Sussidio (V fascicolo)

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Itinerario biblico-catechetico dell'arcidiocesi di Pescara-Penne per l'anno della fede (V Fascicolo)

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Anno della Fede 2012‐2013 

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L’itinerario diocesano annuale  

 Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto 

XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La nostra  Arcidiocesi  intende  proporre  a  tutte  le  parrocchie  e  le  realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede.. 

 Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico, 

adattabile  alle  specifiche  realtà  ecclesiali,  affinché  venga  rispettato  il carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso  in 6 tappe, che ricalcano i momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate). 

 Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni 

di  incontro  e  comunione  per  tutta  la  diocesi.  In  questo  modo  abbiamo cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno. 

 Il  quadro  d’insieme  di  tutto  l’anno  è  affidato  all’Icona  Biblica  della 

moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17.   10aAl  loro  ritorno,  gli  apostoli  raccontarono  a  Gesù  tutto  quello  che  avevano 

fatto.  10bAllora  li  prese  con  sé  e  si  ritirò  in  disparte,  verso  una  città  chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono.  11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava  a  declinare  e  i  Dodici  gli  si  avvicinarono  dicendo:  «Congeda  la  folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui  siamo  in  una  zona  deserta».  13Gesù  disse  loro:  «Voi  stessi  date  loro  da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che  non  andiamo  noi  a  comprare  viveri  per  tutta  questa  gente».  14C’erano  infatti circa  cinquemila  uomini.  Egli  disse  ai  suoi  discepoli:  «Fateli  sedere  a  gruppi  di cinquanta  circa».  15Fecero  così  e  li  fecero  sedere  tutti  quanti.  16Egli  prese  i  cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava  ai  discepoli  perché  li  distribuissero  alla  folla.  17Tutti  mangiarono  a  sazietà  e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. 

 

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Questo  brano  è  stato  diviso  anch’esso  in  6  parti,  ciascuna  di  esse corrisponde  ad  una  tappa  del  cammino  annuale,  come  indicato  nello schema che segue: la prima tappa tra ottobre e novembre  (Lc 9,10a.11a); la seconda tappa nel tempo di Avvento e Natale  (Lc  9,10b); la terza tappa nel periodo di gennaio e febbraio (Lc 9,11b); la quarta tappa nel tempo di Quaresima (Lc 9,12‐13);  la quinta tappa nel tempo di Pasqua (Lc 9,14‐16); infine, la sesta tappa in estate (Lc 9,17). 

 Il  cammino  diocesano  sulla  fede  e  questo  sussidio  sono  il  frutto  del 

lavoro  di  tutti  gli  uffici  della  nostra  diocesi.  È  possibile,  per  qualsiasi necessità,  contattare  alcuni  dei  sacerdoti  responsabili  del  progetto  ai seguenti numeri: 

‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale)      329.68.14.898 ‐ don Domenico (Pastorale Giovanile)       340.67.06.645 ‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria)       380.36.18.590 ‐ don Nando (Pastorale Biblica)         327.88.56.338 

 I testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come dei 

“moduli”.  Nel  senso  che  ogni  gruppo  di  parrocchia,  movimento  o associazione potrà  scegliere se  e come  utilizzarli:  possono essere utilizzati tutti  consecutivamente  (visto  che  hanno  una  loro  continuità)  o  possono anche  essere  presi  singolarmente  o  parzialmente  (avendo  comunque ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno potrà costruirsi un itinerario ad hoc  in base alle necessità della realtà nella quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi. 

Ogni  modulo  è  corredato  delle  seguenti  piste  di  approfondimento  e attualizzazione: 

a. la  spiegazione  esegetica  guida  ad  una  maggior  comprensione  del testo biblico;  

b. il  filo  rosso,  che  offrendo  elementi  di  crescita  umana  e  spirituale presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;  

c. riflessione diretta ai giovani;  d. spunti per la vita di coppia; 

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e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e ai malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro; 

f. spunti per attività di catechesi sul tema; g. proposte celebrative.   

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LA QUINTA TAPPA  

La fede celebrata Moduli biblico‐catechetici di approfondimento 

della Quinta Tappa (Tempo di Pasqua) 

 

Introduzione     

a. La mappa del nostro cammino  

Dall’Icona biblica (vv 14‐16): 14C’erano  infatti  circa  cinquemila  uomini.  Egli  disse  ai  suoi 

discepoli:  «Fateli  sedere  a  gruppi  di  cinquanta  circa».  15Fecero  così  e  li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi  al  cielo,  recitò  su  di  essi  la  benedizione,  li  spezzò  e  li  dava  ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 

 Nel cammino pasquale  la  fede della Chiesa è  fede celebrata nella gioia 

delle  nozze  dell’Agnello,  gioia  per  la  vita  nuova  in  Cristo.  L’uomo,  che all’inizio del cammino abbiamo trovato assetato, desideroso di conoscere se stesso  e  trovare  il  senso  dell’esistenza,  attraverso  la  comunità  trova  in Cristo la vita nuova, un nuovo ordine, una possibilità oltre il suo limite.  

Nel  racconto  della moltiplicazione  dei  pani,  il  fatto  che  la  folla  venisse ordinata  in  gruppi  di  cinquanta  vuole  esprimere  il  senso  di  una  nuova armonia. Un’armonia che dà pace e sicurezza. Un abbozzo di prefigurazione del Regno dei  cieli.  I  gesti di Gesù che seguono, poi,  sono profondamente eucaristici (sono gli stessi verbi usati per da Gesù nella sua ultima cena e dai sacerdoti nelle celebrazioni eucaristiche). Essi, lì collocati, associano questo ordine  al mistero pasquale  della morte  e  resurrezione di  Cristo,  celebrata nell’eucaristia stessa. 

In  effetti  questi  saranno  gli  elementi  che  caratterizzano  il  cammino  di questa  quinta  tappa:  la  gioia  per  la  salvezza  ritrovata  in  Cristo  Signore, morto e risorto, vissuta all’interno del nostro rapporto con Lui; l’eucaristia, quale luogo privilegiato per la celebrazione di detta gioia. 

Momento  celebrativo  diocesano  sarà  il  Pellegrinaggio  Diocesano  a Roma, il 20 aprile, in occasione della 50a Giornata Mondiale delle Vocazioni. 

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b. Descrizione dei moduli  

Con la nostra partecipazione alla Pasqua di Cristo la nostra fede trova il suo  coronamento  e  la  sua  pienezza.  A  quella  fede  che  abbiamo  cercato, ricevuto  in  dono,  sperimentato  e  verificato  nella  prova,  ora  resta  la celebrazione  della  gioia  per  la  pienezza  che  essa  ha  raggiunto.  In particolare,  abbiamo  attraversato  il  deserto  del  nostro  peccato  nella precedente tappa quaresimale. Per dirla con San Paolo, siamo morti anche noi  con  Cristo  al  nostro  peccato, ma  ora  rinasciamo  con  Lui  a  vita  nuova sperimentando quella  pienezza di  vita  che  solo  Lui  può donarci. Da qui  la gioia! Ecco allora il senso dello snodarsi dei moduli di questa quinta tappa:  

 1. Lc  24,13‐35.  L’intimità  della  gioia  vissuta  dai  discepoli  di 

Emmaus al camminare con Cristo; gioia riconosciuta solo dopo, nel contesto eucaristico della frazione del pane.  

 2. Gv  10,27‐30.  Il  fondamento  della  gioia  nella  relazione  di 

tenerezza con Cristo bel pastore, che conosce le sue pecore e le ama.  

 3. At  1,1‐11.  Il  duplice  orientamento  della  nostra  gioia,  in  cielo 

dove  siamo  destinati  (vado  a  prepararvi  un  posto),  e  in  terra dove siamo chiamati a giocarci la nostra vita oggi.  

 4. At  2,1‐11.  La  pienezza  della  gioia  nella  comunità,  all’interno 

della  quale  le  relazioni  vengono  fondate  sullo  Spirito  Santo Amore. 

   

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1. Primo modulo. L’intimità della gioia  

Lc 24,13‐35. I discepoli di Emmaus 

 13Ed ecco,  in quello stesso giorno due di  loro erano  in cammino per un 

villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e  conversavano  tra  loro  di  tutto  quello  che  era  accaduto.  15Mentre conversavano  e  discutevano  insieme,  Gesù  in  persona  si  avvicinò  e camminava  con  loro.  16Ma  i  loro  occhi  erano  impediti  a  riconoscerlo.  17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si  fermarono, col volto triste; 18uno di  loro, di nome Clèopa, gli  rispose:  «Solo  tu  sei  forestiero  a  Gerusalemme!  Non  sai  ciò  che  vi  è accaduto  in  questi  giorni?».  19Domandò  loro:  «Che  cosa?».  Gli  risposero: «Ciò  che  riguarda  Gesù,  il  Nazareno,  che  fu  profeta  potente  in  opere  e  in parole,  davanti  a  Dio  e  a  tutto  il  popolo;  20come  i  capi  dei  sacerdoti  e  le nostre  autorità  lo  hanno  consegnato  per  farlo  condannare  a  morte  e  lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli  fosse colui che avrebbe  liberato Israele;  con  tutto  ciò,  sono  passati  tre  giorni  da  quando  queste  cose  sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla  tomba  23e, non avendo  trovato  il  suo corpo,  sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli,  i quali affermano che egli è vivo.  24Alcuni  dei  nostri  sono  andati  alla  tomba  e  hanno  trovato  come avevano  detto  le  donne,  ma  lui  non  l'hanno  visto».  25Disse  loro:  «Stolti  e lenti  di  cuore  a  credere  in  tutto  ciò  che  hanno  detto  i  profeti!  26Non bisognava  che  il  Cristo  patisse  queste  sofferenze  per  entrare  nella  sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui 

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli  fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa  sera e  il giorno è ormai al  tramonto». Egli entrò per  rimanere con  loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e  lo diede  loro.  31Allora  si aprirono  loro gli occhi e  lo  riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro  cuore  mentre  egli  conversava  con  noi  lungo  la  via,  quando  ci spiegava  le  Scritture?».  33Partirono  senza  indugio  e  fecero  ritorno  a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 

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34i  quali  dicevano:  «Davvero  il  Signore  è  risorto  ed  è  apparso  a  Simone!». 35Ed  essi  narravano  ciò  che  era  accaduto  lungo  la  via  e  come  l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 

 

a. Approfondimento esegetico 

Nessuno dei Vangeli si conclude con la morte e la sepoltura di Gesù. La morte non è l’ultima parola. La buona notizia è questa: Gesù è risorto. Essa è  riferita  da  due  tipi  di  narrazioni  evangeliche:  la  scoperta  della  tomba vuota e le apparizioni pasquali. 

L’episodio dei discepoli di Emmaus (vv. 13‐35), specifico di Luca, si trova nel  capitolo  24  di  Luca,  ultimo  del  Vangelo,  che  appare  come  una composizione strutturata in tre grandi parti, un trittico delle apparizioni: vv. 1‐12,  la  scoperta della  tomba vuota da parte delle donne e  l’annuncio dei due  angeli;  vv.  13‐35,  i  discepoli  di  Emmaus;  vv.  36‐53,  l’apparizione  agli Undici e l’Ascensione. È stato giustamente osservato che in questo capitolo si può ammirare tutta l’abilità dello scrittore Luca, che mette «la sua arte a servizio di una riflessione di fede autentica e del fine programmato: dare ai lettori il fondamento della loro fede» (G. Rossé). 

Il racconto dei discepoli di Emmaus può essere suddiviso in due parti. La prima  parte  (vv.  13‐24)  è  caratterizzata  da  separazioni  e  divisioni:  i  due discepoli si allontanano da Gerusalemme, luogo dell’evento pasquale, e dal gruppo dei discepoli (v. 13); sono distanti da Gesù, visto come un estraneo; sembrano essere divisi anche fra di loro, poiché il verbo greco usato al v. 17 (i  discorsi  che  “stanno  facendo”)  letteralmente  significa  “ribattere”.  Sono quindi tristi (v. 17): una situazione cupa e senza speranza. 

Nella  seconda  parte  (vv.  25‐35)  tutto  si  rovescia.  Gesù  è  il  soggetto dell’azione,  non  più  i  due  discepoli,  e  prende  in  mano  la  situazione:  egli spiega gli eventi alla luce delle Scritture, poi assume il ruolo dell’ospite nel gesto  della  «frazione  del  pane».  Tutte  le  distanze  sono  annullate:  Gesù viene riconosciuto, il cuore dei discepoli «arde», ritornano a Gerusalemme, nella comunità dei discepoli. 

Il  racconto  è  ambientato  nel  primo  giorno  della  settimana,  «lo  stesso giorno» (v. 13) in cui le donne erano andate al sepolcro (v. 1), Quindi siamo nel  pomeriggio‐sera  della  domenica.  La  strada  è  quella  che  porta  da Gerusalemme  a  Emmaus.  L’identificazione  di  questo  villaggio  è problematica,  quello  che  conta,  però,  è  che  i  due  discepoli  si  stanno 

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allontanando dalla  città  santa.  In   9,51 era  cominciato  il  viaggio di Gesù e degli  apostoli  verso  Gerusalemme,  e  tutto  era  orientato  verso Gerusalemme; ora i due discepoli se ne vanno. 

Mentre  questi  due  «conversavano  tra  loro  di  tutto  quello  che  era accaduto» (v. 14), «conversavano e discutevano insieme» (v. 15), si avvicina Gesù  in persona. Sono discepoli, questo vuol dire che sono stati con Gesù per un periodo di  tempo,  eppure non  lo  riconoscono. Questo non perché Gesù  si  sia  camuffato, alla maniera delle divinità greche, ma perché  i  loro occhi sono impediti a riconoscerlo. 

Lo  scambiano  per  un  forestiero;  sono  stupiti  che  non  sappia  nulla  di quello che è accaduto; raccontano di nuovo, in sintesi, i fatti della passione e morte di Gesù. Dal loro comportamento e dalle loro parole vengono fuori tristezza  (v.  17)  e  delusione  (v.  21).  Il  racconto  delle  donne,  che  hanno trovato la tomba vuota e dagli angeli hanno saputo che Gesù è vivo, in loro non ha avuto alcun effetto.  Se ne vanno dunque da Gerusalemme perché pensano  che  la  vicenda  di  Gesù,  ricca  di  promesse,  sia  stata  alla  fine  un terribile  fallimento.  Tutto  quello  in  cui  credevano  è  finito  il  giorno  in  cui Gesù è stato crocifisso. 

La  seconda  parte  del  brano  è  più  movimentata.  Comincia  con  una “omelia”  (in  greco  c’è  il  verbo  omilein  che  significa  spiegare)  di  Gesù,  il quale spiega  il senso della sua vita a partire dalla Legge e  i Profeti  (vv. 25‐27).  La  spiegazione  di  Gesù  dura  fino  all’arrivo  a  Emmaus  e  alla  cena insieme  (vv.  28‐31).  Durante  la  cena  riconoscono  Gesù,  che  subito scompare, e tornano di corsa a Gerusalemme (vv. 32‐35).  

Gesù  rimprovera  duramente  i  due  discepoli:  la  loro  visione  delle  cose (una  comprensione  nazionalistica  del  Messia)  ha  impedito  loro  di comprendere le Scritture: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno  detto  i  profeti!»  (v.  25).  Gesù,  nella  sua  spiegazione,  mostra  loro come  fosse  necessaria,  cioè  secondo  il  progetto  di  Dio,  la  sua  passione  e morte. Era questo  lo scandalo per  i due discepoli:  la croce aveva spazzato via  le  loro speranze; ora Gesù fa vedere come proprio  la croce sia  il segno che egli è veramente il liberatore del suo popolo.  

Giunti al villaggio di Emmaus, i due invitano il misterioso forestiero che ormai  è  diventato  il  loro  compagno  di  strada,  a  fermarsi  per  la  cena.  Egli accetta e, quando è a tavola con loro, prende il pane, recita la benedizione, lo  spezza  e  lo  distribuisce  senza  dire  una  parola.  A  quel  gesto,  che 

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ovviamente  ricorda  l’ultima  cena  (22,19‐20),  i  loro  occhi  si  aprono  e riconoscono  Gesù.  Il  cambiamento  era  già  cominciato  con  la  spiegazione biblica  lungo  la  via:  «non  ardeva  forse  in  noi  il  nostro  cuore mentre  egli conversava  con  noi?»  (v.  32);  il  gesto  evocativo  dello  spezzare  il  pane completa il percorso “spirituale” dei due.  

Gesù  scompare  dalla  loro  vista  e  i  due  discepoli  corrono  dagli  altri  ad annunciare che hanno visto il Signore risorto. Non è consigliabile mettersi in viaggio di sera e undici chilometri sono quasi tre ore di cammino, ma dopo aver incontrato il Risorto non c’è nulla che li possa trattenere.           

 

b. Il filo rosso 

I discepoli  in cammino  rappresentano ciascuno di noi, viandanti per le  strade del mondo. Ma essi  tornano a  casa  loro  con  il volto  triste.  Si tratta di quella tristezza che proviene dall’essere stolti, cioè “in‐sensati”, ovvero  incapaci  di  comprendere  il  senso  profondo  dell’agire  di  Dio, come  Gesù  stesso  ha  diagnosticato  loro  durante  il  discorrere  per  via. Questa  tristezza ha  le  caratteristiche precise di  una  speranza delusa  in modo  apparentemente  inesorabile  (noi  speravamo  che  fosse  lui  a liberare Israele)! 

Però  dalla  loro  parte  c’è  che  sono  in  due,  cioè  non  sono  chiusi ciascuno  in  se  stesso.  Per  quanto  stessero  discutendo,  vivono  ancora una  fraternità,  che  sarà  per  loro  salvifica.  In  essa,  infatti,  si  inserisce Cristo che si fa loro compagno di viaggio e si mette a dialogare con loro. All’interno  di  questa  apertura  del  cuore,  in  forza  della  quale  hanno  la possibilità di esporre le loro sofferenze e difficoltà, trovano la possibilità di elaborare il loro malessere spirituale e di convertire la loro tristezza in gioia.  

La gioia, descritta come un cuore  illuminato e scaldato dalle parole di Gesù (non ardeva forse  in noi  il nostro cuore mentre egli conversava con  noi  lungo  la  via,  quando  ci  spiegava  le  Scritture?),  ha  a  che  fare strettamente con  la  fede. E  tale  fede  trova  il  suo  luogo di predilezione nella  celebrazione  eucaristica,  che  ci  racconta  la  totalità  dell’amore  di Gesù e come quell’amore si rende efficace per noi ancora oggi.  

Da  qui  l’annuncio.  Esso  non  può  certo  limitarsi  ad  un  passaggio  di informazioni  o  nozioni  su  una  verità  che  viene  approcciata  solo  dal 

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punto  di  vista  cognitivo.  La  nostra  fede  si  palesa  anche  e  innanzitutto nella fiducia che ci rende disponibili a metterci in gioco nei nostri aspetti più personali. Tirando in ballo le nostre esperienze fatte e i nostri vissuti interiori. Permettendo al Cristo risorto di trasformarli, redimerli, volgerli in  qualcosa  di  benefico  e  persino  salvifico.  A  questo  punto  il  nostro annuncio può essere efficace perché promana dal nostro profondo.  

In conclusione, solo dall’intimità con Gesù può nascere una gioia così intima.  Una  gioia  del  cuore.  Una  gioia  che  riscalda  e  illumina  nel profondo.  Nell’eucaristia  possiamo  nutrirci  dell’amore  di  Cristo  e alimentare quindi la nostra gioia più autentica. 

 

• Come mi relaziono con le mie tristezze? Ascolto la mia tristezza o la nascondo a me stesso? Nei discepoli di Emmaus, essa nasce da una speranza  di  liberazione  rimasta  delusa:  mi  accorgo  che  la  mia tristezza  è  in me  collegata  con  le  schiavitù  che mi  impediscono di essere libero? O, al contrario, mi illudo che le mie schiavitù possano essere la giusta fuga dalla mia tristezza?  

• Dove  cerco  la  mia  gioia?  Elaboro  le  mie  difficoltà  interiori  con qualcuno,  ricercando  i  segni della  volontà di Dio nella mia  vita? O piuttosto mi  illudo di bastare a me stesso, nascondendo  i miei  lati oscuri? 

• Quanto  la  mia  fede  ha  a  che  fare  con  la  mia  ricerca  della  gioia? Cosa significa per me incontrare il risorto nel peregrinare di questa mia vita?  

• Il mio annuncio del risorto parte da una rielaborazione reale della mia  vita  alla  luce  del  mio  incontro  con  Cristo  o  non  piuttosto  da qualcosa di imparaticcio e non sperimentato? 

 

c. Giovani 

L’avventura  dei  discepoli  di  Emmaus  ci  traccia  il  percorso della  fede  e dell’incontro con il Signore, possiamo dire che è una vicenda che noi giovani sentiamo molto vicina; ci  rispecchiamo  in questi due. Delusi di quanto era avvenuto,  amareggiati  per  le  loro  speranze  frustrate  e  indispettiti  hanno deciso di lasciare Gerusalemme e il gruppo e di andarsene.  

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Erano emozionalmente turbati, quindi incapaci di capire quello che era successo e di riconoscere Gesù che si univa  a loro nel cammino. E’ il nostro modo  di  reagire  quando  ci  troviamo  di  fronte  a  situazioni  difficili, complicate,  che  non  capiamo  e  nasce  dentro  una  ribellione,  la  voglia  di scappare, di tentare cose nuove ma Gesù è lì con loro. Ha bisogno di usare modi  forti  per  scuoterli  e  per  poter  entrare  nel  loro  mondo  chiuso,  a differenza del nostro ambiente che ci alletta, ci accarezza, ci fa discorsi che ci  piacciono,  e  Gesù  porta  i  due  da  una  situazione  di  tristezza  su  un cammino  dove  la  sua  Parola  tocca  il  cuore,  dove  invita  a  compromettersi con Lui, dove Egli si compromette totalmente con loro nel dono totale che lo  rivela  pienamente.  Allora  arriva  la  gioia  e  arriva  questo  profondo desiderio  di  tornare  indietro,  di  rientrare  nel  gruppo  e  raccontare  quanto hanno vissuto. 

Il  primo  interrogativo  che  forse  dobbiamo  porci  è  quale  capacità abbiamo noi di accogliere  i modi  forti, quelli  che ci  costringono alla verità della  nostra  chiusura mentale,  della  nostra  schiavitù  alle  emozioni  che  ci impediscono di vedere la realtà qual è; perché di solito noi di fronte a chi ci tratta  in  modi  forti  scappiamo,  la  fortuna  dei  discepoli  invece  è  che  non sono scappati.  

Siamo  disposti  di  fronte  al mistero  della  croce,  della  sofferenza,  delle tragedie  umane  a  lasciarci  scuotere,  ad  aprirci  alla  Parola,  all’accoglienza dell’altro e a farci compromettere da Cristo che si fa pane nel dono totale di sé? Siamo convinti che la vita di gruppo, la comunione con i fratelli è la vera conseguenza, il vero frutto dell’incontro con Cristo? 

 

d. Carità e testimonianza  

Abbiamo  conosciuto  Gesù  lungo  il  cammino.  L’abbiamo  riconosciuto nello spezzare il pane. 

Lungo  il  cammino  spiegava  le  scritture,  guariva  i malati,  abbracciava  i fanciulli, perdonava i peccatori, liberava gli oppressi.  

Camminare  con  Gesù  è  mettere  i  nostri  passi  dove  li  mette  Lui, ripercorrere le sue strade, guidati dalla sua Parola, dal suo esempio. 

Siamo alla sua sequela ogni volta che accogliamo uno straniero, che ci pieghiamo a curare un malato, a soccorrere una persona  in difficoltà, ogni volta che le nostre mani e il nostro cuore si aprono a donare ciò che è più importante: Gesù stesso. 

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I discepoli lungo il cammino avevano avvertito che il cuore gli ardeva nel petto,  ma  nel  riconoscere  Gesù  nella  frazione  del  Pane  Eucaristico,  si aprono alla gioia viva e vera, di trovarsi ancora una volta con il Maestro, con il Risorto. 

• Ho mai  sperimentato  la  gioia  dell’incontro  con  il  Signore  della vita,  nel  servizio  agli  ultimi,  nello  slancio  missionario, nell’accogliere lo straniero? In che modo? Cosa ho vissuto? 

• Attingo  forza  dal  Pane  Eucaristico  per  ripeterne  il  gesto  nel dono di me stesso? 

• Nello  “spezzarmi”  per  gli  altri  riesco  a  scorgere  la  gioia  di  un incontro  tra  Cristo  e  le  persone  che  Lui  vuole  raggiungere attraverso di me? 

 

e. Spunti per attività  

Due sono  le  icone che raccontano dei due discepoli di Emmaus, che  la sera di Pasqua riconoscono il Signore al termine del loro cammino (Luca 24, 13‐29) nel gesto della frazione del pane (Luca 24,30‐35). Entrambe possono essere utilizzate per una catechesi  che permetta al  gruppo di  confrontarsi con  la propria esperienza di  fede e nel  contempo di  fare un’esperienza di contemplazione. 

Il percorso prevede due tappe, una per ogni icona:  Prima  tappa:  Una  strada,  tre  persone.  Il  dialogo  tra  loro  è  molto 

animato. Gesù cammina in mezzo ai due discepoli, li guarda in profondità, li ascolta e li ama teneramente. Accoglie il pesante carico della loro delusione e l’incapacità di leggere nella fede gli ultimi eventi della loro storia. Ma essi non lo riconoscono. 

Il  Signore  li  benedice  con  un  gesto  dolcissimo,  come  usano  fare  i sacerdoti  nel  rito  bizantino,  mentre  spiega  loro  il  senso  profondo  delle scritture.  Esse  sono  rappresentate  dal  rotolo  che  Gesù  tiene  nella  mano sinistra:  "E  cominciando  da Mosè  e  attraverso  tutti  i  profeti,  spiegò  loro quello che in tutte le scritture lo riguardava". 

Si  tratta,  ora,  d’imparare  a  discernere  la  ‘visita’  del  Signore  Risorto, perché  Egli  è  ormai  presente  per  farci  perennemente  passare  dalla desolazione  alla  consolazione.  Se  prima  i  due  discepoli  si  sentivano  soli  e 

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abbandonati, sconfitti nelle loro aspettative, ora Gesù è con loro, pronto a riempire ogni solitudine. 

 “Erano  in  cammino”.  La  difficoltà  che  qui  emerge  e  blocca  la  fede 

impacciata  dei  due  discepoli  è  la  fatica  ad  accettare  la  quella  Pasqua.  I discepoli  sono  incapaci  di  combinare  insieme  gli  eventi  fallimentari  del venerdì  di  Parasceve  con  quelli  registrati  all’alba  del  primo  giorno  della 

settimana.  Un’inadeguatezza  di fondo: far quadrare le proprie attese con  tutto  ciò  che  era  accaduto, soprattutto  lo  scandalo  della  croce. “Speravamo  fosse  Lui  a  liberare Israele”:  espressione,  questa,  che  ci lascia  intendere  il  tenore  preciso delle  loro  speranze  frustrate e  ci dà l’esatta misura  della  loro  delusione. Eppure  l’icona  e  la  Parola raccontano  che,  se  quella  strada prima era simbolo di un cammino in fuga  vergato  da  tristezza,  oscurità, scoramento  e  sfiducia,  ora  con  la presenza  del  divino  Viandante  si trasforma  in  un  cammino  di  fede. S’impara così, pian piano, a tenere il 

passo con Dio; con Lui tutto cambia aspetto e quel sentiero ciottoloso ora si fa  terra densa di promessa,  terra  rifiorita, perché narra già della prossima corsa  di  Cleopa  e  l’altro  discepolo  verso  Gerusalemme,  ad  incontrare  i fratelli, con la mente piena di luce e il cuore traboccante di gioia, di fiducia e di coraggio. 

   Alla partenza  i due discepoli si erano muniti di bastoni da viaggio a cui 

appoggiarsi  e  forse  difendersi:  legno duro,  arido,  secco.  Sono  simbolo  dei loro cuori. Gesù li interroga circa tutto il loro sconforto. “Solo tu non sai…?”. Li  interroga perché esca  interamente  la  loro  amarezza … essa non  va mai repressa né  rimossa, ma  consegnata a Colui  che è  tra noi non  tanto per  i giusti e i sani, ma per i peccatori, per i malati nella fede: “sciocchi e tardi di 

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cuore nel credere … ” . E’ molto importante nella vita spirituale  saper unire l’ascolto della Parola con  l’esperienza di  vita:  l’uno senza  l’altra non porta all’incontro profondo, vero, essenziale col Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio. 

Gli  scribi  e  i  farisei,  esperti  nelle  Sacre  Scritture,  non  comprendono Gesù, ma  neppure  i  discepoli,  pur  standogli  accanto  e  condividendone  la vita quotidiana, finché una luce interiore, un calore che tocca il cuore, non dischiude  loro  la  Verità.  A  volte  è  solo  un  lampo,  poi  torna  l'opacità.  Essi "non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto" (Lc.18,33). Era solo parola, ancora non c’era stata l'esperienza. 

I  discepoli  avevano  vissuto  alcuni  eventi,  anche  forti  come  la Trasfigurazione,  ma  ancora  non  si  erano  lasciati  scavare  dalla  Parola.  In questo sta  l’origine della  loro tristezza. Gesù è risorto, ma per  loro tutto è finito,  infatti  anche  se  Gesù  cammina  con  loro,  sono  incapaci  di riconoscerlo. Non basta loro sentir dire che Gesù era un profeta potente in opere e parole e che davvero aveva suscitato  la speranza della  liberazione di  Israele; non basta nemmeno  la  testimonianza di alcune donne. Per  loro Gesù  è morto  e  sepolto  e  la  persona  che  li  affianca  è  solo  un  forestiero. Eppure proprio questo forestiero li aiuta a collegare la loro esperienza con le Scritture e qualcosa cambia la loro vita. 

Qui  finisce  la  loro  fuga: “Resta con noi, Signore, perché si  fa  sera”  (Lc. 24,29).  E  l’incontro  si  trasforma  immediatamente  in  esperienza  di comunione. 

 Seconda tappa: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane...lo spezzò e 

lo diede loro.” Cristo si fa ospite perché è compagno di viaggio, infatti non si limita  ad  aspettarci  alla  locanda.  Anzi  sembra  che  preferisca  il  ruolo  del viandante  rispetto  a  quello  dell’ospite:  “fece  come  se  dovesse  andare  più lontano”. Così  i  discepoli da  invitanti  si  scoprono  invitati:  è  il  Signore Gesù che li ospita e li ammette alla comunione con lui. 

In questa icona, in primo piano, troviamo la tavola imbandita dove Gesù si  presenta  nell’atto  di  benedire  il  pane.  Il  calice  è  il  grande  segno  di riconoscimento  del  Signore  vivente  e  presente.  I  discepoli  appaiono  in atteggiamento  di  accoglienza  del  Risorto  presente  in  mezzo  a  loro.  La mensa è evidentemente un banchetto eucaristico nel quale  la frazione del 

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pane  equivale  alla  celebrazione  eucaristica:  “prese  il  pane,  disse  la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30). Sono i gesti della Cena del Signore  e  della moltiplicazione  dei  pani,  quando  apparve  loro  “potente  in opere e parole” (Lc 24,19).  

Il drappo rosso in alto, oltre ad indicare che la scena si svolge all’interno di una casa, esprime la continuità tra Gesù Parola vivente e Gesù Eucaristia.  

 L’immagine  trasmette  un  importante  significato  teologico:  mentre  la 

Sacra  Scrittura  rende testimonianza al Cristo risorto, l’Eucaristia  dà  alla  Chiesa  il Risorto  stesso,  vivente  e presente.  La  Sacra  Scrittura rende  ardente  il  cuore  pigro; l’Eucaristia  toglie  l’incapacità di intendere.  

 La  presenza  del  Risorto 

entra,  attraverso  la  Sacra Scrittura, interpretata alla luce della  Risurrezione  e dell’Eucaristia,  nella  coscienza del credente e fa ardere  il suo cuore  della  viva  fiamma  dello Spirito  Santo.  L’Eucaristia  non è  il  ricordo  della  morte  del Signore,  ma  memoriale  della sua Morte e Risurrezione.  

 L’insistente invito dei discepoli a “restare con loro” è la preghiera della 

comunità dei credenti di tutti i tempi che, celebrando l’eucaristia, attualizza la promessa del Risorto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La presenza del Vivente è apportatrice di salvezza per tutti. I discepoli di Emmaus sono prototipo di ogni discepolo raggiunto dalla salvezza e inviato ad invitare anche gli altri al banchetto preparato per tutti dal Risorto.  

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Dentro  la casa, Gesù è al centro, sta spezzando il pane. E' rivestito dalla tunica, il chiton rosso e il mantello, l'imation blu che indicano le due nature. Il blu, indicando il cielo, sottolinea il mistero della vita divina: Gesù è vero Dio. Il rosso richiama il fuoco, il sangue, l'umanità: Gesù è vero uomo. 

Il  discepolo  barbuto  più  anziano,  è  Cleopa;  indossa  un mantello  e  una tunica dalle  tonalità  intense e calde che  rimandano al desiderio profondo di comunione e alla forte tensione a diventare una cosa sola col Maestro.  

 Il  verde  del  pavimento  ci  suggerisce  inoltre  la  fertilità  della  parola  di 

Cristo  che  è  portatrice  di  vita,  di  gioia  vera;  i  rossi  aranciati  dell’arreda‐mento, poi,  ci parlano dell'amore che si  spende nel sacrificio  fino a dare  la vita e ci rimandano all’immagine del roveto ardente sull’Oreb. 

 Ormai Lui è in noi e noi in Lui, grida l’icona. Il nostro cuore raggelato e 

lento,  comincia  a  pulsare  e  ardere;  i  nostri  occhi  prima  appannati  dalla paura e dalla tristezza, si aprono a contemplare il Signore della Vita. Tutto – suggerisce l’icona – era necessario, ma per riconoscerlo bisognava rimanere in Lui, bisognava spezzare il pane con lui. Ascolto e comunione trasformano il cuore di pietra in cuore di carne. Qui, grida l’icona, si respira vita divina e si  partecipa  ad  essa  pienamente;  qui,  nell’Eucarestia,  non  solo  facciamo esperienza di un Dio che è per noi e con noi, ma anche di un Dio che è  in noi. E noi tabernacoli viventi, uomini e donne spirituali, avendo incontrato il Signore,  ci  lasciamo  illuminare  dallo  Spirito  e  permettiamo  all'amore  del Padre di vivere in noi. 

 Ma non indulge troppo il Signore: “dopo la frazione del pane, sparì dalla 

loro vista”. Per quanto gratificante sia la sua manifesta presenza tra noi, Egli non teme di sottrarsi e nascondersi ai nostri occhi. Forse per costringerci di nuovo  a  partire.  A  camminare,  con  un  ritmo  cadenzato  non  più  dalla delusione,  ma  sulla  calda  certezza  che  ha  risvegliato  il  nostro  cuore:  è risorto! 

 “Partirono senza  indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” Si potrebbe 

quindi  dire  che  noi  siamo  una  Chiesa  viandante  e  pellegrina  che  ha  il compito di annunciare a tutti  la vita e  la speranza. Dunque è irrinunciabile 

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l’impegno  di  affiancarsi  agli  uomini  e  donne  del  nostro  tempo  e  farci accettare come compagni di viaggio. 

 

g. Momento celebrativo  

 

ADORAZIONE EUCARISTICA  

CON I DISCEPOLI DI EMMAUS 

  

L’incontro può essere diviso in 4 parti ricalcando un po’ la “cronologia” del racconto: 

‐ Il racconto al Signore di quanto non va nella nostra vita (vv. 13‐24) 

‐ L’ascolto della Sua Parola illuminante e consolatoria (vv. 25‐28) ‐ La frazione del pane cioè l’adorazione (vv. 26‐32) ‐ L’impegno missionario ed urgente (33‐35) 

 Si  può  iniziare  l’incontro,  possibilmente  in  chiesa,  senza  che  siano 

accese molte luci e tanto meno le candele sull’altare. Possono essere posti due candelieri vicino all’ambone con la parola di Dio, i quali verranno accesi solo nel momento in cui si passerà al secondo momento, quello dell’ascolto della Parola. Ogni momento può essere accompagnato da un canto, quello iniziale,  un  salmo,  un  canto  di  adorazione  e  quello  conclusivo.  Ogni momento  è  preceduto  da  un  parte  dell’episodio  dei  discepoli  di  Emmaus diviso nel modo riportato sopra. 

(1) Nella  prima  parte,  con  il  testo  vv.  13‐24,  si  invitano  i partecipanti  a  mettere  “davanti”  al  Signore  le  difficoltà  della propria vita.  

(2) Nella  seconda  parte  si  può  leggere  il  testo  del  profeta  Isaia  o Geremia sul servo sofferente che salva il popolo e di cui si può avere fiducia.  

(3) Il  momento  dell’adorazione  dovrebbe  essere  fatto  in  assoluto silenzio,  letto  il  testo  vv.  26‐32,  si  fa  un  canto  e  si  espone  il Santissimo come al solito, almeno per quindici minuti, in totale silenzio.  La  riposizione  può  essere  fatta  semplice  e  senza benedizione poiché l’incontro non è ancora finito.  

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(4) L’ultima tappa è missionaria, dopo la lettura del testo verranno consegnati degli impegni personali ai partecipanti. 

Ecco di seguito la spiegazione di ogni tappa.  

Prima tappa. 

Per la prima tappa, dopo il canto e il segno di croce si può iniziare con alcune  domande  sulla  vita.  Quali  sono  i  nostri  fallimenti?  Ci  sono  delle amarezze nella nostra vita? Dei progetti che non siamo riusciti a realizzare? Quali sono  le  ferite più profonde della nostra esistenza? Abbiamo qualche difficoltà  con  il  Signore?  Ci  lamentiamo  che  forse  non  interviene  come vorremo?  

Le  domande  possono  essere  scritte  su  un  foglietto,  in modo  che  tutti possano  fare come un esame di  coscienza,  sull’altro  lato del  foglietto può essere stampato il salmo 17 (18) e il testo di Isaia 53, 1‐12 e di Lc 24,13‐35. 

 

Seconda tappa  

Il  testo  da  leggere  nella  seconda  tappa  è  solo  Isaia  53,1‐12,  ne potrebbero essere scelti altri, ma questo sembra molto attinente. Il testo va spiegato  alla  luce  della  vicenda  di  Gesù.  La  croce  non  è  un  errore  di percorso  nella  vita  di  Gesù,  le  sofferenze  e  le  difficoltà  che  si  incontrano nella quotidianità appartengono allo stesso Cristo che non si è sottratto ad esse. Le difficoltà sono per noi momenti di purificazione, come una sorta di ascesi, di esercizio per lo spirito, soprattutto se affrontate in comunione con il  Signore.  Durante  la  lettura  di  Isaia  vengono  accesi  i  candelieri  accanto all’ambone oppure il cero pasquale. 

 Terza tappa  

Letto il testo corrispondente di Luca, si accendono le candele sull’altare, e si espone il Santissimo Sacramento, si fa l’incensazione, quindi un canto di adorazione e si sosta in preghiera, vogliamo “riscaldare” il nostro cuore alla Sua presenza  (almeno 15 minuti). Durante  l’adorazione personalmente ed in silenzio si può leggere il salmo 17 (18)  “Ti amo Signore”. 

    

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Quarta tappa 

L’ultima tappa, letto il testo di Luca su un alcuni foglietti vengono scritti degli impegni. I foglietti alla rinfusa saranno pescati dai partecipanti. Eccone un elenco. 

In  questa  settimana  trova  un  momento  di  preghiera  più lungo del solito. 

Invita qualcuno alla celebrazione eucaristica oppure ad un momento di preghiera. 

Da  la  tua  disponibilità  al  parroco  per  qualche  servizio, anche umile. 

Sii  più  accogliente  verso  quelle  persone  che  più  di  altre, con il loro atteggiamento, ti danno fastidio. 

 

   

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2. Secondo modulo. Il fondamento della gioia  

Gv 10,27‐30. Il bel Pastore 

  27Le  mie  pecore  ascoltano  la  mia  voce  ed  io  le  conosco  ed  esse  mi 

seguono.  28Io  do  loro  la  vita  eterna  e  non  andranno  perdute  in  eterno  e nessuno  le  strapperà dalla mia mano.  29Il Padre mio,  che me  le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e  il Padre siamo una cosa sola. 

 

a. Approfondimento esegetico 

Come ricorda Benedetto XVI l’immagine del buon pastore con cui Gesù presenta  la  sua missione ha una  lunga  storia. Nell’Antico Oriente  il  re  è  il pastore investito da Dio, e il “pascere” indica il suo governare. A partire da questa immagine, tra i compiti del sovrano c’è quello di prendersi cura dei deboli.  Secondo  la  sua  origine,  essa  è  «un  Vangelo  di  Cristo  re  che  fa risplendere la regalità di Cristo» (Gesù di Nazaret, p. 316) .  

Lo  sfondo  del  discorso  di  Gesù  in  Gv  10  è,  ovviamente,  l’Antico Testamento, dove il pastore di Israele è Dio. La religiosità di Israele è stata segnata profondamente da questa immagine, ed essa è stata un messaggio di consolazione e di  fiducia soprattutto nei periodi difficili.  Il  Salmo 23 è  il testo che esprime meglio questi sentimenti: «Il Signore è il mio pastore» (v. 1);  «Se  dovessi  camminare  in  una  valle  oscura,  non  temerei  alcun  male, perché tu sei con me» (v. 4). Il testo che tratta in maniera più estesa questo tema si  trova nel profeta Ezechiele,  ai  capitoli  34‐37.  Il  profeta denuncia  i pastori  egoisti  del  suo  tempo  e  annuncia  la  promessa  che  Dio  stesso cercherà le sue pecore e si occuperà di loro. 

È Gesù stesso che interpreta  il suo comportamento come compimento della promessa di Ezechiele. Di  fronte alla mormorazione degli  scribi e dei farisei perché mangia con  i peccatori,  il  Signore  racconta  la parabola della pecorella  smarrita  per  mostrare  che  lui  è  il  vero  pastore  annunciato  da Ezechiele. 

Vediamo lo svolgimento di Gv 10. Il discorso del buon pastore comincia in  realtà  con  l’immagine  della  porta  (vv.  1‐10).  Gesù  è  “la  porta”  delle pecore.  Egli  è  la  via  attraverso  la  quale  si  giunge  alla  salvezza  e 

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all’abbondanza  della  vita  (v.  10).  Dà  anche  il  criterio  per  i  pastori  del  suo gregge dopo la sua ascesa al Padre. Il vero pastore giunge alle pecore solo attraverso Gesù, solo se è una cosa sola con lui.   

La seconda parte del discorso  (v. 11‐18) si apre con  la dichiarazione di Gesù: «Io  sono  il buon pastore».  Il  termine greco usato, kalós,  alla  lettera significa  “bello”  e  vuole  indicare  che  Gesù  è  il  pastore  ideale,  vero.  A differenza del mercenario, che di  fronte al pericolo scappa,  il vero pastore dà  la  propria  vita  per  le  pecore.  Il  testo  insiste molto  su  questa  idea  del pastore che «dà  la  sua vita».  Il  verbo greco usato significa anzitutto che  il pastore  si  espone  al  pericolo  per  la  salvezza  del  gregge.  Assume  poi  il significato di offerta della propria vita a favore del gregge, un’offerta libera che  non  si  conclude  con  la  morte,  ma  con  la  risurrezione;  offerta  della propria  vita  dalla  quale  il  gregge  riceve  vita.  L’unità  del  gregge  è  il  segno della  comunione di  vita  che  lo  lega al  suo pastore,  ed è  l’immagine di  ciò che Dio vuole fare con tutti gli uomini.  

Dopo queste parole sorge un dissenso tra i Giudei (vv. 19‐21) e, durante la  festa  della  Dedicazione  del  Tempio1,  essi  chiedono  a  Gesù  di  dire apertamente se lui è il Cristo (vv 22‐24). Il brano della quarta domenica di 

Pasqua  (vv.  27‐30)  è  la  risposta  di  Gesù  a  questa  domanda,  risposta  che provoca  la  reazione  rabbiosa  dei  Giudei.  Tenteranno  di  lapidarlo  ma  egli sfuggirà di nuovo (non è la prima volta che tentano di catturarlo) dalle loro mani2. 

I Giudei non vogliono accogliere  la rivelazione di Gesù, per questo non fanno parte del suo gregge (vv. 25‐26). Quelli che gli appartengono, invece, ascoltano la sua voce; si sentono conosciuti da lui e lo seguono. Nella Bibbia la  conoscenza  è  conoscenza  d’amore.  Gesù  vuole  dire  che  le  sue  pecore conoscono il suo amore, ne hanno fatto esperienza perché si sono fidate di 

                                                             1 Questa festa ebraica, che durava otto giorni, si celebrava nel mese di 

dicembre,  tre  mesi  dopo  la  feste  delle  Capanne.  Ricordava  la  nuova dedicazione  dell’altare  e  la  riconsacrazione  del  tempio  da  parte  dei Maccabei  nel  164  a.  C.,  in  seguito  alla  profanazione  fatta  da  Antioco  IV Epifane . Sant’Agostino, partendo dal fatto che è inverno, dice che non solo il clima è freddo ma anche il cuore degli ascoltatori.        

2 A conferma di quanto aveva detto in precedenza: lo prenderanno solo quando giungerà la sua ora e lui si farà prendere. 

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lui,    per  questo  lo  seguono.  Da  Gesù  ricevono  la  vita  eterna,  cioè  il  suo amore, il loro destino eterno è la vita; nessuno può “rapirle” dalla sua mano e consegnarle alla morte perché le parole e le azioni di Gesù sono le parole e le azioni stesse di Dio.     

 

b. Il filo rosso  

La  nostra  gioia  ruota  tutta  attorno  all’intimità  di  rapporto  che  noi pecorelle  abbiamo  con  Lui,  nostro  Pastore.  Essa  si  regge  sulla rassicurazione  rivoltaci  da  Gesù,  che  chiama  a  garanzia  persino  l’autorità del Padre, che è  il più grande di tutti, e visto che è stato Lui che glie  le ha date, allora nessuno può strapparle dalla mano di Gesù.  

È qui descritta una situazione di estrema sicurezza in merito al rapporto delle pecore con il loro pastore. Vediamo allora questo rapporto!  

Intanto  il  pastore  non  è  “buono”,  ma  “bello”.  In  Gv  10,11  così  si qualifica in realtà Gesù stesso (Io sono il bel pastore). Come interpretare la bellezza del pastore? Innanzitutto è “bello” nel senso estetico; lo è anche in ordine  al  fine  della  salvezza,  cioè  “conveniente,  utile,  senza  difetti”;  lo  è inoltre dal punto di vista morale, “modello, gradito a Dio, salvifico”;  infine anche  semplicemente  nel  senso  di  “caro,  amato,  desiderabile,  eccellente, 

vantaggioso”1.  La  differenza  di  accenti  rispetto  alla  traduzione  tradizionale  è 

assolutamente  rilevante! Noi  siamo pecore  che  seguono  il  pastore perché riconosciamo  in Lui qualcosa di assolutamente affascinante e desiderabile. Riconosciamo in Lui una bellezza che fa riecheggiare in noi arcaici richiami. Abbiamo  la  sensazione  che  lo  conosciamo da  sempre.  Riconosciamo nella sua  voce  qualcosa  che  era  in  noi  da  prima  che  nascessimo  e  che  non sappiamo  neanche  più  come  e  perché  abbiamo  perduto.  Riconosciamo 

nella  sua  voce  una  bellezza  tanto  antica  e  sempre  nuova2,  nella  quale troviamo  Lui  e  ritroviamo  noi  stessi. Quell’amore  è  l’esperienza  originaria della nostra creazione, è casa nostra più di ogni altro  luogo. Ci ha creati e ora ci può ricreare, nuovi e autentici allo stesso tempo! 

 

                                                             1  Cfr  SANTI  GRASSO,  Il  Vangelo  di  Giovanni.  Commento  esegetico  e 

teologico, Roma 2008, 443. 2 Cfr. S. Agostino, Le confessioni, X, 27. 

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c. Giovani 

Il  messaggio  del  Buon  Pastore  ci  parla  di  un  incontro  che  diventa esperienza di amore. 

Quell’amore  che  noi  giovani  sentiamo  dal  profondo  del  cuore  come senso  vero  della  nostra  esistenza,  del  nostro  quotidiano  e  che  cerchiamo con  tutto  noi  stessi.  Spesso  questa  ricerca  si  carica  di  difficoltà,  di  strade sbagliate, di sollecitazioni ingannevoli, ma ecco che arriva Colui che ci ama veramente  come  la  pecorella  smarrita,  ricercata,  ritrovata,  accolta, perdonata e festeggiata. Ecco che ci rassicura perché ci sentiamo conosciuti e amati per cui sappiamo che possiamo fidarci di lui, ascoltare la sua voce e seguirlo anche quando non capiamo.  

Il suo amore ci esalta, ci fa entrare in una comunione sovrumana che è quella della vita eterna, che diventa in noi fonte di gioia. E ci lascia sempre persone libere, capaci di deciderci per l’amore, liberi dal capriccio nel dono totale di sé fino al sacrificio.  

Il  suo  amore  totale  e  incondizionato  ci  rassicura,  ci  dà  la  certezza  che nessuno ci potrà rapire e distogliere da quell’incontro d’amore perché Dio si è  compromesso  con  noi.  E’  un’immagine  sponsale  che  ci  parla  della comunione  con  Dio  che  poi  diventa  comunione  e  donazione  nelle  varie scelte di vita, per cui possiamo decidere la nostra vita offrendoci totalmente all’altro o agli altri e per sempre nella forza dell’amore. 

Concretamente noi questo amore di Gesù e del Padre dove lo vediamo nella  nostra  vita  e  lo  sperimentiamo?  Per  quel  poco  che  abbiamo sperimentato, quale capacità abbiamo nel Signore di credere all’amore e di decidere di giocarci la vita per l’amore? 

 

d. Carità e testimonianza 

Il Santo Padre nell’Omelia di  inizio Pontificato in   occasione della Festa di  San Giuseppe  si  è  espresso  così:  “Custodire  vuol  dire  allora  vigilare  sui nostri  sentimenti,  sul  nostro  cuore,  perché  è  proprio  da  lì  che  escono  le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! 

E  qui  aggiungo,  allora,  un’ulteriore  annotazione:  il  prendersi  cura,  il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san  Giuseppe  appare  come  un  uomo  forte,  coraggioso,  lavoratore,  ma  nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, 

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al  contrario,  denota  fortezza  d’animo  e  capacità  di  attenzione,  di compassione,  di  vera  apertura  all’altro,  capacità  di  amore.  Non  dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”  

Dio ci ha mostrato e ci mostra quotidianamente il suo amore di Padre, che  con  premura  e  attenzione  custodisce  i  suoi  figli.  Nessuno  potrà strapparci dalla sua mano amorevole. 

Ognuno di noi è nel cuore di Dio. 

• La  cura  dei  malati,  il  soccorso  ai  sofferenti,  la  vicinanza  ai lontani, l’accoglienza di chi ha sbagliato, l’annuncio del Vangelo, sono alcuni dei modi con cui Gesù ha “donato vita” e “custodito in pienezza” coloro che il Padre gli aveva affidato. Siamo capaci di custodire ogni persona con l’amorevole tenerezza del Padre? 

• Nell’accostarci  a  chi  vive  nella  difficoltà  siamo  capaci  di trasmettere  la  tenerezza  e  l’attenzione  con  cui  il  Padre  si prende  cura  di  ciascuna  persona?  Quali  sono  i  nostri atteggiamenti verso di loro? 

  

e. Spunti per attività  

 

Obiettivo.  

La seguente proposta di lavoro può essere utilizzata sia per il primo che per il secondo modulo. In entrambi i casi l’attivazione, infatti, vuole mettere a  fuoco  la  gioia  dell’uomo  che  nel  cammino  della  vita,  spesso  smarrito  e confuso,  riconosce  la  voce  del  Signore  che  gli  si  fa  accanto,  scalda  il  suo cuore, di cui Lui conosce le angosce e le speranze. 

 

Descrizione dell’attività 

1. Si  invita  il  gruppo  a  camminare  in  uno  spazio  prestabilito. Ognuno  dei  presenti  guarda  negli  occhi  gli  altri    e  sceglie  un compagno/a con cui costituire una coppia per il lavoro 

2. A ciascuna  coppia  si  dà    20 minuti  di  tempo per  raccontarsi  di quanto ciascuno porta nel proprio cuore, soprattutto le proprie ansie e speranze del momento. 

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3. Si  ricostituisce  il  grande  gruppo,  tutte  le  coppie  vengono mescolate e bendate 

4. Ciascuno dovrà cercare   il proprio compagno/a riconoscendo la sua  voce  nella  confusione.  Non  sarà  possibile  chiamarsi  per nome, ma  solo usare parole ed espressioni di quanto l’altro ha espresso di sé nel colloquio avuto precedentemente. 

  Alla  fine  dell’attivazione  ci  si  sistema  in  circolo  e  si  condivide 

liberamente quanto si è vissuto per poi reinterpretare l’esperienza alla luce della fede. 

 

Domande stimolo  

Le domande stimolo per la conversazione potrebbero essere del tipo: 

 

• Come  ti  sei  sentito  quando  vagavi  nel  buio  e  ti  sentivi disorientato nella confusione delle voci? 

• Com’è  stato  per  te  quando  hai  riconosciuto  la  voce  del  tuo compagno/a?  

• (oppure) Com’ è stato per te non riconoscere il tuo compagno/a e rimanere solo? 

• Ti sei sentito accolto e “conosciuto” dal tuo compagno/a? 

• E’  sempre  facile  per  te  riconoscere  la  voce  del  Signore  nelle vicende della vita? 

• Quali”  voci”  dentro  e  fuori  di  te  oscurano  la  presenza  del Signore? 

    

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f. Momento celebrativo  

 

PER UNA REGOLA DI VITA (I) 3 

Proponiamo in 4 tappe un vero e proprio schema per una regola di vita. Ci  avvaliamo  delle  riflessioni  del  cardinal  Martini.  Non  si  tratta  di  una celebrazione ma di un momento di riflessione personale. 

Dividiamo questa regola di vita in 4 tappe: 1. l’inquietudine del cuore 2. i doni tramandati dalla chiesa 3. l’accoglienza dei doni ricevuti 4. la restituzione dei beni accolti 

 

L’INQUIETUDINE DEL CUORE 

 

Le domande rivolte verso Dio 

La  “regola  di  vita”  vorrebbe  anzitutto  essere  un  tentativo  di  dare risposte a domande vere. Quali sono? Se guardiamo dentro il nostro cuore, troviamo  tante  gioie  e  dolori  e  tante  domande.  Come  stanno  insieme  i dolori e  le gioie della vita? Qualunque godimento, anche  il più  legittimo e semplice,  sembra  scolorire  davanti  alla  sofferenza.  Come  si  conciliano  le gioie autentiche con le prospettive di morte? Perché la morte nel mondo? Perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire? E perché il Signore sembra tacere? È proprio vero che Gli stiamo a cuore?  

 

Lo sguardo di Dio su di noi 

Proviamo  adesso  a  rovesciare  il  soggetto  delle  domande.  Proviamo  a capovolgere la domanda, a passare dall’interrogare all’essere interrogati? e se consentissimo a Dio di porci Lui le Sue domande? 

Cosa noterebbe in noi Il Signore? il nostro cuore è mosso tante volte da motivazioni  egoistiche,  vogliamo  stare  al  centro  e misurare  tutte  le  cose, perfino l’agire di Dio! Pensiamo alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle 

                                                             3 Cfr. C.M. Martini, Parlo al tuo cuore, Lettera pastorale 1996 

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nostre  chiusure;  pensiamo  alla  facilità  con  cui  ci  lasciamo  prendere  da logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo. Le domande che Dio ci fa ci invitano a riconoscere le ragioni del  nostro  disagio  di  vivere  e  della  nostra  mancanza  di  felicità  e  di  pace anzitutto  in noi  stessi,  nella  fatica e nella paura di  amare  che  ci  portiamo dentro, nel  sospetto di  non essere amati,  nella diffidenza di  fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito. 

 

La morte redentrice 

In questo modo prendiamo coscienza del nostro egoismo e della nostra fragilità, e di come non bastano le buone intenzioni per cambiare il mondo e  la  vita.  C’è  veramente  una  differenza  stridente  fra  l’altezza  dei  buoni propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi e gli alti e i bassi si susseguono con un’impressionante frequenza. 

È  evidente  dunque  che  il  nostro  cammino  è  contorto  ma  proprio tramite questo  cammino Dio  ci  ama e  ci  fa  suoi  figli.  Il  Signore  ci  lascia  in questa lotta, che ci è ripugnante ma forse solo attraverso di essa impariamo ad  amare  e  ad  accettare  di  credere  che  un  Dio  sia  morto  in  croce accettando la necessità di questa morte. Sì annuncia così la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per sollevare e salvare ciascuno di noi. 

 

Dio sta dalla nostra parte 

Dio  sta dalla nostra parte e partecipa  al  dolore per  tutto questo male che devasta la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e lontano, ma “soffre” per noi e con noi, per le nostre solitudini  incapaci  di  amare,  perché  Lui  ci  ama.  Gesù  Cristo  è  capace  di tenerezza e di pietà fino al punto da “soffrire” per i peccati del mondo. Un Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi figli. Un Dio umile,  che manifesta  la Sua onnipotenza e  la Sua  libertà proprio nella Sua apparente debolezza di fronte al male. Un Dio che per amore accetta di subire  il  peso  del  nostro  peccato  e  del  dolore  che  esso  introduce  nel mondo. Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a trarre  il  bene dal male,  la  vita dalla morte. Anche  se questo  ci  sembra un controsenso  e  diremmo  come  Pietro:  «Dio  te  ne  scampi,  Signore:  questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). Quando la “legge della Croce” ci tocca, ci 

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sconvolge e ne siamo profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione  dal  male,  fino  ad  accettarne  le  conseguenze  su  di  sé  per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla croce. 

 

Cosa devo fare? 

Dobbiamo accettare perciò  la  vita  senza  sfuggirvi,  e  allo  stesso  tempo arrendersi contemporaneamente nelle mani del Dio umile e sofferente, del “Dio  crocifisso”.  Solo  abbandonandomi  perdutamente  a  Lui,  solo capitolando  nelle  Sue  mani  potrò  riprendere  nelle  mie  il  bandolo  della matassa  intricata  della  vita.  C’è  una  prova  sicura  che  il  Vangelo  ha  la capacità di illuminare la mia vita? Possiamo  rispondere solo partendo dalla nostra  esperienza  personale.  Quando  ci  facciamo  toccare  dall’amore  la nostra  vita  si    trasforma  e  ci  apriamo  alla  riconoscenza  per  un  dono immenso. 

Dove  trovare  allora  questo  Dio  e  dove  farne  esperienza:  nella  Chiesa, nel  Vangelo  in  essa  proclamato,  nei  Sacramenti,  che  sono  la  presenza sensibile  di  Lui,  nel  suo  popolo.  Nella  Chiesa  mi  riconosco  amato  e  reso capace di amare, nonostante me stesso, le mie contraddizioni e paure.  

    

 

   

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3. Terzo modulo. Il duplice orientamento della gioia 

At 1,1‐11. L’Ascensione 

 1Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece 

e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizione agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. 3Egli si  mostrò  ad  essi  vivo,  dopo  la  sua  passione,  con  molte  prove,  durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme,  ma  di  attendere  l’adempimento  della  promessa  del  Padre, “quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”. 

6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: “Signore, è questo il tempo  nel  quale  ricostruirai  il  regno  per  Israele?”.  7Ma  egli  rispose:  “Non spetta  a  voi  conoscere  tempi  o  momenti  che  il  Padre  ha  riservato  al  suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai  confini  della  terra”.  9Detto  questo,  mentre  lo  guardavano,  fu  elevato  in alto  e  una  nube  lo  sottrasse  ai  loro  occhi.  10Essi  stavano  fissando  il  cielo mentre  egli  se  ne  andava,  quand’ecco  due  uomini  in  bianche  vesti  si presentarono a loro 11e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.  

a. Approfondimento esegetico 

Questo  brano  può  essere  considerato  una  introduzione  al  libro  degli Atti. Essa ha carattere riassuntivo e manifesta l’intenzione di Luca di legare saldamente  gli  Atti  degli  Apostoli  al  Vangelo,  in  particolare  a  Luca  24:  il tempo nuovo inaugurato con la venuta di Gesù continua, ma ormai si svolge nella luce e nella forza del Risorto. 

Possiamo  dividere  il  brano  in  quattro  parti:  il  prologo  (vv.  1‐2);  un sommario (v. 3); le ultime parole di Gesù (vv. 4‐8); l’Ascensione (vv. 9‐11). 

Vediamo  il  prologo.  Il  libro  degli  Atti,  come  il  Vangelo  (Lc  1,1‐4),  è dedicato a Teofilo,  l’ “amico di Dio”. Il primo libro, ricorda Luca, contiene i fatti e l’insegnamento di Gesù fino alla sua Ascensione in cielo, includendo 

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quindi anche le apparizioni del Risorto; tutto questo fa parte dell’annuncio cristiano  fondamentale.  Il  collegio  degli  Apostoli  e  lo  Spirito  Santo,  qui menzionati  dall’autore,  sono  i  due  personaggi,  per  così  dire,  su  cui  è imperniata  la  prima  sezione  (1,12‐2,48).  Forse  lo  Spirito  Santo  (nel  testo greco)  è  posto  volutamente  tra  «dare  disposizioni»  e  «scegliere».  Egli  è all’origine delle due attività di Gesù. 

Il  sommario  è  una  sintesi  sulle apparizioni  del  Risorto.  Esse  sono  veri incontri  con  il Vivente, non visioni di un  fantasma. Luca afferma che Gesù «si mostrò a essi vivo, dopo  la  sua passione, con molte prove».  Il  termine usato  in  greco  indica  una  prova  inconfutabile.  Luca  insiste  quindi  sulla concretezza storica delle apparizioni. Attraverso di esse il Risorto forma gli Apostoli. I quaranta giorni hanno un valore simbolico, non cronologico, per cui  non  c’è  contraddizione  con  Lc  24,41‐43,  dove  si  dice  che  l’Ascensione avviene  la  sera  stessa  del  giorno  della  risurrezione.  Nell’ottica  di  Luca  i quaranta  giorni  sono  il  periodo  di  formazione  completa,  che  abilita  gli Apostoli a essere i trasmettitori dell’insegnamento di Gesù. 

L’ultimo dialogo tra Gesù e gli Apostoli, come in Lc 24,41‐43, avviene «a tavola».  Però,  mentre  nel  Vangelo  il  mangiare  del  Risorto  ha  lo  scopo  di mostrare  il  realismo  corporeo  della  sua  risurrezione,  qui  la  scena  ha  la caratteristica di un simposio (cioè di un banchetto durante il quale si parla di  argomenti  dotti)  e  nel  dialogo  vengono  ripresi  temi  trattati  in precedenza:  Gerusalemme,  centro  della  storia  della  salvezza  e  punto  di partenza della missione degli Apostoli;  la promessa dello  Spirito Santo;  gli Apostoli  testimoni  del  Risorto.  Allo  stesso  tempo  l’evangelista  guarda all’evento della Pentecoste e prepara  il  lettore a esso. Al v. 5  la promessa del Battista (Lc 3,16) diventa  la promessa di Gesù:  il battesimo annunciato da  Giovanni  si  realizzerà,  come  promessa  di  Cristo,  alla  Pentecoste.  E  il dono Spirito Santo non rimanda più all’imminente giudizio divino (manca il termine  “fuoco”  presente  in  Lc  3,16),  ma  inaugura  il  tempo  della  Chiesa nella storia. 

Al  v. 6  troviamo  la domanda dei discepoli:  la  fine dei  tempi  che, nella tradizione  apocalittica  coincide  con  l’effusione  dello  Spirito  di  Dio  e  con l’inaugurazione  del  regno messianico  in  Israele,  è  imminente?  La  risposta del Risorto (vv. 7‐8) da una parte ribadisce che solo il Padre conosce la data della  fine  del mondo,  dall’altra  presenta  ai  discepoli  il  loro  programma di vita: la missione da Gerusalemme fino ai confini della terra sotto la guida e 

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con  la  forza  dello  Spirito  Santo.  Gli  Atti  degli  Apostoli  si  concludono  con l’arrivo di  Paolo  a Roma e  così  il  programma  rimane aperto:  tra Roma e  i confini  della  terra  c’è  un  vuoto,  questo  vuoto  sarà  occupato  dalla  storia della Chiesa lungo i secoli. 

L’evangelista Luca racconta l’Ascensione due volte: qui e in Lc 24,50‐52. Le  differenze  tra  le  due  versioni  mostrano  che  egli  vuole  far  capire  il significato per la fede di un aspetto reale ed essenziale della risurrezione di Gesù: il suo stare nel seno del Padre o “alla destra di Dio”, cioè nella piena partecipazione alla condizione e ai poteri divini

1.  Il  testo  dice  che  una  nube  sottrae  Gesù  agli  occhi  dei  discepoli. 

Nell’Antico  Testamento  troviamo  la  nube  nelle manifestazioni  di  Dio:  è  il segno  della  vicinanza  di  Dio,  presenza  nascosta  ma  reale.  Gesù  risorto  è nella condizione divina, ma la sua presenza nella Chiesa2, benché invisibile, rimane reale.  

Il racconto si conclude con l’intervento di «due uomini in bianche vesti», esseri  celesti  dunque.  Essi  hanno  il  compito  di  interpretare  quanto  è accaduto:  la  partenza  di  Gesù  apre  alla  Chiesa  un  tempo  che  si  estende dalla Pasqua di risurrezione fino alla venuta gloriosa, che conclude la storia della salvezza. 

 

b. Il filo rosso 

L’ascensione spiega il senso profondo della risurrezione che ha portato Cristo  nella  gloria  della  divinità.  E  ci  indica  anche  qual  è  la  nostra destinazione  (vado  a  prepararvi  un  posto).  Questo  ci  procura  una  gioia grande!  Sappiamo  che  la  nostra  vita  ha  un  significato  preciso,  che  non siamo qui  a  caso e  che non è destinato  tutto  a  finire  inesorabilmente nel nulla e nel non‐senso. 

                                                             1  Il  Catechismo  della  Chiesa  Cattolica  al  numero  668  afferma: 

«L’Ascensione  di  Cristo  al  cielo  significa  la  sua  partecipazione,  nella  sua umanità,  alla potenza e all’autorità di Dio  stesso. Gesù Cristo è  il  Signore: Egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra».  

2   CCC 669: «Come Signore, Cristo è anche  il Capo della Chiesa che è  il suo corpo. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua missione, Egli permane sulla terra, nella sua Chiesa». 

 

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Eppure non possiamo chiuderci in una gioia che sia solo a nostro uso e consumo.  Se  rimanessimo  nostalgicamente  a  guardare  il  cielo,  la  nostra gioia  presto  finirebbe  per  collassare  su  se  stessa  e  diventare  noia  e depressione. Siamo chiamati a evitare questo avvitamento egocentrico su 

noi stessi. Siamo chiamati piuttosto a dare testimonianza del nostro incontro con il 

risorto  in  una  apertura  universalistica  (di  me  sarete  testimoni  a Gerusalemme,  in tutta  la Giudea e  la Samaria e fino ai confini della terra). Del  resto  la  gioia  è  così,  se  la  chiudi  in  se  stessa  muore,  se  la  apri  alla condivisione cresce e si approfondisce. La nostra gioia di cristiani cresce e si arricchisce  nella  testimonianza,  ovvero  nella  condivisione  dell’esperienza del  risorto  con  i  fratelli  che  incontriamo  nel  nostro  cammino  di  vita.  In questo modo annunciamo la Pasqua a chi non l’ha ancora vissuta, portiamo la vita di Cristo laddove c’è ancora la morte del peccato. 

  

• Come  conciliare  la  gioia  per  il  Signore  con  la  felicità  che  può venire dalle cose belle della vita? 

• Riesco a mantenere un equilibrio tra lo sguardo verso le cose di Dio (perché state a guardare il cielo), e le cose della nostra vita (di me sarete testimoni a…)?  

• Tendo  a  sbilanciarmi  di  più  nell’essere  troppo  “verticale” cadendo  in  una  spiritualità  troppo  intimistica  e  lontana  dalla concretezza della vita? O, al contrario, tendo a vivere troppo in modo “orizzontale”, negli impegni e nelle situazioni contingenti trascurando il mio rapporto con Dio? Cosa faccio/posso fare per riequilibrare la mia tendenza a sbilanciarmi?  

c. Giovani 

Gesù glorificato alla destra del Padre ci dà la certezza che il destino della nostra  umanità  e  di  ogni  uomo  è  la  comunione  piena  con  Dio,  ma  ci  dà anche  la  certezza  che  Gesù  è  sempre  con  noi,  è  fonte  della  nostra comunione, del nostro impegno per  la costruzione del Regno e fonte della nostra gioia. 

E  questo  in  virtù  della  testimonianza  qualificata  degli  apostoli  e  dello Spirito  Santo.  Inizia  il  tempo della Chiesa,  cioè  il  nostro  tempo,  in  cui  con Cristo viviamo la salvezza dell’umanità e andiamo verso la pienezza di vita e 

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di  amore  e  il  pieno  incontro  con  Dio.  Teniamo  presente  le  parole  degli angeli    che  ci  esortano  a  non  vivere  una  religiosità  disincarnata, ma  nella concreta  storia  di  ogni  giorno  ad  attendere  e  a  preparare  il  ritorno  del Signore.  

L’ideale  e  l’impegno  devono  trovare  noi  giovani  sempre  generosi  nel donare  noi  stessi,  portatori  della  speranza  che  deve  illuminare  la  storia intera  dell’umanità.  “Non  fatevi  rubare  la  speranza”  ci  ha  detto  il  papa Francesco e noi vogliamo essere i portatori di questa sua forza. Ed essendo la forza di Cristo siamo chiamati a vivere e a testimoniare che essa vince le crisi, le paure, i peccati. 

Nella  tua visione di Chiesa  che  significa  la presenza  in essa dell’azione qualificante  dello  Spirito  santo  e  degli  apostoli?  Ti  senti  uomo  della speranza? Che  significa per  te questo  in un mondo segnato dalla  crisi, dal ripiegamento su di sé, da idolatrie varie? 

 

d. Carità e testimonianza 

Siamo  chiamati  a  vivere  e  celebrare  due  partenze:  quella  di  Gesù  che sale  verso  l’alto  e  quella  rivolta  a  ciascuno di  noi,  suoi  discepoli,  verso  gli angoli della terra ad annunciare ciò che abbiamo visto e sentito da Gesù. 

È solo la dimensione verticale quella che appartiene alla fede, quella in cui  troviamo gioia e  consolazione? O non anche  l’altro braccio della  croce che arriva ai confini della terra? 

La stessa domanda è rivolta anche a ciascuno di noi, oggi. “Perché state a  guardare  il  cielo?  Dove  stiamo  cercando  Dio?  Qual  è  il  luogo  della esperienza  di  Dio?  Dove  stiamo  guardando? Non  saranno  qua,  tra  noi,  le strade, le risposte, le esperienze di Dio? 

La partenza degli  apostoli  inizia  con  il  ritorno al  luogo  in  cui Gesù  si  è dato,  nella  stanza  della  cena,  nella  stanza  della  comunione,  delle confidenze. Ma il tornare a spezzare il Pane, il tornare a ritrovarsi uniti dallo Spirito,  nella  preghiera,  ci  spinge  ad  uscire  per  le  strade  del  mondo,  ci spinge a nel dono di noi stessi per gli altri. 

• Nel  servizio  al  Vangelo  della  Carità  ritorniamo  all’incontro profondo e gioioso con Gesù? 

• Gli  uomini  e  le  donne  che  incontriamo,  che  accostiamo mostrandogli  la provvidente  cura del Padre per  loro,  scorgono in noi uno sguardo rivolto verso il cielo? 

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• In  che modo  lo  Spirito  Santo  ci  sta  chiamando a  giocarci  nella nostra vita, oggi?  

 

e. Spunti per attività  

 

Obiettivo 

 L’attività  suggerita  per  il  terzo modulo  vuole  suggerire  una  riflessione 

sulla  propria  identità  alla  luce  della  fede:  come  diceva  san  Francesco d’Assisi  “Chi  sono  io  Signore?  Chi  sei  tu?”….  L’itinerario  proposto  vuole portare a scoprire quanto nella misura in cui ci facciamo intimi a Dio tanto più conosciamo noi stessi e ci conformiamo a Colui di cui siamo l’immagine e che è il fine ultimo di tutta la nostra vita 

 

Descrizione dell’ attività 

 

1. Si dispone  il gruppo  in circolo al  cui centro sono stati posti dei cartoncini  (tanti quanti  sono  i presenti)  su cui è  stato  incollato precedentemente un piccolo specchio, anche di quelli opachi e cartonati che vengono utilizzati dai bambini 

2. L’educatore introduce il tema dell’incontro ed invita ciascuno a prendere    un  cartoncino  e  ad  osservarlo  attentamente.  Si scoprirà insieme che sul retro c’è  un puzzle che raffigura un viso 

3. Si chiede a ognuno di allontanarsi per 15 minuti e  in silenzio di guardare  la  propria  immagine  nello  specchio  e  di  chiedersi “Quali volti di persone a me vicine vedo riflessi nei miei occhi e nel mio viso?”  

4. Una  volta  individuati  si  invita  ciascuno  a  scrivere  i  nomi  scrivo dentro ad ogni pezzetto di puzzle 

5. Terminati i 15 minuti si invita il gruppo a dividersi in coppie e a condividere  il  proprio  lavoro,  soprattutto  quanto  emerge  a livello  di  emozioni  e  pensieri  (  risorse,  condizionamenti, aspettative, desideri ecc…) guardando il puzzle  

6. Si  ricostituisce  il  grande  gruppo  e  si    vede  insieme  il    DVD  di Benigni al XXX canto del Paradiso, là dove si racconta la visione 

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che  Dante  ha  di  Dio  quando,  nel  secondo  cerchio,    scorge riflessa la sua immagine in quella del Figlio 

7. Terminata  la visione    l’educatore  invita  il gruppo a condividere ciò  che  è  emerso  in  ciascuno.  La  conversazione    cercherà  di mettere  a  fuoco  cosa  intendesse  dire  Dante  quando,  dopo essersi  smarrito  alle  porte  dell’inferno  e    aver  percorso  lunga strada  fino  al  paradiso  alla  ricerca  del  senso  della  sua vita,finalmente  realizza  il  suo  desiderio  di  vedere  Dio  e vedendolo ritrova se stesso.  

 

Domande stimolo 

 Si  solleciterà  ciascuno a  chiedersi  quanto  la  fede  sia  liberante  rispetto 

alle propria e altrui  identità e faccia emergere la bellezza di ciò che siamo, sulla scia di domande‐ stimolo 

• Che  esperienza  ho  di  me    e  della  mia  vita  alla  luce  del  mio rapporto con Dio? 

• Che valore do alla persona che sono oggi e alle mie relazioni se colloco nella dimensione della fede? 

• Riesco a cogliere  mia vita in un’ottica di eternità dove ogni cosa acquisterà il suo senso  definitivo? 

   

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4. Quarto modulo. La pienezza di gioia in comunità   

At 2,1‐11. La Pentecoste 

 1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti 

insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un  vento  che  si  abbatte  impetuoso,  e  riempì  tutta  la  casa  dove  stavano. 3Apparvero  loro  lingue  come  di  fuoco,  che  si  dividevano,  e  si  posarono  su ciascuno  di  loro,  4e  tutti  furono  colmati  di  Spirito  Santo  e  cominciarono  a parlare  in  altre  lingue,  nel  modo  in  cui  lo  Spirito  dava  loro  il  potere  di esprimersi. 5Abitavano  allora  a  Gerusalemme  Giudei  osservanti,  di  ogni  nazione  che  è sotto  il  cielo.  6A  quel  rumore,  la  folla  si  radunò  e  rimase  turbata,  perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti  costoro che parlano non sono  forse Galilei? 8E  come  mai  ciascuno  di  noi  sente  parlare  nella  propria  lingua  nativa? 9Siamo  Parti,  Medi,  Elamiti,  abitanti  della  Mesopotamia,  della  Giudea  e della  Cappadòcia,  del  Ponto  e  dell'Asia,  10della  Frìgia  e  della  Panfìlia, dell'Egitto  e  delle  parti  della  Libia  vicino  a  Cirene,  Romani  qui  residenti, 11Giudei  e  prosèliti,  Cretesi  e  Arabi,  e  li  udiamo  parlare  nelle  nostre  lingue delle  grandi  opere  di  Dio».  12Tutti  erano  stupefatti  e  perplessi,  e  si chiedevano  l'un  l'altro:  «Che  cosa  significa  questo?».  13Altri  invece  li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce». 

 

a. Approfondimento esegetico 

La  conclusione  del  Vangelo  e  l’inizio  di  Atti  preparano  il  lettore  al racconto della Pentecoste: in Lc 24,49 e At 1,4.5.8 lo Spirito Santo è il dono promesso  dal  Padre  che  gli  Apostoli  devono  attendere  a  Gerusalemme. Come per Gesù all’inizio del Vangelo (Lc 4,18), così anche per  la Chiesa,  la discesa dello  Spirito  Santo  conclude  il  periodo di  preparazione e  inaugura quello della missione. 

Si può dividere il racconto in due scene: l’azione dello Spirito Santo (vv. 1‐4)  e  la  reazione  della  folla  (vv.  5‐11).  La  parola  “Pentecoste”  in  greco significa  “cinquantesimo”  (sottinteso  giorno):  è  la  festa  che  si  celebrava 

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cinquanta giorni dopo la Pasqua1.  In ebraico è detta festa delle Settimane: cinquanta  giorni  sono  sette  settimane.  In  origine  festa  agraria  come  la Pasqua, al tempo di Gesù e degli Apostoli celebrava il dono dell’alleanza. È questo  lo  sfondo  del  racconto:  la  venuta  dello  Spirito  del  Risorto  sigilla  il compimento  della  nuova  alleanza  di  Dio  con  il  suo  popolo.  In  questa prospettiva  si  può  interpretare  l’inizio  del  racconto:  «Mentre  stava compiendosi il giorno della Pentecoste». 

Il testo dice che «si trovavano tutti nello stesso luogo» (v. 1). Qui Luca non precisa chi siano questi “tutti”;  in At 1,13‐14 egli aveva affermato che gli  Undici  erano  soliti  riunirsi  «nella  stanza  del  piano  superiore», aggiungendo  che  «erano  perseveranti  e  concordi  nella  preghiera,  insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui». Possiamo dedurre che le persone riunite in questo luogo siano queste, più Mattia, che nel frattempo è stato eletto per ristabilire il numero dodici, voluto da Gesù nella scelta degli Apostoli (1,15‐26). È il nucleo iniziale della Chiesa, con, alla sua testa, il gruppo dei Dodici. Non è un caso che in 1,13 troviamo l’elenco degli Apostoli,  come all’inizio della vita pubblica di Gesù. Essi  incarnano  la continuità tra Gesù e la Chiesa. 

Luca vuole dire che sono tutti presenti e nell’atteggiamento più idoneo per accogliere il dono dello Spirito: la preghiera fatta nell’unità dei cuori. 

La venuta dello Spirito Santo è una teofania:  il vento  impetuoso, come conviene  alla  “potenza”  promessa  dal  Padre,  e  il  fuoco.  «Apparvero  loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro», dice precisamente il testo. Il dono dello Spirito viene dato personalmente a ciascuno e  ciascuno  riceve una propria  capacità di parola. Al  versetto 4  si dice  infatti  che «cominciarono a parlare  in altre  lingue, nel modo  in cui  lo Spirito dava loro il potere di esprimersi».  

Facciamo  notare  che  il  verbo  usato,  “furono  riempiti”,  è  all’aoristo, tempo greco che  indica un’azione puntuale: è un evento  fondante, quindi iniziale e unico, ma il dono rimane per sempre nella vita della Chiesa. 

Il dono dello Spirito, al quale allude Luca, non è la glossolalia (il parlare estatico), ma il «parlare in altre lingue», e cioè un parlare intelligibile a tutti; è un parlare missionario. 

                                                             1 La festa di Pasqua e la festa di Pentecoste erano le due grandi feste di 

pellegrinaggio degli Ebrei. 

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La seconda parte comincia con la menzione dei Giudei osservanti (cioè fedeli  alla  Torah),  provenienti  da  «ogni  nazione  che  è  sotto  il  cielo»,  che abitavano  a  Gerusalemme  (v.  5).  Non  si  tratta  di  pellegrini  venuti  per  la festa, ma di residenti in città, tornati in Giudea per esservi sepolti. Saranno loro  i  destinatari  della  primissima  predicazione  apostolica,  per  formare  la primissima  comunità  cristiana.  Abbiamo  uno  dei  grandi  temi  lucani: l’universalismo  del  messaggio  evangelico  pur  nel  rispetto  della  priorità d’Israele. 

È accaduto un fatto straordinario, ciascuno li sente parlare nella propria lingua, per questo la reazione della folla è  la meraviglia (vv. 6‐7). A questo punto il narratore passa al discorso diretto. 

Viene  ricordata  l’origine  geografica  dei  predicatori:  «Tutti  costoro  che parlano non sono  forse Galilei?». Tutto è  cominciato  in Galilea dove Gesù ha  chiamato  gli  Apostoli.  L’elenco  dei  popoli  (vv.  9‐11)  segue  un  moto circolare  che  va  da  oriente  a  occidente.  E’  importante  la  menzione  dei Romani perché il libro degli Atti si conclude con l’arrivo di Paolo a Roma. Gli studiosi  discutono  su  quale  sia  l’origine  di  questo  elenco:  Luca,  o  si  ispira alla  tavola  delle  nazioni  di  Genesi  10,  oppure  enumera  le  regioni  della diaspora giudaica.  

Nell’esegesi  patristica  il  racconto  della  Pentecoste  conterrebbe un’allusione  all’episodio  della  torre  di  Babele  (Gen  11,1‐9)2:  grazie  allo Spirito Santo si ritorna all’unità. È  lo Spirito Santo  l’artefice dell’unità nella Chiesa.  San  Cirillo  di  Alessandra  afferma:  «Noi  tutti  che  abbiamo  ricevuto l’unico e medesimo spirito, lo Spirito Santo, siamo uniti tra di noi e con Dio. Infatti,  sebbene,  presi  separatamente,  siamo  in molti  e  in  ciascuno  di  noi Cristo faccia abitare lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo  Spirito.  Egli  riunisce  nell’unità  spiriti  che  tra  loro  sono  distinti…  e  fa  di tutti  in  se  stesso un’unica  e medesima  cosa.  Come  la  potenza della  santa umanità  di  Cristo  rende  con  corporei  coloro  nei  quali  si  trova,  allo  stesso modo  l’unico  e  indivisibile  Spirito  di  Dio  che  abita  in  tutti,  conduce  tutti all’unità spirituale» (citato in CCC 738).   

   

                                                             2 Questo brano è proposto  dalla Liturgia nella Veglia di Pentecoste.   

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b. Il filo rosso  

L’alito di Dio diventa un vento potente e portatore di vita nuova4 alla maniera di un vento che si abbatte impetuoso. Lo Spirito Santo si presenta loro in forma di lingue come di fuoco, che rendono gli apostoli capaci di parlare  in  altre  lingue.  L’insistenza  sull’immagine  della  lingua  e  sul linguaggio  prepara  alla  comprensione  dell’effetto  dello  Spirito  Santo, che è il parlare in lingue diverse eppure finalmente capirsi.  

Tante  volte  ci  capita  nella  vita  di  parlare  la  stessa  lingua  e  di  non capirci. “Ma che parlo una lingua diversa?!”: spesso in una discussione o in un litigio sono queste le parole di lamento da parte di chi parla e non riesce  a  farsi  capire.  In  questi  momenti  sembra  di  rivivere  l’episodio opposto  a  quello  della  pentecoste,  sembra  di  essere  tornati  alla costruzione della Torre di Babele di Genesi 11. Lì la smania di grandezza rese  gli  uomini  incapaci  di  comprendersi,  seminando  divisione  e sconforto.  Fino  a  che  la  torre,  espressione  della  presunta  forza dell’uomo  crollò  inesorabilmente  sulla  sua  stessa  presunzione.  Come conseguenza si ebbe la frammentazione dei popoli, che si dispersero in terre diverse e lontane, non riuscendosi più a comprendere.  

Al contrario oggi, nella Pentecoste, lo Spirito di Dio espressione della potenza  di  Dio  accolta  dagli  uomini  che  hanno  fatto  pace  con  la  loro piccolezza, diventa fonte di pace, stupore, gioia piena! Sì, perché la vera gioia – sembra dirci questa storia degli uomini raccontata con la Parola di  Dio  –  sta  nel  capirsi,  nel  trovare  finalmente  quella  tanto  agognata armonia  con  se  stessi  e  con  gli  altri,  che però può esserci  solo  se  si  fa pace con la propria piccolezza e si accoglie la grandezza di Dio. Pace con la propria piccolezza, comprensione umile dell’altro e gioia, sono tappe di uno stesso salvifico percorso. Su questo processo – reso possibile dal soffio dello Spirito – si fonda la nostra possibilità di comunione. Questo fonda la nostra chiesa e la rende davvero luogo della gioia per tutti noi, peccatori ma redenti da Cristo. 

                                                             4  Cfr.  J.A.  FITZMYER, Gli  Atti  degli  Apostoli.  Introduzione  e  commento, 

Brescia  2003,  210:  tanto  l’ebraico  “ruah”  che  il  greco  “pneuma” significano sia alito di vita che vento, spirito.  

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 • Quanto  la  logica  mondana  della  grandezza  e  della  forza 

caratterizza  le  mie  scelte?  Nella  mia  comunità  di  fede,  sono preoccupato di essere apprezzato o sono disposto ad accettare di apparire piccolo pur di edificare una comunione vera?   

• Quanto  è  forte  in  me  l’atteggiamento  di  auto‐affermazione  o persino di rivendicazione dei miei diritti e dei miei meriti?  

c. Giovani 

La  Pentecoste  celebrava  l’alleanza  di  Dio  con  il  suo  popolo,  in  tale alleanza questo popolo si sentiva unito, forte e pieno di fiducia per il futuro e in quello stesso giorno, mentre il gruppo costituito dagli apostoli, Maria e gli  altri  discepoli  era  in  preghiera  nella  comunione  dei  cuori,  avviene  la consacrazione dello Spirito Santo che scende su ciascuno di  loro e  inizia a manifestarsi con potenza. 

E’ la consacrazione della Chiesa per la missione come Gesù al Giordano era stato consacrato di Spirito Santo per  la missione. Ora Gesù, dopo aver compiuto il mistero pasquale di morte e resurrezione, a Pentecoste, affida alla  sua  Chiesa  la  stessa  missione  nello  Spirito  Santo.  La  missione  è universale, parte da Gerusalemme fino ai confini del mondo.  

Lo Spirito Santo si manifesta negli apostoli  forza di  libertà, di coraggio, di testimonianza e di pienezza di gioia. Sono le caratteristiche che lo Spirito Santo attraverso  l’entusiasmo dei  giovani  vuole  tenere vive nella Chiesa e operanti nel mondo.  

La  Pentecoste  si  rinnova  ogni  volta  che  il  Signore  trova  qualcuno disposto a  farsi  strumento di  tale  forza. Tutte  le  vocazioni hanno alla  loro origine  questo  spirito,  e  noi  giovani  dobbiamo  aprirci  alla  sua  azione  e affidarci  alla  sua  forza  con  la  certezza  che  lì  troveremo  la  nostra  vera realizzazione  e  la  pienezza  della  gioia.  Tutti  i  cammini  sono  animati  da questo spirito che chiama tutti all’unità e al servizio dell’umanità. 

Che  percezione  hai  tu  nella  tua  scelta  di  vita  che  lo  Spirito  Santo  è presente  e  ti  chiama  a  cose  grandi  e  ti  dà  la  certezza  che  nulla  è impossibile? 

Come  vivi  la  tua  appartenenza  alla  Chiesa  come  chiamata  alla comunione?  Come  dalla  tua  esperienza  nel  piccolo  gruppo,  nella  piccola 

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comunità  ti  senti  chiamato  dallo  Spirito  Santo  a  vivere  e  a  costruire  la comunione  più  grande    di  tutta  la  Chiesa  perché  una  e  unita  nell’unico Spirito la vuole il Signore? 

 

d. Carità e testimonianza 

Accogliere  il  dono  dello  Spirito  Santo  nella  nostra  vita  ci  porta  a  far nostro  l’amore di Dio e  ci  introduce nel mistero di Cristo, nell’intimità del Figlio  di  Dio  con  il  Padre.  Rendendoci  figli  nel  Figlio  siamo  capaci  di chiamare  Dio,  “Padre”  e  le  persone  che  con  noi  condividono  l’esperienza del suo amore, “fratelli”. 

L’esperienza è evento, avvenimento che riguarda la nostra vita, accade a noi. 

• Posso  dire  che  lo  straniero,  o  il  povero,  o  il  non  credente,  o  il carcerato, è accolto nella mia vita e nella mia casa come fosse mio fratello? Ne racconto l’esperienza. 

• Sono pronto a condividere il dono d’amore dello Spirito Santo, che si fa concreto nel dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti, consolare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le  offese,  sopportare  le  persone  moleste,  pregare  per  i  vivi  e  i morti? Ne racconto l’esperienza.  

 

e. Spunti per attività  

 

Obiettivo.  

La proposta di lavoro per il quarto modulo mira a far riflettere il gruppo sulle  difficoltà  di  costruire  relazioni  autentiche  e  di  riuscire  a  superare l’incomunicabilità.  Prende  spunto    da  due  racconti  biblici:  quello  della Genesi e della superbia degli uomini che vogliono costruire una   torre alta fino al cielo e che Dio umilia confondendo le loro lingue, e quella degli Atti degli  Apostoli    in  cui  Luca  narra  di  una  comunità  che  si  apre  alla  potenza dello Spirito e diventa comunità  capace di  superare ogni paura e  che vive nella dimensione dell’amore. 

 

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Descrizione dell’attività 

 1. Visione  del  film  “Babel”  del  regista  messicano  Alejandro 

Gonzalez Inarritu .  

 Il film è un mosaico di un’umanità dispersa e incapace di comunicare. La 

storia si svolge in  tre distinti  luoghi, diversi sia per cultura, che per lingua:  tutti  i personaggi  soffrono del problema della comunicazione e si  sentono isolati:  chi nel deserto marocchino,  chi nella grande città,  chi nel nulla  tra due  confini.  Tutti  avrebbero,  in  teoria,  la  strada per uscire dalle difficoltà: servirebbero un po’ di ascolto  e compassione, ma purtroppo i protagonisti si  devono  scontrare  con  l’incomunicabilità  e  il  cinismo  del  mondo  in  cui vivono.   

 2. Si  invita  il  gruppo  a  stilare  insieme  due  elenchi:  uno  in  cui  si 

annotano  tutti  gli  ostacoli  che  impediscono  ai  protagonisti  di uscire  dalle  proprie  solitudini  e  l’altro  in  cui  si  evidenziano  le risorse  i personaggi del  film  fanno emergere e  che aprono alla speranza di una possibilità di nuove relazioni. 

 

Domande stimolo  

Terminata questa fase si chiede al gruppo di confrontarsi con questi due elenchi e di condividere le proprie esperienze per chiedersi: 

 

a. Quali sentimenti ci guidano nei nostri rapporti con gli altri? 

b. Quali frutti dello Spirito (di cui parla san Paolo) riconosciamo  nelle nostre relazioni? 

c. Quanto valore diamo alla vita comunitaria sia nel quotidiano che nella nostro cammino spirituale? 

 

    

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f. Momento celebrativo a sfondo vocazionale 

 

UNA LETTURA VOCAZIONALE DI ATTI 2,1‐11 

 Nell’esegesi e nel filo rosso di Atti 2,1‐11 abbiamo potuto meditare sul 

significato  più  stringente  del  testo,  in  questo  caso  invece  proviamo  una lettura  diversa  (forse  anche  un  po’  forzata)  che  potrebbe  aiutare  tutta  la parrocchia a sentire la questione della vocazione come propria. 

v. 1. “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”,  La  parrocchia  dovrebbe  essere  il  luogo  dove,  al  di  là,  delle  varie 

differenze  si  viva  una  dimensione  comunitaria  e  di  vicinanza  e  di  mutua accoglienza.  È  sulla  croce,  che  Gesù  compie  le  sue  ultime  consegne  e “fonda” la chiesa proprio nel momento della massima dispersione dei suoi (il  tradimento  di  Giuda,  il  rinnegamento  di  Pietro  e  la  fuga  defilata  degli altri). Eppure proprio dalla croce consegna reciprocamente il discepolo che egli amava e la madre sua, continuando il suo ministero di unità e di amore, è  dalla  croce  che  nasce  la  chiesa.  Questo  deve  essere  il  nostro  itinerario spirituale,  crescere  nella  comunione,  nel  rispetto  reciproco  e nell’accoglienza. La parrocchia diventerà così un luogo‐segno della presenza del Signore, un luogo dove fare esperienza del concreto amore di Dio. 

v. 4. “ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi”. 

La comunione però non è semplicemente un risultato “umano”, quanto piuttosto un dono dello Spirito. È lo Spirito l’artefice di questo miracolo. Un miracolo  di  amore,  di  comunione  e  di  differenza.  Dice  San  Paolo  nella lettera ai Romani “gareggiare nello stimarsi a vicenda” (cf 12,10) ma questo è  possibile  solo  grazie  alla  forza  dello  Spirito, mantenere  la  comunione  e allo stesso tempo suscitare diversi carismi, ministeri, vocazioni. È proprio in un ambiente del genere che possono nascere nuove vocazioni, vocazioni al servizio del Signore e al servizio della Chiesa. Se la vocazione, qualsiasi essa sia, è una risposta all’amore di Dio, solo in un ambiente dove quest’amore si  fa  quasi  tangibile  essa  potrà  arrivare  a maturazione  e  dare  i  suoi  frutti cominciando “a parlare  lingue nuove”. Far crescere  le nostre parrocchie  in questo  senso  è  dunque  essenziale  per  scoprire  la  bellezza  della  propria vocazione.  

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v.  6.    “la  folla  si  radunò  e  rimase  sbigottita  perché  ciascuno  li  sentiva parlare la propria lingua” 

Questo  è  ciò  che  può  accadere  se,  in  una  parrocchia,  ci  si  impegna  a farsi guidare dallo Spirito. Una folla si raduna, si raccoglie, c’è qualche fatto che  suscita  la  curiosità,  ognuno  sente una  lingua  familiare,  comprensibile, quella dell’amore e dell’accoglienza. La lingua dell’amore è universale, è di ciascuno. Questo  risultato  ci  dice  anche  la bontà del  cammino  intrapreso, diventa una controprova della giustezza della scelta,  fortifica così  le scelte compiute. 

v. 11. “e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” Nella vocazione, però, non si annuncia mai se stessi, mai una struttura, 

ma  le  “grandi  opere  di  Dio”.  Quando  si  vive  bene  la  propria  vocazione, questo è quello che si deve annunziare, come Dio ha operato in noi. Anche nella parrocchia bisogna seguire questo stile,  “nulla  sia  fatto per  spirito di rivalità”  (Fil  2,4)  ma  per  rendere  maggiore  gloria  a  Dio.  L’annuncio  delle opere di Dio suscita conseguentemente nuove vocazioni perché è “come se Dio  esortasse  per mezzo  nostro  ”  (cf  2  Cor  5,20).  In  questo modo  si  crea quasi un circolo virtuoso che suscita così nuove vocazioni al servizio di Dio e del suo popolo. 

 

   

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CONTRIBUTO per L’ANIMAZIONE  

LITURGICA DOMENICALE e FESTIVA  

 31  Marzo  2013  –  Domenica  di  Pasqua  “In  Resurrectione  Domini”  – 

Santa Veglia della Notte  

Idea  guida:    VEGLIAMO  ESULTANTI  NELLA  SANTISSIMA  NOTTE  IN  CUI CRISTO RISORGE E CI CHIAMA A RISORGERE CON LUI. 

Intenzioni di preghiera:  Padre buono, le nostre parole non riescono ad esprimere  la  gioia  della  certezza  nella  vita  eterna  che  la  Risurrezione  di Cristo  ci  dona;  allontana  da  noi  il  timore  e  lo  spavento  perché  i  nostri sguardi giubilanti, che hanno visto la tomba vuota, possano far germogliare cuori pieni di esultanza per la convinzione che non lascerai la nostra vita nel sepolcro ma metterai dentro di noi uno spirito nuovo e anche noi potremo considerarci morti al peccato ma viventi per Te, in Cristo.  

 31  Marzo  2013  –  Domenica  di  Pasqua  “In  Resurrectione  Domini”  – 

Santa Messa del Giorno 

Idea  Guida:  ESULTANTI  PER  IL  TRIONFO  DI  CRISTO  SULLA  MORTE, SIAMO CHIAMATI AD ANNUNCIARE E TESTIMONIARE LA SUA VITTORIA AL MONDO.  

Intenzioni di preghiera:  Signore Gesù, abbiamo agitato con gioia i rami di ulivo al  tuo  ingresso a Gerusalemme, siamo rimasti stupiti nel Cenacolo quando  ti  sei  fatto  Pane  e  hai  voluto  lavarci  i  piedi,  hai  desiderato  che  ti fossimo  vicini  nel momento  di  angoscia  nel Getsemani  e  il  giorno  dopo  ti abbiamo visto in croce, spogliato della tua stessa vita; donaci oggi di correre verso il sepolcro vuoto per vedere e credere affinché possiamo poi correre con nuovo slancio verso i nostri fratelli ad annunciare e testimoniare che la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo, che la morte non è più la fine, che l’ultima parola è quella della Vita.  

 7  aprile  2013  ‐  II  Domenica  del  Tempo  di  Pasqua  o  della  Divina 

Misericordia  

Idea  Guida:  RICARICATI  DALL’INFINITA  MISERICORDIA  DEL  PADRE DIVENTIAMO CREDIBILI ANNUNCIATORI DELLA BUONA NOTIZIA. 

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Idea  Guida:  Padre  Santo,  nella  ricorrenza  pasquale una  moltitudine  di uomini  e  donne  si  riunisce  per  continuare  a  ringraziare  la  tua  eterna misericordia  che ha permesso a Cristo di  sconfiggere  la morte; posa  su  di noi  la  tua  destra  perché  anche  noi  possiamo  testimoniare  che  Gesù  è  il Cristo    nella  tribolazione,  nel  regno  e  nella  perseveranza e  la  nostra  gioia invada  i  cuori di  coloro che  sono  lontani da Te affinché anch’essi possano assaporare  il  tuo  Amore  che  è  per  sempre,  e  non  siano  più  increduli  ma credenti.  

 15 aprile 2013 – III Domenica del Tempo di Pasqua  

Idea Guida: LA FEDE NELLA RISURREZIONE DI CRISTO È LA “BARCA”  CHE CI CONDUCE DALLE TENEBRE DELLA DISPERAZIONE ALLA LUCE DELLA VERA VITA. 

Intenzioni di preghiera: O Signore,  tu che conosci  tutto,  sai che spesso,  per timore del giudizio del mondo,  non trasmettiamo agli altri il calore che sentiamo  nell’incontrarTi.  Concedici  lo  Spirito  Santo  perché  possiamo sentirci lieti di essere giudicati davanti agli uomini per il nome di Gesù, certi che  la tua bontà che è per tutta  la vita   ci condurrà a cantare  lode, onore, gloria e potenza a Colui che siede sul trono dell’Agnello. 

 21 aprile 2013 – IV Domenica del Tempo di Pasqua  

Idea  Guida:  CONFORTATI  DALLA  FEDELTÀ  DEL  PASTORE  CI  LASCIAMO GUIDARE ALLA FONTE DELLA VITA. 

Intenzioni  di  preghiera:  Signore,  tante  volte  rifiutiamo  di  averti  come guida e non ti riconosciamo  come unico Signore della nostra vita; donaci la consapevolezza che  la vera  felicità  sta nell’essere  tuo popolo e gregge del tuo  pascolo,  perché  solo  in  Te  può  trovarsi  un  amore  che  è  per  sempre orgogliosi di sapere che tu ci hai fatti e noi siamo tuoi. 

 28 aprile 2013 – V Domenica del Tempo di Pasqua 

Idea  Guida:  NON  POSSIAMO  RIMANERE  INDIFFERENTI  ALLA RIVOLUZIONE  DEL  SIGNORE  CHE,  NELLA  RISURREZIONE  DI  CRISTO, TRASFORMA IL NOSTRO PIANTO IN GIOIA.  

Intenzioni di preghiera: Signore Gesù, che espandi su tutte le creature la tua  tenerezza,  donaci  di  essere  riconosciuti  come  tuoi  discepoli    non nell’abitudinarietà  dei  riti ma  nella  pratica  del  comandamento  dell’amore 

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perché attraverso di noi  il mondo veda  che  le  cose  di  prima  sono  passate quando,  nella  Risurrezione  di  Cristo, hai asciugato  ogni  lacrima  dai  nostri occhi e abbiamo potuto proclamare che hai fatto nuove tutte le cose.  

 5 maggio 2013 – VI Domenica del Tempo di Pasqua 

Idea  guida:  CONSOLIDATA  LA  NOSTRA  FEDE  NELLA  PAROLA  DEL SIGNORE, NON LASCIAMO CHE I NOSTRI ANIMI VENGANO PIÙ TURBATI  

Intenzioni di preghiera:   Signore Gesù, troppe volte non consideriamo la Tua Parola con la giusta importanza e preferiamo alla Tua voce, la voce del mondo;  aiutaci  a  comprendere  che  Tu  sei  la  vera  Luce,  Tu  sei  la  gemma preziosissima cosicché il nostro cuore non sia più turbato e scompaia da noi ogni  timore  e  possiamo  essere  pronti  ad  accogliere  la  vera  pace  che  può scaturire solo da Te. 

 12 maggio 2013 – Ascensione del Signore 

Idea Guida: SOMMERSI DALL’AMORE DI DIO, NON RIMANIAMO FERMI A GUARDARE IL CIELO MA VOLGIAMO LO SGUARDO AI NOSTRI FRATELLI.  

Intenzioni  di  preghiera: Padre  Santo,  concedici  di accostarci  con  cuore sincero, nella pienezza della fede all’adempimento della promessa del Padre perché, avendo ricevuto la forza dello Spirito Santo con il nostro Battesimo, manteniamo  senza  vacillare  la  professione  della  nostra  speranza  e  non rimaniamo  tristi  con  lo  sguardo  verso  il  cielo,  ma  dirigiamo  i  nostri  cuori purificati da ogni cattiva coscienza al servizio dei fratelli 

 19 maggio 2013 – Domenica di Pentecoste 

Idea  Guida:  CONSAPEVOLI  DELL’ADOZIONE  A  FIGLI,  LASCIAMOCI SCONVOLGERE DALLO SPIRITO DI CRISTO. 

Intenzioni di preghiera:  O Signore, che con il Tuo Spirito rinnovi la faccia della Terra concedi anche a noi, coeredi di Cristo riuniti nello stesso luogo, lo Spirito  che  è  vita,  lo  Spirito  che  ci  libera  dalla  schiavitù  e  ci  rende  figli adottivi,  perché  non  siamo  più  debitori  verso  la  carne  e  tutti  i  popoli sentano dalle nostre bocche le grandi opere di Dio.  

   

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Indice     

 

L’itinerario diocesano annuale              1  

La quinta tappa. La fede celebrata            4  

La quinta tappa. Introduzione              4 a. La mappa del nostro cammino          4 b. Descrizione dei moduli            5 

 1. Primo modulo. L’intimità della gioia (Lc 24,13‐35)      6 

a. Approfondimento esegetico           7 b. Il filo rosso                9 c. Giovani                10 d. Carità e testimonianza          11 e. Spunti per attività             12 f. Momento celebrativo: Adorazione Eucaristica    17 

 2. Secondo modulo. Il fondamento della gioia (Gv 10,27‐30)  20 

a. Approfondimento esegetico         20 b. Il filo rosso              22 c. Giovani                23 d. Carità e testimonianza          23 e. Spunti per attività             24 f. Momento celebrativo: Per una regola di vita    26 

 3. Terzo modulo. Il duplice orientamento della gioia (At 1,1‐11)  29 

a. Approfondimento esegetico         29 b. Il filo rosso              31 c. Giovani                32 

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d. Carità e testimonianza          33 e. Spunti per attività             34 

 4. Quarto modulo. La pienezza di gioia in comunità (At 2,1‐11)  36 

a. Approfondimento esegetico         36 b. Il filo rosso              39 c. Giovani                40 d. Carità e testimonianza          41 e. Spunti per attività             41 f. Momento celebrativo a sfondo vocazionale:  

una lettura vocazionale di atti 2,1‐11      43  Contributo per l’Animazione liturgica domenicale e festiva    45 

  

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Appunti

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Appunti

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Appunti

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2013

UfficioComunicazioniSociali - 339.36.93.135

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