Sussidio (fascicolo IV)

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Itinerario biblico-catechetico dell'arcidiocesi di Pescara-Penne per l'anno della fede (IV Fascicolo)

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Anno del la Fede 2012-2013  

  

L’itinerario diocesano annuale  

Con  il Motu  proprio  “Porta  Fidei”  dell’11  ottobre  2011,  papa  Benedetto XVI ha  indetto  l’Anno della Fede per  il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La nostra Arcidiocesi intende proporre a tutte le parrocchie e le realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede.. 

 Il  cammino  annuale  è  un  cammino  comune  e  al  tempo  stesso  elastico, 

adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso  in 6 tappe, che ricalcano i momenti specifici  dell’anno  liturgico  (ottobre‐novembre;  tempo  di  Avvento  e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate). 

 Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni di 

incontro e comunione per tutta  la diocesi.  In questo modo abbiamo cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno. 

 Il  quadro  d’insieme  di  tutto  l’anno  è  affidato  all’Icona  Biblica  della 

moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17.   10aAl  loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. 

10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono.  11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici  gli  si  avvicinarono dicendo:  «Congeda  la  folla  perché  vada nei  villaggi  e  nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa  gente».  14C’erano  infatti  circa  cinquemila  uomini.  Egli  disse  ai  suoi  discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli  prese  i  cinque  pani  e  i  due  pesci,  alzò  gli  occhi  al  cielo,  recitò  su  di  essi  la benedizione,  li  spezzò  e  li  dava  ai  discepoli  perché  li  distribuissero  alla  folla.  17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. 

 Questo  brano  è  stato  diviso  anch’esso  in  6  parti,  ciascuna  di  esse 

corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello schema 

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che segue: la prima tappa tra ottobre e novembre  (Lc  9,10a.11a);  la  seconda tappa nel tempo di Avvento e Natale  (Lc 9,10b); la terza tappa nel periodo di gennaio  e  febbraio  (Lc  9,11b);  la  quarta  tappa  nel  tempo  di  Quaresima  (Lc 9,12‐13);  la  quinta  tappa  nel  tempo  di  Pasqua  (Lc  9,14‐16);  infine,  la  sesta tappa in estate (Lc 9,17). 

Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del lavoro di  tutti  gli  uffici  della  nostra  diocesi.  È  possibile,  per  qualsiasi  necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai seguenti numeri: 

‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale)      329.68.14.898 ‐ don Domenico (Pastorale Giovanile)       340.67.06.645 ‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria)       380.36.18.590 ‐ don Nando (Pastorale Biblica)         327.88.56.338 

 I  testi biblici  che  caratterizzano ogni  tappa  sono da  intendersi  come dei 

“moduli”.  Nel  senso  che  ogni  gruppo  di  parrocchia,  movimento  o associazione  potrà  scegliere  se  e  come  utilizzarli:  possono  essere  utilizzati tutti  consecutivamente  (visto  che  hanno  una  loro  continuità)  o  possono anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque ciascun modulo  un  senso  compiuto  per  se  stesso).  In  questo  modo,  ognuno  potrà costruirsi  un  itinerario ad hoc  in  base  alle  necessità  della  realtà  nella  quale opera,  rispettando  le  proprie  specificità  e  contemporaneamente  non perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi. 

Ogni  modulo  è  corredato  delle  seguenti  piste  di  approfondimento  e attualizzazione: 

a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del testo biblico;  

b. il  filo  rosso,  che  offrendo  elementi  di  crescita  umana  e  spirituale presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;  

c. riflessione diretta ai giovani;  d. spunti per la vita di coppia; e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e ai 

malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro; f. spunti per attività di catechesi sul tema; g. proposte celebrative.   

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LA QUARTA TAPPA  

La fede provata Moduli biblico‐catechetici di approfondimento 

della Quarta Tappa (Quaresima) 

  

Introduzione  

a. La mappa del nostro cammino 

 Dall’Icona biblica (vv 12‐13): 12

Il  giorno  cominciava  a  declinare  e  i  Dodici  gli  si  avvicinarono dicendo: «Congeda  la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni,  per  alloggiare  e  trovare  cibo:  qui  siamo  in  una  zona deserta».

13Gesù  disse  loro:  «Voi  stessi  date  loro  da  mangiare».  Ma  essi 

risposero:  «Non  abbiamo  che  cinque  pani  e  due  pesci,  a  meno  che  non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 

 

Continuando  a  seguire  la  nostra  icona  biblica  annuale  di  Lc  9,10‐17,  ci troviamo  ora  all’amara  esperienza  della  pochezza  di  mezzi  da  parte  dei discepoli.  Si  trovano  il problema di dover dare da mangiare a  tanta gente e non  hanno  di  che  sfamarli.  È  l’esperienza  dell’inadeguatezza  e  dell’impo‐tenza. Potrebbe essere persino  l’esperienza del  fallimento e della negazione di ciò in cui si è sempre creduto. È lo smarrimento che tante volte anche noi proviamo di  fronte ai nostri  insuccessi. È  lo sconcerto per  la percezione che Dio  si  sia  fatto  assente,  reso  irreperibile,  abbia  abbandonato  noi  e  tutto.  È questa la prova della fede!  

La  sperimentiamo  in  tanti  momenti  o  periodi  di  apparente  sconfitta. Eppure,  col  senno  di  poi  riconosciamo  che  proprio  essi,  contrariamente  a quanto  sentivamo  dentro,  costituiscono  la  gestazione  di  un  vita  nuova,  la rinascita ad una vita più piena. Ritroviamo Dio in un rapporto più intimo e in modo più consapevole. Facciamo esperienza dell’importanza di una comunità che ci ha sorretto nei nostri barcollamenti, piccola porzione di quella Chiesa che è fatta di gente come noi e che cammina con noi in Cristo. 

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Alla  luce  di  tutto  questo,  la  nostra  vita  può  essere  concepita  come  un esodo:  un uscire da noi  stessi  per  aderire a un progetto  che  ci  permetta di auto‐trascenderci,  ovvero  squarciare  il  nostro  orizzonte  troppo  umano  e aprirci  all’amore  infinito di Dio. Questo esodo  richiede di essere disposti  ad abbandonare le nostre comodità e pigrizie, a lasciare ciò che a noi risulta ben conosciuto  e  che  ci  rassicura.  Solo  così  possiamo  andare  verso  ciò  che  è nuovo, anche se, essendo ancora ignoto, esso può essere fonte di ansia.  

Questo passaggio che è una vera e propria pasqua spirituale. È passare un deserto  fatto  di  smarrimenti  e  incertezze,  che  però  preludono  ad  un ritrovarsi rinnovati.  In questo deserto avvertiamo l’aridità che ci è procurata dal non soddisfare più i nostri vecchi gusti e, allo stesso tempo, non trovare ancora soddisfazione per le nuove gioie. Eppure percorrendo questo deserto scopriamo  tante  cose  importanti.  Innanzitutto,  nel  silenzio,  seppur  arido, delle nostre passioni  troviamo  la verità del nostro cuore. Nella molteplicità delle  dune  sabbiose  della  nostra  interiorità  comincia  a  tratteggiarsi  un sentiero,  …  il  nostro  sentiero,  …il  cammino  della  nostra  vita.  Per  di  più, scopriamo che all’appuntamento con quanto di più autentico abbiamo in noi, non manca di farsi trovare anche il nostro Signore Gesù, nostro Salvatore. A questo punto ci accorgiamo che non siamo soli, ma persino che siamo parte di qualcosa di più grande, di un popolo in cammino. Fratelli che camminano con noi percorrendo il nostro stesso sentiero.  Il deserto si  fa meno arido,  lo smarrimento lascia il posto ad un nuovo orientamento e la terra promessa si fa  più  vicina.  Persino  il  peregrinare  si  fa  compimento  di  quella  promessa legata alla terra, che è la meta della nostra ricerca. Perché la terra promessa, più che un luogo, è una nuova condizione di pienezza di vita!  

  

b. L’itinerario della Quaresima di Carità 

Ci accompagna in questo tratto di strada anche il messaggio di Benedetto XVI  indirizzato  alla  Chiesa  tutta  per  la  Quaresima  2013  dal  titolo  “Credere nella  carità  suscita  carità”.  Vogliamo  fare  nostre  le  parole  del  Papa  che  ci invita a «scoprire la fede come percorso per conoscere la verità e a vivere la carità  come  cammino  nella  verità  scoperta.  Talvolta  si  tende,  infatti,  a circoscrivere il termine “carità” alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. È  importante,  invece,  ricordare  che  massima  opera  di  carità  è  proprio l’evangelizzazione,  ossia  il  «servizio  della  Parola».  Non  v’è  azione  più 

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benefica,  e  quindi  caritatevole,  verso  il  prossimo  che  spezzare  il  pane  della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio:  l’evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana»1. Attraverso l’approfondimento dell’itinerario “Carità e testimonianza”,  desideriamo  porre  all’attenzione  di  tutti  le  proposte  e  le riflessioni maturate nell’ambito del nostro gemellaggio con la Diocesi di Sapa in Albania, perché  la nostra quaresima di carità non sia solo una raccolta di risorse materiali,  ma  un  avvicinamento  concreto  del  cuore  ai  nostri  fratelli d’oltre mare,  che  trovi  concretezza  non  solo  nella  carità  dell’elemosina ma anche nella preghiera e nel digiuno che il Signore vorrà suggerirci per vivere il suo  amore  più  intensamente.  Potremo  vivere  concretamente  queste  tappe attraverso la Settimana di animazione missionaria, dal 17 al 24 febbraio, che vedrà  la presenza dei 4 missionari della nostra diocesi  in Albania presenti  a Pescara.  Inoltre venerdì 15 marzo ci  sarà  la veglia di preghiera  in occasione della Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri nella parrocchia di  S.Pietro  Apostolo  con  la  presenza  del  Vescovo  della  diocesi  albanese  di Sapa Mons. Luciano Augustini.  

 

c. Descrizione dei moduli  

Dopo  aver  introdotto  alcune  categorie  spirituali  con  le  quali  potremo leggere  questa  quarta  tappa  quaresimale,  eccone  ora  una  descrizione  dei moduli.  

In  esso  vengono  presentati  quattro  moduli  corrispondenti  ai  vangeli domenicali  dell’anno  liturgico  in  corso  (anno  C):  dalla  seconda  alla  quinta domenica di quaresima2. Questa volta più che mai i moduli sono parte di un cammino  dalle  caratteristiche  specifiche.  Vogliamo  riscoprirci  popolo  di  Dio che compie  il  suo esodo, attraversando  il deserto delle prove della vita, per giungere alla resurrezione della Pasqua. 

Per  iniziare  il  nostro  cammino,  qualsiasi  esso  sia,  abbiamo  bisogno  di sapere quale sia la nostra meta. Non è possibile infatti studiare un percorso e quindi iniziare a compierlo, se non se ne conosce prima la destinazione. Ecco allora il primo modulo, la trasfigurazione, anticipazione della nuova condizio‐

                                                             1 Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013. 2  Il vangelo della prima domenica di quaresima,  infatti, è già stato proposto all’inizio del 

nostro cammino annuale ed è possibile trovarlo nel primo sussidio. 

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ne di salvezza inaugurata dalla resurrezione di Cristo. Come dire che accoglia‐mo  l’esperienza  del  deserto  nella  nostra  vita,  ma  in  vista  della  terra promessa.  

Non  sempre  le  nostre  vie  vanno  nella  giusta  direzione,  non  sempre procedono nella  stessa direzione delle  vie di Dio.  Sarà necessario  verificarsi ed  essere  disposti  ad  accogliere  l’invito  di  Gesù  a  convertirci,  cioè  a “invertire” il nostro cammino di marcia verso i sentieri di Dio. È quanto viene proposto con il secondo modulo, vangelo della terza domenica di quaresima. Così cercheremo di tornare sulla via di Dio per evitare di lasciarci smarrire dal peccato. 

Nel terzo modulo, vangelo della quarta domenica di quaresima, abbiamo la possibilità di  scoprire che nel nostro cammino non siamo soli! Noi  siamo figli  di  Dio.  Lui  ci  cerca  con  lo  sguardo mentre  noi  siamo  ancora  lontani,  si “com‐muove”  verso di  noi: Dio  si  “muove‐con” noi! Nel  nostro  cammino di vita, questo è già una salvezza per noi, pur non essendo ancora arrivati alla meta. 

Infine,  con  la  peccatrice  perdonata  presentata  al  quarto  modulo  – vangelo  della  quinta  domenica  di  quaresima  –  facciamo  nostro  il  monito rivolto  da  Gesù  all’adultera  di  non  peccare  più.  Infatti,  non  vogliamo “mancare  il  nostro  bersaglio”  (questo  significa  letteralmente  in  greco “peccare”) e se dovessimo cadere, sappiamo che possiamo sempre rialzarci e riprendere il passo verso Cristo.  

Ma  accogliamo  altresì  il  monito  che  Gesù  rivolge  implicitamente  ma efficacemente  agli  uomini  pronti  a  lapidare  l’adultera:  chi  è  senza  peccato scagli  la  prima  pietra.  Non  è  possibile,  infatti,  creare  un  nuovo  ordine  di relazioni  attraverso  il  giudizio  e  la  condanna.  Se  vogliamo essere popolo  di Dio  in  cammino,  non orientiamo  il  nostro  sguardo morbosamente  sul male altrui, ma – come Gesù che si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra – edifichiamo  le nostre  relazioni  sulla discrezione amorevole,  che è propria di chi ha il senso del suo errore e sa usare la giusta misericordia verso se stesso e  gli  altri.  Dimenticare  tutto  ciò  sarebbe  davvero  un  peccato,  sarebbe davvero un mancare la nostra meta!   

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1. Primo modulo. La meta del nostro cammino  

Lc 9,28‐36 

 28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni 

e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del  suo  esodo,  che  stava  per  compiersi  a  Gerusalemme.  32Pietro  e  i  suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro  disse  a  Gesù:  «Maestro,  è  bello  per  noi  essere  qui.  Facciamo  tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva.  34Mentre  parlava  così,  venne  una  nube  e  li  coprì  con  la  sua  ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi  è  il  Figlio mio,  l’eletto;  ascoltatelo!».  36Appena  la  voce  cessò,  restò Gesù  solo.  Essi  tacquero  e  in  quei  giorni  non  riferirono  a  nessuno  ciò  che avevano visto. 

 

a. Approfondimento esegetico 

In  tutti  e  tre  i  sinottici  il  racconto  della  trasfigurazione  comincia  con un’indicazione  temporale:  «sei  giorni  dopo»  dicono Matteo  e Marco,  «otto giorni  dopo»  afferma  Luca.  In  questo  modo  gli  evangelisti  collegano  la trasfigurazione  alla  confessione  di  Pietro.  In  entrambi  i  brani  il  tema  è  la divinità di Gesù,  il Figlio, e  in entrambi  i casi  la gloria del Figlio è  legata alla sua passione.  

Il testo afferma che Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e sale sul  monte  a  pregare.  Secondo  il  Vangelo  di  Marco  (14,33;  cfr.  anche  Mt 26,37) questi  tre discepoli  saranno di nuovo  con Gesù  sul monte degli Ulivi nel  momento  dell’estrema  angoscia  di  Gesù,  una  specie  di  contraltare all’episodio della trasfigurazione. C’è un chiaro riferimento a Esodo 24, in cui viene descritta  la  stipulazione dell’Alleanza di Dio  con  Israele.  Lì  si  dice  che Mosè porta con sé, nella sua salita sul monte Sinai, Aronne, Nadab e Abiu. 

Che  cosa  rappresenta  il  monte?  Salire  sul  monte  significa  allontanarsi dalla  confusione e dal  peso della  vita  quotidiana;  significa  anche  avere uno sguardo più  ampio  sulla  realtà,  aprirsi  a  una  visione più  grande della  vita  e 

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delle cose. Si capisce allora perché il monte nell’Antico Testamento è il luogo dell’incontro e della rivelazione di Dio: ci sono le condizioni per ascoltare Dio che  parla.  Il  Papa  fa  notare  che  il  Sinai,  l’Oreb  (è  il  Sinai  nella  tradizione deuteronomistica) e  il Moria sono al  tempo stesso monti della  rivelazione e monti  della  passione,  e  rimandano al monte del  tempio dove  la  rivelazione diventa liturgia (Gesù di Nazaret, pag. 356). Anche nella vita e nella missione di  Gesù  il monte  è  fondamentale:  il monte  della  tentazione,  il monte  della predicazione (il Discorso della montagna),  il monte della preghiera,  il monte della  trasfigurazione,  il monte dell’angoscia,  il monte della  croce e  il monte dell’ascensione.  

L’evangelista  Luca  è  l’unico  a  dirci  che  la  trasfigurazione  è  un avvenimento  di  preghiera  (v.  29).  In  precedenza  aveva  anche  indicato  lo scopo della salita: «salì sul monte a pregare» (v. 28).  Il volto di Gesù, dice  il testo,  cambia  d’aspetto  e  la  sua  veste  diventa  candida  e  sfolgorante.  La descrizione  di  ciò  che  avviene  non  è molto  precisa:  in  che  senso  il  volto  di Gesù  cambia  d’aspetto?  Si  percepisce  la  difficoltà  dell’evangelista  nel descrivere  quello  che  è  successo:  la  rivelazione  dell’identità  di  Gesù,  il  suo essere Figlio di Dio.  L’umanità di Gesù  celava  la  sua divinità,  ora,  davanti  a Pietro,  Giacomo  e  Giovanni,  questa  diventa  visibile;  ciò  che  Pietro  aveva dichiarato  nella  sua  confessione,  in  questo  momento  si  rende  disponibile 

anche ai sensi3. 

Allo stesso tempo la trasformazione (anche se Luca, a differenza di Marco e  Matteo,  non  usa  il  verbo  della  “metamorfosi”)  è  un  annuncio  di risurrezione:  i  tre  discepoli  possono  vedere  quale  sarà  lo  stato  (eterno)  di Gesù  dopo  la  sua  morte  e  risurrezione.  In  Lc  24  due  uomini  in  abito sfolgorante fanno sapere alle donne che Gesù è risorto. In At 1 all’ascensione di Gesù sono presenti due uomini in bianche vesti. Nel nostro brano la veste di Gesù diventa candida e sfolgorante. 

Egli non è solo: appaiono due uomini che conversano con lui. Sono Mosè ed Elia. Entrambi hanno sperimentato la presenza di Dio sul monte. Ora, sul monte  parlano  con  Gesù.  Solo  Luca  ci  dice  l’argomento  della  loro 

                                                             3 Il Simbolo Niceno‐Costantinopolitano, così chiamato perché  frutto dei primi due Concili 

Ecumenici  (Nicea,  325,  e  Costantinopoli,  381)  e  tuttora  comune  a  tutte  le  grandi  Chiese dell’Oriente e dell’Occidente  (è quello  che usiamo abitualmente nella Messa,  cfr. CCC 195  ), esprime questo nella parte riguardante il Figlio con le parole: «Dio da Dio, Luce da Luce».  

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conversazione:  «l’esodo  che  stava  per  compiersi  a  Gerusalemme»  (v.  31). L’esodo è evidentemente la Pasqua di Gesù,  la sua morte e risurrezione che avviene  a  Gerusalemme.  L’uso  del  verbo  plērōo  (compiersi)  suggerisce  che nell’evento  della  morte  e  risurrezione  di  Gesù  si  compiono  le  Scritture,  la Legge e i Profeti parlano della sua Pasqua. Mosè (la Legge) ed Elia (i Profeti) testimoniano che l’attesa di Israele è finita. È Gesù, il Figlio di Dio, la speranza di Israele; è lui il liberatore, nel suo esodo verso Dio si compirà l’esodo verso la salvezza dell’umanità. La Legge e i Profeti che parlano di lui adesso parlano con lui. 

Nella teologia di Luca Gerusalemme ha un ruolo centrale. È in essa che si compie  la redenzione (ricordiamo che Salvatore è un titolo caro a Luca), è  lì che  gli  apostoli  ricevono  lo  Spirito  Santo  e  da  lì  partono  per  portare l’annuncio di salvezza fino ai confini della terra. 

I discepoli, oppressi dal sonno, non hanno ascoltato la conversazione dei tre personaggi, hanno però fatto in tempo a vedere la gloria di Gesù e gli altri due con lui, e li hanno anche riconosciuti, come risulta dalle parole di Pietro: «Facciamo  tre  capanne,  una  per  te,  una  per  Mosè  e  una  per  Elia».  La menzione  delle  capanne  ha  fatto  pensare  alla  festa  ebraica  di  Sukkot (Capanne) che dura una settimana. Questo spiegherebbe anche l’indicazione temporale  con  cui  si  apre  il  brano:  «otto  giorni  dopo  questi  discorsi».  La confessione  di  Pietro  avrebbe  avuto  luogo  il  primo  giorno  della  festa,  la trasfigurazione  l’ultimo. Al tempo di Gesù questa festa aveva assunto anche un  significato  escatologico:  uno  dei  caratteri  dei  tempi  messianici  era  il soggiorno dei giusti nelle tende di cui quelle della festa delle Capanne erano figura. La trasfigurazione di Gesù è interpretata da Pietro come il segno che i tempi  messianici  sono  arrivati.  Ma  egli  dovrà  imparare  che  il  tempo messianico  è  il  tempo  della  croce  e  che  non  c’è  trasfigurazione  senza passione.  Seguendo  Gesù  fino  a  Gerusalemme  scoprirà  che  l’«esaltazione» (Vangelo di Giovanni) del Maestro si compie sulla croce. 

I  discepoli,  dunque,  devono  ancora  imparare.  Devono  ascoltare  Gesù. Questo dice la voce che esce dalla nube che li ha avvolti (vv. 34‐35). La nube nell’Esodo è  il  segno della presenza di Dio,  la Shekinah  (cfr. ad es. Es 24,15‐18).  La  voce,  dunque,  è  di  Dio.  Le  parole  ricalcano  quelle  udite  dopo  il battesimo di Gesù con un’aggiunta: «Ascoltatelo!».  La visione scompare e  il suo  significato  più  profondo  è  riassunto  da  questo  imperativo: 

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«Ascoltatelo!».  I  discepoli,  ascoltando Gesù,  la Parola di Dio  fatta  carne, ne sperimenteranno  la  potenza  e  parteciperanno  alla  suo  mistero  di  morte  e risurrezione, saranno anche loro trasfigurati. 

 

b. Il filo rosso 

Nella  trasfigurazione Gesù ha mostrato  il  suo volto glorioso, che è meta del suo esodo, ovvero della sua pasqua di morte e resurrezione. È un anticipo dell’ottavo giorno (otto giorni dopo…), giorno senza fine, fuori del tempo. È la vita eterna, l’abitare nella casa del Padre. 

Anche per noi meditare la trasfigurazione di Gesù, significa guardare alla meta del nostro peregrinare  su questa  terra.  Saper guardare oltre  la nostra morte corporale, ma anche oltre il nostro dolore e le nostre sconfitte morali e interiori,  che  rappresentano  la  nostra  possibile  morte  spirituale  di  ogni giorno. Il punto è che solo se si ha ben chiara la meta, è possibile tracciare il giusto percorso per arrivarci.  

A  questo  proposito,  significativo  è  che Gesù  viva  la  sua  trasfigurazione, proprio mentre sta pregando. Così può essere anche per noi! La preghiera è la  nostra  possibilità  di  guardare  oltre  il  nostro  momento  attuale,  per proiettarci  verso  ciò  al  quale  siamo  chiamati.  La  preghiera  ci  ricolloca all’interno  del  nostro  “habitat  originario”:  il  nostro  rapporto  con  Dio.  Ci ridona  la  consapevolezza  che  veniamo  dalla  terra  sì,  ma  siamo  destinati  al cielo.  Per  esso  siamo  stati  creati.  Ci  aiuta  a  cercarci  nel  cuore  di  Dio,  nel disegno che Lui ha per noi.  

Non ci stupisce che tutto questo possa risultarci difficile. In questa nostra società, abbiamo bisogno di rieducarci a guardare alto! Il nostro volare basso si  rende evidente  se pensiamo alla difficoltà  che abbiamo oggi  a  credere  in alti  ideali  e  a  fondare  le  nostre  scelte  concrete  su  quei  valori  nei  quali crediamo.  

I  nostri  ideali  ci  stanno  sopra  e  ci  indicano  come  possiamo  essere. Ma oggi  si  fa  molta  difficoltà  a  parlarne.  L’ideale  spesse  volte  è  troppo  alto  o frainteso.  La  realtà è  troppo diversa da  come dovrebbe essere e  l’eccessiva distanza  tra  la  realtà  e  l’ideale  finisce  col  generare  frustrazioni  e  ansie.  I valori, invece, più che starci sopra, ci stanno davanti e ci indicano il cammino. Una volta scoperto, il valore ci attrae e quindi ci muove a compiere il nostro progetto. Ci indica ciò che vale e, in quanto tale, dà “valore” alla nostra stessa 

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vita. La rende degna di essere vissuta. La colora di sfumature e prospettive, senza le quali sarebbe grigia e depressa.  

Molto del malessere del nostro tempo nasce dalla mancanza di fiducia in qualcosa  che  possa  dare  valore  ai  nostri  giorni.  In  questo  contesto, soprattutto  noi  cristiani  siamo  chiamati  a  non  abbassare  lo  sguardo.  A  non accontentarci di fare scelte al ribasso, comode, ma prive di amore e passione. La Pasqua ci ricorda l’importanza di guardare avanti, …di guardare Cristo, luce al nostro cammino! Ancor più per il fatto che Cristo è molto più di un ideale o di un valore, è una persona …che ci salva! 

Sappiamo che non è  facile  innalzarci. Anche  i discepoli di  fronte a  tanto erano  oppressi  dal  sonno:  hanno  dovuto  superare  delle  resistenze  interiori molto forti. Lasciarci attrarre da qualsiasi vero valore per  la nostra vita e,  in particolare,  dal  Valore  per  eccellenza,  che  è  Dio,  significa  sperimentare  la nube.  Il valore ti supera. Lo  intuisci e  lo desideri, ma è tutto da scoprire nel suo  senso  più  profondo  ed  è  tutto  da  conquistare  nella  sua  realizzazione pratica. Lo cogli ma mai appieno, ti sfugge eppure ti avvolge. È una presenza, al modo di un’ombra. Avere paura è la cosa più naturale. Non spaventiamoci della paura! La fiducia che il Signore non ci farà mancare la sua rivelazione, la sua voce, ci sosterrà e ci indicherà la strada.     

• Qual è la mia meta? L’obiettivo della mia vita? 

• Posso dire nella mia vita di saper guardare spesso in alto? Quali sono i miei valori? Cosa ha valore concretamente per me? 

• Come vivo la mia preghiera? Mi rimanda a ciò che vale nella mia vita o si tratta di una semplice pratica da compiere perché il Signore me lo chiede? È mettere Dio al centro della mia vita o è solo una pratica che Dio mi chiede, un compito da svolgere? 

 

c. Giovani 

La Quaresima è  un  tempo particolare  legato  alla  riflessione  sulla  nostra vita,  sui  nostri  ideali,  e  su  qual  è  la  strada  che  vogliamo  percorrere,  verso quale  direzione  vogliamo  andare.  Gesù  invita  noi  come  Pietro,  Giacomo  e Giovanni ad uscire dalla massa e dalla quotidianità, a salire con lui sul monte per pregare. Gesù era già salito da solo sul monte, quello delle tentazioni, e aveva  guardato,  con  la  suggestione  offertagli  dal  demonio,  gli  ideali  degli 

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uomini confrontandoli con il progetto di Dio: in quell’occasione aveva deciso e scelto di fidarsi del Padre. 

Ora  è  sul monte  con  gli  apostoli,  di  notte,  a  pregare per  insegnare  loro che  con  la  preghiera  e  nella  preghiera  s’incontra  il  Padre.  Ed  è  proprio  in questa  atmosfera  particolare  che  avviene  la  Trasfigurazione  di  Gesù  che illumina di luce la notte, fa svegliare gli apostoli e li riempie di ammirazione. Hanno  potuto  contemplare  almeno  per  una  volta,  e  sarà  l’unica,  la  gloria della  divinità  nascosta  dalla  normalità  dell’umanità.  Hanno  visto  quello  che era oltre  il  visibile umano e quella che sarebbe stata  la  fine, oltre  la morte, oltre  la  croce. A questo punto è  importante  chiederci  che valore diamo noi alla preghiera, quanto  tempo  le dedichiamo, e quale esperienza  traiamo da essa;  questo  tempo,  infatti,  ci  chiede  in  particolare  di  dedicare  tempi  di solitudine,  tempi  di  preghiera  per  poter  incontrare  e  sperimentare  la presenza del Signore. 

Interviene  Pietro  con  la  sua  proposta,  rivelatrice  di  quello  che  è  il  suo carattere. La nuvola, segno della presenza di Dio, avvolge  lui e  i compagni e avviene  la  proclamazione  del  Padre  che  Gesù  è  il  suo  Figlio.  La  piena rivelazione del Figlio comporta l’invito ad ascoltarlo perché è lui  la completa manifestazione del Padre, e  in  lui, sintesi della storia della salvezza e centro della  storia  dell’umanità,  troviamo  l’amore  del  Padre  per  noi  e  anche  la possibilità di vivere da fratelli tra noi. 

Ascolto vuol dire fidarsi,  lasciarsi condurre da lui, camminare dietro a lui con la certezza che lui è l’unico Salvatore. 

Riguardo all’ascolto ci dobbiamo interrogare: 

• Quale  abitudine  ho    all’ascolto  della  Scrittura  e,  in  modo particolare, del Vangelo? 

• Faccio  riferimento  al  Signore,  che  mi  parla  dal  Vangelo,  nelle scelte della mia vita? 

• Come  mi  aiutano  il  contatto  con  la  Parola  e  l’esercizio  della preghiera  a  sentire  il  Signore  presente  nella  mia  vita,  a  vedere oltre le cose immediate e, per il futuro, a vivere la speranza della vittoria sulle paure, sui  fallimenti, e su annunci di sempre nuove catastrofi? 

   

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d. Coppie 

Nell’episodio  della  Trasfigurazione  Gesù  si  manifesta  ai  suoi  discepoli nella gloria, dona loro la possibilità di vedere la meta del cammino intrapreso. Gesù  dà  anche  a  noi  oggi  la  possibilità  di  guardare  la  meta  per  aiutarci  a tracciare  il  percorso  più  giusto  da  fare.  Come  sposi  cristiani  abbiamo  dalla nostra  parte  la  Grazia  del  Sacramento:  “Sacramentum”  in  latino  è  la traduzione della parola greca “Mysterion”, che è la Gloria nascosta e rivelata sotto  i  segni  della  storia,  l’opera  di  Dio  nel  tempo  dell’uomo.  In  virtù  della Grazia  del  Sacramento  del  matrimonio  la  coppia  sponsale  si  muove  su  tre grandi orizzonti:  

• L’origine  divina,  essa  non  nasce  solo  dalla  convergenza  di interessi  umani,  ma  è  la  risposta  ad  una  chiamata  che  viene dall’Eterno,  è  una  vocazione  che  pesca  dal  mistero  stesso dell’Amore eterno di Dio; 

• È  immagine e somiglianza di Dio: nella Trinità, c’è una relazione d’Amore  tra  i  Tre  che  sono  uno,    “distinti  nell’unità”;  così  nella coppia  i due e  la  loro  fecondità    sono segno di un’ unità  che va costruita ogni giorno ma è anche donata dall’alto, ed è immagine di quella trinitaria; 

• Il  destino  della  famiglia  è  preciso:  è  in  cammino  verso  un orizzonte grande di senso, i due non solo si promettono fedeltà e amore  reciproco  ma  scommettono  insieme  verso  un  orizzonte grande di senso, di speranza , di bellezza e di pace. 4 

 Abbiamo  così,  grazie  al  nostro  amore  sponsale,  il  privilegio  non  solo  di 

vedere  la  meta  ma  anche  di  iniziare  a  viverla  e  sperimentarla  ogni  giorno nella  nostra  quotidianità  nella  consapevolezza  e  nella  certezza  che nonostante  le  nostre  fragilità,  le  nostre  debolezze,  i  nostri  fallimenti,  le nostre  paure,  le  nostre  fatiche,  l’orizzonte  è  Lui  e  lo  abbiamo  davanti  agli occhi ogni giorno: ci si manifesta nell’altro sposo/sposa, nei figli, nel mondo e noi stessi siamo la manifestazione della sua Gloria per chi abbiamo accanto e per chi incontriamo lungo la nostra strada. 

                                                             4  Liberamente  tratto  dall’intervista  rilasciata  da  Mons.  Bruno  Forte  in  occasione  della 

Visita ad limina dei Vescovi della CEAM al Pontificio Consiglio della Famiglia.

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Gesù si  trasfigura mentre è  in preghiera,  cioè mentre entra  in  relazione intima e profonda col Padre. Anche a noi sposi la preghiera dovrebbe servire come il carburante che alimenta l’energia e la potenza della grazia ricevuta; le modalità sono diverse, ad esempio  la riflessione sulla Parola del giorno, una preghiera  profonda di  condivisione  in  coppia,  una preghiera  individuale,  un momento di silenzio contemplativo. E quando tutto questo è difficile perché siamo troppo  impegnati e non riusciamo a ritagliarci un momento per stare con  Gesù,  preghiera  è  anche  donare  a  Lui  il  nostro  fare  quotidiano ripetendoci nella giornata: “PER TE GESU”‘, così  la nostra meta sarà sempre chiara anche se il cammino è faticoso. 

 

e. Carità e testimonianza  

«Il mio sogno è avere un’attività per conto mio, come un ristorante» dice Cézanne, immigrato di ventuno anni. «Sono ambizioso e ho forza di volontà. So  di  potercela  fare  e  alla  fine  farò  in modo  che  i miei  sogni  si  avverino». Questo  giovane  esprime  così  il  suo  sogno  concreto  e  la  forza  che mette  in moto tutta la sua vita nel realizzarlo. 

Ognuno  di  noi  nutre  nel  proprio  cuore  ideali  alti,  spesso  molto  più importanti del sogno concreto di un lavoro. Essi dicono i nostri valori, ciò che ci spinge a muovere tutta la nostra vita, verso un orizzonte “altro”. “Altro” dai valori contrabbandati come tali da questo mondo, che ci appiattiscono verso una mediocrità che non ci appassiona, in cui ci sentiamo assopire. 

Eppure  se  ci  lasciamo  opprimere  dal  sonno  rispetto  ai  nostri  ideali, rischiamo  di  negarli  anche  a  chi  è  più  in  difficoltà,  perché  oppresso  dal bisogno  o  dalla  sofferenza  o,  ancora,  perché,  in  carcere  o  straniero, allontanato  da  una  rete  di  relazioni  amicali  e  familiari  che  possano sostenerlo. 

Il  loro  “grido”  che  ci  richiama  ad  una  vita  “alta”,  perché  desiderosa  di essere una vita “altra”, ci infastidisce e vorremmo che tacesse. 

Il loro “grido” ci richiama anche al desiderio dell’amore di Dio “la luce – in fondo  l’unica – che  rischiara  sempre di nuovo un mondo buio e che ci dà  il coraggio di vivere e di agire”5. 

                                                             5 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013. 

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• Sono capace di riconoscere e promuovere la dignità delle persone più  bisognose,  guardando  a  loro  secondo  l’ideale  alto  di  Dio? Quale esperienza potrei raccontare? 

• So aiutare  coloro  che  si  accontentano di  sogni  a basso  “prezzo” ad  alzare  lo  sguardo, mostrandogli  la  via  della  resurrezione  per una vita piena? 

• Accompagno  con  la  preghiera  chi  è  nel  bisogno,  perché  nel dialogo con Dio possiamo insieme trovare le strade per superare le situazioni di morte,  il dolore e  le sconfitte morali e  interiori e rinascere a vita nuova? 

• Come  sostengo  l’evangelizzazione  e  la  promozione  umana  degli abitanti della diocesi di Sapa (in Albania) con cui la nostra diocesi è gemellata? 

 

f. Spunti per attività  

Prima proposta 

1. Ascolto di due brani musicali: “Un senso” di Vasco Rossi e “Tensione evolutiva”  di  L.  Jovanotti  (oppure  “Chiamami  ancora  amore”  di  R. Vecchioni) 

2. Conversazione  guidata  attraverso  domande‐stimolo  per  la  condivi‐sione: a. In quale di questi testi ti ritrovi di più? b. Jovanotti parla di “una ragione per vivere”, qual è la tua? c. Vasco Rossi parla di una vita «che un senso non ce  l’ha, ma che 

domani arriverà». Tu come ti poni di fronte a queste parole? 

Seconda proposta 

1. Il gruppo si siede in cerchio e al centro si pongono delle riviste. 2. Si  invita  ciascuno  a  prendere  le  riviste  e  a  ritagliare  tutte  quelle 

immagini che esprimono i propri valori. 3. Ognuno  incolla  le  immagini  su  un  foglio  come  se  volesse  creare  un 

collage. 4. A gruppi di due si condivide il proprio lavoro esprimendo i vissuti ad 

esso  legati  (Cosa  mi  ricorda?  A  quale  situazione  mi  riporta?  Quali emozioni provo ritornando a quelle vicende?). 

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5. A  conclusione  del  percorso  ci  si  riunisce  nel  grande  gruppo  e  tutti dicono  con  una  parola  il  valore  che  più  degli  altri  guida  la  sua  vita, soprattutto nei momenti di difficoltà. 

 

g. Momento celebrativo  

 

ADORAZIONE EUCARISTICA  

Canto iniziale e saluto del presidente   

Canto di esposizione Se è possibile “Oh oh oh adoramus te Domine”  

Salmo 145 (144),1‐14   Durante questo salmo si espone il Santissimo e lo si incensa e si canta ad ogni strofa il ritornello proposto o un altro adatto  

O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza.  

Una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese. Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare.  

Parlino della tua terribile potenza: anch’io voglio raccontare la tua grandezza. Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia.  

Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.  

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Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza,  

per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno. Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.  

Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.  

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente.  

Pausa di silenzio … Vangelo (Lc 9,28‐36)  

Letto  il  vangelo  della  trasfigurazione  ognuno  porta  all’altare  le  candele consegnate  precedentemente  e  si  compie  un  momento  di  adorazione silenziosa e personale davanti all’eucarestia esposta.  

Quindi  un  lettore  espone  il  commento  “filo  rosso”  con  le  domande corrispondenti  che  possono  essere  consegnate  in  un  foglietto  da  dare singolarmente. Per comodità mettiamo di nuovo le domande di seguito alle quali ne abbiamo aggiunte altre.  

Canto di adorazione e silenzio   

Per riflettere Cosa posso dire al Signore presente qui davanti a me? … È la mia meta? … Qual  è  l’obiettivo  della  mia  vita?  …  Posso  dire  nella  mia  vita  di  saper guardare spesso a Lui? … Come vivo la mia preghiera? … Mi rimanda a Chi vale nella mia vita o la riduco ad una semplice pratica da compiere perché il Signore me lo chiede? … È mettere Dio al centro della mia vita o è solo una pratica che Dio mi chiede, un compito da svolgere? 

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Benedizione o reposizione semplice Se possibile, sarebbe il caso di ascoltare una testimonianza di qualcuno che ha  fatto  una  bella  esperienza  di  preghiera,  sia  un  consacrato  opp.  una famiglia.  

Preghiere  

Padre nostro  

Benedizione e canto finale  

Quanto  segue potrebbe essere preparato  su un  foglio da  lasciare a  coloro che  sono  venuti  all’adorazione  come  momento  di  preghiera  personale  o come catechesi sulla preghiera.  

Ci sono quattro condizioni “di fondo” per la preghiera:  

1.  il  silenzio:  Dio  è  presente  in  me  in  quanto  creatura  –  mi  dona  ogni momento  vita  e  respiro  –  ed  è  presente  in modo  “soprannaturale”  in me che  amo Gesù e osservo  la  sua parola  (Gv 14,23)… So  sostare,  stare  solo, restare  fermo e semplicemente  fare spazio  in me?... «Tu sei  in me… Tu mi ami… Mi fido di Te...»;  

2.  l’accettazione  di  se  stessi:  tutto  è  grazia  (Mt  10,29‐31):  la  mia  storia passata  (famiglia,  vicende,  sbagli  e  colpe,...),  la  situazione  presente (ambiente  di  vita,  persone  che mi  circondano,  lavoro,  occupazioni,…), me stesso  (doti  e  talenti, malesseri  del  corpo,  lacune nella  formazione, difetti da cui non riesco a liberarmi) … Cosa fatico di più ad accettare? Cosa mi dice di me, questo?  ... «Ti  ringrazio di  tutto… Accetto  tutto dalle Tue mani… Ti offro tutto…»;  

3.  l’accettazione  degli  altri:  si  tratta  del  comandamento  dell’amore  (Mt 22,29; Gv 15,12), con attenzione a quanto accetto tutti gli altri; due aspetti particolari: il perdono dei nemici e il superamento della gelosia… Chi fatico ad  amare?  Perché?  ...  «Aiutami  a  comprenderlo…  a  perdonarlo…  ad amarlo… Ti ringrazio dei doni che mi hai dato… che gli hai dato… per la stima di cui gode…»;  

4.  la  libertà  del  cuore:  è  la  condizione  più  importante  e  riassuntiva, indispensabile per  trovare Dio nella preghiera e per ascoltare  la  sua voce. 

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Libertà  dalle  cose  (Lc  14,33),  dalle  persone  (Mt  10,37),  da  me  stesso  (Lc 9,23)  cioè  dal  desiderio  di  riuscire  ad  ogni  costo  e  di  essere  stimato dagli altri, dalla paura di fare brutta figura o subire critiche… Quanto sono libero? ...  «Liberami  da  questa  cosa…  da  questa  persona…  da  me  stesso…  dalla paura…». 

 Due i frutti da ricavare:  

1.  l’impegno nel proprio dovere:  (Mt 7,21) «Signore, aiutami ad amare  la tua volontà… a scegliere il bene… a scoprire le necessità degli altri… Fammi capire che cosa posso fare per loro… dammi tanta generosità…»;  

2. l’abbandono fiducioso: (Lc 22,42) «Signore, sono nelle tue mani… Mi fido di te… Non la mia, ma la tua volontà sia fatta...».  

I contenuti della preghiera sono sei:  

1.  la  preghiera  di  lode:  universale,  gratuita,  eterna  (Mt 11,25)…  «Ti  lodo, Signore mio Dio… Ti lodo per le tue creature… Per l’intelligenza umana… Tu sei infinitamente più bello di ogni opera…»;  

2.  la  preghiera  di  ringraziamento:  completa  la  lode,  mi  aiuta  a  sentirmi immerso  nell’amore  di  Dio  (Gv  11,41)…  «Grazie,  Signore,  per  le  tue creature…  Grazie,  Gesù,  di  avermi  salvato…  Grazie  perché  esisto…  Grazie anche per questa cosa…»;  

3.  la  richiesta  di  perdono:  nasce  da  tre  sentimenti  (Sal  50):  il  dispiacere delle mancanze commesse, la gioia di essere perdonato, il desiderio sincero di  ricominciare…  «Signore,  abbi  pietà  di  me…  Grazie,  Signore,  del  tuo perdono… Aiutami, Signore, a ricominciare…»;  

4. la preghiera di offerta: ci unisce ai sentimenti di Cristo, che ha offerto e offre  totalmente  se  stesso  (Eb  10,7),  ci  unisce  al  suo  sacrificio,  anche eucaristico,  e  a  quello  di  Maria…  «Ti  offro,  Signore,  tutto  il  mio  lavoro… Tutte le mie croci… Tutta la mia vita passata, presente e futura…»;  

5.  la preghiera di domanda: Dio sa già di cosa ho bisogno, ma domandare educa  il mio  cuore  a  tre  sentimenti:  umiltà  di  aver  bisogno di  tante  cose, 

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dipendenza  da  Dio,  fiducia  nel  Signore  (Mt  6,11; Gv  17,11;  Lc  11,9‐10)… «Padre Nostro…» (preghiera maestra)…  

6.  la preghiera di ascolto: se la vita è risposta all’amore di Dio, ascoltare è l’esercizio determinante (Rm 12,2)… «Aiutami a conoscere  la tua volontà… Dammi la libertà del cuore… Parla, che il tuo servo ti ascolta…». 

  

2. Secondo modulo. La direzione giusta  

Lc 13,1‐9 

 1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei 

Galilei,  il  cui  sangue  Pilato  aveva  fatto  scorrere  insieme  a  quello  dei  loro sacrifici.  2Prendendo  la  parola,  Gesù  disse  loro:  «Credete  che  quei  Galilei fossero più peccatori di  tutti  i Galilei, per aver  subìto  tale  sorte?  3No,  io vi dico,  ma  se  non  vi  convertite,  perirete  tutti  allo  stesso  modo.  4O  quelle diciotto  persone,  sulle  quali  crollò  la  torre  di  Sìloe  e  le  uccise,  credete  che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 

6Diceva  anche  questa  parabola:  «Un  tale  aveva  piantato  un  albero  di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare  il  terreno?».  8Ma quello  gli  rispose:  «Padrone,  lascialo  ancora  quest’anno,  finché  gli  avrò zappato  attorno  e  avrò  messo  il  concime.  9Vedremo  se  porterà  frutti  per l’avvenire; se no, lo taglierai»».  

a. Approfondimento esegetico 

Questo  brano  è  specifico  di  Luca.  Si  può  dividere  in  due  parti.  Nella prima (vv. 1‐5) due fatti di cronaca danno a Gesù  la possibilità di rivolgere un  invito  urgente  alla  conversione;  nella  seconda  (vv.  6‐9)  abbiamo  la parabola del fico, anch’essa legata al tema della conversione. 

Il  testo  si  apre  con  un’annotazione  di  carattere  temporale:  «in  quello stesso  tempo»,  secondo  la  traduzione  della  CEI,  «in  quello  stesso momento» si potrebbe tradurre anche. Gesù aveva appena detto alle folle: «Come  mai  questo  tempo  non  sapete  valutarlo?»  (12,56).  Non  stanno 

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valutando correttamente il tempo che stanno vivendo, “l’oggi”; non stanno interpretando  correttamente  l’agire  di  Gesù.  E  questo  non  perché  non abbiano  i  mezzi  intellettuali  per  farlo,  ma  per  mancanza  di  volontà.  Per questo  Gesù  dice  loro:  «Ipocriti!».  Il    nostro  brano,  dunque,  si  collega  a quello  precedente  non  solo  per  l’annotazione  temporale ma  anche  per  il tema: decidersi in fretta per Gesù. 

Torniamo al nostro  testo. Si presentano alcuni e  riferiscono a Gesù un fatto  tragico:  Pilato  ha  ucciso  alcuni  pellegrini  provenienti  dalla  Galilea facendo  scorrere  il  loro  sangue «insieme a quello dei  loro  sacrifici»  (v.  1). L’uccisione  è  avvenuta  all’interno  del  tempio  di  Gerusalemme,  dove  i pagani  non  potevano  assolutamente  entrare  (pena  la  morte).  Si  tratta, quindi,  di  un  fatto  doppiamente  grave:  è  stata  usata  violenza  ed  è  stato commesso  un  sacrilegio.  Questo  episodio  non  è  attestato  altrove  ma  è coerente con quanto dicono le fonti extrabibliche sulla crudeltà di Pilato. 

Gesù reagisce alla notizia con una domanda (v. 2) e un invito pressante (v.  3).  Nella  religiosità  popolare  (anche  a  causa  della  teologia deuteronomistica) le sciagure erano interpretate come una punizione per i peccati  commessi. Questo emerge anche dal brano del  cieco nato di Gv 9 (cfr. in particolare 9,2‐3 ). Gesù respinge questa concezione e ne approfitta per  rivolgere  un  invito molto  forte:  «se  non  vi  convertirete,  perirete  tutti allo stesso modo». Notiamo che Gesù ripete la stessa domanda e lo stesso invito dopo aver riferito lui stesso un altro fatto di cronaca, che, a differenza del primo, è una disgrazia: diciotto persone sono morte a causa del crollo di una delle torri delle mura di Gerusalemme, nei pressi della piscina di Siloe (vv. 4‐5).  

Che  significano  queste  parole?  L’espressione  “allo  stesso  modo”  ci permette di  cogliere  il messaggio di Gesù.  I Galilei uccisi da Pilato e quelli travolti e uccisi dalla torre sono morti improvvisamente, inaspettatamente. Gesù  dice:  il  tempo  stringe;  di  fronte  all’annuncio  del  Regno  non  si  può continuare a  tergiversare. Bisogna decidersi,  avere  il  coraggio di  cambiare 

(convertirsi6). Gesù aveva detto in 5,39: «Nessuno che beve il vino vecchio 

                                                             6 Il Catechismo degli Adulti, al numero 142, afferma: «Convertirsi significa assumere un 

diverso modo di  pensare  e  di  agire, mettendo Dio  e  la  sua  volontà  al  primo posto,  pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere. Significa  liberarsi  degli  idoli  che  ci  siamo  creati  e  che  legano  il  cuore:  benessere,  prestigio sociale, affetti disordinati, pregiudizi culturali e religiosi».  

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desidera  il  nuovo  perché  dice  “il  vecchio  è  gradevole”».  Bisogna  avere  il coraggio  di  seguire  Gesù  con  convinzione,  lasciando,  se  necessario, abitudini vecchie che danno un senso di sicurezza ma che non ci mettono al riparo dal pericolo della morte eterna. Il rischio di trovarsi improvvisamente fuori della salvezza è reale.  

Questo viene confermato dalla parabola del fico. In fondo sia il padrone che  il  vignaiolo  pensano  che  se  un  albero  non  porta  frutto,  deve  essere tagliato.  La  differenza  sta  nel  fatto  che  il  primo  vorrebbe  tagliarlo  subito, dopo aver cercato invano frutti per tre anni, il secondo chiede di aspettare ancora  un  anno. Nel  frattempo egli  si  prenderà  cura  del  fico,  farà  tutto  il possibile  perché  porti  frutto.  Se  questo  non  accadrà  il  padrone  dovrà tagliarlo.  Se  la  parabola  mette  in  mostra  da  un  lato  la  pazienza  di  Dio, dall’altro  dice  anche  che  il  tempo  concesso  non  è  infinito.  L’albero  non  è stato tagliato ma non si è deciso di  lasciarlo  lì per sempre: gli è solo stato dato un anno in più. 

 

b. Il filo rosso  

Abbiamo individuato nel primo modulo la meta del nostro peregrinare, ora  volgiamo  l’attenzione  alla  direzione  giusta  per  raggiungerla. “Conversione” proprio questo significa: una sorta di  inversione ad “U” per cui si cambia radicalmente senso. Ovviamente il significato del termine non è  solo  fisico.  Applicato  alla  nostra  interiorità  indica  un  “cambiare mentalità”,  passando  dalla  logica  umana  a  quella  di  Dio.  I  figli  si  nutrono della  mentalità  dei  loro  genitori,  così  noi,  figli  di  Dio,  ci  nutriamo  della mentalità  del  nostro  padre  celeste  perché  diventi  la  nostra.  Spesso  noi cristiani  diamo  un’accezione  moralistica  alla  conversione,  ponendo immediatamente  l’accento  sul  comportamento.  Ma  esso  cambia  davvero solo quando cambia il modo di vedere le cose. Alla luce di questa novità di prospettiva,  per  cui  le  cose  vengono  viste  in modo diverso,  ecco  radicarsi una solida novità di comportamento. 

Le stesse immagini proposte da Gesù ci suggeriscono in cosa è urgente per noi la conversione e quali siano le sue modalità. L’immagine della torre ci  parla  di  noi. Dal  punto di  vista  antropologico,  «la  torre  è  immagine del divenire umano. La sua forma circolare richiama la totalità dell’uomo. Come essa  ha  le  fondamenta  nel  terreno  e  s’innalza  verso  il  cielo,  così  l’essere umano  ha  bisogno  di  radicasi  nella  terra,  nella  storia  della  sua  vita,  per 

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potersi elevare e divenire anche un essere del  cielo»7.  La  torre che  rovina addosso  agli  uomini  rappresenta  allora  un  modello  di  umanità  che  noi uomini  del  duemila  continuiamo  a  seguire,  ma  che  non  funziona  più.  Le cronache  parlano  di  stragi  della  follia,  stupri  e  femminicidi  sempre  più frequenti.  Da  studi  statistici  e  sociologici  emerge  che  è  in  crescita l’aggressività nelle relazioni e la litigiosità nei tribunali. Nuovi dati allarmanti si  hanno  anche  riguardo  all’aumento  di  disturbi  psicologici  e  psichiatrici, come depressione e quant’altro. Tutto questo fa pensare che il modello di vita e di uomo che ci ostiniamo ad  realizzare attraverso  le nostre  scelte è così fallimentare che ci sta crollando addosso.  

Ma  in  tutto questo non dobbiamo cedere alla  tentazione di affidare  la nostra speranza di salvezza a improbabili superstizioni8 o a rigidi moralismi. Quegli uomini che pensavano di salvarsi con i loro sacrifici, si sono ritrovati uccisi  e –  significativamente –  il  loro  sangue  scorreva  insieme a quello dei loro  sacrifici.  Come  a  dire  che  non  possiamo  pensare  di  conquistarci  la salvezza attraverso l’osservanza cieca di una pratica, per quanto sacra essa sia.  Se  la  salvezza  fosse  un  automatismo  per  cui  “se  vado  a  messa  mi garantisco  un  posto  in  paradiso”,  allora  questa  presunta  religiosità  poco sarebbe diversa dalle pratiche superstiziose9. La strada è “sacrificarsi”, che significa assumersi  la  responsabilità di  “rendersi  cosa  sacra”, donandosi  ai fratelli in scelte di amore concrete nel nome di Cristo. 

Perché questo cambiamento avvenga è necessaria la misericordia di Dio che  ci  apre  sempre nuove possibilità, ma anche  la nostra disciplina  che  ci permette di coglierle. Infatti duplice è l’azione risanante del contadino della parabola  posta  a  conclusione  del  nostro  brano:  «rivoltare  il  terreno  per favorire la fioritura è la prima e basilare condizione perché l’albero possa a suo  tempo  fruttificare»10:  ecco  lo  zappettare  doloroso  ma  necessario  ed efficace, affinché la terra lasci passare l’acqua e il concime! Una terra arida 

                                                             7 A. GRÜN, Gesù il terapeuta. La forza risanante delle parabole, San Paolo 2012, 33. 8 Si pensi all’idea della fine del mondo che si è così diffusa in tutto il globo terrestre lo 

scorso  dicembre,  causando  in  alcune  persone  più  suggestionabili  (tra  cui molti  bambini  e giovani) scoramento e pensieri di morte!  

9  La  superstizione  «può  anche  presentarsi  mascherata  sotto  il  culto  che  rendiamo  al 

vero Dio, per esempio, quando si attribuisce una importanza in qualche modo magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie»: CCC 2111. 

10 Ibidem, 36.  

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e secca, infatti, è compatta e impenetrabile sia all’acqua che al concime, le quali restano in superficie e non fertilizzano il terreno. Ma se viene usata su di  essa  la  zappa,  tanto  dolorosamente  quanto  efficacemente  l’acqua  può scendere in profondità e l’albero torna capace di portare frutto. Allo stesso modo,  sembra  che  alcune  esperienze  della  nostra  vita,  dolorose  come  se qualcuno  ci  stesse  zappando  l’anima,  possono  renderci  permeabili  alla grazia di Dio e nuovamente capaci di aprirci alla vita.  

«La seconda operazione consiste nella concimazione,  che per analogia sta a significare la cura e l’amorevole sollecitudine»11 con cui Dio ci lavora. L’accompagnamento spirituale personale è il contesto privilegiato per fare un attento e generoso lavoro su di sé, al fine di discernere la volontà di Dio e disporre il nostro cuore ad accoglierla.   

• Sono  disposto  a  “convertire”  il  mio  modo  di  pensare  o  sono rigidamente  fermo  sulle mie  opinioni?  Abbandono mai  le mie convinzioni per adottare la logica di Gesù? 

• Il  mio  comportamento  buono  è  coerente  espressione  del mio modo  di  vedere  le  cose?  O  faccio  le  cose  buone  più  per  un senso del dovere che perché ho interiorizzato il senso? 

• Mi  faccio  accompagnare  spiritualmente  per  discernere  la volontà  di  Dio  per  la  mia  vita  con  l’aiuto  di  una  persona  più esperta di me?  

• Nelle prove della mia vita permetto a Dio di zappettarmi al fine di  rendere più penetrabile  il mio cuore alla grazia di Dio? Cosa significa concretamente questo? Come posso farlo? 

• Quanto la superstizione ha posto nelle mie scelte?  

c. Giovani 

Gesù  viene  messo  dinanzi  al  grande  problema  della  morte,  delle disgrazie e delle violenze,  realtà che  incutono paura all’uomo e che  fanno dubitare  della  presenza  di  Dio.  Gesù  chiede  ai  suoi  interlocutori  di  non collegare direttamente  le  violenze  con  il  peccato personale, ma di  vedere nei mali del mondo il  frutto del peccato. Lui non è venuto a classificare gli uomini in buoni e cattivi, né a togliere le disgrazie che ci affliggono, ma ad insegnarci  a  guardare  ai  mali  del  mondo  come  invito  ad  interrogarsi  su 

                                                             11 Ibidem, 36. 

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come  viviamo.  Con  la  sua  vita,  ha  affrontato  questo  enorme  problema dell’umanità,  diventando  vittima  della  violenza  per  salvarci  dalla  violenza stessa. Noi giovani, di  fronte ai mali del mondo, spesso pensiamo che non riguardino  noi  e  viviamo  come  se  essi  non  ci  fossero,  oppure  ci organizziamo a ribellarci e a trovare a tutti i costi i colpevoli. 

Il  Signore  ci  presenta  un’altra  strada,  dicendoci  che  questo  male interpella  ciascuno  di  noi  personalmente,  e  non  possiamo  fare  né  gli indifferente né i ribelli, ma abbiamo bisogno di diventare veri, autentici, e di vincere il male nel nostro cuore, cioè convertirci. 

La  conversione  è  passare  dai  falsi  ideali,  personali  e  della  logica  del mondo, che producono paura e violenza ad un atteggiamento di fiducia che viene dal  fatto di essere  figli nel  Figlio e quindi amati da un Padre che ha cura di noi e che sa trarre il bene dal male, la vita dalla morte. E con lui, nel suo  amore,  nella  presenza  del  Cristo  e  nella  potenza  dello  Spirito,  noi possiamo farci carico dei mali del mondo, impegnando così la nostra vita a servizio dei fratelli. 

Ci viene in aiuto la parabola del fico che, di fronte alle nostre lentezze e alle nostre  ricadute,  ci  comunica con  forza  la premura che  il Padre ha per ciascuno di noi e la sua pazienza nei nostri riguardi. 

• Qual è  la mia reazione di fronte alle disgrazie e alle violenze di cui ogni giorno sono spettatore? 

• Quale conversione penso che Dio mi voglia proporre di fronte a questi fatti? 

• Riesco  a  capire  il  valore  del  tempo  come  occasione  offertami dall’amore del Padre per la mia conversione? 

 

d. Coppie 

Gesù  con  le  parole  “No,  io  vi  dico, ma  se  non  vi  convertirete,  perirete tutti  allo  stesso  modo”  (Lc  13,3)  ci  fa  un  invito  forte  e  deciso  alla conversione, pena  la morte, ma non  la morte fisica, bensì quella  interiore, rappresentata da un’esistenza vuota, una vita senza senso, priva di Amore: in definitiva un esistere senza VIVERE. 

Quante  volte  nella  coppia  rischiamo  di  dimenticare,  presi  dalle incombenze del quotidiano, che l’altro è dono di Dio per me ed io per lui/lei e  che  il  nostro  vivere  insieme  è  un  cammino  di  conversione  che  passa 

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attraverso  le  gioie,  le  gratificazioni,  i  fallimenti  e  le  sofferenze  del quotidiano e ha come filo conduttore il volgere i nostri sguardi verso Lui. 

Allora,  trovare  un  tempo  nel  quotidiano  per  pregare  in  coppia,  per avere  un  incontro  in  cui  porsi  reciprocamente  la  domanda:  “Come  stai? Come  sta  il  tuo  cuore?”  è  linfa  vitale  per  il  nostro  rapporto  perché  ci  da l’opportunità di sollevare lo sguardo dal quotidiano, non per distaccarcene, ma  per  guardarlo  da  una  prospettiva  diversa,  con  occhi  diversi,  facendo memoria che l’altro mi è stato donato per la mia conversione. 

Un  tempo di preghiera di  coppia  che è un  tempo di profonda  intimità tra  noi  e  con Gesù,  radicati  con  la  storia  delle  nostre  vite  nella  realtà  del quotidiano,  come  le  fondamenta  della  torre,  ma  capaci  di  volgere  lo sguardo  verso  l’alto,  a  Dio,  per  dare  senso  e  significato  proprio  al  nostro vivere quotidiano perché sia sempre più Vita e non solo esistenza. 

Il mantenere aperto questo canale di dialogo tra noi  tre,  io tu e Dio, è anche  per  ricordare  ogni  giorno  che  l’altro  per  portare  frutto,  come  ci chiede  Gesù,  ha  bisogno  del  nostro  amore,  che  l’altro  va  “concimato”, ovvero  che  ogni  giorno  dobbiamo prenderci  cura  di  lui/lei  con  amorevole sollecitudine.  

Se  il  nostro  amore  di  coppia  guarda  a  Lui,  allora  non  potrà  rimanere infecondo e saremo segno del Suo Amore per l’uomo, la nostra coppia sarà “eucarestia” per coloro che incontreremo nel cammino quotidiano. 

 

e. Carità e testimonianza 

«Tutta  l’iniziativa  salvifica  viene  da  Dio,  dalla  sua  Grazia,  dal  suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso  le  opere  della  carità.  Queste  non  sono  frutto  principalmente  dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come un albero  senza  frutti:  queste  due  virtù  si  implicano  reciprocamente»  (dal messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013). 

Offerta,  dono,  abnegazione,  accettazione,  rinuncia,  penitenza, mortificazione, ascesi, lotta, croce sono tutte sfumature dell’unica realtà del sacrificio,  del  modo  concreto  con  cui  rispondiamo  all’amore  di  Dio “rendendoci cosa sacra”. 

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Per ognuna di esse, però, ci vengono anche in mente i volti di persone vicine alla nostra vita, qualcuno a cui abbiamo detto “offri questa malattia a Dio”,  oppure  “accetta  la  tua  croce”,  o  ancora  “quell’uomo  in  carcere  sta scontando la sua pena, sta facendo penitenza”. 

• Guardando  ad  ognuno  di  loro,  possiamo  dire  di  aver  indicato una  strada  di  santificazione,  di  consacrazione  o  piuttosto abbiamo offerto solo frasi consolatorie per dirci vicini a chi è nel bisogno? 

• La nostra esperienza di  fede riesce a testimoniare a chi è nella sofferenza  la presenza di un Dio che non è  lontano, che non si dimentica  di  noi,  ma  che  anche  nella  difficoltà  è  capace  di rigenerarci? Quali parole riusciamo a donare? 

• Cosa  sto  sacrificando,  cosa  sto offrendo,  in questa Quaresima, per rispondere all’amore di Dio che ha offerto tutto se stesso in Gesù?  Il mio  dono  è  opera  di  carità  per  il  prossimo,  per  chi  è affamato, senza lavoro, malato, o in carcere, o nella solitudine, o nell’ignoranza di Cristo? Come sto contribuendo alla missione della nostra Chiesa diocesana in Albania? 

 

f. Spunti per attività  

Prima proposta  

Descrizione dell’attività 1. Dopo aver letto il brano si dà a ciascuno un foglio in cui si chiede di: 

 

a. Elencare qui di seguito le azioni del padrone delle vigna …………………………………………………………………………………………….  

b. Elencare qui di seguito le azioni del vignaiolo …………………………………………………………………………………………….  

c. Raccontare  se  ci  si  “sente”  più  nel  ruolo  del  padrone  o  del vignaiolo quando si pensa a se stessi e al proprio rapporto con il Signore ……………………………………………………………………………..  

2. Si invita il gruppo  a condividere quanto si è scritto nella riflessione personale  in  piccoli  sottogruppi  che,  in  seguito,  metteranno  in scena la parabola con un  finale sceneggiato da loro. 

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Seconda proposta 

Descrizione dell’attività 1. Si divide il gruppo in due sottogruppi che chiameremo  gruppi A e B 2. Si  fanno  sedere  le  persone  e  si  dividono  in  due  gruppi  gli  alberi 

(gruppo  A)  e  i  pellegrini  (gruppo  B).  Al  suono  di  una  musica  di sottofondo i gruppi sono condotti per una visualizzazione guidata.  Ecco di  seguito  il possibile  testo della voce guida con e  indicazioni per la musica di accompagnamento.  Si usa come sottofondo una musica suggestiva, rilassante almeno in questo primo momento di riscaldamento a. Introduzione Mi metto  seduto  in una posizione  comoda. Metto  i piedi  in modo che  la  pianta  sia  completamente  poggiata  a  terra  ...  La  schiena  è poggiata comodamente sullo schienale della sedia e la testa è dritta sulla schiena ... Le spalle riposano sul tronco non stando né troppo curve in avanti né troppo aperte all’indietro ... Le mie braccia sono comodamente poggiate sulle ginocchia con i palmi rivolti in basso.  Quando me la sento, chiudo gli occhi.  Ora  mi  concentro  sul  mio  respiro,  che  compio  a  bocca  chiusa  … Compio respirazioni lente e prolungate … Ad ogni inspirazione sento espandersi il mio torace. Passo a respirare con il diaframma e sento il mio  addome espandersi  fino  alla  parte  alta  sotto  il  torace  ...  Ad ogni espirazione sento l’addome e il torace svuotarsi e  l’aria uscire dalle mie narici … ad ogni espirazione,  insieme all’aria sento uscire anche  le  mie  preoccupazioni  e  le  mie  tensioni  …  ad  ogni inspirazione, incamero anche benessere ed energia.  La musica si fa un poco più intensa b. Creazione del contesto immaginario  

Sono in un bosco … Mi guardo intorno … È misterioso e animato! … Mi  alzo  dalla  sedia  restando  con  gli  occhi  chiusi  e  cammino  in questo enorme spazio verde … Mi muovo lentamente …  Se sono un albero, al battito di mani della guida un incantesimo mi trasformerà in un albero ben radicato a terra,  immobile. Una volta fermatomi nella mia posizione fissa, apro gli occhi. Se  sono  un  pellegrino,  invece,  al  battito  di mani mi  fermerò  e mi lascerò bendare ...  

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La musica continua nel sottofondo. La voce guida spiega che… c. Realizzazione dell’esperienza specifica   

Se  sono  un  pellegrino,  riprendo  il  mio  cammino  …  Cammino  nel bosco incantato ... Mi sono avventurato in questo bosco e mi sono smarrito … Se  sono  un  albero,  al  passaggio  dei  pellegrini  smarriti,  … magicamente  mi  muovo  e  con  i  miei  rami  prendo  per  mano  i viandanti  e  li  conduco,  collaborando  con  gli  altri  alberi,  senza proferire alcuna parola o alcun suono, verso una meta immaginaria. La  musica  continua  nel  sottofondo  ancora  per  circa  un  minuto. Dando  il  tempo  ai  partecipanti  di  vivere  a  fondo  l’esperienza  e  di ascoltare le proprie sensazioni.  d. Chiusura dell’esperienza 

Ora  mi  fermo.  Sento  i  miei  piedi  sul  pavimento.  Riascolto  il  mio respiro … Quando sono pronto, riapro gli occhi … Mi guardo intorno e vado lentamente a sedermi. Stop della musica. 

 

3. Alla fine dell’esperienza i due gruppi si  scambiano i ruoli ripetendo l’esperienza. 

 

4. Al  termine  dell’esperienza  si  chiede  al  gruppo  di  rispondere  a queste domande‐stimolo per la condivisione del vissuto: 

 

a. In quale ruolo ti sei sentito più a tuo agio? Perché?  

b. Cosa  hai  provato  a  muoverti  bendato  in  uno  spazio oscuro guidato da mani sconosciute?  

 

c. È facile per te fidarti degli altri e/o di Dio nel cammino della tua vita?  

d. Cosa  hai  provato  quando  sei  stato  costretto all’immobilità?  

 

e. Ti  è  mai  capitato  di  vivere  questa  sensazione  anche nella tua esperienza di fede? 

 

 

   

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g. Momento celebrativo  

 

LA VIA CRUCIS  Qui sotto una breve spiegazione dell’origine della Via Crucis, può essere 

comodamente letta come introduzione al momento di preghiera:   

Origine della Via Crucis Simbolo di un’esperienza universale di dolore e di morte, di  fede e di  speranza,  la Via 

Crucis  commemora  l’ultimo  tratto  del  cammino  percorso  da  Gesù  durante  la  sua  vita terrena: da quando Egli e i suoi discepoli, “dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli  ulivi”  fino  a  quando  il  Signore,  reggendo  il  patibulum,  fu  condotto  al  “luogo  del Golgota”  dove  fu  crocifisso  e  inumato  in  un  sepolcro  nuovo,  scavato  nella  roccia  di  un giardino vicino. Reperti archeologici attestano, già nel  II secolo,  l’esistenza di espressioni di culto  cristiano  nell’area  cimiteriale  dove  era  stato  scavato  il  sepolcro  di  Cristo.  Forme embrionali della futura Via Crucis possono essere ravvisate nella processione che si snodava fra  i  tre  edifici  sacri  eretti  sulla  cima del Golgota  ‐  l’Anastasis,  la  chiesetta  ad Crucem e  la grande  chiesa  del  Martyrium  ‐  e  nella  via  sacra,  un  cammino  attraverso  i  santuari  di Gerusalemme che si desume dalle varie “cronache di viaggio” dei pellegrini dei secoli V e VI sec.. La Via Crucis, nella sua forma attuale, risale al Medio Evo inoltrato. Nel corso del Medio Evo,  infatti,  l’entusiasmo  sollevato  dalle  Crociate,  il  rifiorire  dei  pellegrinaggi  a  partire  dal secolo  XII  e  la  presenza  stabile,  dal  1233,  dei  frati  minori  francescani  nei  “luoghi  santi” suscitarono nei pellegrini il desiderio di riprodurli nella propria terra: un esempio in tal senso è  il complesso delle sette chiese di Santo Stefano a Bologna. Verso  la fine del secolo XIII  la Via Crucis è già menzionata, non ancora come pio esercizio, ma come cammino percorso da Gesù nella salita al Monte Calvario e segnato da una successione di “stazioni”.La pratica della Via  Crucis  nasce  dalla  fusione  di  tre  devozioni  che  si  diffusero,  a  partire  dal  secolo  XV, soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi: la devozione alle “cadute di Cristo” sotto la croce; la devozione ai “cammini dolorosi di Cristo”, che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi di dolore compiuti da Cristo durante la sua passione; la devozione alle “stazioni di Cristo”, ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario o perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore,  cerca ancora di  stabilire un dialogo  con gli  uomini  e  le donne  che partecipano alla sua passione. Nella sua forma attuale, attestata già nella prima metà del secolo XVII, la Via Crucis, diffusa soprattutto da san Leonardo da Porto Maurizio († 1751), approvata dalla Sede Apostolica ed arricchita da indulgenze, consta di quattordici stazioni. 

 Vangelo (Lc 13,1‐9) Il testo del Vangelo di Lc 13,1‐9 espone alcuni aspetti fondamentali per 

la vita cristiana:  l’urgenza di cambiarsi,  l’impossibilità di  fondare  la propria conversione  e  salvezza  semplicemente  su  un  cammino  ascetico, 

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l’importanza  dei  sacrifici  non  come  offerte  al  Signore  di  cose  o  altro  ma come rendersi sacri davanti a Dio amando il prossimo ed infine  l’aiuto che ognuno  di  noi  deve  cercare  negli  altri  per  scoprire  la  volontà  di  Dio.  Lo “strumento”  che  il  Signore  usa  per  aiutarci  in  questa  nostra  “via”  è  Gesù stesso. Riflettere sulla sua vita, sul suo amore, contemplare la sua capacità di donarsi per noi  genera dentro di noi un desiderio  forte di  rispondere a questo amore, non con pratiche e riti, ma con la nostra vita. 

Per ogni uomo, e quindi anche per Gesù, gli ultimi momenti della  vita sono sicuramente  i più  significativi.  I  gesti,  le parole, gli  sguardi  sono  tutti gravidi, cioè pieni, della sua presenza e della sua missione. Meditando sulle stazioni  della  Via  Crucis  sforziamoci  di  usare  tutti  i  sensi  per  penetrare all’interno  di  esse.  Non  sia  una  pratica  distratta  da  sguardi,  o  da  altri pensieri. Sforziamoci di immedesimarci in questi episodi conclusivi della vita di Gesù. Lasciamoci interpellare da questo amore sconfinato:  

Cosa ha portato  il Signore Gesù ad amarmi  in questo modo così  folle? Ho  qualche  merito?  Riesco  ad  accettare  un  amore  totalmente  gratuito? Come posso rispondere? Cosa stride nella mia vita con questo Amore?  

 Struttura incontro  Per la guida. (1) Leggere l’introduzione messa in nota, quindi, dopo (2) il 

segno di  Croce  iniziale  e  prima di  iniziare  la meditazione  della  stazioni,  si può  (3)  leggere  il  Vangelo  di  Lc  13,1‐9  e  (4)  il  commento  “il  filo  rosso”. Oppure  leggere  il  testo  riportato  appena  sopra.  A  questo  punto,  si  può iniziare  con  (5)  la  Via  Crucis  tradizionale,  lasciando  dopo  ogni  stazione almeno  un  breve  momento  di  silenzio,  senza  molti  canti,  né  troppe spiegazioni  per  ogni  stazione.  Lasciamo  che  siano  esse  a  suscitare  in  noi delle domande. 

  

 

 

   

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3. Terzo modulo. Dio si com‐muove, si muove con noi 

Lc 15,1‐3.11‐32.  

 1Si  avvicinavano  a  lui  tutti  i  pubblicani  e  i  peccatori  per  ascoltarlo.  2I 

farisei  e  gli  scribi  mormoravano  dicendo:  «Costui  accoglie  i  peccatori  e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola: 

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra  loro  le  sue  sostanze.  13Pochi  giorni  dopo,  il  figlio  più  giovane,  raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a  trovarsi nel bisogno. 15Allora andò  a  mettersi  al  servizio  di  uno  degli  abitanti  di  quella  regione,  che  lo mandò nei  suoi  campi  a pascolare  i  porci.  16Avrebbe  voluto  saziarsi  con  le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui  muoio  di  fame!  18Mi  alzerò,  andrò  da  mio  padre  e  gli  dirò:  Padre,  ho peccato  verso  il  Cielo  e  davanti  a  te;  19non  sono  più  degno  di  essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. 

Quando  era  ancora  lontano,  suo  padre  lo  vide,  ebbe  compassione,  gli corse  incontro, gli si gettò al collo e  lo baciò. 21Il  figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e  fateglielo  indossare,  mettetegli  l’anello  al  dito  e  i  sandali  ai  piedi. 23Prendete  il  vitello  grasso,  ammazzatelo,  mangiamo  e  facciamo  festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato  in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 

25Il  figlio maggiore  si  trovava nei  campi. Al  ritorno, quando  fu  vicino a casa,  udì  la musica  e  le  danze;  26chiamò  uno  dei  servi  e  gli  domandò  che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha  fatto  ammazzare  il  vitello  grasso,  perché  lo  ha  riavuto  sano  e  salvo”. 28Egli  si  indignò,  e non  voleva entrare.  Suo padre allora uscì  a  supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far 

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festa con  i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio,  il quale ha divorato  le  tue  sostanze  con  le  prostitute,  per  lui  hai  ammazzato  il  vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».  

a. Approfondimento esegetico 

È una delle pagine più famose di tutti e quattro i Vangeli. Solo dal cuore di  Gesù,  che,  in  quanto  Figlio,  conosceva  Dio  come  nessun  altro,  poteva venire un racconto così bello e coinvolgente. La parabola del figliol prodigo o  del  padre misericordioso,  come  si  preferisce  dire  oggi,  è  l’ultima  di  tre parabole  che  abbracciano  l’intero  capitolo  15  del  Vangelo  di  Luca,  e  che sono note come le parabole della misericordia. In esse si ripete il seguente schema: qualcosa/qualcuno che si è perso viene ritrovato, per questo si fa festa.  Gesù  le  racconta  perché  i  farisei  e  gli  scribi  non  accettano  il  suo comportamento  nei  confronti  dei  peccatori.  Gesù  «accoglie  i  peccatori  e mangia con loro», per questo «i farisei e gli scribi mormoravano» (v. 2 ). 

La  parabola  che  la  Chiesa  ci  propone  nella  liturgia  della  Quarta domenica di Quaresima comincia così: «Un uomo aveva due figli».  Il testo non ci presenta mai i due figli insieme, ma prima il minore (vv. 12‐24), poi il maggiore (vv. 25‐32), entrambi a confronto con il padre. 

In pochi versetti viene raccontata la discesa del figlio più giovane verso il  baratro:  chiede  al  padre  la  parte  di  eredità  che  gli  spetta,  raccoglie  le sostanze,  va  in un paese  lontano dove vive da dissoluto. Dopo aver  speso tutto, sopraggiunge anche una carestia che lo costringe a pascolare i porci: un  lavoro  particolarmente  umiliante  per  un  ebreo,  dato  che  il maiale  era considerato un animale impuro e per questo era allevato solo dai pagani; e umiliante  perché  non  garantiva  al  figlio  giovane  un  salario  sufficiente: «Avrebbe  voluto  saziarsi  con  le  carrube  di  cui  si  nutrivano  i  porci;  ma nessuno  gli  dava  nulla»  (v.  16).    Affamato  e  senza  un  aiuto:  ha  toccato  il fondo. 

Luca  è  stato  velocissimo  nel  descrivere  il  precipitare  del  figlio minore verso  il baratro. Ma a questo punto  il  ritmo rallenta.  Il  figlio «ritornò  in se stesso»  (v.  17).  Non  dobbiamo  interpretarlo  come  un  segnale  di  con‐versione. Significa semplicemente che si è accorto dell’errore. Sta morendo di fame mentre a casa di suo padre gli operai hanno cibo in abbondanza. Sta 

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confrontando  la  sua  condizione  con  quella  degli  operai  di  suo  padre,  e conclude che tornare a casa è la cosa migliore. È vero che dirà a suo padre: «Ho  peccato  verso  il  Cielo  e  davanti  a  te»  (v.  18) ma  ciò  che  lo  spinge  a tornare non è il dolore che gli ha inferto (andandosene) ma la condizione di indigenza  in cui si trova. Con queste parole spera di  fare breccia nel cuore del padre. D’altra parte non vuole puntare troppo  in alto, si accontenta di essere un umile operaio, pur di mangiare: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati» (v. 19). 

Il  figlio minore, però, non viene riaccolto  in casa per  la  sua supplica.  Il padre gli corre incontro quando è ancora lontano, lo abbraccia e lo bacia. Il suo  comportamento è mosso dalla  “compassione”,  l’amore viscerale della madre che  i profeti hanno cantato tante volte (cfr. Os 11,1‐9).  Il  figlio non finisce  nemmeno  il  discorso  che  si  era  preparato  e  ottiene  molto  più  di quanto  sperava:  viene  ristabilito nella dignità di  figlio  (il  vestito,  l’anello,  i sandali),  e  non  semplicemente  riaccolto  come operaio.  Al  padre  interessa solo che il figlio sia tornato a casa, non perché sia tornato e  nemmeno che cosa abbia  fatto dopo essersene andato. La sua gioia è  immensa perché  il figlio «era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24 ). Questa è l’unica cosa che conta. 

Il figlio maggiore entra in scena a questo punto, dopo che è cominciata la festa per il ritorno del fratello. La sua indignazione è la conseguenza di un ragionamento  semplicissimo:  il  fratello  non  merita  il  trattamento  che  il padre  gli  ha  riservato perché ha  sperperato  i  suoi  (del  padre)  soldi  con  le prostitute;  lui,  piuttosto,  che  serve  il  padre  da  tanti  anni  e  non  ha  mai disobbedito a un suo comando (v. 29), meriterebbe di più. 

Il  problema del  figlio maggiore è  che  anche  lui  si  concepisce  come un servo, non come un figlio. Ragiona come il fratello (che egli disprezza tanto da non chiamarlo mai  fratello) che è tornato a casa perché vuole  il salario degli  operai  di  suo  padre;  a  lui  il  padre  non  dà  abbastanza,  merita  un trattamento diverso. La logica dei due figli è la stessa: ciascuno deve avere quello che si merita. 

Ma  non  è  la  logica  del  padre.  Egli  non  fa  conti  né  con  l’uno  né  con l’altro.  Ama  i  due  figli  indipendentemente  da  quello  che  hanno  fatto. «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (v. 31): non dà a ciascuno secondo i meriti, ma secondo la grandezza del suo amore.  

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L’obiettivo della parabola, possiamo dire  in conclusione, non è  fare un confronto tra i due figli,  ma tra la mentalità dei due figli e quella del padre. Questo  padre  è  Dio,  e  Dio  soltanto,  che  si  rallegra  per  il  ritorno  dei peccatori,  che  ama  gli  uomini  in  modo  smisurato  e  per  questo  non  si rassegna all’idea di perderli. 

 

b. Il filo rosso 

Seguiamo  il  percorso  dei  due  figli  della  parabola.  Con  loro sperimentiamo  che  nel  cammino  arido  della  nostra  quaresima  non  siamo soli: abbiamo anche noi un Padre Buono che si muove con noi, soprattutto nel momento in cui ci smarriamo nel nostro deserto e ci sentiamo più soli.  

Il  figlio  giovane  è  irrefrenabilmente  bramoso  di  vita,  sperpera  i  suoi averi  e  dissipa  se  stesso  e  la  sua  dignità  (si  mise  al  servizio  di  uno  degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci). Ma toccato  il  fondo riesce a reagire. Rientra  in se stesso, si “ritrova” dopo essersi  “perduto”,  e  decide  di  risollevarsi  (Mi  alzerò).  Nel  testo  greco  la parola anastàs (essendosi alzato) richiama l’atto del risorgere: era morto e ora  vuole  tornare  alla  vita.  Eppure  il  ragazzo non ha  ancora  compreso un gran ché dell’amore del Padre. Ha compreso quanto male si sia procurato e ha realizzato di aver smarrito se stesso, questo sì. Per il resto ha speranza di ritrovarsi  nuovamente  a  casa, ma  non  sa  ancora  cosa  lo  aspetta.  Lui  si  è preparato  il  discorsetto  da  fare  al  padre,  cercando  di  fargli  una  proposta ragionevole,  una  sorta  di  contrattazione  seguendo  le  solite modalità    del mondo. Ma lui non sa che al suo ritorno sarà avvolto immeritatamente dal abbraccio  benedicente  del  padre,  che  lo  accoglierà  oltre  ogni  sua previsione. 

In  effetti,  attraversando  i  nostri  deserti  approdiamo  ad  una  maggior conoscenza  di  noi  stessi,  che  è  tutt’uno  col  conoscere  Dio.  Nel  luogo  più sacro della nostra identità profonda non possiamo che trovare anche Dio e il  suo amore.  L’Amante e  l’amato non possono che  trovarsi  insieme! Così, essendo  rientrati  in  noi  stessi  possiamo  lasciarci  incontrare  dal  Padre, sperimentandone la compassione. L’esperienza umana più vicina ad essa è sicuramente l’amore viscerale che una mamma nutre per il suo piccolo. Sia in  greco  che  in  ebraico,  infatti,  il  termine  tradotto  in  italiano  con “compassione” indica le viscere materne che si muovono all’unisono con il figlio  che  esse  hanno  generato.  È  in  questo  modo  che  Dio  prova 

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compassione  per  noi,  nel  senso  che  “patisce  con  noi”.  Ne  condivide  il “patos”, cioè i “movimenti” della nostra anima diventano i suoi. L’amore di Dio  è  tale  da  esprimersi  in  una  visceralità  praticamente  simbiotica,  una sorta di risonanza emotiva e globale per la quale l’amante ha in sé gli stessi movimenti dell’amato. Ne condivide il sentire interiore profondo! Ecco così che  nel  nostro  deserto,  incontrando  noi  stessi  (rientrò  in  se  stesso), troviamo Dio (lo baciò). 

Ma c’è da chiedersi quale  tra  i due  fratelli  sia nel deserto più arido. A ben guardare,  il  fratello maggiore ha  sempre vissuto nella  casa del padre, ma con la mentalità dello schiavo. Non si è accorto che il Padre era sempre con  lui  e  che avrebbe potuto prendere  in piena  libertà  tutti  i  capretti  che voleva  (tu  sei  sempre  con  me  e  tutto  ciò  che  è  mio  è  tuo).  Viveva  come ospite a casa sua! Lui, sempre così vicino al padre, eppure così lontano dal cogliere  il  suo amore! La parabola sembra rivolta soprattutto a  lui e a chi, come  lui,  non  ha  ancora  incontrato  il  Padre.  Il  fratello  minore  che  è peccatore Lo incontra, ma del maggiore non è detto cosa sceglierà di fare, se prenderà parte alla festa o meno... La parabola, infatti, è rivolta ai farisei e agli scribi che presumevano di essere giusti. Essi non avevano capito che, nella loro presunzione di giustezza, avevano perso Dio.  

In  conclusione,  noi  ci  identifichiamo  più  facilmente  con  il minore, ma abbiamo bisogno di  stanare  il  fratello maggiore che è  in noi. Solo  l’atto di umiltà  alla  quale  noi  “maggiori”  siamo  chiamati  ci  permetterà  di sperimentare che Dio si muove con noi. Quello che noi viviamo nel nostro deserto non è a Lui estraneo. Lui se ne coinvolge profondamente. Anche le cose più dure e nascoste che viviamo non  resta perduto, perché  resta nel cuore  di  Dio.  Ogni  cosa  può  trovare  il  suo  senso.  Un  grande  disegno riassume  ogni  cosa  in  sé  e  apre  ad  una  speranza  nuova  ogni  nostra sconfitta. 

 

• Riesco  ad  avere  consapevolezza  del  mio  peccato?  O  tendo piuttosto  a  ritenermi  giusto?  Migliore  di  altri?  Ho  talvolta  la sensazione di poter e dovere avanzare diritti meritati? Tendo a fare  confronti  con altri  che  ritengo  “minori”  rispetto  a me o  a quello che faccio?  

• Il  fratello minore  che  è  in me… a  che  punto  si  trova  della  sua esperienza di smarrimento e ritrovamento?  

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Sono  al  momento  di  polemica  e  rottura  e  mi  sto prendendo quello che mi spetta per andarmene?  

Sto  facendo  esperienza  del  vuoto  che  mi  lascia l’abbandonarmi alle mie bassezze?  

Oppure mi sto rialzando per decidermi a tornare a casa di mio padre?  

O magari  ho  sperimentato  l’abbraccio  di Dio  nella mia vita e sto festeggiando questa gioia? 

• Se io sono il  fratello maggiore, quale finale scriverò per questa parabola?  Cosa  sceglierò  di  fare:  entrerò  alla  festa  o  no?  Di solito cosa faccio nella mia vita? 

 

c. Giovani 

Questo  Vangelo  è  la  risposta  all’invito  pressante  alla  conversione ascoltato  in  quello  precedente.  Ci  dice  che  il  cuore  di  tutto  è  l’amore.  Se abbiamo incontrato l’amore, se ci crediamo e se orientiamo tutta la nostra vita  verso l’amore e per l’amore siamo uomini nuovi, convertiti secondo la nostra origine, secondo la nostra natura e secondo il nostro destino. 

Se  non  abbiamo  incontrato  l’amore,  la  nostra  vita  prende  strade  che sono palliativi dove all’essere che è l’amore viene sostituito l’avere che è il successo, il potere... (cfr. Vangelo delle tentazioni). 

Abbiamo  il  padre  della  parabola  che  incarna  la  vita  e  la  esprime nell’amore gratuito,  l’amore accogliente,  l’amore che non giudica,  l’amore che non guarda  i  propri  interessi,  l’amore  che non guarda  ai  torti  ricevuti ma che vuole i figli nella vita, nell’amore e nella gioia. 

Il  banchetto  che  conclude  la  vicenda  del  figlio minore  è  un  immagine per  la  nostra  vita,  delle  nostre  feste  vere  (non  quel  divertimento  che rincorriamo per coprire  le nostre  insoddisfazioni e  le nostre paure), quella festa che il nostro Padre ci annuncia come approdo della nostra vita. 

I  due  figli  non  hanno  capito  l’amore  del  padre  (è  chiaro  che  è  una parabola che ci vuole dire certe cose perché con un padre come questo ci viene  da  interrogarci  su  come  sia  possibile  non  scoprire  l’amore).    Tutto quello che era del padre era loro, non hanno capito che l’eredità è il frutto del  lavoro del  padre  che è per  loro,  che è opera del  padre,  e  che è dono gratuito dato ai figli. I due prendono strade compensative fuori dell’amore, convinti di trovare la felicità. Abbiamo il più piccolo che segue i programmi 

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emozionali  di  una  felicità,  nella  sregolatezza,  nel  divertimento,  nell’uso sbagliato dei soldi; solo nell’umiliazione scopre che è un fallito, scopre che ha  sbagliato  obiettivo.  E  quando  torna,  per  un  calcolo  opportunistico, scopre un’accoglienza che diventa una festa. 

Il maggiore con progetti di legalismo e di fedeltà alla tradizione vive una vita  senza  soddisfazione  e  al  momento  del  ritorno  del  fratello,  esprime l’amarezza della vita che vive,  la  rabbia che prova verso  il padre e verso  il fratello,  e  l’incapacità di  partecipare  alla  festa.  È  chiaro  che  l’immagine di questi  due  figli  è  l’immagine  di  ognuno  di  noi.  Gesù  ce  li  mette  davanti perché aiutino noi che siamo frustrati, ribelli e insoddisfatti, a guardare cosa abbiamo  nel  cuore,  quale  senso  diamo  alla  nostra  vita  e  che  capacità abbiamo di godere dell’amore del Padre. Quello che conta è che incontria‐mo  quell’amore  che  ci  genera  alla  vita.  È  la  realtà  della  conversione:  il sentirci figli di un Padre che ci ama e che ci vuole nell’amore.   

 

• Riesci  ad aver  chiaro dove  i  tuoi  falsi  progetti  di  felicità non  ti fanno  riconoscere  l’amore  e  ti  rendono  schiavo  del  successo, dei soldi, del divertimento, ecc...? 

• Riesci a capire quando ti fai giudice, quando ti fai migliore degli altri per il tuo impegno? Comprendi che in realtà proprio il tuo impegno è la radice di una profonda insoddisfazione che ti isola e che ti impedisce di vivere perché non vivi l’amore e perché sei incapace di essere una ricchezza per gli altri? 

• Nella  tua  vita  concretamente  dove  ti  pare  di  vedere  i  segni  di questo straordinario amore del Padre? 

 

d. Coppie 

“Quando era ancora  lontano  suo padre  lo  vide, ebbe  compassione,  gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.” 

Certamente tante volte abbiamo fatto esperienza della compassione di Dio,  del  suo  abbraccio,  del  suo  bacio;  tutte  le  volte  in  cui  costretti  ad attraversare  il  deserto  della  nostra  aridità,  della  nostra  solitudine,  della nostra  inadeguatezza,  del  nostro  fallimento,  durante  il  quale  abbiamo percepito  l’assenza  di  Dio,  all’improvviso  abbiamo  trovato  la  forza  per reagire  e  rientrando  in  noi  stessi,  ci  siamo  ritrovati,  e  proprio  là  nella profondità di noi stessi abbiamo ritrovato anche Dio e il suo Amore.  

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Quando  facendo  il  bilancio  della  nostra  vita  personale  e matrimoniale abbiamo  sentito  di  aver  toccato  il  fondo,  di  essere  senza  via  d’uscita, abbiamo  dato  un  “colpo  di  reni”,  quasi  siamo  rimbalzati  sul  fondo  del nostro fallimento. Questo “colpo di reni” si realizza partendo dall’aver preso consapevolezza  della  propria  personale  tragedia.  Si  parte  così  da  una relazione  con  se  stessi,  poi  si  può  andare  verso  l’altro.  Proprio  così  fa  il figliol prodigo: ”Ritornò  in sé…..si alzò e tornò da suo padre”.    Il deserto è esperienza  profonda  dell’incontro  con  Dio  che  passa  attraverso  l’incontro con la nostra intimità più profonda, più sacra. 

Anche  nel matrimonio  attraversiamo momenti  di  deserto,  sia  scelto  o voluto da noi, sia indipendente dalla nostra volontà, comunque sia ci costa dolore viverlo, ci porta talvolta ad allontanarci, a ferirci, a chiudere il nostro cuore  all’altro.  In  quei  momenti  ci  sentiamo  soli,  abbandonati  da  chi amiamo e anche da Dio. È proprio allora che si fa più potente la grazia del nostro essere sposi in Cristo perché siamo in due, anzi in tre: il suo Spirito fa si  che  ognuno  di  noi  diventi  per  l’altro  il  Padre  buono  che  attende  con rispetto  e  pazienza,  che  non  fa  pressione,  lascia  libero  l’altro  facendogli sentire la sua presenza e il suo amore e quando ha ripreso contatto con se stesso, gli  corre incontro e  lo accoglie con un abbraccio e un bacio. 

Grazie  a  questa  tenerezza  reciproca,  l’altro  diventa  la  “casa”  a  cui tornare nella certezza di essere accolti senza condizioni. 

La  nostra  salvezza  passa  attraverso  il  nostro  coniuge,  non  può prescindere da lui perché Dio ci ha scelti insieme. 

 

e. Carità e testimonianza 

«Tutta  la  vita  cristiana  è  un  rispondere  all’amore  di  Dio.  La  prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il “sì” della fede segna l’inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta  la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20). Quando noi  lasciamo spazio all’amore di Dio,  siamo resi  simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci  porti  ad  amare  con  Lui,  in  Lui  e  come  Lui;  solo  allora  la  nostra  fede 

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diventa veramente “operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12)»12. 

Ci sentiamo attratti a vivere nell’amore sollecitati dall’amore del Padre? I  nostri  gesti  sono  espressione  del  suo modo  di  amare?  Proviamo  a  dare concretezza a questa domanda. 

• Il papa nel messaggio per la quaresima 2013 ci dice che la prima forma  di  carità  è  spezzare  la  Parola  di  Dio,  annunciare  suo Vangelo.  Sentiamo  in  noi  quella  tensione  missionaria  che  ci spinge a cercare chi attende questo annuncio, sia esso vicino o in  terre  lontane?  Il  nostro  gemellaggio  con  l’Albania  ci  rende attenti,  ci  mette  in  preghiera  per  i  nostri  fratelli  albanesi,  ci rende  disponibili  a  condividere  la  loro  vita  “comunitaria”, magari  anche  partecipando  attivamente  a  campi  o  iniziative nella loro terra? 

• Il  Padre  esprime  la  propria  misericordia,  l’amore  viscerale, materno, per il suo figlio, attendendolo, scrutando il suo ritorno alla finestra. Abbiamo gli stessi sentimenti di attesa per chi si è allontanato  e  magari  vive  in  situazioni  di  degrado  morale  e materiale? Siamo pronti a riavvicinarli, a ricondurli in un ambito familiare? 

• I due figli accusano il Padre di non avergli dato ciò che invece il Padre ha condiviso con loro sin dalla loro nascita. Siamo pronti a condividere  i  nostri  beni  (tempo,  attenzione,  valori,  cose materiali,  ..)  con  chi  è  nel  bisogno  e magari  addebita  a  Dio  la mancanza di ciò che desidera? 

  

   

                                                             12 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013 

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f. Spunti per attività  

Prima proposta Descrizione dell’attività Si  propone    al  gruppo  una  lettura  della  parabola  lucana  attraverso  la 

contemplazione  del    quadro  di  Rembrandt,  dipinto  nel  1669  ed  esposto presso il museo di San Pietroburgo. 

 

1. Brainstorming.  Il gruppo  liberamente esprime quanto  il dipinto suscita  nel  proprio  cuore.  Le  parole  vengono  segnate  su  un cartellone posto al centro della stanza 

2. Descrizione del dipinto.  Il  tema  del  quadro  è  il  ritorno  spirituale  dell’umanità  intera.  Vi  è 

rappresentata  l’accoglienza,  da  parte  del  padre,  nei  confronti  del  figlio minore.  Sul  lato  destro  vi  è  il  figlio maggiore  che  osserva;  e  sullo  sfondo altre  figure  umane  non  ben  determinate  che,  come  noi,  contemplano  la scena. 

Fermiamoci a contemplare anzitutto i colori che il pittore utilizza: colori marroni scuri, ocra e bianco, ma pieni di calore interiore, che sprigiona dai rossi vibranti e dalle calde tinte dorate. 

L’artista  in questa opera mescola pure  la  luce alle tenebre  in modo da suggerire  il  sorgere  dell’alba,  una  fiamma  di  luce  solare,  un’immagine  di risurrezione. 

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La  figura  centrale  del  padre  e  del  figlio  forma  un  fuoco  raggiante.  Il gesto dolce e delicato d’amore del padre riammoglia il figlio. È sempre Dio che prende l’iniziativa, che si china su di noi tenendoci stretti. 

 

Il figlio minore è in atteggiamento di totale pace e riposo in seno a suo padre  come  una  nave  arrivata  in  porto  dopo  una  tremenda  tempesta;  o come  un  bambino  addormentato  in  grembo  a  sua  madre.  Le  vesti  sono tutte  logore  e  sporche  come  le  vele  di  una barca dopo  avere  combattuto con i venti e le correnti marine.Le vesti di sacco cadono in pieghe profonde e  scure attorno alle gambe ad  indicare che  l’oscurità del peccato aderisce ancora alla sua persona che solo adesso si sta aprendo alla luce: “Dio è luce, e in Lui non ci sono le tenebre” (1Gv 1,5).La testa del giovane è rasata come quella  di  un  prigioniero  o  di  un  pidocchioso  o    di  un  ammalato  o  di  un bambino appena nato.Le sue carni sono piagate, i sandali a pezzi di cui uno è  perso  nella  polvere.Il  giovane  non  si  cura  degli  altri  personaggi.  A  lui interessa la presenza del padre e del battito del cuore di questo padre che lo  stringe  al  suo  petto  con  quelle  mani  che  sanno  ora  di  amore  paterno (mano  sinistra) ora di  amore materno  (mano destra).Gli occhi del  giovane sono  chiusi  per  gustare  questo  momento  di  intimità  reciproca  e  per assaporare  il  profumo  del  padre  e  la  preziosità  delle  sue  vesti.Notare ancora che le due figure formano un solo asse di luce brillante mentre i loro cuori battono all’unisono sotto un tetto porpora e colonne di oro puro. 

 Il  figlio  maggiore  Sullo  sfondo    sta  il  figlio  maggiore.  Il  suo  è  un 

atteggiamento  incerto  e  sospettoso  dell’amore  del  padre  verso  il  fratello minore.  Tuttavia  il  suo  mantello  riflette  il  colore  del  gruppo  centrale  e riceve dignità e sicurezza dalla loro luminosa unità. 

Il  padre  La  nostra  contemplazione  si  concentra  ora  sulla  figura  del padre:  il  cui  amore  è  senza  condizioni.  L’autore  ritrae  il  padre  come  un anziano i cui occhi sono umidi di tristezza. La sua faccia è solcata dagli anni di attesa del figlio. Ci si focalizzi sul genitore‐Dio che incarna tutte le qualità di tenerezza e di forza che diamo a coloro che ci hanno dato la vita e si sono presi cura di noi (“Mostraci il Padre”: Gv 14,8). 

I  suoi  occhi  velati  simboleggiano  l’amore  che  volge  uno  sguardo  cieco sui nostri errori. Il suo sguardo stanco ci ha cercato appassionatamente. La 

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ricchezza delle vesti e  il vellutato denotano la  ricchezza della grazia che ci dispensa, nonché l’accoglienza che riserva al figlio minore. 

La notte .Le due figure centrali sono circondate dalla notte, la notte in cui il figlio minore ha vissuto gran parte della sua vita. Ma è nel cuore della notte  che  avviene  il  grande  miracolo  della  vita;  è  nell’oscurità  che  tutto diventa benedetto ed è più bella dell’alba. La luce del giorno eterno di Dio albeggia e una nuova creazione si realizza per il figlio e per ciascuno di noi. 

È  in  questa  disposizione  che  si  capisce  come  solo  Gesù  può  riportare l’umanità al Padre.  

La  storia  di  questo  figlio minore  è  la  storia  di  Gesù. Ma Gesù  non  ha dissipato le sostanze del Padre, anche se non “considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se  stesso assumendo  la  condizione di servo …” (Fil 2,6‐11). 

Notiamo ancora  la figura del giovane:  i suoi vestiti di sacco  indicano lo stato di  schiavitù,  il  vestito comune dell’umanità, che rappresenta  tutte  le miserie del mondo: guerre, fame, sfruttamento. 

Questo è il tipo di notte e il genere di tenebre che Gesù ha vinto.   L’animatore  invita  il  gruppo  a  condividere  quanto  l’immagine  ha 

suscitato attraverso delle domande stimolo del tipo: 

• In quale personaggio ti ritrovi di più? 

• Cosa si provi verso ciascun personaggio? 

• Quale è più vicino ai tuoi sentimenti adesso? 

   

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g. Momento celebrativo  

  

Celebrazione Penitenziale 

per la Quaresima (tratta dal Rito della Penitenza) 

    

La  presente  celebrazione  può  essere  utilizzata  anche  quando  non  si celebra il Sacramento della Riconciliazione) 

 

Premessa generale  

La Quaresima è il tempo penitenziale per eccellenza, sia per i singoli fedeli che per  tutta  la  Chiesa.  È  bene  quindi  che  la  comunità  cristiana  approfitti  di questo  tempo  per  prepararsi,  con  celebrazioni  penitenziali,  a  partecipare pienamente al mistero pasquale. Si  tenga  presente  il  carattere  penitenziale  della  liturgia  della  parola  nelle Messe  proposte  per  la  Quaresima.  Può  essere  quindi  opportuno,  per  le celebrazioni penitenziali, l’uso del Lezionario e del Messale Romano.   

Schema della celebrazione  

Canto iniziale scelto dal repertorio parrocchiale.  

Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote:  Fratelli,  eletti  secondo  la  prescienza  di  Dio  Padre  mediante  la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue, grazia e pace in abbondanza a tutti voi. (Cf 1Pt 1, 1‐2)  

Assemblea: E con il tuo spirito.  

Sacerdote: Fratelli,  col  peccato  siamo  venuti  meno  agli  impegni  del  nostro Battesimo:  preghiamo  il  Signore  perché  mediante  la  penitenza  ci ristabilisca nel suo amore. 

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Assemblea: Padre santo, come il figliol prodigo mi rivolgo alla tua misericordia: «Ho peccato contro di te, non son più degno d’esser chiamato tuo figlio». Cristo Gesù, Salvatore del mondo, che hai aperto al buon ladrone le porte del paradiso, ricordati di me nel tuo regno. Spirito Santo, sorgente di pace e d’amore, fa’ che purificato da ogni colpa e riconciliato con il Padre io cammini sempre come figlio della luce.  

Sacerdote: Guarda con bontà, o Signore, questi  tuoi  figli, nati a nuova vita nell’acqua  del  Battesimo;  come  li  hai  redenti  con  la  tua  passione,  così rendili  partecipi  della  tua  risurrezione.  Tu  che  vivi  e  regni  nei  secoli  dei secoli.  

Assemblea: Amen.  

Lettore:  Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinzi (10,1‐13) Non  voglio  infatti  che  ignoriate,  o  fratelli,  che  i  nostri  padri  furono  tutti sotto  la  nuvola,  tutti  attraversarono  il  mare,  tutti  furono  battezzati  in rapporto  a  Mosè  nella  nuvola  e  nel  mare,  tutti  mangiarono  lo  stesso  cibo spirituale,  tutti  bevvero  la  stessa  bevanda  spirituale:  bevevano  infatti  da una roccia spirituale che  li accompagnava, e quella roccia era  il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel  deserto.  Ora  ciò  avvenne  come  esempio  per  noi,  perché  non desiderassimo  cose  cattive,  come  essi  le  desiderarono.  Non  diventate idolàtri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare  e  a  bere  e  poi  si  alzò  per  divertirsi.  Non  abbandoniamoci  alla fornicazione,  come  vi  si  abbandonarono  alcuni  di  essi  e  ne  caddero  in  un solo giorno ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come fecero alcuni  di  essi,  e  caddero  vittime  dei  serpenti.  Non  mormorate,  come mormorarono  alcuni  di  essi,  e  caddero  vittime  dello  sterminatore.  Tutte queste cose però accaddero a  loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, 

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chi crede di stare  in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha finora  sorpresi  se  non  umana;  infatti  Dio  è  fedele  e  non  permetterà  che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla. Parola di Dio.  

Assemblea: Rendiamo grazie a Dio.  

Lettore:     rit.: Abbiamo peccato: perdonaci, o Signore. (sal 105,6‐10.13‐14.19‐22)  

Abbiamo peccato come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso.  

Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza.  Minacciò il mar Rosso e fu disseccato, li condusse tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li odiava, li riscattò dalla mano del nemico.  

Ma presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno, arsero di brame nel deserto, e tentarono Dio nella steppa.  

Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, si prostrarono a un’immagine di metallo fuso; scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia fieno.  

Dimenticarono Dio che li aveva salvati, che aveva operato in Egitto cose grandi, prodigi nel paese di Cam, cose terribili presso il mar Rosso.  

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Assemblea:  Lode a te, o Cristo, Verbo di Dio.     Le tue parole, Signore, sono spirito e vita,     tu hai parole di vita eterna. 

Lode a te, o Cristo, Verbo di Dio. 

 

Sacerdote:  Dal Vangelo secondo Luca (15,1‐3.11‐32) In  quel  tempo  si  avvicinavano  a  Gesù  tutti  i  pubblicani  e  i  peccatori  per ascoltarlo.  I  farisei  e  gli  scribi  mormoravano:  «Costui  riceve  i  peccatori  e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola:  «Un  uomo  aveva  due  figli.  Il  più  giovane  disse  al  padre:  Padre,  dammi  la parte  del  patrimonio  che  mi  spetta.  E  il  padre  divise  tra  loro  le  sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di  quella  regione,  che  lo  mandò  nei  campi  a  pascolare  i  porci.  Avrebbe voluto  saziarsi  con  le  carrube  che  mangiavano  i  porci;  ma  nessuno  gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno  pane  in  abbondanza  e  io  qui  muoio  di  fame!  Mi  leverò  e  andrò  da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro  il Cielo e contro di  te; non sono  più  degno  di  esser  chiamato  tuo  figlio.  Trattami  come  uno  dei  tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.  Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e  lo baciò.  Il  figlio gli disse: Padre, ho peccato contro  il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre  disse  ai  servi:  Presto,  portate  qui  il  vestito  più  bello  e  rivestitelo, mettetegli  l’anello  al  dito  e  i  calzari  ai  piedi.  Portate  il  vitello  grasso, ammazzatelo,  mangiamo  e  facciamo  festa,  perché  questo  mio  figlio  era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.  Il  figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì  la  musica  e  le  danze;  chiamò  un  servo  e  gli  domandò  che  cosa  fosse tutto  ciò.  Il  servo  gli  rispose:  È  tornato  tuo  fratello  e  il  padre  ha  fatto ammazzare  il  vitello  grasso,  perché  lo  ha  riavuto  sano  e  salvo.  Egli  si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo 

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comando,  e  tu  non  mi  hai  dato  mai  un  capretto  per  far  festa  con  i  miei amici.  Ma  ora  che  questo  tuo  figlio  che  ha  divorato  i  tuoi  averi  con  le prostitute  è  tornato,  per  lui  hai  ammazzato  il  vitello  grasso.  Gli  rispose  il padre:  Figlio,  tu  sei  sempre  con  me  e  tutto  ciò  che  è  mio  è  tuo;  ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Parola del Signore.  

Assemblea: Lode a te, o Cristo.  

Il  sacerdote  tiene  l’omelia  nella  quale  non mancherà  di  sottolineare  la  necessità  di valorizzare  la  grazia  del Battesimo  con una  testimonianza di  vita  fedele  al  vangelo (cfr. 1Cor 10, 1‐1.3); la gravità del peccato dopo il Battesimo (cfr. Eb 6, 4‐8); l’infinita misericordia  con  cui Dio,  nostro  Padre,  sempre  ci  accoglie  quando,  dopo  il  peccato, facciamo ritorno a  lui  (cfr. Lc 15  ;  la Pasqua, festa che riempie di gioia  la Chiesa per l’iniziazione cristiana dei catecumeni, e la riconciliazione dei penitenti.  

Sacerdote:  Ecco,  fratelli,  il  tempo  favorevole,  ecco  il  giorno  della misericordia di Dio e della nostra salvezza; ecco il tempo in cui fu sconfitta la morte ed ebbe inizio la vita eterna. Ora nella vigna del Signore si fa una nuova  piantagione;  si  potano  i  vecchi  tralci,  perché  facciano  più  frutto. Ognuno di noi si riconosce peccatore, e mentre è stimolato alla penitenza dall’esempio  e  dalle  preghiere  dei  fratelli,  fa  la  sua  umile  confessione  e dice:  «Riconosco  la  mia  colpa,  il  mio  peccato  mi  sta  sempre  dinanzi. Distogli lo sguardo dai miei peccati, Signore, e cancella tutte le mie colpe. Rendimi  la  gioia  della  tua  salvezza  e  crea  in  me  un  cuore  nuovo  e generoso». Con cuore pentito invochiamo il Signore che abbiamo offeso con le nostre colpe.  Egli  ci  aiuti  con  il  suo  Spirito,  perché  nella  Chiesa,  comunità  dei redenti  dalla  sua  misericordia,  possiamo  unirci  alla  gloria  del  Signore risorto.  

Lettore:  Perdona.  Signore,  i  peccati  commessi  contro  l’unità  della  tua Chiesa. 

Assemblea:  Donaci di formare un cuore solo e un’anima sola.  

Lettore:  Contro di te, Signore, abbiamo peccato. Assemblea:  Cancella con la tua grazia le nostre colpe.  

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Lettore:  Concedi a noi peccatori il perdono e la pace. Assemblea:  Fa’ che siamo riconciliati con la tua Chiesa.  

Lettore:  Fa’ che ci convertiamo e diventiamo apostoli del tuo amore. Assemblea:  Donaci  di  riparare  le  offese  alla  tua  sapienza  e  alla  tua 

bontà.  

Lettore:  Purifica e rinnova, Signore, la tua Chiesa. Assemblea:  Rèndila sempre più testimone del tuo Vangelo.  

Lettore:  Raggiungi  con  la  tua  grazia  coloro  che  si  sono  allontanati  da te. 

Assemblea:  Fa’ che ritornino e rimangano sempre nel tuo amore.  

Lettore:  Tu che ci hai redenti nel sangue del tuo Figlio. Assemblea:  Fa’  che  viviamo  in  noi  il  mistero  della  sua  morte  e 

risurrezione.  

Lettore:  Ascolta, Signore, l’umile preghiera del tuo popolo. Assemblea:  Donaci il perdono e la pace.  

Lettore:  Abbiamo  molto  peccato,  ma  confidiamo  nella  tua misericordia. 

Assemblea:  Volgiti a noi, Signore, e noi ci convertiremo a te.  

Lettore:  Accogli, Signore, il tuo popolo che si pente e si umilia davanti a te.  

Assemblea:  Perché non rimanga confuso chi confida in te.  

Lettore:  Abbiamo peccato, o Signore, e ci siamo allontanati da te. Assemblea:  Distruggi i nostri peccati nell’abisso della tua misericordia.  

Lettore:  Ritorna a noi, Signore, e liberaci dalle nostre colpe. Assemblea:  Abbiamo  infranto  la  tua  legge  e  abbiamo  violato  la  tua 

alleanza.  

Lettore:  Donaci il tuo Spirito di santità e di giustizia. Assemblea:  Ed esulteremo nella gioia di un cuore rinnovato.  

Il sacerdote asperge i presenti con l’acqua benedetta, mentre tutti eseguono un canto tratto dal repertorio parrocchiale. 

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(a questo punto si può celebrare il Sacramento della Riconciliazione).  

Sacerdote:  E ora, con le parole di Cristo nostro Signore, rivolgiamoci a Dio nostro Padre, perché rimetta i nostri peccati e ci liberi da ogni male: 

 

Tutti:    Padre nostro ...  

Sacerdote:   

Padre santo e misericordioso, che ci hai creati e redenti, tu che nel sangue del tuo Figlio hai ridonato all’uomo la vita eterna perduta per le insidie del maligno, santifica con il tuo Spirito coloro che non vuoi lasciare in potere della morte. Tu che non abbandoni gli erranti, accogli, o Signore, i penitenti che ritornano a te. Ti commuova o Signore l’umile e fiduciosa confessione dei tuoi figli, la tua mano guarisca le loro ferite, li sollevi e li salvi, perché il corpo della Chiesa non resti privo di nessuno dei suoi membri; il tuo gregge, Signore, non sia disperso, il nemico non goda della rovina della tua famiglia, e la morte eterna non abbia mai il sopravvento sui nati a vita nuova nel Battesimo.  

A te salga, Signore, la nostra supplica, a te il pianto del nostro cuore: perdona i peccatori pentiti, perché dai sentieri dell’errore ritornino alle vie della giustizia e guariti dalle ferite del peccato custodiscano integra e perfetta la grazia della nuova nascita nel Battesimo e della riconciliazione nella Penitenza. 

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Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio ...  

Assemblea:  Amen.  

Sacerdote:  Il Signore sia con voi.  

Assemblea:  E con il tuo spirito.  

Sacerdote:  Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.  

Assemblea:  Amen.  

Sacerdote:  Glorificate il Signore con la santità della vostra vita, andate in pace. 

 

Assemblea:  Rendiamo grazie a Dio.  

Un canto conclude la celebrazione. 

   

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4. Quarto modulo. La possibilità di ricominciare   

Gv 8,1‐11 

 1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo 

nel  tempio  e  tutto  il  popolo  andava  da  lui.  Ed  egli  sedette  e  si  mise  a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in  adulterio,  la  posero  in  mezzo  e  4gli  dissero:  «Maestro,  questa  donna  è stata  sorpresa  in  flagrante  adulterio.  5Ora  Mosè,  nella  Legge,  ci  ha comandato  di  lapidare  donne  come  questa.  Tu  che  ne  dici?».  6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò  e  si  mise  a  scrivere  col  dito  per  terra.  7Tuttavia,  poiché  insistevano nell’interrogarlo,  si alzò e disse  loro: «Chi di  voi  è  senza peccato, getti per primo  la  pietra  contro  di  lei».  8E,  chinatosi  di  nuovo,  scriveva  per  terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna,  dove  sono?  Nessuno  ti  ha  condannata?».  11Ed  ella  rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanche  io  ti  condanno; va’ e d’ora  in poi non peccare più».

 

a. Approfondimento esegetico 

Gesù  racconta  la  parabola del  padre misericordioso per  far  capire  agli scribi  e  ai  farisei  che  nel  suo  agire  si  manifesta  l’amore  di  Dio  per  i peccatori.  L’episodio dell’adultera ci mostra  il  comportamento concreto di Gesù nei confronti dei peccatori. 

Il brano si apre con alcune notizie sul ministero di Gesù a Gerusalemme (vv.  1‐2).  Dai  vangeli  sinottici  sappiamo  che  Gesù  ha  trascorso  l’ultima settimana della sua vita terrena a Gerusalemme. La notizia di Luca che Gesù di giorno insegna nel tempio e di notte pernotta all’aperto sul monte degli ulivi (21,37), concorda con quanto dice il Vangelo di Marco a proposito degli spostamenti di Gesù durante la settimana di passione (capitoli 11‐13).  

Il  monte  degli  Ulivi  è  situato  a  est  di  Gerusalemme;  dista  dalla  città «quanto il cammino permesso in giorno di sabato» (cfr. At 1,12). È chiamato così perché nell’antichità le sue pendici erano coperte da piante di ulivo. Ai piedi  del  monte  si  trova  il  Getsemani  (parola  che  significa  “frantoio”  ),  il podere dove Gesù, in preda all’angoscia, ha pregato prima del suo arresto. 

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Secondo  i  commentatori  antichi  fin  dall’inizio  del  racconto  è  possibile scorgere la misericordia e la benignità di Gesù. San Tommaso d’Aquino (sec. XIII),  sulla  scorta  di  Sant’Agostino,  fa  notare  che  in  greco  “ulivo”  (élaion) suona come “misericordia” (éleos). Ugo di S. Caro (sec. XIII)  vede nel fatto che Gesù insegna stando seduto un segno della sua benignità «poiché è più familiare insegnare rimanendo seduti che non alzandosi ritti in piedi».  

Il testo ci dice che gli scribi e i farisei conducono una donna sorpresa in adulterio (vv. 3‐4). Lo scontro tra Gesù e questi gruppi religiosi, a causa del comportamento di Gesù13, si sta facendo sempre più acceso. La situazione precipiterà  in maniera  irreversibile  con  la  risurrezione  di  Lazzaro  (Gv  11), quando sarà decretata  la morte di Gesù. Vogliono coglierlo  in fallo (v. 6) e per questo gli chiedono un parere su una situazione scottante: l’adulterio è un reato che secondo la legge di Mosè (Dt 22,22ss; Lev 20,10) deve essere punito con la morte (v. 5).  

Dov’è la trappola? Se Gesù avesse assolto la donna avrebbe infranto la legge di Mosè; se l’avesse condannata, oltre a perdere la sua fama di uomo misericordioso, si sarebbe posto contro  la  legge di Roma, visto che solo  le autorità  romane  potevano  comminare  la  pena  capitale.  In  ogni  caso avrebbero avuto di che accusarlo, o davanti al Sinedrio, o davanti a Pilato. 

Gesù non risponde subito. Si china e si mette a scrivere con  il dito per terra. È  inutile  investigare per sapere che cosa abbia scritto Gesù.  Il verbo greco  significa  “tracciare  segni, disegnare” ma anche “mettere per  iscritto un’accusa”.  I  Padri  della Chiesa hanno  interpretato questo  gesto  a partire da Geremia 17,13, dove si dice che su quanti sono infedeli a Dio incombe la rovina: «O speranza di  Israele, Signore, quanti  ti  abbandonano  resteranno confusi;  quanti  si  allontanano  da  te  saranno  scritti  nella  polvere,  perché hanno abbandonato  il  Signore,  fonte di acqua viva». Una cosa è chiara:  la tranquillità,  l’imperturbabilità  di  Gesù,  che  gli  scribi  e  i  farisei  pensano  di aver messo in difficoltà.  

Essi  esigono  una  risposta,  per  questo  insistono.  E  Gesù  si  alza  e risponde: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7).  L’espressione «getti per primo  la pietra»  riecheggia Dt 13,1 dove  si 

                                                             13  Lo  abbiamo  visto  anche  nella  parabola  del  padre  misericordioso.  I  due  brani, 

ovviamente,  non  sono  cronologicamente  collegati.  Appartengono,  infatti,  a  due  Vangeli diversi: Luca e Giovanni.      

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ordina che  i  testimoni oculari devono dare  inizio all’esecuzione della pena capitale.  Dopo  aver  dato  questa  risposta,  Gesù  si  china  di  nuovo  e ricomincia a scrivere per terra (v. 8).   

Quello che dice Gesù è di una semplicità “disarmante” e di una sapienza straordinaria:  chi  avesse  scagliato  per  primo  la  pietra  contro  la  donna, avrebbe dichiarato di essere senza peccato. Ovviamente nessuno può dare inizio  alla  lapidazione.  Pensavano  di  aver  messo  in  grossa  difficoltà  il Maestro di Nazareth,  chiedendogli  di  esporsi  su  una questione  legale, ma Egli li ha messi nella condizione di non poter giudicare. Come ha detto uno studioso, il gesto di Gesù di chinarsi di nuovo e di non guardare in faccia gli accusatori,  fa  sì  che  essi  siano  messi  di  fronte  alla  loro  responsabilità  e prendano  la  loro decisione. Ed essi non possono far altro che andarsene a cominciare dai più anziani, come dice il testo (v. 9).  

Restano  Gesù  e  la  donna,  che  nel  frattempo  non  si  è mossa  da  dove l’avevano  messa  (vv  10‐11).  Nessuno  l’ha  condannata  perché  nessuno poteva condannarla. Nemmeno Gesù, l’innocenza in persona, la condanna. Ma, ovviamente, non approva la sua condotta. Dopo averle restituito con il perdono la dignità, la indirizza sulla via dell’onestà: «Va’ e d’ora in poi non peccare più».                    

 

b. Il filo rosso  

Una donna colta in fragrante adulterio viene posta in mezzo, al cospetto di Gesù. Chissà! … C’è da aspettarsi che essa sia più nuda che vestita, vista la  circostanza.  E  il  suo  stare  in  mezzo  significa  essere  esposta  agli  occhi indiscreti,  indagatori  e  persino  lussuriosi  di  tutti.  La  morbosità  e  il perbenismo ipocrita di questi uomini sono due facce della stessa medaglia. Pensano di poter nascondere a se stessi il peccato annidato nel loro cuore, proiettandolo  su  quel  corpo.  Si  illudono  che  eliminando  quella  donna possano eliminare il  loro peccato.  In realtà,  il corpo di questa donna potrà essere  attraente  o  meno,  ma  resta  semplicemente  un  corpo.  Il  tratto peccaminoso non è in esso, ma piuttosto nello sguardo di chi vi indugia.    

Può  sembrare  paradossale, ma  il  nostro moralismo  cresce  proprio  nel terreno delle nostre meschinità e dei nostri peccati. Ci sentiamo attratti da essi  e  quindi  ne  abbiamo  paura,  così  cerchiamo  di  esorcizzarli  con atteggiamenti  sommari e giustizialisti … Tanto  rigidi quanto poco aderenti 

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alla verità delle cose ... Tanto attaccati ai principi dichiarati, da schiacciare le persone in nome di essi. 

Invece Gesù si mette a scrivere col dito per terra. Orienta il suo sguardo altrove,  non  sulla  donna.  Così  facendo  rispetta  la  donna  per  quello  che realmente  è.  Anche  con  noi  Gesù  non  accende  i  riflettori  sulla  nostra meschinità  e  non  accende  con  essi  la  nostra  vergogna.  Questa  estrema delicatezza,  espressione  sublime  dell’amore  divino,  stride  con  l’atteg‐giamento  giudicante  degli  uomini  pronti  a  lapidar  e  la  donna.  Di  fronte  a questo atteggiamento di Gesù, essi devono rivedere il loro proposito e sono costretti a lasciar cadere a terra le loro pietre e le loro sentenze. 

Purtroppo  la  morbosità  perbenista  è  una  realtà  molto  diffusa  anche oggi.  Forse  più  di  quanto  immaginiamo.  In  televisione  si  insiste  fino all’ossessione su notizie di morte e su scandali.  Le  telenovele propongono modalità di relazione sconcertanti. Eppure ne siamo dipendenti! 

Malgrado  ci  scandalizziamo o  inorridiamo,  indugiamo ad  ascoltare  e  a guardare.  Lanciamo  qualche  sentenza  di  condanna,  eppure  non  ci accorgiamo che esse servono solo a noi: a nascondere proprio a noi stessi l’attrazione che ne subiamo. Senza rendercene conto noi ci nutriamo di ciò che aborriamo a parole!  

L’invito fatto da Gesù a non peccare più, suona come il monito non solo per la donna adultera, ma soprattutto per noi che ci nascondiamo dietro le pietre  che  abbiamo pronte  in mano.  La parola  greca  che  significa peccare visivamente  indica  il  “mancare  il  bersaglio”.  In effetti  il  nostro  rischio è di mancare  l’obiettivo  della  nostra  vita,  che  è  l’amore.  Il  monito  di  Gesù, allora,  rappresenta  un  monito  a  non  smarrirci,  a  non  perdere  la  giusta strada  perché  il  nostro  cammino  approdi  in  questa  quaresima  ad  una maggior pienezza di vita.  

Se  abbandoniamo  le  nostre  morbosità  e  usciremo  dalle  nostre compulsioni, ci accorgeremo che non siamo soli, ma siamo all’interno di un popolo, il popolo di Dio14. Questo ci aiuterà ad attraversare il nostro deserto e a tenere fissa la nostra meta, correggeremo la nostra rotta e ci lasceremo guidare dallo sguardo amorevole di Dio Padre.  

 

                                                             14  La  categoria  di  “popolo  di  Dio”  merita  un  approfondimento:  CCC  781‐786.  Lumen 

Gentium 9‐10. 

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• Che posizione assumo verso chi sbaglia? Sono giudicante e duro o piuttosto discreto e amorevole? E verso e stesso? 

• Quanto mi nutro acriticamente delle  immagini di  violenza e di sesso che trovo su televisione, giornali, internet…?  

• Quali  sono  i  momenti  nei  quali  mi  smarrisco?  Cosa  faccio? Come sto in essi?  

• Confido nel fatto che non sono solo? Condivido il cammino della mia  vita  (università,  lavoro,  famiglia,  amicizie, …)  con  chi mi  è accanto?  

 

c. Giovani 

L’episodio  dell’adultera  ci  insegna  come  vive  un  cuore  che  sta nell’amore. Gesù non accetta  la provocazione degli scribi e dei farisei sulla sorte dell’adultera. Per  lui  è  importante  la persona, più del  suo peccato e delle  conseguenze  del  suo  peccato.  A  lui  interessano  inoltre  gli  scribi  e  i farisei che stanno vivendo nell’accanimento contro la donna, giustificati da un  falso  atteggiamento  di  giustizia,  che  li  pone  di  fronte  alle  proprie responsabilità: “se veramente siete migliori di lei...” . 

Ciascuno di noi si trova ogni giorno a giudicare gli altri e a pretendere la giustizia perché si sente giusto; ma quando manca l’amore non c’è giustizia. E  allora  ancora  una  volta  il  Signore  ci  dice  che  lui  è  il  Salvatore  degli oppressi,  le  vittime,  e  degli  oppressori,  i  violento.  L’umanità  dell’amore  è quella  che  ci  fa  sentire  tutti  fratelli:  senza  giudizio,  senza  pretese,  senza condanne. 

Il  perdono  che  questa  donna  riceve  non  è  chiesto  da  lei  e  neppure  ci viene detto che si sia pentita. È frutto del solo amore di Gesù che previene anche il nostro pentimento. 

Alla  conclusione  dell’episodio,  il modo  con  cui  Gesù  si  pone  di  fronte alla “donna” è un’immagine sponsale dove  la donna rappresenta ciascuno di noi e l’umanità intera, responsabile di tanti peccati. Gesù è lo sposo che, con  il  suo amore, quell’amore che  lo porterà al dono totale della croce, ci rende  nuovi.  E  ci  rende  capaci  di  andare  alla  festa,  sperimentando  il  suo perdono,  il  sacramento  della  penitenza,  e  la  gioia  di  vivere  una  umanità redenta nell’eucaristia pasquale. 

 

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• Riesco  a  capire  da  quali  radici  vengono  le  mie  richieste  di giustizia per certi reati e per altre responsabilità? 

• Che  senso  ha,  nelle  mie  relazioni  quotidiane,  la  pretesa  che l’altro si penta e che l’altro cambi vita? 

 

d. Coppie 

Gli scribi e i farisei si rivolgono a Gesù avendo già condannato la donna sorpresa  in  flagrante  adulterio  e  vogliono  da  Lui  l’approvazione  del  gesto che  stanno  per  compiere,  la  lapidazione.  La  condanna  della  donna  e  la conseguente  pena  sono  basate  sulla  Legge  e  quindi  gli  scribi  e  i  farisei  si attendono l’approvazione da Gesù che è il Maestro, così  lo chiamano loro. Se Gesù non confermerà  la Legge, anche Lui, come  la donna, potrà essere accusato e condannato.  

Gli  scribi  e  i  farisei  si  sentono migliori  degli  altri  perché  osservano  la Legge e sulla base della Legge condannano gli altri. 

L’approccio di Gesù li spiazza, per loro la donna coincide con il peccato che ha  commesso,  sono  incapaci  di  distinguere  la persona dal  suo errore, quindi  nella  loro  prospettiva  non  ha  senso  darle  una  possibilità  di ricominciare. Gesù non condanna la donna e né punta il dito contro loro per il  gesto  che  stanno  per  compiere;  li  invita  semplicemente  a  riflettere mettendoli di fronte alla loro vita. 

E  noi,  coppie  cristiane,  come  ci  poniamo  di  fronte  a  chi  vive  le cosiddette “situazioni irregolari”: separati, divorziati, risposati,? 

Li  accogliamo  come  Gesù  fa  con  l’adultera  dandole  la  possibilità  di ricominciare o come gli scribi e i farisei basandoci sulla Legge li giudichiamo  incapaci di distinguere l’uomo dal suo fallimento? 

Noi  “coppie  regolari”  che andiamo a messa  la domenica e  leggiamo  la Bibbia, facciamo un cammino spirituale, che a volte ci consideriamo un po’ migliori di chi non lo fa, noi siamo capaci di guardare a Gesù che non ci fa sentire  sbagliati,  che  evita  di  guardarci  e  non  ci  giudica  per  il  nostro peccato, ma ci ama per quello che siamo, o siamo troppo presi dal giudicare e  condannare  coloro  che vivono  “situazioni  irregolari”  forti  della Parola di Dio,  usandola  per  inchiodarli  a  quelle  che  noi  pensiamo  siano  le  loro mancanze, le loro responsabilità? 

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E se invece provassimo a ringraziare Gesù per il dono del nostro essere sposi,  non  dandolo  per  scontato,  e  ci  facessimo  compagni  di  viaggio  di coloro che soffrono per il fallimento della propria vita di coppia? 

Senza  ergerci  a  giudici  e  senza  avere  la  pretesa  di  salvare  nessuno perché siamo “bravi discepoli” e quindi nella condizione di dare ricette. 

L’amore,  quello  vero,  quello  delle  parole  di Gesù per  l’adultera  (e  per ogni uomo, indipendente dalla sua condizione) ci chiede di essere con loro, con  la  stessa  tenerezza  di  Gesù,  di  accoglierli  nelle  nostre  comunità    in quanto  Figli  di  Dio  e  quindi  unici  e  preziosi  agli  occhi  del  Padre,  a prescindere dal fallimento che stanno sperimentato o hanno sperimentato. 

Non  è  il  fallimento  ad  uccidere, ma  ciò  che  uccide  è  la  solitudine  nel fallimento: nella solitudine siamo portati a pensare che non c’è possibilità di rialzarsi e ricominciare. 

Apriamo il nostro amore sponsale, rendendolo fecondo, all’accoglienza sia di coloro che sono nella sofferenza per la fine del loro matrimonio sia di chi, dopo il dolore del fallimento, ha ricominciato una nuova vita di coppia. 

Non  facciamoli  sentire  ai  margini  delle  nostre  comunità  cristiane, “ghettizzati”,  siamo  tutti  parte  della  stessa  comunità  in  cammino  dove  il giudizio, o peggio  il  pregiudizio,  il  considerarsi  “migliore di”,    il  pensare di essere  “più  avanti”  (ma  più  avanti  dove?)  non  ha  senso.  Il  camminare insieme, ognuno nella propria condizione, è l’occasione offerta da Gesù ad ognuno di noi per essere come Lui, è l’occasione di farsi prossimo al fratello, di stare al suo passo, di gioire e soffrire con lui per gli avvenimenti della sua vita, di ascoltare col cuore le sue ricchezze e le sue fragilità. 

Allora  il  cammino  diventa  incontro,  luogo  di  gioia,  perché  nelle difficoltà, nelle sofferenze, nelle cose belle e brutte che la vita ci riserva, noi siamo lì insieme perché ci sentiamo amati,  innanzitutto da Dio e dai fratelli. 

 

e. Carità e testimonianza 

La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato  e  crocifisso,  piena  e  perfetta  adesione  alla  volontà  del  Padre  e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente  la  ferma  convinzione  che  proprio  questo  Amore  è  l’unica  realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua,  la carità ci  fa entrare nell’amore di 

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Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5)15. 

A volte nutriamo delle riserve rispetto a coloro che dovrebbero ricevere i nostri gesti di carità, magari ci capita di essere selettivi: “a te si, perché sei degno  di  riceverlo,  ti  comporti  bene,  ringrazi, mostri  di  apprezzare  il mio aiuto,  a  te  no,  perché,  per  come  sei,  non meriteresti  proprio  nulla”.  Non riusciamo  ad  esprimere  l’amore  di  Dio  che  ama  ognuno  di  noi  così  come siamo, perdona le nostre colpe e incoraggia i nostri passi incerti verso di Lui. 

• Quali  sentimenti  nutriamo  verso  chi  ha  sbagliato  ed  è  in carcere? Siamo capaci di sperare e chiedere, come cittadini, che la  pena  detentiva  sia  accompagnata  da  percorsi  capaci  di rigenerare  la  persona  ad  una  vita  diversa?  In  che  modo possiamo  farci  artefici  di  una  proposta  che  sensibilizzi  tutta  la comunità  civile  verso  un’attenzione  “includente”,  che  scardini l’idea di reclusione come “repulsione”? 

• Quali  sono  i  gesti  concreti  che  possiamo  compiere  verso  gli immigrati,  o  coloro  che  sono  senza  lavoro  (perché  senza esperienza  o  perché  scartati  dal mondo  produttivo),  o  ancora verso  i  diversamente  abili,  che  spesso  sono  percepiti  come “improduttivi” perché si promuova la loro dignità? 

• In che modo la nostra fede cristiana può essere luce e diventare operosa carità per il mondo albanese (per la diocesi di Sapa) che ancora mantiene viva  la  tradizione della  vendetta verso  chi ha sbagliato?   

                                                             15 Cf. Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la quaresima 2013. 

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f. Spunti per attività  

Descrizione dell’attività Prima di iniziare l’incontro è importante preparare il setting (l’ambienta‐

zione)  dell’incontro.  Nella  stanza  ci  sarà  un  cesto  pieno  di  sassi  e  la riproduzione  del  dipinto  “Gesù  e  l’adultera”  di  Lorenzo  Lotto,  qui  sotto riprodotto in bianco e nero (sarebbe bene procurarsene una copia a colori). 

1. Brainstorming:  ognuno  esprime  quanto  l’immagine  gli  suscita utilizzando una parola.  

2. Lettura personale del dipinto.  

• Prova a sentirti uno dei farisei: conosci la Legge di Mosé, sai che  l’adulterio  è  una  colpa  grave.  Vuoi  condannare  la donna…  ma  ti  metti  anche  ad  aspettare  cosa  dice  Gesù, rimanendo nel tuo sdegno nei confronti di chi trasgredisce. 

• Ascolta  adesso  il  cuore  della  donna:  prima  senso  di  colpa, vergogna, paura di essere uccisa con una morte orrenda (la lapidazione),  emarginazione  …  e  poi  fiducia,  in  Gesù, gratitudine e stupore. 

• I  colori:  intono  alla  folla  c’è  buio,  Gesù  e  la  donna  invece sono  avvolti  nella  luce…  è  la  notte  del  peccato  e  del giudizio, squarciata dalla luce della grazia. 

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• La  donna  è  spogliata,  fragile,  esposta…  Gli  uomini  che  le sono attorno sono rivestiti da abiti sovrabbondanti quasi ad indicare i pregiudizi di cui si sono portatori, schiacciati dalle loro stesse sovrastrutture. 

 3. Si  propone  al  gruppo  una  riflessione:  spesso  anche  noi  ci 

comportiamo  come  quella  folla  ogni  volta  che  ci  giudichiamo per quei peccati che la nostra coscienza non riesce a perdonarci.  

4. Ognuno dei presenti è invitato a prendere i sassi e scrivere su di essi tutti quei giudizi.  

5. Si  chiede al gruppo di alzarsi in piedi e di camminare con questi sassi  in  mano.  Accadrà  che  sarà  impossibile  farlo  perché  sarà scomodo anche solo tenerli tutti in mano. Si farà notare quanto il  giudizio  non  permette  la  crescita  della  persona,  ma  lo costringe all’immobilità e ciò accade tutte le volte che il senso di colpa non ci permette di aprirci alla grazia. 

 6. L’animatore  chiede  al  gruppo  di  lasciare  andare  via  i  sassi,  di 

lasciarli  cadere  davanti  al  dipinto  in  segno  di  conversione  e  di rinascita. 

 7. A  conclusione  dell’incontro  chiede  chi  vuole  di  condivide  le 

sensazioni  e  i  pensieri  che  hanno  accompagnato  l’esperienza appena vissuta. 

 

   

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g. Momento celebrativo a sfondo vocazionale 

 

ESAME DI COSCIENZA COMUNITARIO  Proponiamo un esame di coscienza per la parrocchia. Questo incontro è 

rivolto soprattutto alla sua vita ad intra. Una revisione di vita non per singoli o per gruppi  in particolare ma per coloro che hanno,  in seno alla comunità parrocchiale,  un  posto  di  responsabilità:  il  parroco  (vicario  parrocchiale  e suore),  i  membri  del  consiglio  pastorale,  i  membri  del  consiglio  affari economici,  i  catechisti  e  i  responsabili  di  gruppi  e/o movimenti  sia parroc‐chiali che non.  

Questo momento di revisione non è una liturgia della parola,  l’incontro perciò  non  si  tenga  in  chiesa.  Per  il  sacerdote,  dunque,  non  si  prevedono camice  ecc.  né  un  altare  o  altro,  solo  un  tavolo  con  una  bibbia  con  delle pietre  poste  intorno  secondo  il  numero  dei  partecipanti  e  consegnate all’inizio. Poi saranno poste intorno alla bibbia dopo la lettura del Vangelo. Un incontro informale dunque.  

Se si vuole, si inizia con un canto oppure con una preghiera e ci si mette in ascolto della parola. Dopo il Vangelo, oltre al gesto delle pietre vengono consegnate  delle  domande  per  la  riflessione.  Se  qualcuno  vuole  può condividere. È bene, però, che venga fatta con questa regola: ognuno parli per  sé  e  per  le  proprie  responsabilità,  non  cadendo nel  tranello  di  fare  un discorso generale o valido per tutti. Ognuno parli per sé, come referente di un gruppo o altro, secondo il proprio grado di responsabilità. Nessuno parli dei problemi e delle  responsabilità altrui, ognuno pensi a sé nel parlare.  In questo caso si chiede di essere “individualisti”. 

 

Canto iniziale e segno di Croce  

Monizione  Precede la lettura di Neemia la seguente monizione. Il  libro  di  Neemia  racconta  le  vicende  di  Neemia  e  altri  ebrei  tornati 

dall’esilio dalla città di Susa (attuale Iran, al confine con l’Iraq) con l’incarico di  ricostruire  le  mura  della  città  di  Gerusalemme.  Neemia  trova  forte ostacoli nei samaritani ciò nonostante l’opera prosegue, vengono richiuse le brecce  della  città,  si  rinsaldano  i  cardini  delle  porte  e  vengono  sostituite quelle bruciate. Anche  il  tempio viene riparato e si provvede a ripristinare 

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una certa purità cultuale e  tribale,  rompendo, per esempio  i matrimoni di ebrei  con stranieri.  In questo contesto per  ripristinare  il  culto al  tempio  si fanno giorni di penitenza, di preghiera e di digiuno, si leggono le Scritture e si recita questa lunga preghiera come richiesta di perdono. In essa l’autore sacro  ripercorrendo  la  storia  di  Israele  e  soprattutto  mostra  i  numerosi tradimenti  del  popolo  ma  anche  la  bontà  di  Dio  disponibile  ad  ascoltare sempre il grido del suo popolo. 

 

Lettura di Neemia (Ne 9,5‐37) e, a seguire, del Vangelo (Gv 8,1‐11),   

Commento  Si può leggere “il filo rosso” senza le domande corrispondenti   

Per l’esame di coscienza: 

• Qual è il volto che mostriamo della nostra parrocchia? È il luogo 

dove far fare esperienza del Signore? Come mostriamo il nostro 

attaccamento al Signore? 

• Ci sono critiche reciproche e fazioni all’interno della nostra 

parrocchia? Cosa facciamo per spegnere questi focolai? Cosa 

facciamo per proporre uno stile di comunione? 

• Quante volte cadiamo nella tentazione di misurarci: quanti siamo e 

quanto siamo importanti? 

• Siamo mai caduti in un uso strumentale della parrocchia? Cosa fa la 

parrocchia per noi? 

• Abbiamo paura che qualcuno possa prendere il nostro posto? La 

“nostra” messa, le “nostre” sale, “abbiamo fatto sempre così”? 

Cadiamo in questa sorta di privilegi? 

• Serviamo gli altri o ci facciamo servire? Siamo disposti a compiere 

anche servizi umili pur avendo posti di responsabilità conservando 

perciò uno spirito di diaconia? 

• Quanto siamo accoglienti verso i “nuovi” o siamo chiusi nel nostro 

piccolo mondo? 

Si conclude con una richiesta di perdono, per esempio il “confesso” Quindi si conclude con un Padre Nostro e il segno di croce. 

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Proposta di celebrazione 

per il Mercoledì delle Ceneri 

 Può essere utilizzata anche come una celebrazione della Parola di Dio 

 

Con  il  suggestivo  rito  dell’imposizione  delle  ceneri  prende  avvio  il  sacro tempo  della  Quaresima,  durante  il  quale  la  liturgia  rinnova  l’appello  a  una radicale  conversione,  confidando  nella  divina  misericordia.  La  Quaresima comincia con il gesto della cenere, ma finisce con quello dell’acqua della notte pasquale. Cenere all’inizio, acqua battesimale alla  fine.  Il  segno penitenziale delle ceneri, sorto dalla tradizione biblica e conservato nella Chiesa, consente ai  fedeli  di  riconoscersi  bisognosi  del  perdono  di  Dio  ed  entrare  nel  tempo destinato alla purificazione e alla conversione «per affrontare vittoriosamente con  le  armi  della  penitenza  il  combattimento  contro  lo  spirito  del male»  (cf colletta).  Nei  primi  secoli  questo  gesto  esprimeva  il  cammino  dei  penitenti, cioè di coloro che si preparavano alla riconciliazione che avveniva al termine della Quaresima, il giovedì santo. Essi, rivestiti dell’abito penitenziale e con la cenere  sul  capo,  si  presentavano  alla  comunità  davanti  alla  quale esprimevano  la  volontà  di  conversione.  Verso  il  secolo  XI,  sparita  ormai l’istituzione  dei  penitenti,  il  gesto  delle  ceneri  si  realizzò  per  tutti  i  cristiani all’inizio della Quaresima. «L’inizio dei quaranta giorni di penitenza, nel Rito romano,  è qualificato dall’austero  simbolo delle Ceneri  che  contraddistingue la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Appartenente all’antica ritualità con cui i  peccatori  convertiti  si  sottoponevano  alla  penitenza  canonica,  il  gesto  di coprirsi  di  cenere  ha  il  senso  del  riconoscere  la  propria  fragilità  e mortalità, bisognosa di essere redenta dalla misericordia di Dio. Lontano dall’essere un gesto  puramente  esteriore,  la  Chiesa  lo  ha  conservato  come  simbolo dell’atteggiamento del cuore penitente che ciascun battezzato è chiamato ad assumere  nell’itinerario  quaresimale.  I  fedeli,  che  accorrono  numerosi  per ricevere  le Ceneri,  saranno dunque aiutati, a percepire  il  significato  interiore, implicato  in  questo  gesto,  che  apre  alla  conversione  e  all’’impegno  del rinnovamento pasquale». 

(Direttorio su liturgia e pietà popolare, 125)   

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Guida:  L’itinerario quaresimale ha inizio alla luce di due imperativi presenti nella  liturgia del mercoledì delle ceneri: «Lasciatevi riconciliare con Dio» e «Convertitevi e credete al Vangelo». Sono un  invito pressante a  riscoprire l’amore di Dio che sempre precede  l’uomo. La comprensione cristiana del peccato  e  della  conversione  diventa  possibile  solo  a  partire  dall’amore gratuito e sorprendente di Dio, non a partire dalle nostre debolezze e limiti: «Anche se i nostri peccati fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria» (santa Faustina KOWALSKA). Il digiuno,  la preghiera e  la carità  sono  le armi che ci  vengono offerte per risanare  le  antiche  ferite  relazionali:  relazione  con  Dio,  con  gli  altri,  con  il creato e con noi stessi. Camminiamo  dunque  verso  la  santa  Pasqua  sulle  orme  di  Cristo, confrontando  la  nostra  vita  con  la  Parola  di  Dio  che  illumina,  in  maniera speciale, questo tempo.   

Canto d’ingresso RITI D’INTRODUZIONE 

 

Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote:  grazia  e  la  pace  del  Signore  Gesù,  che  con  la  sua  croce  ha mostrato agli uomini  la bellezza dell’amore che salva  il mondo, sia con tutti voi. 

 

Assemblea: E con il tuo spirito.  

Guida:  L’usanza  di  coprirsi  il  capo  di  cenere  per  esprimere  un  profondo pentimento  dei  peccati  commessi,  risale  alla  più  remota  antichità.  A  tutti noi le ceneri ricordano la fragile natura umana e soprattutto l’urgenza della conversione  e  della  penitenza.  Le  ceneri  sono  ricavate  dalla  combustione dei  rami  di  ulivo  benedetti  l’anno  scorso  la  Domenica  delle  Palme;  erano rami  pieni  di  vita  ed  ora  sono  secchi,  così  il  nostro  cuore,  se  non  ci impegniamo a cambiare stile di vita.  

Alcuni rappresentanti delle varie realtà ecclesiali operanti nella parrocchia pongono nel braciere, posto ai piedi dell’altare, i rami che saranno bruciati.  

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Sacerdote: Fratelli e sorelle carissimi, con l’austero rito dell’imposizione delle ceneri, riprende l’annuale cammino della Chiesa verso  la Pasqua. È tempo di  conversione,  di  approfondimento  della  fede,  di  preghiera  intensa  e  di carità  operosa.  La  liturgia  ci  invita  a  diventare  uomini  nuovi  in  Cristo attraverso la grazia del battesimo, le cui promesse rinnoveremo nella veglia pasquale.  Cristo  Gesù  ci  accompagni  e  ci  guidi  nel  cammino  verso  la risurrezione.  

Il sacerdote si avvicina al braciere e con una candelina mette fuoco ai rami.  

Sacerdote: Preghiamo. O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di  iniziare con questo 

digiuno  un  cammino  di  vera  conversione,  per  affrontare  vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del  male. Per il nostro Signore, Gesù Cristo,  tuo Figlio che è Dio, e vive e  regna con  te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. 

Assemblea:  Amen. LITURGIA DELLA PAROLA 

 

- Prima lettura: Gl 2,12‐18 - Salmo responsoriale: Sal 50, 3‐6. 12‐14.17 

rit. Purificami, o Signore, sarò più bianco della neve. - Seconda lettura: 2 Cor 5,20‐6,2 - Canto al Vangelo: 

Gloria e onore a te, Signore Gesù. Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltare la voce del Signore. Gloria e onore a te, Signore Gesù. 

- Vangelo: Mt 6,1‐6.16‐18 - Omelia. 

MOMENTO PENITENZIALE 

BENEDIZIONE ED IMPOSIZIONE DELLE CENERI  

Guida:  Tre sentieri ci stanno davanti. Conducono tutti alla stessa meta. Tre parole antiche: preghiera, digiuno, elemosina. Sono parole che vengono da lontano,  segrete  chiavi  di  accesso  verso  una  vita  nuova.  Preghiera,  cioè deserto, ascolto, silenzio. Digiuno, cioè sobrietà, per tornare all’essenziale. Elemosina,  cioè solidarietà e condivisione con il fratello. 

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Sacerdote:  Abbiamo  bisogno  di  trovarti,  o  Dio.  Più  riceviamo  nel  silenzio della preghiera, più daremo nella vita. Abbiamo bisogno di silenzio, o Dio. L’importante  non  è  ciò  che  diciamo,  ma  ciò  che  tu  dici  attraverso  di  noi. Tutte le nostre parole saranno vane se non vengono da Te. Resteremo  certamente  poveri  finché  non  avremo  scoperto  le  parole  che danno  la  luce  di  Cristo.  Resteremo  ingenui,  finché  non  avremo  imparato che ci sono silenzi più ricchi dello spreco di parole. Resteremo degli  inetti, finché non avremo compreso che, a mani giunte,  si può agire meglio  che agitando le mani. Abbiamo bisogno di trovarti, o Dio. (Helder CAMARA)  

Guida:  Con il gesto penitenziale che stiamo per compiere inizia visibilmente il  nostro cammino quaresimale; dono di grazia della misericordia di Dio e tempo  di  conversione  per  giungere  rinnovati  alla  Pasqua.  Tre  sono  i momenti  del  rito  che  celebreremo  fra  poco:  la  richiesta  di  perdono,  la benedizione e l’imposizione delle ceneri sul nostro capo. Qual è il senso di questo  gesto?  La  cenere  ricorda  che  siamo  niente,  siamo  polvere,  siamo creature; è simbolo di caducità e di penitenza. L’uscire dai nostri posti per ricevere le ceneri esprime la volontà di impegnarci in questi quaranta giorni nell’ascolto della Parola del Signore e nella conversione.  

Sacerdote:  Prima  di  ricevere  il  simbolo  delle  ceneri,  chiediamo  perdono  a Dio per le nostre mancanze.  

Silenzio  

Sacerdote: Signore, tu ci hai resi figli e ci chiedi di condividere il tuo desiderio di comunione con te: ti chiediamo perdono per tutte le volte che non siamo riusciti a fare spazio a te, a riconoscerti Signore e protagonista della nostra vita, maestro e operatore di conversione. Signore, pietà.  

Assemblea: Signore, pietà.  

Sacerdote:  Cristo,  tu  ci  hai  inseriti  nella  Chiesa  e  ci  chiedi  una  totale  unità con  te e  i  fratelli:  ti  chiediamo perdono per quelle volte che non abbiamo respinto  le  tentazioni  egoistiche  che  generano  competizione,  superbia, gelosia,  presunzione,  ma  ci  siamo  lasciati  sopraffare,  dalla  smania  di possedere, di primeggiare, di schiacciare gli altri. Cristo, pietà.  

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Assemblea: Cristo, pietà.  

Sacerdote: Signore, tu ci chiami ad impegnarci insieme nella costruzione del tuo regno: ti chiediamo perdono per tutte le volte che non siamo stati segni visibili di amore e di accoglienza verso i fratelli nella loro fatica di credere, nel difficile risanamento delle ferite che portiamo in cuore e nel riconoscere l’originalità del dono che tu hai messo in ciascuno. Signore, pietà.  

Assemblea: Signore, pietà.  

Sacerdote:  Raccogliamoci,  fratelli  e  sorelle  carissimi,  in  umile  preghiera, davanti  a  Dio  nostro  Padre,  perché  faccia  scendere  su  di  noi  la  sua benedizione e accolga l’atto penitenziale che stiamo per compiere.  

Alcuni istanti di preghiera silenziosa.  

Sacerdote:  O  Dio,  che  non  vuoi  la  morte  ma  la  conversione  dei  peccatori, ascolta benigno la nostra preghiera: benedici (†) queste ceneri, che stiamo per  imporre  sul  nostro  capo,  riconoscendo  che  il  nostro  corpo  tornerà  in polvere;  l’esercizio  della  penitenza  quaresimale  ci  ottenga  il  perdono  dei peccati  e  una  vita  rinnovata  ad  immagine  del  Signore  risorto.  Egli  vive  e regna nei secoli dei secoli.  

Assemblea: Amen.  

Il sacerdote asperge le ceneri con l’acqua benedetta.  

Guida:  Accostiamoci  con  umiltà  ai  piedi  dell’altare  per  ricevere  le  ceneri  e chiniamo  il  capo  in  segno  di  pentimento  per  ricevere  il  dono  dello  Spirito che rinnova il nostro cuore.  

Nel  frattempo  si  esegue  un  canto.  Terminato  il  rito  dell’imposizione  delle  ceneri  ha luogo la preghiera universale.  

PREGHIERA UNIVERSALE  

Sacerdote:  Fratelli  e  sorelle,  dopo  aver  ricevuto  e  accolto  l’austero  segno delle ceneri, apriamo  il nostro cuore alla preghiera comune e universale e con filiale fiducia supplichiamo il Signore vivente, perché fecondi con il suo Spirito il cammino che la Chiesa ha iniziato.  

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Lettore: Dio, la cui gloria è l’uomo vivente, guarda la Chiesa diffusa su tutta la terra, perché in questo tempo intensifichi il suo impegno ad essere segno dell’umanità  riconciliata,  disposta  a  servire  ogni  iniziativa  in  favore  della vita, della giustizia e della pace.  

Dio, che conosci l’umana fragilità, sostieni con la forza dello Spirito e della Parola  tutti  i  cristiani  che  desiderano  giungere  alla  Pasqua  del  Signore profondamente rinnovati nella loro vita personale e comunitaria.  

Dio,  che  chiami  ogni  uomo  alla  vita  di  fede,  apri  i  cuori  dei  catecumeni all’ascolto  del  tuo  Figlio  amato,  perché  confortati  dalla  sua  Parola  non temano di condividere con lui  la via della croce per entrare nella gloria del suo regno.  

Dio, sorgente della vita, concedi l’acqua viva della grazia a tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito; il tuo amore li consoli e li risollevi.  

Dio, Padre della luce, apri il cuore e gli occhi di noi tutti e di quanti ricercano la  verità,  perché  vediamo  e  riconosciamo  colui  che  hai  mandato  ad illuminare le tenebre del mondo, Cristo Gesù.  

O  Signore,    che  sei  misericordioso  e  pietoso,  sai  che  a  volte  il  nostro partecipare  ai  riti  ha  come  scopo  l’ammirazione  del  mondo;  donaci  in questa  Quaresima  che  oggi  ha  inizio,  un  cuore  puro  e  uno  spirito  saldo affinché abbiamo  il  coraggio di  lacerare  il  cuore e non  le vesti, e  facendoci sinceri  ambasciatori  in  Cristo  diventiamo  Suoi  collaboratori  nell’indire un’assemblea solenne che proclami la Tua lode.  

Sacerdote: Dio dei nostri Padri, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che ti sei rivelato nel tuo Figlio Gesù, Principe della pace, conforta con il dono del Consolatore  questa  tua  famiglia  nel  suo  cammino  di  rinnovamento  e ascolta con bontà  la nostra  supplica perché  la pace, nella giustizia e nella verità, pervada la nostra terra. Per Cristo nostro Signore.  

Assemblea: Amen.  

La celebrazione continua “more solito” con i riti di offertorio.   

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Celebrazione quaresimale  

con “Adorazione della Croce”  

Guida:  Il  mistero  della  passione  di  Cristo  continua  “nelle  membra  piagate del  suo  corpo  che  è  la  Chiesa”.  Meditiamo  le  parole  dell’apostolo  Paolo: “Completo  nella  mia  carne  ciò  che  manca  ai  patimenti  di  Cristo,  a  favore del  suo  corpo  che  è  la  Chiesa”.  Maria  Santissima,  regina  della  pace  e signora  dell’universo,  stette  presso  la  Croce  del  Figlio  “addolorata”  ma insieme “intrepida e  fedele” offrendo  la  sua collaborazione all’opera della salvezza  per  dare  compimento  alle  antiche  profezie.  Presso  il  Figlio  che moriva  sulla  Croce  la  Beata  Vergine  si  manifestò  “cooperatrice  della redenzione”,  madre  compassionevole  associata  al  sacrificio  del  Figlio Sommo Sacerdote.  

Canto (mariano) scelto dal repertorio parrocchiale.  

Sacerdote: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote: La  pace,  la  carità  e  la  fede  da  parte  di  Dio  Padre  e  del  Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. 

 

Assemblea: E con il tuo spirito.  

INTRONIZZAZIONE DELLA CROCE Mentre  l’assemblea esegue un canto adatto, dal  fondo della chiesa viene portata  la croce e posta ai piedi dell’altare.  

Lettore: Dagli scritti di Sant’Agostino: Non a caso Cristo scelse un tal genere di morte: lo fece per essere maestro di quella  larghezza, altezza,  lunghezza e profondità di cui parla San Paolo (Ef 3, 14‐19). La larghezza è rappresentata dal legno trasversale: e raffigura le opere buone, perché su di esso sono inchiodate le mani. La lunghezza è rappresentata dal  tronco stesso visibile  fino a  terra: esso dà  il  senso della stabilità e della perseveranza […]. L’altezza è rappresentata da quella parte della croce che si eleva al disopra del  legno trasversale, cioè sopra  il  capo del crocifisso: essa indica la superna attesa di coloro che vivono nella santa 

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speranza.  E  quella  parte  della  croce  che  viene  piantata  e  nascosta, sostenendo  tutto  il  resto,  sta  a  rappresentare  la  profondità  della  grazia gratuitamente offerta.  

Sacerdote: Mettersi in preghiera davanti alla croce, per un cristiano, vuol dire avere  il desiderio di assumere egli stesso  la croce che adora. L’adorazione della croce non si può limitare ad un atto di culto devozionistico: il cristiano che  si  trova  davanti  alla  sofferenza  del  suo  Signore  deve  andare  oltre  le apparenze ed assumere su sé stesso la croce di Cristo rivivendola sulla sua pelle  ogni  giorno.  Pregare  sulla  Croce  vuol  dire  sceglierla;  pregare  sulla croce  vuol  dire  andare  oltre  il  semplice  e  statico  idolo  che  questa  può rappresentare e assumere la dimensione dinamica: contemplando la croce sono  irrevocabilmente chiamato ad agire, ad offrire me stesso per gli altri come Gesù ha offerto se stesso per me.  

Lettore: Leggiamo nel Vangelo di Marco (15, 33‐39): Venuto  mezzogiorno,  si  fece  buio  su  tutta  la  terra,  fino  alle  tre  del pomeriggio. Alle tre del pomeriggio, Gesù gridò a gran voce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia. Uno corse ad  inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna gli dava da bere, dicendo: Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.   

Tempo di silenzio e preghiera personale. Canto scelto dal repertorio parrocchiale.  

LITURGIA DELLA PAROLA Lettore: Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani (8,31‐39) Che diremo dunque  in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli  che  non  ha  risparmiato  il  proprio  Figlio,  ma  lo  ha  dato  per  tutti  noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio  giustifica.  Chi  condannerà?  Cristo  Gesù,  che  è  morto,  anzi,  che  è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore  di  Cristo?  Forse  la  tribolazione,  l’angoscia,  la  persecuzione,  la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha  amati.  Io  sono  infatti  persuaso  che  né  morte  né  vita,  né  angeli  né 

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principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né  alcun’altra  creatura  potrà  mai  separarci  dall’amore  di  Dio,  in  Cristo Gesù, nostro Signore. Parola di Dio.  

Assemblea: Rendiamo Grazie a Dio.  

Lettore 1: Accogli, Signore, la causa del giusto, sii attento al mio grido. Porgi l’orecchio alla mia preghiera: sulle mie labbra non c’è inganno. Venga da te la mia sentenza, i tuoi occhi vedano la giustizia.  

Lettore  2:  Saggia  il  mio  cuore,  scrutalo  di  notte,  provami  al  fuoco,  non troverai malizia. La mia bocca non si è resa colpevole, secondo l’agire degli uomini; seguendo la parola delle tue labbra, ho evitato i sentieri del violento. Sulle tue vie tieni saldi i miei passi, i miei piedi non vacilleranno.  Lettore  1:  Io  t’invoco,  mio  Dio:  dammi  risposta;  porgi  l’orecchio,  ascolta  la mia  voce,  mostrami  i  prodigi  del  tuo  amore:  tu  che  salvi  dai  nemici  chi  si affida alla tua destra. Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali, di fronte agli empi che mi opprimono, i nemici che mi accerchiano.  

Lettore  2:  Essi  hanno  chiuso  il  loro  cuore,  le  loro  bocche  parlano  con arroganza.  Eccoli,  avanzano,  mi  circondano,  puntano  gli  occhi  per abbattermi;  simili  a  un  leone  che  brama  la  preda  ,a  un  leoncello  che  si apposta in agguato.  

Lettore  1: Sorgi, Signore, affrontalo, abbattilo;  con  la  tua  spada  scampami dagli empi,  con  la  tua mano, Signore, dal  regno dei morti  che non hanno più parte in questa vita. Sazia pure dei tuoi beni il loro ventre, se ne sazino anche i figli e ne avanzi per i loro bambini. Ma io per  la giustizia contemplerò  il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza.  

Acclamazione al Vangelo scelta dal repertorio parrocchiale. 

Cristo si è fatto obbediente, fino alla morte di croce Per questo Dio lo esaltò su ogni altra creatura.  

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Sacerdote: Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 19,25‐27 ) In quel tempo Stavano presso la Croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il  tuo  figlio!».  Poi  disse  al  discepolo:  «Ecco  la  tua  madre!».  E  da  quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Parola del Signore.  

Assemblea: Lode a Te, o Cristo.  

Il sacerdote tiene un breve pensiero di omelia.  

Lettore: La  Croce  è  una  nuova  rivelazione  di  Dio.  […]  Per  tutto  Israele  Dio era  soprattutto Maestà e Giustizia. Veniva  considerato come giudice,  che ricompensa  e  punisce.  Dio,  di  cui  parla  Gesù,  è  Dio  che  manda  il  proprio Figlio non “per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”  (Gv  3,17).  Egli  è  Dio  dell’amore,  il  Padre  che  non  retrocede  davanti  al sacrificio  del  Figlio  per  salvare  l’uomo.  3.  San  Paolo,  con  lo  sguardo  fisso alla stessa  rivelazione di Dio,  ripete per due volte nella  lettera agli Efesini “Per grazia... siete stati salvati”  (Ef 2,5). “Per grazia... siete salvi mediante la  fede”  (Ef  2,8).  Eppure  questo  Paolo,  […]  fino  alla  sua  conversione  fu l’uomo della Legge Antica. Sulla strada di Damasco gli si rivelò Cristo e da quel  momento  Paolo  capì  di  Dio  ciò  che  proclama:  “...Dio,  ricco  di misericordia,  per  il  grande  amore  col  quale  ci  ha  amati,  da  morti  che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete salvati”  (Ef  4,5).  Che  cosa  è  la  Grazia?  “È  un  dono  di  Dio”.  Il  dono  che  si spiega  col  suo  Amore.  Il  dono  è  là  dove  è  l’amore.  E  l’Amore  si  rivela mediante la Croce. […] L’Amore, che si rivela mediante la Croce, è proprio la Grazia. In essa si svela il più profondo Volto di Dio. Egli non è soltanto il giudice. È Dio di  infinita maestà e di estrema giustizia. È Padre, che vuole che  il  mondo  sia  salvato;  che  capisca  il  significato  della  Croce.  […]  Con umiltà  confessiamo  le  nostre  colpe,  le  nostre  negligenze,  la  nostra indifferenza nei confronti di questo Amore, che si è rivelato nella Croce. E contemporaneamente  rinnoviamoci  nello  spirito  con  il  grande  desiderio della  Vita,  della  Vita  della  Grazia,  che  eleva  continuamente  l’uomo,  lo rinforza,  lo  impegna. Quella grazia che dà  la piena dimensione alla nostra esistenza sulla terra. Così sia. (Beato Giovanni Paolo II)  

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Sacerdote:  Signore  Gesù,  che  hai  voluto  essere  innalzato  da  terra  per attirarci a Te, abbi pietà di noi. Assemblea: Signore Pietà.  

Sacerdote: Signore  Gesù,  che  ci  sottoponi  al  giudizio  della  tua  croce,  abbi pietà di noi.      Assemblea: Cristo Pietà.  

Sacerdote: Signore Gesù, che nell’acqua e nello Spirito ci hai rigenerato a tua immagine, abbi pietà di noi. Assemblea: Signore Pietà.  

Sacerdote: Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna.   

Assemblea: Amen.  

PREGHIERA DEI FEDELI  

Sacerdote: Cristo, uomo dei dolori, porta sulla Croce i peccati e le sofferenze dell’umanità.  Maria, associata alla sua passione, ci chiama ad unirci nella fede all’offerta redentrice del suo Figlio. Preghiamo insieme dicendo:  

rit.: O Maria, madre di misericordia, intercedi per noi.  

Lettore: Padre santo, che hai dato a Maria la grazia di essere discepola della Parola,  ancora  prima  di  essere  madre  del  Verbo  incarnato,  dona  alla comunità ecclesiale  lo spirito dell’ascolto, per obbedire nella  fede ad ogni cenno della tua volontà.  

Ti  preghiamo,  Padre  santo,  per  tutte  le  famiglie  del  mondo,  perché  di fronte  al  crocifisso  chiedano  la  piena  adesione  alla  volontà  di  Dio  e  si dispongano a compiere passi decisi e coraggiosi verso il compimento della loro vocazione che è amare ed il prossimo.  

Tu  che  riveli  la  tua  potenza  soprattutto  nella  misericordia,  fa’  che riconciliati  con  Te,  diventiamo  come  Maria,  dispensatori  di  perdono  e  di pace.  

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Ti preghiamo per il nostro Paese e per tutti  i popoli della terra, perché nel tuo  Figlio  nato  da  Maria  e  fatto  nostro  concittadino  del  mondo, riconoscano ed accolgano la vera pace e l’unica salvezza.  

Sacerdote: Rinnoviamo ogni nostra lode a Dio e ogni nostra domanda con la preghiera che Gesù ci ha insegnato:  

Tutti: Padre nostro, …  

Sacerdote: Torneremo sempre ai piedi di questa morte: il crocifisso è la nostra vita. Mai più cancelleremo questo monte dal nostro orizzonte: qui si erge davanti a noi la regalità della Parola che svela il Padre nel suo morire. Fissando gli occhi in questa morte accolta per amore la vita ci fiorisce in mano, perché corre il nome di Dio nel sangue sparso dell’unico puro Agnello. È qui la Pasqua: lo crediamo mentre ancora la fatica ci fa gemere. Tu solo sei il Signore: le tue mani segnate dai chiodi per sempre accoglieranno; i tuoi piedi feriti per sempre faranno strada; le tue labbra amare di aceto per sempre parleranno di vita e il tuo corpo sfigurato per sempre si ergerà sulla morte. É Pasqua: tutto è compiuto, tutto è dato. Noi conosciamo il volto dell’Altissimo.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote: Il Signore sia con voi.  

Assemblea: E con il tuo Spirito.  

Sacerdote:  Dio,  che  nella  passione  del  suo  Figlio  ci  ha  manifestato  la grandezza del suo amore, vi  faccia gustare  la gioia dello Spirito nell’umile servizio dei fratelli.  

Assemblea: Amen.  

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Sacerdote:  Cristo  Signore,  che  ci  ha  salvati  con  la  sua  Croce  dalla  morte eterna, vi conceda la vita senza fine.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote: Voi che seguite Cristo umiliato e sofferente, possiate aver parte alla sua resurrezione.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote:  E  la  benedizione  di  Dio  onnipotente,  Padre  e  Figlio  e  Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.  

Assemblea: Amen.  

Sacerdote:  Sull’esempio  di  Maria,  glorificate  il  Signore  con  la  vostra  vita, andate in pace.  

Assemblea: Rendiamo grazie a Dio.  

Un canto, scelto dal repertorio parrocchiale, conclude la celebrazione.   

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CONTRIBUTO per L’ANIMAZIONE  

LITURGICA DOMENICALE e FESTIVA  

 

 

Mercoledì delle Ceneri 

13 febbraio 2013 

Idea guida per l’animazione COSPARGIAMO  IL  NOSTRO  CAPO  DI  CENERE  NELLA  CERTEZZA  CHE 

VERREMO “LAVATI”  DALL’INFINITA MISERICORDIA DI DIO.  Intenzioni di preghiera 

O  Signore,  che  sei  misericordioso  e  pietoso,  sai  che  a  volte  il  nostro partecipare  ai  riti  ha  come  scopo  l’ammirazione  del  mondo;  donaci  in questa  Quaresima  che  oggi  ha  inizio,  un  cuore  puro  e  uno  spirito  saldo affinché abbiamo il coraggio di  lacerare  il cuore e non  le vesti, e facendoci sinceri  ambasciatori  in  Cristo  diventiamo  Suoi  collaboratori  nell’indire un’assemblea solenne che proclami la Tua lode. Per la quaresima di carità 

O Signore,  ricco di misericordia,  insegnaci  ad avere per  i  nostri  fratelli albanesi  della  Diocesi  di  Sapa  lo  sguardo  attento  della  madre  protesa  a soccorrere e custodire i suoi figli e perdonaci per ogni volta che li abbiamo dimenticati  o  abbiamo  lasciato  che  l’elemosina  surrogasse  il  dono  di  noi stessi.

 

I Domenica di Quaresima 

17 febbraio 2013 

Idea guida per l’animazione SICURI  ALL’OMBRA  DELL’ALTISSIMO,  NON  POSSIAMO  PERMETTERE  DI 

LASCIARCI VINCERE DALLE TENTAZIONI. Intenzione di preghiera 

O Padre,  che  con mano  potente  e  braccio  teso  custodisci  le  vie  di  chi invoca il Tuo nome, concedici la forza per non cedere ai corteggiamenti del denaro,  del  potere  e  dell’orgoglio,  ma  rendi  i  nostri  cuori  docili  alla  Tua 

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giustizia  e  le  nostre  bocche  al  servizio  della  Tua  lode,  nella  speranza  di gustare la dolcezza delle tue promesse.  Per la quaresima di carità

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa.  Dona  loro,  attraverso  la  nostra  vita,  testimoni  del  tuo  Vangelo,  che fermi  nell’amore  e  perseveranti  nelle  tentazioni,  possano  condurli all’incontro con Te.

 

II Domenica di Quaresima 

24 febbraio 2013 

Idea guida per l’animazione SVEGLIAMOCI  DAL  NOSTRO  TORPORE  PER  LASCIARCI  SCONVOLGERE 

DALLA GLORIA.  Intenzione di preghiera 

Signore Gesù, che sul Monte hai  fatto pregustare   a Pietro, Giovanni e Giacomo il dolore della Tua salita a Gerusalemme ma anche  la gloria della Tua Risurrezione, concedi a noi che troppe volte siamo oppressi dal sonno,  di  non  cercare  soltanto  le  cose  della  terra,  perché  anche  il  nostro  volto cambi di aspetto e diventiamo gioia e corona dei nostri fratelli amatissimi.  Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa. La novità del tuo Vangelo, annunciato dai nostri missionari, ridesti nei cuori  il  desiderio  di  seguirti,  perché  possano manifestare  la  tua  gloria  tra coloro che vivono nell’oscurità del peccato e dell’indifferenza.

 

III Domenica Quaresima 

3 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione STANDO  ATTENTI  A  NON  “CADERE”  NELLA  MORMORAZIONE, 

SPERIMENTIAMO, IN PIEDI,  LA PAZIENZA DI DIO. Intenzione di preghiera 

O Padre, più volte nel corso della nostra vita sperimentiamo quanto sei lento  all’ira  e  grande  nell’amore  e  continuamente  Ti  chiediamo  di  non tagliarci, di avere pazienza e Tu ci circondi di bontà e misericordia;  donaci di abbandonare  ogni  forma  di  superficialità  ed    essere  gli  uni  per  gli  altri 

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“roveti  ardenti”,  tutti  poggiati  sulla  roccia  spirituale  che  è  Cristo,  per dirigere i nostri passi sulla strada che porta a Te.  Per la quaresima di carità

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa.  L’incontro  con  il  tuo  amore  paziente  e misericordioso,  testimoniato con la nostra vita, trasformi le strade della vendetta e del castigo in sentieri di giustizia e perdono.

 

IV Domenica di Quaresima 

10 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione COME  IL  FIGLIOL  PRODIGO  LASCIAMOCI  CORRERE  INCONTRO  E 

TRAVOLGERE  DALL’ABBRACCIO  DEL  PADRE  CHE  NON  VEDE  L’ORA  DI PERDONARE.  Intenzione di preghiera 

O Signore, che liberi da ogni paura e salvi da tutte le angosce, donaci di capire  il  grande  mistero  del  Tuo  amore  che  ci  ha  riconciliati  con  Te mediante Cristo,    e  quando perdiamo  la  strada  e  ci  sentiamo  in un paese lontano concedici il coraggio per alzarci e tornare da Te, sicuri che verremo accolti  non  come  servi  da  punire  ma  come  figli  che  mai  hai  smesso  di amare.  Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa.  Il  calore  del  tuo  abbraccio  benedicente  giunga  attraverso  la  nostra vicinanza e  apra  i  cuori  di  ciascuno a  riconoscerti  come Padre e  a  sentirci fratelli in Cristo. 

 

   

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V Domenica di Quaresima 

17 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione NON  RICORDIAMO  PIÙ  LE  COSE  ANTICHE  MA  LASCIAMOCI 

CONQUISTARE DALLA NOVITÀ DELL’AMORE DI GESÙ. Intenzione di preghiera 

O  Padre,  che  apri  una  strada  nel  mare  e  immetti  fiumi  nella  steppa, troppe  volte  siamo  noi  a  tirare  la  “prima  pietra”  per  giudicare  i  nostri fratelli,  incuranti  del  nostro  stato  di miseri  peccatori;  ristabilisci  la  nostra sorte  perché  scegliamo  come  giustizia  quella  che  viene  dalla  fede  per lasciarci  conquistare da Cristo Gesù e correre  insieme a Lui verso  la mèta, verso il premio che Tu ci chiami a ricevere.  Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa. La gioia dell’incontro con Te, rinnovi la vita delle nostre comunità civili ed  ecclesiali  perché,  conquistati  dal  tuo  amore,  possiamo,  insieme, abbandonare le cose antiche e aprirci alla tua presenza vivificante.

 

Domenica delle Palme 

24 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione STENDIAMO  I  NOSTRI  MANTELLI  AL  PASSAGGIO  DI  CRISTO  E 

ACCOMPAGNIAMOLO VERSO L’ALTEZZA DELLA CROCE. Intenzione di preghiera 

Signore Gesù, anche quest’anno siamo commossi nel salire insieme a Te verso Gerusalemme, coscienti che sulla croce vieni svuotato di Te stesso per riempire noi del Tuo amore; donaci l’umiltà della fede perché capiamo che l’essere Cristiani non è una facile discesa verso il basso ma un pellegrinaggio in salita al Tuo fianco che non si ferma all’altezza della Croce, ma ci conduce al Padre.  Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa, perché uniti nell’acclamarti nostro redentore e possiamo ricevere da te il dono della perseveranza nella fede per seguirti attraverso la croce sino alla resurrezione. 

 

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Messa del Crisma 

27 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione CONSACRATI  DALLO  SPIRITO,  DIVENTIAMO  PORTATORI  DEL  LIETO 

ANNUNCIO. Intenzione di preghiera 

Padre buono, ci hai donato l’olio di letizia, segno della tua bontà, che ci accompagna dal  Battesimo  fino  all’incontro  con  Te  e  ci  ha  reso  popolo  di sacerdoti; concedici di diventare fedeli annunciatori del Tuo messaggio per consolare  tutti  gli  afflitti  e  indossare  la  veste  di  lode  invece  di  uno  spirito mesto,  una  corona  invece  della  cenere,  affinché  i  fratelli  che  incontriamo possano riconoscere nella nostra gioia la stirpe benedetta dal Signore. Per la quaresima di carità

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa.  Lo  Spirito  effuso  nel  Battesimo,  abiti  in  loro  e  ne  consacri  la  vita  di ogni giorno,rendendoli luminosi testimoni del tuo amore.

 Giovedì Santo  

(Messa in Coena Domini) 

28 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione SCONCERTATI  DA  UN  DIO  CHE  CI  LAVA  I  PIEDI,  PRENDIAMO  DA  LUI 

ESEMPIO PER SERVIRE CON AMORE I NOSTRI FRATELLI. Intenzione di preghiera 

Signore  Gesù,  che  per  amore  nostro  Ti  sei  spogliato  della  Tua  gloria divina e Ti sei cinto delle vesti del servo,  donaci l’umiltà e il coraggio della bontà perché lavandoci i piedi gli uni con gli altri siamo purificati dall’Amore e  osiamo alzare  il  calice  della  salvezza,    per  diventare  degni  di  essere  un giorno ammessi all’eterno banchetto nuziale.  Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  i  nostri  fratelli  albanesi  della  Diocesi  di Sapa.  Alla  tua  scuola,  possiamo  metterci  al  servizio  gli  uni  degli  altri  e testimoniare “il farsi servo” ad un mondo che esalta i forti e rifiuta i deboli e i sofferenti.

 

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Venerdì Santo  

(Passione del Signore) 

29 marzo 2013 

Idea guida per l’animazione CRISTO TRASFORMA LA CROCE DA STRUMENTO DI MORTE A SIMBOLO 

DI UN AMORE SENZA PARAGONI.  Intenzione di preghiera 

O  Signore,  anche  a  noi  rivolgi  la  domanda:  “Chi  cercate?” ma    siamo rimasti senza parole perché Ti vediamo disprezzato e reietto dagli uomini e questa ingiusta sentenza non smette mai di turbarci; aiutaci a comprendere che noi tutti eravamo sperduti come un gregge, e che hai offerto Te stesso in  sacrificio  di  riparazione,  addossandoti  le  nostre  iniquità  cosicché  reso perfetto  sei  divenuto  causa  della  nostra  Salvezza  e  con  la  Tua  croce  hai congiunto la nostra povertà  alla Tua grandezza. Per la quaresima di carità 

O  Signore,  ti  preghiamo  per  coloro  che  abitano  in  terra  d’Albania. Rendici fratelli nella sofferenza, solidali sotto la croce, capaci di riconoscerti fonte dell’amore e ricevere da Te la vita senza fine.

 

   

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Indice      L’itinerario diocesano annuale              1  La quarta tappa. La fede provata              3 

 Introduzione                    3 

a. La mappa del nostro cammino          3 b. L’itinerario della Quaresima di Carità        4 c. Descrizione dei moduli            5 

 1. Primo modulo. La meta del nostro cammino (Lc 9,28‐36)    7 

a. Approfondimento esegetico           7 b. Il filo rosso              10 c. I giovani                11 d. Le coppie              13 e. Carità e testimonianza          14 f. Spunti per attività             15 g. Momento celebrativo : Adorazione Eucaristica    16 

 2. Secondo modulo. La direzione giusta (Lc 13,1‐9)      20 

a. Approfondimento esegetico         20 b. Il filo rosso              22 c. I giovani                24 d. Le coppie              25 e. Carità e testimonianza          26 f. Spunti per attività             27 g. Momento celebrativo : Via Crucis        30 

    

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Anno del la Fede 2012-2013   

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 3. Terzo modulo.  

Dio si com‐muove, si muove con noi (Lc 15,1‐3.11‐32)    32 a. Approfondimento esegetico         33 b. Il filo rosso              35 c. I giovani                37 d. Le coppie              38 e. Carità e testimonianza          39 f. Spunti per attività             41 g. Momento celebrativo :  

Celebrazione Penitenziale per la Quaresima    44  

4. Quarto modulo.  La possibilità di ricominciare (Gv 8,1‐11)        52 

a. Approfondimento esegetico         52 b. Il filo rosso              54 c. I giovani                56 d. Le coppie              57 e. Carità e testimonianza          58 f. Spunti per attività             60 g. Momento celebrativo :  

Esame di Coscienza Comunitario        62  Proposta di celebrazione per il Mercoledì delle Ceneri     64 Celebrazione Quaresimale con “Adorazione della Croce”    70 Contributo per l’Animazione Domenicale e Festiva      77  

   

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Appunti

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Finito di stampare nel mese di Febbraio 2013

UfficioComunicazioniSociali - 339.36.93.135

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