atomo?

I valori assoluti delle masse atomiche sono stati determinati con lo spettrometro

dì massa; poiché sono molto piccoli vengono espressi in notazione esponenziale

(l'ordine di grandezza è compreso tra 1,0 x 10-27

e 1,0 x 10-24

kg).

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Essendo laborioso usare i valori delle masse assolute espresse in kg, si è

preferito dare di un atomo una massa relativa, ottenuta scegliendo come unità di

misura una opportuna massa di riferimento.

L’unità di massa scelta come riferimento corrisponde a l/12 della massa del

carbonio che ha sei protoni e sei neutroni. Poiché la massa assoluta di questo

atomo di carbonio è 1,9926 x 10-26

kg, una unità di massa atomica (si indica

con u) corrisponde a:

1,9926 x 10-26

kg / 12 = 1,6605 x 10-27

kg

Adottando queste unità di riferimento un protone ed un neutrone hanno,

rispettivamente, un valore di circa 1 u, mentre un elettrone ha una massa che è

circa l/2000 volte questo valore. Pertanto il contributo degli elettroni alla massa

di un atomo è trascurabile.

La massa relativa dì un atomo può, quindi, essere calcolata se si conosce il

numero dei protoni e dei neutroni. Esempio, un atomo di cloro che ha 17 protoni

e 18 neutroni nel nucleo ha una massa approssimativamente uguale a 35 u.

La somma del numero dei protoni e dei neutroni contenuti nel nucleo prende il

nome dì numero di massa e sì indica con A.

Il numero di massa viene riportato in alto a sinistra del simbolo dell’elemento

35Cl

e rappresenta la massa dì un atomo in u. Si osserva sperimentalmente che la

massa di ciascun atomo è sempre inferiore alla somma delle particelle

costituenti, protoni, neutroni, elettroni. Ad esempio la massa del 35

Cl (che è

detto cloro-35) è 34,9689 u. Per spiegare questa differenza si ammette che la

"perdita" di massa si tramuta in energia necessaria per tenere uniti i protoni ed i

neutroni nel nucleo (ciò è discusso in modo dettagliato nel Tomo C, pa1. 151).

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ó. Isotopi

Nella maggior parte, gli elementi sono formati da vari tipi di atomi che

differiscono tra di loro per il numero di massa, cioè per il numero dei neutroni.

Gli atomi che hanno lo stesso numero di protoni ma un diverso numero di

neutroni prendono il nome di isotopi.

Il cloro, ad esempio, è una miscela di due isotopi:

3517Cl

3717Cl

Il simbolo 35

17Cl indica un atomo di cloro con l7 protoni (Z), I8 neutroni (A-Z)

e 17 elettroni (Z), mentre il simbolo 37

17Cl indica un atomo di cloro con 17

protoni, 20 neutroni e 17 elettroni.

Gli isotopi presentano uguali proprietà chimiche perché queste sono determinate

dal numero di protoni e di elettroni che l'atomo contiene, cioè dal numero

atomico.

L’idrogeno presenta tre isotopi: idrogeno, deuterio e trizio. Questi hanno

ciascuno un protone ma differiscono per il numero dei neutroni.

Ciascun elemento presenta una miscela di isotopi la cui composizione

percentuale risulta sempre costante e indipendente dalla sua provenienza.

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7. Massa atomica

Quando si eseguono dei calcoli si assume che l'elemento in considerazione sia

costituito di un unico tipo di atomi, per cui di ciascun elemento è stata calcolata

una massa atomica media.

Questa si ottiene moltiplicando la massa atomica relativa di ciascun isotopo per

la sua abbondanza percentuale e sommando i valori così ottenuti. Nel caso del

cloro si ha:

3517Cl 34,9689 x 75,76 / 100 = 26,492

3717Cl 36,9659 x 24,24 / 100 = 8,9605

Massa atomica media del Cloro = 35,453 u

La massa atomica di un elemento è la massa media degli atomi di un campione

naturale dell'elemento, espressa in unità di massa atomica (u).

Un qualsiasi campione di cloro viene pertanto considerato come se fosse

costituito da atomi identici, ognuno con una massa di 35,453 u.

La massa atomica esprime il rapporto tra la massa di un atomo di un elemento

e l’unità di massa atomica.

8. Massa molecolare

Se si conosce la formula di un composto, con i valori delle masse atomiche

arrotondati alla seconda cifra decimale, è possibile il calcolo della massa

molecolare. La massa molecolare è uguale alla somma delle masse atomiche di

tutti gli atoni presenti nella molecola.

La massa molecolare esprime il rapporto tra la massa di una molecola e I'unità

di massa atomica.

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Anche se in modo meno preciso, chimici spesso usano i termini peso atomico

(PA) al posto di massa atomica e peso molecolare (PM) al posto di massa

molecolare.

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Gli elettroni nell’Atomo

“Non mi scoraggio, perché ogni tentativo

sbagliato scartato è un altro passo avanti”

Thomas Edison

Obiettivi

Definire il concetto di onda

Descrivere la natura delle radiazioni luminose

Illustrare la relazione tra la lunghezza d’onda di una radiazione e la sua

energia

Spiegare, secondo la teoria di Bohr, la stabilità dell’atomo e delle righe

spettrali dell’idrogeno nel visibile

Definire il concetto di energia di ionizzazione

Applicare la relazione tra frequenza e lunghezza d’onda di una

radiazione

Calcolare l’energia di un fotone conoscendo la frequenza o la lunghezza

d’onda

Scrivere la configurazione elettronica di un atomo nello stato

fondamentale o dei suoi ioni

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Indice

1. Il concetto di onda Pag.

2. La luce come onda Pag.

3. Teoria corpuscolare della luce Pag.

4. I limiti del modello atomico di Rutherford Pag.

5. Gli spettri atomici: spettri a righe Pag.

6. L’atomo di Bohr Pag.

7. Energia di 1° ionizzazione Pag.

8. Energie di ionizzazione superiori alla 1° Pag.

9. La disposizione degli elettroni in livelli di energia Pag.

10. Dai livelli ai sottolivelli energetici Pag.

11. Configurazioni elettroniche degli atomi Pag.

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Gli elettroni nell’Atomo

1. Il concetto di onda

Prima di affrontare le teorie moderne della struttura dell'atomo, è opportuno

definire il concetto di onda ed esaminare le proprietà della luce.

Il concetto di onda ci è molto familiare. Se facciamo cadere un sasso sulla

superficie calma dell'acqua dì uno stagno, notiamo che, attorno al punto dove il

sasso è caduto, si creano onde circolari, che con il tempo raggiungono la sponda

dello stagno.

Il movimento di un'onda viene rappresentato da una curva sinusoidale

dove sulle ordinate viene rappresentata l'ampiezza dell'onda e sulle ascisse il

tempo di propagazione del fenomeno.

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I parametri che caratterizzano un'onda sono:

La lunghezza d'onda, indicata con λ (si legge lambda), che corrisponde

alla distanza tra due creste d'onda.

L’ampiezza, indicata con A, che corrisponde alla massima altezza della

cresta rispetto una linea di base

La frequenza, indicata con ν (si legge ni), che indica il numero di onde

che passano in un dato punto nell'unità di tempo.

La relazione tra la frequenza e la lunghezza d'onda è data da:

λ x ν = v

dove v è la velocità delle onde.

2. La luce come onda

Per luce s'intendono le radiazioni luminose che possono essere rivelate

dall'occhio umano. La sorgente di luce più importante è il sole; le sorgenti

artificiali, come le lampade, sono costituite quasi sempre da un corpo

incandescente.

Secondo la teoria ondulatoria della luce questa si propaga nello spazio mediante

onde. La lunghezza d'onda e la frequenza delle onde luminose vengono definite

in modo analogo a qualsiasi tipo di onda. Secondo questa teoria, il prodotto

della lunghezza d'onda per la frequenza corrisponde alla velocità della luce, (che

si indica con c).

λ x ν = c

da cui si ricava

ν = c / λ

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Questa relazione sta a indicare che la frequenza e la lunghezza d'onda sono

inversamente proporzionali.

Le radiazioni luminose di diversa lunghezza d'onda vengono percepite dal

nostro occhio sotto forma di luci di colore differente.

Ad esempio, una radiazione con lunghezza d’onda di 650 nm (nanometri)

rappresenta una luce rossa, mentre una radiazione con lunghezza d’onda di 410

nm rappresenta una luce violetta. In Fig. sono rappresentate due radiazioni con

la stessa ampiezza ma con differenti lunghezze d’onda.

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Una radiazione luminosa costituita da un solo colore è detta monocromatica.

Dalla relazione (a), conoscendo la frequenza, è possibile calcolare la lunghezza

d'onda o, viceversa, conoscendo la lunghezza d’onda calcolare la frequenza.

Per esempio, se λ = 682 nm (rosso)

ν = c / λ = 3 x 108 (m/s) / 682 x 10

-9 (m) = 4,4 x 10

14 s

-1

La luce bianca, ad esempio quella che ci arriva dal sole o da un filamento

incandescente dì una lampadina, è costituita da un miscuglio di colori, per cui è

una radiazione policromatica. Essa risulta da un insieme di radiazioni di varie

lunghezze d’onda.

Per individuare i colori che costituiscono la luce bianca, un pennello di luce

selezionato con una sottile fenditura si fa cadere sulla faccia laterale di un

prisma triangolare di vetro, e si raccolgono su uno schermo i raggi che

emergono. Sullo schermo non avremo una sola linea luminosa, ma un insieme

di colori che si susseguono con continuità. Si deve dedurre che la luce bianca è

una miscela di colori che il prisma non fa altro che separare.

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Il fenomeno che si è verificato e detto “dispersione della luce”.

La spiegazione della dispersione sta nel fatto che ogni colore della luce bianca

subisce, a contatto di ciascuna faccia del prisma, una rifrazione che lo devia

verso la base del prisma; inoltre ciascun colore subisce una differente

deviazione. Il rosso è il meno deviato, mentre il violetto è quello che subisce la

deviazione maggiore. L’insieme delle strisce colorate che si susseguono sullo

schermo è chiamato spettro continuo.

L’arcobaleno è uno spettro continuo che si origina in seguito alla dispersione

della luce nelle goccioline di pioggia presente nell'atmosfera.

In Fig. è rappresentata la scala delle frequenze e delle lunghezze d'onda delle

onde elettromagnetiche (spettro elettromagnetico) che vanno dalle onde radio ai

raggi γ.

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La luce visibile, come si può vedere dallo specchietto, rappresenta solo una

piccola parte dello spettro delle onde elettromagnetiche.

La teoria della natura ondulatoria della luce trova una conferma sperimentale

nei fenomeni di diffrazione.

La diffrazione viene descritta come interferenza costruttiva e distruttiva di onde

di luce.

Il fenomeno della diffrazione viene evidenziato quando la luce bianca arriva su

un disco di plastica rigida sul quale siano state create delle tracce parallele e

ravvicinate tra loro, come in un Compact Disk (CD), che si comporta come un

reticolo di diffrazione.

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Sul CD si distinguono strisce colorate, le zone dove le onde arrivano in

concordanza di fase (interferenza costruttiva), e zone buie, dove le onde

arrivano in discordanza di fase (interferenza distruttiva).

Per il fenomeno della diffrazione, la luce naturale (luce bianca) viene

decomposta nei suoi colori costituenti.

3. Teoria corpuscolare della luce

Il comportamento dì una radiazione non può essere sempre spiegato come

propagazione di un'onda. Quando una radiazione interagisce con la materia è

meglio descritta come un flusso di “pacchetti” di particelle chiamati quanti

(spesso chiamati fotoni, specialmente per quanti della luce del visibile).

Ciascun quanto trasporta una quantità di energia che è proporzionale alla sua

frequenza ed è data dall’equazione:

E = h x ν

dove h è una costante chiamata costante di Planck.

h = costante di Planck = 6,625 x 10-34

J x s = 6,625 x 10-34

kg x m2 x s

-1

ν = frequenza (ni) si esprime in s-1

Applicando la relazione tra frequenza e lunghezza d'onda, l'energia di un quanto

sarà data anche da:

E = h x c / ν

Ad esempio, un fotone di una luce del visibile (rossa) di lunghezza d'onda 655

nm ha una energia:

E = 6,625 x 10-34

(J x s) x 3 x108 (m/s) = 3,03 x 10

-19 J

655 x 10-9

m

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La teoria dei quanti fu sviluppata nel 1900 da Max Planck (1858-1947) e ripresa

nel 1905 da Albert Einstein (1879-1955) per spiegare l'effetto fotoelettrico.

L’effetto fotoelettrico è il processo con cui gli elettroni sono emessi dalla

superficie di un metallo, quando questo è esposto ad una radiazione. Per ogni

metallo esiste una caratteristica frequenza minima di luce, al disotto della quale

nessun elettrone può essere emesso dalla superficie del metallo.

4. I limiti del modello atomico di Rutherford

Il modello atomico di Rutherford corrisponde ad un piccolo sistema solare in

cui il nucleo con la sua carica positiva si trova al centro, e gli elettroni con

carica negativa gli ruotano attorno descrivendo orbite circolari.

La forza centrifuga dovuta al moto circolare, che tenderebbe ad allontanare un

elettrone dal nucleo, sarebbe bilanciata dalla forza di attrazione elettrostatica

esistente tra nucleo ed elettrone.

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Questo modello atomico presenta un punto debole, perché secondo le leggi della

fisica classica un corpo carico che si muove di moto circolare deve emettere

energia sotto forma radiazioni elettromagnetiche.

L'elettrone, pertanto, dovrebbe irradiare continuamente energia e, con una serie

di orbite a spirale, cadere nel nucleo.

Ciò porterebbe alla conclusione che gli atomi non siano sistemi stabili, mentre

la stabilità degli atomi è confermata dall'esistenza stessa della materia.

Inoltre con la teoria elettromagnetica classica si presenta un’altra difficoltà. Gli

elettroni, compiendo orbite a spirale sempre più piccole, dovrebbero emettere

radiazioni di tutte le possibili lunghezze d'onda, cioè uno spettro continuo. Ciò è

in contrasto con l’esperienza: gli atomi delle sostanze gassose o gli atomi dei

metalli portati all'incandescenza emettono radiazioni di lunghezza d’onda

definita e costante, cioè uno spettro a righe.

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5. Gli spettri atomici: spettri a righe

Quando si fa passare una scarica elettrica attraverso un’ampolla contenente

idrogeno a bassa pressione, le molecole si dissociano, e gli atomi risultanti

eccitati emettono una luminescenza rosa. Se questa attraversa un prisma sì

possono osservare quattro righe colorate, cioè uno spettro a righe.

Ogni riga corrisponde ad una radiazione di definita lunghezza d’onda emessa

dall'atomo di idrogeno.

Lo spazio compreso tra due righe consecutive corrisponde alle lunghezze d'onda

in cui l'atomo di idrogeno non emette radiazioni. Gli spettri atomici sono,

pertanto, discontinui.

Nella Fig. è rappresentato lo spettro a righe di emissione dell’idrogeno nella

zona del visibile (righe di Balmer) con le relative lunghezze d'onda in nm.

Per osservare lo spettro emesso da una sostanza si utilizza uno strumento che

prende il nome di spettroscopio.

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ó. L’atomo di Bohr

Per spiegare la stabilità dell'atomo di idrogeno e le righe dello spettro del

visibile dell'idrogeno, il Fisico danese Niels Bohr (1885-1962), nel 1913,

abbandonò le leggi classiche e formulò le seguenti ipotesi:

L’elettrone dell’atomo di idrogeno può ruotare attorno al nucleo solo in

determinate orbite circolari e non su un'orbita qualsiasi.

Finché si muove in una delle orbite permesse l'elettrone non irradia

energia.

A seconda dell'orbita che percorre, all’elettrone di un atomo di idrogeno

corrisponde un valore di energia ben definito En dato dalla relazione:

En = - RH / n2

dove RH (costante di Rydberg) ha il valore 2l,79 x l0-19

J ed n, chiamato

numero quantico principale, può assumere i valori interi l, 2, 3, 4...

Questa relazione permette di costruire un diagramma di livelli energetici

quantizzati.

I livelli di energia quantizzati, espressi in J, per l'elettrone dell'idrogeno sono

rappresentati nel seguente schema:

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Per convenzione, l'elettrone assume energia zero quando si trova a distanza

infinita dal nucleo n = ∞, distanza alla quale non risente della forza attrattiva del

nucleo. Pertanto le energie dell'elettrone nell'atomo sono sempre negative.

L'elettrone possiede il minimo di energia quando si trova sull'orbita con n = l,

che rappresenta lo stato fondamentale dell’atomo di idrogeno.

I livelli con valori di n da 2 fino ad ∞ sono stati eccitati.

Se ad un atomo viene fornita energia, per riscaldamento o per effetto di

una scarica elettrica, l'elettrone dallo stato fondamentale con n = 1 salta

in una delle orbite permesse più esterne a maggiore contenuto

energetico, cioè in uno stato eccitato. In questi livelli energetici eccitati

l'elettrone vi rimane per tempi brevissimi e tende spontaneamente a

tornare in una delle orbite permesse a minore energia. In questa

transizione di ritorno, l'elettrone emette energia sotto forma di una

radiazione di ben definita lunghezza d'onda.

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Calcolo delle lunghezze d'onda delle righe di Balmer

Per il calcolo della lunghezza d'onda dì una radiazione emessa, Bohr applicò la

relazione di Planck dell'energia di un fotone.

Il salto elettronico da un'orbita più esterna a maggior contenuto di energia (E2)

ad un'orbita più interna con minore contenuto di energia (E1) avviene con

emissione di una radiazione

ΔE = E2 - E1 = h x ν a cui corrisponde una frequenza data da:

ν = E2 - E1 / λ oppure λ = h x c / E2 - E1

Ogni radiazione viene evidenziata nello spettro con una riga. Le righe di

Balmer del visibile riguardano salti elettronici dai livelli più esterni al livello n

= 2 e sono caratterizzate dalle seguenti lunghezze d'onda:

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da n=6 n=2 410,2 nm

n=5 n=2 434,1 nm

n=4 n=2 486,1 nm

n=3 n=2 656,3 nm

Successivamente l'elettrone passa dal livello n = 2 al livello fondamentale n = l,

emettendo una radiazione nell'UV.

7. Energia di 1a ionizzazione

Sappiamo che in un atomo neutro il numero di protoni contenuti nel nucleo è

uguale al numero di elettroni che vi ruotano intorno.

Quando si considera un atomo neutro e allo stato gassoso, l'energia necessaria

per strappare un elettrone e portarlo a distanza infinita dal nucleo è detta

energia di 1a ionizzazione. L’energia fornita serve a vincere l'attrazione

elettrostatica che il nucleo esercita sull'elettrone.

La ionizzazione di un generico atomo (M) di un elemento che si trova nello

stato gassoso può essere rappresentata mediante la seguente equazione:

M (g) + energia M+ (g) + e

-

dove M+

è il corrispondente ione positivo o catione.

Nel processo di ionizzazione la carica nucleare dell'atomo non viene modificata,

per cui nel nucleo è presente un protone non neutralizzato.

Nel caso del litio (Li), l'energia di 1a ionizzazione è 520 kJ/mol.

Li (g) + 520 kJ/mol Li+(g) + e

-

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Nel sistema SI l'energia di ionizzazione si indica con Ei ed è misurata in kJ/mol.

Il suo valore numerico rappresenta l’energia in kJ da fornire a 6,02 x 1023

atomi

(numero di Avogadro = 1 mol) dell’elemento, per strappare da ciascuno di essi

un elettrone.

8. Energie di ionizzazione superiori alla 1a

È possibile allontanare più di un elettrone da un atomo, ma naturalmente ciò

richiede una quantità di energia maggiore rispetto a quella che serve per

allontanare il primo elettrone.

I valori delle energie di ionizzazione successive degli atomi dei primi 18

elementi sono riportati in tabella. Consideriamo per primo l'elio. Per questo

elemento l'energia di 1a ionizzazione (2372 kJ) è superiore a quella

dell'idrogeno e del litio. Ciò sta ad indicare che l'atomo di elio presenta una

elevata stabilità.

Dallo ione He+, somministrando ulteriore energia, è possibile allontanare un

altro elettrone, ottenendo uno ione con due cariche positive.

He+

(g) + 5250 kJ/mol He2+

(g) + e -

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L’energia necessaria per allontanare un elettrone da uno ione He+

è detta energia

di 2a ionizzazione.

Risulta più difficile strappare il secondo elettrone rispetto al primo, a causa

dell'attrazione tra lo ione positivo e l'elettrone negativo che deve essere

allontanato. L'energia di 2a ionizzazione risulta sempre maggiore dell'energia di

1a ionizzazione.

Se consideriamo l'atomo di litio, l'energia di 2a ionizzazione è molto elevata

(7300 kJ) perché possa essere spiegata semplicemente con l'attrazione tra Jo

ione positivo e l'elettrone che deve essere allontanato. Ciò sta ad indicare una

particolare stabilità dello ione Li+ nei confronti della ionizzazione.

La terza energia di ionizzazione del litio è 11810 kJ, per cui presenta un

andamento regolare.

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9. La disposizione degli elettroni in livelli di energia

La disposizione degli elettroni attorno al nucleo in atomi più complessi

dell'idrogeno è stata assegnata prendendo in considerazione, in un primo

momento, i valori delle energie di ionizzazione.

L'atomo di sodio, ad esempio, con numero atomico 11, presenta undici energie

di ionizzazione. In tabella viene anche riportata la radice quadrata dell'energia di

ionizzazione.

In Fig. sull'asse delle ordinate è riportata la radice quadrata di ciascun valore

dell'energia di ionizzazione, mentre sull'asse delle ascisse è indicato il

corrispondente elettrone rimosso dall'atomo. La radice quadrata dell'energia di

ionizzazione rende lineare la scala delle ordinate per cui viene facilitata la

lettura.

Dal grafico si può notare che esistono significative variazioni dell’energia di

ionizzazione tra la prima e la seconda, e tra la nona e la decima.

Ciò suggerisce che gli elettroni nell'atomo di sodio sono disposti in tre livelli

energetici indicati con la lettera n che assume i valori n = 1, n=2, n=3, ecc.

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Nel caso dell'atomo di sodio per staccare il primo elettrone è necessaria una

bassa energia. L’elettrone più facilmente removibile si trova alla massima

distanza dal nucleo, per cui risente poco della sua attrazione. L’elettrone si

trova nel livello di energia più esterno n = 3.

Gli otto elettroni che seguono hanno energia di ionizzazione che cresce

gradualmente. Infatti, man mano che vengono allontanati gli elettroni, la carica

positiva che rimane nel nucleo esercita una forza di attrazione sempre maggiore

sugli elettroni residui. Questi elettroni si trovano nel livello di energia n = 2.

I due elettroni più vicini al nucleo risentono fortemente della sua attrazione, per

cui richiedono una elevata energia di ionizzazione. Essi si trovano nel livello di

energia n = 1.

10. Dai livelli ai sottolivelli energetici

Osservando la tabella dei valori di √Ei del sodio si nota nell'ambito del secondo

livello n = 2 una variazione di energia, anche se di

lieve entità, tra la settima e l'ottava ionizzazione. Per

tale motivo si ritiene che il secondo livello sia

costituito da due sottolivelli, indicati con s e p. Questo

concetto è di validità più generale: ogni livello

energetico presenta uno o più sottolivelli..

Il livello n = 1 è costituito da un solo sottolivello indicato con ls.

Il livello n = 2 è costituito da due sottolivelli indicati con 2s e 2p.

Il livello n = 3 è costituito da tre sottolivelli indicati con 3s, 3p, 3d.

Il livello n = 4 è costituito da quattro sottolivelli indicati con 4s, 4p, 4d, 4f.

Quanti elettroni possono trovare posto nei diversi sottolivelli?

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Nel sottolivello s trovano posto solo 2 elettroni, nel sottolivello p trovano posto

al massimo 6 elettroni, nel sottolivello d al massimo 10 elettroni e nel

sottolivello f al massimo 14 elettroni.

Quando si rappresenta la distribuzione degli elettroni nei livelli e nei sottolivelli

di un atomo, il numero intero (1,2,3 .....) indica il livello, la lettera (s, p, d, f) il

sottolivello e l'esponente che viene dato a ciascuna lettera il numero di elettroni

che si trova in un dato sottolivello.

Per esempio, nel 3° livello il numero massimo di elettroni nei diversi sottolivelli

è così rappresentato:

Livello ---- 3s2 numero massimo di elettroni in ciascun sottolivello

3p6

3d10

Un sottolivello di un determinato atomo può contenere un numero di elettroni

inferiore al valore massimo.

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11. Configurazioni elettroniche degli atomi

La distribuzione degli elettroni nei livelli e nei sottolivelli di un atomo prende il

nome di configurazione elettronica.

La configurazione elettronica dei primi 20 elementi è mostrata in Tabella.

In base ai valori di energia, l'ordine di riempimento dei sottolivelli è dato dallo

schema in Fig.

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Secondo lo schema, l'ordine di riempimento dei sottolivelli è il Seguente:

1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p

Come si vede dalla Tabella, la configurazione elettronica del sodio (Na) con

numero atomico 11 è così rappresentata:

Na 1s2 2s

2 2p

6 3s

1 (uno esse due, due esse due, due pi sei, tre esse uno).

Gli elettroni che precedono l'ultimo livello, cioè il 3s, corrispondono alla

configurazione elettronica del neon, per cui possono essere rappresentati con

[Ne].

Per il sodio viene, pertanto, utilizzata anche una configurazione elettronica

abbreviata nella forma:

Na [Ne] 3s1

Per tutti gli elementi è possibile scrivere una configurazione elettronica

abbreviata, come si può vedere dalla seguente Tabella

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Esperienza di Laboratorio

Riconoscimento dei metalli alcalini con il saggio alla fiamma

Descrizione dell’esperienza

I composti dei metalli alcalini, come NaCl (cloruro di sodio), KCl (cloruro di

potassio), LiCl (cloruro di litio), quando vengono portati ad a1ta temperatura

sulla parte alta (la più calda) della fiamma di un Bunsen, impartiscono a questa

colori caratteristici: in particolare giallo per il sodio, violetto per il potassio,

rosso per il litio. Inoltre, in ciascun caso, se la luce della fiamma attraversa uno

spettroscopio si osserva uno spettro a righe. Lo spettro di emissione (o spettro

atomico) di un elemento è differente da quello di un altro elemento: si dice che

rappresenta l’impronta digitale dell’elemento per cui ne permette la sua

identificazione.

Materiale

Filo di platino

Bacchetta di vetro

Vetrini da orologio, porta campioni in porcellana

Provetta

Porta provette

Composti solubili di sodio, potassio, litio (cloruri)

Soluzione di acido cloridrico

Bunsen

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Procedimento

Per eseguire questa esperienza viene utilizzato un filo di platino o di nichel-

cromo della lunghezza di circa 5 cm, inserito in una bacchetta di vetro, dopo che

1a sua estremità è stata resa incandescente alla fiamma di un Bunsen.

Con 1a punta del filo di platino, bagnata con HCI diluito, si preleva un

granellino di campione, che può essere un composto solubile di litio, sodio o

potassio, tenuti separati in piccole porzioni su vetrini da orologio.

La sostanza presa in esame, sottoposta alla fiamma calda del Bunsen, da una

colorazione caratteristica.

Il filo di platino, ogni volta che si cambia il composto, va immerso in HCI e

riportato alla fiamma fino a quando non mostra alcuna colorazione, segno

evidente che è stato eliminato ogni residuo della sostanza precedentemente

trattata.

Spiegazione

Il colore che si ottiene è dovuto agli atomi dei metalli alcalini (Na, K, Li) che,

per azione del calore della fiamma, raggiungono uno stato eccitato. Nel caso del

sodio, ad esempio, l’elettrone dal sottolivello 3s passa ad un livello più esterno.

Successivamente, gli elettroni ritornano nello stato fondamentale, emettendo

una luce di colore caratteristico, cioè di una lunghezza d’onda ben definita. II

passaggio dal 3p al 3s è responsabile della radiazione gialla del sodio. A questa

radiazione, osservata con lo spettroscopio, corrisponde una riga a 589 nm (in

effetti sono due righe vicinissime tra loro).

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Conclusioni

Il litio, il sodio ed il potassio sono gli elementi che presentano i valori più bassi

dell'energia di eccitazione infatti alla fiamma di un Bunsen danno con facilità

una colorazione.