Tesi 'Argot Ieri e Oggi'.pdf
-
Upload
martina-kosmos -
Category
Documents
-
view
1.555 -
download
7
description
Transcript of Tesi 'Argot Ieri e Oggi'.pdf
Università degli Studi dell’Insubria
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di laurea in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale
ARGOT IERI E OGGI
Tesi di Laurea di Simon Sciaroni
711247
Relatore: Andrea Sansò
2011-2012
INDICE ANALITICO
SOMMARIO .................................................................................................................................... 3
Yesterday’s and today’s Argot ......................................................................................... 3
CAPITOLO 1 ................................................................................................................................... 4
Introduzione storico-sociolinguistica all’argot ............................................................... 4
CAPITOLO 2 ................................................................................................................................. 17
Analisi dell’argot contemporaneo .................................................................................. 17
CAPITOLO 3 ................................................................................................................................. 34
Tipi di argot ....................................................................................................................... 34
CAPITOLO 4 ................................................................................................................................. 63
Mini dizionario dell’argot contemporaneo ................................................................... 63
CAPITOLO 5 ................................................................................................................................. 66
Conclusioni........................................................................................................................ 66
SOMMARIO
Yesterday’s and today’s Argot
This dissertation is about argot, a particular French jargon, born and developed from 13th
century onwards. It is a cryptic and secret language firstly adopted by thieves, wrongdoers
and criminal so that they could do their own business without being understood by
authorities. That’s why argot includes terms dealing most of all with gangland, corruption,
sex, drugs, poverty and everyday’s problems. This phenomenon involves a series of
linguistic processes that transformed and at the same time contributed to create the French
standard idiom. Actually it is characterized by a specific vocabulary, constantly reshaped
by the contingent need of secrecy and strong cohesion by the groups who embrace this
kind of code. This means its speakers keep on using and introducing new words, new
expressions in order that outsiders can’t get what they are talking about. In fact argot has
mainly been an oral code since its origins and it remains so nowadays. Going through
structural and linguistic evolutions during the centuries, this jargon is now representative
of young people, the poor, the socially excluded and immigrants from Africa, in most cases
living all in suburbs (called banlieue) and on the edge of French cities. On one hand it
represents a sort of fashionable secret code for youngsters so that adults can’t get the
meaning of their conversation; on the other hand, argot allows those discriminated
categories of society to create a strong sense of cohesion among the community members
and a sense of belonging to their own culture and homeland. So the language has to be like
a social shield that protects and strengthens cultural and ethnic identities. An important role
in this is played by verlan, a particular form of French jargon where words are pronounced
backwards; as a result the speaking gets more and more cryptic and incomprehensible by
the outsiders. Social and ethnic hardships are best expressed through rap music; this music
genre is very popular in France as rappers generally sing socially committed songs, so
gaining popular consensus and giving voice to the need of equality, justice, non-
discrimination attitudes and freedom of speech. Artists indeed use in their lyrics both argot
and verlan because it is the best and most direct way to convey their messages to their fans,
the only ones who can really understand them and who then perceive them as a model of
social emancipation, which makes them feel strong and united as a group. This treatise
would just like to show that in France the linguistic debate and the conscious use of
linguistic varieties are quite lively and all this allows the French language to evolve, to
grow rich and to get more multicultural perceptive.
CAPITOLO 1
Introduzione storico-sociolinguistica all’argot
Nel seguente capitolo ci si prepone il fine di scoprire che cosa sia l’argot, quale sia la sua
origine, le ragioni della sua nascita, come, e dove si sia sviluppato e offrire una visione
generale di quali siano le sue caratteristiche sociolinguistiche e la sua evoluzione fino
all’età contemporanea.
Per condurre un’analisi il più logico possibile è opportuno definire in primo luogo che cosa
s’intende per argot ed operare alcune distinzioni di carattere linguistico, così da evitare
eventuali confusioni.
Prendiamo dunque in considerazione le definizioni date da due dizionari diversi: «gergo,
specialmente quello dei malviventi parigini»1; «gergo, in particolare quello della
malavita»2.
Nonostante si siano citate due sole definizioni, si può notare come vi sia una certa
convergenza di significato del concetto in esame. È perciò evidente che si tratta di un gergo
che ha a che fare con la sfera della malavita A riprova di ciò, il professore dell’università di
St. Andrews (Scozia), Anthony Lodge, esperto di sociolinguistica, afferma che l’argot è il
linguaggio dei ladri e dei vagabondi, incomprensibile a coloro che non sono iniziati, fiorito
nella Parigi proto-industriale3. Questa dichiarazione è molto interessante e piena di
informazioni utili per comprendere soprattutto dove e quando è nato questo gergo: si parla
infatti della città di Parigi e del periodo precedente la cosiddetta rivoluzione industriale.
Questi dati geografici e storici saranno importanti in seguito, quando si tenterà di dare una
spiegazione al motivo per cui l’argot è nato proprio lì e in quel periodo.
Ora si consideri l’etimologia della parola “argot”, così da chiudere il discorso sul
significato strettamente letterale. Secondo le parole dello stesso Lodge, i primi riferimenti a
questo tipo di linguaggio risalgono al dodicesimo secolo: tuttavia ci si riferiva ad esso non
come argot, bensì come jargon4, definibile come “borbottio incomprensibile”. Dando uno
sguardo all’etimologia fornita dai due vocabolari considerati precedentemente, si dice
rispettivamente: «corporazione di ladri, di etimologia incerta» ; «corporazione dei
1 Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v.
2 Garzanti, Varese, 2008, s.v.
3 R.A.LODGE, A sociolinguistic History of Parisian French, Cambridge, Cambridge University Press, 2004
4 Ivi, p. 238
mendicanti, di etimo incerto» . Tenendo presente la prima dichiarazione di Lodge citata,
queste due etimologie possono essere perfettamente inquadrate e comprese. A questo punto
un altro autore può essere d’aiuto nello specificare il settore e coloro che si fanno
portavoce di questo mezzo di comunicazione: si tratta di Barry J. Blake, il quale sostiene
che l’argot sia un insieme di vocaboli usati da un gruppo ristretto di persone, unito da un
interesse comune o dall’opposizione alle autorità; la parola “argot” è tradizionalmente
associata a coloro che vivono al di fuori della legge: scassinatori, bari, imbroglioni, banditi
di strada, borseggiatori, malviventi, truffatori, ladri, prostitute, trafficanti e prigionieri; ma
l’argot è anche utilizzato da altri gruppi, per lo più itineranti: mendicanti, artisti di strada,
vagabondi, spazzacamini, affilacoltelli, muratori, zingari, ecc.5 Forse la spiegazione più
completa e precisa di argot viene data da Albert Dauzat6: parlare argot, nell’uso corrente,
vuol dire impiegare parole, espressioni bandite dalla lingua accademica, da parte di artisti e
operai, che ambiscono ad un’indipendenza di linguaggio ed usano vocaboli la cui forza
pittoresca rasenta più o meno la trivialità. A questa concezione vaga, la linguistica oppone
una definizione più precisa (sempre secondo Dauzat): in senso stretto l’argot, per il
linguista, è il linguaggio dei malfattori; per estensione, designa anche un certo numero di
linguaggi speciali che manifestano tratti comuni. Al termine di questo capitolo, poiché è
necessaria prima un’analisi di carattere lessicale e storico-sociale, si vedranno nello
specifico tali tratti comuni tipici degli argot. Lo stesso Dauzat conclude il discorso riguardo
al termine “argot”, affermando che l’argot dei malfattori è inizialmente detto jargon (come
testimonia anche Lodge) con il significato di murmure o bavardage (rispettivamente
sussurro, mormorio e chiacchere, pettegolezzi7); per vari mestieri o settori aveva preso
invece il nome di jobelin, blesquin, boragouin, narquois ed infine argot, di cui sono state
proposte molte etimologie errate: il vero senso, conferma Dauzat, è quello di corporazione
di malfattori o più esattamente dei gueux, cioè “mendicanti”. Argot viene da una parola
antica provenzale, argaut, viva nella regione del Rodano, e che significa prima
“indumento” (vêtement), ma poi si è degradata in “vecchio indumento”, e ancora in
“stracci, cenci” (nippes, guenilles)8.
Si è detto che l’argot è un gergo. Ma cos’è un gergo? Qual è la differenza tra gergo,
registro, slang, dialetto, koiné e vernacolo? Certamente il quadro linguistico non è molto
chiaro, tenendo presente anche il fatto che la realtà delle lingue nel mondo è eterogenea e
5 B.J.BLAKE, Secret Language, New York, Oxford University Press, 2010
6 A.DAUZAT, Les Argot, Parigi, Librairie Delagrave, 1946
7 “http://www.larousse.com/it/dizionari/francese-italiano/murmure;
http://www.larousse.com/it/dizionari/francese-italiano/bavardage” 8 Dauzat, Argot cit., p. 10
che le lingue in sé non sono statiche, né dal punto di vista del contenuto né da quello
dell’idea che i parlanti hanno della lingua stessa. Siccome il discorso a questo proposito
potrebbe essere molto ampio, per ragioni di semplicità e funzionalità rispetto a ciò che si
sta tentando di analizzare, ci si limiterà a discernere i concetti sopra espressi in linea
generale e nel modo comunemente accettato. Occorre perciò partire da ciò che nella società
e nello studio delle lingue è considerata la lingua standard ed ufficiale, sebbene esistano
appunto diverse correnti di pensiero anche a questo proposito.
In modo del tutto intuitivo si potrebbe dire che la lingua standard è quella lingua
riconosciuta come ufficiale da una nazione, che costituisce la base per creare letteratura e
redigere documenti e atti ufficiali, che gode di un certo prestigio e che possiede un
fondamento di grammatica tale da renderla neutra e a cui ci si uniforma invariabilmente. A
partire dal modello standard una lingua può essere soggetta a diverse variazioni, come
quella diacronica e sincronica, quella diafasica, quella diastatica, quella diamesica e quella
diatopica. Concentrandosi su quella diatopica si può arrivare a definire il dialetto, poiché si
tratta di un codice linguistico strettamente legato allo spazio, cioè varia da luogo a luogo.
David Crystal specifica, infatti, che il dialetto consiste in una varietà distintiva a livello
regionale o sociale, costituito da un particolare insieme di parole e strutture grammaticali,
sviluppato soprattutto ove vi sono barriere geografiche che separano l’uno dall’altro gruppi
di persone o dove sono presenti divisioni tra classi sociali9. Facendo riferimento al
dizionario Garzanti, il dialetto viene definito come «una parlata propria di una determinata
area geografica, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale»10
. Questa opposizione
alle forme ufficiali è anche dettata dal fatto che generalmente un dialetto è solo un mezzo
di espressione orale, mentre una lingua standard possiede, come già detto, una letteratura
ed è veicolo comunicativo negli atti ufficiali. Questo fa sì che il dialetto non abbia il
medesimo prestigio, confermato dal fatto che alla parola “dialetto” si associa spesso
l’aggettivo “popolare”. La distinzione tra lingua e dialetto rimane ciononostante
problematica, dal momento che la presenza radicata di certi dialetti in alcune regioni
comporta talvolta una necessaria rivalutazione del concetto stesso di dialetto in chiave
storica e sociolinguistica.
Alla luce di questa prima importante distinzione, si possono ora capire meglio le nozioni di
koiné, vernacolo, slang, registro e, da ultimo, il gergo.
9 D.CRYSTAL, Dictionary of Linguistics and Phonetics, Oxford, Blackwell Publishing, 2008
10 Garzanti, Varese, 2008, s.v.
Con il termine “koiné” s’intende: «una lingua comune, con caratteri uniformi, che in una
data zona si sovrappone alle varietà locali (etimologia: dal greco koinḗ diálektos,
propriamente “dialetto comune”)»11
; oppure «in senso tecnico, è un dialetto condiviso da
un territorio relativamente ampio, fortemente contaminato dalla lingua nazionale, in cui i
dialettismi e regionalismi sono ridotti al mimino mentre, in senso esteso, koiné può
significare “comunità linguistica e culturale” e anche “linguaggio comune o
dominante”»12
. Da queste definizioni si può dedurre che la parola “koiné” si avvicina
concettualmente molto al significato di dialetto; tuttavia, si tratterebbe in realtà di una sorta
di dialetto comune all’interno di un’area geografica linguisticamente eterogenea, in cui «i
parlanti, per capirsi l’un l’altro, non hanno fatto ricorso ad una vera e propria lingua
comune, bensì hanno operato degli aggiustamenti in base ad un modello, usando degli
schemi interni di conversione automatica»13
.
Con “vernacolo” ci si riferisce a: «il parlare che è proprio di un luogo, di una regione; in
particolare, il linguaggio popolare considerato in ciò che lo differenzia dalla lingua
letteraria (il termine si usa soprattutto per indicare le parlate toscane e ha valore più
ristretto rispetto a “dialetto”, anche se comunemente viene adoperato come sinonimo di
questo quando ci si riferisce alla moderna letteratura dialettale) »14
; «parlata caratteristica
di un’area geografica, affidata quasi esclusivamente alla tradizione orale e che ha assunto,
nell’uso popolare, connotazioni di maggiore vivacità e spontaneità rispetto al dialetto e alla
lingua letteraria [etimologia: voce dotta, latino vernāculu(m) “relativo agli schiavi nati in
casa”, poi “paesano, domestico”, da věrna “schiavo nato in casa”.]»15
; «un termine usato in
sociolinguistica per riferirsi al linguaggio indigeno o al dialetto di una comunità dal
linguaggio orale. I vernacoli sono spesso visti in contrapposizione a nozioni quali “lingua
standard”, “lingua franca”, ecc.»16
. Si ha a che fare, dunque, con una variazione linguistica
ancora più specifica e caratteristica del dialetto.
Per afferrare la parola “slang”, ricorriamo ad alcune definizioni tratte da vari dizionari:
«insieme di espressioni e parole gergali, usate al posto di quelle della lingua comune in
certi ambienti o gruppi sociali»17
; «linguaggio gergale di determinate categorie, classi,
11
Garzanti, Varese, 2008, s.v. 12
AA.VV., Manuale di letteratura- glossario, a cura di R.Castellana-F.d’Amely, Firenze, G.B. Palumbo
Editore, 2006 13
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 90 14
Garzanti, Varese, 2008, s.v. 15
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v. 16
Crystal, Dictionary cit., s.v. 17
Garzanti, Varese, 2008, s.v.
gruppi di persone, usato in luogo di quello comune perché più espressivo e immediato»18
;
«un tipo di linguaggio consistente in parole e frasi considerate molto informali, più comuni
nella forma orale che quella scritta, tipicamente ristrette a un particolare contesto o gruppo
di persone»19
; «un lessico informale non standard, tipicamente composto da neologismi,
parole arbitrariamente modificate e da modi di dire stravaganti, forzati e scherzosi»20
; «un
linguaggio molto informale di norma più parlato che scritto, impiegato soprattutto da
particolari gruppi di persone»21
. Per completezza si riporta di seguito l’etimologia del
termine: «1756, “speciale lessico di vagabondi e ladri”, in seguito “gergo di una particolare
professione” (1801), di origine incerta, forse di origine scandinava, confronta il norvegese
slengenamm “soprannome”, slengja kjeften “abusare con le parole”, letteralmente
“lanciare la mascella”, in relazione all’antico norreno22
slyngva “lanciare”. Tuttavia l’OED
(Online Etimology Dictionary), anche se ammette “una certa vicinanza di significato”,
scarta questa ipotesi fondata su “data di origine e rapporto con lingue antiche”. Liberman23
la nega addirittura, così come ogni legame con il francese langue. Piuttosto fa derivare il
termine da un’antica parola che significa “stretta porzione di terra”. Il significato di
“linguaggio molto informale caratterizzato da vivacità e novità” è stato documentato per la
prima volta nel 1818. Una parola sopravvissuta nel tempo è slangwhanger (1807, inglese
americano) “chiassoso od offensivo conversatore o scrittore”»24
. A questo punto, per
completare il discorso sullo slang, è utile notare quanto afferma Blake in proposito.
Quando si parla o si scrive si può scegliere tra l’essere formale o informale. Un esempio
nella lingua inglese di ciò è: I received your letter e I got your letter, dove la prima è
formale mentre la seconda è informale o colloquiale. C’è una sorta di sovrapposizione tra il
termine “colloquiale” e “slang”, la cui differenza non è netta; si potrebbe dire che “slang”
significa “molto colloquiale”. Un altro esempio: to vomit fa parte della lingua standard, to
sick up è informale o colloquiale, ma le espressioni to spray paint e to have a technicolour
yawn (rispettivamente “spruzzare vernice” e “fare uno sbadiglio in technicolor”) sono
slang. Quindi, se “colloquiale” ha un’accezione positiva o neutra, la parola “slang” è
spesso usata negativamente. Alcune caratteristiche dello slang sono l’inventività,
l’abbondanza di metafore e allusioni, il fatto che esso sia sottoposto a continui
18
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v. 19
“http://oxforddictionaries.com/definition/slang?q=slang” 20
“http://www.merriam-webster.com/dictionary/slang” 21
“http://dictionary.cambridge.org/dictionary/british/slang_1?q=slang” 22
L’antico norreno è un’antica lingua della Scandinavia (tra il nono e il quattordicesimo secolo) affine al
norvegese antico e all’islandese, detta anche antico nordico. 23
Anatoly Liberman è un professore russo del dipartimento di Tedesco, Scandinavo e Olandese
dell’Università del Minnesota, dove tiene corsi di linguistica, etimologia e folclore. 24
“http://www.etymonline.com/index.php?allowed_in_frame=0&search=slang&searchmode=term”
rinnovamenti nel lessico e che tende ad essere locale e ristretto ad un’area o gruppo
sociale25
.
Definiamo ora il termine “registro”: «modo di parlare o scrivere, livello espressivo proprio
di una data situazione comunicativa»26
; «utilizzazione che il parlante fa dei diversi usi
linguistici in rapporto al contesto sociale in cui si trova»27
. Si ha a che fare perciò con una
variazione di tipo diafasica, in cui il modo di comunicare è influenzato e dettato dalla
funzione del messaggio e dalla circostanza. Finora si erano descritte invece variazioni
diatopiche o diastratiche. Se prima, in sostanza, si parlava di diverse lingue all’interno
dello stesso idioma, ora si è di fronte a diversi livelli dell’uso di uno stesso idioma, per cui
ci può essere un registro familiare, uno scientifico, uno burocratico, uno giudiziario, ecc.
Si arriva infine alla definizione di “gergo”: «linguaggio convenzionale usato dagli
appartenenti a determinate categorie o gruppi sociali per distinguersi o per non farsi
intendere da chi ne è estraneo»28
; «lingua criptica, specialmente lessico, utilizzata da una
comunità generalmente marginale che, in determinate condizioni, avverte il bisogno di non
essere capita dai non iniziati o di distinguersi dagli altri»29
. La probabile etimologia del
termine è quella francese, da jargon, originariamente “cinguettio degli uccelli”, quindi
“linguaggio incomprensibile”30
. Questo è il primo significato di “gergo”, ma bisogna tener
presente che può significare semplicemente «linguaggio comune ad una determinata
categoria di persone»31
. Da notare che da quest’ultima definizione possono nascere delle
confusioni con lo stesso “registro”; perciò, per motivi di semplicità, s’intenderà il “gergo”
secondo il primo significato, che è anche quello originario e più affine all’etimologia.
Date queste premesse di tipo lessicale è ora possibile capire perché l’argot è un gergo e non
uno slang, o un dialetto, per esempio. Sarebbe ora interessante capire più a fondo le ragioni
storiche e sociolinguistiche della nascita dell’argot parigino, così che, una volta spiegati gli
“antefatti”, si possa passare alla descrizione dell’uso e delle caratteristiche dell’argot
contemporaneo, all’interno di un contesto linguistico così vario come quello del
ventunesimo secolo.
Innanzitutto è utile notare l’evidente mancanza di dati precisi e del tutto attendibili
riguardanti un modo di parlare, e non tanto una tradizione scritta, risalente ad un periodo
25
Blake, Secret cit., pp. 200-201 26
Garzanti, Varese, 2008, s.v. 27
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v. 28
Garzanti, Varese, 2008, s.v. 29
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v. 30
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v. 31
Lo Zingarelli, Bologna, 2012, s.v.
storico in cui non esistono mezzi per registrare e codificare il linguaggio in modo
indelebile. Le uniche e sporadiche, se non del tutto rare, attestazioni dell’argot provengono
non tanto dagli stessi parlanti, che, come è facile intuire, non possedevano un elevato
livello culturale (nel dodicesimo secolo il tasso di analfabetismo era elevato), quanto dalle
classi più abbienti ed erudite, le uniche in possesso dei mezzi necessari per riportare la
storia dei fatti e della cultura. Non bisogna di conseguenza dimenticare che, a causa di
questa unilateralità del punto di vista delle fonti metalinguistiche, la visione del quadro
storico e linguistico può risultare un po’ distorta, se non addirittura monopolizzata. Solo a
partire dall’età moderna si incontra una larga produzione di commenti metalinguistici,
soprattutto in forma di grammatiche e dizionari, che forniscono una panoramica piuttosto
oggettiva di ciò che era considerata la “cattiva” e la “buona” lingua32
.
Prendendo in esame la città di Parigi è possibile distinguere tre fasi del suo sviluppo
urbano: quella pre-industriale (dall’undicesimo al quattordicesimo secolo), quella proto-
industriale (dal quindicesimo al diciottesimo secolo) e quella industriale (dal
diciannovesimo al ventesimo secolo)33
. La prima fase è caratterizzata da una rapida
crescita della popolazione dovuta ad un flusso migratorio dall’hinterland rurale. In questo
periodo i promotori dell’espansione sono i mercanti capitalisti, impegnati nella
trasformazione e nello scambio di beni prodotti localmente. Man mano che la ricchezza
aumenta, Parigi attrae sempre più artigiani e lavoratori. La maggior parte della popolazione
rimane tuttavia povera, mentre le risorse della città sono gestite da piccoli gruppi. Nella
seconda fase si assiste ad una sorta di stagnazione demografica, tale da produrre all’interno
della realtà urbana cambiamenti di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo: infatti, le
comunità urbane diventano sempre più stratificate e ne risulta un incremento della
differenza tra ricchi e poveri. Le élite parigine cominciano così a rifiutare ciò che sembra
appartenere alla cultura popolare, volgare e superstiziosa. La bilancia del potere economico
si sposta quasi definitivamente dalla campagna alla città, comportando un incremento delle
funzioni politiche e amministrative della stessa. Parigi inizia a diventare il centro del
progresso culturale per eccellenza. Nella terza si assiste nuovamente ad una crescita
straordinaria della popolazione (se nel 1700 la popolazione parigina raggiunge le 530 mila
unità, nel 1900 si passa a 3 milioni e 330 mila abitanti34
), accompagnata da un
rafforzamento dei legami tra le varie comunità lavorative, il che comporta la nascita di un
senso di appartenenza sia a livello sociale sia a livello linguistico.
32
Lodge, Sociolinguistic History cit., pp. 19-20 33
Ivi, p. 26 34
Ivi, p. 41
In questi tre livelli dell’evoluzione urbana, sociale e demografica si assiste rispettivamente
a tre fenomeni di carattere linguistico:
1) La cosiddetta koineizzazione dà origine ad un mescolamento delle caratteristiche di
diversi dialetti, fino a giungere ad un nuovo dialetto di compromesso. I parlanti, infatti, in
modo inconscio riducono o eliminano le varianti linguistiche che impediscono la
comunicazione.
2) Il processo di riallocazione ha luogo dopo una fase iniziale di sviluppo del nuovo
dialetto e porta a frequenti divergenze all’interno della lingua della comunità urbana,
poiché le vecchie varianti dialettali residue possono venir ridistribuite nella comunità come
varianti stilistiche, ma possono anche diventare prerogativa di un particolare sotto-gruppo
in seno alla società.
3) Il livellamento dialettale e la semplificazione rappresentano un processo di riduzione
delle caratteristiche che separano un dialetto dalle altre varietà. Ciò può avvenire in modo
orizzontale, ovvero dal contatto paritario tra parlanti di dialetti non contigui scaturiscono
atti di adattamento linguistico, oppure in modo verticale, attraverso la diffusione dall’alto
verso il basso della lingua standard (standardizzazione).
Analizziamo ora più dettagliatamente le tre fasi dello sviluppo di Parigi, unendo la
riflessione storico-urbana e sociale a quella linguistica.
Durante l’espansione demografica nel periodo pre-industriale Parigi acquisisce nuove
importanti funzioni, come quelle nel settore mercantile, manifatturiero, religioso,
educativo, politico e amministrativo. Tale diversità funzionale fa sì che si creino distinte
aree cittadine, quali la Ville, la Cité e l’Université, attorno allo storico nucleo chiamato Ile-
de-la-Cité. La lingua di Parigi, il françois (solo successivamente français), è in realtà una
koiné sviluppatasi dall’interazione spontanea tra i dialetti delle regioni circostanti, i
cosiddetti HDP (hinterland dialects of Paris). Tale koiné potrebbe rappresentare la prima
forma di standardizzazione della lingua francese, da cui poi prendono vita vari dialetti e
vernacoli. Infatti, viene adottata nel quattordicesimo secolo come lingua ufficiale
nell’amministrazione reale e nel sedicesimo secolo anche in parlamento. A parte la
convenzionalità acquisita da questo francese antico, non bisogna dimenticare che il quadro
linguistico è tutt’altro che omogeneo: le varianti sono innumerevoli, come mostrano le
tavole di Lodge35
. Per di più bisogna tener conto del fatto che la Parigi medioevale è una
comunità diglossica dove il latino gioca ancora un ruolo importante nella società (vi è
35
Lodge, Sociolinguistic History cit., pp. 88-97
un’alta concentrazione di ecclesiastici, giuristi e studiosi in città, la cui educazione è
fondata sulla lingua latina).
La seconda fase dell’evoluzione della città di Parigi coincide con il Rinascimento,
momento decisivo per la diffusione dell’alfabetismo, il che accentua la differenza tra la
cultura scritta delle élite e quella tradizionale ed orale delle masse. Il latino viene
progressivamente “relegato” alle funzioni religiose mentre le variazioni concernenti i
differenti vernacoli assumono un importante valore sociale. Tenendo in considerazione il
fatto che ora non sono più i signori feudali, né la Chiesa, né la nobiltà ad avere il controllo
sulla terra, bensì i ricchi mercanti di città, rovesciando di fatto il tradizionale assetto di
gestione dell’industria rurale, si creano comunità urbane molto più stratificate rispetto al
passato e si assiste ad un aumento della differenza tra ricchi e poveri, come già accennato
in precedenza. Inoltre nel 1528 Francesco I dichiarò di voler fare di Parigi la residenza
permanente della monarchia, implicando uno spostamento e la concentrazione di tutto
l’apparato amministrativo di corte. Secondo la tavola 12 di Lodge36
la maggior parte della
popolazione è tuttavia costituita da poveri, marginali e vagabondi (il 53.4%) . Di
conseguenza, l’ordine pubblico non risulta facile da mantenere. Richiamando il concetto di
Rinascimento, non si può omettere di specificare che, con la nascita delle idee di “cultura”
e “civilizzazione”, la stessa cultura e la tradizione considerate popolari (il mauvais usage)
vengono combattute dalle classi superiori, in nome di un nuovo codice di comportamento,
quello dell’Honnête Homme (“l’Uomo Onesto”), che comprende anche il linguaggio, il
cosiddetto bon usage, così che la lingua francese parigina diventa oggetto di grande
orgoglio e un modello linguistico da seguire. In aggiunta a ciò, lo sviluppo della stampa
tende a screditare tutto ciò che è orale in favore della parola scritta. In questo clima di
tensione le varianti sopravvissute dal processo di koinéizzazione sono riciclate in modo del
tutto conscio ed esplicito, nell’intento, da parte della gente comune, di distinguersi
attraverso nuovi modi di esprimersi. Questa fase di riallocazione è degna d’attenzione dal
momento che le varianti assumono un particolare valore sociale, soprattutto dal punto di
vista lessicale: un illustre riferimento in merito a ciò è rappresentata dalle opere di François
Villon37
, il quale esprime la sua visione dei bassifondi parigini usando un lessico argotico
tipico della comunità criminale. Nel diciottesimo secolo, l’introduzione di un sistema
scolastico fa sì che le percentuali di alfabetismo crescano, portando ad una certa diffusione
36
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 111 37
François Villon è un poeta francese ( 1631-1663 ) che si dice abbia avuto a che fare con alcuni malfattori,
denominati Coquillards; nelle sue ballate vi sono parole che ricalcano quelle rilevate dalla giustizia nel
processo condotto contro le bande di Coquillards nel 1455, durante il quale alcuni membri confessarono i
nomi del loro complici e gli elementi del loro linguaggio argotico, che loro chiamavano jobelin.
le forme standard della lingua francese38
, anche se vanno formandosi corrispondenti norme
per il linguaggio vernacolare. Sempre in questo periodo divengono frequenti le imitazioni
umoristiche del parlare tipico delle classi inferiori: si potrebbe pensare che l’idea sia quella
di ridicolizzare la gente illetterata, in realtà si tratta di dar voce al dissenso popolare,
potenzialmente sovversivo all’ordine costituito. Dunque, è molto interessante notare come,
per la prima volta, un linguaggio con caratteristiche antitetiche a quelle del modello
standard voglia distinguersi dalle altre classi sociali. Non sono perciò tanto le abitudini
linguistiche che rendono un gruppo di abitanti uniti, quanto le attitudini e i pregiudizi
linguistici comuni.
Sebbene ci si possa aspettare, con il passare del tempo, una riduzione delle differenze tra i
dialetti e vernacoli, l’industrializzazione non produce omogeneità e convergenza
linguistica. Partendo da una considerazione di carattere storico e socio-demografico si può
arrivare all’analisi dell’ultimo fenomeno individuato: il livellamento dialettale. Durante il
diciannovesimo e ventesimo secolo si assiste ad un’ incrementata efficienza e ad un
progresso tecnologico che accelerano la produzione e il consumo. I nuovi metodi di
produzione richiedono di concentrare la forza lavoro in officine e fabbriche, il che porta
conseguentemente all’urbanizzazione. Questa è tale che le autorità sono obbligate a ridurre
il sovrappopolamento del centro città: si creano così nuovi ed enormi distretti in periferia
per le classi lavoratrici. Quest’ultime si trasformano in proletariato, più o meno alienate dal
“sistema”, e sviluppano gradualmente una coscienza politica 39
. La vita nei luoghi pubblici
risulta piuttosto anonima mentre in privato (le famiglie, i quartieri, i club, le comunità
etniche) le identità sociali sono molto forti e la rete sociale è densa e molteplice. Le élite,
dal canto loro, continuano a distinguersi dalla massa attraverso i luoghi di residenza, il
vestire, le attività del tempo libero, lo stile di vita in generale e la lingua. La diffusione
dell’istruzione, questa volta, cambia irrevocabilmente la natura della cultura popolare: per
esempio, nel 1833 la “Legge Guizot” obbliga le autorità locali ad istituire scuole
elementari, principalmente per i bambini poveri (nel 1860 il 90% dei bambini frequenta la
scuola40
), contribuendo indubbiamente alla diffusione dell’ideologia della lingua
standardizzata. Questa pressione tendente a standardizzare la lingua va di pari passo con lo
sviluppo dello stato-nazione e della necessità di una forte identità nazionale: con
l’abolizione della monarchia, infatti, la lingua francese viene promossa come il primo
elemento che unisce il popolo, diventando criterio fondamentale di “francesità”, simbolo
38
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 165 39
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 199 40
Ivi, p. 202
della razionalità e dei valori patriottici, ai quali i cittadini devono aderire. “La lingua della
ragione” è ovviamente quella dell’élite istruita, non quella della massa. L’enfasi posta sulla
parola scritta e l’importanza data all’accuratezza ortografica incrementa l’influenza
dell’ortografia sulla pronuncia. Tutto ciò significa eliminare ogni altra forma non conforme
al modello. Accanto al processo di standardizzazione avviene però il livellamento
dialettale, dovuto ai contatti frequenti tra i parlanti dei vari dialetti e vernacoli,
aumentando in tal modo la distanza con la lingua modello. A livello strettamente
linguistico ciò comporta una semplificazione del sistema fonologico e morfo-sintattico;
l’elemento veramente distintivo del parlare parigino risulta, tuttavia, non tanto quello
grammaticale o l’accento, quanto quello relativo alle varianti lessicali, che acquisiscono un
valore simbolico di struttura sociale, tanto che alcuni membri di determinati gruppi sociali
usano una terminologia specifica per rinforzare la coesione interna e l’esclusività. Le
persone ai margini della società formano conseguentemente una sorta di “anti-società”
all’interno della società e si esprimono attraverso il loro “anti-linguaggio”, l’argot. A
questo punto, si può dire di essere di fronte all’argot moderno e potrebbe sembrare che
esso si sia formato solo ora in seguito alle varie fasi. Ciononostante, bisogna sottolineare
che questo è stato il processo storico-sociale che ha portato l’argot, nato nel dodicesimo
secolo, ad avere le caratteristiche moderne, che verranno trattate ed approfondite nel
capitolo seguente.
Sin dalle sue origini, in luce dell’analisi appena conclusa, l’argot possiede un particolare
vocabolario, risultato di un processo di rilessicalizzazione. Ciò che rende l’argot parigino
un anti-linguaggio non è però il fatto di essere rilessicalizzato, quanto quello di essere
“sovra- lessicalizzato”: come afferma Dauzat41
, l’argot trasforma e sostituisce le parole
d’uso corrente, ha la tendenza a deformarle attraverso i processi di derivazione,
suffissazione, abbreviazione, agglutinazione, deglutinazione, raddoppiamento e metatesi.
In ogni idioma il vocabolario si trasforma, ma in maniera lenta e sotto l’influenza delle
necessità psicologiche e sociali; l’argot, invece, fin dalla separazione dalla lingua generale,
tende ad accelerare il rinnovamento linguistico, è in continuo movimento, non è
conservatore e rimpiazza i termini comuni, facendo appello alle diverse forze creatrici
della lingua: cambiamenti di forma, come appena detto, evoluzioni di significato, aggettivi
sostantivati, neologismi e prestiti dalle lingue straniere (non è un caso che l’argot si
sviluppi anche in quelle regioni a stretto contatto con altri idiomi: si registrano, per
esempio, degli argot bretoni, degli argot della Savoia, del Jura, della Valle d’Aosta e del
41
Dauzat, Argots cit., pp. 1-4
Lago Maggiore42
). È allora evidente che non esiste un solo argot, ma innumerevoli
variazioni dello stesso, sia a livello geografico sia a livello settoriale: Dauzat,infatti,
analizza e descrive l’argot dei malfattori, quello dei mestieri, quello scolastico, quello
militare, quello dello sport, per citarne alcuni.
Un’altra caratteristica importante dell’argot è che è essenzialmente orale; semmai un
malfattore dovesse scrivere in argot, lo farà per rivolgersi ad un complice, per evitare di
essere compreso dai più, ma non scriverà mai una lettera d’amore in uno stile “truculento”
come quello argotico. Si è già accennato in precedenza che l’argot costituisce, fin
dall’inizio, un elemento di coesione dei gruppi, una reazione di dissociazione e difesa
sociale nei confronti degli agenti esterni; nasce dal bisogno di protezione, per cui non ha
niente a che vedere con le lingue artificiali o convenzionali quali l’esperanto, il volapük o
l’ido. Questo gergo, in ogni caso, non ha come funzione primaria quella di risultare criptica
(un po’ in contraddizione con il concetto espresso nelle definizioni fornite all’inizio del
capitolo), proteggendo la segretezza di un’associazione criminale, bensì quella di
mantenere in vita il gruppo sociale in quanto rappresentante di una visione alternativa del
mondo e portavoce di ribellione nei confronti dell’intero sistema di valori della società
costituita43
. Il rinnovamento lessicale è allora giustificato dal ruolo che la comunità gioca
nella società. Oltre a ciò, in qualità di difensore di una data collettività, l’argot adotta
spesso lo strumento dell’ironia attraverso giochi di parole, peggiorativi o giochi dei
contrari: per esempio, il tabacco, tabac, viene detto blanc, ovvero bianco, oppure il burro,
beurre, è detto encre, inchiostro44
. È nel sarcasmo, appunto, e nell’invettiva che il genio
linguistico del popolo si esprime al meglio.
In conclusione, riteniamo che le parole di Pierre Guiraud possano riassumere in modo
conciso ma allo stesso tempo preciso l’intero concetto di “argot”:
«L’argot è dunque la lingua speciale della malavita, cioè l’insieme delle parole proprie dei
malviventi e dei malfattori, create da loro e utilizzate da loro a esclusione degli altri gruppi
sociali che li ignorano […]. Tre elementi rientrano nella costituzione di questa lingua speciale:
1°. Un vocabolario tecnico che esprime delle nozioni, attività, categorie proprie della malavita e
che riflettono una forma di cultura, un modo per esprimere una sensibilità, una mentalità, una
concezione della vita particolari. 2°. Un vocabolario segreto nato dalle esigenze di un’attività
42
Ivi, pp. 14-15 43
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 243 44
A.DAUZAT, Les Argots des métiers franco-provençaux, Paris, Librairie Ancienne Honoré Champion,
1917
malfacente e che dispone di mezzi di creazione verbali originali. 3°. Un vocabolario “argotico”
costituito da un insieme di parole tecniche e più precisamente di parole segrete che
sopravvivono nella loro funzione prima di segno differenziatore attraverso il quale colui che
parla l’argot riconosce e afferma la propria identità ed originalità»45
45
P.GUIRAUD, L’Argot, Parigi, Presses Universitaires de France, 1985, p. 7
CAPITOLO 2
Analisi dell’argot contemporaneo
In questo capitolo si cercherà di dare una visione d’insieme dell’argot contemporaneo,
spiegando quali sono le sue caratteristiche principali, le ragioni socio-culturali della sua
esistenza ed esponendo nel complesso questo fenomeno più che mai attuale.
Innanzitutto è necessario tenere in considerazione il fatto che, in realtà, non esistono fonti
di studio e critica dell’argot aggiornate al presente: i manuali o il materiale concernenti
questo gergo risalgono per lo più al ventesimo secolo e, nella maggior parte dei casi, si
tratta di vocabolari argotici. Alla luce di una delle caratteristiche fondamentali dell’argot,
ovvero quella per cui il rinnovamento lessicale segue ritmi che non consentono una facile
classificazione del fenomeno, è evidente che condurre uno studio a partire da questi
documenti, seppur relativamente recenti, risulterebbe in ogni caso alquanto anacronistico e
non al passo con i tempi. La velocità d’evoluzione e trasformazione dell’argot è tale che,
probabilmente, quegli elenchi e quelle voci di dizionari compilati con estrema e meticolosa
cura filologica apparirebbero a chi è interessato all’argomento in questione piuttosto
“antiquati” e fuori moda. In questa parte di trattato si proverà, inoltre, a testimoniare questa
impossibilità di riferimento alle opere di autori novecenteschi e, allo stesso tempo, questa
dinamicità linguistica mediante un confronto dei significati delle parole gergali, delle
sfumature assunte nel tempo e, in sostanza, dell’evoluzione semantica, come pure
attraverso un’indagine diretta su coloro che si fanno portavoce della cultura argotica.
Questo tipo di approccio richiede, dunque, l’impiego di risorse quasi esclusivamente
multimediali poiché, negli ultimi decenni, internet ha rappresentato la nuova forma
predominante di comunicazione ed un mezzo più immediato per registrare fenomeni
sociali e culturali.
Quali sono allora i tratti caratteristici dell’argot? Come accennato in precedenza, l’argot
nasce sostanzialmente come anti-linguaggio, la cui funzione è quella di difendere
un’identità sociale ben determinata. Tale volontà si esplicita spesso in una chiusura, in
questo caso da un punto di vista linguistico, da parte di gruppi ai margini della società,
nell’intento di dar voce a sentimenti di ribellione nei confronti di un sistema di valori
convenzionalmente accettati. Tale atteggiamento viene interpretato dalle classi sociali più
elevate come segno di ostilità nei loro confronti, che necessita dunque azioni di repressione
ed ulteriore marginalizzazione. La lingua assume, perciò, un ruolo decisivo nel creare
solidarietà e coesione all’interno di tali comunità “ribelli”. Nello svolgere questo compito
di difesa sociale l’argot si espone coscientemente ad un necessario rinnovamento lessicale
continuo, attraverso processi linguistici quali, per citarne alcuni, l’adozione di neologismi,
prestiti da altri idiomi, suffissazione e derivazione (come aveva già affermato Dauzat46
). Si
può dire inoltre che l’etichetta “argot” sembra far riferimento a due insiemi lessicali
diversi, che si possono designare come argot “morto” e argot “vivo”. Il primo comprende
tutti quei vocaboli appartenenti al gradino più basso della scala di accettabilità sociale: essi
sono infatti percepiti come parole tabù o parolacce e il loro impiego simboleggia il rifiuto
delle norme tipiche della società rispettabile. Questi termini hanno origine nelle comunità
degli anti-linguaggi e, sebbene siano utilizzati principalmente da uomini, sono
teoricamente “disponibili” a chiunque: per esempio, i parlanti delle classi elevate possono
farne uso con lo scopo di “incanaglirsi”, pretendendo fittiziamente di essere solidali nei
confronti dei subordinati. Il secondo, per contro, consiste in un insieme di elementi
costantemente rinnovati all’interno di innumerevoli sottogruppi sociali che li creano per
ragioni di coesione interna e distinzione dall’esterno. Si può riscontrare tale modello
d’argot soprattutto nel linguaggio degli adolescenti, negli immigrati africani di seconda
generazione, che in anni recenti hanno sviluppato varie forme di linguaggio segreto come
scudo identitario47
. La distinzione tra questi due modelli non è sicuramente una questione
di facile discussione dal momento che, mescolandosi tra loro, danno luogo a degli argot il
cui studio e la definizione di un profilo netto e totalmente oggettivo di fenomeni tuttora in
esistenza e in trasformazione risultano difficoltosi (a maggior ragione per un linguaggio
che reclama la propria unicità attraverso la necessità di modificarsi di continuo). L’analisi
che ci si appresta a compiere potrà forse dare qualche indicazione più precisa circa
l’effettivo sottofondo socio-culturale dell’argot odierno, sebbene sia evidente che ciascuna
comunità linguistica può possedere le sue specifiche ed uniche ragioni d’essere. In linea di
massima, come punto di partenza, è possibile notare come in entrambi i casi il linguaggio
gergale sia simbolo di forte coesione interna e di distinzione dal resto della società.
Per istituire un paragone con l’argot contemporaneo sarebbe utile fornire degli esempi
pratici dei primi linguaggi argotici, così da illustrare e dimostrare anche come
“ragionavano” coloro che lo parlavano.
Come è stato detto nel capitolo precedente, esistono diversi argot, non uno solo. Questi
linguaggi gergali sono diffusi principalmente tra i ceti meno abbienti e tra quelli che
46
Dauzat, Argots cit., p. 53 47
Lodge, Sociolinguistic History cit., p. 247
vengono considerati membri dell’ “anti-società”. Proliferano allora parole attinenti al
campo della criminalità, della prostituzione, della malavita, ecc. Per esempio, questi verbi
traducono tutti la parola standard voler (rubare): fourbir, laver, nettoyer, blanchir, lessiver,
éponger, essorer, rincer, repasser e polir; la parola “magnaccia” si trova in varie forme:
proxo, maquereau, brochet, barbeau, barbillon, dos-bleu e hareng; oppure il termine
“scemo” viene detto: cave, pigeon, jobard e godiche48
. Si esaminino ora alcune voci tratte
dal Dictionnaire argot-français49
:
Canapé s. m. Nel linguaggio dei ladri si trovano dieci, venti parole simili per designare
una tale azione riprovevole, o un tale vizio vergognoso; […]. Il canapé è
l’appuntamento ordinario dei pederasta; gli uomini effeminati si incontrano per
procurare a questi libertini navigati, che appartengono quasi tutti alle classi eminenti
della società, gli oggetti che essi desiderano; le sponde, dal Louvre fino al Ponte Reale,
la via Saint-Fiacre, il viale tra le vie Neuve-du-Luxemburg e Duphot, sono canapé
molto pericolosi. Si capisce, fino a un certo punto, che la sorveglianza della polizia non
è esercitata in questi luoghi se non in modo imperfetto; ma ciò che non si capisce è che
l’esistenza di certe case, interamente destinate ai discendenti della città di Gomorra, sia
tollerata; […].
Cantonnier-ière s. Prigioniero, prigioniera.
Caroubleur, -euse s. Varietà di scassinatore, hanno accordi con i domestici, i
lucidatori, i tappezzieri, i pittori. Dal momento che conoscono perfettamente i luoghi
che possono offrir loro delle risorse, vanno dritti alla meta; la maggior parte delle volte
si servono di false chiavi fabbricate da loro stessi sulle impronte dategli dai loro
complici.
Charon s. m. Ladro.
Charrieur à la mécanique. Ladro che, con un fazzoletto, afferra un passante per il
collo, lo porta così sulle spalle mentre un compagno si occupa di derubarlo in una
maniera tale da lasciarlo talvolta nudo e senza vita sulla strada. Dopo che la persona è
morta, quello che succede ogni tanto, è che i charrieurs à la mécanique gettano il
cadavere nel canale, poiché ordinariamente è in questo quartiere deserto che esercitano
il loro orribile mestiere.
Cognac s. m. Gendarme.
Daron, -onne s. Padre, madre.
48
Ivi, p. 245 49
E.VIDOCQ, Dictionnaire argot-français, Paris, Édition du Boucher, 2002
Déboucler v. Aprire a un prigioniero le porte della sua cella.
Francs mitoux s. m. Mendicanti della vecchia Parigi; avvolgevano la loro fronte con un
fazzoletto sporco, e camminavano appoggiati ad un bastone; si legavano anche le
arterie, e sapevano prendere talmente le sembianze di uomini malati che i medici più
esperti si lasciavano ingannare da loro.
Frimousseur, -euse s. Colui o colei che bara nel gioco.
Grailloner v. Intavolare una conversazione ad alta voce, dalla finestra di un dormitorio
affacciata sulla corte; o da una corte all’altra, avere una corrispondenza con le donne
detenute della stessa prigione. Il regolamento delle prigioni difende il grailloner.
Guinal s. m. Ebreo.
Jeu de la jarnaffe. Un individuo posiziona davanti a sé un tavolo sul quale vi sono una
giarrettiera e un coltello. Egli unisce due estremità della giarrettiera, di modo che essa
formi un cerchio, poi la dispone sul tavolo e la arrotola su sé stessa; in seguito invita gli
assistenti a prendere il coltello che dovranno, per vincere, impiantare nella
circonferenza del cerchio, così da fermare la giarrettiera. Egli stesso esegue questa
manovra, che sembra molto facile; ma quando tocca ad una persona, colui che gestisce
il gioco sa preparare il tessuto della giarrettiera affinché questa non vinca mai.
Macquecée s. f. Donna che gestisce una casa di prostituzione di ordine inferiore. Queste
donne sono, per la maggior parte, delle vecchie prostitute. I loro costumi sono troppo
conosciuti perché sia necessario parlarne. Mi permetterò solamente di porre una
domanda ai signori membri della’Accademia reale di medicina: «Perché queste donne
sono tutte, senza eccezione, francesi o straniere, di una tale corpulenza che sembrano
dei grassi uomini? Rispondete, dottori.» […].
Faire nonne v. Aiutare i ladri circondando e schiacciando la persona che deve essere
derubata.
Pampeluche s. Parigi.
Pare à lance. Ombrello. Credo che sarebbe difficile definire meglio questo piccolo
oggetto. In effetti un ombrello è destinato ad essere utile in tutti i casi possibili. Si apre
il proprio ombrello per mettersi al riparo dalla pioggia, dalla neve, dal sole; serve da
bastone alle persone pacifiche che vivono di rendita, da equilibrio alle giovani donzelle
[…].
Faire des pigeons. La passione del gioco domina quasi tutti i ladri ed è in prigione, più
che in qualsiasi altro luogo, che essi provano il bisogno di giocare. Per guadagnarsi i
mezzi per soddisfare questa passione fatale, non indietreggiano davanti a nessun
sacrificio; anche coloro che non hanno soldi vendono il loro pane, e se la fortuna non
sorride loro, si ritrovano ben presto ridotti a vivere solo con una minestra. Parecchi
giovani che avevano venduto il proprio pane sono morti di fame al deposito di Saint-
Denis. Quando uno sventurato ha venduto la metà della sua porzione per averla indietro
il giorno seguente, è per i tre quarti spacciato. I prigionieri che fanno i pigeons, ovvero
comprano in anticipo la razione dei loro compagni, esercitano quest’infame traffico
sotto gli occhi dei funzionari, i quali non vi si oppongono. Le autorità non dovrebbero
vegliare affinché degli abusi così scandalosi non si rinnovino?
Donner le qui va là v. Chiedere il passaporto o il documento di sicurezza in strada o
sulla via pubblica.
Riffaudeurs s. m. Conducenti, ladri che bruciano i piedi agli individui presso i quali
vengono introdotti, per forzarli a indicare dove hanno nascosto il loro denaro.
Sabler v. Questo termine è utilizzato solamente dagli assassini del sud della Francia,
che hanno l’abitudine di riempire di sabbia una pelle di anguilla con la quale
stordiscono i viaggiatori. Questo mezzo evita loro di portare armi capaci di
comprometterli; appena compiuto il crimine, la pelle viene pulita, la sabbia sparsa e
tutto sparisce; con questo strumento colpiscono anche i traditori, se si trovano tra di
loro. I ladri di Bordeaux si sono serviti a lungo della pelle d’anguilla riempita di sabbia,
con la quale hanno stordito parecchi agenti di polizia.
Valtreuse s. f. Valigia. Termine dei carrettieri parigini.
Ora, tra le parole scelte si può notare una predominanza di concetti relativi al furto, alla
vita dei bassifondi della società al tempo di Vidocq (1775-1857). È perciò evidente che
oggigiorno risulterebbe del tutto anacronistico e, addirittura, arcaico fare uso di tali
termini. Per rendere più chiara la distanza tra il lessico argotico di un tempo e quello
“moderno”, si può prendere in considerazione il gergo della malavita sviluppatosi in Italia
in contemporanea al jobelin francese, nel quindicesimo secolo, come documenta Albert
Dauzat50
. Questo linguaggio, chiamato furbesco, adotta un lessico con caratteristiche
criptiche:
«I furbi, i barattieri, e altri uomini di mal affare soglion cambiare maliziosamente il nome di
alcune cose che loro più ordinariamente occorrono, a fine di occultare maggiormente le loro
bricconerie agli occhi dell’onesta gente. Epperciò essi dicono o dissero Vetriuola, per Bicchiere;
Gesso, per Vino; Grascia, per Moneta; Bracco, per Birro; Ingegnosa, a vece di Chiave;
50
Dauzat, Argots des metiérs cit., p. 15
Faticosa, in luogo di Scala, Calcosa, per Strada; e chiamano Gonzo il contadino; Stefano lo
Stomaco; e simili. Per essi Ammascare vuol dire Intendere; Uccidere alcuno è Fargli la festa,
ovvero Mandarlo a Buda, e quella stessa uccisione che di essi tardi o tosto farà carnefice
impiccandoli per la gola, essi la chiamano Allungar la vita; Dar de’ calci al vento; Affogar nella
canapa. Almeno se la malaugurosa lingua di cotesti birboni servisse a conoscerne e a sturbarne
le colpevoli trame! ma nemmeno questo: perché è da credersi che il parlar furbesco varii da una
in altra provincia, e probabilmente nella provincia stessa con breve variar di tempo»51
.
Premettendo che questi termini ed espressioni furbeschi non rappresentano un esempio di
trasformazione morfologica quale avviene invece con maggior frequenza per l’argot
francese (ragion per la quale non sarebbe del tutto lecito confrontare i due gerghi), si può
notare che nella lingua italiana contemporanea e nei possibili gerghi in uso ai giorni d’oggi
queste parole risultano oggettivamente obsolete. Ciò non vuol dire che non esistano più; è
probabile che in alcuni dialetti o vernacoli specifici possano ancora venir utilizzate.
Tuttavia, è indiscutibile il fatto che esse non facciano più parte del bagaglio culturale
comune, da cui ne consegue, appunto, un certo distacco linguistico-temporale. Lo stesso si
potrebbe dire, allora, di molte delle voci del dizionario di Vidocq, considerando anche che
non esistono più le condizioni socio-culturali alla base dell’utilizzo di questo specifico
lessico argotico. La criminalità esiste tuttora in Francia e, ovviamente, anche a Parigi,
come anche i fenomeni della prostituzione, del brigantaggio (per non parlare di quelli
“nuovi” del traffico di droga, armi e persone); sarebbe tuttavia difficile concepire che i
membri di questi gruppi ai margini della società usino parole come caroubleur oppure
charrieur à la mécanique. A riprova di ciò, non bisogna dimenticare che l’argot ha come
caratteristica fondamentale il fatto di essere dinamico ed in continua evoluzione: le
esigenze dei parlanti sono sicuramente cambiate rispetto a trecento, ma anche solo cento
anni fa, il loro linguaggio si sarà di conseguenza adattato alle nuove situazioni, altrimenti
lo scopo di coesione e difesa sociale verrebbe meno, dal momento che il codice linguistico
sarebbe facilmente codificato e compreso dai più.
Per quanto riguarda invece l’analisi dell’origine di queste parole ed espressioni, non è
evidente trovare una spiegazione etimologica o storica delle stesse. Sebbene Vidocq
fornisca una definizione ed una spiegazione esauriente dei lemmi, il motivo per cui quelle
date comunità abbiano adottato quel determinato lemma per designare un certo concetto
non è di facile comprensione (come si può osservare, inoltre, spesso una parola argotica
51
G.CARENA, Osservazioni intorno ai vocabolarj della lingua italiana, Torino, G.Pomba, 1831
traduce non tanto un singolo vocabolo quanto una nozione più complessa e specifica: basti
rivedere la spiegazione di francs mitoux per rendersi conto che non ci si riferisce ad un
semplice “mendicante”. Tradurre quindi un termine dell’argot attraverso un sinonimo
sarebbe riduttivo; sarebbe forse più corretto parlare di “realia52
per questi casi argotici,
poiché quella data parola riassume in sé un concetto più ampio di quello esprimibile da una
semplice traduzione e riduzione ad una categoria d’idee). Per esempio: da dove viene il
termine valtreuse? Perché Parigi viene denominata Pampeluche? La loro derivazione resta
alquanto oscura, per cui l’unica ipotesi plausibile è spesso quella di un’origine popolare;
questo è quello che afferma Charles Boutler in due delle voci di Pantin, nel Dictionnaire
d’argot classique: «(un detenuto, 1846): Parigi» e «[…]. Questa definizione manca di
giustezza. Pantin è Parigi tutta intera, brutta o bella, ricca o oscura. ‒ etimologia incerta.
Potrebbe darsi che il popolo ha dato a Parigi, per un capriccio ironico, il nome di un paese
della sua banlieue (Pantin)»53
. Questa difficoltà è dettata principalmente dal fatto che
l’argot è essenzialmente un fenomeno orale: studi metalinguistici in proposito risalgono a
tempi relativamente recenti, per cui bisogna limitarsi a supposizioni e prendere coscienza
del suo carattere creativo, secondo gli schemi linguistici citati all’inizio del capitolo.
D’altro canto, espressioni quali faire le qui va là sono di più immediata intuizione, perché
a partire da un atto concreto, la locuzione assume un significato figurato non molto distante
dal senso originario. Infine, bisogna prendere nota del fatto che le parole daron e daronne
esistono e vengono impiegate tuttora nel parlare corrente argotico, mentre, a partire da
Pantin e Pampeluche, si è assistito ad un’evoluzione del modo di riferirsi alla città di Parigi
fino ad arrivare all’appellativo Paname, la cui origine è riconducibile probabilmente allo
scandalo di Panama e, allo stesso tempo, al cappello elegante che si indossava ai tempi
della prima guerra mondiale, il tutto per indicare che Parigi era una città degli eleganti,
degli scandali, delle illusioni e delle disillusioni54
.
A questo punto si può passare all’analisi vera e propria di quell’argot che interessa
maggiormente, ossia quello odierno. Innanzitutto bisogna specificare che, in un’epoca in
cui lo spostamento di persone ha assunto una dimensione mondiale, le lingue si evolvono a
ritmi molto sostenuti e i contatti interlinguistici e interculturali si sono moltiplicati
rapidamente. Il quadro linguistico in Francia, nello specifico, risulta essere molto
eterogeneo: sicuramente le varietà del francese standard sono numerose. Concentrandosi
52
Il termine “realia” indica quelle parole che descrivono oggetti, concetti e fenomeni caratteristici di una
specifica cultura e che, perciò, non esistendo in altre realtà, presentano difficoltà di traduzione, tant’è che
spesso, come scelta traduttiva, si decide di lasciare e riportare il termine stesso nella lingua d’origine. 53
“http://www.russki-mat.net/page.php?l=FrFr&a=P” 54
A.RAMPELBERG, Paris est devenue une ville pour “rupins” très “oseillés”!, dic./2007,
“http://www.linternaute.com/paris/magazine/chat/07/claude-dubois/retranscription-claude-dubois.shtml”
sull’argot, è necessario richiamare una sua caratteristica importante: come sosteneva anche
Dauzat, gli argot tendono a far propri termini appartenenti ad altri idiomi, i cosiddetti
prestiti dalle lingue straniere. È fondamentale tenere questo a mente poiché, se si considera
la situazione etnico-culturale della Francia, si nota una forte presenza di gruppi africani ed
arabi: per essere precisi, nel 2004, su cinque milioni di immigrati che vivono in Francia,
1,7 milioni provengono dall’Unione europea, 1,5 milioni dal Maghreb, 570 mila
dall’Africa subsahariana e i restanti principalmente dalla Turchia, dalla Cina e dallo Sri-
Lanka55
. Sono queste comunità africane ed arabe, insieme ai giovani, ad essere i veri
portavoce dell’argot contemporaneo, è tra di loro che si percepisce maggiormente il
bisogno di coesione e difesa sociale e questo spiega l’utilizzo di un linguaggio, nella
maggior parte dei casi criptico, in opposizione alla cultura d’élite ma anche a quella di
massa. Il gergo, infatti, diventa simbolo di distinzione sociale, un modo per non venir
compresi dalla gente comune. Ne è un esempio il libro Lexik des cités56
: qui si trova un
elenco di più di duecento termini argotici usati nel linguaggio quotidiano delle banlieue.
Eccone alcuni:
Bishop s. m. Pantaloni portati molto bassi, vicino alle natiche. Dal nome di un
personaggio interpretato dal rapper Tupac Shakur in un film, che indossa i suoi jeans in
questo modo.
Bédave v. Fumare l’hashish. Di origine zigana, come tutti quelli in “ave”.
Sauce s. m. Compagno, amico. [...]. Origine sconosciuta. Si dice anche gros.
Daron-ne s. Designano il padre e la madre. Provengono dal Medioevo […].
È interessante notare come alcune voci abbiano una sorta di spiegazione etimologica, che
fa capire come il lessico, talvolta, sia frutto di un’evoluzione cosciente da parte dei
parlanti. È altrettanto interessante notare che i discorsi metalinguistici nella lingua francese
sono di grande attualità, non solo a livello accademico, ma anche tra le persone comuni,
come testimoniato da alcuni ragazzi delle banlieue57
, i quali spiegano l’uso che fanno
dell’argot. Dai loro discorsi si capisce perfettamente che tale gergo assume un ruolo sociale
molto importante nella loro vita: quando desiderano non essere compresi dagli altri,
interviene questo strumento che li fa sentire “protetti” e al tempo stesso “coesi” tra di loro.
In un video58
, infatti, un giovane afferma di usare un linguaggio criptico solamente ed
55
“http://www.africamaat.com/Revelations-sur-l-immigration” 56
AA. VV., Lexik des cités, Parigi, Fleuve Noir, 2007 57
“http://www.youtube.com/watch?v=sjTQAWfTFJQ” 58
“http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&NR=1&v=hTNDXzjJHfA”
esclusivamente per non farsi capire dagli altri: la comunicazione assume tutte le
caratteristiche di un codice, proprio come quello Morse. Nello stesso reportage, il
professore di linguistica all’Università Paris 5 Jean-Pierre Goudaillier spiega che l’argot ha
una funzione identitaria, crea un “gruppo”, ma anche una funzione ludica.
Stando alle parole di Dauzat59
, lo studio dell’argot deve avvenire con l’inchiesta diretta; di
seguito verranno allora presentate alcune parole ed espressioni di uso comune tra i giovani
della Bretagna al giorno d’oggi.
Bouffe s.f. Cibo.
Ça déchire. È fantastico.
Pompes / Grolles s. f. Scarpe.
Fringues s. Vestiti.
Clope s. f. Sigaretta.
Pinard s. m. Vino.
Pif s. m. Naso.
Caisse / Bagnole s. f. Automobile
Bécane s. f. Moto.
Bidoche s. f. Carne.
Gonzesse s. f. Ragazza, donna.
Mec s. m. Ragazzo, uomo.
Pognon s. m. Soldi, denaro.
Gratte s. f. Chitarra.
Flotte s. f. Acqua.
Bouquin s. m. Libro.
Vioque s. m. Vecchio.
Popote / Tambouille s. f. Cucina, pasto.
Clebard s. m. Cane.
Flic / Poulet s. m. Gendarme, poliziotto.
Se vautrer / se ramasser v. Cadere.
Gerber v. Vomitare.
Bidon / Bedaine / Brioche s. Pancia.
59
Dauzat, Argots cit., pp. 22-52
Riportiamo ora alcune etimologie dei termini considerati, di modo da dare alcune ulteriori
informazioni su quelle che possono essere le ragioni alla radice delle scelte lessicali
nell’argot moderno. Bouffe ha probabilmente un’origine dialettale, usata specialmente nella
Svizzera romanda, nei sensi di “mangime, viveri” e di “mangiata, gozzoviglia” (Patois
Suisse romande) 60
; grolles è una parola di origine sconosciuta, presente in Occitania, nel
franco-provenzale e nell’ovest da dove è poi passata all’argot parigino alla fine del
diciannovesimo secolo61
; clope, di origine sconosciuta62
; bécane, di origine oscura,
potrebbe essere il femminile popolare dell’argot bécant “uccello” 1878, participio presente
sostantivato di becquer (becher), per assimilazione del rumore del veicolo al grido
dell’uccello […]63
; pognon deriva, con il suffisso –on, dal verbo popolare poigner
“prendere, afferrare con la mano”64
; flic è un prestito dall’argot dei malfattori in cui flick è
attestato dal 1510 nel senso di “giovane uomo, ragazzo”65
. Anche in questa circostanza
trovare una spiegazione scientifica o per lo meno linguisticamente ed etimologicamente
completa e soddisfacente non è immediato. Oltre a ciò è degno di considerazione il fatto
che le parole fornite dagli intervistati bretoni non solo hanno definizioni ed accezioni
talvolta leggermente differenti rispetto ad una fonte abbastanza attendibile in fatto di gergo
argotico ed etimologia della lingua francese, ovvero il Centre National de Ressources
Textuelles et Lexicales66
(CNTRL), ma anche quello che da un parlante comune viene
considerato “argot”, viene magari etichettato semplicemente “lessico familiare o popolare”
da questa fonte appena citata. Vediamo alcuni esempi. Il termine bouffe viene considerato
“argot” dal parlante mentre il CNRTL alla voce in esame dice «Usuel, pop. Nourriture
[…]67
», ovvero “usuale, popolare, Cibo”. Pinard, secondo il CNTRL, è un «Vino di qualità
inferiore o di consumazione corrente, generalmente carico di colore e di tannino […]. Per
estensione, vino di qualsiasi qualità […]68
». Qui si può notare che la parola ha assunto
nell’uso comune un valore semplificato rispetto al significato originale. Si potrebbe
affermare, dunque, che vi è stata una trasformazione del lemma al livello di percezione
semantica. Inoltre, nel CNRTL pinard è una voce popolare, non argotica. D’altro canto, vi
è perfetta coincidenza di significato e valore gergale nel termine gratte, come pure in
60
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/visusel.exe?11;s=3559638075;r=1;nat=;sol=0” 61
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/visusel.exe?46;s=3559638075;r=2;nat=;sol=1” 62
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/advanced.exe?8;s=3559638075” 63
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/advanced.exe?8;s=3559638075” 64
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/advanced.exe?8;s=3559638075” 65
“http://atilf.atilf.fr/dendien/scripts/tlfiv5/visusel.exe?309;s=3559638075;r=15;nat=;sol=0” 66
“http://www.cnrtl.fr” 67
“http://www.cnrtl.fr/definition/bouffe” 68
“http://www.cnrtl.fr/definition/pinard”
vioque. Flotte significa «Acqua, corso d’acqua, strato d’acqua» ed è di uso familiare69
.
Molto interessanti sono le differenze nella parola mec: «A.- Argot, 1. Uomo della malavita,
spesso amante di una prostituta, magnaccia […] 2. Uomo forte, energico, che assume la
figura di padrone […], per estensione, Colui che detiene il potere, domina la scena. B.-
Popolare e spesso peggiorativo, Individuo di sesso maschile»70
. È evidente che nell’uso
quotidiano la parola ha subito ulteriori trasformazioni semantiche, dal momento che non
compare nessun riferimento all’accezione di “ragazzo, uomo”. A questo punto viene
spontaneo precisare che è del tutto lecito pensare che i giovani e le comunità portavoce del
linguaggio argotico possano impiegare i termini, dando loro sfumature differenti a seconda
del contesto e delle circostanze: se il discorso mira ad offendere qualcuno o si parla in toni
poco amichevoli, sarà giustificato l’uso di mec nel significato riportato da CNRTL; se il
discorso è familiare e “rilassato” la parola perde ogni tinta peggiorativa o volgare. Si può
pensare di conseguenza che questo processo accada in modo del tutto cosciente con tutta
un’altra serie di espressioni e termini argotici. Non meno rilevante risulta la differenza nel
vocabolo popote: «A.- Familiare Cucina, cibo semplice cucinato da sé. B.- 1. Argot
militare e lingua corrente, Riunione di ufficiali e sottoufficiali, e, per estensione, di
qualsiasi gruppo di persone per consumare un pasto in comune. 2. Per metonimia, Cucina,
locale, ristorante dove i membri della popote consumano i pasti»71
. All’origine il termine è
familiare ed ha più o meno lo stesso significato di quello attestato dai giovani bretoni; però
l’uso propriamente argotico, così attesta il CNRTL, è relativo alla sfera militare. Infine
bedaine è definita come «Molto familiare, (si applica soprattutto a un uomo, più raramente
ad una donna) Grosso ventre rotondo […]»72
.
Il fatto che molti termini (questi sono solo alcuni esempi) siano considerati da un lato
argotici e dall’altro magari familiari o popolari fa riflettere ancora una volta su quanto
possa essere labile la distanza linguistica nella percezione comune dei concetti di “argot” e
“linguaggio familiare / popolare” (ossia la variazione diafasica). Dal punto di vista degli
studi linguistici i due concetti sono chiaramente distinguibili a livello teorico; tuttavia,
quando ci si trova di fronte alla realtà eterogenea e alle dinamiche sociolinguistiche, è
arduo comprendere ciò che il collettivo considera, nella pratica, appartenente ad un gergo
argotico o quello che può semplicemente ritenersi espressione popolare. Ci si trova perciò
di fronte ad un punto cruciale nell’analisi dell’argot, dal momento che, come sostiene
anche Louis-Jean Calvet, «il vocabolario argotico è spesso assimilato dalla lingua comune,
69
“http://www.cnrtl.fr/definition/flotte” 70
“http://www.cnrtl.fr/definition/mec” 71
“http://www.cnrtl.fr/definition/popote” 72
“http://www.cnrtl.fr/definition/bedaine”
conservando semplicemente delle connotazioni volgari o popolari, venendo utilizzato solo
in circostanze particolari»73
. Tenendo in considerazione che il francese è una lingua
particolarmente sensibile ai cambiamenti socio-culturali, si può dimostrare come l’argot,
nei suoi incessanti processi di evoluzione lessicale e strutturale, entri a far parte della
cultura francese, fino a mescolarsi all’identità collettiva di quei gruppi che si esprimono
attraverso tale gergo. È proprio la natura della lingua francese in sé a stimolare, allo stesso
tempo, fenomeni di assimilazione del vocabolario argotico all’interno del bagaglio
culturale nazionale o regionale e il continuo rinnovamento dell’argot. Alla luce di tali
scambi tra il linguaggio comune e il gergo francese qui esaminato si può capire meglio
quale sia il vero significato della nozione stessa di argot: ormai non si tratta più di un
parlare della malavita, del malfattori parigini, si ha a che fare con un fenomeno diffuso in
gran parte della Francia che mira a dare ad ogni singola comunità parlante una specifica
identità, che necessita intrinsecamente e coscientemente di un incessante rimodellamento
dei suoi schemi per conservare e mantenere unica la coesione del gruppo. Sulla base di
queste considerazioni bisognerebbe forse distinguere quel tipo di argot utilizzato ormai
nella vita quotidiana dei giovani, che va viepiù perdendo la sfumatura di linguaggio
criptico, anche se impiegato consapevolmente, da quel tipo di argot rappresentato dai
immigratii e dalle bande nelle banlieue parigine e non. È sufficiente leggere quello che una
ragazza bretone ha risposto alla domanda “perché si usa l’argot” per capire che bisogna
compiere una distinzione: «Alors, à mon avis c'est une question de mode... Comme porter
des vêtements de marque quoi ! À la base ça doit venir des banlieues, et s'être développé
dans les campagnes, non?». La risposta contiene un’affermazione alquanto significativa:
«A mio avviso è una questione di moda, come portare i vestiti di marca!». Da un lato si
potrebbe dedurre che una questione così ampia e complessa viene sbrigativamente ridotta
ad un fenomeno di massa quale è il portare vestiti firmati, in voga soprattutto tra i giovani,
dall’altro si riconosce che si tratta di un qualcosa che parte dalle banlieue cittadine fino ad
arrivare alle campagne, passando dunque attraverso un’evoluzione spazio-temporale. Di
primo acchito la prima parte della risposta potrebbe “demistificare” l’argot, riducendolo ad
una mera moda transitoria, quasi un capriccio; tuttavia, in considerazione del fatto che al
giorno d’oggi, principalmente nella fascia più giovane della popolazione, l’indossare un
determinato tipo di abiti costituisce un atto dichiarativo di appartenenza ad una categoria
sociale, ad un insieme di valori che incarnano un modello da seguire e da riprodurre, può
portare a rivalutare il significato di quelle parole. L’argot potrebbe, anche in questo caso,
simboleggiare uno strumento comunicativo esclusivo di una certa comunità e un modo per
73
L.CALVET, L’Argot, Parigi, Presses Universitaires de France, 1994
comunicare la propria unicità, funzioni rispecchiate in una certa misura dal codice
d’abbigliamento dei giovani d’oggi. In conclusione, il pensiero di questa ragazza potrebbe
risultare tutt’altro che superficiale o casuale se si considerano le parole di Pierre Guiraud:
«Ogni linguaggio è un segno; come il vestito o la pettinatura, come le formule di cortesia o i riti
familiari, ci identifica: borghese o operaio, medico o soldato, contadino o commerciante, ecc.
Dal momento che questi comportamenti divengono coscienti e voluti […], l’individuo afferma e
rivendica la sua appartenenza a un gruppo, essi diventano ciò che è convenuto chiamare, e ciò
che noi chiameremo, un segno, un segno di classe, di casta, di corporazione. Questa è l’essenza
di ogni argot nel senso moderno della parola; sin da quando un gruppo vive nella società, e non
appena prende coscienza della sua differenza e superiorità, si forma un argot […].
L’argot si rinnova come la moda modifica periodicamente il colore dei gilet, la lunghezza dei
pantaloni o l’ampiezza delle cravatte»74
.
Dunque, è necessario distinguere questo tipo di concezione dell’argot, quello utilizzato dai
giovani in generale, che non vivono direttamente una realtà di emarginazione o inferiorità
sociale, da quell’argot tipico delle banlieue francesi. In ragione di tutto ciò, si può
comprendere perché l’argot, quello a cui fa riferimento anche il Lexik des cités, si appropri
di lemmi appartenenti ad altri idiomi. Vediamo alcuni esempi tratti da un sito
specializzato75
in gergo argotico e verlan:
Wesh-wesh s. m. Giovane delle città.
Hass s. f. Noia, difficoltà, problema.
Narvalo agg. Folle, idiota.
Zamel s. m. Omosessuale.
Walou avv. Niente.
Poucaver v. Denunciare, fare la spia, tradire.
Bader v. Preoccuparsi, angosciarsi.
Se faire appeler arthur. Farsi sgridare
Belek locuzione Attenzione (faire belek).
Bounty s. m. Termine peggiorativo per designare un nero che parla e si comporta come
un bianco o che difende la cultura bianca contro la propria cultura.
Bzèze s. m. Seno.
74
Guiraud, Argot cit., pp. 97, 100 75
“http://www.dictionnairedelazone.fr”
Ghettoyeux, -euse s. Persona proveniente dai quartieri sfavoriti.
Guesh s. Portoghese.
Karba s. f. Prostituta.
Kif-kif agg. invariabile Simile, lo stesso.
Clebs / Klebs s. m. Cane.
Krèle s. Persona di razza nera.
Ouallah interiezione Ti giuro!
Yes agg. Bello, apprezzabile.
Faya agg. Fatto (drogato), stanco morto.
Flouze s. m. Soldi, denaro.
Hagra s. f. Miseria, umiliazione.
Timinik s. m. Problemi.
Molte di queste parole hanno origine araba, come walou, belek, bzèze, karba, kif-kif,
ouallah, flouze; altre derivano dall’inglese, guesh dal portoghese, narvalo e poucaver dalla
lingua romanì e l’espressione se faire appeler arthur dal tedesco. Di conseguenza risulta
piuttosto inutile analizzarne l’origine poiché tali termini costituiscono dei veri e propri
prestiti linguistici, a differenza di molte altre parole dell’argot “classico” dove «è la
fantasia che utilizza e spesso crea la maggior parte del suo vocabolario»76
. Ancora una
volta è interessante cercare di capire il motivo per cui siano così frequenti il ricorso e
l’aggiunta al lessico argotico di parole straniere. Una spiegazione esauriente viene fornita
da Jean-Pierre Goudaillier:
«In queste Z.U.S.77
, che coincidono nella maggior parte dei casi con ciò che chiamiamo
comunemente banlieues, cités, quartiers o quartiers populaires, ha preso forma una grande
precarietà nel corso dei tre decenni passati. […]. I giovani residenti in queste zone, tenuto conto
della “violenza sociale” esercitata su di loro e della “violenza reattiva”78
, con cui controbattono
a loro volta, si sono creati, in seno alla loro rete di pari, dei mezzi di comunicazione linguistica.
[…]. Gli sono necessari per resistere, forse solo in maniera simbolica, ai rapporti di esclusione
esercitati su di loro. Gli adolescenti immigrati percepiscono nei loro confronti un doppio rifiuto,
poiché […] non si sentono interamente accettati, da una parte, in Francia dai francesi e,
dall’altra, nei loro paesi d’origine dai loro stessi compatrioti. A loro importa ottenere un’identità
76
Guiraud, Argot cit., p. 8 77
Z.U.S. sta per Zones Urbaines Sensibles, ovvero Zone Urbane Sensibili, un territorio infra-urbano che, per
le autorità francesi, costituisce il bersaglio prioritario della politica della città. 78
L’espressione “violenza reattiva” viene coniata dallo psicoanalista e sociologo tedesco Erich Fromm per
designare quel tipo di violenza non distruttiva, ma che tende a difendere la vita, la libertà e la dignità umana.
sociale positiva. […]. Così, in termini spaziali, i giovani delle cités si rivendicano “jeunes des
cités”, dei quartieri, delle banlieue, in opposizione ai giovani del centro città, dei quartieri con le
villette. […]. Sul piano culturale essi si dicono “jeunes de culture des rues” per contrapporsi ai
giovani della cultura borghese.
L’appartenenza degli individui ad un gruppo sociale è costruito attraverso i loro atti linguistici e
i loro comportamenti linguistici devono essere considerati come veri “atti d’identità”. […]. La
principale manifestazione di questa cultura è la rivendicazione d’identità specifica per mezzo di
diversi vettori, quali il rap, il movimento hip-hop, i vestiti, il concetto di “banlieue”, ma anche
grazie ad un insieme di pratiche linguistiche discorsive proprie come la verlanizzazione o il
famoso accento della banlieue, che fanno parte degli elementi costitutivi di ciò che chiamiamo il
Français Contemporain des Cités (F.C.C.). […]. L’identità linguistica affermata, essa stessa
correlata in maniera molto forte all’identità etnica, viene espressa dai parlanti, giovani e meno
giovani, che praticano l’F.C.C., grazie all’uso di termini presi dalle lingue della loro cultura
d’origine. Nell’universo delle cités, l’analisi delle pratiche discorsive dei giovani permette di
stabilire che la creatività lessicale fonda l’identità dei gruppi di pari e ne mantiene la coesione.
L’F.C.C., che è la forma linguistica identitaria dei giovani delle cités, permette loro non solo di
raccontare la vita quotidiana, ma diventa pure, ai fatti della precarietà subita, espressione dei
mali vissuti, il “dire dei mali”»79
.
In questo capitolo si è provato a dare una visione d’insieme al fenomeno dell’argot
contemporaneo. Dall’analisi è evidente come il mondo francofono sia molto attivo dal
punto di vista della riflessione metalinguistica e della lingua in generale: i francesi
hanno una spiccata consapevolezza degli atti linguistici e ne consegue non tanto una
mentalità conservatrice quanto una costante volontà di messa in discussione, che, nel
caso dell’argot, del verlan (come si vedrà nella sezione successiva), sfocia in ricchi
processi di rinnovamento ed arricchimento del vocabolario. Si potrebbe dire, inoltre,
che il quadro sociale illustrato spiega in modo piuttosto lineare il perché si assiste ad
un proliferare di termini presi in prestito da altre lingue, soprattutto l’arabo, ma da
anche ragione dell’esistenza stessa dei gerghi giovanili e delle banlieue: è ormai chiaro
e comprovato che i giovani e le comunità delle cités sentono un’impellente necessità
di esprimere la propria identità e di dimostrare la loro unicità attraverso un codice che
può apparire criptico. È stato dimostrato, come dichiara Anne-Caroline Fiévet80
, che i
giovani sperimentano una certa fierezza quando la generazione adulta non riesce a
comprendere i loro neologismi. È perciò lecito affermare che i giovani adottano delle
79
J.GOUDAILLIER, Languages, in «Adolescence», 70 (2009), pp. 849-854 80
A.FIÉVET, Quand un mot devient identitaire pour les jeunes : le cas de «bolos», in «Adolescence», 70
(2009), p. 931
strategie linguistiche in funzione dei loro interlocutori: da un lato si “gioca” con le
parole tra compagni, d’altro si è in grado di parlare il “buon francese” a scuola,
nell’ambiente professionale, a casa, ecc81
. Il loro linguaggio viene adattato quando
decidono di essere compresi o meno da coloro che non sono “iniziati”.
Il fatto di provare risentimento od ostilità nei confronti di questi gruppi “marginali” è
ingiustificato o probabilmente fondato su ragioni di carattere razzistico, dal momento
che l’intento degli argotier (coloro che parlano l’argot), non è quello di combattere le
autorità, bensì quello di crearsi una nicchia, nei complessi processi di integrazione ed
assimilazione, dove possano sentirsi etnicamente coesi ed affrontare in modo più
sicuro e consapevole l’approccio al “diverso”, all’”altro”, incarnato dal cosiddetto
Français souche, sarebbe a dire il “francese doc”, in una tipica espressione argotica.
Ecco riassunti in modo ancor più preciso alcuni di questi concetti nelle parole di
Sabine Bastian, professoressa di linguistica all’università di Lipsia:
«Il tratto specifico dell’F.C.C. in relazione alle altre varietà, si manifesta in modo particolare a
livello lessicale e semantico, che si esplicano prima di tutto attraverso il carattere orale di questo
linguaggio. Implica tutta una serie di parole tipiche di un registro familiare e popolare. I
cambiamenti vissuti nel tempo provocano una rivoluzione / evoluzione costante per quanto
riguarda il vocabolario negli ambiti della vita dei giovani in generale: vestiti, pettinatura,
alloggio, rapporti umani, mezzi di trasporto. Vi si aggiungono soggetti particolarmente
importanti per i giovani delle cités come la disoccupazione, la delinquenza, le droghe, la polizia,
la prigione, la vita nella cité. […]. Per i giovani arabi i prestiti sono più di un gioco, più di un
modo per esprimersi in maniera critica: questi prestiti contribuiscono alla funzione
identificativa»82
.
Si è scoperto allora che esistono in concreto due grandi categorie di argot. Esiste l’argot
parlato dai giovani, che non sono oggetto di discriminazione e che non sono esposti a
fenomeni sociali di emarginazione. Questi parlanti adoperano il gergo in maniera
consapevole e lo fanno nell’intento, soprattutto, ludico di non essere compresi dai più.
L’idea di fondo del suo uso è tuttavia quella di una moda linguistica. Esiste poi quell’argot,
simbolo e codice funzionale ad una difesa e coesione di una collettività caratterizzata da
81
“http://www.languefrancaise.net/Info/2001-05-02-Parler-djeune-en-Suisse” 82
S.BASTIAN, Langue(s) des cités: Maux du dire-maux du traduire ?, in «Adoloscence», 70 (2009), p.861
specifiche ed individuali ragioni etniche e sociali: il linguaggio argotico assume il ruolo di
scudo identitario nelle realtà di precarietà delle Z.U.S. francesi.
CAPITOLO 3
Tipi di argot
È noto che non esiste un solo argot: ogni realtà geografica e sociale possiede i propri
strumenti linguistici caratteristici. In questo capitolo ci concentreremo sui linguaggi segreti
e su un tipo particolare di argot: il verlan. A partire dall’analisi delle radici sia storiche sia
sociologiche di quest’ultimo, tenendo presente il corrispondente esemplare nella lingua
inglese, ovvero il back slang, si tenterà di descrivere l’attuale situazione e le ragioni di
questo fenomeno. Se nei due capitoli precedenti ci si è basati su uno studio
fondamentalmente teorico di determinati fatti linguistici, si preferirà nella seconda parte di
questa sezione affrontare la questione da un punto di vista strettamente diretto e concreto:
verranno infatti presi in esame dei testi rappresentativi dell’argot moderno e
contemporaneo, e del verlan. Si proverà, dunque, ad illustrare quella sfera della lingua
appartenente ai modi di esprimersi criptici, o per lo meno non comprensibili rispetto ad una
variazione standard, che costituiscono in una certa misura un simbolo e, allo stesso tempo,
un codice distintivi di un dato gruppo socioculturale o etnico.
Bisogna innanzitutto richiamare alcuni concetti fondamentali dell’argot che possono essere
d’aiuto nel comprendere gli argomenti che verranno trattati a breve. Si è detto che l’argot è
un linguaggio speciale, tipico della malavita, dei gruppi emarginati (principalmente
individuabili nelle banlieue delle grandi città) e ormai espressione della cultura giovanile
francese. Questo gergo possiede un vocabolario tecnico e segreto, poiché il suo scopo
primario è quello di creare e garantire unità, coesione all’interno dei gruppi di argotier, in
modo da non essere compresi dal resto della società. Questo “scudo” di difesa sociale trova
il suo punto forte nel continuo rinnovamento dell’argot stesso, il quale si serve di processi
e fenomeni linguistici quali la suffissazione, il troncamento, la derivazione, il
raddoppiamento, gli spostamenti semantici, l’ironia, i prestiti e la creazione di veri e propri
neologismi.
Prima di arrivare alla descrizione del verlan, è necessario esaminare l’argot in Inghilterra e
il cosiddetto back slang, che in un certo senso sembra essere il progenitore del verlan
francese. Riportiamo di seguito le parole di Barry J. Blake:
«Uno degli argot di cui si sa di più è quello dei ladri e dei vagabondi nell’area londinese a
partire dal sedicesimo secolo, secondo fonti come Harman83
(1567) . Tale argot era
generalmente chiamato “cant”, ma il termine “cant” era anche usato per il gergo ed il suo
registro corrispondente […]. Come lo slang in generale, esso possedeva un vocabolario
elaborato per qualsiasi cosa concernesse il sesso, e come ci si aspetta, un ampio vocabolario di
termini per i criminali e l’attività criminale. Nel A Dictionary of the Vulgar Tongue di Grose84
[…] ci sono circa quattrocento entrate, di cui più di trecento sono di tipi di malfattori e crimini.
I criminali includono i badger (coloro che derubano e uccidono vicino ai fiumi) , i bound
nippers ( i tagliaborse) , i coalk twitchers (coloro che scippano i mantelli ai passanti) , i
cracksmen (gli scassinatori) , i forks (i borseggiatori) , i glazyers (gli scassinatori che rompono
le finestre o rimuovono i vetri) , i jarkmen (i contraffattori) , i jumpers (gli scassinatori che
entrano dalla finestra) , i rushers (coloro che entrano in casa quando la porta è aperta) , e gli
scourers (ragazzi vagabondi che rompono le finestre, assalgono i passanti, ecc.) . […]. Ci sono
centinaia di termini per indicare una donna promiscua e un altro centinaio per quegli uomini che
sono stupidi, creduloni o imbranati […].
Nell’argot inglese le combinazioni sono molto evidenti. Per esempio, alcune parti del
corpo venivano formate da un participio descrittivo e chete/cheat “cosa”: crashing chetes
“denti”, hearing chetes “orecchi”, smelling chete “naso”, e pratting chete o prating chete
“lingua”. [...]. Un numero di parti del corpo veniva denominato prendendo una
caratteristica o una funzione e aggiungendo il suffisso per i nomi –er: grinders “denti”,
heavers “seni”, panter “cuore”, e smiter “sedere”. [...] Per quanto riguarda i prestiti, il più
antico strato era quello del latino, ma vi erano anche prestiti dal francese, dall’italiano, e
[…] dal romanì e dall’yiddish. [...]. Il termine “cant” stesso deriva dal latino/italiano
“cantare” e ha origine dall’abitudine dei mendicanti di cantilenare le loro suppliche»85
.
Per completare la citazione elenchiamo alcuni altri termini tipici di tale argot inglese,
derivati appunto da lingue come il latino, l’italiano, il romanì, il francese e l’olandese: bene
“good”, bone “good”, case, carser “house, building”, cassam “cheese”, to couch “to lie
down”, cull “man”, fogel “handkerchief”, grannam “corn”, ken “house”, mort “woman”,
ogle “eye”, pannam “bread”e tonema “cloak”. Tutto ciò fa comprendere che l’argot non è
un fenomeno linguistico ascrivibile esclusivamente al mondo francofono. Già nel
sedicesimo secolo è in realtà possibile individuare un gergo della malavita inglese. In ogni
83
Thomas Harman è stato uno studioso inglese, il primo a creare una sorta di tassonomia delle persone
disoneste, i cosiddetti “rogue”. 84
Francis Grose (circa 1731 – 1791) è stato un antiquario, disegnatore e lessicografo inglese. 85
Blake, Secret cit., pp. 213, 214, 215, 216
caso, si possono notare diverse somiglianze nella formazione dei termini tra i gerghi
considerati.
Dunque, sia in Francia sia in Inghilterra, prima si sviluppano gli argot, poi al loro fianco si
aggiungono rispettivamente il verlan e il back slang, in periodi leggermente diversi. Detto
questo, si capisce forse meglio che il verlan “moderno” (come si vedrà successivamente,
esistono casi isolati di parole verlanizzate86
, che non fanno però parte di un vero e proprio
linguaggio) non è esattamente un’invenzione; in precedenza esisteva già una forma simile
di linguaggio, ossia il back slang, la cui ragion d’essere è identificabile con quella
dell’argot in generale: la coesione e la “segretezza” del gruppo parlante. In Gran Bretagna,
infatti, è esistita una forma di linguaggio secreto chiamato “back slang” sin dai primi anni
del diciannovesimo secolo. È attestato il suo uso, come sostiene Blake87
, tra i venditori di
cibo come i macellai, i fruttivendoli e i venditori di strada. Il back slang permetteva a
queste figure, talvolta losche, di conversare di fronte ai clienti ignari, anche se è probabile
che la clientela abituale ne fosse al corrente. Essenzialmente, si tratta di un meccanismo
per codificare le parole, prendendo le forme scritte e pronunciandole al contrario; il tutto
avviene in modo alquanto sistematico dal punto di vista fonologico. Il fatto che sia basato
sulla pronuncia, spiega ancora Blake, è interessante, dal momento che la maggior parte dei
venditori era gente illetterata. Sebbene il back slang sia fondato su una base ad hoc come la
lingua standard, ha sviluppato un proprio lessico, andando oltre le originarie necessità dei
commercianti. Il principio base del back slang è che ogni parola è pronunciata al rovescio:
«Fish→ shif, look→ cool, market→ tekram, no good→on doog, yes→ say»88
. Anche se
questo linguaggio è orale, esso si basa sulla lingua scritta e la sequenza delle lettere è
rovesciata ad eccezione di alcuni diagrafi come “sh” in “fish”; talvolta è necessario inserire
dei grafemi per questioni di pronuncia, come in hat→ tatch, cold→ deloc, old→ delo,
girl→ elrig oppure ancora pork→ kayrop. Generalmente la “s” del plurale viene esclusa
dall’inversione della pronuncia, per cui si ha greens→ neergs, nonostante non sia raro
trovare o sentire slab al posto di balls.
Quanto è attuale il back slang? È un codice linguistico tutt’oggi utilizzato? E se sì, da chi?
In considerazione del fatto che il mondo anglofono è molto esteso ed eterogeneo nelle sue
forme, non è facile dare una risposta univoca a tali domande. Vediamo cosa afferma la
giornalista e reporter free-lance, Laura Barnett:
86
A partire dal sostantivo “verlan” è nato il verbo “verlanizzare”, che significa “eseguire l’inversione di una
parola secondo i principi del verlan”. 87
Blake, Secret cit., p. 217 88
Ivi, p. 218
«Uno slang oscuro, usato l’ultima volta da ladri elisabettiani, sta andando incontro ad una sorta
di rinascita. Il Ministero della Giustizia ha fatto scattare un allarme di sicurezza dopo che gli
ufficiali della HMP Buckely89
a Rochedale hanno notato alcuni termini del cant dei ladri ‒
“onick” per eroina, “grade” per soldi, “warbs” per polizia e “inick” per sim card (sebbene si
possa immaginare che quest’ultima sia un invenzione dei giorni nostri) ‒ emersi dalle lettere e
dalle telefonate dei prigionieri per facilitare gli affari di droga.
Linguaggi secreti come questo hanno un ovvio fascino per coloro che vogliono nascondere
qualcosa. Un linguaggio usato dagli schiavi africani, chiamato TUT, era basato sulla fonetica, e
usato per aiutare ad insegnare a leggere ai bambini. Si dice che i venditori ambulanti dell’epoca
vittoriana, nel frattempo, si siano inventati il back slang ‒ nel quale le parole vengono
pronunciate al contrario, dando “yob” per “boy” ‒ con l’intento di isolare i clienti a cui
volevano appioppare della merce scadente. E il dialetto gay Polari era popolare negli anni
Sessanta, prima che la legalizzazione dell’omosessualità togliesse la necessità di segretezza. Tra
i suoi lemmi più variopinti si trovano “luppers” per “dita”, “strillers” per “pianoforte”, e
“oglefakes” per “occhiali”.
Molto più usato e preferito dai bambini è il Pig latin ‒ che, nella sua forma più comune, taglia la
prima consonante di una parola e la sposta alla fine della stessa, seguita dalla sillaba “ay”. A
scuola io l’avevo evitato, in favore di un linguaggio secreto infinitamente superiore, che un mio
amico aveva appreso da sua madre, chiamato “Arp”. Quest’ultimo ‒ dieci anni più tardi, al
quale ancora facciamo ricorso, usato soprattutto quando si discutono questioni intime in
pubblico, o per allontanare attenzioni indesiderate al bar ‒ inserisce la sillaba “arp” dopo ogni
sillaba delle parole, o, se si tratta di un monosillabo, appena prima. È incredibilmente semplice,
facile da imparare, e (speriamo!) quasi incomprensibile ai non iniziati. […]»90
Questo articolo dice poco e molto allo stesso tempo. Da un lato, non fa altro che ribadire
ciò che Blake aveva affermato nel suo saggio sui linguaggi secreti; dall’altro si può notare
come esistano fenomeni riconducibili al concetto di back slang: per esempio il fatto che
alcuni prigionieri utilizzino un tipo di linguaggio criptico, può far intendere che si è di
fronte ad un atteggiamento di chiusura e difesa sociale tipico dell’argot. Inoltre, la
giornalista riporta dell’esistenza di nuove forme di slang che fanno leva sulla creatività e
sulla fantasia linguistiche, che si possono individuare anche nel verlan. Tuttavia, risulta
alquanto difficile trovare riscontro dell’uso in età contemporanea del back slang: ricerche
su internet e su YouTube non portano a nessun risultato concreto per quanto riguarda un
impiego affermato e consolidato di un tale codice. In generale è possibile rilevare
89
Una prigione nei pressi di Richdale (Regno Unito). 90
L.BARNETT, Why we all need our own secret slang, giugno/2009,
“http://www.guardian.co.uk/theguardian/2009/jun/09/criminal-slang-tut-polari”
l’esistenza di molte varietà di slang ma nessun gruppo o unità comunitaria si fa portavoce
del back slang come simbolo socioculturale, come avviene invece con il verlan e l’argot,
nella loro essenza. Bisogna infatti specificare che, da questo punto di vista, il mondo
francofono è molto più vivace e adotta di conseguenza dei codici per rappresentare
specifiche identità sociali, etniche e culturali.
A questo punto, risulta opportuno chiarire il concetto di verlan. Si è voluto introdurre
l’argomento a partire dal back slang per avere un’idea generale del principio su cui si
fondano questi due linguaggi. Iniziamo dando una definizione il più possibile completa di
ciò che si considera essere il verlan: «Forma di slang che inverte le sillabe delle parole
(verlan viene da à l’envers, cioè al contrario), è usato soprattutto tra i giovani ma molte
delle sue parole sono entrate a far parte del linguaggio quotidiano. […]»91
; «Una varietà
dello slang francese nel quale le sillabe sono invertite, come in meuf per femme, e
comprendente anche parole e frasi arabe»92
; «Processo di codificazione lessicale attraverso
l’inversione delle sillabe, inserimento di sillabe posticce, suffissazione, infissazione
sistematica; tipo particolare di argot che ne risulta»93
; «Argot che consiste nell’invertire le
sillabe delle parole (l’envers = verlan)»94
; «Forma di argot francese, codificato ed
essenzialmente orale, che consiste nell’invertire le sillabe all’interno di una parola o
nell’alterare le lettere o i fonemi per creare un nuovo termine»95
. Interessantissimo è
riportare ciò che si afferma in nota nell’ultima fonte citata, sulla stessa pagina: «Il verlan
non è una lingua a sé, ha a che fare essenzialmente con il vocabolario, ma non cambia la
grammatica. È un linguaggio orale, un processo argotico che rispetta abbastanza raramente
l’ortografia d’origine delle parole che modifica (esempi: chébran = branché, ouf = fou,
tromé = métro, à donf = à fond). La maggior parte delle volte, la scrittura di una parola in
verlan è una ricostruzione più o meno fonetica à partire dalla sua pronuncia (esempi: laisse
béton = laisse tomber, zarbi = bizzare). I termini che si compongono di una sola sillaba
sono difficili da verlanizzare. Quando non è possibile invertire le sillabe, s’invertono allora
i fonemi, i suoni, aggiungendo o togliendo talvolta una vocale o una consonante (esempi:
meuf = femme, keum = mec, keuf = flic), poiché è necessario che il lemma suoni bene
all’orecchio».
Tali definizioni sono degne di nota sotto vari aspetti. Innanzitutto è evidente che vi sia un
generale accordo sul fatto che questa forma di linguaggio ha come caratteristica principale
91
“ http://www.larousse.com/it/dictionnaires/francais-italien/verlan/75025” 92
“http://www.thefreedictionary.com/verlan” 93
“http://www.cnrtl.fr/definition/verlan “ 94
“http://www.le-dictionnaire.com/definition.php?mot=verlan” 95
“http://www.granddictionnaire.com/btml/fra/r_motclef/index800_1.asp”
quella di invertire le sillabe di un vocabolo, così da formare una nuova parola. Inoltre si fa
riferimento a processi linguistici che concorrono alla formazione del vocabolario
verlaniano, come l’aggiunta di suffissi e infissi, ma anche ai prestiti da altre lingue, l’arabo
in primis (da notare che tutti questi fenomeni compaiono nella costante evoluzione creativa
dello stesso argot). Infine, è necessario soffermarsi e cercare di capire se il verlan sia un
tipo di slang o di argot, dato che le definizioni riportate non adducono una spiegazione
specifica del perché esso viene definito in uno o nell’altro modo. Introduciamo, dunque,
un’analisi di tipo storico e sociologico, affinché si possa eseguire una distinzione, almeno a
livello didattico (perché è risaputo che, in ogni caso, la percezione reale del parlante non
tiene, in ultima istanza, conto di tale differenza; saliente è il fine comunicativo del codice e
ciò che esso rappresenta per il gruppo), del genere di linguaggio in questione.
Il verlan non proviene dalle banlieue delle città e neppure dalle prigioni. La prima
attestazione di questo fenomeno risale al Medioevo: nel Roman de Tristan et Iseut (circa
1170) il nome di Tristan è trasformato in Tantris. Verso la fine del sedicesimo secolo si
trovano tracce di questo gioco d’inversione delle sillabe nel parlare popolare: i Borboni, les
Bourbons, vengono chiamati Bonbours. Nel secolo successivo l’espressione sans-souci,
che vuol dire “senza preoccupazioni”, è trasformata in sans-six sous. Attorno al 1760 ci si
riferisce correntemente al re Luigi XV, Louis quinze, come sequinzouil. Anche Voltaire
applica questo codice per cercare di distanziare il suo essere poeta dal nome della famiglia:
ricordandosi che suo nonno abitava non lontano da una città chiamata Airvault, ha invertito
questo nome e ha creato il suo pseudonimo96
. È possibile trovare qualche espressione di
questo genere anche nei romanzi della fine del diciannovesimo secolo: per esempio nella
lettera di un prigioniero, rinominata Lettre de la Hyène (1842), la città di Toulon diviene
Lontou. La parola “verlan” con la “a” è attestata dopo il 1963, quando viene utilizzata dallo
scrittore Alphonse Boudard nel romanzo La Cerise. Si può, infine, dire che, dopo alcune
apparizioni sporadiche e isolate nella lingua francese, il verlan si consolida sulla scena
linguistica francese, in modo marcato e definitivo, a partire dal 1975, quando il cantante
Renaud Séchan ottiene grande successo con la sua canzone “Laisse béton”, la cui
traduzione è “Laisse tomber”. Da questo momento in avanti si assiste ad una diffusione
piuttosto accelerata del fenomeno attraverso mezzi di comunicazioni quali la televisione, la
radio, la pubblicità, il cinema e la musica rap97
(in seguito ci concentreremo proprio su
quest’ultimo settore per dare una visione più chiara della situazione contemporanea del
linguaggio in questione). Conclusa questa breve analisi storica, nella quale peraltro è
96
Il vero nome di Voltaire è infatti François-Marie Arouet. 97
“ http://www.hausarbeiten.de/faecher/vorschau/67638.html”
confermato il fatto che il verlan come codice di espressione linguistico nasce relativamente
tardi rispetto al back slang inglese (a questo proposito è utile segnalare che si è voluto
mettere a confronto questi due linguaggi non tanto perché hanno avuto punti di contatto ed
interscambio nella loro “evoluzione”, quanto perché presentano entrambi caratteristiche
comparabili di formazione e di struttura del proprio vocabolario), è necessario interrogarsi
sul tipo di fenomeno a cui ci si sta approcciando; a tal fine è opportuno riportare le parole
di François Mitterand98
in un’intervista sul canale televisivo francese TF1. Alla domanda
se egli conosceva il significato di “chébran”, ha risposto: «Sapete, quando ero piccolo,
invertivamo l’ordine delle sillabe nelle parole; questa qui non è molto nuova! Vuol dire
“bran-ché”, ovviamente. Non voglio fare il maligno, non sono molto informato, ma è già
un po’ sorpassata: avreste dovuto dire “cablé”»99
. Queste dichiarazioni fanno capire da un
lato, come già affermato in precedenza, che in Francia vi è una spiccata vivacità culturale
per quanto riguarda la lingua, dall’altro che il verlan possiede e dovrebbe possedere un
valore “criptico”, in base al quale i parlanti si ritagliano una posizione di superiorità e
distacco linguistico rispetto ai non iniziati, da cui deriva la necessità, possiamo dire
“argotica”, di continuo rinnovamento affinché i più non comprendano ciò che si sta
dicendo. Una conseguenza, infatti, della dinamicità della lingua francese e delle sue varie
forme (è molto probabile che ciò accada anche nelle altre lingue) è che i neologismi che
inizialmente vengono compresi ed utilizzati da poche persone diventano parte del bagaglio
lessicale comune, per cui, nel caso degli argot, del verlan o del backslang, i termini
perdono la loro funzione di scudo di difesa identitaria socio-culturale ed etnica. Dunque, il
fatto che il presidente della Repubblica francese, messo alla prova sul linguaggio moderno
dal giornalista Yves Mourousi, dica che una parola risulta sorpassata fa capire che i termini
verlaniani hanno il sé l’idea di incomprensibilità e che, persa questa essenza, essi perdono
allo stesso tempo la loro funzione. Sulla scorta di queste considerazioni e tenendo presente
non solo le definizioni di gergo e slang fornite nel primo capitolo, ma anche le
caratteristiche dell’argot approfondite nel corso di questa trattazione, si può giungere alla
conclusione che il verlan è propriamente un gergo, piuttosto che uno slang. La propensione
verso il primo tipo di categoria è data dal fatto che il verlan, come l’argot, deve
intrinsecamente risultare inintelligibile a coloro che non lo parlano visto che vuole
rappresentare un’identità comunitaria ristretta e socio-culturalmente compatta al suo
interno. Questa tesi è suffragata dal principio alla base del verlan, ovvero quello di
invertire le sillabe all’interno delle parole per crearne delle nuove: si tratta in sostanza di
98
François Maurice Adrien Marie Mitterand è stato presidente della Repubblica francese dal 1981 al 1988,
poi, in un secondo mandato, dal 1988 al 1995. 99
“http://www.ina.fr/media/petites-phrases/video/CAB8501059001/mitterrand-cable.fr.html”
un gioco enigmistico che ha la sua origine nell’anagramma, che consiste nel trasporre le
lettere di una parola in modo da formarne un’altra. Questo fenomeno viene spiegato in
modo chiaro da Barry J. Blake:
«Una delle motivazioni dell’argot è quella di garantire solidarietà all’interno del gruppo, e
un’altra è quella di fornire un codice segreto che non sarà compreso dai bersagli delle attività
criminali e dalle autorità. Questa segretezza è raggiunta grazie ad un lessico speciale e mezzi di
distorsione fonologica sistematica, come accade nel Pig Latin. […]. In molte lingue ci sono
particolari forme che sono teoricamente segrete. La maggior parte di queste impiega alcuni
mezzi sistematici di distorsione fonologica come la trasposizione delle sillabe o l’inserimento di
ulteriori sillabe. Queste forme di linguaggio sono concepite per restringere la comunicazione
agli appartenenti a un gruppo oppure per escludere altri. Vengono utilizzate principalmente dai
bambini in età quasi adolescenziale sia per divertimento sia per una vera e propria segretezza, e
ci si riferisce qualche volta ad esse come linguaggi ludici, ma vengono usate in un certo modo
meno sistematicamente anche in diversi argot non inglesi. I linguaggi ludici erano un tempo
popolari tra i giovani parlanti inglesi, ma nelle ultimissime decadi sono passati di moda. Il più
famoso linguaggio ludico è il Pig Latin, che coinvolge la trasposizione. Ne esistono alcune
varietà. Nella maggior parte di queste tutte le consonanti che precedono la prima vocale di una
parola vengono spostate a fine parola e sono seguite da -ay100
. […]. Il Pig latin è usato per
divertimento o in modo tale che i bambini possano parlare tra di loro di fronte a persone esterne
(per esempio, i loro genitori o altri bambini) senza che vengano compresi. Gli estranei
probabilmente lo capiranno dopo una breve esposizione, ma il Pig Latin serve tuttora per
delimitare coloro che appartengono al gruppo da coloro che non vi fanno parte. […].
Un principio comune per camuffare le parole è quello di introdurre del nuovo materiale
all’interno di ogni sillaba. O si inserisce una sequenza di vocale-consonante prima della vocale
di una sillaba oppure una sequenza di consonante-vocale dopo la vocale.101
»
Citiamo qui di seguito alcuni esempi di linguaggi che si formano sul modello
dell’anagramma, del back slang o del Pig Latin o che conservano elementi tipici dei
linguaggi segreti: il Pitjantjatjara in Australia, il Javanais in Francia, il Nyōbō kotoba in
Giappone, il Bearla Lagair in Irlanda, lo Shelta usato in Irlanda, Gran Bretagna e Nord
America, il Lunfardo tipico delle città di Buenos Aires e Montevideo, il Šatrovački nella
ex-Yugoslavia e il Louchébem in Francia, ancora.
100
Come già aveva spiegato la giornalista Laura Barnett. 101
Blake, Secret cit., pp. 212, 227, 228, 230
In un certo senso, è vero che gli slang possiedono elementi di grande creatività,
immediatezza ed efficacia nell’esprimere idee e concetti; tuttavia, la scelta di ricondurre il
verlan ad un tipo di gergo, con tratti molto simili agli argot francesi, è giustificata dal fatto
che il suo scopo è quello di creare e conservare coesione, identità e segretezza tra i suoi
rappresentanti, a discapito di coloro che non lo parlano. Non sarebbe perciò del tutto
azzardato affermare che il verlan, nel contesto odierno delle Z.U.S. e delle banlieue
francesi in generale, rappresenta un’evoluzione dell’argot nel momento in cui l’unica
intenzione del parlante è quella di comunicare attraverso un codice il più possibile criptico:
si vedrà successivamente, quando si analizzerà in maniera concreta il verlan e l’argot “in
azione”, che spesso si assiste a fenomeni di riverlanizzazione, anche molteplice.
È doveroso soffermarsi ancora un attimo sul concetto di verlan per approfondire l’aspetto
socio-culturale, proprio come si era fatto per l’argot. Questo permetterà, infatti, di scoprire
perché tanto spesso argot e verlan vengono associati e messi a confronto.
Ricerche fondamentali in questo ambito sono state effettuate dalla linguista americana
Natalie J. Lefkowitz102
, la quale afferma che il verlan è un fenomeno orale originatosi nella
classe operaia, nei sobborghi, conosciuti come La Zone, a nord di Parigi, popolati da
immigrati. Queste aree consistono principalmente di HLM (“habitations à loyer modéré”,
letteralmente “abitazioni ad affitto moderato”), ossia progetti di alloggi sussidiati in stile
ghetto nelle regioni industriali periferiche della Francia. Queste zone sono soggette a
numerosi problemi urbani senza essere di per sé situate in alcuna area urbana; le HLM
sono abitate principalmente da francofoni non nativi. Molti di questi immigrati non parlano
bene né il francese né la lingua dei loro genitori. Sono in qualche modo catturati tra due
culture e sono stati obbligati a crearsene una propria, spesso per mezzo della musica, delle
“bandes dessinées” (i fumetti) e del verlan. È facile, perciò, capire che il contenuto
lessicale di questo gergo riguarda soprattutto la sfera della vita quotidiana e temi tabù quali
il sesso, la droga, la prostituzione e la corruzione. In ogni caso, all’interno del verlan è
possibile distinguere vari usi dello stesso da parte dei parlanti. Per esempio, il verlan
consente di usare un linguaggio volgare mascherando ciononostante la sua crudezza; i
parlanti diventano così abili a celare l’impatto delle parole tramite la loro verlanizzazione.
Talvolta, come già dichiarato, l’intento può essere quello ludico: parlare verlan è
semplicemente un divertimento che permette ai giovani di distaccarsi dalla realtà e dalla
comprensione degli adulti, nel piacere di trasgredire le regole con l’uso di parolacce
ottenute da sempre nuove combinazioni. D’altro canto, parlare al contrario diviene
102
N.J.LEFKOWITZ, Verlan : talking backwards in French, in «The French Review», 2 (1989), pp. 312-322
metafora di opposizione e rivolta su piccola scala: coloro che se ne fanno portavoce
sentono la necessità di nascondere, di esprimersi meglio, di essere accettati dai loro pari, di
sentirsi “cool”, di essere volgari, di condividere un codice con gli amici riguardo alla vita
di tutti i giorni, al tempo libero e alle passioni, di parlare di affari privati, emozionali,
sentimentali in una maniera meno trasparente, di travestire gli insulti, di essere eufemistici
in merito a questioni canzonatorie, controverse, razziali o tabù. Tutti questi elementi
accrescono il senso di appartenenza, la complicità, la coesione di un gruppo e ne
consentono la sopravvivenza, in contrasto con la società.
È, dunque, oggettivamente evidente che argot e verlan condividono molte delle loro
caratteristiche essenziali. Non sarà allora raro assistere a casi di unione ed interscambio di
questi due codici all’interno di uno stesso contesto o discorso. Tecnicamente, inoltre, anche
il verlan è soggetto a fenomeni di trasformazione non solo fonologica e morfologica, ma
pure lessicale. Esemplare è il caso della riverlanizzazione: nel momento in cui una parola
verlanizzata entra a far parte del lessico comune, perdendo il suo valore criptico, essa può
venir riverlanizzata, subisce cioè un’ulteriore fase di verlanizzazione. Per esempio, a
partire da flic, si ottiene keuf, che viene ancora verlanizzato in feuck. Infine, per concludere
questa riflessione parallela all’argot, pure il verlan è soggetto ad influenze di lingue
straniere: i prestiti dall’inglese e dall’arabo sono quelli più frequenti. Nel primo caso,
tenendo presente che il francese è un idioma che si espone molto facilmente,
consapevolmente ed attivamente a processi di arricchimento e rinnovamento (esisteranno,
nonostante ciò, coloro che si porranno a difesa del francese standard e, per questa ragione,
propugneranno la conservazione della lingua ufficiale e scolastica), l’inglese, in quanto
lingua modello della globalizzazione e della comunicazione interculturale, diventa un
mezzo d’espressione “cool” all’interno della società e della realtà dei giovani (è probabile
che, anche in italiano, faccia più tendenza dire “sono andato ad un party” piuttosto che
“sono andato ad una festa”). Tutto ciò è in linea con il concetto di “essere alla moda”
descritto quando si cercava di spiegare il valore e l’importanza dell’argot ai giorni nostri.
Nel secondo caso, si è di fronte a quel fenomeno d’immigrazione che interessa la Francia
ormai da tempo: gli immigrati magrebini e nordafricani in generale costruiscono nelle
Z.U.S o nelle HLM delle comunità che cementificano la loro nuova e spesso forzata realtà
sulla lingua; è in questi casi dove il codice linguistico ha una forte valenza identitaria.
Parlare verlan significa, dunque, far parte di un gruppo, esprimere la propria provenienza,
dare un peso alla propria esistenza sociale e da ciò hanno luogo ricchi prestiti lessicali e
scambi interculturali.
Dopo aver illustrato in maniera chiara e riassuntiva il quadro generale del francese e delle
sue varie forme ‒ tuttavia, non bisogna dimenticare che la scena linguistica non è mai così
lineare e semplice, bensì articolata e complessa, non riconducibile ad uno schema
unilaterale ‒ è ora possibile trattare quali sono gli usi che i parlanti fanno di questi
linguaggi, ovvero quali sono i contesti in cui ci si esprime in argot e in verlan. Ci
concentreremo per lo più sull’ambito musicale poiché la musica rappresenta meglio di tutti
il mezzo di espressione della cultura giovanile, in un paese come la Francia dove il rap ha
un ruolo fondamentale in questo.
Le prime domande da porsi potrebbero essere: dove troviamo l’argot (e il verlan,
eventualmente o congiuntamente)? In quali settori della vita contemporanea fa la propria
apparizione? Esistono delle ragioni per cui quel dato ambito ha scelto questo tipo di
linguaggio piuttosto che un altro per veicolare il messaggio desiderato?
Senza seguire un preciso criterio storico-cronologico, analizziamo l’uso dell’argot nei
mezzi di comunicazione di massa, in modo da trarne alcuni spunti di riflessione e
conclusione sul fenomeno in questione. Consideriamo il seguente articolo103
:
«Il Consiglio104
ha scritto a France 3105
per ricordarle dei termini dell’articolo 4 del suo trattato
sui doveri ed oneri, il canale deve occuparsi dell’uso e del rispetto della lingua francese. France
3 ha appunto diffuso, il 29 gennaio 2004 alle ore 20 e 40, nell’edizione Paris-Île-de-France del
giornale di France 3, un reportage intitolato “Pas d’keufs au lycée”. Il Consiglio ha ritenuto che
l’impiego della parola “keufs” (flics in verlan) nel giornale televisivo contribuisca a mettere
sullo stesso piano la lingua standard e i termini familiari e, di conseguenza, ad accentuare la
confusione dei livelli linguistici, problema in cui si imbattono numerosi giovani sfavoriti
nell’apprendimento del francese»
Il concetto espresso da questa autorità è chiaro: la televisione deve essere un mezzo di
comunicazione il più semplice, trasparente e scevro possibile di forme non standard della
lingua francese. Il dibattito a questo proposito è piuttosto acceso in Francia. Si era già
accennato nei capitoli precedenti al fatto che sia sempre esistita quella fascia della
popolazione che difende il modello “aureo” dell’idioma francese: sin dal diciassettesimo
103
“http://www.csa.fr/Espace-juridique/Decisions-du-CSA/Usage-de-la-langue-francaise-lettre-a-France-3” 104
Si tratta del Conseil Supérieur de l’audiovisuel (CSA), un consiglio creato nel 1989 che vuole garantire la
libertà di comunicazione audiovisiva in Francia. 105
Un canale televisivo francese a struttura regionale.
secolo, infatti, è esistita l’Accademia francese, con lo scopo di vigilare e difendere il
patrimonio linguistico francese, impedendo la contaminazione da parte di fattori stranieri e
poco “ortodossi”. Pertanto, istituzioni come quest’ultima hanno un’influenza notevole sui
media; infatti, è proprio uno scrittore francese, membro dell’Accademia francese, Maurice
Druon ad affermare la necessità di controllare ed imporre un uso quanto più standardizzato
del francese nelle trasmissioni televisive106
. Ecco cosa pensa a questo proposito Louis-Jean
Calvet: «È vero che il francese è una sorta di rullo compressore. L’Accademia francese ha
la tendenza a voler decidere per tutti i francofoni e su tutti i soggetti. Siamo noi che
abbiamo la possibilità di cambiare registro, di affermare la nostra identità giocando, per
esempio, sugli accenti tonici.[…]. Noi siamo degli specialisti dei vasi comunicanti, ovvero
noi proviamo a parlare prima di tutto per venir compresi dagli altri»107
. A questo punto è
possibile comprendere che, preso atto del fatto che, nella sua essenza, l’argot, e di
conseguenza anche il verlan, è un linguaggio popolare, il fenomeno in esame “si canalizza”
e si esprime in quegli ambiti dove la forza della censura è meno invadente e dove la libertà
d’espressione è pressoché illimitata: la letteratura, il cinema e la musica. È esattamente qui
dove i consumatori di questi tipi di cultura hanno la piena possibilità di scegliere il
prodotto, dal momento che, in genere, la lettura, la visione di un film e l’ascolto non viene
imposto né modificato da schemi a cui gli autori devono uniformarsi: sono i lettori che
selezionano ciò che suscita il loro interesse, sono gli spettatori che decidono i criteri in
base ai quali guardare un film o meno, sono gli ascoltatori e i fan dei cantanti o gruppi
musicali che “vagliano” il contenuto della loro musica; sono questi gli attori che
permettono, in ultima istanza, che gli artisti letterari, i produttori cinematografici, gli attori
e i personaggi musicali abbiano successo e producano cultura. Detto questo, non si deve
intendere che non esista la possibilità di un confronto aperto e che esista un sistema di
ideologie tirannico controllato dai media; in realtà, le discussioni pubbliche di materia
linguistica sono alquanto diffuse in Francia, esistono numerosi articoli e servizi
televisivi108
che trattano dell’evoluzione principalmente lessicale del francese; vi sono pure
siti dedicati ai gerghi argotiani e verlaniani che permettono approfondimenti e la possibilità
di conoscere questi mondi a sé, di capire meglio i giovani e le comunità che si identificano
con questi codici.
106
“http://www.languefrancaise.net/Info/2004-02-24-Sur-le-franc-parler-par-Druon” 107
“http://www.languefrancaise.net/Info/2004-11-22-Calvet-a-dit” 108
“http://www.youtube.com/watch?v=hTNDXzjJHfA ; http://www.youtube.com/watch?v=PbjGk-
iTseY&feature=related” ; “http://www.youtube.com/watch?v=zJ8XhPSx-HU&feature=related” , per citarne
alcuni.
Per quanto riguarda la letteratura che fa uso dell’argot, si possono citare autori, quali
Daniel Pennac, Victor Hugo, Honoré de Balzac e Émile Zola. Per esempio la traduttrice in
italiano “ufficiale” di Pennac, Yasmina Melaouah, alla domanda “qual è l’ostacolo
maggiore che ha incontrato traducendo Pennac” risponde:
«Adesso è come se avessi l’impressione di aver trovato una voce che sia in sintonia con la sua.
Quando ho iniziato a tradurre i suoi libri, invece, il problema fondamentale era quello della
peculiarità espressiva di Pennac. Lui usa infatti quello che i francesi chiamano argot: una lingua
bassa, fatta di termini gergali e che non hanno corrispondenti in italiano che, come lingua
parlata, è nata circa 50 anni fa e manca ancora di un reale tessuto comune. In italiano, infatti, i
registri più informali della lingua sono patrimonio dialettale e vengono quindi resi diversamente
a seconda delle varianti regionali, per cui è difficile riportare delle conversazioni sciolte,
informali, che sfiorano il volgare, senza cadere nei regionalismi. E io temevo appunto questo: di
fare Pennac milanese o lombardo.109
»
Victor Hugo, dal canto suo, nella sua opera Les Misérables (più precisamente nei primi due
capitoli del settimo libro del quarto tomo), parla dell’argot e delle sue caratteristiche,
descrivendola come una “lingua delle tenebre”, “un fenomeno letterario e un risultato
sociale” e come “la lingua della miseria”. È chiaro che i concetti espressi da Hugo, seppur
di inestimabile valore letterario, metalinguistico e sociologico, risultano agli occhi di un
lettore contemporaneo alquanto “sorpassati”, se non addirittura anacronistici.
Lo stesso potrebbe valere per i film, quali Fric-Frac di Maurice Lehmann e Claude
Autant-Lara, Touchez pas au grisbi di Jacques Becker, Razzia sur la chnouf di Henri
Decoin oppure Du rififi chez les hommes di Jules Dassin, che hanno dato inizio ad una
tradizione cinematografica in cui l’argot rappresenta spesso un mezzo di comunicazione
efficace in ambientazioni popolari. Queste pellicole infatti sono apparse a partire dal 1939
fino alla metà degli anni Cinquanta, per lasciare il posto, negli anni Ottanta, al cinema
“verlaniano” con film quali Marche à l’ombre di Michel Blanc e Les Ripoux110
di Claude
Zidi. Per quanto riguarda la produzione odierna, si può segnalare il film Bienvenue chez les
Ch’tis di Dany Boon (2008), nel quale i protagonisti parlano non tanto argot o verlan,
109
“http://sorveglianza.host56.com/profgraziano/contenuti/ebook/Daniel%20Pennac%20-
%20La%20Fata%20Carabina.pdf” 110
Il titolo stesso del film è una parola verlan che deriva da “pourri”, che significa “corrotto, marcio”
quanto una varietà diatopica della lingua francese, la cosiddetta lingua piccarda, che ai più
potrebbe risultare piuttosto difficile da comprendere.
Veniamo ora all’ambito che trova un’estesa espressione nell’età contemporanea sotto il
punto di vista dei linguaggi argotici e verlaniani: la musica.
Prima di giungere al punto focale di questa trattazione, dove si affronterà la questione del
rap nella società del ventunesimo secolo, è opportuno far presente che già negli anni
Sessanta-Settanta è presente sulla scena musicale uno degli esponenti più importanti
dell’argot e del verlan cantati: Renaud Séchan, nato a parigi nel 1952. Senza dilungarsi
troppo in una descrizione biografica, è sicuramente interessante analizzare i suoi testi, di
modo da capire, oltre alle tematiche affrontate, come si esplicano in concreto i suddetti
codici linguistici. In particolare, si sono scelte due canzoni che sono ormai parte della
cultura musicale francese: Marche à l’ombre (da cui è stato tratto l’omonimo film, citato
precedentemente) e Laisse béton. Di seguito riportiamo rispettivamente un estratto di
entrambe, da cui si cercherà di estrapolare i contenuti più importanti e pertinenti alla
questione dell’argot e del verlan.
«Quand l'baba-cool cradoque
est sorti d'son bus Volkswagen
qu'il avait garé comme une loque
devant mon rade,
j'ai dit à Bob qu'était au flipp :
Viens voir le mariole qui s'ramène,
vise la dégaine,
quelle rigolade !
Patchouli-Pataugas, le Guide du
Routard dans la poche,
Aré-Krishna à mort, ch'veux au
henné, oreilles percées,
tu vas voir qu'à tous les coups
y va nous taper cent balles
pour s'barrer à Katmandou,
ou au Népal.
Avant qu'il ait pu dire un mot,
j'ai chopé l'mec par l'paletot
et j'ui ai dit : Toi tu m'fous les
glandes,
pi t'as rien à foutre dans mon monde,
arrache-toi d'là, t'es pas d'ma bande
casse-toi, tu pues, et marche à
l'ombre!
Une p'tite bourgeoise bêcheuse,
maquillée comme un carré d'as,
a débarqué dans mon gastos,
un peu plus tard.
J'ai dit à Bob qu'était au flipp :
Reluques la tronche à la pouffiasse,
vise la culasse
et les nibards !
Collants léopard, homologués chez
SPA,
Monoï et Shalimar, futal en skaï
comme Travolta
qu'est-ce qu'elle vient nous frimer la
tête?
Non, mais elle s'croit au Palace !
J'peux pas saquer les starlettes
ni les blondasses.
Avant qu'elle ait bu son cognac
je l'ai chopée par le colback,
et j'ui ai dit : Toi, tu m'fous les
glandes,
pi t'as rien à foutre dans mon monde,
arrache-toi d'là, t'es pas d'ma bande
casse-toi, tu pues, et marche à
l'ombre !
casse-toi, tu pues, et marche à
l'ombre!»
« J’étais tranquille, j'étais peinard
accoudé au flipper,
le type est entré dans le bar,
a commandé un jambon-beurre,
puis il s'est approché de moi,
pi y m'a regardé comme ça :
T'as des bottes, mon pote, elles me
bottent !
j'parie qu'c'est des santiags,
viens faire un tour dans l'terrain
vague,
j'vais t'apprendre un jeu rigolo
à grands coups de chaine de vélo
j'te fais tes bottes à la baston !
moi j'y ai dit :
Laisse béton !
Y m'a filé un beigne, j'y ai filé une
torgnole,
m'a filé une châtaigne, j'lui ai filé
mes grolles.
j'étais tranquille, j'étais peinard.
accoudé au comptoir,
le type est entré dans le bar,
a commandé un café noir,
puis il m'a tapé sur l'épaule
et m'a regardé d'un air drôle :
T'as un blouson, mecton l'est pas
bidon!
moi j'me les gèle sur mon scooter,
avec ça j's'rai un vrai rocker,
viens faire un tour dans la ruelle.
j'te montrerai mon Opinel,
et j'te chourav'rai ton blouson ! Moi j'y ai
dit :
Laisse béton !
Y m'a filé une beigne, j'y ai filé un
marron,
m'a filé une châtaigne, j'y ai filé mon
blouson.»
Innanzitutto elenchiamo le parole e le espressioni derivanti dall’argot e dal verlan prima
nell’uno e poi nell’altro testo: baba-cool (“hippie”), cradoque (“sporco”), mec
(“compagno”), foutre les glandes (“non piacere a”), se casser (“andarsene”), marche à
l’ombre (“vattene via”), gastos (“ristorante”), pouffiasse (“prostituta”), culasse
(“posteriore”), nibards (“seni”), futal (“pantaloni”), frimer la tête (“mettersi in mostra”),
colback (“collo”); laisse béton (“lascia perdere”, da laisse tomber), torgnole (“schiaffo”),
grolles (“scarpe”), mecton (“compagno”, da mec) e chourav’rai (“ruberò”, da chouraver).
Si può notare come il lessico sia incentrato su temi appartenenti alla vita quotidiana e
popolare (il bar, il vicolo), esattamente dove si radica la cultura argotica e verlaniana, a
maggior ragione se si considerano gli anni in cui sono state scritte le due canzoni, il 1980
per Marche à l’ombre e il 1977 per Laisse béton (al giorno d’oggi si è di fronte ad una
relativa scomparsa di questa componente popolare e tradizionale, a favore di nuovi
movimenti in una realtà sempre più cosmopolita, multiculturale, globale e tecnologica). In
ogni caso, semanticamente, i termini hanno accezioni familiari, negative, peggiorative e
volgari, tipiche del modo di parlare delle classi meno agiate. A livello propriamente
morfologico si possono evidenziare processi di troncamento delle parole (per esempio
ch’veux al posto di cheveux, flipp per “flipper” oppure j’te, j’lui, j’me al posto
rispettivamente di je te, je lui e je me), di suffissazione (pouffia-sse, cula-sse, nib-ard,
blonda-sses) di verlanizzazione (laisse béton) e di prestiti linguistici (santiags, starlettes,
gastos, colback), che, come già visto, caratterizzano precisamente la formazione e la
struttura del vocabolario argotico. L’intento del cantautore sembra quello di dare voce al
vivere semplice e “popolare” della gente comune, senza nessuna censura o timore pudico.
Fatta questa doverosa introduzione al mondo musicale francese argotico (dicendo così,
vogliamo includere qualsiasi forma di linguaggio criptico: verlan, louchébem, javanais,
ecc...), arriviamo ora ad esaminare la forma di espressione dell’argot per eccellenza: il rap.
Perché proprio la musica rap costituisce il veicolo ideale di trasmissione da parte della
società argotica e di quelle comunità la cui chiave di appartenenza è un linguaggio criptico-
identitario? A differenza di quanto si possa pensare, esiste una notevole quantità di studi ed
approfondimenti in materia, a partire dal professore dell’Università di Stato della
Pennsylvania, André J.M. Prévos111
, i professori Andy Bennett, Adam Krims e Tony
Mitchell, per cui risulterebbe ripetitivo e superfluo descrivere ciò che questi esperti hanno
scritto in proposito. Ci limiteremo, dunque, a dare una visione d’insieme, il più chiara e
logica possibile, delle ragioni alla base della cultura hip-hop in Francia e della situazione
generale, affinché si possano comprendere meglio i testi scelti come modelli
rappresentativi di questo mondo musicale, che verranno proposti ed esaminati
successivamente.
L’hip-hop non è un fenomeno prettamente francese, bensì americano, nato nelle zone sud
del Bronx di New York attorno al 1970. Si tratta di un movimento che interessa i campi
della musica, dei graffiti e della danza, diffuso soprattutto tra i giovani e le comunità afro-
americane, spesso emarginati e poveri. Importato in Francia nel 1982, l’hip-hop, di cui la
musica rap rappresenta la voce portante, si diffonde nelle HLM, nelle banlieue,
caratterizzate da un’alta percentuale d’immigrati provenienti dalle aree delle ex-colonie
francesi (i Caraibi, l’Algeria, il Marocco e la Tunisia, eccetera). I rapper traggono spunto
da queste realtà urbane, rivelando le reali condizioni di vita dei giovani e delle famiglie
indigenti delle cité. È chiaro, allora, che il rap francese, che si può dire rappresenti il
111
A.J.M.PRÉVOS, Hip-hop, rap, and repression in France and in the United States, in « Popular Music and
Society », volume 22 pubblicazione 2 (1998), pp. 67-84 ; J.M.A.PRÉVOS, Snoop, Ice T, B.I.G., et Tupac :
quelques héros du rap gangsta, Cercles 3 (2001), pp. 60-75
secondo mercato musicale mondiale di questo genere, non sia semplicemente una forma di
intrattenimento, ma una forma di espressione culturale che interessa questioni sociali
importanti e talvolta gravi, che colpiscono le minoranze etniche e la gente che vive nelle
periferie cittadine. Di conseguenza, i temi affrontati risultano essere una critica alle
autorità, alla loro mancanza di sforzo ed impegno nei confronti delle classi più povere,
all’assenza di opportunità per gli immigrati ed i giovani. L’impressione suscitata da questa
musica su tali minoranze fa sì che gli artisti finiscano per impersonare l’opposizione
all’ordine sociale e al sistema politico ed economico, che consentono e creano situazioni di
oppressione. Per queste ragioni, il movimento hip-hop viene molto spesso percepito come
sovversivo da parte dei governi, i quali preferiscono preservare le tradizioni culturali della
Francia, a dispetto dei tentativi delle comunità di affermare la loro diversità ed identità
etnica. La storia dell’hip-hop, allora, seppur abbastanza giovane, è segnata da una serie di
controversie legali tra rapper e le autorità, come dimostra il caso del gruppo NTM112
o del
rapper Hamé113
, ma anche da scontri violenti e rivoltosi114
. Sono proprio tutti questi fattori
che contribuiscono e hanno contribuito al rafforzamento del codice argotico, dal momento
che un certo grado di segretezza e incomprensibilità da parte della società “normale” è
indispensabile per garantire quel diritto di parola e pensiero che molto spesso appare
“scomodo” alle classi dirigenti. La creazione di uno scudo linguistico incarna il tentativo di
preservare e rafforzare la coesione e l’identità socio-etnica di quei gruppi di emarginati,
poveri e d’immigrati che abitano le Z.U.S.. Nonostante non siano da escludere casi di
collaborazione e tolleranza dei governi nei confronti del movimento hip-hop, questa
espressione artistica e culturale costituisce un simbolo di resistenza, rivoluzione e riscatto
sociale per le generazioni di giovani e per le minoranze di ogni genere, in cui il solo uso di
un linguaggio “segreto” e difficilmente decifrabile dà origine ad un forte senso di
appartenenza e solidarietà collettive.
Fatte queste considerazioni di carattere socio-culturale, è possibile ora approcciarsi in
modo più consapevole ai testi che veicolano questa realtà francese, sempre in fermento e
tutt’altro che omogenea. A seguire, perciò, si prenderanno in esame alcune canzoni che si
ritengono rappresentative sia del mondo hip-hop nelle sue tematiche tipiche e
112
Nel corso del “Freedom Concert”, tenutosi il 14 luglio 1995, il gruppo associa il fascismo alla polizia
francese nel corso delle loro canzoni sul palco. Nel novembre del 1996, i musicisti vengono condannati a tre
mesi di prigione, tre mesi di sospensione e sei mesi di divieto di performance. 113
Hamé, nome d’arte di Mohamed Bourokba è processato nel marzo del 2003 per aver diffamato la polizia
nazionale. Nel 2008 Hamé vince la causa, dedicata alla libertà di parola nella nazione. 114
Si ricordino i cosiddetti “Émeutes des banlieues de 2005”, ossia le sommosse dei sobborghi parigini che
hanno luogo nel 2005 a seguito della morte di due adolescenti nord-africani, sfociate in atti di vandalismo per
quasi un mese anche in altre regioni della Francia.
fondamentali, sia del mondo dei giovani in cui l’impiego dell’argot e del verlan gioca un
ruolo ludico e criptico allo stesso tempo (permettendo così di vedere concretizzati la
maggior parte dei loro aspetti analizzati in questa trattazione).
Come fonte di riferimento per i brani musicali si utilizzeranno i siti www.rap2france.com
e www.parolesmania.com. Inoltre, per facilità e linearità di ragionamento decidiamo di
partire da quelle canzoni “socialmente impegnate”, i cui messaggi hanno valore di protesta
e denuncia sociale, politica o culturale. Si sottolineeranno, infine, quelle sezioni degne di
nota per l’analisi specifica di ciascuna canzone.
«Ma France à moi elle parle fort,
elle vit à bout de rêves,
Elle vit en groupe, parle de bled et
déteste les règles,
Elle sèche les cours, le plus souvent
pour ne rien foutre,
Elle joue au foot sous le soleil
souvent du Coca dans la gourde,
C'est le hip-hop qui la fait danser sur
les pistes,
Parfois elle kiffe un peu d'rock,
ouais, si la mélodie est triste,
Elle fume des clopes et un peu
d'shit, mais jamais de drogues dures,
Héroïne, cocaïne et crack égal
ordures,
Souvent en guerre contre les
administrations,
Leur BEP mécanique ne permettront
pas d'être patron,
Alors elle se démène et vend de la
merde à des bourges,
Mais la merde ca ramène à la mère
un peu de bouffe, ouais.
Parce que la famille c'est l'amour et
que l'amour se fait rare
Elle se bat tant bien que mal pour les
mettre à l'écart,
Elle a des valeurs, des principes et
des codes,
Elle se couche à l'heure du coq, car
elle passe toutes ses nuits au phone.
Elle parait faignante mais dans le
fond, elle perd pas d'temps,
Certains la craignent car les médias
s'acharnent à faire d'elle un cancre,
Et si ma France à moi se valorise
c'est bien sûr pour mieux régner,
Elle s'intériorise et s'interdit de
saigner. Non...
C'est pas ma France à moi cette
France profonde
Celle qui nous fout la honte et
aimerait que l'on plonge
Ma France à moi ne vit pas dans
l'mensonge
Avec le coeur et la rage, à la
lumière, pas dans l'ombre.
Refrain(x2)
Ma France à moi elle parle en SMS,
travaille par MSN,
Se réconcilie en mail et se rencontre
en MMS,
Elle se déplace en skate, en scoot ou
en bolide,
Basile Boli est un mythe et Zinedine
son synonyme.
Elle, y faut pas croire qu'on la
déteste mais elle nous ment,
Car nos parents travaillent depuis 20
ans pour le même montant,
Elle nous a donné des ailes mais le
ciel est V.I.P.,
Peu importe ce qu'ils disent elle sait
gérer une entreprise.
Elle vit à l'heure Américaine, KFC,
MTV Base
Foot Locker, Mac Do et 50 Cent.
Elle, c'est des p'tits mecs qui jouent
au basket à pas d'heure,
Qui rêve d'être Tony Parker sur le
parquet des Spurs,
Elle, c'est des p'tites femmes qui se
débrouillent entre l'amour,
les cours et les embrouilles,
Qui écoutent du Raï, Rnb et du
Zouk.
Ma France à moi se mélange, ouais,
c'est un arc en ciel,
Elle te dérange, je le sais, car elle ne
te veut pas pour modèle.
Refrain x2
Ma France à moi elle a des halls et
des chambres où elle s'enferme,
Elle est drôle et Jamel Debbouze
pourrait être son frère,
Elle repeint les murs et les trains
parce qu'ils sont ternes
Elle se plait à foutre la merde car on
la pousse à ne rien faire.
Elle a besoin de sport et de danse
pour évacuer,
Elle va au bout de ses folies au
risque de se tuer,
Mais ma France à moi elle vit, au
moins elle l'ouvre, au moins elle rie,
Et refuse de se soumettre à cette
France qui voudrait qu'on bouge.
Ma France à moi, c'est pas la leur,
celle qui vote extrême,
Celle qui bannit les jeunes, anti-rap
sur la FM,
Celle qui s'croit au Texas, celle qui à
peur de nos bandes,
Celle qui vénère Sarko, intolérante
et gênante.
Celle qui regarde Julie Lescaut et
regrette le temps des Choristes,
Qui laisse crever les pauvres, et met
ses propres parents à l'hospice,
Non, ma France à moi c'est pas la
leur qui fête le Beaujolais,
Et qui prétend s'être fait baiser par
l'arrivée des immigrés,
Celle qui pue le racisme mais qui
fait semblant d'être ouverte,
Cette France hypocrite qui est peut
être sous ma fenêtre,
Celle qui pense que la police a
toujours bien fait son travail,
Celle qui se gratte les couilles à
table en regardant Laurent Gerra,
Non, c'est pas ma France à moi,
cette France profonde...
Alors peut être qu'on dérange mais
nos valeurs vaincront...
Et si on est des citoyens, alors aux
armes la jeunesse,
Ma France à moi leur tiendra tête,
jusqu'à ce qu'ils nous respectent.»
Questa canzone è stata scritta dalla cantante francese di origini cipriote Mélanie
Georgiades, conosciuta come Diam’s. Il brano fa parte dell’album Dans ma bulle,
pubblicato nel 2006; il suo significato si può racchiudere nel concetto di rifiuto della
Francia per come è attualmente. La cantante ripete in modo indignato che quella che viene
presentata agli occhi del mondo non è la vera Francia, quella che lei vive; vorrebbe che i
suoi valori fossero rispettati e non messi da parte da chi è al potere. Particolarmente
significative risultano essere le ultime due righe, nelle quali Diam’s incita i cittadini, la
gioventù soprattutto, alle armi, per tener testa a questa Francia, finché essi non verranno
rispettati. Si tratta di un appello, non tanto violento, quanto pacifico, al risveglio culturale
del popolo, in nome della libertà di pensiero, dei valori e del rispetto per la diversità. Dal
punto di vista linguistico, oltre a notare un uso frequente di termini inglesi e sigle come
“MTV”, “KFC”, “Foot Locker”, “V.I.P.” “shit”, “SMS”, “MSN”, “MMS” e “BEP” (brevet
d’études professionnelles), vi sono alcuni lemmi di carattere argotico: bled (“soldi”), kiffe
(“amare”, da kiffer), clopes (“sigarette”), bourges (“borghesi”), bouffe (“cibo”), scoot
(“scooter” troncato) e l’espressione puer le racisme, che significa “essere razzista”.
«À l'ombre du Show-Business
Combien de temps? Combien de
temps?
Vont ils étouffer notre art
Combien de temps?
Vont-ils se partager les victoires de
la musique
On s'en fout on est réels nous, t'es
fou toi
Ils tentent d'étouffer notre art faut
être honnête
Ils refusent de reconnaitre qu'en ce
siècle
Les rappeurs sont les héritiers des
poètes
Notre poésie est urbaine, l'art est
universel
Notre poésie est humaine
Nos textes sont des toiles que
dévoilent nos mal-êtres
des destins sans étoiles
Nos lettres, photographies des
instants
Deviendront des témoins chantant le
passé au présent
Un piano, une voix tu vois l'art des
pauvres n'a besoin que de ca
Je rappe à la force des mots sans
artifices
Moi c'est à force de mots que j'suis
artiste
J'pratique un art triste, tristement
célèbre
Car c'est à travers nos disques que la
voix du ghetto s'élève
Mon rap est un art prolétaire alors les
minorités y sont majoritaires
Mais comme tout art je pense que le rap
transcande les différences
Rassemble les cœurs avant les corps
Faisant des corps des décors
Mettant les cœurs en accord
À l'ombre du show business
À l'ombre du show business
[…]
J'écris des poésies de larmes
Des pluies de pleurs
ils veulent tuer mon art
Mais mes oeuvres demeurent
A l'ombre du show business mes
vers sont des éclats
Qui rayonnent sur les cœurs
C'est pas grave s' ils m'écartent
J'ai grandi sur du verglas
Ou chaque chute peut être fatale
Dans le balais des balles
Dans le dialogue du métal
La France nous à mis de coté
Je l'ai écris ce qu'on ressent quand
on est rejetté
Sans pudeur je l'ai décrit
T'es fouuuuuuuu toi
Ca fait 20 ans qu'on chante la
banlieue
20 ans qu'ils décrient nos écrits en
haut lieu
20 ans qu'ils étouffent nos cris
Qui transcrivent les crispations des
cœurs en crise
et les conditions de vie de nos frères
en prison
20 ans qu'on ouvre des fenêtres sur
des avenirs sans horizons
20 ans qu'on pose nos mains sur des
plaies ouvertes qui saignent le rejet
Car l'égalité des chances n'est qu'un
projet.
[…]»
Ecco qui, invece, un estratto di una canzone di Kery James, rapper, cantautore e ballerino
francese, nato nelle Indie orientali da genitori haitiani; tratto dal cd À l’ombre du show
business, il brano porta il medesimo titolo e, nonostante non sia un esemplare significativo
per quanto riguarda l’uso dell’argot, è molto interessante dal punto di vista contenutistico e
concettuale. Vi è infatti racchiusa, se così si può dire, l’ideologia di questo artista circa la
musica e il rap: egli ritiene che i rapper siano gli eredi dei poeti che compongono la loro
poesia su delle tele, e che portano l’onere di testimoniare la realtà umana. Le parole sono,
di conseguenza, gli strumenti della sua arte e quest’ultima ha il compito di trascendere le
differenze di classe e di razza. Kery James si dichiara, sempre nel testo, voce e portavoce
della banlieue; tuttavia, malgrado ogni possibile e disperato tentativo, la società farà sì che
la sua musica resti nell’ombra, poiché “l’uguaglianza delle possibilità non è altro che un
progetto”. Il rap di questo cantante vuole essere profondamente urbano, vuole esprimere la
sofferenza dell’emarginazione per coloro che non hanno la possibilità di avere un futuro
prospero, vuole essere un’arte proletaria contro il monopolio in generale. Questa canzone
descrive molto bene la situazione, seppure possa sembrare fin troppo drammatica e
pessimistica, di quelle comunità d’immigrati che vivono ai margini della società; l’unico
mezzo di sfogo ed identità si può trovare nella musica e nell’arte del rap.
«Aujourd'hui sera le dernier jour de
mon existence
La dernière fois que je ferme les yeux
Mon dernier silence
J'ai longtemps cherché la solution à
cette nuisance
ça m'apparait maintenant comme une
évidence
Fini d'être une photocopie
Finis la monotonie, la lobotomie
Aujourd'hui je mettrais ni ma
chemise ni ma cravate
J'irais pas jusqu'au travail, je
donnerais pas la patte
Adieu les employés de bureau et leur
vie bien rangée
Si tu pouvais rater la tienne ça les
arrangerait
ça prendrait un peu de place dans leur
cerveau étriqué
ça les conforterait dans leur
médiocrité
Adieu les représentants grassouillets
Qui boivent jamais d'eau comme si il
ne voulaient pas se mouiller
Les commerciaux qui sentent
l'aftershave et le cassoulet
Met de la mayonnaise sur leur
mallette ils se la boufferaient
Adieu les vieux comptables séniles
Adieu les secrétaires débiles et leurs
discussions stériles
Adieu les jeunes cadres fraîchement
diplômés
Qu'empileraient les cadavres pour
arriver jusqu'au sommet
Adieu tous ces grands PDG
Essaies d'ouvrir ton parachute doré
quand tu te fais défenestrer
Ils font leur beurre sur des salariés
désespérés
Et jouent les vierges effarouchées
quand ils s'font séquestrer
Tous ces fils de quelqu'un
Ces fils d'une pute snob
Qui partagent les trois quarts des
richesses du globe
Adieu ces petits patrons
Ces beaufs embourgeoisés
Qui grattent des RTT pour payer
leurs vacances d'été
Adieu les ouvriers, ces produits
périmés
C'est la loi du marché mon pote, t'es
bon qu'à te faire virer
ça t'empêchera d'engraisser ta gamine
affreuse
Qui se fera sauter par un pompier,
qui va finir coiffeuse
Adieu la campagne et ses familles
crasseuses
Proche du porc au point d'attraper la
fièvre aphteuses
Toutes ces vieilles, ses commères qui
se bouffent entre elles
Ces vieux radins et leurs économies
de putes d'bouts de chandelles
Adieu cette France profonde
Profondément stupide, cupide,
inutile, putride
C'est fini vous êtes en retard d'un
siècle
Plus personne n'a besoin de vous
bande d’incestes
Adieu tous ces gens prétentieux dans
la capitale
Qu'essaient de prouver qu'ils valent
mieux que toi chaque fois qu'ils
t'parlent
Tous ces connards dans la pub, dans
la finance
Dans la com', dans la télé, dans la
musique dans la mode
Ces parisiens, jamais contents,
médisants
Faussement cultivés, à peine
intelligents
[…]»
Il testo sopra riportato è stato composto dall’artista rap Orelsan e fa parte dell’album Le
Chant des sirènes pubblicato nel settembre 2011. Gli argomenti qui affrontati si discostano
da quelli presentati dalla canzone precedente, non tanto perché non si ha più a che fare con
una critica alla società, quanto perché qui la critica riguarda un po’ tutte le persone:
Aurélin Cotentin, meglio conosciuto come Orelsan, è un cantante che fonda il suo
cosiddetto “flow” su uno stile molto crudo, a tratti omofobo, per cui non c’è da
meravigliarsi se tra le sue rime abbondano aspre accuse e contestazioni ad ogni tipo di
persona. In questo caso specifico, per esempio, egli immagina che sia l’ultimo giorno della
sua esistenza e decide di dire addio a tutti gli individui insulsi ed ipocriti della vita: “addio
agli impiegati degli uffici e alla loro vita ben sistemata, se tu potessi fallire la tua, ciò li
sistemerebbe”, “addio agli stupidi segretari e alle loro sterili discussioni”, “addio agli
stronzi imborghesiti”, “addio a questa Francia profonda, profondamente stupida, cupida,
inutile, putrida” e così via. Si tratta, in effetti, di una denuncia dei vizi, delle frivolezze e
delle bassezze umane. Ad inasprire questo scenario concorrono in modo del tutto
funzionale alcuni termini e locuzioni argotici come boufferaient (“mangiare”), beurre
(“soldi”), beaufs (“stronzi”), pote (“amico”), se faire sauter (“farsi scopare”), connards
(“stronzi”), pub (“pubblicità”, troncata) e la com’ (“comunicazione”, troncata). Essi vanno
intesi con un’accezione negativa e dispregiativa, talvolta ironica, ancor meglio
comprensibili se si ha la possibilità di ascoltare il tono di voce indignato del cantante
stesso.
«(Refrain) Ce qui nous anime c'est
le combat qu'on doit mener
Facile d'être lâche et d'abandonné
Laisse moi t'en parler
De les déranger
Tout ça doit changer
J'ai le goût amer de la défaite sa
mère
La bouche pâteuse, la gerbe
A remplacer le venin je deviens ce
que j'ai pas voulu être
J'ai voulu mettre un coup de frein
j'ai fini dans les roses
Les plus belles ont poussé dans la
merde on a mal fait les choses
C'est moi qui finit fané j'savais qu'il
fallait pas que je m'expose
Allez parlez moi j'm'en bats les
baloches tout mes ennemis
voudraient que je raccroche
Les crampons, grand con
Je te raccroche le pif tu me fais mal
à la caboche la vie pue de la gueule
j'vais pas la galoche!
Rap à la Gavroche, on vient pas
passer la pommade
Dans les manifs c'est pas des slogan
qui me faut c'est des grenades
Enfoiré faut bien les dissuader c'est
comme ça qu'on négocie
Les boss qui licencient séquestrez-
les dans les usines
Ne me demande pas de pissé j'ai du
THC dans les urines
On subit mais on sublime l'adversité
faut la souligné
On est blacklistés et nos blases ils
les ont surlignés
On se fait disquetté il tentent de
nous faire oublier
(Refrain)
Je viens de parler de ma mère, de
mes khoyas, de mes criminel en
herbes
6 du mat' paire de menottes, ce que
le diable nous réserve
Ouvre les yeuz vas-y prend note, tu
veux parler
Vas-y parle bien sinon shut up
Je viens parler de mes potes qui
aiment traîner tard le soir oui soirée
réné
Classico et tous déchaînés tends la
patte gauche a néné
Oui des mosquée sous scellé, d'une
religions grillé
Qu'est ce que la laïcité quand on doit
se cacher pour prier
Et parlez a voix haute, je viens
parler a voix basse
Fils de lâche me traite d'immigré
aimerais dénigrer ma race
Parle d'une époque de bé-chtar, un
polar de gens soumis où le chef
d'état prend le peuple pour Katsumi
Te parler de Mohamed Bouazizi
d'un peuple déçu
Je te parle de mon bled d'un
dictateur déchu
Oui à croire qu'on a ce qu'on mérite,
histoire et périple mais c'est rien
Tuez-les tous Dieu reconnaîtra les
siens […]»
La canzone appena riportata, “J’te parle” di Sniper, è molto interessante sotto parecchi
punti di vista. Innanzitutto bisogna precisare che non si tratta di un solo rapper, bensì di un
gruppo composto da quattro cantanti provenienti dalla Tunisia, dall’Algeria, dall’isola
della Riunione115
e dalla Francia; tale dato risulta rilevante in considerazione dei temi da
essi affrontati. L’intento è quello di formare un’unione di etnie differenti contro le
ingiustizie sociali, i pregiudizi religiosi e di razza (“oui des mosquée sous scellé, d’une
religions grillé, qu’est ce que la laïcité quand on doit se cacher pour prier”); ancora una
volta si è di fronte ad un appello e ad un impegno attivo in nome dei diritti e delle libertà di
espressione. In secondo luogo, la denuncia avviene, anche in questo testo, attraverso la
forza di parole ed espressioni derivanti dall’argot e dal verlan: j’m’en bats les galoche
(“me ne sbatto le palle”), crampons (traducibile eufemisticamente in “rompiscatole”), con,
pue de la gueule (“avere un alito cattivo”), manifs (“manifestazioni”), enfoiré (intensifica
un insulto), blases (“nomi”), en herbe (“principianti”), mat’ (“mattino”), potes, bé-chtar
(“pazzo” in verlan), polar (“cazzo”) e bled (“paese d’origine”). La durezza delle accuse è
115
Si tratta di un’isola nel mar indiano, ad est del Madagascar, appartenente amministrativamente alla
Francia.
maggiormente inasprita dall’inserimento di parole come shut up, blacklistés e khoyas (un
cibo indiano a base di latte). È proprio tale impiego che ci permette di notare un certo
distacco tra un linguaggio criptico quale l’argot e un registro linguistico quale può essere lo
slang: infatti, l’uso di parole inglesi potrebbe sì far pensare al fatto che l’argot è incline ad
assorbire sotto forma di prestiti termini di origine straniera, tuttavia, nel momento in cui
questi ultimi non vengono sottoposti a processi di trasformazione linguistici, non
acquisiscono quel valore che permette a chi li usa di sentire una precisa ed intima
appartenenza al proprio gruppo, anche perché manca quell’elemento di segretezza ed
indecifrabilità che contraddistingue il vocabolario argotico. È evidente che dire crampons
assume una sfumatura molto più criptica ed incomprensibile che dire disquetté. Pertanto,
sarebbe forse più giusto classificare queste voci come “semplice” slang piuttosto che argot.
«Comme tout l'monde je vis ma vie
Avec Joe Black aux fesses
Des montagnes de soucis qu'on ne
monte pas en tire-fesses
Des devoirs qu’on néglige,
ou des choix qu'on regrette
Un gros appétit qui ne bouffe que des
miettes, oui mec..
J'ai connu la dalle, faut qu'mon fils
connaisse la graisse
Comme tout le monde j'ai fait du mal
Faudrait bien que je me confesse
Avant que tout s'écroule, a ma mère
lui faire un building
La vie ça donne des coups laisse moi
faire du body-building.
Besoin d'avoir du standing avec une
standing, mec Ovation
Après le ding ding dong mec, pour
ma zone
Faire le tour du monde avec mes
camarades
Squatter les hits parade avec mes
Khalalaa
La vie c'est voyager pour rire pas des
bougies d'anniversaire qu'on éteint
avec des soupirs
Fini de voir nos yeux faire les
Canadair vivons vite nos médailles
avant qu'il nous reste que les revers!
M’babaa !
J'ecris ça comme un livre où les
pages se terminent
J’ai plus le temps car je dois m’en
aller loin de là
avant que je fly fly fly j'ai besoin de
time, time, time
briller dans le ciel devenir un
symbole
déployer mes ailes que je m'envole
faudra bien que je fly fly fly j'ai
besoin de time, time, time
Oui mec j'ai besoin de time avant que
mon âme fly
tu sais j'ai pas la voiture moi de
Martin McFly
Donc dit toi qu'c'est maintenant que
je dois bien faire mes baills
si la vie me crève les yeux t'inquiète
j'la vivrai en Braille
il y a tellement de chose à vivre
tellement de chose à voir moi
j'ai besoin de beaf trop, trop besoin
de gloire
car avant de remplir mon bide j'dois
remplir celui du bled
aider mon bidonville pour qu'il se
pèse après un rêve moi
J'ai besoin de voir ou le soleil se
couche
Quitter ce goût de goudron qu'on a
tous dans la bouche
tellement de promesse à tenir de
chose à accomplir
besoin d'emmagasiner de
magnifiques souvenirs
mais dis moi qui au fond sait quand
je partirai
donc laisse moi vivre à l’ombre sous
une belle palmeraie
avec tout mes potes, ma famille à
mes côtés
j'ai besoin de leurs love pour savoir
qu'j'ai existé
[…]»
Con questa canzone iniziamo l’approfondimento sul secondo blocco di testi, che potremmo
dire “meno impegnati socialmente”, dal momento che i loro rispettivi artisti focalizzano la
loro attenzione non esclusivamente sulla denuncia e sulla critica della società, bensì mirano
ad esprimere i problemi e le loro difficoltà in una dimensione più limitata e personale. Ciò
non toglie che anch’essi possano voler trasmettere al loro pubblico dei messaggi di
disapprovazione e malcontento per quanto riguarda le comunità e le condizioni in cui
vivono. La distinzione nasce soprattutto dal fatto che questa musica, nel suo complesso,
risulta apparire (ma non è detto che nell’intento degli artisti vi sia tale corrispondenza) più
commerciale, dai toni meno accesi ed indirizzata ai giovani, i quali hanno la possibilità di
identificarsi con un linguaggio moderno e argotico (in una prospettiva, forse, più ludica di
quella percepibile precedentemente).
Il brano si intitola Fly, dell’album Le Corbeau, composto dal rapper francese di origini
comoriane Soprano, nome d’arte di Saïd M’Roubaba. Leggendo le rime della canzone si
può capire perché si è parlato di “dimensioni” ridotte: il cantante non parla tanto della
società in generale, quanto del suo gruppo di “camarades”, della sua “zone”, della sua
“famille”. Ciò non significa che si è di fronte ad una mentalità più provinciale o meno
drammatica rispetto al quadro finora presentato dagli altri rappresentanti della scena rap
francese: forse Soprano desidera semplicemente circoscrivere i problemi generali alla sua
vita quotidiana personale, parlando in modo più diretto delle difficoltà delle banlieue, come
se la sua esperienza potesse essere rappresentativa di molte altre realtà locali esistenti. A
questo proposito è appropriato constatare che egli è nato e vive tuttora a Marsiglia, una
città con una ricca storia di immigrazione e convivenze multietniche. Per quanto riguarda,
invece, l’aspetto più “giovanile” di questo brano, di cui si accennava in precedenza, si
possono notare i frequenti usi di parole inglesi quali fly (dal titolo stesso), standing, body-
building, squatter, ma anche dell’argot con parole molto conosciute tra gli adolescenti
francesi, come bled, bouffe, dalle (“fame”), beaf (“soldi”), bide (“pancia”). Da notare come
esse facciano parte delle sfere tipiche di cui l’argot si è sempre occupato, ossia quella della
fame, della povertà e della miseria. In conclusione, sebbene possa sembrare che il rapper
sia più distaccato e meno coinvolto emotivamente nelle grandi questioni sociali e culturali,
è grazie all’uso di questo vocabolario semplice ma pieno di “vissuto” che l’ascoltatore
riesce a percepire meglio il messaggio, aiutato anche dal fatto che il linguaggio possiede un
approccio più alla moda con cui ci si può immediatamente identificare.
«As salam alaykoum, wa alaykoum
salam
Whatever your religion, kiss the ring
on the Don
Bienvenue dans mon 78
Les vendeurs les compet'
Les balances se font rosser devant les
keuf fais pas la trompette
Nous on fume la paki
Adeptes de car-jacking
On peut passer la nuit la semaine
toute l'année sur un parking
Les rebellions les cocktails
Tournantes hôtel
Ici l'argent est sale mais nos avocats
font la vaisselle
Mantes-la Tuerie
Sartrouville Poissy
Pour les sans papiers ouais tous les
chemins mènent à Roissy
Chanteloup les vignes
Aux anciens d'ma ville
Welcome dans les Yvelines où la
poisse demande asile
Mangeurs de re-pie
Ici on s'contente d'un rien
Bâtiments détruits mais nos
mâchoires n'y sont pour rien
Tribunal de Versailles
Lance-ba représailles
Tu peux me voir a Trapes galérien et
truand comme Morsay
Sheytan tire vers le bas
La Sunna vers le haut
J'reste entre les deux à bikrave du
shit sous un préau
As-Salamu Alaykum,
Wa `alaykums-salām
As-Salamu Alaykum,
Wa `alaykums-salām
On a laissé quelques plumes verser
quelques larmes
J't'ai commencé aux poings j't'ai finit
à la lame
As-Salamu Alaykum,
Wa `alaykums-salām
As-Salamu Alaykum,
Wa `alaykums-salām
Ne me demande pas pourquoi la
concurrence khaf,
Reuf
J’me rappelle des Gremlins aux
Mureaux
Fréro Sarajevo
Les chars rade d’essence
complètement fonse-dé voitures
lé-vo
Nuit blanche a Bois D’Arcy
Braquage de pharmacie
Caillera comme ingrédient ça fait
vite des prisons farcies
Les potos d’Elancourt
78 Guyencourt
Ca bikrave des litrons ouais les tipeu
n’vont plus en cours
Commissariat brulé
Putain d’rebellion
Nique sa mère la lune frère on veut
viser le million
Expression Direkt, lyrics de Kertra
Les ti-peu peura devant le hall avec
ou sans contrat
4eme et des soutiens
3eme insertion
Trafiquant réunion agression et
séquestration
On va plus en classe
Nous on veut des tass
Frère il n’y a qu’un O entre l’audace
et le Dass
Parfois je gagne du temps
Souvent je perds des refrès
En souvenir du passé, Bram’s repose
en paix […]»
Ecco qua un altro frammento di testo musicale degno di nota: Bienvenue dans le 78 del
rapper originario del Marocco, La Fouine (Louni Mouhid). È necessario premettere che lo
stile di rap è un po’ differente rispetto a Fly, visto che qui ci si avvicina molto al genere
gangsta, in cui la violenza, le armi, il sesso e la corruzione sono argomenti ricorrenti.
Ciononostante, la prima cosa che salta all’occhio è il ritornello, introdotto sin dall’inizio,
che si rifà ad un tipico saluto arabo in uso tra i musulmani che significa
approssimativamente “sia la pace con te, che anche la pace e la salute siano con te”. Tale
scelta “poetica” è significativa ma non stupisce, se si considera che la musica di La Fouine,
data la sua discendenza magrebina, è costellata da riferimenti alla lingua e alla cultura
araba. Richiamando i concetti esposti nel capitolo precedente, si può capire che siamo
davanti ad un esempio pratico e palese dell’espressione del mondo e delle comunità arabe
presenti in Francia. Tutte le idee ed i sentimenti di solidarietà, coesione, difesa sociale,
eccetera, di cui si è parlato, confluiscono ora nel rap, costruendo una realtà specifica e
comprensibile ai soli cosiddetti iniziati. Non a caso, questa canzone risulta di complicata
decifrazione: numerosi sono i riferimenti a personaggi rap, ad elementi geografici, ad
esperienze vissute nella realtà (anche virtuale, sebbene qui l’accostamento possa sembrare
paradossale) del cantautore. Un altro fattore che incrementa l’aspetto criptico è l’uso
abbondante di argot e verlan, anch’essi perfettamente contestualizzati nella vita del ghetto
per quanto riguarda la sfera semantica: keuf (“poliziotto”), paki (“erba pakistana”), re-pie
(“pietra”), lance-ba (“bilancia” o “infischiarsene”116
), galérien (“difficile”), bikrave
(“rubare droga”), khaf (“essere eretico”), reuf (“fratello”), fonse-dé (“sfondato”), lé-vo
(“rubate”), caillera (“delinquenti”), potos, litrons (“litri di vino”), tipeu (“i giovani, i
piccoli”), nique (“scopare”), peura (“rap”) e tass (“puttane”). Chi riesce, dunque, a
comprendere tutte le parole e tutti i riferimenti interni al testo realizza che l’intento
implicito è quello di insultare in modo celato, ma allo stesso tempo volgare, i nemici della
vita quotidiana, e di esaltare la giustizia (nei confronti dei rivali nelle lotte del ghetto) e lo
spirito di coesione del proprio gruppo per mezzo di uno strumento caustico e pungente
come il codice linguistico e criptico dell’argot/verlan. In tutto questo, si può evincere un
certo senso di compiacimento nel trovare le giuste rime mordaci e i giusti riferimenti
linguistici per offendere il proprio bersaglio. Dal punto di vista di un’analisi linguistica,
sono di rilievo i casi di verlan come tipeu, derivato da petit, peura, da rap con un’ aggiunta
di coppia vocalica (per essere preciso, il processo esatto è stato: rap > rap-eu > peu-ra) e
reuf, da frère (frère > frèreu >reu-frè > reuf).
116
Il contesto risulta piuttosto oscuro per poter dare una traduzione precisa ; tuttavia, sembrerebbe più adatta
la seconda opzione fornita, dal momento che in quel significato il termine di partenza, balance, ha
un’accezione argotica.
«On prétend pas être des modèles
pour les gosses
Ni pour personne d'autre !
On tiens juste à dire que... le pont
qui mène au succès
Est un pont fragile
J'ai demandé pardon sans qu'on
puisse me l'accorder
J'ai demandé ma route sans qu'on
puisse me l'indiquer
J'ai troqué mes études contre un
disque de platine
Tout en sachant qu'tôt ou tard ton
public te piétines
J'ai vu les choses en grand, j'ai du
temps, j'ai du talent
Je reste sur mes gardes, je n'suis
qu'un homme
Ça capture mon image dans des 7D
Canon
Tout ça j'le fais pour moi, ceux qui
doutent et la daronne
J'ai pété les plombs ! (J'ai pété les
plombs)
J'ai quitté l'école ! (J'ai quitté l'école)
Si seulement tu savais (Si seulement
tu savais)
Tout le mal que je garde (Tout le
mal que je garde)
(Refrain) C'est ma direction !
J'ai pété les plombs, sans
abandonner ni baisser les bras
Plus d'nouvelles, batterie faible,
malédiction
Dorénavant, je vais de l'avant, c'est
ma direction
Ma direction
J'ai fuis les sonneries, les bruits
d'chaises
Moi j'cherchais d'autre style de
richesses
Du journal d'Anne Frank à c'lui
d'Bridget
J'ai jamais kiffé lire depuis qu'jai
12 piges, malgré les ratures j'gratte
le papier
C'est ma direction, j'me suis pas
éparpillé
Plaqué plus d'une fois, dos au re -mu
Trop fier pour demander d'l'aide au
RMI
Les srabs en guise de mif, l'estrade
en guise de but
Freiné par les fils de chhhut...
J'me souviens qu'à la base on voulait
même pas toucher d'blé
Ça rappait sale quand on s'entassait
tous chez le Blanc
Tu connais pas d'hypocrite, c'est
l'pro'
J'écrivais dans l'trom avant d'aller
m'casser l'dos
Aujourd'hui tout ça n'aurais pas
d'sens
Sans tout ce sacrifices, sans toute
cette patience
[…]»
Ma direction è una canzone del gruppo Séxion d’Assaut, uscita nel 2012 nel cd L’Apogée.
La band è composta da otto membri di varie origini (Senegal, Costa d’Avorio, Repubblica
Democratica del Congo, Guinea e Mali) ma cresciuti principalmente a Parigi. Tutto ciò ha
delle evidenti conseguenze sulla loro musica e sul loro stile in generale: essi hanno infatti
vissuto nelle banlieue e conoscono bene la situazione degli immigrati, degli emarginati e
dei poveri parigini. Con questo bagaglio di esperienza ed il loro background etnico-
culturale la loro musica costituisce, a livello concettuale, una sorta di via di mezzo tra il
primo e il secondo blocco designati all’inizio di questa analisi (una distinzione puramente
arbitraria, funzionale solamente ad un’illustrazione più ordinata, visto che non è facile
operare una netta divisione in considerazione di quella che è una percezione soggettiva
dell’intento di ciascun rapper e delle loro vere e proprie intenzioni ideologiche). La
dichiarazione all’inizio del brano riportato è significativa a questo proposito: essi non
intendono essere un modello per i giovani e per nessun altro; vogliono unicamente
mostrare che il ponte che porta al successo è fragile. Ciò significa che, sebbene loro siano
riusciti a superare gli ostacoli della gioventù e della vita, non è detto che il peggio sia
passato, dato che l’essere famosi può comportare rischi ben più gravi, come la
discriminazione, le accuse infamanti (“plaqué plus qu’une fois, dos au re-mu”) e le
tentazioni dei soldi (“j’me souviens qu’à la base on voulait même pas toucher d’blé”). Per
essere più chiari, l’impiego del linguaggio argotico crea quella solidarietà ed unione
necessaria per difendere la forza e la coesione ottenuta con i sacrifici e le lotte. Si è voluto
prendere in esame questo gruppo poiché è possibile individuare un certo equilibrio tra,
appunto, la denuncia della società e la volontà di consolidarsi come comunità da sempre
messa da parte e vittimizzata dai valori comuni della massa e dei mass media, un equilibrio
tra la lingua francese standard e l’introduzione in essa di una serie di parole argotiche e
verlaniane, arabe e non: daronne (“mamma” ‒ è interessante notare che questa parola è
sopravvissuta nei secoli ed ha conservato il suo significato originario argotico fino ai giorni
nostri), pété les plombs (“diventato pazzo”), piges (“anni”), kiffé, gratte (“scrivere”), re-mu
(“muro”), srabs (“compagno”), mif (“famiglia”), blé (“soldi”), pro’ (“problemi”) e trom
(“metro”).
Nel presente capitolo si è voluto illustrare come si sviluppa il linguaggio dell’argot
contemporaneo in chiave hip-hop. È indiscutibile il fatto che la cernita dei temi, dei rapper
e delle loro canzoni non deve essere considerata in modo dogmatico, né univoco, poiché,
come si è detto più volte, la realtà è molteplice ed eterogenea. Non esiste un criterio
assoluto che permetta di stabilire quale elemento meglio rappresenti un fenomeno, come
non esiste, nella pratica concreta della lingua, una regola o una definizione che permetta di
dire che un termine è argot, slang, gergo o un semplice registro familiare; la chiave della
questione, si ritiene, sta nel valutare la percezione ed il valore che quella parola, quel brano
e quella espressione assumono nel contesto selezionato, tenendo presente il livello di
consapevolezza linguistica del parlante. Detto ciò, sembra che si sia data una chiara e
lineare visione di come è e di come viene usato l’argot ed il verlan, della loro funzione e
della loro portata a livello sociale e culturale. Purtroppo un lavoro di questo genere non
può mai considerarsi completo ed esaustivo al cento per cento, né dal punto di vista di
quanti brani vengono sottoposti ad indagine, né dal punto di vista semantico ed
etimologico dei lemmi argotici e verlaniani: questo, infatti, è dovuto all’infinita e grandiosa
capacità della lingua e dei linguaggi di essere in movimento, di mutare incessantemente le
loro forme e strutture, di adattarsi, di acquisire e di donare nuovi elementi: tutte
caratteristiche proprie, intrinseche ed essenziali dell’argot.
CAPITOLO 4
Mini dizionario dell’argot contemporaneo
In questo capitolo si vuole presentare in maniera schematica quell’insieme di vocaboli che
appartengono al linguaggio argotico/verlaniano odierno e che sono maggiormente in voga
sia tra quelle comunità etnico-culturali di cui si è parlato in precedenza sia tra i giovani
francesi in generale. Bisogna precisare che l’elenco di parole di seguito riportate non
pretende di essere esaustivo e definitivo, poiché è possibile che non ci siano significati
univoci nei singoli lemmi, che ci siano trasformazioni semantiche degli stessi nel corso del
tempo, che ne nascano di nuovi, che ne scompaiano di altri o che subiscano cambiamenti
morfo-fonologici. Essendo, infatti, un corpo linguistico gergale in costante evoluzione, è
difficile cogliere una definizione assoluta di tali termini. Come principale fonte di
riferimento utilizziamo un sito internet che di per sé cerca di raccogliere il divenire di
realtà del linguaggio a dir poco eterogenee:
http://www.dictionnairedelazone.fr
Aps avv. Non (verlan di pas).
S’arracher v. Andarsene.
S’atchaver v. Andarsene.
Auch agg. Caldo (verlan di chaud)
Babtou s.m. Persona bianca europea
(verlan di toubab).
Bader v. Preoccuparsi, stressarsi,
angosciarsi (da bad, in inglese)
Bailles s.f. pl. Novità.
Bédaver v. Fumare haschish o
cannabis.
Béjèr v. Vomitare (verlan di gerber).
Belek s. Attenzione.
Béton v. Cadere (verlan di tomber).
Bled s.m. Paese d’origine.
Bicrave v. Vendere droga.
Beaf/Biff s.m. Soldi.
Biatch s.f. Prostituta (dall’inglese
bitch).
Bolos s.m. Vittima, sottomesso.
Bonasse s.f. Bella ragazza.
Bouillave v. Possedere sessualmente.
Boule s.m. Culo, posteriore.
Bebar s.f. Barba (verlan di barbe).
Caillasse s.f. Soldi.
Caillera s.f. Gentaglia (verlan di
racaille).
Cainfri s. Africano (verlan di africain).
Cainri s. Americano (verlan di ricain).
Caner v. Uccidere.
Carouf s.m. Supermercato Carrefour.
Céfran s.m. Francese d’origine (verlan
di français).
Cheum agg. brutto (verlan di moche).
Choper v. Arrestare, rubare, sedurre.
Condé s.m. Poliziotto.
Garette-ci s.f. Sigaretta (verlan di
cigarette).
Crasseuse s.f. Donna dai facili costumi.
Dalle s.f. Fame.
Damer v. Mangiare.
Daron-nne s. Padre, madre.
Dasse s.m. Sida (AIDS).
Dèp s.m. Omosessuale (verlan di pédé).
Derche s.m. Chiappe, ano, posteriore.
Deuspi agg. Veloce (verlan di speed).
Dikave v. Guardare, vedere.
Douiller v. Pagare.
Die/dead agg. Morto, stanco
(dall’inglese).
Faya agg. Stanco, drogato (dall’inglese
fire).
Feuj s. Ebreo (verlan di juif).
Feumeu s.f. Ragazza, donna (verlan di
femme).
Foncedé agg. Stanco, drogato, fatto
(verlan di défoncé).
Fouf s.f. Sesso femminile.
Foulek agg. Folle, pazzo.
Frais agg. Bello, forte, carino.
Gadji s.f. Ragazza, donna (dal romanì).
Gaméler v. Mangiare.
Garo s.f. Sigaretta.
Gavé avv. Molto, eccessivamente.
Genhar s.m. Soldi (verlan di argent).
Go s.f. Ragazza (deformazione di girl).
Golri v. Ridere (verlan di rigoler).
Grec s.m. Un panino greco.
Guedin agg. Folle, pazzo, sconvolto.
Hagra s.f. Miseria, ingiustizia
(dall’arabo).
Hèbs s.f. Prigione (dall’arabo).
Ienb agg. Bello (verlan di bien).
Ièp s. Piede (verlan di pied).
Kène v. Possedere sessualmente.
Kebla s. Persona di colore (verlan di
black).
Keuf s.m. Poliziotto (verlan di flic).
Keum s.m. Ragazzo (verlan di mec).
Kho s.m. Fratello, amico (dall’arabo).
Kiffer v. Amare, apprezzare.
Louper v. Perdere, mancare.
Lourde s.f. Porta.
Louze s. Giovane che segue la moda
hip-hop.
Love agg. Innamorato (dall’inglese).
Maille s.f. Soldi.
Maboul agg. Pazzo, folle.
Méfu v. Fumare (verlan di fumer).
Meuf s.f. Ragazza (verlan di femme).
Mec s.m. Ragazzo, uomo, amico.
Micheton s.m. Cliente di una prostituta.
Michto agg. Bene, buono,
apprezzabile.
Mifa s.f. Famiglia (verlan di famille).
N’importNawak loc. Qualunque cosa
(verlan di n’importe quoi).
Nawache s. Cinese, asiatico (verlan di
chinois).
Ouf agg. Folle, pazzo (verlan di fou).
Opé agg. Pronto (abbreviazione di
opérationnel).
Oseille s.f. Soldi, denaro.
Paname s. Parigi.
Pello/pélo s.m. Tizio, ragazzo,
individuo.
Péta v. Picchiare, rubare (verlan di
taper).
Pote/poto s.m. amico, compagno.
Pushka s.m. Pistola, arma da fuoco (dal
romanì).
Rabza/rabzouz s. Arabo
Racli s.f. Giovane donna, ragazza (dal
romanì).
Relou agg. Pesante, noioso, seccante
(verlan di lourd).
Rebeu s. Arabo (verlan di beur).
Reuf s.m. Fratello (verlan di frère).
Reum s.f. Madre (verlan di mère).
Reup s.m. Padre (verlan di père).
Reus s.f. Sorella (verlan di sœur).
Schneck s.f. Sesso femminile
(dall’alsaziano schneck, “lumaca”).
Skeud s.m. Disco (verlan di disque).
Soir-ce loc. Questa sera (verlan di ce
soir).
Squémo s.f. Moschea (verlan di
musqué).
Squatter v. Occupare un posto per
protesta.
Taff s.m. Lavoro.
Tarpé s.m. Culo, spinello (dal verlan
pétard).
Tass s.f. Puttana.
Téma v. Guardare (verlan di mater,
parola argotica).
Teuf s.f. Festa (verlan di fête).
Tise s.f. Alcol.
Tromé s.m. Metropolitana (verlan di
métro).
Vénère agg. Nervoso, arrabbiato (dal
verlan énervé).
Wesh-wesh s. Giovane di città.
Zarbi agg. Strano (verlan di bizarre).
Zyva s. Giovane di città (in senso
negativo).
Zoulou agg./s. Giovane delinquente.
Da questo elenco è possibile estrapolare molti dei processi di formazione e trasformazione
di parole proprie dell’argot e del verlan, descritti nei capitoli precedenti. Si può inoltre
osservare che molte voci hanno un’origine, dunque un’etimologia, straniera: è in atto quel
fenomeno per cui da un lato il linguaggio ha bisogno di prestiti per conservare la propria
inintelligibilità e il fatto di essere alla moda (in chiave ludica), dall’altro si manifesta la
necessità di affermare l’identità etnica e culturale di quelle comunità d’immigrati che
fondano la propria coesione e senso di appartenenza proprio sull’unicità del loro modo di
comunicare. Un’ultima doverosa osservazione va fatta in merito all’ortografia; molte
parole possono presentarsi scritte in maniera diversa (per esempio genhar può comparire
anche come genar). Si può spiegare ciò tenendo presente che i gerghi presi in esame hanno
un uso prevalentemente orale, se contestualizzati nella realtà quotidiana delle banlieue e
dell Z.U.S., per cui la trasposizione scritta, come avviene nei testi delle canzoni, non è
sempre coerente ed univoca. Operazioni quali la verlanizzazione o la riverlanizzazione
sono quasi soggettivi e la trascrizione fonologica è piuttosto arbitraria e variabile.
CAPITOLO 5
Conclusioni
Arriviamo, dunque, alle conclusioni di questa trattazione. Dal momento che si tratta di una
tesi, è evidente che si sia cercato di dimostrare qualcosa, di argomentare una presa di
posizione a partire da alcune ipotesi, considerazioni e dati di fatto tramite la deduzione.
Che cosa si è voluto sostenere allora? A partire da un’analisi storico-sociologica dell’argot
si è provato a spiegare quale è stata l’evoluzione che ha portato all’argot contemporaneo.
Si sono forniti alcuni esempi concreti di linguaggio argotico così da identificare gli
specifici processi morfo-fonologici che consentono tuttora l’esistenza di un tale gergo
criptico. Si sono illustrati i campi di applicazione e di uso più frequente di tale genere di
fenomeno linguistico. In generale, si è voluto mostrare quanto la lingua francese sia attiva
e in fermento sotto il punto di vista del dibattito metalinguistico e quanto sia importante la
forza che viene attribuita dai parlanti ai vari strumenti comunicativi, i quali diventano
simbolo ed espressione di culture, mentalità, classi sociali e movimenti artistici.
Una volta accertata la natura dell’argot, le sue ragioni linguistiche e sociologiche, è stato
possibile osservare la sua innata dinamicità all’opera. È tuttavia risultato arduo ed
improbabile, proprio per questa sua essenza mutevole, ricavarne un modello assoluto:
all’interno delle sue stesse realtà molteplici non esiste una precisa uniformità, poiché si è di
fronte alla necessità di consolidare la propria unicità e identità sociale, culturale ed etnica.
L’argot è un codice linguistico che, per mezzo della sua incessante evoluzione, funge da
scudo sociale in contesti molto particolari quali le zone urbane, periferiche e talvolta rurali
di tutta la Francia. Si è poi visto il ruolo dell’immigrazione e dell’hip-hop nel definire il
volto della cultura argotica moderna: più precisamente, la musica rap rappresenta il canale
perfetto nella trasmissione di quei messaggi socialmente impegnati che, facendo leva sui
concetti di giustiza, uguaglianza e libertà, costituiscono un appello e una fonte di
ispirazione per le generazioni di giovani francesi.
Si è voluto infine dimostrare che, nonostante sia possibile criticare la modernità (che con la
globalizzazione potrebbe portare a trascurare e, in ultima istanza, a perdere le tradizioni
culturali, che iniziano sempre dal soggetto della “lingua” di un paese, in quanto la lingua è
il primissimo mezzo di comunicazione), esistono casi attuali (la Francia) in cui il conflitto
tra lingua standard e le sue varietà genera un arricchimento, una fusione di culture e la
possibilità creare fertili realtà linguistiche.