Tema di italiano[1mincone]2

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SHOAH E FOIBE ricordare perchè non accada di nuovo Pescara, 5 dicembre 2010 Caro diario, Hai ragione amico mio,è da molto che non ti scrivo,ma oggi devo assolutamente raccontarti ciò che mi è successo,o meglio,credo sia successo. L'altro giorno, a scuola,con la professoressa di storia, si stava parlando della seconda guerra mondiale e dei massacri della “shoah” e delle “foibe”. Con il termine “shoah”,adottato solo recentemente, si fa riferimento al genocidio compiuto dai nazisti, durante il regime totalitario,all'interno dei “campi di concentramento”, nei quali morirono,barbaramente,oltre a sei milioni di ebrei,moltissime persone tra rom, testimoni di Geova,malati (fisici e mentali)e purtroppo, tanti altri ancora. Parlando invece di “foibe” si intende descrivere le profondissime fosse scavate all'interno del terreno,simili ad abissali inghiottitoi, costruite durante e dopo questa guerra, ad opera delle truppe partigiane del generale “Tito”,nelle regioni della Dalmazia, Friuli Venezia Giulia e del Carso. Ebbene, lì, venivano gettati i cadaveri di donne, uomini, bambini ed anziani (per lo più d'origine italiana) e ahimè, in moltissimi casi,venivano anche lanciati vivi e lasciati morire per la caduta, la paura e il freddo. Capirai, caro diario,che sono rimasta impressionata se non scioccata da questo, così,l'altra notte,mi rigiravo nel letto e ci pensavo continuamente, fino a che il sonno prese il sopravvento ed è a questo punto che accade qualcosa di misterioso e si, perché no, di magico. All'improvviso ero in soffitta a sistemare un vecchio baule pieno di giocattoli, quando tutto ad un tratto, corse verso di me una bambina. Avrà avuto all'incirca otto anni, era l'immagine della tristezza: viso pallido e smagrito, capelli corti su cui pareva esserci solo un accenno dei boccoli che, probabilmente, un tempo incorniciavano un viso paffuto e tondo, gli occhi incavati e spenti davano vita a uno sguardo triste e malinconico ma sorprendentemente familiare e nelle sue mani piccole e ossute reggeva una rosa color pesca. Mi prese la mano e io la seguii.

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SHOAH E FOIBE ricordare perchè non accada di nuovo

Pescara, 5 dicembre 2010Caro diario,Hai ragione amico mio,è da molto che non ti scrivo,ma oggi devo assolutamente raccontarti ciò che mi è successo,o meglio,credo sia successo.L'altro giorno, a scuola,con la professoressa di storia, si stava parlando della seconda guerra mondiale e dei massacri della “shoah” e delle “foibe”.Con il termine “shoah”,adottato solo recentemente, si fa riferimento al genocidio compiuto dai nazisti, durante il regime totalitario,all'interno dei “campi di concentramento”, nei quali morirono,barbaramente,oltre a sei milioni di ebrei,moltissime persone tra rom, testimoni di Geova,malati (fisici e mentali)e purtroppo, tanti altri ancora. Parlando invece di “foibe” si intende descrivere le profondissime fosse scavate all'interno del terreno,simili ad abissali inghiottitoi, costruite durante e dopo questa guerra, ad opera delle truppe partigiane del generale “Tito”,nelle regioni della Dalmazia, Friuli Venezia Giulia e del Carso. Ebbene, lì, venivano gettati i cadaveri di donne, uomini, bambini ed anziani (per lo più d'origine italiana) e ahimè, in moltissimi casi,venivano anche lanciati vivi e lasciati morire per la caduta, la paura e il freddo.Capirai, caro diario,che sono rimasta impressionata se non scioccata da questo, così,l'altra notte,mi rigiravo nel letto e ci pensavo continuamente, fino a che il sonno prese il sopravvento ed è a questo punto che accade qualcosa di misterioso e si, perché no, di magico.All'improvviso ero in soffitta a sistemare un vecchio baule pieno di giocattoli, quando tutto ad un tratto, corse verso di me una bambina. Avrà avuto all'incirca otto anni, era l'immagine della tristezza: viso pallido e smagrito, capelli corti su cui pareva esserci solo un accenno dei boccoli che, probabilmente, un tempo incorniciavano un viso paffuto e tondo, gli occhi incavati e spenti davano vita a uno sguardo triste e malinconico ma sorprendentemente familiare e nelle sue mani piccole e ossute reggeva una rosa color pesca. Mi prese la mano e io la seguii.Uscite dalla mansarda, non c'erano più le scale di casa mia,

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ma un altro mondo, un'altra realtà. Non ricordo con precisione dove fossimo, ma sono certa che eravamo in uno di quei campi. Un immagine bianca e nera ero lo scenario che mi si aprì davanti, a partire dal filo spinato che circondava l'edificio, ai volti dei tantissimi che vi erano all'interno, l'unico colore era dato da quella delicatissima rosa color pesca della mia amica. Come un'unica pennellata di colore in una monocromia di grigio. Mi condusse vicino ad una costruzione in mattoni e lì mi raccontò un po' di sé.Mi rivelò che in realtà lei era la sorellina più piccola di mia nonna ed io pensai a quanto fosse buffo il fatto che una nipote fosse più grande della propria zia. Mi spiegò che tutta la nostra famiglia all'epoca viveva nella zona di confine tra Francia e Germania, loro erano ebrei e gestivano una famosa boutique d'alta moda, ma con l'avanzata dei regimi totalitari e l'approvazione in Parlamento delle “leggi fascistissime”, si ritrovarono a perdere tutto fino a quando lei e parte della sua famiglia furono condotti in questi luoghi. Ribadì più volte che solo una parte della sua famiglia fu portata lì, poiché i suoi fratelli dopo il matrimonio di mia nonna fuggirono in Italia, ma mentre mia nonna riuscì a salvarsi, i miei zii furono coinvolti in un' altra strage, quella della città di Fiume del 1947, e caddero vittime proprio all'interno di queste foibe. Al pensiero della nostra famiglia ci si riempirono gli occhi di lacrime e l'unica cosa che potetti fare era solo offrirle la mia mano. Tirò su col naso e mi portò al centro del campo e da dietro una colonna mi mostrò quella che era successo esattamente settant'anni fa: un ufficiale tedesco dall'aria austera e fredda spogliò tutti i bambini, tra i quali c'era mia zia, e gli ordinò di entrare in un edificio per fare una “doccia”. In quell'istante la rosa cadde a terra e una lacrima segnò il suo volto. Nessun bambino uscì da lì, e capì che così mia zia era morta. I suoi occhi non avrebbero più brillato, i suoi boccoli non sarebbero più ricresciuti, lei non sarebbe mai più diventata grande.All'improvviso mi svegliai, ero nel mio letto, nella mia stanza, non c'era più nessuna bambina, nessun campo, nessun ufficiale o filo spinato, niente di niente,da fuori si sentivano le macchine passare e dalla cucina provenire un ottimo odore di cioccolata. Scesi dal letto,alzai la serranda e quando mi voltai vidi sul mio comodino un mazzo di rose color pesca, la stessa tonalità della rosa di mia zia. Una fitta mi colpì lo stomaco,quasi non riuscivo a parlare. Poco dopo

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mia mamma entrò con la colazione, cantando per farmi gli auguri. Oh amico mio, era il mio compleanno!! Me ne ero proprio dimenticata!! Chissà forse mia zia voleva darmi gli auguri o semplicemente è stato un desiderio del mio inconscio, questo non potrò mai saperlo, ma mi ha fatto riflettere sul fatto che forse non siamo noi a scegliere se e cosa sognare, semplicemente ci ritroviamo in un sogno senza comprenderne il motivo.Caro diario, forse questa bambina non era davvero mia zia o addirittura non è mai esistita, ma la sua storia e quella della sua famiglia è simile a tante altre che purtroppo non sono solo un sogno, ma sono accadute davvero e ancora oggi sono sepolte sotto la polvere, le macerie e le fosse.