Anno della Fede 2012‐2013
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L’itinerario diocesano annuale
Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto
XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La nostra Arcidiocesi intende proporre a tutte le parrocchie e le realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede..
Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico,
adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso in 6 tappe, che ricalcano i momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate).
Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni
di incontro e comunione per tutta la diocesi. In questo modo abbiamo cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno.
Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica della
moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17. 10aAl loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano
fatto. 10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono. 11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
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Questo brano è stato diviso anch’esso in 6 parti, ciascuna di esse corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello schema che segue: la prima tappa tra ottobre e novembre (Lc 9,10a.11a); la seconda tappa nel tempo di Avvento e Natale (Lc 9,10b); la terza tappa nel periodo di gennaio e febbraio (Lc 9,11b); la quarta tappa nel tempo di Quaresima (Lc 9,12‐13); la quinta tappa nel tempo di Pasqua (Lc 9,14‐16); infine, la sesta tappa in estate (Lc 9,17).
Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del
lavoro di tutti gli uffici della nostra diocesi. È possibile, per qualsiasi necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai seguenti numeri:
‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898 ‐ don Domenico (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645 ‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria) 380.36.18.590 ‐ don Nando (Pastorale Biblica) 327.88.56.338
I testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come dei
“moduli”. Nel senso che ogni gruppo di parrocchia, movimento o associazione potrà scegliere se e come utilizzarli: possono essere utilizzati tutti consecutivamente (visto che hanno una loro continuità) o possono anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno potrà costruirsi un itinerario ad hoc in base alle necessità della realtà nella quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi.
Ogni modulo è corredato delle seguenti piste di approfondimento e attualizzazione:
a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del testo biblico;
b. il filo rosso, che offrendo elementi di crescita umana e spirituale presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;
c. riflessione diretta ai giovani; d. spunti per la vita di coppia;
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e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e ai malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro;
f. spunti per attività di catechesi sul tema; g. proposte celebrative.
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LA QUINTA TAPPA
La fede celebrata Moduli biblico‐catechetici di approfondimento
della Quinta Tappa (Tempo di Pasqua)
Introduzione
a. La mappa del nostro cammino
Dall’Icona biblica (vv 14‐16): 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi
discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Nel cammino pasquale la fede della Chiesa è fede celebrata nella gioia
delle nozze dell’Agnello, gioia per la vita nuova in Cristo. L’uomo, che all’inizio del cammino abbiamo trovato assetato, desideroso di conoscere se stesso e trovare il senso dell’esistenza, attraverso la comunità trova in Cristo la vita nuova, un nuovo ordine, una possibilità oltre il suo limite.
Nel racconto della moltiplicazione dei pani, il fatto che la folla venisse ordinata in gruppi di cinquanta vuole esprimere il senso di una nuova armonia. Un’armonia che dà pace e sicurezza. Un abbozzo di prefigurazione del Regno dei cieli. I gesti di Gesù che seguono, poi, sono profondamente eucaristici (sono gli stessi verbi usati per da Gesù nella sua ultima cena e dai sacerdoti nelle celebrazioni eucaristiche). Essi, lì collocati, associano questo ordine al mistero pasquale della morte e resurrezione di Cristo, celebrata nell’eucaristia stessa.
In effetti questi saranno gli elementi che caratterizzano il cammino di questa quinta tappa: la gioia per la salvezza ritrovata in Cristo Signore, morto e risorto, vissuta all’interno del nostro rapporto con Lui; l’eucaristia, quale luogo privilegiato per la celebrazione di detta gioia.
Momento celebrativo diocesano sarà il Pellegrinaggio Diocesano a Roma, il 20 aprile, in occasione della 50a Giornata Mondiale delle Vocazioni.
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b. Descrizione dei moduli
Con la nostra partecipazione alla Pasqua di Cristo la nostra fede trova il suo coronamento e la sua pienezza. A quella fede che abbiamo cercato, ricevuto in dono, sperimentato e verificato nella prova, ora resta la celebrazione della gioia per la pienezza che essa ha raggiunto. In particolare, abbiamo attraversato il deserto del nostro peccato nella precedente tappa quaresimale. Per dirla con San Paolo, siamo morti anche noi con Cristo al nostro peccato, ma ora rinasciamo con Lui a vita nuova sperimentando quella pienezza di vita che solo Lui può donarci. Da qui la gioia! Ecco allora il senso dello snodarsi dei moduli di questa quinta tappa:
1. Lc 24,13‐35. L’intimità della gioia vissuta dai discepoli di
Emmaus al camminare con Cristo; gioia riconosciuta solo dopo, nel contesto eucaristico della frazione del pane.
2. Gv 10,27‐30. Il fondamento della gioia nella relazione di
tenerezza con Cristo bel pastore, che conosce le sue pecore e le ama.
3. At 1,1‐11. Il duplice orientamento della nostra gioia, in cielo
dove siamo destinati (vado a prepararvi un posto), e in terra dove siamo chiamati a giocarci la nostra vita oggi.
4. At 2,1‐11. La pienezza della gioia nella comunità, all’interno
della quale le relazioni vengono fondate sullo Spirito Santo Amore.
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1. Primo modulo. L’intimità della gioia
Lc 24,13‐35. I discepoli di Emmaus
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un
villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
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34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
a. Approfondimento esegetico
Nessuno dei Vangeli si conclude con la morte e la sepoltura di Gesù. La morte non è l’ultima parola. La buona notizia è questa: Gesù è risorto. Essa è riferita da due tipi di narrazioni evangeliche: la scoperta della tomba vuota e le apparizioni pasquali.
L’episodio dei discepoli di Emmaus (vv. 13‐35), specifico di Luca, si trova nel capitolo 24 di Luca, ultimo del Vangelo, che appare come una composizione strutturata in tre grandi parti, un trittico delle apparizioni: vv. 1‐12, la scoperta della tomba vuota da parte delle donne e l’annuncio dei due angeli; vv. 13‐35, i discepoli di Emmaus; vv. 36‐53, l’apparizione agli Undici e l’Ascensione. È stato giustamente osservato che in questo capitolo si può ammirare tutta l’abilità dello scrittore Luca, che mette «la sua arte a servizio di una riflessione di fede autentica e del fine programmato: dare ai lettori il fondamento della loro fede» (G. Rossé).
Il racconto dei discepoli di Emmaus può essere suddiviso in due parti. La prima parte (vv. 13‐24) è caratterizzata da separazioni e divisioni: i due discepoli si allontanano da Gerusalemme, luogo dell’evento pasquale, e dal gruppo dei discepoli (v. 13); sono distanti da Gesù, visto come un estraneo; sembrano essere divisi anche fra di loro, poiché il verbo greco usato al v. 17 (i discorsi che “stanno facendo”) letteralmente significa “ribattere”. Sono quindi tristi (v. 17): una situazione cupa e senza speranza.
Nella seconda parte (vv. 25‐35) tutto si rovescia. Gesù è il soggetto dell’azione, non più i due discepoli, e prende in mano la situazione: egli spiega gli eventi alla luce delle Scritture, poi assume il ruolo dell’ospite nel gesto della «frazione del pane». Tutte le distanze sono annullate: Gesù viene riconosciuto, il cuore dei discepoli «arde», ritornano a Gerusalemme, nella comunità dei discepoli.
Il racconto è ambientato nel primo giorno della settimana, «lo stesso giorno» (v. 13) in cui le donne erano andate al sepolcro (v. 1), Quindi siamo nel pomeriggio‐sera della domenica. La strada è quella che porta da Gerusalemme a Emmaus. L’identificazione di questo villaggio è problematica, quello che conta, però, è che i due discepoli si stanno
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allontanando dalla città santa. In 9,51 era cominciato il viaggio di Gesù e degli apostoli verso Gerusalemme, e tutto era orientato verso Gerusalemme; ora i due discepoli se ne vanno.
Mentre questi due «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto» (v. 14), «conversavano e discutevano insieme» (v. 15), si avvicina Gesù in persona. Sono discepoli, questo vuol dire che sono stati con Gesù per un periodo di tempo, eppure non lo riconoscono. Questo non perché Gesù si sia camuffato, alla maniera delle divinità greche, ma perché i loro occhi sono impediti a riconoscerlo.
Lo scambiano per un forestiero; sono stupiti che non sappia nulla di quello che è accaduto; raccontano di nuovo, in sintesi, i fatti della passione e morte di Gesù. Dal loro comportamento e dalle loro parole vengono fuori tristezza (v. 17) e delusione (v. 21). Il racconto delle donne, che hanno trovato la tomba vuota e dagli angeli hanno saputo che Gesù è vivo, in loro non ha avuto alcun effetto. Se ne vanno dunque da Gerusalemme perché pensano che la vicenda di Gesù, ricca di promesse, sia stata alla fine un terribile fallimento. Tutto quello in cui credevano è finito il giorno in cui Gesù è stato crocifisso.
La seconda parte del brano è più movimentata. Comincia con una “omelia” (in greco c’è il verbo omilein che significa spiegare) di Gesù, il quale spiega il senso della sua vita a partire dalla Legge e i Profeti (vv. 25‐27). La spiegazione di Gesù dura fino all’arrivo a Emmaus e alla cena insieme (vv. 28‐31). Durante la cena riconoscono Gesù, che subito scompare, e tornano di corsa a Gerusalemme (vv. 32‐35).
Gesù rimprovera duramente i due discepoli: la loro visione delle cose (una comprensione nazionalistica del Messia) ha impedito loro di comprendere le Scritture: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25). Gesù, nella sua spiegazione, mostra loro come fosse necessaria, cioè secondo il progetto di Dio, la sua passione e morte. Era questo lo scandalo per i due discepoli: la croce aveva spazzato via le loro speranze; ora Gesù fa vedere come proprio la croce sia il segno che egli è veramente il liberatore del suo popolo.
Giunti al villaggio di Emmaus, i due invitano il misterioso forestiero che ormai è diventato il loro compagno di strada, a fermarsi per la cena. Egli accetta e, quando è a tavola con loro, prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo distribuisce senza dire una parola. A quel gesto, che
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ovviamente ricorda l’ultima cena (22,19‐20), i loro occhi si aprono e riconoscono Gesù. Il cambiamento era già cominciato con la spiegazione biblica lungo la via: «non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi?» (v. 32); il gesto evocativo dello spezzare il pane completa il percorso “spirituale” dei due.
Gesù scompare dalla loro vista e i due discepoli corrono dagli altri ad annunciare che hanno visto il Signore risorto. Non è consigliabile mettersi in viaggio di sera e undici chilometri sono quasi tre ore di cammino, ma dopo aver incontrato il Risorto non c’è nulla che li possa trattenere.
b. Il filo rosso
I discepoli in cammino rappresentano ciascuno di noi, viandanti per le strade del mondo. Ma essi tornano a casa loro con il volto triste. Si tratta di quella tristezza che proviene dall’essere stolti, cioè “in‐sensati”, ovvero incapaci di comprendere il senso profondo dell’agire di Dio, come Gesù stesso ha diagnosticato loro durante il discorrere per via. Questa tristezza ha le caratteristiche precise di una speranza delusa in modo apparentemente inesorabile (noi speravamo che fosse lui a liberare Israele)!
Però dalla loro parte c’è che sono in due, cioè non sono chiusi ciascuno in se stesso. Per quanto stessero discutendo, vivono ancora una fraternità, che sarà per loro salvifica. In essa, infatti, si inserisce Cristo che si fa loro compagno di viaggio e si mette a dialogare con loro. All’interno di questa apertura del cuore, in forza della quale hanno la possibilità di esporre le loro sofferenze e difficoltà, trovano la possibilità di elaborare il loro malessere spirituale e di convertire la loro tristezza in gioia.
La gioia, descritta come un cuore illuminato e scaldato dalle parole di Gesù (non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?), ha a che fare strettamente con la fede. E tale fede trova il suo luogo di predilezione nella celebrazione eucaristica, che ci racconta la totalità dell’amore di Gesù e come quell’amore si rende efficace per noi ancora oggi.
Da qui l’annuncio. Esso non può certo limitarsi ad un passaggio di informazioni o nozioni su una verità che viene approcciata solo dal
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punto di vista cognitivo. La nostra fede si palesa anche e innanzitutto nella fiducia che ci rende disponibili a metterci in gioco nei nostri aspetti più personali. Tirando in ballo le nostre esperienze fatte e i nostri vissuti interiori. Permettendo al Cristo risorto di trasformarli, redimerli, volgerli in qualcosa di benefico e persino salvifico. A questo punto il nostro annuncio può essere efficace perché promana dal nostro profondo.
In conclusione, solo dall’intimità con Gesù può nascere una gioia così intima. Una gioia del cuore. Una gioia che riscalda e illumina nel profondo. Nell’eucaristia possiamo nutrirci dell’amore di Cristo e alimentare quindi la nostra gioia più autentica.
• Come mi relaziono con le mie tristezze? Ascolto la mia tristezza o la nascondo a me stesso? Nei discepoli di Emmaus, essa nasce da una speranza di liberazione rimasta delusa: mi accorgo che la mia tristezza è in me collegata con le schiavitù che mi impediscono di essere libero? O, al contrario, mi illudo che le mie schiavitù possano essere la giusta fuga dalla mia tristezza?
• Dove cerco la mia gioia? Elaboro le mie difficoltà interiori con qualcuno, ricercando i segni della volontà di Dio nella mia vita? O piuttosto mi illudo di bastare a me stesso, nascondendo i miei lati oscuri?
• Quanto la mia fede ha a che fare con la mia ricerca della gioia? Cosa significa per me incontrare il risorto nel peregrinare di questa mia vita?
• Il mio annuncio del risorto parte da una rielaborazione reale della mia vita alla luce del mio incontro con Cristo o non piuttosto da qualcosa di imparaticcio e non sperimentato?
c. Giovani
L’avventura dei discepoli di Emmaus ci traccia il percorso della fede e dell’incontro con il Signore, possiamo dire che è una vicenda che noi giovani sentiamo molto vicina; ci rispecchiamo in questi due. Delusi di quanto era avvenuto, amareggiati per le loro speranze frustrate e indispettiti hanno deciso di lasciare Gerusalemme e il gruppo e di andarsene.
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Erano emozionalmente turbati, quindi incapaci di capire quello che era successo e di riconoscere Gesù che si univa a loro nel cammino. E’ il nostro modo di reagire quando ci troviamo di fronte a situazioni difficili, complicate, che non capiamo e nasce dentro una ribellione, la voglia di scappare, di tentare cose nuove ma Gesù è lì con loro. Ha bisogno di usare modi forti per scuoterli e per poter entrare nel loro mondo chiuso, a differenza del nostro ambiente che ci alletta, ci accarezza, ci fa discorsi che ci piacciono, e Gesù porta i due da una situazione di tristezza su un cammino dove la sua Parola tocca il cuore, dove invita a compromettersi con Lui, dove Egli si compromette totalmente con loro nel dono totale che lo rivela pienamente. Allora arriva la gioia e arriva questo profondo desiderio di tornare indietro, di rientrare nel gruppo e raccontare quanto hanno vissuto.
Il primo interrogativo che forse dobbiamo porci è quale capacità abbiamo noi di accogliere i modi forti, quelli che ci costringono alla verità della nostra chiusura mentale, della nostra schiavitù alle emozioni che ci impediscono di vedere la realtà qual è; perché di solito noi di fronte a chi ci tratta in modi forti scappiamo, la fortuna dei discepoli invece è che non sono scappati.
Siamo disposti di fronte al mistero della croce, della sofferenza, delle tragedie umane a lasciarci scuotere, ad aprirci alla Parola, all’accoglienza dell’altro e a farci compromettere da Cristo che si fa pane nel dono totale di sé? Siamo convinti che la vita di gruppo, la comunione con i fratelli è la vera conseguenza, il vero frutto dell’incontro con Cristo?
d. Carità e testimonianza
Abbiamo conosciuto Gesù lungo il cammino. L’abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane.
Lungo il cammino spiegava le scritture, guariva i malati, abbracciava i fanciulli, perdonava i peccatori, liberava gli oppressi.
Camminare con Gesù è mettere i nostri passi dove li mette Lui, ripercorrere le sue strade, guidati dalla sua Parola, dal suo esempio.
Siamo alla sua sequela ogni volta che accogliamo uno straniero, che ci pieghiamo a curare un malato, a soccorrere una persona in difficoltà, ogni volta che le nostre mani e il nostro cuore si aprono a donare ciò che è più importante: Gesù stesso.
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I discepoli lungo il cammino avevano avvertito che il cuore gli ardeva nel petto, ma nel riconoscere Gesù nella frazione del Pane Eucaristico, si aprono alla gioia viva e vera, di trovarsi ancora una volta con il Maestro, con il Risorto.
• Ho mai sperimentato la gioia dell’incontro con il Signore della vita, nel servizio agli ultimi, nello slancio missionario, nell’accogliere lo straniero? In che modo? Cosa ho vissuto?
• Attingo forza dal Pane Eucaristico per ripeterne il gesto nel dono di me stesso?
• Nello “spezzarmi” per gli altri riesco a scorgere la gioia di un incontro tra Cristo e le persone che Lui vuole raggiungere attraverso di me?
e. Spunti per attività
Due sono le icone che raccontano dei due discepoli di Emmaus, che la sera di Pasqua riconoscono il Signore al termine del loro cammino (Luca 24, 13‐29) nel gesto della frazione del pane (Luca 24,30‐35). Entrambe possono essere utilizzate per una catechesi che permetta al gruppo di confrontarsi con la propria esperienza di fede e nel contempo di fare un’esperienza di contemplazione.
Il percorso prevede due tappe, una per ogni icona: Prima tappa: Una strada, tre persone. Il dialogo tra loro è molto
animato. Gesù cammina in mezzo ai due discepoli, li guarda in profondità, li ascolta e li ama teneramente. Accoglie il pesante carico della loro delusione e l’incapacità di leggere nella fede gli ultimi eventi della loro storia. Ma essi non lo riconoscono.
Il Signore li benedice con un gesto dolcissimo, come usano fare i sacerdoti nel rito bizantino, mentre spiega loro il senso profondo delle scritture. Esse sono rappresentate dal rotolo che Gesù tiene nella mano sinistra: "E cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, spiegò loro quello che in tutte le scritture lo riguardava".
Si tratta, ora, d’imparare a discernere la ‘visita’ del Signore Risorto, perché Egli è ormai presente per farci perennemente passare dalla desolazione alla consolazione. Se prima i due discepoli si sentivano soli e
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abbandonati, sconfitti nelle loro aspettative, ora Gesù è con loro, pronto a riempire ogni solitudine.
“Erano in cammino”. La difficoltà che qui emerge e blocca la fede
impacciata dei due discepoli è la fatica ad accettare la quella Pasqua. I discepoli sono incapaci di combinare insieme gli eventi fallimentari del venerdì di Parasceve con quelli registrati all’alba del primo giorno della
settimana. Un’inadeguatezza di fondo: far quadrare le proprie attese con tutto ciò che era accaduto, soprattutto lo scandalo della croce. “Speravamo fosse Lui a liberare Israele”: espressione, questa, che ci lascia intendere il tenore preciso delle loro speranze frustrate e ci dà l’esatta misura della loro delusione. Eppure l’icona e la Parola raccontano che, se quella strada prima era simbolo di un cammino in fuga vergato da tristezza, oscurità, scoramento e sfiducia, ora con la presenza del divino Viandante si trasforma in un cammino di fede. S’impara così, pian piano, a tenere il
passo con Dio; con Lui tutto cambia aspetto e quel sentiero ciottoloso ora si fa terra densa di promessa, terra rifiorita, perché narra già della prossima corsa di Cleopa e l’altro discepolo verso Gerusalemme, ad incontrare i fratelli, con la mente piena di luce e il cuore traboccante di gioia, di fiducia e di coraggio.
Alla partenza i due discepoli si erano muniti di bastoni da viaggio a cui
appoggiarsi e forse difendersi: legno duro, arido, secco. Sono simbolo dei loro cuori. Gesù li interroga circa tutto il loro sconforto. “Solo tu non sai…?”. Li interroga perché esca interamente la loro amarezza … essa non va mai repressa né rimossa, ma consegnata a Colui che è tra noi non tanto per i giusti e i sani, ma per i peccatori, per i malati nella fede: “sciocchi e tardi di
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cuore nel credere … ” . E’ molto importante nella vita spirituale saper unire l’ascolto della Parola con l’esperienza di vita: l’uno senza l’altra non porta all’incontro profondo, vero, essenziale col Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio.
Gli scribi e i farisei, esperti nelle Sacre Scritture, non comprendono Gesù, ma neppure i discepoli, pur standogli accanto e condividendone la vita quotidiana, finché una luce interiore, un calore che tocca il cuore, non dischiude loro la Verità. A volte è solo un lampo, poi torna l'opacità. Essi "non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto" (Lc.18,33). Era solo parola, ancora non c’era stata l'esperienza.
I discepoli avevano vissuto alcuni eventi, anche forti come la Trasfigurazione, ma ancora non si erano lasciati scavare dalla Parola. In questo sta l’origine della loro tristezza. Gesù è risorto, ma per loro tutto è finito, infatti anche se Gesù cammina con loro, sono incapaci di riconoscerlo. Non basta loro sentir dire che Gesù era un profeta potente in opere e parole e che davvero aveva suscitato la speranza della liberazione di Israele; non basta nemmeno la testimonianza di alcune donne. Per loro Gesù è morto e sepolto e la persona che li affianca è solo un forestiero. Eppure proprio questo forestiero li aiuta a collegare la loro esperienza con le Scritture e qualcosa cambia la loro vita.
Qui finisce la loro fuga: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera” (Lc. 24,29). E l’incontro si trasforma immediatamente in esperienza di comunione.
Seconda tappa: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane...lo spezzò e
lo diede loro.” Cristo si fa ospite perché è compagno di viaggio, infatti non si limita ad aspettarci alla locanda. Anzi sembra che preferisca il ruolo del viandante rispetto a quello dell’ospite: “fece come se dovesse andare più lontano”. Così i discepoli da invitanti si scoprono invitati: è il Signore Gesù che li ospita e li ammette alla comunione con lui.
In questa icona, in primo piano, troviamo la tavola imbandita dove Gesù si presenta nell’atto di benedire il pane. Il calice è il grande segno di riconoscimento del Signore vivente e presente. I discepoli appaiono in atteggiamento di accoglienza del Risorto presente in mezzo a loro. La mensa è evidentemente un banchetto eucaristico nel quale la frazione del
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pane equivale alla celebrazione eucaristica: “prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30). Sono i gesti della Cena del Signore e della moltiplicazione dei pani, quando apparve loro “potente in opere e parole” (Lc 24,19).
Il drappo rosso in alto, oltre ad indicare che la scena si svolge all’interno di una casa, esprime la continuità tra Gesù Parola vivente e Gesù Eucaristia.
L’immagine trasmette un importante significato teologico: mentre la
Sacra Scrittura rende testimonianza al Cristo risorto, l’Eucaristia dà alla Chiesa il Risorto stesso, vivente e presente. La Sacra Scrittura rende ardente il cuore pigro; l’Eucaristia toglie l’incapacità di intendere.
La presenza del Risorto
entra, attraverso la Sacra Scrittura, interpretata alla luce della Risurrezione e dell’Eucaristia, nella coscienza del credente e fa ardere il suo cuore della viva fiamma dello Spirito Santo. L’Eucaristia non è il ricordo della morte del Signore, ma memoriale della sua Morte e Risurrezione.
L’insistente invito dei discepoli a “restare con loro” è la preghiera della
comunità dei credenti di tutti i tempi che, celebrando l’eucaristia, attualizza la promessa del Risorto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La presenza del Vivente è apportatrice di salvezza per tutti. I discepoli di Emmaus sono prototipo di ogni discepolo raggiunto dalla salvezza e inviato ad invitare anche gli altri al banchetto preparato per tutti dal Risorto.
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Dentro la casa, Gesù è al centro, sta spezzando il pane. E' rivestito dalla tunica, il chiton rosso e il mantello, l'imation blu che indicano le due nature. Il blu, indicando il cielo, sottolinea il mistero della vita divina: Gesù è vero Dio. Il rosso richiama il fuoco, il sangue, l'umanità: Gesù è vero uomo.
Il discepolo barbuto più anziano, è Cleopa; indossa un mantello e una tunica dalle tonalità intense e calde che rimandano al desiderio profondo di comunione e alla forte tensione a diventare una cosa sola col Maestro.
Il verde del pavimento ci suggerisce inoltre la fertilità della parola di
Cristo che è portatrice di vita, di gioia vera; i rossi aranciati dell’arreda‐mento, poi, ci parlano dell'amore che si spende nel sacrificio fino a dare la vita e ci rimandano all’immagine del roveto ardente sull’Oreb.
Ormai Lui è in noi e noi in Lui, grida l’icona. Il nostro cuore raggelato e
lento, comincia a pulsare e ardere; i nostri occhi prima appannati dalla paura e dalla tristezza, si aprono a contemplare il Signore della Vita. Tutto – suggerisce l’icona – era necessario, ma per riconoscerlo bisognava rimanere in Lui, bisognava spezzare il pane con lui. Ascolto e comunione trasformano il cuore di pietra in cuore di carne. Qui, grida l’icona, si respira vita divina e si partecipa ad essa pienamente; qui, nell’Eucarestia, non solo facciamo esperienza di un Dio che è per noi e con noi, ma anche di un Dio che è in noi. E noi tabernacoli viventi, uomini e donne spirituali, avendo incontrato il Signore, ci lasciamo illuminare dallo Spirito e permettiamo all'amore del Padre di vivere in noi.
Ma non indulge troppo il Signore: “dopo la frazione del pane, sparì dalla
loro vista”. Per quanto gratificante sia la sua manifesta presenza tra noi, Egli non teme di sottrarsi e nascondersi ai nostri occhi. Forse per costringerci di nuovo a partire. A camminare, con un ritmo cadenzato non più dalla delusione, ma sulla calda certezza che ha risvegliato il nostro cuore: è risorto!
“Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” Si potrebbe
quindi dire che noi siamo una Chiesa viandante e pellegrina che ha il compito di annunciare a tutti la vita e la speranza. Dunque è irrinunciabile
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l’impegno di affiancarsi agli uomini e donne del nostro tempo e farci accettare come compagni di viaggio.
g. Momento celebrativo
ADORAZIONE EUCARISTICA
CON I DISCEPOLI DI EMMAUS
L’incontro può essere diviso in 4 parti ricalcando un po’ la “cronologia” del racconto:
‐ Il racconto al Signore di quanto non va nella nostra vita (vv. 13‐24)
‐ L’ascolto della Sua Parola illuminante e consolatoria (vv. 25‐28) ‐ La frazione del pane cioè l’adorazione (vv. 26‐32) ‐ L’impegno missionario ed urgente (33‐35)
Si può iniziare l’incontro, possibilmente in chiesa, senza che siano
accese molte luci e tanto meno le candele sull’altare. Possono essere posti due candelieri vicino all’ambone con la parola di Dio, i quali verranno accesi solo nel momento in cui si passerà al secondo momento, quello dell’ascolto della Parola. Ogni momento può essere accompagnato da un canto, quello iniziale, un salmo, un canto di adorazione e quello conclusivo. Ogni momento è preceduto da un parte dell’episodio dei discepoli di Emmaus diviso nel modo riportato sopra.
(1) Nella prima parte, con il testo vv. 13‐24, si invitano i partecipanti a mettere “davanti” al Signore le difficoltà della propria vita.
(2) Nella seconda parte si può leggere il testo del profeta Isaia o Geremia sul servo sofferente che salva il popolo e di cui si può avere fiducia.
(3) Il momento dell’adorazione dovrebbe essere fatto in assoluto silenzio, letto il testo vv. 26‐32, si fa un canto e si espone il Santissimo come al solito, almeno per quindici minuti, in totale silenzio. La riposizione può essere fatta semplice e senza benedizione poiché l’incontro non è ancora finito.
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(4) L’ultima tappa è missionaria, dopo la lettura del testo verranno consegnati degli impegni personali ai partecipanti.
Ecco di seguito la spiegazione di ogni tappa.
Prima tappa.
Per la prima tappa, dopo il canto e il segno di croce si può iniziare con alcune domande sulla vita. Quali sono i nostri fallimenti? Ci sono delle amarezze nella nostra vita? Dei progetti che non siamo riusciti a realizzare? Quali sono le ferite più profonde della nostra esistenza? Abbiamo qualche difficoltà con il Signore? Ci lamentiamo che forse non interviene come vorremo?
Le domande possono essere scritte su un foglietto, in modo che tutti possano fare come un esame di coscienza, sull’altro lato del foglietto può essere stampato il salmo 17 (18) e il testo di Isaia 53, 1‐12 e di Lc 24,13‐35.
Seconda tappa
Il testo da leggere nella seconda tappa è solo Isaia 53,1‐12, ne potrebbero essere scelti altri, ma questo sembra molto attinente. Il testo va spiegato alla luce della vicenda di Gesù. La croce non è un errore di percorso nella vita di Gesù, le sofferenze e le difficoltà che si incontrano nella quotidianità appartengono allo stesso Cristo che non si è sottratto ad esse. Le difficoltà sono per noi momenti di purificazione, come una sorta di ascesi, di esercizio per lo spirito, soprattutto se affrontate in comunione con il Signore. Durante la lettura di Isaia vengono accesi i candelieri accanto all’ambone oppure il cero pasquale.
Terza tappa
Letto il testo corrispondente di Luca, si accendono le candele sull’altare, e si espone il Santissimo Sacramento, si fa l’incensazione, quindi un canto di adorazione e si sosta in preghiera, vogliamo “riscaldare” il nostro cuore alla Sua presenza (almeno 15 minuti). Durante l’adorazione personalmente ed in silenzio si può leggere il salmo 17 (18) “Ti amo Signore”.
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Quarta tappa
L’ultima tappa, letto il testo di Luca su un alcuni foglietti vengono scritti degli impegni. I foglietti alla rinfusa saranno pescati dai partecipanti. Eccone un elenco.
In questa settimana trova un momento di preghiera più lungo del solito.
Invita qualcuno alla celebrazione eucaristica oppure ad un momento di preghiera.
Da la tua disponibilità al parroco per qualche servizio, anche umile.
Sii più accogliente verso quelle persone che più di altre, con il loro atteggiamento, ti danno fastidio.
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2. Secondo modulo. Il fondamento della gioia
Gv 10,27‐30. Il bel Pastore
27Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco ed esse mi
seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola.
a. Approfondimento esegetico
Come ricorda Benedetto XVI l’immagine del buon pastore con cui Gesù presenta la sua missione ha una lunga storia. Nell’Antico Oriente il re è il pastore investito da Dio, e il “pascere” indica il suo governare. A partire da questa immagine, tra i compiti del sovrano c’è quello di prendersi cura dei deboli. Secondo la sua origine, essa è «un Vangelo di Cristo re che fa risplendere la regalità di Cristo» (Gesù di Nazaret, p. 316) .
Lo sfondo del discorso di Gesù in Gv 10 è, ovviamente, l’Antico Testamento, dove il pastore di Israele è Dio. La religiosità di Israele è stata segnata profondamente da questa immagine, ed essa è stata un messaggio di consolazione e di fiducia soprattutto nei periodi difficili. Il Salmo 23 è il testo che esprime meglio questi sentimenti: «Il Signore è il mio pastore» (v. 1); «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me» (v. 4). Il testo che tratta in maniera più estesa questo tema si trova nel profeta Ezechiele, ai capitoli 34‐37. Il profeta denuncia i pastori egoisti del suo tempo e annuncia la promessa che Dio stesso cercherà le sue pecore e si occuperà di loro.
È Gesù stesso che interpreta il suo comportamento come compimento della promessa di Ezechiele. Di fronte alla mormorazione degli scribi e dei farisei perché mangia con i peccatori, il Signore racconta la parabola della pecorella smarrita per mostrare che lui è il vero pastore annunciato da Ezechiele.
Vediamo lo svolgimento di Gv 10. Il discorso del buon pastore comincia in realtà con l’immagine della porta (vv. 1‐10). Gesù è “la porta” delle pecore. Egli è la via attraverso la quale si giunge alla salvezza e
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all’abbondanza della vita (v. 10). Dà anche il criterio per i pastori del suo gregge dopo la sua ascesa al Padre. Il vero pastore giunge alle pecore solo attraverso Gesù, solo se è una cosa sola con lui.
La seconda parte del discorso (v. 11‐18) si apre con la dichiarazione di Gesù: «Io sono il buon pastore». Il termine greco usato, kalós, alla lettera significa “bello” e vuole indicare che Gesù è il pastore ideale, vero. A differenza del mercenario, che di fronte al pericolo scappa, il vero pastore dà la propria vita per le pecore. Il testo insiste molto su questa idea del pastore che «dà la sua vita». Il verbo greco usato significa anzitutto che il pastore si espone al pericolo per la salvezza del gregge. Assume poi il significato di offerta della propria vita a favore del gregge, un’offerta libera che non si conclude con la morte, ma con la risurrezione; offerta della propria vita dalla quale il gregge riceve vita. L’unità del gregge è il segno della comunione di vita che lo lega al suo pastore, ed è l’immagine di ciò che Dio vuole fare con tutti gli uomini.
Dopo queste parole sorge un dissenso tra i Giudei (vv. 19‐21) e, durante la festa della Dedicazione del Tempio1, essi chiedono a Gesù di dire apertamente se lui è il Cristo (vv 22‐24). Il brano della quarta domenica di
Pasqua (vv. 27‐30) è la risposta di Gesù a questa domanda, risposta che provoca la reazione rabbiosa dei Giudei. Tenteranno di lapidarlo ma egli sfuggirà di nuovo (non è la prima volta che tentano di catturarlo) dalle loro mani2.
I Giudei non vogliono accogliere la rivelazione di Gesù, per questo non fanno parte del suo gregge (vv. 25‐26). Quelli che gli appartengono, invece, ascoltano la sua voce; si sentono conosciuti da lui e lo seguono. Nella Bibbia la conoscenza è conoscenza d’amore. Gesù vuole dire che le sue pecore conoscono il suo amore, ne hanno fatto esperienza perché si sono fidate di
1 Questa festa ebraica, che durava otto giorni, si celebrava nel mese di
dicembre, tre mesi dopo la feste delle Capanne. Ricordava la nuova dedicazione dell’altare e la riconsacrazione del tempio da parte dei Maccabei nel 164 a. C., in seguito alla profanazione fatta da Antioco IV Epifane . Sant’Agostino, partendo dal fatto che è inverno, dice che non solo il clima è freddo ma anche il cuore degli ascoltatori.
2 A conferma di quanto aveva detto in precedenza: lo prenderanno solo quando giungerà la sua ora e lui si farà prendere.
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lui, per questo lo seguono. Da Gesù ricevono la vita eterna, cioè il suo amore, il loro destino eterno è la vita; nessuno può “rapirle” dalla sua mano e consegnarle alla morte perché le parole e le azioni di Gesù sono le parole e le azioni stesse di Dio.
b. Il filo rosso
La nostra gioia ruota tutta attorno all’intimità di rapporto che noi pecorelle abbiamo con Lui, nostro Pastore. Essa si regge sulla rassicurazione rivoltaci da Gesù, che chiama a garanzia persino l’autorità del Padre, che è il più grande di tutti, e visto che è stato Lui che glie le ha date, allora nessuno può strapparle dalla mano di Gesù.
È qui descritta una situazione di estrema sicurezza in merito al rapporto delle pecore con il loro pastore. Vediamo allora questo rapporto!
Intanto il pastore non è “buono”, ma “bello”. In Gv 10,11 così si qualifica in realtà Gesù stesso (Io sono il bel pastore). Come interpretare la bellezza del pastore? Innanzitutto è “bello” nel senso estetico; lo è anche in ordine al fine della salvezza, cioè “conveniente, utile, senza difetti”; lo è inoltre dal punto di vista morale, “modello, gradito a Dio, salvifico”; infine anche semplicemente nel senso di “caro, amato, desiderabile, eccellente,
vantaggioso”1. La differenza di accenti rispetto alla traduzione tradizionale è
assolutamente rilevante! Noi siamo pecore che seguono il pastore perché riconosciamo in Lui qualcosa di assolutamente affascinante e desiderabile. Riconosciamo in Lui una bellezza che fa riecheggiare in noi arcaici richiami. Abbiamo la sensazione che lo conosciamo da sempre. Riconosciamo nella sua voce qualcosa che era in noi da prima che nascessimo e che non sappiamo neanche più come e perché abbiamo perduto. Riconosciamo
nella sua voce una bellezza tanto antica e sempre nuova2, nella quale troviamo Lui e ritroviamo noi stessi. Quell’amore è l’esperienza originaria della nostra creazione, è casa nostra più di ogni altro luogo. Ci ha creati e ora ci può ricreare, nuovi e autentici allo stesso tempo!
1 Cfr SANTI GRASSO, Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e
teologico, Roma 2008, 443. 2 Cfr. S. Agostino, Le confessioni, X, 27.
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c. Giovani
Il messaggio del Buon Pastore ci parla di un incontro che diventa esperienza di amore.
Quell’amore che noi giovani sentiamo dal profondo del cuore come senso vero della nostra esistenza, del nostro quotidiano e che cerchiamo con tutto noi stessi. Spesso questa ricerca si carica di difficoltà, di strade sbagliate, di sollecitazioni ingannevoli, ma ecco che arriva Colui che ci ama veramente come la pecorella smarrita, ricercata, ritrovata, accolta, perdonata e festeggiata. Ecco che ci rassicura perché ci sentiamo conosciuti e amati per cui sappiamo che possiamo fidarci di lui, ascoltare la sua voce e seguirlo anche quando non capiamo.
Il suo amore ci esalta, ci fa entrare in una comunione sovrumana che è quella della vita eterna, che diventa in noi fonte di gioia. E ci lascia sempre persone libere, capaci di deciderci per l’amore, liberi dal capriccio nel dono totale di sé fino al sacrificio.
Il suo amore totale e incondizionato ci rassicura, ci dà la certezza che nessuno ci potrà rapire e distogliere da quell’incontro d’amore perché Dio si è compromesso con noi. E’ un’immagine sponsale che ci parla della comunione con Dio che poi diventa comunione e donazione nelle varie scelte di vita, per cui possiamo decidere la nostra vita offrendoci totalmente all’altro o agli altri e per sempre nella forza dell’amore.
Concretamente noi questo amore di Gesù e del Padre dove lo vediamo nella nostra vita e lo sperimentiamo? Per quel poco che abbiamo sperimentato, quale capacità abbiamo nel Signore di credere all’amore e di decidere di giocarci la vita per l’amore?
d. Carità e testimonianza
Il Santo Padre nell’Omelia di inizio Pontificato in occasione della Festa di San Giuseppe si è espresso così: “Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi,
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al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”
Dio ci ha mostrato e ci mostra quotidianamente il suo amore di Padre, che con premura e attenzione custodisce i suoi figli. Nessuno potrà strapparci dalla sua mano amorevole.
Ognuno di noi è nel cuore di Dio.
• La cura dei malati, il soccorso ai sofferenti, la vicinanza ai lontani, l’accoglienza di chi ha sbagliato, l’annuncio del Vangelo, sono alcuni dei modi con cui Gesù ha “donato vita” e “custodito in pienezza” coloro che il Padre gli aveva affidato. Siamo capaci di custodire ogni persona con l’amorevole tenerezza del Padre?
• Nell’accostarci a chi vive nella difficoltà siamo capaci di trasmettere la tenerezza e l’attenzione con cui il Padre si prende cura di ciascuna persona? Quali sono i nostri atteggiamenti verso di loro?
e. Spunti per attività
Obiettivo.
La seguente proposta di lavoro può essere utilizzata sia per il primo che per il secondo modulo. In entrambi i casi l’attivazione, infatti, vuole mettere a fuoco la gioia dell’uomo che nel cammino della vita, spesso smarrito e confuso, riconosce la voce del Signore che gli si fa accanto, scalda il suo cuore, di cui Lui conosce le angosce e le speranze.
Descrizione dell’attività
1. Si invita il gruppo a camminare in uno spazio prestabilito. Ognuno dei presenti guarda negli occhi gli altri e sceglie un compagno/a con cui costituire una coppia per il lavoro
2. A ciascuna coppia si dà 20 minuti di tempo per raccontarsi di quanto ciascuno porta nel proprio cuore, soprattutto le proprie ansie e speranze del momento.
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3. Si ricostituisce il grande gruppo, tutte le coppie vengono mescolate e bendate
4. Ciascuno dovrà cercare il proprio compagno/a riconoscendo la sua voce nella confusione. Non sarà possibile chiamarsi per nome, ma solo usare parole ed espressioni di quanto l’altro ha espresso di sé nel colloquio avuto precedentemente.
Alla fine dell’attivazione ci si sistema in circolo e si condivide
liberamente quanto si è vissuto per poi reinterpretare l’esperienza alla luce della fede.
Domande stimolo
Le domande stimolo per la conversazione potrebbero essere del tipo:
• Come ti sei sentito quando vagavi nel buio e ti sentivi disorientato nella confusione delle voci?
• Com’è stato per te quando hai riconosciuto la voce del tuo compagno/a?
• (oppure) Com’ è stato per te non riconoscere il tuo compagno/a e rimanere solo?
• Ti sei sentito accolto e “conosciuto” dal tuo compagno/a?
• E’ sempre facile per te riconoscere la voce del Signore nelle vicende della vita?
• Quali” voci” dentro e fuori di te oscurano la presenza del Signore?
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f. Momento celebrativo
PER UNA REGOLA DI VITA (I) 3
Proponiamo in 4 tappe un vero e proprio schema per una regola di vita. Ci avvaliamo delle riflessioni del cardinal Martini. Non si tratta di una celebrazione ma di un momento di riflessione personale.
Dividiamo questa regola di vita in 4 tappe: 1. l’inquietudine del cuore 2. i doni tramandati dalla chiesa 3. l’accoglienza dei doni ricevuti 4. la restituzione dei beni accolti
L’INQUIETUDINE DEL CUORE
Le domande rivolte verso Dio
La “regola di vita” vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere. Quali sono? Se guardiamo dentro il nostro cuore, troviamo tante gioie e dolori e tante domande. Come stanno insieme i dolori e le gioie della vita? Qualunque godimento, anche il più legittimo e semplice, sembra scolorire davanti alla sofferenza. Come si conciliano le gioie autentiche con le prospettive di morte? Perché la morte nel mondo? Perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire? E perché il Signore sembra tacere? È proprio vero che Gli stiamo a cuore?
Lo sguardo di Dio su di noi
Proviamo adesso a rovesciare il soggetto delle domande. Proviamo a capovolgere la domanda, a passare dall’interrogare all’essere interrogati? e se consentissimo a Dio di porci Lui le Sue domande?
Cosa noterebbe in noi Il Signore? il nostro cuore è mosso tante volte da motivazioni egoistiche, vogliamo stare al centro e misurare tutte le cose, perfino l’agire di Dio! Pensiamo alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle
3 Cfr. C.M. Martini, Parlo al tuo cuore, Lettera pastorale 1996
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nostre chiusure; pensiamo alla facilità con cui ci lasciamo prendere da logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo. Le domande che Dio ci fa ci invitano a riconoscere le ragioni del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito.
La morte redentrice
In questo modo prendiamo coscienza del nostro egoismo e della nostra fragilità, e di come non bastano le buone intenzioni per cambiare il mondo e la vita. C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi e gli alti e i bassi si susseguono con un’impressionante frequenza.
È evidente dunque che il nostro cammino è contorto ma proprio tramite questo cammino Dio ci ama e ci fa suoi figli. Il Signore ci lascia in questa lotta, che ci è ripugnante ma forse solo attraverso di essa impariamo ad amare e ad accettare di credere che un Dio sia morto in croce accettando la necessità di questa morte. Sì annuncia così la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per sollevare e salvare ciascuno di noi.
Dio sta dalla nostra parte
Dio sta dalla nostra parte e partecipa al dolore per tutto questo male che devasta la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e lontano, ma “soffre” per noi e con noi, per le nostre solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. Gesù Cristo è capace di tenerezza e di pietà fino al punto da “soffrire” per i peccati del mondo. Un Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi figli. Un Dio umile, che manifesta la Sua onnipotenza e la Sua libertà proprio nella Sua apparente debolezza di fronte al male. Un Dio che per amore accetta di subire il peso del nostro peccato e del dolore che esso introduce nel mondo. Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a trarre il bene dal male, la vita dalla morte. Anche se questo ci sembra un controsenso e diremmo come Pietro: «Dio te ne scampi, Signore: questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). Quando la “legge della Croce” ci tocca, ci
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sconvolge e ne siamo profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione dal male, fino ad accettarne le conseguenze su di sé per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla croce.
Cosa devo fare?
Dobbiamo accettare perciò la vita senza sfuggirvi, e allo stesso tempo arrendersi contemporaneamente nelle mani del Dio umile e sofferente, del “Dio crocifisso”. Solo abbandonandomi perdutamente a Lui, solo capitolando nelle Sue mani potrò riprendere nelle mie il bandolo della matassa intricata della vita. C’è una prova sicura che il Vangelo ha la capacità di illuminare la mia vita? Possiamo rispondere solo partendo dalla nostra esperienza personale. Quando ci facciamo toccare dall’amore la nostra vita si trasforma e ci apriamo alla riconoscenza per un dono immenso.
Dove trovare allora questo Dio e dove farne esperienza: nella Chiesa, nel Vangelo in essa proclamato, nei Sacramenti, che sono la presenza sensibile di Lui, nel suo popolo. Nella Chiesa mi riconosco amato e reso capace di amare, nonostante me stesso, le mie contraddizioni e paure.
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3. Terzo modulo. Il duplice orientamento della gioia
At 1,1‐11. L’Ascensione
1Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece
e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizione agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. 3Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, “quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo”.
6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostruirai il regno per Israele?”. 7Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
a. Approfondimento esegetico
Questo brano può essere considerato una introduzione al libro degli Atti. Essa ha carattere riassuntivo e manifesta l’intenzione di Luca di legare saldamente gli Atti degli Apostoli al Vangelo, in particolare a Luca 24: il tempo nuovo inaugurato con la venuta di Gesù continua, ma ormai si svolge nella luce e nella forza del Risorto.
Possiamo dividere il brano in quattro parti: il prologo (vv. 1‐2); un sommario (v. 3); le ultime parole di Gesù (vv. 4‐8); l’Ascensione (vv. 9‐11).
Vediamo il prologo. Il libro degli Atti, come il Vangelo (Lc 1,1‐4), è dedicato a Teofilo, l’ “amico di Dio”. Il primo libro, ricorda Luca, contiene i fatti e l’insegnamento di Gesù fino alla sua Ascensione in cielo, includendo
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quindi anche le apparizioni del Risorto; tutto questo fa parte dell’annuncio cristiano fondamentale. Il collegio degli Apostoli e lo Spirito Santo, qui menzionati dall’autore, sono i due personaggi, per così dire, su cui è imperniata la prima sezione (1,12‐2,48). Forse lo Spirito Santo (nel testo greco) è posto volutamente tra «dare disposizioni» e «scegliere». Egli è all’origine delle due attività di Gesù.
Il sommario è una sintesi sulle apparizioni del Risorto. Esse sono veri incontri con il Vivente, non visioni di un fantasma. Luca afferma che Gesù «si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove». Il termine usato in greco indica una prova inconfutabile. Luca insiste quindi sulla concretezza storica delle apparizioni. Attraverso di esse il Risorto forma gli Apostoli. I quaranta giorni hanno un valore simbolico, non cronologico, per cui non c’è contraddizione con Lc 24,41‐43, dove si dice che l’Ascensione avviene la sera stessa del giorno della risurrezione. Nell’ottica di Luca i quaranta giorni sono il periodo di formazione completa, che abilita gli Apostoli a essere i trasmettitori dell’insegnamento di Gesù.
L’ultimo dialogo tra Gesù e gli Apostoli, come in Lc 24,41‐43, avviene «a tavola». Però, mentre nel Vangelo il mangiare del Risorto ha lo scopo di mostrare il realismo corporeo della sua risurrezione, qui la scena ha la caratteristica di un simposio (cioè di un banchetto durante il quale si parla di argomenti dotti) e nel dialogo vengono ripresi temi trattati in precedenza: Gerusalemme, centro della storia della salvezza e punto di partenza della missione degli Apostoli; la promessa dello Spirito Santo; gli Apostoli testimoni del Risorto. Allo stesso tempo l’evangelista guarda all’evento della Pentecoste e prepara il lettore a esso. Al v. 5 la promessa del Battista (Lc 3,16) diventa la promessa di Gesù: il battesimo annunciato da Giovanni si realizzerà, come promessa di Cristo, alla Pentecoste. E il dono Spirito Santo non rimanda più all’imminente giudizio divino (manca il termine “fuoco” presente in Lc 3,16), ma inaugura il tempo della Chiesa nella storia.
Al v. 6 troviamo la domanda dei discepoli: la fine dei tempi che, nella tradizione apocalittica coincide con l’effusione dello Spirito di Dio e con l’inaugurazione del regno messianico in Israele, è imminente? La risposta del Risorto (vv. 7‐8) da una parte ribadisce che solo il Padre conosce la data della fine del mondo, dall’altra presenta ai discepoli il loro programma di vita: la missione da Gerusalemme fino ai confini della terra sotto la guida e
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con la forza dello Spirito Santo. Gli Atti degli Apostoli si concludono con l’arrivo di Paolo a Roma e così il programma rimane aperto: tra Roma e i confini della terra c’è un vuoto, questo vuoto sarà occupato dalla storia della Chiesa lungo i secoli.
L’evangelista Luca racconta l’Ascensione due volte: qui e in Lc 24,50‐52. Le differenze tra le due versioni mostrano che egli vuole far capire il significato per la fede di un aspetto reale ed essenziale della risurrezione di Gesù: il suo stare nel seno del Padre o “alla destra di Dio”, cioè nella piena partecipazione alla condizione e ai poteri divini
1. Il testo dice che una nube sottrae Gesù agli occhi dei discepoli.
Nell’Antico Testamento troviamo la nube nelle manifestazioni di Dio: è il segno della vicinanza di Dio, presenza nascosta ma reale. Gesù risorto è nella condizione divina, ma la sua presenza nella Chiesa2, benché invisibile, rimane reale.
Il racconto si conclude con l’intervento di «due uomini in bianche vesti», esseri celesti dunque. Essi hanno il compito di interpretare quanto è accaduto: la partenza di Gesù apre alla Chiesa un tempo che si estende dalla Pasqua di risurrezione fino alla venuta gloriosa, che conclude la storia della salvezza.
b. Il filo rosso
L’ascensione spiega il senso profondo della risurrezione che ha portato Cristo nella gloria della divinità. E ci indica anche qual è la nostra destinazione (vado a prepararvi un posto). Questo ci procura una gioia grande! Sappiamo che la nostra vita ha un significato preciso, che non siamo qui a caso e che non è destinato tutto a finire inesorabilmente nel nulla e nel non‐senso.
1 Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 668 afferma:
«L’Ascensione di Cristo al cielo significa la sua partecipazione, nella sua umanità, alla potenza e all’autorità di Dio stesso. Gesù Cristo è il Signore: Egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra».
2 CCC 669: «Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il suo corpo. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua missione, Egli permane sulla terra, nella sua Chiesa».
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Eppure non possiamo chiuderci in una gioia che sia solo a nostro uso e consumo. Se rimanessimo nostalgicamente a guardare il cielo, la nostra gioia presto finirebbe per collassare su se stessa e diventare noia e depressione. Siamo chiamati a evitare questo avvitamento egocentrico su
noi stessi. Siamo chiamati piuttosto a dare testimonianza del nostro incontro con il
risorto in una apertura universalistica (di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra). Del resto la gioia è così, se la chiudi in se stessa muore, se la apri alla condivisione cresce e si approfondisce. La nostra gioia di cristiani cresce e si arricchisce nella testimonianza, ovvero nella condivisione dell’esperienza del risorto con i fratelli che incontriamo nel nostro cammino di vita. In questo modo annunciamo la Pasqua a chi non l’ha ancora vissuta, portiamo la vita di Cristo laddove c’è ancora la morte del peccato.
• Come conciliare la gioia per il Signore con la felicità che può venire dalle cose belle della vita?
• Riesco a mantenere un equilibrio tra lo sguardo verso le cose di Dio (perché state a guardare il cielo), e le cose della nostra vita (di me sarete testimoni a…)?
• Tendo a sbilanciarmi di più nell’essere troppo “verticale” cadendo in una spiritualità troppo intimistica e lontana dalla concretezza della vita? O, al contrario, tendo a vivere troppo in modo “orizzontale”, negli impegni e nelle situazioni contingenti trascurando il mio rapporto con Dio? Cosa faccio/posso fare per riequilibrare la mia tendenza a sbilanciarmi?
c. Giovani
Gesù glorificato alla destra del Padre ci dà la certezza che il destino della nostra umanità e di ogni uomo è la comunione piena con Dio, ma ci dà anche la certezza che Gesù è sempre con noi, è fonte della nostra comunione, del nostro impegno per la costruzione del Regno e fonte della nostra gioia.
E questo in virtù della testimonianza qualificata degli apostoli e dello Spirito Santo. Inizia il tempo della Chiesa, cioè il nostro tempo, in cui con Cristo viviamo la salvezza dell’umanità e andiamo verso la pienezza di vita e
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di amore e il pieno incontro con Dio. Teniamo presente le parole degli angeli che ci esortano a non vivere una religiosità disincarnata, ma nella concreta storia di ogni giorno ad attendere e a preparare il ritorno del Signore.
L’ideale e l’impegno devono trovare noi giovani sempre generosi nel donare noi stessi, portatori della speranza che deve illuminare la storia intera dell’umanità. “Non fatevi rubare la speranza” ci ha detto il papa Francesco e noi vogliamo essere i portatori di questa sua forza. Ed essendo la forza di Cristo siamo chiamati a vivere e a testimoniare che essa vince le crisi, le paure, i peccati.
Nella tua visione di Chiesa che significa la presenza in essa dell’azione qualificante dello Spirito santo e degli apostoli? Ti senti uomo della speranza? Che significa per te questo in un mondo segnato dalla crisi, dal ripiegamento su di sé, da idolatrie varie?
d. Carità e testimonianza
Siamo chiamati a vivere e celebrare due partenze: quella di Gesù che sale verso l’alto e quella rivolta a ciascuno di noi, suoi discepoli, verso gli angoli della terra ad annunciare ciò che abbiamo visto e sentito da Gesù.
È solo la dimensione verticale quella che appartiene alla fede, quella in cui troviamo gioia e consolazione? O non anche l’altro braccio della croce che arriva ai confini della terra?
La stessa domanda è rivolta anche a ciascuno di noi, oggi. “Perché state a guardare il cielo? Dove stiamo cercando Dio? Qual è il luogo della esperienza di Dio? Dove stiamo guardando? Non saranno qua, tra noi, le strade, le risposte, le esperienze di Dio?
La partenza degli apostoli inizia con il ritorno al luogo in cui Gesù si è dato, nella stanza della cena, nella stanza della comunione, delle confidenze. Ma il tornare a spezzare il Pane, il tornare a ritrovarsi uniti dallo Spirito, nella preghiera, ci spinge ad uscire per le strade del mondo, ci spinge a nel dono di noi stessi per gli altri.
• Nel servizio al Vangelo della Carità ritorniamo all’incontro profondo e gioioso con Gesù?
• Gli uomini e le donne che incontriamo, che accostiamo mostrandogli la provvidente cura del Padre per loro, scorgono in noi uno sguardo rivolto verso il cielo?
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• In che modo lo Spirito Santo ci sta chiamando a giocarci nella nostra vita, oggi?
e. Spunti per attività
Obiettivo
L’attività suggerita per il terzo modulo vuole suggerire una riflessione
sulla propria identità alla luce della fede: come diceva san Francesco d’Assisi “Chi sono io Signore? Chi sei tu?”…. L’itinerario proposto vuole portare a scoprire quanto nella misura in cui ci facciamo intimi a Dio tanto più conosciamo noi stessi e ci conformiamo a Colui di cui siamo l’immagine e che è il fine ultimo di tutta la nostra vita
Descrizione dell’ attività
1. Si dispone il gruppo in circolo al cui centro sono stati posti dei cartoncini (tanti quanti sono i presenti) su cui è stato incollato precedentemente un piccolo specchio, anche di quelli opachi e cartonati che vengono utilizzati dai bambini
2. L’educatore introduce il tema dell’incontro ed invita ciascuno a prendere un cartoncino e ad osservarlo attentamente. Si scoprirà insieme che sul retro c’è un puzzle che raffigura un viso
3. Si chiede a ognuno di allontanarsi per 15 minuti e in silenzio di guardare la propria immagine nello specchio e di chiedersi “Quali volti di persone a me vicine vedo riflessi nei miei occhi e nel mio viso?”
4. Una volta individuati si invita ciascuno a scrivere i nomi scrivo dentro ad ogni pezzetto di puzzle
5. Terminati i 15 minuti si invita il gruppo a dividersi in coppie e a condividere il proprio lavoro, soprattutto quanto emerge a livello di emozioni e pensieri ( risorse, condizionamenti, aspettative, desideri ecc…) guardando il puzzle
6. Si ricostituisce il grande gruppo e si vede insieme il DVD di Benigni al XXX canto del Paradiso, là dove si racconta la visione
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che Dante ha di Dio quando, nel secondo cerchio, scorge riflessa la sua immagine in quella del Figlio
7. Terminata la visione l’educatore invita il gruppo a condividere ciò che è emerso in ciascuno. La conversazione cercherà di mettere a fuoco cosa intendesse dire Dante quando, dopo essersi smarrito alle porte dell’inferno e aver percorso lunga strada fino al paradiso alla ricerca del senso della sua vita,finalmente realizza il suo desiderio di vedere Dio e vedendolo ritrova se stesso.
Domande stimolo
Si solleciterà ciascuno a chiedersi quanto la fede sia liberante rispetto
alle propria e altrui identità e faccia emergere la bellezza di ciò che siamo, sulla scia di domande‐ stimolo
• Che esperienza ho di me e della mia vita alla luce del mio rapporto con Dio?
• Che valore do alla persona che sono oggi e alle mie relazioni se colloco nella dimensione della fede?
• Riesco a cogliere mia vita in un’ottica di eternità dove ogni cosa acquisterà il suo senso definitivo?
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4. Quarto modulo. La pienezza di gioia in comunità
At 2,1‐11. La Pentecoste
1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti
insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: «Che cosa significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».
a. Approfondimento esegetico
La conclusione del Vangelo e l’inizio di Atti preparano il lettore al racconto della Pentecoste: in Lc 24,49 e At 1,4.5.8 lo Spirito Santo è il dono promesso dal Padre che gli Apostoli devono attendere a Gerusalemme. Come per Gesù all’inizio del Vangelo (Lc 4,18), così anche per la Chiesa, la discesa dello Spirito Santo conclude il periodo di preparazione e inaugura quello della missione.
Si può dividere il racconto in due scene: l’azione dello Spirito Santo (vv. 1‐4) e la reazione della folla (vv. 5‐11). La parola “Pentecoste” in greco significa “cinquantesimo” (sottinteso giorno): è la festa che si celebrava
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cinquanta giorni dopo la Pasqua1. In ebraico è detta festa delle Settimane: cinquanta giorni sono sette settimane. In origine festa agraria come la Pasqua, al tempo di Gesù e degli Apostoli celebrava il dono dell’alleanza. È questo lo sfondo del racconto: la venuta dello Spirito del Risorto sigilla il compimento della nuova alleanza di Dio con il suo popolo. In questa prospettiva si può interpretare l’inizio del racconto: «Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste».
Il testo dice che «si trovavano tutti nello stesso luogo» (v. 1). Qui Luca non precisa chi siano questi “tutti”; in At 1,13‐14 egli aveva affermato che gli Undici erano soliti riunirsi «nella stanza del piano superiore», aggiungendo che «erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui». Possiamo dedurre che le persone riunite in questo luogo siano queste, più Mattia, che nel frattempo è stato eletto per ristabilire il numero dodici, voluto da Gesù nella scelta degli Apostoli (1,15‐26). È il nucleo iniziale della Chiesa, con, alla sua testa, il gruppo dei Dodici. Non è un caso che in 1,13 troviamo l’elenco degli Apostoli, come all’inizio della vita pubblica di Gesù. Essi incarnano la continuità tra Gesù e la Chiesa.
Luca vuole dire che sono tutti presenti e nell’atteggiamento più idoneo per accogliere il dono dello Spirito: la preghiera fatta nell’unità dei cuori.
La venuta dello Spirito Santo è una teofania: il vento impetuoso, come conviene alla “potenza” promessa dal Padre, e il fuoco. «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro», dice precisamente il testo. Il dono dello Spirito viene dato personalmente a ciascuno e ciascuno riceve una propria capacità di parola. Al versetto 4 si dice infatti che «cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi».
Facciamo notare che il verbo usato, “furono riempiti”, è all’aoristo, tempo greco che indica un’azione puntuale: è un evento fondante, quindi iniziale e unico, ma il dono rimane per sempre nella vita della Chiesa.
Il dono dello Spirito, al quale allude Luca, non è la glossolalia (il parlare estatico), ma il «parlare in altre lingue», e cioè un parlare intelligibile a tutti; è un parlare missionario.
1 La festa di Pasqua e la festa di Pentecoste erano le due grandi feste di
pellegrinaggio degli Ebrei.
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La seconda parte comincia con la menzione dei Giudei osservanti (cioè fedeli alla Torah), provenienti da «ogni nazione che è sotto il cielo», che abitavano a Gerusalemme (v. 5). Non si tratta di pellegrini venuti per la festa, ma di residenti in città, tornati in Giudea per esservi sepolti. Saranno loro i destinatari della primissima predicazione apostolica, per formare la primissima comunità cristiana. Abbiamo uno dei grandi temi lucani: l’universalismo del messaggio evangelico pur nel rispetto della priorità d’Israele.
È accaduto un fatto straordinario, ciascuno li sente parlare nella propria lingua, per questo la reazione della folla è la meraviglia (vv. 6‐7). A questo punto il narratore passa al discorso diretto.
Viene ricordata l’origine geografica dei predicatori: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei?». Tutto è cominciato in Galilea dove Gesù ha chiamato gli Apostoli. L’elenco dei popoli (vv. 9‐11) segue un moto circolare che va da oriente a occidente. E’ importante la menzione dei Romani perché il libro degli Atti si conclude con l’arrivo di Paolo a Roma. Gli studiosi discutono su quale sia l’origine di questo elenco: Luca, o si ispira alla tavola delle nazioni di Genesi 10, oppure enumera le regioni della diaspora giudaica.
Nell’esegesi patristica il racconto della Pentecoste conterrebbe un’allusione all’episodio della torre di Babele (Gen 11,1‐9)2: grazie allo Spirito Santo si ritorna all’unità. È lo Spirito Santo l’artefice dell’unità nella Chiesa. San Cirillo di Alessandra afferma: «Noi tutti che abbiamo ricevuto l’unico e medesimo spirito, lo Spirito Santo, siamo uniti tra di noi e con Dio. Infatti, sebbene, presi separatamente, siamo in molti e in ciascuno di noi Cristo faccia abitare lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo Spirito. Egli riunisce nell’unità spiriti che tra loro sono distinti… e fa di tutti in se stesso un’unica e medesima cosa. Come la potenza della santa umanità di Cristo rende con corporei coloro nei quali si trova, allo stesso modo l’unico e indivisibile Spirito di Dio che abita in tutti, conduce tutti all’unità spirituale» (citato in CCC 738).
2 Questo brano è proposto dalla Liturgia nella Veglia di Pentecoste.
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b. Il filo rosso
L’alito di Dio diventa un vento potente e portatore di vita nuova4 alla maniera di un vento che si abbatte impetuoso. Lo Spirito Santo si presenta loro in forma di lingue come di fuoco, che rendono gli apostoli capaci di parlare in altre lingue. L’insistenza sull’immagine della lingua e sul linguaggio prepara alla comprensione dell’effetto dello Spirito Santo, che è il parlare in lingue diverse eppure finalmente capirsi.
Tante volte ci capita nella vita di parlare la stessa lingua e di non capirci. “Ma che parlo una lingua diversa?!”: spesso in una discussione o in un litigio sono queste le parole di lamento da parte di chi parla e non riesce a farsi capire. In questi momenti sembra di rivivere l’episodio opposto a quello della pentecoste, sembra di essere tornati alla costruzione della Torre di Babele di Genesi 11. Lì la smania di grandezza rese gli uomini incapaci di comprendersi, seminando divisione e sconforto. Fino a che la torre, espressione della presunta forza dell’uomo crollò inesorabilmente sulla sua stessa presunzione. Come conseguenza si ebbe la frammentazione dei popoli, che si dispersero in terre diverse e lontane, non riuscendosi più a comprendere.
Al contrario oggi, nella Pentecoste, lo Spirito di Dio espressione della potenza di Dio accolta dagli uomini che hanno fatto pace con la loro piccolezza, diventa fonte di pace, stupore, gioia piena! Sì, perché la vera gioia – sembra dirci questa storia degli uomini raccontata con la Parola di Dio – sta nel capirsi, nel trovare finalmente quella tanto agognata armonia con se stessi e con gli altri, che però può esserci solo se si fa pace con la propria piccolezza e si accoglie la grandezza di Dio. Pace con la propria piccolezza, comprensione umile dell’altro e gioia, sono tappe di uno stesso salvifico percorso. Su questo processo – reso possibile dal soffio dello Spirito – si fonda la nostra possibilità di comunione. Questo fonda la nostra chiesa e la rende davvero luogo della gioia per tutti noi, peccatori ma redenti da Cristo.
4 Cfr. J.A. FITZMYER, Gli Atti degli Apostoli. Introduzione e commento,
Brescia 2003, 210: tanto l’ebraico “ruah” che il greco “pneuma” significano sia alito di vita che vento, spirito.
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• Quanto la logica mondana della grandezza e della forza
caratterizza le mie scelte? Nella mia comunità di fede, sono preoccupato di essere apprezzato o sono disposto ad accettare di apparire piccolo pur di edificare una comunione vera?
• Quanto è forte in me l’atteggiamento di auto‐affermazione o persino di rivendicazione dei miei diritti e dei miei meriti?
c. Giovani
La Pentecoste celebrava l’alleanza di Dio con il suo popolo, in tale alleanza questo popolo si sentiva unito, forte e pieno di fiducia per il futuro e in quello stesso giorno, mentre il gruppo costituito dagli apostoli, Maria e gli altri discepoli era in preghiera nella comunione dei cuori, avviene la consacrazione dello Spirito Santo che scende su ciascuno di loro e inizia a manifestarsi con potenza.
E’ la consacrazione della Chiesa per la missione come Gesù al Giordano era stato consacrato di Spirito Santo per la missione. Ora Gesù, dopo aver compiuto il mistero pasquale di morte e resurrezione, a Pentecoste, affida alla sua Chiesa la stessa missione nello Spirito Santo. La missione è universale, parte da Gerusalemme fino ai confini del mondo.
Lo Spirito Santo si manifesta negli apostoli forza di libertà, di coraggio, di testimonianza e di pienezza di gioia. Sono le caratteristiche che lo Spirito Santo attraverso l’entusiasmo dei giovani vuole tenere vive nella Chiesa e operanti nel mondo.
La Pentecoste si rinnova ogni volta che il Signore trova qualcuno disposto a farsi strumento di tale forza. Tutte le vocazioni hanno alla loro origine questo spirito, e noi giovani dobbiamo aprirci alla sua azione e affidarci alla sua forza con la certezza che lì troveremo la nostra vera realizzazione e la pienezza della gioia. Tutti i cammini sono animati da questo spirito che chiama tutti all’unità e al servizio dell’umanità.
Che percezione hai tu nella tua scelta di vita che lo Spirito Santo è presente e ti chiama a cose grandi e ti dà la certezza che nulla è impossibile?
Come vivi la tua appartenenza alla Chiesa come chiamata alla comunione? Come dalla tua esperienza nel piccolo gruppo, nella piccola
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comunità ti senti chiamato dallo Spirito Santo a vivere e a costruire la comunione più grande di tutta la Chiesa perché una e unita nell’unico Spirito la vuole il Signore?
d. Carità e testimonianza
Accogliere il dono dello Spirito Santo nella nostra vita ci porta a far nostro l’amore di Dio e ci introduce nel mistero di Cristo, nell’intimità del Figlio di Dio con il Padre. Rendendoci figli nel Figlio siamo capaci di chiamare Dio, “Padre” e le persone che con noi condividono l’esperienza del suo amore, “fratelli”.
L’esperienza è evento, avvenimento che riguarda la nostra vita, accade a noi.
• Posso dire che lo straniero, o il povero, o il non credente, o il carcerato, è accolto nella mia vita e nella mia casa come fosse mio fratello? Ne racconto l’esperienza.
• Sono pronto a condividere il dono d’amore dello Spirito Santo, che si fa concreto nel dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti, consolare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare le persone moleste, pregare per i vivi e i morti? Ne racconto l’esperienza.
e. Spunti per attività
Obiettivo.
La proposta di lavoro per il quarto modulo mira a far riflettere il gruppo sulle difficoltà di costruire relazioni autentiche e di riuscire a superare l’incomunicabilità. Prende spunto da due racconti biblici: quello della Genesi e della superbia degli uomini che vogliono costruire una torre alta fino al cielo e che Dio umilia confondendo le loro lingue, e quella degli Atti degli Apostoli in cui Luca narra di una comunità che si apre alla potenza dello Spirito e diventa comunità capace di superare ogni paura e che vive nella dimensione dell’amore.
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Descrizione dell’attività
1. Visione del film “Babel” del regista messicano Alejandro
Gonzalez Inarritu .
Il film è un mosaico di un’umanità dispersa e incapace di comunicare. La
storia si svolge in tre distinti luoghi, diversi sia per cultura, che per lingua: tutti i personaggi soffrono del problema della comunicazione e si sentono isolati: chi nel deserto marocchino, chi nella grande città, chi nel nulla tra due confini. Tutti avrebbero, in teoria, la strada per uscire dalle difficoltà: servirebbero un po’ di ascolto e compassione, ma purtroppo i protagonisti si devono scontrare con l’incomunicabilità e il cinismo del mondo in cui vivono.
2. Si invita il gruppo a stilare insieme due elenchi: uno in cui si
annotano tutti gli ostacoli che impediscono ai protagonisti di uscire dalle proprie solitudini e l’altro in cui si evidenziano le risorse i personaggi del film fanno emergere e che aprono alla speranza di una possibilità di nuove relazioni.
Domande stimolo
Terminata questa fase si chiede al gruppo di confrontarsi con questi due elenchi e di condividere le proprie esperienze per chiedersi:
a. Quali sentimenti ci guidano nei nostri rapporti con gli altri?
b. Quali frutti dello Spirito (di cui parla san Paolo) riconosciamo nelle nostre relazioni?
c. Quanto valore diamo alla vita comunitaria sia nel quotidiano che nella nostro cammino spirituale?
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f. Momento celebrativo a sfondo vocazionale
UNA LETTURA VOCAZIONALE DI ATTI 2,1‐11
Nell’esegesi e nel filo rosso di Atti 2,1‐11 abbiamo potuto meditare sul
significato più stringente del testo, in questo caso invece proviamo una lettura diversa (forse anche un po’ forzata) che potrebbe aiutare tutta la parrocchia a sentire la questione della vocazione come propria.
v. 1. “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”, La parrocchia dovrebbe essere il luogo dove, al di là, delle varie
differenze si viva una dimensione comunitaria e di vicinanza e di mutua accoglienza. È sulla croce, che Gesù compie le sue ultime consegne e “fonda” la chiesa proprio nel momento della massima dispersione dei suoi (il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e la fuga defilata degli altri). Eppure proprio dalla croce consegna reciprocamente il discepolo che egli amava e la madre sua, continuando il suo ministero di unità e di amore, è dalla croce che nasce la chiesa. Questo deve essere il nostro itinerario spirituale, crescere nella comunione, nel rispetto reciproco e nell’accoglienza. La parrocchia diventerà così un luogo‐segno della presenza del Signore, un luogo dove fare esperienza del concreto amore di Dio.
v. 4. “ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi”.
La comunione però non è semplicemente un risultato “umano”, quanto piuttosto un dono dello Spirito. È lo Spirito l’artefice di questo miracolo. Un miracolo di amore, di comunione e di differenza. Dice San Paolo nella lettera ai Romani “gareggiare nello stimarsi a vicenda” (cf 12,10) ma questo è possibile solo grazie alla forza dello Spirito, mantenere la comunione e allo stesso tempo suscitare diversi carismi, ministeri, vocazioni. È proprio in un ambiente del genere che possono nascere nuove vocazioni, vocazioni al servizio del Signore e al servizio della Chiesa. Se la vocazione, qualsiasi essa sia, è una risposta all’amore di Dio, solo in un ambiente dove quest’amore si fa quasi tangibile essa potrà arrivare a maturazione e dare i suoi frutti cominciando “a parlare lingue nuove”. Far crescere le nostre parrocchie in questo senso è dunque essenziale per scoprire la bellezza della propria vocazione.
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v. 6. “la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua”
Questo è ciò che può accadere se, in una parrocchia, ci si impegna a farsi guidare dallo Spirito. Una folla si raduna, si raccoglie, c’è qualche fatto che suscita la curiosità, ognuno sente una lingua familiare, comprensibile, quella dell’amore e dell’accoglienza. La lingua dell’amore è universale, è di ciascuno. Questo risultato ci dice anche la bontà del cammino intrapreso, diventa una controprova della giustezza della scelta, fortifica così le scelte compiute.
v. 11. “e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” Nella vocazione, però, non si annuncia mai se stessi, mai una struttura,
ma le “grandi opere di Dio”. Quando si vive bene la propria vocazione, questo è quello che si deve annunziare, come Dio ha operato in noi. Anche nella parrocchia bisogna seguire questo stile, “nulla sia fatto per spirito di rivalità” (Fil 2,4) ma per rendere maggiore gloria a Dio. L’annuncio delle opere di Dio suscita conseguentemente nuove vocazioni perché è “come se Dio esortasse per mezzo nostro ” (cf 2 Cor 5,20). In questo modo si crea quasi un circolo virtuoso che suscita così nuove vocazioni al servizio di Dio e del suo popolo.
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CONTRIBUTO per L’ANIMAZIONE
LITURGICA DOMENICALE e FESTIVA
31 Marzo 2013 – Domenica di Pasqua “In Resurrectione Domini” –
Santa Veglia della Notte
Idea guida: VEGLIAMO ESULTANTI NELLA SANTISSIMA NOTTE IN CUI CRISTO RISORGE E CI CHIAMA A RISORGERE CON LUI.
Intenzioni di preghiera: Padre buono, le nostre parole non riescono ad esprimere la gioia della certezza nella vita eterna che la Risurrezione di Cristo ci dona; allontana da noi il timore e lo spavento perché i nostri sguardi giubilanti, che hanno visto la tomba vuota, possano far germogliare cuori pieni di esultanza per la convinzione che non lascerai la nostra vita nel sepolcro ma metterai dentro di noi uno spirito nuovo e anche noi potremo considerarci morti al peccato ma viventi per Te, in Cristo.
31 Marzo 2013 – Domenica di Pasqua “In Resurrectione Domini” –
Santa Messa del Giorno
Idea Guida: ESULTANTI PER IL TRIONFO DI CRISTO SULLA MORTE, SIAMO CHIAMATI AD ANNUNCIARE E TESTIMONIARE LA SUA VITTORIA AL MONDO.
Intenzioni di preghiera: Signore Gesù, abbiamo agitato con gioia i rami di ulivo al tuo ingresso a Gerusalemme, siamo rimasti stupiti nel Cenacolo quando ti sei fatto Pane e hai voluto lavarci i piedi, hai desiderato che ti fossimo vicini nel momento di angoscia nel Getsemani e il giorno dopo ti abbiamo visto in croce, spogliato della tua stessa vita; donaci oggi di correre verso il sepolcro vuoto per vedere e credere affinché possiamo poi correre con nuovo slancio verso i nostri fratelli ad annunciare e testimoniare che la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo, che la morte non è più la fine, che l’ultima parola è quella della Vita.
7 aprile 2013 ‐ II Domenica del Tempo di Pasqua o della Divina
Misericordia
Idea Guida: RICARICATI DALL’INFINITA MISERICORDIA DEL PADRE DIVENTIAMO CREDIBILI ANNUNCIATORI DELLA BUONA NOTIZIA.
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Idea Guida: Padre Santo, nella ricorrenza pasquale una moltitudine di uomini e donne si riunisce per continuare a ringraziare la tua eterna misericordia che ha permesso a Cristo di sconfiggere la morte; posa su di noi la tua destra perché anche noi possiamo testimoniare che Gesù è il Cristo nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza e la nostra gioia invada i cuori di coloro che sono lontani da Te affinché anch’essi possano assaporare il tuo Amore che è per sempre, e non siano più increduli ma credenti.
15 aprile 2013 – III Domenica del Tempo di Pasqua
Idea Guida: LA FEDE NELLA RISURREZIONE DI CRISTO È LA “BARCA” CHE CI CONDUCE DALLE TENEBRE DELLA DISPERAZIONE ALLA LUCE DELLA VERA VITA.
Intenzioni di preghiera: O Signore, tu che conosci tutto, sai che spesso, per timore del giudizio del mondo, non trasmettiamo agli altri il calore che sentiamo nell’incontrarTi. Concedici lo Spirito Santo perché possiamo sentirci lieti di essere giudicati davanti agli uomini per il nome di Gesù, certi che la tua bontà che è per tutta la vita ci condurrà a cantare lode, onore, gloria e potenza a Colui che siede sul trono dell’Agnello.
21 aprile 2013 – IV Domenica del Tempo di Pasqua
Idea Guida: CONFORTATI DALLA FEDELTÀ DEL PASTORE CI LASCIAMO GUIDARE ALLA FONTE DELLA VITA.
Intenzioni di preghiera: Signore, tante volte rifiutiamo di averti come guida e non ti riconosciamo come unico Signore della nostra vita; donaci la consapevolezza che la vera felicità sta nell’essere tuo popolo e gregge del tuo pascolo, perché solo in Te può trovarsi un amore che è per sempre orgogliosi di sapere che tu ci hai fatti e noi siamo tuoi.
28 aprile 2013 – V Domenica del Tempo di Pasqua
Idea Guida: NON POSSIAMO RIMANERE INDIFFERENTI ALLA RIVOLUZIONE DEL SIGNORE CHE, NELLA RISURREZIONE DI CRISTO, TRASFORMA IL NOSTRO PIANTO IN GIOIA.
Intenzioni di preghiera: Signore Gesù, che espandi su tutte le creature la tua tenerezza, donaci di essere riconosciuti come tuoi discepoli non nell’abitudinarietà dei riti ma nella pratica del comandamento dell’amore
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perché attraverso di noi il mondo veda che le cose di prima sono passate quando, nella Risurrezione di Cristo, hai asciugato ogni lacrima dai nostri occhi e abbiamo potuto proclamare che hai fatto nuove tutte le cose.
5 maggio 2013 – VI Domenica del Tempo di Pasqua
Idea guida: CONSOLIDATA LA NOSTRA FEDE NELLA PAROLA DEL SIGNORE, NON LASCIAMO CHE I NOSTRI ANIMI VENGANO PIÙ TURBATI
Intenzioni di preghiera: Signore Gesù, troppe volte non consideriamo la Tua Parola con la giusta importanza e preferiamo alla Tua voce, la voce del mondo; aiutaci a comprendere che Tu sei la vera Luce, Tu sei la gemma preziosissima cosicché il nostro cuore non sia più turbato e scompaia da noi ogni timore e possiamo essere pronti ad accogliere la vera pace che può scaturire solo da Te.
12 maggio 2013 – Ascensione del Signore
Idea Guida: SOMMERSI DALL’AMORE DI DIO, NON RIMANIAMO FERMI A GUARDARE IL CIELO MA VOLGIAMO LO SGUARDO AI NOSTRI FRATELLI.
Intenzioni di preghiera: Padre Santo, concedici di accostarci con cuore sincero, nella pienezza della fede all’adempimento della promessa del Padre perché, avendo ricevuto la forza dello Spirito Santo con il nostro Battesimo, manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza e non rimaniamo tristi con lo sguardo verso il cielo, ma dirigiamo i nostri cuori purificati da ogni cattiva coscienza al servizio dei fratelli
19 maggio 2013 – Domenica di Pentecoste
Idea Guida: CONSAPEVOLI DELL’ADOZIONE A FIGLI, LASCIAMOCI SCONVOLGERE DALLO SPIRITO DI CRISTO.
Intenzioni di preghiera: O Signore, che con il Tuo Spirito rinnovi la faccia della Terra concedi anche a noi, coeredi di Cristo riuniti nello stesso luogo, lo Spirito che è vita, lo Spirito che ci libera dalla schiavitù e ci rende figli adottivi, perché non siamo più debitori verso la carne e tutti i popoli sentano dalle nostre bocche le grandi opere di Dio.
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Indice
L’itinerario diocesano annuale 1
La quinta tappa. La fede celebrata 4
La quinta tappa. Introduzione 4 a. La mappa del nostro cammino 4 b. Descrizione dei moduli 5
1. Primo modulo. L’intimità della gioia (Lc 24,13‐35) 6
a. Approfondimento esegetico 7 b. Il filo rosso 9 c. Giovani 10 d. Carità e testimonianza 11 e. Spunti per attività 12 f. Momento celebrativo: Adorazione Eucaristica 17
2. Secondo modulo. Il fondamento della gioia (Gv 10,27‐30) 20
a. Approfondimento esegetico 20 b. Il filo rosso 22 c. Giovani 23 d. Carità e testimonianza 23 e. Spunti per attività 24 f. Momento celebrativo: Per una regola di vita 26
3. Terzo modulo. Il duplice orientamento della gioia (At 1,1‐11) 29
a. Approfondimento esegetico 29 b. Il filo rosso 31 c. Giovani 32
Anno della Fede 2012‐2013
49
d. Carità e testimonianza 33 e. Spunti per attività 34
4. Quarto modulo. La pienezza di gioia in comunità (At 2,1‐11) 36
a. Approfondimento esegetico 36 b. Il filo rosso 39 c. Giovani 40 d. Carità e testimonianza 41 e. Spunti per attività 41 f. Momento celebrativo a sfondo vocazionale:
una lettura vocazionale di atti 2,1‐11 43 Contributo per l’Animazione liturgica domenicale e festiva 45
Appunti
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Finito di stampare nel mese di Aprile 2013
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