SUSSIDIO FORMATIVO PER RAGAZZI & RAGAZZE

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SUSSIDIO FORMATIVO PER RAGAZZI & RAGAZZE C’è Qualcuno che può cambiare la tua vita… ti viene a cercare per incontrarti in una e tante stazioni del tuo “viaggio” A cura di CARMEN RASORI DAVIDE RIZZO e GIUSEPPE ROSAFIO

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SUSSIDIOFORMATIVOPER RAGAZZI& RAGAZZE

C’è Qualcunoche può cambiare

la tua vita…ti viene a cercare

per incontrartiin una e tante

stazionidel tuo “viaggio”

A cura di CARMEN RASORIDAVIDE RIZZOe GIUSEPPE ROSAFIO

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Pensando alla tematica proposta per ilcammino formativo dell’anno – Un incontro che cambia la vita – ci è tornato alla mente unrecital realizzato anni addietro da uno dei nostriOratori, che riproponeva sul palcoscenicol’opera di Le Mouël Dio nella Metropolitana(Dehoniane 1989). La storia ci è sembrataessere particolarmente significativa rispetto altema: Dio prende l’iniziativa e viene adincontrarci in vari modi nella vita quotidiana; apartire da questo incontro, noi possiamoripartire, incamminandoci con determinazionesulla via della santità, che si realizza inatteggiamenti concreti. Dio ci incontra in ognisituazione, cogliendo tutte le occasioni per farecapolino nella nostra vita.

Proprio la vita ci sembra ben rappresentatadalla metafora della metropolitana e delviaggio. Ci siamo così lasciati liberamenteispirare dall’opera di Le Mouël.

Il percorso presentato è così scandito:un’introduzione, cinque unità e unaconclusione.

Il prologo introduce nella storia. Le unità di lavoro sono legate ad alcuni

atteggiamenti che esprimono nella quotidianitàil “divenire santi” (dato che la santità ècammino perenne): donarsi, testimoniare,condividere, impegnarsi, progettare la Vita.

Per ogni unità è stata scelta o adattata o

“quasi” inventata una tappa del viaggio di Dionella metropolitana di Roma, che, nella nostraversione, dura in tutto un giorno. Già la storiaavrebbe potuto di per sé costituire lo stimolosufficiente per impostare una tappa delpercorso. Ci è parso tuttavia utile offrire altromateriale, quantomeno come suggestione, chepossa servire per impostare l’attività ol’approfondimento.

Per ogni unità vengono perciò presentati: unpersonaggio in genere noto, che sia significativorispetto all’atteggiamento preso inconsiderazione (Una vita cambiata…dall’incontro con Dio); una canzone (Pensieriin musica) e un film (Ciak… si pensa!) chepossano suscitare riflessione, dialogo econfronto; uno o più brani della Parola di Dio(Parola di vita) da proporre come chiave dilettura dell’intera unità; alcune attività dasvolgere in gruppo (Laboratorio); alcuni spuntiper la preparazione di momenti di preghiera ecelebrazioni (Un incontro celebrato). Ognistrumento proposto è introdotto da una brevefrase che esprime l’ottica che lo legaall’atteggiamento preso in considerazionedall’unità e che può servire da orientamento perla riflessione.

L’epilogo è l’espediente per ribadire che nonsolo l’incontro con Dio in Cristo Gesù è possibileanche per i ragazzi ma che, anzi, è soprattuttoper loro, chiamati a diventare santi. Non solo: èanche l’occasione per condividere unimportante urgenza educativa: impegnarsi perfacilitare – e non ostacolare – il consapevoleincontro fra Dio e i ragazzi.

Infine, il perché del titolo. ProssimaStazione… vuole esprimere la certezza che Dioci viene incontro in ogni momento della nostravita, che ogni situazione, ogni esperienzapossono essere l’occasione per lasciarsi“cambiare”, per farci condurre per mano nelcammino di santità, che è cammino di felicità. Èlui che ci guida e ci sostiene, fino alla prossimastazione… e di stazione in stazione per tutta la“Linea” della nostra vita.

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Via della santità, via del quotidiano

Dio che si incarna, che viene a cercarci percondividere la nostra vita e indicarci, nella per-sona di Gesù, la via della felicità che è la via del-la santità: è questo il Mistero luminoso che ali-menta la nostra speranza!

La Storia: Dio nella Metropolitana

Quando Dio venne a sapere, tramite i suoiservizi speciali, che in una sola settimana nellametropolitana c’erano stati: un attentato, duefermate interminabili per guasto, tre tentativi disuicidio, quattro incidenti stupidi, cinque pe-staggi di immigrati di colore, sei litigi fra viag-

giatori, sette crisi nervose, otto attacchi cardia-ci, nove arresti di adolescenti, dieci dichiarazio-ni d’amore, una dozzina di promesse di matri-monio, una cinquantina di confidenze fra ami-ci, decine di conversioni, centinaia di azioni digrazie, migliaia di insulti e di spintoni, milionidi sospiri di stanchezza e di scoraggiamento, einnumerevoli atti di violenza subiti ogni giornodai poveri e da persone innocenti, giudicò che lasituazione cominciava a diventare seria e deci-se di fare una capatina per rendersi conto per-sonalmente di come andavano le cose. Partì inincognito, come sempre, lasciando a san Pietro,suo fedele collaboratore in paradiso, un brevis-simo messaggio: «Oggi non ci sono. Vado a fareun viaggetto e ad incontrare un po’ di gente,non preoccupatevi!».

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diva nel cuore un segreto: era stato lui a chia-marlo giù dall’albero, così come era successo aZaccheo, si era autoinvitato nella sua vita, an-nunciandogli e testimoniandogli la felicità cheDio promette e dona. E la sua vita era cambiata,perché aveva scoperto che la gioia è nel dare ciòche gratuitamente si è ricevuto. Aveva comin-ciato, insieme a questo amico, ad impegnarsiper i poveri, per i più bisognosi, ma anche, mol-to più semplicemente, a preoccuparsi di chi gliviveva accanto. Fu in quel modo che Dio gli fornìil biglietto per ripartire… e in quella circostan-za ebbe l’occasione, senza saperlo, di ricambiareil favore a Dio stesso.

Donare è decidere di perdere tutto per poter regalare felicità al prossimo…

Gianna Beretta nacque a Magenta (dioce-si e provincia di Milano) il 4 ottobre 1922, de-cima dei 13 figli dei coniugi Alberto Beretta eMaria De Micheli. Già dalla fanciullezza acco-glie con piena adesione il dono della fede e l’e-ducazione limpidamente cristiana, che ricevedagli ottimi genitori e che la portano a consi-derare la vita come un dono meraviglioso diDio, ad avere fiducia nella Provvidenza, ad es-sere certa della necessità e dell’efficacia della

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Diventare santi nel quotidiano:DONARSITutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo è dono: maturare questaconsapevolezza rappresenta il primo passo del cammino di crescita umana prima ancora che cristiana. Imparare a donare è imparare a vivere.

LA STORIA

UNA VITA CAMBIATA... DALL’INCONTRO CON DIO

Dio entrò nella stazione Cornelia, direzioneAnagnina. Senza farsi notare si era confuso trala folla. Per prendere la metropolitana ci volevail biglietto, e anche Dio doveva procurarselo co-me tutti. Davanti al distributore automatico siricordò di non avere neanche un soldo… avevasolo una carta di credito della Società di mutuosoccorso del Paradiso, ma, chiaramente, la mac-china non l’accettava. Dio si sentiva molto a di-sagio. Non poteva ripetere lì, nella metropolita-na, la scena del pesce che un giorno gli avevapermesso di pagare le tasse per sé e per gli apo-stoli… Avvenne allora un fatto meraviglioso an-che agli occhi di Dio, che non smetteva mai distupirsi di fronte alla bontà di cui son capaci gliuomini. Un operaio arrampicato su un ponteg-gio a parecchi metri dal suolo alzò gli occhi dal-la linea elettrica che stava riparando e disse al-legramente: «Amico, mi sembri proprio messomale. È capitato anche a me. Più di una volta.Prendi! Se questo può cavarti dai pasticci…». Egettò a Dio alcune monete. Dio raccolse le mo-nete, rimbalzata ai suoi piedi, e ringraziò l’elet-tricista che gli sorrideva dall’alto, come gli ave-va sorriso Zaccheo, arrampicato sul famoso al-bero. In quel sorriso Dio riconobbe una vecchiaconoscenza… si ricordò di averlo già incontra-to, non troppi anni prima. Lo aveva incontrato inun momento nel quale si trovava senza “bigliet-to”… per poter riprendere il “viaggio” della vita.Aveva avuto praticamente tutto: una famigliache lo amava, amici, divertimento. Ma niente loappagava, tutto gli sembrava dovuto, gli altri nonesistevano. Era arrivato ad essere così pieno dise stesso da non essere più neppure capace diricevere amicizia e amore. Cercava, nella dire-zione sbagliata, qualcosa che lo soddisfacesse,che lo facesse sentire davvero “vivo”. Dio si eraservito, per incontrarlo, di un giovane amico, ap-parentemente come tutti gli altri, ma che custo-

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lute cagionevole, trasferimenti della famiglia,malattia e morte dei genitori. Tutto questoperò non produce traumi o squilibri in Gianna,data la ricchezza e profondità della sua vitaspirituale, anzi ne affina la sensibilità e ne po-tenzia la virtù. Negli anni del liceo e dell’uni-versità è giovane dolce, volitiva, e riservata, ementre si dedica con diligenza agli studi, tra-duce la sua fede in un impegno generoso di a-postolato tra le giovani di Azione Cattolica e di

carità verso gli anziani e i bisognosi nelle Con-ferenze di San Vincenzo. Laureata in Medicinae Chirurgia nel 1949 all’Università di Pavia, a-pre nel 1950 un ambulatorio medico a Mesero(un comune del Magentino); si specializza inPediatria nell’Università di Milano nel 1952 epredilige, tra i suoi assistiti, mamme, bambini,anziani e poveri. Mentre compie la sua operadi medico, che sente e pratica come una «mis-sione», accresce il suo impegno generoso nel-l’Azione Cattolica, prodigandosi per le «giova-nissime» e, al tempo stesso, esprime con glisci e l’alpinismo la sua grande gioia di vivere edi godersi l’incanto del creato. Si interroga,pregando e facendo pregare, sulla sua vocazio-ne che considera anch’essa un dono di Dio.Scelta la vocazione al matrimonio, l’abbracciacon tutto l’entusiasmo e s’impegna a donarsitotalmente «per formare una famiglia vera-mente cristiana». Si fidanza con l’ing. PietroMolla e vive il periodo del fidanzamento, nellagioia e nell’amore. Ringrazia e prega il Signo-re. Si sposa il 24 settembre 1955 nella basilicadi San Martino in Magenta ed è moglie felice.Nel novembre 1956 è mamma più che felice diPierluigi; nel dicembre 1957, di Mariolina; nelluglio 1959, di Laura. Sa armonizzare, consemplicità ed equilibrio, i doveri di madre, dimoglie, di medico, e la gran gioia di vivere. Nelsettembre 1961, verso il termine del secondomese di gravidanza, è raggiunta dalla sofferen-za e dal mistero del dolore; insorge un fibromaall’utero. Prima del necessario intervento ope-ratorio, pur sapendo il rischio che avrebbecomportato il continuare la gravidanza, suppli-ca il chirurgo di salvare la vita che porta ingrembo e si affida alla preghiera e alla Provvi-denza. La vita è salva, ringrazia il Signore etrascorre i sette mesi che la separano dal par-to con impareggiabile forza d’animo e con im-mutato impegno di madre e di medico. Trepida,teme che la creatura in seno possa nasceresofferente e chiede a Dio che ciò non avvenga.Alcuni giorni prima del parto, pur confidandosempre nella Provvidenza, è pronta a donare lasua vita per salvare quella della sua creatura:«Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessunaesitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Sal-vate lui». Il mattino del 21 aprile 1962, dà allaluce Gianna Emanuela e il mattino del 28 apri-le, nonostante tutti gli sforzi e le cure per sal-vare entrambe le vite, tra indicibili dolori, dopoaver ripetuto la preghiera «Gesù ti amo, Gesùti amo», muore santamente. Aveva 39 anni. Isuoi funerali furono una grande manifestazio-ne unanime di commozione profonda, di fede e

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preghiera. La Prima Comunione, all’età di cin-que anni e mezzo, segna in Gianna un mo-mento importante, dando inizio ad un’assiduafrequenza all’Eucaristia, che diviene sostegnoe luce della sua fanciullezza, adolescenza egiovinezza. In quegli anni non mancano diffi-coltà e sofferenze: cambiamento di scuole, sa-

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di preghiera. Fu sepolta nel cimitero di Mese-ro, mentre rapidamente si diffondeva la famadi santità per la sua vita e per il gesto di amo-re e di martirio che l’aveva coronata.

«Meditata immolazione», così Paolo VI hadefinito il gesto della beata Gianna ricordando,all’Angelus domenicale del 23 settembre 1973,«una giovane madre della diocesi di Milanoche, per dare la vita alla sua bambina sacrifi-cava, con meditata immolazione, la propria». Èevidente, nelle parole del Santo Padre, il riferi-mento cristologico al Calvario e all’Eucaristia.È stata dichiarata santa da Giovanni Paolo II il16 maggio 2004.

Donare è la libertà di poter offrire qualcosa, senza sperare e pretendere niente in cambio…

Ti lascio una parola (goodbye)I NOMADI

Ti regalo le mie scarpe, sono nuove,prendi anche qualche libro, può servire, saprò alzarmi in volo e vedere dove sei, ti manderò a dire goodbye, ti regalo la mia giacca, ti sta bene, ti lascio una valigia, da riempire, ti lascio anche il mio numero,perché non si sa mai, ti lascio una parola goodbye, goodbye, my friend, goodbye, goodbye, goodbye, my friend.Quanti sogni, viaggi, colori, antichi rancori, e una fantasia, piena di amori, e andare contro vento, non è difficile lo sai, lo è, senza un saluto, casomai... goodbye, my friend, goodbye,goodbye, goodbye, my friend.. Saprò alzarmi in volo e vedere dove sei, ti manderò a dire goodbye goodbye, my friend, goodbye, goodbye, goodbye, my friend.. Quanti sogni, viaggi, colori, antichi rancori, e una fantasia, piena di amori, e andare contro il vento, non è difficile lo sai, lo è, senza un saluto, casomai... goodbye, my friend, goodbye, goodbye, goodbye, my friend... goodbye, my friend, goodbye, goodbye, goodbye, my friend, goodbye

Donare è saper vedere dove sta la verità e combattere per questo …

Koda, fratello orso (2004)

Verso la fine dell’Era Glaciale, tre fratelli I-nuit vengono attaccati da un orso che uccide ilmaggiore dei tre. Kenai, il più giovane, abbattel’orso ma viene trasformato magicamente in unesemplare dell’odiato plantigrado. Poiché De-nahi, l’altro fratello unico superstite dell’attac-co, è convinto che Kenai sia l’orso responsabiledella perdita della sua famiglia, quest’ultimo de-ve sfuggire alla sua caccia. L’unica speranza disalvezza che gli resta è unirsi a un cucciolo digrizzly, Koda, che mostra al suo nuovo amico ilvero significato della fratellanza.

Donare è lasciarsi trasformare dall’incontro con Dio e fare del dono ricevuto

un dono per gli altri…

Luca 19, 1-10

Entrato in Gèrico, attraversava la città. Ed ec-co un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubbli-cani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù,ma non gli riusciva a causa della folla, poiché e-ra piccolo di statura. Allora corse avanti e, perpoterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché do-veva passare di là. Quando giunse sul luogo, Ge-sù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendisubito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Ve-dendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad al-loggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzato-si, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do lametà dei miei beni ai poveri; e se ho frodatoqualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesùgli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questacasa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Fi-glio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a sal-vare ciò che era perduto».

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CIAK... SI PENSA!

PAROLA DI VITA

PENSIERI IN MUSICA

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qualsiasi tipo di attività di vendita per benefi-cenza, finalizzata ad aiutare concretamente unapiù persone che si trovano in una situazione didisagio e hanno bisogno di una mano per “ri-prendere il treno della vita”.

Idee per momenti celebrativi con riferimento ad un momento della Messa

La celebrazione dell’Eucaristia ci educa adun atteggiamento costante di gratitudine per idoni che abbiamo ricevuto e riceviamo ognigiorno da chi ci è accanto e soprattutto da DioPadre, che in Gesù e nello Spirito ci dona la pie-nezza della Vita. Dire “grazie” non è solo que-stione di buone maniere… per un cristiano è ilprimo modo per incamminarsi sulla via dellasantità. Si propone un gesto che, all’interno diun momento celebrativo, ha lo scopo di espri-mere gratitudine e di approfondire l’importanzadi fare dell’Eucaristia, come “ringraziamento”per eccellenza, l’atteggiamento caratteristicodella nostra esistenza.

Ad ogni ragazzo viene consegnato un carton-cino. I cartoncini devono essere predisposti performare, tutti insieme la parola “Grazie”. Dialo-gando con i ragazzi, si fa emergere il bisogno didirsi reciprocamente grazie per ciò che si è e sifa gli uni per gli altri e soprattutto di esprimere lapropria riconoscenza al Signore. I doni che ab-biamo ricevuto sono rappresentati da pastelli opastelli a cera: ad ogni ragazzo ne viene conse-gnato uno, possibilmente di colore diverso. Dopoaver letto e commentato il brano di Matteo 10,8 –«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamentedate» – , i ragazzi sono invitati ad esprimere ilgrazie attraverso un semplice gesto: a due a due,dopo aver espresso uno all’altro il motivo del lorograzie, reciprocamente, coloreranno con il pro-prio pastello una parte del cartoncino del compa-gno da ringraziare. Questa “operazione” verrà ri-petuta da ognuno con più compagni. Quando tut-ti i cartoncini saranno colorati, facendo risaltareil fatto che il grazie che ci diciamo a vicenda e ilgrazie che ci diciamo gli uni altri si alimentano avicenda, con tutti i cartoncini si comporrà, su unpannello predisposto il grande Grazie. Si invite-ranno poi i ragazzi ad esprimere ad alta voce i do-ni per cui vogliono ringraziare il Signore.

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LABORATORIO

UN INCONTRO CELEBRATO

Donare è cercare di vedere il prossimo come fratello e non come avversario

da sconfiggere…

Fulmine a gettoni

Due o più squadre, in base al numero dei ra-gazzi. Tutti gli animatori sono chiamati a fareda arbitro/giudice della gara. Numero di parteci-panti: minimo 20, massimo illimitato.

Materiale: gettoni colorati (fatti, ad esempio,col cartoncino).

Svolgimento del gioco: ad ogni membro dellasquadra è assegnato un certo numero di get-toni (solitamente 10). Scopo del gioco è riu-scire ad accumulare più punti, nel momentoin cui gli animatori ne decretano la fine (dopoun quarto d’ora di gioco, ad esempio). Ognigiocatore ha la facoltà di poter fermare l’av-versario, toccandolo, e di liberare un propriocompagno, consegnandogli un gettone in suopossesso. Nel momento in cui un giocatoreviene toccato da un avversario, deve rimanerefermo sul posto finché non viene liberato daun compagno.

I punti vengono assegnati guardando la situa-zione finale della squadre in campo: vengono as-segnati 10 punti per ogni persona libera, più unospeciale bonus (di cui i ragazzi all’inizio del gio-co non saranno a conoscenza) in base alla quan-tità di gettoni che sono in possesso dei giocatori:

• 0 gettoni: + 20 punti• 1 gettone: + 15 punti• 2 gettoni: + 10 punti• 3 gettoni: + 5 punti• 4 gettoni: + 3 punti• 5 o più gettoni: 0 punti

I ragazzi scopriranno, nel momento del con-teggio dei punti, che è importante sia riuscire anon farsi prendere dall’avversario che regalarela libertà agli altri, scoprendo con gioia la di-mensione del dono.

Un biglietto per ripartire

Si invita il gruppo ad organizzare una raccol-ta di fondi attraverso autotassazione oppure un

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Diventare santi nel quotidiano:TESTIMONIAREL’incontro con Dio trasforma,riempie di nuovo entusiasmo per la vita. Non è possibile tenere per sé una gioia così grande.Diventare testimoni del suo Amore…per contagiare il mondo!

LA STORIA

A Dio era andata bene. Grazie alle monete del-l’operaio aveva potuto iniziare il suo viaggio,procurandosi un biglietto giornaliero, in mododa poter andare e venire per tutto il giorno. Salìsu un convoglio che arrivò fischiando sulle rotaielucenti e in pochi secondi inghiottì la folla am-massata sul marciapiede. Si sedette e, osservan-do con attenzione ogni persona, arrivò al capoli-nea. Scese dalla vettura e si mise a sedere su u-na panchina della stazione. Era quasi mezzo-giorno e Dio cominciava ad avere i crampi allostomaco. In quel momento arrivò un uomo. Eraun tipo alla buona, di età indefinibile. Sedetteanche lui sulla panchina. A tracolla aveva unavecchia borsa scolorita che doveva aver fattomolta strada, come il suo padrone. Tirò fuori unabottiglia di vino rosso, di quello buono. Poi tiròfuori del pane e un pezzo di salame. Frugandonelle tasche, trovò un coltello, con cui aprì la bot-tiglia, tagliò il pane e affettò il salame. Stava co-minciando il suo pranzo, quando incontrò losguardo del vicino: doveva essere un barbone co-me lui, ma era senza dubbio alle prime armi. E-ra evidente che non sapeva cavarsela. «Nevuoi?» disse l’uomo mostrando il pane e il sala-me. Senza fare complimenti, Dio accettò. «Io michiamo Tiberio - disse l’uomo – e tu?». «Io michiamo Dio». Tiberio non batté ciglio. Ne avevaviste e sentite tante nella sua lunga vita sullastrada! Tra le sue conoscenza contava già unMaometto e un Budda. Non aveva problemi ametterci anche Dio. «E di nome?» chiese Tibe-rio, che nonostante tutto era rimasto un po’ im-pressionato da quel cognome. «Non ho un co-gnome», risposte Dio. «Ah, bene», disse Tiberio.La cosa gli sembrava un po’ strana, ma non volleinsistere. Terminato lo spuntino, raccolse gli a-vanzi e li ripose nella sua borsa, come fanno i po-veri dovunque, in tutti i paesi del mondo. Poichiese al suo vicino se poteva spostarsi un po’:

«È l’ora della siesta, che per me è sacra». Gentil-mente, Dio si spostò perché Tiberio potessesdraiarsi. E lo fece volentieri. Qualche minutodopo, Tiberio russava e sorrideva nel sonno. An-che Dio sorrise. In ogni caso, c’erano dei tipi ingamba in quella metropolitana: gente che non tiha mai visto e divide con te, fraternamente, quelpoco che ha. Dio annotò nella sua agenda il no-me di Tiberio, per essere sicuro di ricordarlo. Poisi alzò e prese il primo treno, ringraziando incuor suo tutte le persone che come Tibero sannocondividere senza problemi ciò che hanno. Un’o-ra dopo, Tiberio si svegliò. Aveva freddo e per ri-scaldarsi prese la bottiglia dalla sua borsa. Trovòla bottiglia incredibilmente piena, con un tapponuovo. Mise di nuovo la mano nella borsa e vitrovò una bella pagnotta fresca e croccante. Cre-dendo di sognare, Tiberio si stropicciò gli occhi.Più ci pensava e meno capiva. Alla fine dellospuntino era rimasto solo un pezzetto di pane.Cosa era successo? Fu allora che si ricordò diquello strano tipo con il quale aveva diviso ilpranzo, quel tale che con la massima serietà gliaveva detto: «Io sono Dio». Si ricordò dei discor-si che avevano fatto mentre mangiavano insie-me. E man mano che gli tornavano in mente lesue parole si sentiva di nuovo ardere il cuore. Ti-berio era turbato. Allora quello era veramenteDio! Riconobbe che a volte si facevano incontriproprio strani in quella metropolitana. Aveva le i-dee confuse, e perciò decise di andare a consul-tare “Budda” e “Maometto” che l’aspettavanotutti i giorni alla Stazione Termini. “Budda” a-scoltò Tiberio e rimase impassibile, come sem-pre. “Maometto” si limitò a ripetere più volte:

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«Dio è grande», secondo la sua abitudine. Tibe-rio era al punto di prima. Si ricordò allora di unvecchio prete che molte volte l’aveva tirato fuoridai pasticci. Andò da lui, ma non lo trovò. Chieseallora del suo sostituto e gli raccontò tutto. Il pre-te ascoltò distrattamente continuando a scarta-bellare le sue scartoffie. Gli disse che senz’altroaveva sognato, o aveva bevuto troppo. «Mi pren-de per matto», si disse scandalizzato Tiberio, ve-dendo che quell’uomo di Dio non gli credeva.Dunque si poteva dividere il proprio pane con u-no sconosciuto, su una panchina della metropoli-tana, ma non era possibile condividere un pizzi-co di fede nemmeno con un prete! Tiberio non e-ra un teologo, ma qualcosa sapeva anche lui. Co-nosceva i Vangeli: Cana, la moltiplicazione deipani… Sapeva distinguere un bel discorso di cir-costanza da una parola sgorgata dal cuore. Comemolti altri credeva soltanto a quello che vedeva.Ma questa volta dubbi non c’erano: il pane e il vi-no li aveva visti con i suoi occhi! Tiberio rimaseun po’ deluso quando vide che il prete non volevaproprio credergli. Lo salutò e in cuor suo lo scu-sò, dicendosi che forse non gli era mai capitato diincontrare Dio. Poi riprese il cammino. Un cam-mino che sarebbe stato diverso da prima, perchéadesso aveva un compagno. Mentre si incammi-nava gli disse, sicuro di essere ascoltato: «Mel’hai fatta bella, ma davvero bella!».

Testimoniare è annunciare con forza che Cristo è il dono più grande…

Giovanni Paolo II è il 264° Papa (263° Suc-cessore di Pietro). Karol Józef Wojtyla , eletto Pa-pa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920. Era il se-condo dei due figli di Karol Wojtyla e di EmiliaKaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratellomaggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suopadre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. A 9anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni ilsacramento della Cresima. Terminati gli studinella scuola superiore Marcin Wadowita di Wa-dowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagel-lónica di Cracovia. Quando le forze di occupazio-ne naziste chiusero l’Università nel 1939, il gio-vane Karol lavorò (1940-1944) in una cava e, inseguito, nella fabbrica chimica Solvay per poter-si guadagnare da vivere ed evitare la deportazio-

ne in Germania. A partire dal 1942, sentendosichiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di for-mazione del seminario maggiore clandestino diCracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, ilCardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo,fu uno dei promotori del “Teatro Rapsodico”, an-ch’esso clandestino. Dopo la guerra, continuò isuoi studi nel seminario maggiore di Cracovia,nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologiadell’Università Jagellónica, fino alla sua ordina-zione sacerdotale a Cracovia il 1° novembre1946. Successivamente fu inviato dal CardinaleSapieha a Roma, dove conseguì il dottorato inteologia (1948), con una tesi sul tema della fedenelle opere di San Giovanni della Croce. In quelperiodo, durante le sue vacanze, esercitò il mi-nistero pastorale tra gli emigranti polacchi inFrancia, Belgio e Olanda. Nel 1948 ritornò in Po-lonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchiadi Niegowic´, vicino a Cracovia, e poi in quella diSan Floriano, in città. Fu cappellano degli uni-versitari fino al 1951, quando riprese i suoi stu-di filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’U-niversità cattolica di Lublino una tesi sulla pos-sibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal

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UNA VITA CAMBIATA... DALL’INCONTRO CON DIO

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sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenneprofessore di Teologia Morale ed Etica nel semi-nario maggiore di Cracovia e nella Facoltà diTeologia di Lublino. Il 4 luglio 1958, il Papa PioXII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausi-liare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episco-pale il 28 settembre 1958 nella cattedrale delWawel (Cracovia), dalle mani dell’ArcivescovoEugeniusz Baziak. Il 13 gennaio 1964 fu nomi-nato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che locreò Cardinale il 26 giugno 1967. Partecipò alConcilio Vaticano II (1962-65) con un contribu-to importante nell’elaborazione della costituzio-ne Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyla preseparte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Ve-scovi anteriori al suo Pontificato. Dall’inizio delsuo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha com-piuto finora 144 visite pastorali in Italia e, comeVescovo di Roma, si è recato in 301 delle attuali334 parrocchie romane. I viaggi apostolici nelmondo – espressione della costante sollecitudi-ne pastorale del Successore di Pietro per tutte leChiese – sono stati finora più di 100.

Nessun Papa ha incontrato tante persone co-me Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali delmercoledì (oltre 1000) hanno partecipato finorapiù di 17 milioni e 119 mila 200 pellegrini, sen-za contare tutte le altre udienze speciali e le ce-rimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrinisolo nel corso del Grande Giubileo dell’anno2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nelcorso delle visite pastorali in Italia e nel mondo.

Siate testimoni! Un invito speciale del Papa rivolto a tutti i ragazzi

«Carissimi ragazzi e ragazze!Sono molto contento di trovarmi tra voi, che

oggi celebrate il vostro Giubileo. Grazie per l’en-tusiasmo con cui riempite di festa questa piazza,e grazie anche per il messaggio che avete volutoindirizzarmi. Vi saluto tutti con grande affetto.Cari ragazzi! Siete venuti a Roma dall’Italia edal mondo per stringere con Gesù un patto di a-micizia, sull’esempio di giovani santi quali Pan-crazio e Tarcisio, che qui hanno dato la loro vi-ta per rimanere fedeli a Cristo! La fatica e i di-sagi che avete dovuto affrontare vi hanno fattocapire che seguire il Vangelo richiede sacrificio,ma riempie di gioia. Cari ragazzi, cari giovani,questa mattina molti di voi, con i genitori e gliaccompagnatori, hanno partecipato alla Messagiubilare nella Basilica di San Pietro. Donando-si a voi nell’Eucaristia, Gesù vi ha rivelato che

la vita assume tutto il suo valore quando divie-ne un dono per gli altri. La testimonianza deisanti e dei martiri, che l’hanno venerato nellaCittà eterna, vi ha fatto comprendere che solocon Cristo è possibile compiere grandi cose e chesolo con Lui è possibile essere felici e rendere glialtri felici. Voi volete gridare a tutti la vostragioia per il dono che il Padre ci ha fatto invian-doci suo Figlio Gesù affinché divenisse nostrofratello. Testimoniate al mondo che, accogliendoGesù in mezzo a noi, è possibile fare dell’uma-nità una grande famiglia. All’inizio di un nuovoanno, cari bambini e giovani, non possiamo di-menticare tutti coloro che alla vostra età soffro-no a causa della fame e della violenza e quantisono vittime di forme orribili di sfruttamento.Come potremmo dimenticare i numerosi bambi-ni ai quali è negato perfino il diritto di nascere?Quando le persone vogliono edificare un mondoignorando Dio e la sua Legge, creano, di fatto, u-na situazione di ingiustizia e sofferenza sempremaggiori. Con il Giubileo, il Signore ci invita acorreggere questi errori, cooperando al grandepiano che ha elaborato per ogni persona e pertutta la razza umana. Gesù ha bisogno di voi persvolgere questo compito. Affida i suoi piani a voie vi chiede: desiderate essere miei amici? Deside-rate aiutarmi a rendere il mondo più bello e ac-cogliente? Desiderate essere testimoni del mio a-more per la Chiesa e per il mondo? Ditegli “sì”con entusiasmo e portate la gioia del Vangelo nelnuovo millennio. Miei cari ragazzi, voi sicura-mente ricorderete cosa accadde quando Gesù, al-l’età di dodici anni, durante il pellegrinaggio aGerusalemme, rimase nel Tempio. Maria e Giu-seppe lo trovarono a parlare con i dottori, sor-presi dalla sua intelligenza e dalle sue risposte(cf Lc 2, 47-48). Ricorderete anche come Eglistesso, essendo un instancabile predicatore del-l’amore di Dio per gli uomini, propose di fronteai discepoli i bambini come modello di quantiaccolgono il Regno di Dio (cf Mc 10, 14-15). So-no molto lieto della vostra presenza qui sullapiazza di San Pietro, perché in questo modo ren-dete la testimonianza che amate Gesù Cristo edesiderate camminare insieme con Lui durantela vita. Anche Egli vi ama e vuole aiutarvi. Egliintende i vostri desideri ed aspetta la vostra ri-sposta. Cari ragazzi e ragazze, voi siete la spe-ranza dell’umanità; che l’amore di Cristo, graziea voi, si estenda al vostro ambiente, alle vostrefamiglie e a tutto il vostro mondo. Vi affido allaprotezione della Madonna».

Dall’Angelus di Domenica 2 Gennaio 2000Giubileo dei Bambini

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Testimoniare è stare vicino agli altri per esprimere il proprio essere,

la propria volontà …

Io ci saròPIERO PELÙ

Ottimismo a colazione è quello che ci vuole dopo la notte che ho passato alla stazione se vedo umani attorno all’osso ad abbaiare ai cani forse è il momento giusto di saltare il fosso non abbassare lo sguardo con nessuno fuori dal brutto sogno con le mie idee non c’è bisogno babe di fare male voglio soltanto farmi rispettare io ci sarò con tutto il mio entusiasmo un’altra storia da vivere c’è ora io ci sarò con tutto il mio entusiasmo con tutta la rabbia che c’è in me in me c’è rabbia da dividere io mi vesto da assassino con il mio passato ho esagerato ma è più forte di me per ora lassù qualcuno mi ama e sento che mi chiama mi dice avanti non lasciarti andare mai disegna l’onda con cui poi tu giocherai non abbassare lo sguardo con nessuno tu puoi chiamarlo orgoglio è la mia idea non c’è bisogno babe di dimostrare ci basta solo farci rispettare io ci sarò con tutto il mio entusiasmo ci scambieremo lo sguardo e poi e poi io lo farò con tutto il mio entusiasmo un’altra storia da vivere c’è e c’è e c’è io lo farò lo farò lo farò con tutto il mioentusiasmo un’altra storia da vivere c’è io ci sarò ci sarò ci sarò io ci sarò con tutto il mio entusiasmo ci scambieremo lo sguardo e poi e poi e poi

Testimoniare è rendersi capaci di poter “cambiare” l’opinione degli altri

con il proprio atteggiamento…

Monsters & co. (2001)

Mostropoli è una città popolata da una folla dimostri di ogni forma e dimensione. La loro mag-giore fonte energetica è costituita dal ‘produrre’urla di spavento umane e la più grande centraledi raccolta e di trasformazione di queste urla inenergia è la “Monster & co”. Un’ampia scelta diporte fornite dalla fabbrica consente l’accesso almondo degli umani. Una squadra di mostri scel-ti varca queste porte per entrare nelle camere daletto dei bambini, spaventarli e raccogliere cosìle loro urla. I mostri però sono convinti che ibambini siano tossici e che un contatto direttocon loro potrebbe risultare catastrofico. Il capodella società, Henry J. Waternoose, è alle presecon una crisi energetica dovuta al fatto che ibambini non urlano più tanto facilmente comein passato. L’elemento migliore della compagniaè Sulley, un mostro di due metri e mezzo. Il suoassistente è un piccolo essere verdastro con unsolo occhio, di nome Mike. Sulley è molto popo-lare in fabbrica, e ha un solo nemico, il cama-leonte Randall, numero due della compagnia. U-na notte, mentre si trova al reparto Spaventi,Sulley scopre che una porta non è stata rimessaa posto. Aprendola, lascia che una bambina u-mana entri nel suo mondo. Impaurito per la tos-sicità dei bambini, Sulley cerca di rimediare mapeggiora le cose. Non trova la porta per riman-darla indietro, ma scopre che autore di tutto èRandall, ben deciso ad aggiudicarsi il titolo di“terrorizzatore” dell’anno. Randall ha anche e-scogitato un nuovo metodo per strappare le urlaai bambini e per metterlo in pratica ha l’aiuto diWaternoose che decide di esiliare sull’HymalayaSulley e Mike. Dopo molti rischi, i due fannoperò ritorno a Mostropoli, smascherano la cospi-razione e rimettono a posto le cose. Un po’ con-trovoglia, Sulley acconsente a rispedire a casa labambina, che lui ha chiamato Boo e a cui si è af-fezionato. La crisi energetica è superata graziealla scoperta che per produrre energia sono piùefficaci le risate dei bambini che non le urla. In-fine Mike ricostruisce la porta giusta, e così Sul-ley può di nuovo fare visita a Boo.

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PENSIERI IN MUSICA CIAK... SI PENSA!

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Testimoniare è stupirsi di fronte alle meraviglieche il Signore compie con e per noi,

come i servi di Cana e il ragazzo con i pani ed i pesci, e annunciarlo con la vita…

Giovanni 2, 1-12

Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Canadi Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitatoalle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nelfrattempo, venuto a mancare il vino, la madre

di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Ge-sù rispose: «Che ho da fare con te, o donna?Non è ancora giunta la mia ora». La madre di-ce ai servi: «Fate quello che vi dirà». Vi eranolà sei giare di pietra per la purificazione deiGiudei, contenenti ciascuna due o tre barili. EGesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare»; ele riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo:«Ora attingete e portatene al maestro di tavo-la». Ed essi gliene portarono. E come ebbe as-saggiato l’acqua diventata vino, il maestro ditavola, che non sapeva di dove venisse (ma losapevano i servi che avevano attinto l’acqua),chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono daprincipio il vino buono e, quando sono un po’brilli, quello meno buono; tu invece hai con-servato fino ad ora il vino buono». Così Gesùdiede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea,manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cre-

dettero in lui. Dopo questo fatto, discese aCafàrnao insieme con sua madre, i fra-telli e i suoi discepoli e si fermaronocolà solo pochi giorni.

Giovanni 6, 1-15

Dopo questi fatti, Gesù andò all’altrariva del mare di Galilea, cioè di Tiberìa-

de, e una grande folla lo seguiva, veden-do i segni che faceva sugli infermi. Gesùsalì sulla montagna e là si pose a sede-re con i suoi discepoli. Era vicina la Pa-squa, la festa dei Giudei. Alzati quindigli occhi, Gesù vide che una grande fol-la veniva da lui e disse a Filippo: «Dove

possiamo comprare il pane perché costoroabbiano da mangiare?». Diceva così per metter-lo alla prova; egli infatti sapeva bene quello chestava per fare. Gli rispose Filippo: «Duecento de-nari di pane non sono sufficienti neppure per-ché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disseallora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Si-mon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinquepani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo pertanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere».C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dun-que ed erano circa cinquemila uomini. AlloraGesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li di-stribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fe-ce dei pesci, finché ne vollero. E quando furonosaziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi a-vanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolse-ro e riempirono dodici canestri con i pezzi deicinque pani d’orzo, avanzati a coloro che aveva-no mangiato. Allora la gente, visto il segno che e-

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PAROLA DI VITA

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gli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi èdavvero il profeta che deve venire nel mondo!».Ma Gesù, sapendo che stavano per venire aprenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sullamontagna, tutto solo.

Testimoniare è riuscire ad essere persone coerenti nell’agire di tutti i giorni …

Processo al cristiano

I ragazzi sono suddivisi in due squadre, ac-cusa e difesa. Tutti gli animatori sono chiamatia fare la giuria del processo. Numero di parteci-panti: minimo 20, massimo illimitato.

Materiale: una sentenza.

Svolgimento del gioco: Occorre fornire ai ra-gazzi il profilo di un imputato, un cristiano. Inbase a questo profilo, l’accusa dovrà cercare difornire il maggior numero di prove per potercondannare l’imputato per la sua grave colpa,l’essere cristiano, appunto. La difesa, a suavolta, dovrà cercare in tutti i modi di trovarequalche elemento a sua discolpa. Nel profilofornito, quindi, occorrerà indicare sia atteg-

giamenti utili per l’accusa che elementi validiper la difesa. In questo modo i ruoli canonicidi accusa e difesa risultano essere invertiti.

Dopo un dibattito, più o meno lungo, la giu-ria dovrà formulare la sentenza. Si consiglia,per la sentenza, di prendere spunto da uno scrit-to di Tonino Bello, che dice: “Se essere cristianifosse un delitto e voi foste condotti in tribunaleaccusati di questo delitto, riuscireste a farvicondannare? Se essere cristiani fosse un delit-to e io fossi condotto in tribunale sotto l’accusadi questo delitto sarei assolto per insufficienzadi prove”. Questa sentenza darebbe luogo, in unsecondo momento, ad un nuovo dibattito (nelgruppo, non più all’interno del processo e, quin-di, senza accusa e difesa) sul ruolo del cristianocome testimone del vangelo.

10 motivi per essere cristiano

In gruppo elencare 10 buoni motivi per esse-re cristiano, argomentando le scelte fatte.

Idee per momenti celebrativi con riferimento ad un momento della Messa

Nell’Eucaristia, mensa della Parola e del Pa-ne, la Parola è “celebrata” come luogo di questoincontro. L’incontro con Gesù, Verbo fatto carne,ci fa ascoltatori e testimoni della Parola.

Proponiamo uno schema per un momentocelebrativo, che ha lo scopo di favorire anche u-na maggiore comprensione della Liturgia dellaParola vissuta durante la Messa.

1. Dargli il giusto posto nella propria vita - In-tronizzazione.

2. Mettersi in ascolto - Proclamazione.

3. Farla diventare Preghiera - Risonanza/Parola“pregata”.

4. Accoglierla come impegno di santità - Conse-gna della Parola (un brano, uno dei Vangeli ,il Nuovo Testamento) o “scelta” di una “Pa-rola” (versetto o brano) che sia guida nell’e-sperienza concreta.

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LABORATORIO

UN INCONTRO CELEBRATO

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Dio si trovava nella stazione Tiburtina. Si e-ra formato un capannello di gente intorno a ungiovane che non avendo il biglietto aveva supe-rato la barriera con un balzo ed era stato fer-mato da un poliziotto in borghese. Quest’ulti-mo aveva chiamato via radio una pattuglia dicolleghi e nel giro di qualche minuto l’uomoche poteva avere una trentina d’anni si era ri-trovato davvero nei guai. La gente che avevaassistito alla scena faceva i suoi commenti adalta voce, approvando i poliziotti che non ri-sparmiavano al malcapitato percosse e insulti.

Qualcuno arrivava persino a dire che bisognavafar piazza pulita al più presto di tutta questagentaglia. Dio diede un’occhiata a quelli che di-cevano queste cose. Erano persone per bene,“molto a posto”. La maggior parte di loro anda-va sicuramente a messa la domenica e si sfor-zava di dare ai propri figli una buona educazio-ne. Ma avevano mai sentito parlare del vangelodella misericordia? Dio non avrebbe saputo dir-lo. Il giovane non tentò neppure di giustificarsi– era rimasto senza lavoro e senza soldi, dove-va prendere la metropolitana per andare a cer-care un altro posto – e non disse una parola, difronte all’ostilità gelida delle persone che aveva

attorno. Dio era colpito e scandalizzatoda ciò che vedeva e sentiva. Si accani-

vano contro quel pover’uomo comeun tempo si erano accaniti contro dilui quando l’avevano trascinato da-

vanti a Pilato e a Caifa, addossando-gli tutte le colpe, tutti i mali dell’uma-

nità. Dio era sempre più sconvolto. Teseattentamente l’orecchio: possibile che quellagente non avesse un cuore? Avevano davverotutti un cuore di pietra? L’udito fine di Dio per-cepì finalmente un palpito di compassione, che

proveniva da una donna, che passava dilì per caso, ma aveva lasciato perderela fretta e la tentazione di farsi gli af-

fari propri di fronte ad una scena cosìpietosa. Dio la guardò con amore, e ba-

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Diventare santi nel quotidiano:CONDIVIDEREL’abitudine all’indifferenza e la tendenza a badare solo ai propriinteressi rischiano di atrofizzare in noi la capacità di metterci nei panni degli altri, l’attenzione a chi ci è accanto visto come fratello e amico, non come avversario.Imparare a condividere è il primo passo per costruire Famiglia, Comunità, Chiesa.

LA STORIA

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stò quello sguardo a dare alla donna la forza ne-cessaria per farsi avanti, mettere nelle manidell’accusato un biglietto, guardare bene negliocchi tutta la gente radunata attorno e dire:«Farei lo stesso per ciascuno di voi, se vi in-contrassi in una situazione simile». Poi se neandò di corsa al treno. Il gesto inaspettato ed e-nergico della donna lasciarono la piccola follanello stupore e nel silenzio. I poliziotti lasciaro-no la presa si consultarono brevemente e, dopoaver rincarato la dose di insulti e retorici av-vertimenti al giovane, se ne andarono via, invi-tando la gente a sgomberare. Rimase solo Dio,accanto al giovane che nessuno accusava più.Lo aiuto a rimettersi in sesto e gli disse soltan-to: «Coraggio, va’ anche tu, il treno non aspet-ta». Mentre il giovane saliva sul convoglio cheera appena arrivato, Dio pensò che quella don-na aveva compreso bene chi è il “prossimo” enon aveva esitato a farsi “buona samaritana”per quel malcapitato. Il suo cuore palpitava insintonia con il cuore di soffre o è in difficoltà inogni parte del mondo. E tutto ciò era più chesufficiente per commuovere anche Dio.

Condividere è lasciare che il Padre ci conduca a sentirci fratelli di tutti…

«Se la nostra religione è la verità, se il Van-gelo è la parola di Dio, noi dobbiamo credere epraticare. Potessimo noi esistere assolutamen-te e solo per far questo»

Charles de Foucauld nacque a Strasburgoil 15 settembre 1858. Orfano dei genitori a seianni, fu cresciuto dal nonno, che con simpatia egenerosità gli trasmise l’amore per la famiglia eper il proprio paese, la passione per gli studi eper il silenzio della natura. Nel 1876 si arruolònell’esercito, dove portò a termine gli studi al-l’Accademia di Cavalleria e nel quale percorseanche una breve carriera. Nel 1882 si congedòper partire all’esplorazione del Marocco. La spe-dizione risultò un avvenimento scientifico diimportanza tale da fruttargli la medaglia d’orodella Società di Geografia. Ma il successo nonacquietò il suo spirito. Scriveva: «Mi sono mes-so ad andare in chiesa, senza credere, trovan-domi bene soltanto lì e passando lunghe ore aripetere questa strana preghiera: Mio Dio, se e-sisti, fammiti conoscere». Non molto tempo do-

po incontrò l’abate Huvelin: le conversazionicon lui lo guidarono verso la conversione. Reca-tosi in pellegrinaggio in Terra Santa, maturò ladecisione di entrare nella Trappa di Nostra Si-gnora delle Nevi, in Francia. Poi fu in Siria, allaricerca di una vita più dura, e da lì passò a Na-zareth, dove per tre anni lavorò come giardinie-re presso il monastero delle Clarisse. A poco apoco sentì che amare Gesù è diventare fratellodi tutti nell’amore del Padre. Per questo accettòdi diventare prete. Scelse allora di ricominciaredal Sahara e si stabilì dapprima a Bèni-Abbès epoi, per vivere con i Tuareg, a Tamanrasset.Condividendo la loro vita, ne imparò la lingua,tradusse i loro poemi e diede alle stampe un im-

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UNA VITA CAMBIATA... DALL’INCONTRO CON DIO

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ponente dizionario illustrato. Tempo dopo, sentìla necessità di fondare una famiglia religiosa,incentrata sul Vangelo, sull’Eucaristia, sulla vi-ta apostolica. Ma tutto questo rimase solo undesiderio. Morì il 1° dicembre 1916, colpito dauna fucilata, durante una scaramuccia suscita-ta da ribelli dell’Hoggar.

Condividere è, nel simbolo delle mani,riuscire a mettere in gioco tutto di se stessi

nella relazione…

ManiEDOARDO DE CRESCENZO

Se sei un amico ti stringo la mano se chiedi un aiuto ti tendo la mano E prendi la mano, e dammi la mano e prendi la mano, e dammi la mano Il padre il bambino lo tiene per mano c’è tutto il destino in un palmo di mano Le mani, le mani che sanno parlare, che sanno guarire e che sanno pregare Le mani legate, le mani ferite, le mani, le mani pulite Le mani, le mani, le mani legate,

le mani ferite, le mani pulite Le mani, le mani, le mani legate, le mani ferite, le mani pulite Saluti ruffiani baciamo le mani caliamo i calzoni e in alto le mani Chi prende il potere allunga le mani chi sfugge al dovere se ne lava le mani Le mani, le mani, che sanno tradire, che sanno soffrire e che sanno sbranare Le mani spietate che danno la fine, le mani, le mani assassine Le mani, le mani, le mani spietate che danno la fine, le mani assassine Le mani, le mani, le mani legate le mani ferite, le mani pulite Apriamo le mani, le mani più avare che stringono ancora quei 30 denari Mettiamo le mani, le mani sul cuore più sono sincere e più danno calore Le mani, le mani, che sanno di mare, che sanno di terra, che sanno di pane Battiamo le mani per farci sentire, più forte le mani, le mani Le mani, le mani, che sanno di mare, che sanno di terra, che sanno di pane Le mani, le mani, che sanno di mare, che sanno di terra, che sanno di pane Le mani, le mani, le mani spietate che danno la fine, le mani assassine Le mani, le mani, le mani spietate che danno la fine, le mani assassine Le mani, le mani, le mani, le mani

Condividere è andare oltre le diversità…

L’era glaciale (2002)

Pianeta Terra, ventimila anni fa. Mentre unaglaciazione terribile sta decimando gli abitantidella terra, il bradipo Sid e il mammut Manfred– Manny per gli amici – si imbattono in un cuc-ciolo d’uomo abbandonato, Roshan. Cercheran-no di riportarlo al padre nonostante l’ambiguitàdell’unico carnivoro del gruppo: Diego, tigre si-beriana dalle zanne lunghe. Dopo una serie divicissitudini, i tre condivideranno un’avventurasplendida in mezzo ai ghiacci, riuscendo a met-tere insieme le loro diversità e portando a ter-mine la loro “missione”.

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PENSIERI IN MUSICA

CIAK... SI PENSA!

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Condividere è farsi prossimo di chi ci passa accanto, vincendo qualsiasi

pregiudizio e sporcandosi le mani…

Luca 10, 25-37

Un dottore della legge si alzò per metterlo al-la prova: «Maestro, che devo fare per ereditarela vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa stascritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costuirispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto iltuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta latua forza e con tutta la tua mente e il prossimotuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto be-ne; fa’ questo e vivrai». Ma quegli, volendo giu-stificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossi-mo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Ge-rusalemme a Gèrico e incappò nei briganti chelo spogliarono, lo percossero e poi se ne anda-rono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sa-cerdote scendeva per quella medesima strada equando lo vide passò oltre dall’altra parte. An-che un levita, giunto in quel luogo, lo vide epassò oltre. Invece un Samaritano, che era inviaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbecompassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le fe-rite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo soprail suo giumento, lo portò a una locanda e si pre-se cura di lui. Il giorno seguente, estrasse duedenari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbicura di lui e ciò che spenderai in più, te lorifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre tisembra sia stato il prossimo di colui che è in-cappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi haavuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’e anche tu fa’ lo stesso».

Condividere è non lavarsene le mani …Matteo 27, 11-26

Gesù intanto comparve davanti al governa-tore, e il governatore l’interrogò dicendo: «Seitu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici».E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e glianziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato glidisse: «Non senti quante cose attestano controdi te?». Ma Gesù non gli rispose neanche unaparola, con grande meraviglia del governatore.Il governatore era solito, per ciascuna festa di

Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, aloro scelta. Avevano in quel tempo un prigio-niero famoso, detto Barabba. Mentre quindi sitrovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi voleteche vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cri-sto?». Sapeva bene infatti che glielo avevanoconsegnato per invidia. Mentre egli sedeva intribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non a-vere a che fare con quel giusto; perché oggi fuimolto turbata in sogno, per causa sua». Ma isommi sacerdoti e gli anziani persuasero lafolla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.Allora il governatore domandò: «Chi dei duevolete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Ba-rabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque diGesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero:«Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma chemale ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia cro-cifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla,anzi che il tumulto cresceva sempre più, presadell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla:«Non sono responsabile, disse, di questo san-gue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose:«Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i no-stri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopoaver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai solda-ti perché fosse crocifisso.

Condividere è affrontare con il prossimole difficoltà della vita…

Sopravvivere nel deserto

Prendendo spunto dalla vicenda di De Fou-cauld, si propone al gruppo di immaginare unasituazione ai limiti della sopravvivenza nel de-serto. A ciascuno è data la possibilità di “sce-gliere” tre cose che gli possano essere utili persopravvivere. Ogni scelta va chiaramente moti-vata. I ragazzi dovranno lavorare nella stessastanza ed è ammesso il confronto e il dialogo. Glianimatori dovranno sì agire da facilitatori, masenza sottolineare in maniera esplicita il fattoche l’esperienza di immaginazione prevede chesiano insieme ad affrontare la situazione. Do-vrebbero essere i ragazzi a rendersi conto dellacosa. Non si esclude che non lo arrivino neppu-re a pensare... Nella fase conclusiva di dialogo,oltre a ragionare su ciò che i ragazzi hanno rite-

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PAROLA DI VITA

LABORATORIO

Page 18: SUSSIDIO FORMATIVO PER RAGAZZI & RAGAZZE

nuto indispensabile, il confronto si concentreràsull’importanza e l’efficacia di affrontare diffi-coltà e crisi insieme, dando ciascuno il propriocontributo, senza egoismi e pregiudizi.

Mosaico collettivo

Attraverso una delle tante tecniche di mo-saico (con carta crespa a pallini, con i giorna-li, con i sassi, con bottoni o altri materiali,ecc.), il gruppo realizza un grande pannello (ilsoggetto potrà essere un disegno significativoo anche una frase o una parola) che poi verràesposto in un luogo d’uso comune (per esem-pio il salone dell’oratorio) con in evidenza lefirme di ciascuno dei ragazzi che ha contribui-to a realizzarlo. Nella fase di realizzazione èfondamentale che ognuno abbia la possibilitàdi “fare” qualcosa, con la consapevolezza che illavoro del singolo è determinante per la riusci-ta del lavoro di tutti.

Idee per momenti celebrativi con riferimento ad un momento della Messa

In diversi momenti della celebrazione euca-ristica viene messo in evidenza l’atteggiamento

della condivisione. Lo scambio del segno dellapace è particolarmente espressivo, anche sespesso viene vissuto superficialmente, se nonbanalizzato. Si propone uno schema di momen-to celebrativo finalizzato, oltre a sintetizzare ilpercorso tracciato dall’unità di lavoro, a valoriz-zare tale gesto nel contesto della Messa.

1. Presentazione del simbolo: le mani, la vita diciascuno come dono ricevuto e da offrire aglialtri. Ad ognuno viene consegnata la sagomadi una mano su cartoncino.

2. Suggestione: Canzone “Le mani” (De Cre-scenzo)

3. Momento di silenzio e riflessione personalesu traccia proposta.

4. Ascolto della Parola di Dio: La mano inaridita(Mc 3, 1-5). Il Signore rende le mie mani ca-paci di condividere.

5. L’incontro con la Parola mi cambia… cosaposso donare con le mie mani? Ognuno scri-ve sulla sagoma della mano ciò che può con-dividere, mettere a disposizione degli altri.Le sagome vengono incollate su un cartello-ne posto in luogo visibile.

6. Gesto conclusivo: uno scambio della pace ve-ro… attraverso una stretta di mano che hatutto il significato del mettere in gioco il me-glio di se stessi per il bene di tutti.

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UN INCONTRO CELEBRATO

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Diventare santi nel quotidiano:IMPEGNARSIIl disimpegno, l’incostanza, la noia hanno spesso origine nell’incapacità di prefigurarsi obiettivi, di avere sogni realistici e felici. Imparare a “sognare” con i piedi per terra e il cuore rivolto al cielo e a mantenere con costanza l’impegno nel realizzare i propri ideali sono la concretissima via della santità.

LA STORIA

Scendendo al Colosseo, Dio aveva incontratocinque comitive di turisti provenienti ciascunada un continente diverso. Si era compiaciutotra sé della varietà e dell’originalità dell’uma-nità. Aveva poi deciso prendere la Metropolita-na in direzione opposta. Salì e rimase in pieditra una giovane commessa che leggeva una ri-vista e un impiegato di banca che divorava l’ul-timo giallo. Il convoglio si avviò, stracarico. Fuuna partenza così brusca che la giovane com-messa si ritrovò in pieno intrigo poliziesco el’impiegato di banca alla pagina 18 di Confiden-ze, col naso sull’oroscopo del mese. Si era tantostretti che non era possibile muoversi. L’impie-gato di banca era talmente immerso nella lettu-ra che rischiò di non accorgersi della sua fer-mata. Ma Dio era vicino a lui: gli fece cenno di-screto e l’uomo scese in fretta dopo aver chiusoa malincuore il libro. Per conoscere il seguito a-vrebbe dovuto aspettare fino a sera. Nel frat-tempo, per tutta la giornata, avrebbe allineatocifre, interminabili colonne di cifre al computer.Avrebbe avuto il tempo di sognare? In realtà,molti sogni animavano il cuore e la mente del-l’impiegato: piccoli sogni – una macchina nuo-va, imparare a giocare bene a tennis… – egrandi sogni – il figlio che la moglie portava ingrembo, la serenità della sua famiglia, la gioiadi stare con gli amici, la soddisfazione nel lavo-ro. Prendere la metropolitana, la monotonia del-la routine quotidiana, la stanchezza… eranotutti piccoli tasselli, insignificanti di per sé, mapieni di importanza se messi in relazione al so-gno da realizzare. Dio si rallegrò nel constatareche le persone non avevano smesso di sognaree che, soprattutto, con costanza ce la mettevanotutta per realizzare i loro sogni. In cuor suo, siripromise di assicurare all’impiegato un sup-plemento di Fede, Speranza e Amore, per poteressere fedele ai suoi sogni e, perciò, ai suoi im-

pegni. Alla stazione successiva anche la giova-ne commessa si preparò a scendere e mise viala sua rivista con un sospiro perché il romanzoa puntate che aveva iniziato a leggere comin-ciava ad appassionarla. Aveva letto con atten-zione il suo oroscopo, ma questo non diceva chela realtà della sua vita sarebbe diventata benpresto più appassionante del romanzo. Dio losapeva. Sapeva che Antonio, il ragazzo con cuilei usciva da qualche tempo, quella sera le a-vrebbe detto che l’amava. Per il momento eraancora un segreto e Dio ha il più grande rispet-to per i segreti, specialmente quando si trattadei segreti del cuore. Anche lei amava Antonio,anche se non aveva il coraggio di dirlo neppurea se stessa. È incredibile come da un incontrocasuale possa nascere un amore… Sì, perché sierano incontrati proprio in una stazione dellaMetropolitana! Ma, siccome il caso non esiste –e Dio lo sapeva bene - dopo quell’incontro cen’erano stati molti altri. Giorno dopo giorno sierano conosciuti, avevano scoperto affinità edifferenze, avevano condiviso progetti e timore.Entrambi avevano cercato di dare il meglio diloro stessi in questa amicizia tanto desiderata esincera. E adesso, per entrambi – anche se leinon osava neppure pensarlo – era arrivato ilmomento di mettersi ancor di più in gioco e dicominciare a chiamare il loro stare bene insie-me Amore, non solo amicizia. Era solo l’ini-zio… ma di una avventura coinvolgente esplendida. Dio si disse che la vita riserva sem-

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pre molte più sorprese che l’oroscopo… Prose-guendo nel viaggio, osservò con attenzione o-gni persona, scoprendo, dietro ogni volto, sognie desideri che via via diventavano vita, con lacostanza e l’impegno quotidiani.

Impegnarsi è faticare e lavorare per il bene degli altri, trovando la propria gioia

nel donare loro la felicità…

Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 a-prile 1901. Suo padre è Ambasciatore d’Italia aBerlino e fondatore della “Stampa” di Torino. Lasua vita si caratterizza per una scelta radicale:amare Dio nei più poveri. Su e giù per Torinosempre a piedi, perché i soldi del tram li dava inelemosina. E poi di corsa nelle farmacie percomprare le medicine per i suoi ammalati. Ungiovane bello, felice, sorridente, sportivo, impe-

gnato, un giovane innamorato di Cristo. Ha sa-puto aprire gli occhi, staccarsi dal solito “andaz-zo”, non si è fatto condizionare dalla vita quoti-diana ricca di trappole e di illusioni, ma ha sa-puto offrire se stesso per cercare le cose più ne-cessarie della vita, testimoniando con il suo e-sempio di santità che anche un persona comunepuò farsi santo! Pier Giorgio fa suo il motto del-la Gioventù Cattolica: Preghiera, Azione, Sacrifi-cio. Pier Giorgio trova in queste tre parole lospecchio del suo modo di essere. Egli è davveroun uomo di preghiera, in continuo colloquio conDio nelle liturgie comunitarie e nel segreto del-la sua camera. È un uomo di azione, per cui leparole contano per quello che significano e,quando sono inutili, sceglie di tacere. È un uomodi sacrificio, che non esita di fronte alla rinunciadi qualcosa se ciò gli permette di servire Dio, difare del bene. Pier Giorgio vive non senza fatical’esperienza dello studio. Lo affronta con grandeserietà. Ha scelto ingegneria mineraria perchédesidera stare al fianco dei lavoratori tra i piùsfruttati e meno garantiti dell’epoca, iminatori. Qualcuno gli ricorda che, essendo luiun “signore”, potrebbe anche fare a meno di stu-diare. È vero, ma la risposta è: “No, io sono po-vero come tutti i poveri. E voglio lavorare per lo-ro”. È consapevole che per fare bene un mestie-re occorre competenza. Studiare per servire:vuole entrare nel mondo del lavoro pronto a farela sua parte. Per realizzare il mondo più giustoche sogna, e battersi per la promozione degli u-mili e dei poveri, occorre avere una seria profes-sionalità. Lo studio perciò è per lui un doveresentito dentro di sé, che diventa impegno con-vinto e, spesso, energico, fatto anche di rinuncee di sacrifici. Il filo che unisce tutta l’esistenzadi Pier Giorgio è la dedizione ai poveri: farsi inquattro per gli amici, cercando gli alloggi per gliuniversitari di fuori Torino e spesso pagando luigli affitti, regalando loro i libri di studio con lascusa che “li ha doppi”; arrivare all’Ambasciatadi Berlino, in un clima polare, senza cappottoperché l’ha regalato a chi non l’aveva; farsi farein fretta da un’amica il corredino indispensabileper un neonato venuto alla luce in un sottosca-la. Quando era ad un passo dalla Laurea in Inge-gneria mentre assisteva alcuni ammalati, PierGiorgio si ammala improvvisamente. Era mortada poco la nonna e i suoi genitori come al solitolo rimproveravano per essersi ammalato proprioquando bisognava darsi da fare per i funeralidella nonna stessa. Pier Giorgio questa volta nonscherza, è ammalato sul serio, peggiora di ora inora, all’insaputa di tutti vive il dramma dellamorte. Nel giro di due giorni è completamente

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UNA VITA CAMBIATA... DALL’INCONTRO CON DIO

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paralizzato per una poliomelite fulminante, con-tratta nell’assistere i malati; in poche ore, senzache ci si possa rendere conto di ciò che sta peraccadere Pier Giorgio muore. È il 5 luglio 1924.Ai suoi funerali c’è tutta Torino. Famiglie intere,anziani, bambini, giovani. I genitori di Pier Gior-gio, sgomenti dal dolore, restano sorpresi.

Impegnarsi è essere capaci di sognare e di darsi da fare per realizzare i propri ideali…

Sogna, ragazzo, sognaROBERTO VECCHIONI

E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte; ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte; io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero, e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo. Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro; stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento; copri l’amore, ragazzo, ma non nasconderlo sotto il mantello; a volte passa qualcuno, a volte c’è qualcuno che deve vederlo. Sogna, ragazzo, sogna quando sale il vento nelle vie del cuore, quando un uomo vive per le sue parole o non vive più; sogna, ragazzo, sogna, non cambiare un verso della tua canzone, non fermarti tu... Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre; perché hai già vinto, lo giuro, e non ti possono fare più niente; passa ogni tanto la mano su un viso di donna, passaci le dita; nessun regno è più grande di questa piccola cosa che è la vita E la vita è così forte

che attraversa i muri senza farsi vedere la vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare; la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire, pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire. Sogna, ragazzo, sogna, quando lei si volta, quando lei non torna, quando il solo passo che fermava il cuore non lo senti più; sogna, ragazzo, sogna, passeranno i giorni, passerà l’amore, passeran le notti, finirà il dolore, sarai sempre tu... Sogna, ragazzo, sogna, piccolo ragazzo nella mia memoria, tante volte tanti dentro questa storia:non vi conto più; sogna, ragazzo, sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu.

Impegnarsi è capire i sogni per i quali vale veramente la pena faticare…

Quattro sotto zero (1993)

Quattro atleti giamaicani sfidano la sorte ga-reggiando in occasione delle Olimpiadi di Cal-gary (Canada) in qualità di corridori di bob. Conrisorse esigue e con nessuna esperienza, com-piere l’impresa per questo gruppo di “ragazzidei tropici” si prospetta faticoso. Nonostantetutto, Derice Bannock, Sanka Coffie, Yul Bren-ner e Junior Bevil si recano nella fredda Calgaryper competere sul ghiaccio. I quattro giamaica-ni si assicurano la cooperazione di un ex cam-pione americano di nome Irv che cede alla ten-tazione di allenare un team “di semi-disperati’.

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PENSIERI IN MUSICA

CIAK... SI PENSA!

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Il suo compito non è facile: Irv prende l’incaricoseriamente ed è determinato a trasformare ilquartetto in un team di campioni. Il percorso èpieno di imprevisti, ma i sogni dei ragazzi fini-scono con il realizzarsi grazie all’orgoglio, alladeterminazione e alla dignità di cui sono ricchi.

Impegnarsi è non sotterrare i propri talenti ma farne il primo passo per la realizzazione

dei veri sogni…

Matteo 25, 14-30

Avverrà come di un uomo che, partendo perun viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loroi suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un al-tro due, a un altro uno, a ciascuno secondo lasua capacità, e partì. Colui che aveva ricevutocinque talenti, andò subito a impiegarli e neguadagnò altri cinque. Così anche quello che neaveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Coluiinvece che aveva ricevuto un solo talento, andòa fare una buca nel terreno e vi nascose il de-naro del suo padrone. Dopo molto tempo il pa-drone di quei servi tornò, e volle regolare i con-ti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque ta-lenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signo-re, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, neho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono efedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedelenel poco, ti darò autorità su molto; prendi partealla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi co-lui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signo-re, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne hoguadagnati altri due. Bene, servo buono e fede-le, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel po-co, ti darò autorità su molto; prendi parte allagioia del tuo padrone. Venuto infine colui che a-veva ricevuto un solo talento, disse: Signore, soche sei un uomo duro, che mieti dove non haiseminato e raccogli dove non hai sparso; perpaura andai a nascondere il tuo talento sotter-ra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servomalvagio e infingardo, sapevi che mieto dovenon ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;avresti dovuto affidare il mio denaro ai ban-chieri e così, ritornando, avrei ritirato il miocon l’interesse. Toglietegli dunque il talento, edatelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiun-

que ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma achi non ha sarà tolto anche quello che ha. E ilservo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; làsarà pianto e stridore di denti.

Impegnarsi è rendersi capaci di raggiungere determinati obiettivi…

Raggiungi i tuoi sogni Gioco ispirato a quattro cantoni/pallabase

Si gioca in un terreno dalla forma di un qua-drilatero. Una squadra sta all’interno del qua-drilatero, l’altra squadra sta su un angolo del pe-rimetro del campo. La squadra all’interno deveimpedire che la squadra all’esterno compia il gi-ro completo del campo. Può farlo colpendo con ilpallone coloro che partono nel tentativo di rag-giungere l’angolo successivo. La squadra ester-na mette in gioco il pallone e uno alla volta icomponenti partono per raggiungere l’altro an-golo. Nel momento in cui i componenti dellasquadra interna colpiscono qualcuno di quellaesterna, il colpito è eliminato; ma se colui chesta per essere colpito blocca il pallone, può al-lontanare il più possibile dal campo il pallone.Per ogni giro di campo effettuato, il componen-te della squadra conquista un sogno. Vince lasquadra che riesce a raggiungere un determi-nato numero di sogni conquistati.

Per un sogno comune

Il gruppo è sollecitato ad impegnarsi nel col-laborare alla realizzazione di un sogno comune,legato per esempio, al proprio Oratorio o scuola(ristrutturare, acquistare strumenti, svolgereattività particolari, ecc.) o il contesto più ampio(sostenere progetti di missionari del posto o at-tività sociali gestite dalla comunità). L’impegnopotrà consistere in lavoro concreto, coordinatodagli animatori (raccolta di viveri, di indumen-ti, di materiale di vario genere, pulizia di am-bienti e strutture), in raccolta di fondi attraver-so varie modalità (banchi vendita, lotterie), nel-la sensibilizzazione e il coinvolgimento di altrinel sogno-impegno (cartelloni, volantini, picco-le testimonianze).

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PAROLA DI VITA

LABORATORIO

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UN INCONTRO CELEBRATO

Idee per momenti celebrativi con riferimento ad un momento della Messa

All’inizio della Liturgia Eucaristica, l’offerto-rio raccoglie in sé tutto il significato esisten-ziale dell’impegno quotidiano per procurarsiciò che è necessario per vivere, per aver curadel mondo che ci è affidato, e del mettere tuttii propri sforzi, le proprie gioie e le proprie fati-che nelle mani di Dio, perché le trasformi in ciòche veramente è necessario, il Cristo Gesù, Pa-ne di Vita.

Si propone uno schema di celebrazione cheha come base il procedimento attraverso il qua-le si fa il pane.

Se, per un verso, l’esperienza favorirà lacomprensione dell’atteggiamento dell’impegno,dall’altro aiuterà i ragazzi ad approfondire ilsenso dell’offertorio nel contesto della celebra-zione eucaristica.

Fase preliminare (eventualmente, nell’incon-tro di gruppo precedente la celebrazione).

A cosa serve il pane… Per che cosa vale la penaimpegnarsi… (Dialogo).Se abbiamo un obiettivo importante, una fi-nalità da raggiungere è più facile concentrarele nostre forze e non lasciarci vincere dallafatica quotidiana.

Il momento si svolge in una stanza ampia. Inposizione centrale un tavolo. Sono necessari unmortaio (anche piccolo), un tagliere di legno,grano, farina, acqua e lievito. La conclusione in-vece, dopo la cottura del pane, avverrà possibil-mente in chiesa.

Il grano. Ad ognuno vengono consegnate quan-tità differenti di grano. Lettura della parabo-la dei talenti (il grano che abbiamo ricevu-to… i talenti della parabola).Tutti abbiamo qualcosa da impiegare, da farfruttare!

Il mortaio. Usando un mortaio, ognuno comin-cia simbolicamente a pressare il grano cheha ricevuto.Attraverso lo sforzo e la fatica riusciamo atrasformare e a trasformarci, per donare aglialtri gioia e amore.

La farina. Viene portato un recipiente colmo difarina. Ognuno ne prende un pugno e lo met-te sul tagliere.Il contributo di tutti fa sì che l’impegno e lafatica portino frutto.

L’acqua. Si porta l’acqua e si aggiunge alla fa-rina.La condivisione e la fraternità permettono al-la farina di “legare”.

Il lievito. Viene spiegata ai ragazzi l’origine dellievito.Il lievito che fa crescere, nasce dall’impegnofedele (dalla farina vecchia).

Il sale. Si aggiunge il sale, spiegandone l’uti-lità.Il sale da sapore, conserva… come nella vitafanno il buon senso, la saggezza, la prudenza.

L’impasto. A turno, i ragazzi cominciano ad a-malgamare il composto, che viene poi suddi-viso, in modo che ognuno possa impastare.Nel gesto dell’impastare c’è lo sforzo, la co-stanza, la determinazione.

A questo punto, il pane è pronto per esserecotto in forno. Se il forno fosse in un posto ac-cessibile, ci si potrebbe soffermare anche sulsimbolo del fuoco e sui senso esistenziale chegli si può attribuire.

Nel tempo necessario si sospende la celebra-zione.

Ci si ritrova in chiesa, quando il pane è cotto.

Il pane. Di fronte al pane, frutto della collabora-zione di tutti, si guida il gruppo a comprende-re come attraverso il nostro impegno faccia-mo “fruttare” ciò che da Dio abbiamo ricevu-to e otteniamo il Pane di Vita che è Gesù.Il pane viene benedetto e condiviso.

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sotto il peso di un’enorme valigia. Doveva es-sersi perso nel labirinto della metropolitana. E-ra un immigrato, uno di quegli stranieri che peranni e anni, col loro sudore e il loro sangue,hanno contribuito ad arricchire i paesi ricchi eche alcuni, oggi, vorrebbero rispedire tutti a ca-

sa loro. L’uomo veniva dalla stazione ferrovia-ria, era arrivato due ore prima in treno e da

allora girava senza fine nel labirintodei corridoi e delle coincidenze. Nellamano libera stringeva un pezzo di car-ta tutto spiegazzato dove qualcuno, unparente o un amico, aveva scaraboc-chiato un indirizzo della periferia roma-na. Dio si avvicinò, gli sorrise e si fecemostrare l’indirizzo. Poi prese la valigiae fece cenno all’uomo di seguirlo. Men-tre camminavano insieme, lo straniero

si disse che era stato molto fortunato a in-contrare finalmente qualcuno che si in-teressava a lui. Dio lo accompagnò nelladirezione giusta e gli indicò la strada perarrivare a destinazione. Lo straniero nonsi sarebbe perso perché la strada che Dioindica è sempre quella buona, anche secerte volte, per arrivare alla meta bisognafare qualche deviazione imprevista. L’uo-mo era commosso. Disse a Dio di andarlo atrovare una di quelle sere, dopo il lavoro,

non appena lui si fosse sistemato. Dio risposeche accettava l’invito. E Dio mantiene semprele sue promesse.

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Diventare santi nel quotidiano:PROGETTARE LA VITALa categoria del progetto esprime la dimensione vocazionale della vita e del proprio rapporto con Dio.Alimentando costantemente questorapporto, ciascuno di noi delinea e realizza, giorno dopo giorno, tale progetto. Il Signore è una guidainsostituibile: conosce il nostro cuoree il nostro desiderio di felicità.

LA STORIA

Dio intanto era tornato alla Stazione Termi-ni ed era uscito per prendere una boccata d’a-ria. Rientrato in stazione, mentre camminavasul marciapiede, vide un uomo che barcollava

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Progettare la propria vita è comprendere la volontà che Dio ha su di te giorno per giorno

e metterla in pratica quotidianamente…

Frère Roger e la comunità di Taizè

Tutto è incominciato nel 1940 quando, all’etàdi venticinque anni, frère Roger lasciò il pae-se dove era nato, la Svizzera, per andare a vive-re in Francia, il paese di sua madre. Per diversianni aveva sofferto di tubercolosi polmonare.Durante questa lunga malattia aveva maturatoin sé il richiamo a creare una comunità in cui lasemplicità e la benevolenza del cuore potesseroessere vissute come realtà essenziali del Vange-lo. Quando cominciò la Seconda Guerra Mon-diale ci fu la certezza che, come aveva fatto suanonna durante il primo conflitto mondiale, do-veva senza indugio aiutare le persone che attra-versavano la prova. Il piccolo villaggio di Taizé,dove si stabilì, era vicinissimo alla linea di de-marcazione che divideva in due la Francia: eraben collocato per accogliere dei rifugiati chefuggivano la guerra. Alcuni amici di Lione furo-no riconoscenti di poter indicare l’indirizzo diTaizé a chi aveva bisogno di rifugio. A Taizé,grazie a un modico prestito, frère Roger avevacomperato una casa abbandonata da anni condegli edifici adiacenti. Propose ad una sorella,Geneviève, di venire ad aiutarlo ad accogliere.Tra i rifugiati che alloggiarono ci furono degli e-brei. Le disponibilità economiche erano povere.Senza acqua corrente, andavano ad attingereacqua al pozzo del villaggio. Il cibo era modesto,specialmente minestre fatte con farina di gra-noturco comperata a poco prezzo al vicino muli-no. Per discrezione nei confronti di chi era ac-colto, frère Roger pregava da solo, andava a can-tare da solo lontano dalla casa, nel bosco. Affin-ché dei rifugiati, ebrei o agnostici, non si tro-vassero a disagio, Geneviève spiegava ad ognu-no che era meglio per chi lo desiderava pregareda solo nella propria stanza. I genitori di frèreRoger, sapendo il figlio con sua sorella in peri-colo, domandarono a un amico di famiglia, uffi-ciale francese in pensione, di vegliare su loro elo fece coscienziosamente. Nell’autunno 1942, liavvertì che erano stati scoperti e che tutti dove-vano partire subito. Frère Roger poté ritornarenel 1944: non era più solo, nel frattempo era sta-

to raggiunto da alcuni fratelli e avevano inizia-to insieme una vita comune che continuarono aTaizé. Nel 1945, un giovane uomo della regionecreò un’associazione che si faceva carico di ra-gazzi che la guerra aveva privato della famiglia.Propose ai fratelli di accoglierne un certo nu-mero a Taizé. Una comunità di uomini non po-teva occuparsi di ragazzi. Allora frère Rogerchiese a sua sorella Geneviève di ritornare aTaizé per averne cura e fare loro da madre. Ladomenica, i fratelli accoglievano anche dei pri-gionieri di guerra tedeschi internati in un cam-po vicino a Taizé. Poco alla volta qualche altrogiovane venne ad unirsi ai primi fratelli, cattoli-ci e di diverse origini evangeliche, provenientida oltre venticinque nazioni. Con la sua stessaesistenza, la comunità è un segno concreto diriconciliazione tra cristiani divisi e tra popoliseparati. I fratelli vivono unicamente del loro la-voro. Non accettano nessun lascito, nessun re-galo. Non accettano per se stessi nemmeno leproprie eredità personali, facendone dono ai piùpoveri. Dagli anni 1950, dei fratelli andarono avivere in luoghi svantaggiati del mondo per es-sere testimoni di pace, per stare accanto a colo-ro che soffrono. Oggi, in piccole fraternità, alcu-ni fratelli vivono in quartieri poveri in Asia, A-

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UNA VITA CAMBIATA... DALL’INCONTRO CON DIO

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PENSIERI IN MUSICA

frica, America Latina. Cercano di condividere lecondizioni d’esistenza di coloro che li circonda-no, sforzandosi d’essere una presenza d’amoreaccanto ai più poveri, ai bambini di strada, car-cerati, moribondi, a chi è ferito nel più profon-do per le lacerazioni affettive, gli abbandoni u-mani. Anche uomini di Chiesa si recano a Taizée la comunità ha così accolto il Papa GiovanniPaolo II, tre Arcivescovi di Canterbury, dei Me-tropoliti ortodossi, i quattordici Vescovi luteranidi Svezia e numerosi pastori del mondo intero.Lungo gli anni, il numero di visitatori che si re-ca a Taizé ha continuato ad aumentare. Dalla fi-ne degli anni 1950, cominciò ad arrivare unsempre maggior numero di giovani. Nel 1966, lesuore di Sant’Andrea, una comunità cattolicainternazionale fondata più di sette secoli fa, so-no venute ad abitare nel villaggio vicino e han-no iniziato ad assumere una parte dei compitidell’accoglienza. Molto più tardi, alcune suoreorsoline polacche sono venute anch’esse a so-stenere l’accoglienza dei giovani. A partire dal1962, dei fratelli e dei giovani, mandati daTaizé, non hanno mai smesso di andare e veni-re dai Paesi dell’Est Europa, per visitare con lamassima discrezione chi era rinchiuso all’in-terno dei propri confini. Ora che i muri sono ca-duti e che i viaggi tra l’Europa dell’Est e dell’O-vest sono diventati più facili, i contatti con i cri-stiani d’Oriente, che erano sempre stati impor-tanti, sono accresciuti in modo significativo.Dall’inizio della primavera alla fine dell’autun-no, ogni settimana, giovani di diversi continen-ti arrivano sulla collina di Taizé. Sono alla ri-cerca di un senso per la loro vita, in comunionecon molti altri di loro. Andando alle sorgenti del-la fiducia in Dio, intraprendono un pellegrinag-gio interiore che li incoraggia a costruire dellerelazioni di fiducia fra le persone. Certe setti-mane d’estate, più di 5000 giovani da 75 paesipossono ritrovarsi uniti in questa comune av-ventura. E l’avventura continua quando ritorna-no a casa: si concretizzerà attraverso l’impegnodi approfondire la loro vita interiore e nella di-sponibilità ad assumersi responsabilità al finedi rendere la terra più vivibile. A Taizé, i giova-ni sono accolti da una comunità di fratelli che sisono impegnati per tutta la vita al seguito diCristo. Anche le due comunità di suore parteci-pano ad organizzare l’accoglienza. Al centro de-gli incontri, tre volte ogni giorno, la preghieracomune riunisce tutti quelli che sono sulla col-lina nella stessa lode a Dio, attraverso il canto eil silenzio. Ogni giorno, dei fratelli della comu-nità propongono introduzioni bibliche seguitepoi da un momento di riflessione, di scambio, e

la partecipazione delle persone a lavori praticidi comune utilità. È anche possibile passare u-na settimana in silenzio per lasciare che il Van-gelo rischiari la propria vita in profondità. Nelpomeriggio, incontri su temi specifici permetto-no di cogliere i legami fra le sorgenti della fedee le realtà pluraliste del mondo contemporaneo:«Il perdono è possibile?», «La sfida della globa-lizzazione», «Come rispondere alla chiamata diDio?», «Quale Europa vogliamo?»… Ci sono poialcuni temi che riguardano l’arte e la musica. U-na settimana a Taizé permette di cogliere i le-gami fra una esperienza di comunione con Dionella preghiera e nella riflessione personale, el’esperienza di comunione e di solidarietà fra ipopoli. Incontrando, nell’ascolto reciproco, gio-vani dal mondo intero, si scopre che possonosorgere dei percorsi di unità, pur nel rispettodella diversità delle culture e delle tradizionicristiane. Ciò costruisce solide fondamenta peressere creatori di fiducia e fermenti di pace inun mondo ferito dalle divisioni, dalle violenze edall’isolamento. Perseguendo un «pellegrinag-gio di fiducia sulla terra», Taizé non organizzaun movimento intorno alla comunità. Ciascunoè invitato, dopo il suo soggiorno, a vivere ciòche ha scoperto nel suo quotidiano, con unamaggiore coscienza della vita interiore che lo a-bita e dei suoi legami con tante altre persone,anche loro impegnate nella stessa ricerca del-l’essenziale.

Progettare la propria vita è delineare il cammino e saper cogliere i “ganci”

che il Signore ci offre…

Strada facendoCLAUDIO BAGLIONI

Io ed i miei occhi scuri siamo diventati grandi insieme con l’anima smaniosa a chiedere di un posto che non c’è tra mille mattini freschi di biciclette mille e più tramonti dietro i fili del tram ed una fame di sorrisi e braccia intorno a me. Io e i miei cassetti di ricordi e di indirizzi che ho perduto ho visto visi e voci di chi ho amato

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prima e poi andar via e ho respirato un mare sconosciuto nelle ore larghe e vuote di un’estate di città accanto alla mia ombra lunga di malinconia. Io e le mie tante sere chiuse come chiudere un ombrello col viso sopra il petto a leggermi i dolori ed i miei guai ho camminato quelle vie che curvano seguendo il vento e dentro un senso d’inutilità e fragile e violento mi son detto tu vedrai vedrai vedrai. Strada facendo vedrai che non sei più da solo strada facendo troverai un gancio in mezzo al cielo e sentirai la strada far batter il tuo cuore vedrai più amore vedrai.

Io troppo piccolo fra tutta questa gente che c’è al mondo io che ho sognato sopra un treno che non è partito mai e ho corso in mezzo a prati bianchi di luna per strappare ancora un giorno alla mia ingenuità e giovane e invecchiato mi son detto tu vedrai vedrai vedrai. Strada facendo vedrai che non sei più da solo strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo e sentirai la strada far battere il cuore vedrai più amore vedrai e una canzone e neanche questa potrà mai cambiar la vita ma che cos’è che mi fa andare avanti a dire che non è finita cos’è che mi spezza il cuore fra canzoni e amore e che mi fa cantare e amare sempre più perché domani sia migliore perché domani tu strada facendo vedrai perché domani sia migliore perché domani tu.

Progettare la propria vita è costruire giorno per giorno il proprio avvenire,

sapendo che il Signore ha un sogno su di te…

Trilogia di guerre stellari

Episodio IV: Guerre stellari (1977)

In un lontano Impero Galattico è in atto unarivolta contro i suoi dispotici capi, tra i quali ilpiù cattivo è Lord Darth Vader. Prima di caderenelle sue mani, la principessa Leia Organa, rap-presentante dei ribelli, riesce ad affidare a duerobot i piani della “Morte Nera” - la potentissi-ma base spaziale di Darth Vader, capace di di-sintegrare un intero pianeta - e un appello alvecchio generale Obi-Wan Kenobi, che abita sulpianeta Tatooine, perché accorra in aiuto dei ri-voltosi. Il messaggio viene raccolto dal giovaneLuke Skywalker che, rintracciato Obi Wan Ke-nobi, parte con lui in soccorso della principessaa bordo di un’astronave guidata dal mercenarioHan Solo e dal suo scimmiesco secondo Chew-

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CIAK... SI PENSA!

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PAROLA DI VITA

bacca. Liberata Leia, Luke raggiunge la base se-greta degli insorti che, grazie ai piani trafugatidalla ragazza, possono ora sferrare l’attacco de-cisivo contro la “Morte Nera”. Il merito dellasua distruzione sarà proprio di Luke, ma DarthVader, benché sconfitto, riuscirà a sottrarsi allasorte della sua Base.

Episodio V: L’impero colpisce ancora(1979)

La Principessa Leia, erede dei diritti nellospazio già in gran parte annullati dal fortissi-mo sedicente imperatore, ha trovato un poco o-spitale rifugio su Hoth, pianeta di ghiaccio. Lestanno accanto, fedelissimi e innamorati, il ca-valiere Luke Skywalker, il valoroso Han Solo, ilgigantesco gorilla Chewbacca, e i robot C3PO eR2-D2. Raggiunti dai feroci soldati del nero espietato Lord Darth Vader, la principessa,Chewbacca e i robot vengono messi in salvo daHan Solo che è riuscito a mettere in sesto ilvecchio ma velocissimo “Millennium Falcon”.Nel frattempo Luke - invitato dallo spirito con-sigliere di Ben Obi Wan Kenobi - si reca da Yo-da, un misterioso gnomo, già educatore del pa-dre e ora destinato a far maturare il rampollo.Han Solo, non sapendo dove mettere al sicuroLeia, si dirige verso la miniera spaziale di Lan-do Carlissian, già suo amico. Ma, essendo statipreceduti da Lord Darth Vader, essi cadono nel-le sue mani. Han Solo, ibernato, viene conse-gnato ad un cacciatore di taglie che dovrebbeportarlo all’imperatore. Ma Lando, che è statocostretto al tradimento, si affianca alla princi-pessa e la soccorre mentre il sopraggiuntoLuke ingaggia un terribile duello con LordDarth Vader che, mozzatagli una mano, gli di-chiara di essere suo padre e lo invita a seguir-lo alla corte del tiranno ormai padrone di tutto.Il ragazzo non abbocca e viene salvato nonchécurato da Lando e Leia che lo portano sulla ba-se rimasta. La puntata si chiude con la pro-messa dei buoni di rintracciare e salvare HanSolo al quale la principessa ha ormai dichiara-to il proprio amore.

Episodio VI: Il ritorno dello Jedi(1983, riedizione 1997)

Dopo aver liberato dalle mani del perfidoJabba i suoi amici Jan, Ciubecca, la principes-sa Leila e i due androidi D3-BO e C1-P8, il ca-valiere Jedi Luke Skywalker si riunisce alla

flotta ribelle per attaccare la “Morte Nera”,l’implacabile e poderosa macchina da guerradell’imperatore. Le vicissitudini dell’impresaportano Luke a scoprire che Lord Dart Fener, ilcrudele alfiere dell’imperatore, è suo padre eche Leila, la principessa, è sua sorella. Luke èsconvolto dalla rivelazione, fattagli in punto dimorte dall’ultracentenario Yoda, capo Jedi, an-che perché è conscio che la battaglia finalesarà decisa, con ogni probabilità, dal suo scon-tro col padre: e sarà uno scontro all’ultimo san-gue. Così, mentre Jan attacca con un gruppo diribelli la base che da energia alla “Morte Nerà’,aiutato dallo strano popolo degli Ewok, Lukeriesce ad approdare sulla Morte Nera, dove vie-ne catturato: qui l’imperatore in persona cercadi convincerlo ad abbracciare la sua causa mal-vagia, ma il cavaliere Jedi rifiuta, nonostantesi renda conto che, con ogni probabilità, l’at-tacco fallirà perchè l’impero era - contraria-mente a quanto si aspettavano i ribelli - pron-to a fronteggiarlo. Nonostante ciò Luke tenta lacarta disperata di eliminare l’imperatore, ed èa questo punto che si deve battere con il padre:dopo averlo ferito, Luke tenta di assalire l’im-peratore stesso, ma di fronte alla sua strapo-tenza sta per cedere: lo salva il padre, che, purin punto di morire, uccide l’imperatore, ricon-ciliandosi così col figlio e, ritornato in questomondo sulla strada del bene, consentendo iltrionfo dello Jedi.

Progettare la propria vita è cominciare da basi sicure per poter costruire il futuro …

Matteo 7, 24-28

«Perciò chiunque ascolta queste mie parolee le mette in pratica, è simile a un uomo sag-gio che ha costruito la sua casa sulla roccia.Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffia-rono i venti e si abbatterono su quella casa, edessa non cadde, perché era fondata sopra laroccia. Chiunque ascolta queste mie parole enon le mette in pratica, è simile a un uomostolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffia-rono i venti e si abbatterono su quella casa, edessa cadde, e la sua rovina fu grande». Quando

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Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle resta-rono stupite del suo insegnamento: egli infattiinsegnava loro come uno che ha autorità e noncome i loro scribi.

Progettare la propria vita … cosa vuol dire per te?

Un’altra Stazione - Dentro la “Storia”

Il gruppo viene impegnato nell’ideazione diun nuovo episodio del viaggio di Dio nella me-tropolitana. Creando una nuova stazione, im-maginando un ulteriore incontro di Dio con unaipotetica persona, i ragazzi sono invitati/orien-tati a mettere in rilievo il significato di Progettodi Vita. Le fasi dell’attività saranno: elaborazio-ne condivisa di un’idea generale (attraverso u-na tecnica che favorisca la partecipazione e l’e-spressione da parte di tutti); stesura del “copio-ne”; messa in scena dell’episodio.

Spunti per momenti celebrativi con riferimento a un momento della Messa

L’atto conclusivo della celebrazione eucari-stica costituisce l’anello di congiunzione fra laMessa e la Vita. Ci piace tradurre il “Missa est”non con “Andate pure… la Messa è finita”, macon “Andate, la Messa è adesso”, accogliendolocome l’invito/compito a vivere nel quotidianociò che abbiamo celebrato. Diventa così la Vitail più alto dei rendimenti di grazie, l’esperien-za di comunione più profonda, dove siamo chia-mati a realizzare il Progetto di Amore che Dioha su ciascuno di noi. Dalla Parola e dal Panericeviamo la luce per poter scoprire e compierequesto progetto.

Lo schema di riflessione/celebrazione pro-posto ha lo scopo di centrare l’attenzione sulsenso del Progetto di Vita e sull’esigenza diportare l’Eucaristia nella Vita e la Vita nell’Eu-caristia.

Il segno/simbolo attorno al quale costruire ilmomento di riflessione e preghiera è la Luce.

La prima fase si svolge in una stanza dovesia possibile creare una situazione di buio. So-no necessari tanti lumini/candele quanti sonoi ragazzi. Ad ogni lumino/candela è legato conun nastrino un foglietto che riporta un brevema facilmente comprensibile versetto di Paro-la di Dio.

Si guida la riflessione a partire proprio dal-l’assenza di buio e dall’impossibilità di raggiun-gere qualsiasi meta.

Viene proposta una prima esperienza: muo-versi al buio all’interno della stanza. Successi-vamente, il dialogo guidato sulle impressionisuscitate dall’esperienza, che ne rileverà il sen-so esistenziale (quando non si sa scegliere,quando si fatica a capire cosa è bene, quandonon si sa cosa si vuole veramente), i ragazzi sa-ranno invitati ad esprimere al Signore delle ri-chieste di “luce” per i momenti difficili della lo-ro esperienza quotidiana.

Viene portata l’attenzione dei ragazzi sul fat-to che la vera Luce ci è già stata donata, anchese a volte non ce ne rendiamo conto: è il Signo-re Gesù stesso! Si consegna ad ogni ragazzo illumino/candela spento. Si ricrea il buio e si in-troduce nella stanza il cero pasquale o, altri-menti, un cero abbastanza grande. Il cero rap-presenta Gesù, la luce che vogliamo accoglieree seguire. Processionalmente, seguendo il ceroe cantando un canto adatto, ci si reca in chiesa.Il cero viene messo in posizione centrale. Silegge il Vangelo di Giovanni 9,5b. Ogni ragazzoè poi invitato ad accendere il propriolumino/candela al cero e a leggere la Parola diDio proposta dal foglietto. In un breve momen-to di silenzio, ognuno è invitato a pensare a checosa quella “Parola” dice alla sua vita nel mo-mento presente. Richiamando l’attenzione sul-la presenza di Gesù nell’Eucaristia, si presentaai ragazzi lo stretto legame tra Parola e Paneeucaristico, che rendono presente il Signore.Accogliere la Luce che è Cristo diventa per cia-scuno un “mandato”: la luce che i cristiani ri-cevono dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia èfatta per essere condivisa, smette di illuminarese non è donata, si spegne senza l’”ossigeno”della testimonianza e della generosità. Comesegno del “mandato”, si potrebbe consegnare airagazzi una piccola torcia, o comunque un pic-colo oggetto che faccia luce e che permette di il-luminare anche gli altri. La conclusione, con e-splicito riferimento alla conclusione della Mes-sa, sarà l’invito: “Andate, Cristo è la Luce da do-nare adesso al mondo”.

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LABORATORIO

UN INCONTRO CELEBRATO

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volte. Tre volte. Alla fine gli diede la moneta. Dioassisteva alla scena interessato. La situazione e-ra una conferma di ciò che sapeva da tempo: chichiede riceve, chi cerca trova. Ancora una voltaDio ammirò la saggezza dei bambini, quei ra-gazzini che gli apostoli, certe volte, trovavano co-sì fastidiosi con la loro mania di chiedere sem-pre un fico o un grappolo d’uva a quel piccologruppo che andava di paese in paese annun-ciando a tutti la buona notizia. Dopo poco il bam-bino tornò con una manciata di caramelle. Si av-vicinò a Dio e lo guardò dritto negli occhi. «Io sochi sei. – gli disse – Sei simpatico. Più simpati-co che nel mio catechismo. Vuoi una caramel-la?». «I bambini sono tutti uguali – disse Dio frasé – Indovinano subito chi sono e vogliono sem-pre dividere con me le caramelle, la merenda e

persino i loro giochi. Avevo ragione quando hodetto che bisogna essere come loro per en-trare nel regno dei cieli».

Sul convoglio che lo portava ad una sta-zione segreta dove tutto era pronto per la

sua ascensione, Dio pensava a tutti co-loro accanto ai quali era passato in quel-la giornata nella metropolitana, agli in-

contri fatti, a ciò che aveva visto e sentito.Certe scene della nostra vita quotidiana gli

avevano ricordato la passione che egli avevavissuto. Aveva visto lacrime e sofferenze, avevaintuito pene e angosce negli sguardi e nei cuori.Ma anche umili gioie e felicità profonda. Tuttoquesto, un giorno, sarebbe stato come un mazzodi fiori che ciascuno avrebbe avuto fra le manientrando nell’eternità beata, di cui ciascuno, al-lora, avrebbe conosciuto il segreto: Dare quellaparte di sé di cui gli altri hanno bisogno per esse-re felici insieme, sempre.

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LA STORIA

DIO È SIMPATICO… E RIVELA AI PICCOLIIL SEGRETO DELLA FELICITÀ

Diventare santi… ovvero aver compreso che essere felici è far felici e che la felicità ha fondamento solo nel Signore Gesù. E chi meglio dei ragazzi è in grado di capirlo?

Il viaggio di Dio lungo le linee dalla Metropo-litana della città stava per concludersi. In realtà,avrebbe voluto prolungare di qualche giorno lasua permanenza sulla terra… ma San Pietro dalparadiso reclamava il suo ritorno. Mentre atten-deva il treno per Ottaviano San Pietro, una don-na andò a sedersi vicino a Dio. C’era con lei unbambino che non stava fermo un minuto, cometutti i bambini della sua età. Voleva 20 centesi-mi per azionare un distributore automatico dicaramelle. La madre disse no. Una volta. Due

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Dio è simpatico perché trova il modo sempredi rispondere alle domande dei ragazzi…

e di realizzare i loro sogno di felicità

Domenico Savio

Il giorno dell’onomastico di Don Bosco si fe-ce grande festa all’Oratorio. Ognuno volle mani-festargli il suo affetto. Don Bosco, per ricambia-re, disse: «Ognuno scriva su un biglietto il rega-lo che desidera da me. Vi assicuro che farò tut-to il possibile per accontentarvi». Quando lessei bigliettini, Don Bosco trovò domande serie esensate, ma trovò anche richieste stravagantiche lo fecero sorridere: Giovanni Roda chiese u-na tromba luccicante, di quelle che usano i ber-saglieri; qualcun altro chiese cento chili di tor-rone «per averne tutto l’anno». Sul biglietto diDomenico Savio c’erano cinque parole: Mi aiutia farmi santo.

Già in un altro occasione Domenico avevachiesto a Don Bosco: «Sento il bisogno di farmisanto, assolutamente». Don Bosco gli diede al-lora la formula della santità:

◆ Primo: allegria.

◆ Secondo: doveri di studio e di preghiera.

◆ Terzo: far del bene agli altri.La santità è tutta qui.

Dio è simpatico perché ci vuole santi e felici…Diventa santo chi lo sa accogliere

come un bambino

MC 10, 13-16

Gli presentavano dei bambini perché li acca-rezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, alvedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciateche i bambini vengano a me e non glielo impe-dite, perché a chi è come loro appartiene il re-gno di Dio.

In verità vi dico: «Chi non accoglie il regno diDio come un bambino, non entrerà in esso». Eprendendoli fra le braccia e ponendo le mani so-pra di loro li benediceva.

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UNO CHE IL SEGRETO L’HA SCOPERTO

PAROLA DI VITA

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Incontrare Gesù, il volto di Dio Amico

Da il romanzo È una vita che ti aspetto, di FABIO VOLO (2003)

Il romanzo racconta di Francesco, un quasi trentenne, impegnato ad affrontare la depressione, l’ansia e il torpore esistenzialere-imparando a “vivere”

«Un’abitudine che ho preso in questo perio-do è quella di andare in chiesa ogni tanto. Erada molto che non lo facevo. Pensare che da pic-colo io e Gesù eravamo stati anche molto ami-ci. In quei miei pomeriggi ho anche cercato dicapire come mai mi fosse allontanato così tan-to da lui… Quando da piccolo andavo a dormi-re dai nonni, invece dell’orsetto di peluche co-me tutti, avevo una statua in gesso di Gesù. Mela ricordo bene perché aveva il cuore che si ve-deva. Il Sacro Cuore di Gesù. Non era molto co-modo per dormirci abbracciato: più di una vol-ta girandomi nel letto ho preso delle botte…Soprattutto mi faceva male la sua manina per-ché era un po’ a punta. Comunque, non solo cidormivo, ma spesso ci giocavo anche. E-ro innamorato di Gesù. Mi piacevaun casino con quei capelli, quelvestito rosso e blu, e poi avevadetto che chi voleva entrare nelRegno dei Cieli doveva ritorna-re bambino. Di solito, eravamonoi bambini che dovevamo di-ventare grandi, essere come igrandi, imparare dai grandi. Luiinvece era stato l’unico che peruna volta aveva rovesciato lecose e aveva detto che erava-mo l’esempio da seguire.Evvaiiiii! Una notte,mentre dormivamoinsieme, è caduto dalletto e si è decapitato. Al-l’età di circa cinque anni ho

decapitato Gesù. È stato un grossissimo trau-ma. Mi sentivo come Salomè. Quella che avevachiesto la testa di Giovanni Battista. Mio nonnolo aveva incollato, ma da allora non ci ho dor-mito più insieme, lo lasciavo sul comodino. Pri-ma di spegnere la luce, lo baciavo e ci parlavoun po’. Mi sentivo un po’ in colpa. Scusa, Gesù.Sapevo che mi aveva perdonato. Del resto, era-vamo amici. Poi, un giorno a catechismo donLivio aveva detto che era diventato prete perchéaveva avuto la chiamata. Che chiunque potevasentire la voce di Do e che, se la sentiva, dove-va farsi prete. Dovevaaaa?????? Da quel mo-mento il mio rapporto con Gesù è cambiato. A-mici, mi andava anche bene, ma io non volevofare il prete. Ero talmente terrorizzato dal fattodi poter sentire quella voce e dover fare il preteche a volte non rispondevo nemmeno a mio pa-dre quando mi chiamava da un’altra stanza.Prima volevo essere sicuro che fosse lui, per-ché se fosse stato Dio avrei fatto finta di nien-te. Anche se una parte di me era curiosa di sa-pere che voce avesse Dio. Come quando ho fat-

to la prima comunione: mi avevano dettodi non masticare l’ostia perché

dentro c’era il corpo di Cristo. Misi era appiccicata sul palato eavevo paura che avesse la fac-cia proprio da quel lato. Teme-vo di soffocarlo. Più crescevo,più questo Dio con cui prima

giocavo mi faceva paura. Sentivoche mi giudicava. Sembrava che

stesse tutto il giorno lì ad aspetta-re un mio errore per punirmi. An-che questo nuovo Dio contribuivaa far nascere in me delle paure…Adesso Dio è molto più simile a

quel Gesù con cui giocavo da picco-lo… Pensando a Dio, mi viene in mente

mia nonna quando girava per casa cercando gliocchiali. Li aveva in testa».

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… per ripensare il nostro modo di annunciare e testimoniare Gesù ai ragazzi.