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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne 1 STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE E DEI VASI STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE La metodica di immagine impiegata in prima istanza per lo studio del cuore è rappresentata dall’ecocardiografia. Comunque, informazioni relative alla morfologia cardiaca possono anche esser fornite da un: Esame radiografico standard del torace Viene eseguito in: Ortostatismo Apnea inspiratoria 2 proiezioni Posteroanteriore, con la parete anteriore del torace rivolta cioè verso la pellicola Laterolaterale sin, rivolgendo, cioè, verso la pellicola, il lato sin del torace L’ingrandimento proiettivo o geometrico del cuore viene contrastato anche posizionando il pz ad distanza dal tubo radiogeno di 1,8 m. Ciò consente, infatti, di sfruttare solo le componenti centrali del fascio, parallele tra loro e perpendicolari al piano dell’oggetto. Il tempo di esposizione deve essere molto breve per ridurre gli artefatti dovuti al movimento cardiaco. In entrambe le proiezioni si visualizza l’ombra cardiovascolare: radiopacità che cuore e grossi vasi producono in funzione della radiotrasparenza polmonare Nella proiezione PA, lungo il margine dx dell’ombra cardiovascolare si riconoscono 2 archi (superiore ed inferiore); lungo il margine sin, se ne riconoscono 3 (superiore, medio ed inferiore): Arco superiore dx è formato dal contorno laterale della vena cava superiore ed ha un decorso lineare verticale Arco inferiore dx viene delineato dal contorno esterno dell’atrio dx. Ha un andamento curvilineo con convessità esterna. In basso, incontra l’emidiaframma dx, con cui forma l’angolo cardiofrenico di dx, che risulta acuto. Arco superiore sin corrisponde al profilo all’arco aortico È breve e convesso verso l’esterno. Arco medio sin, poco convesso verso l’eterno, è costituito superiormente, dalla porzione prossimale dell’arteria polmonare di sinistra; inferiormente, dal tratto di efflusso del ventricolo dx, in condizioni fisiologiche, dall’auricola dell’atrio sin, in condizioni patologiche (stenosi mitralica) Arco inferiore sin viene delineato dal contorno esterno del ventricolo sin. Appare più o meno marcatamente obliquo e convesso verso l’esterno. La punta del cuore viene generalmente mascherata dall’opacità dell’emidiaframma sin, con cui forma l’angolo cardiofrenico di sin, che risulta ottuso Nella proiezione laterale sin, il margine anteriore dell’ombra cardiovascolare è separato dalla faccia posteriore dello sterno per mezzo del cdt spazio chiaro retro sternale. In questo modo, si limita l’ingrandimento proiettivo o geometrico del cuore, dipendente dalla forma a cono del fascio di raggi x WWW.SUNHOPE.IT

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne 

STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE E DEI VASI 

STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE 

La  metodica  di  immagine  impiegata  in  prima  istanza  per  lo  studio  del  cuore  è  rappresentata 

dall’ecocardiografia. Comunque, informazioni relative alla morfologia cardiaca possono anche esser fornite da un:  

Esame radiografico standard del torace Viene eseguito in:  

Ortostatismo  

Apnea inspiratoria 

2 proiezioni 

Postero‐anteriore, con  la parete anteriore del  torace  rivolta cioèverso la pellicola 

Latero‐laterale  sin,  rivolgendo,  cioè,  verso  la pellicola,  il  lato  sindel torace  

L’ingrandimento proiettivo o geometrico del cuore viene contrastato anche posizionando  il pz ad distanza dal  tubo  radiogeno  di  1,8 m.  Ciò    consente,  infatti,  di  sfruttare  solo  le  componenti  centrali  del  fascio, parallele tra loro e perpendicolari al piano dell’oggetto. 

Il tempo di esposizione deve essere molto breve per ridurre gli artefatti dovuti al movimento cardiaco. 

In  entrambe  le  proiezioni  si  visualizza  l’ombra  cardiovascolare:  radiopacità  che  cuore  e  grossi  vasi producono in funzione della radiotrasparenza polmonare  

Nella proiezione PA,  lungo  il margine dx dell’ombra  cardiovascolare  si  riconoscono 2 archi  (superiore ed inferiore); lungo il margine sin, se ne riconoscono 3 (superiore, medio ed inferiore): 

Arco superiore dx è formato dal contorno  laterale della vena cava superiore ed ha un decorso  lineare verticale  

Arco inferiore dx viene delineato dal contorno esterno dell’atrio dx. Ha un andamento curvilineo con convessità esterna.  In basso, incontra l’emidiaframma dx, con cui forma l’angolo cardio‐frenico di dx, che risulta acuto.  

Arco superiore sin corrisponde al profilo all’arco aortico È breve e convesso verso l’esterno. 

Arco medio  sin, poco  convesso verso  l’eterno, è  costituito  superiormente, dalla porzione prossimale dell’arteria polmonare di  sinistra;  inferiormente, dal  tratto di efflusso del ventricolo dx,  in condizioni fisiologiche, dall’auricola dell’atrio sin, in condizioni patologiche (stenosi mitralica) 

Arco inferiore sin viene delineato dal contorno esterno del ventricolo sin. Appare più o meno marcatamente obliquo e convesso verso l’esterno.   La punta del cuore viene generalmente mascherata dall’opacità dell’emidiaframma sin, con cui forma l’angolo cardio‐frenico di sin, che risulta ottuso  

Nella  proiezione  laterale  sin,  il  margine  anteriore  dell’ombra  cardiovascolare  è  separato  dalla  faccia posteriore dello sterno per mezzo del cdt spazio chiaro retro sternale. 

In questo modo, si limita l’ingrandimento proiettivo o 

geometrico del cuore, dipendente dalla forma a cono del fascio di 

raggi x 

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Procedendo dall’alto verso il basso, a definire il margine anteriore dell’ombra cardiovascolare sono: 

Aorta ascendente 

Infudibolo dell’arteria polmonare 

Camera di afflusso del ventricolo destro che, nella sua parte  inferiore, assume contatto con  la parete posteriore dello sterno  

 Il margine  posteriore  dell’ombra  cardiovascolare  viene  delineato  dal  contorno  anteriore  dell’esofago, riempito  di  bario,  in  caso  di  associato  esofagogramma.  È  formato  superiormente,  dall’atrio  sin; inferiormente, dal ventricolo sin.  L’Rx  standard  del  torace,  nella  proiezione  PA,  consente  di  VALUTARE  I  DIAMETRI  CARDIACI, LONGITUDINALE e TRASVERSALE, e L’INDICE CARDIO‐TORACICO, rendendo così possibile una stima delle dimensioni del cuore.  Diametro longitudinale È tracciato dal punto di unione dei 2 archi di dx (superiore ed inferiore) all’apice del cuore.  V.N.: 14  cm nel maschio adulto; 13 cm nella femmina adulta  Diametro trasversale È costituito dalla somma dei due emidiametri dx e sin: linee orizzontali tracciate dalla parte più sporgente dell’arco inferiore dx e sin, rispettivamente, alla linea mediana V.N.: 13 cm nel maschio adulto; 12 cm nella femmina adulta  Indice cardio‐toracico Consiste nel rapporto esistente tra  il diametro trasversale del cuore e quello del torace:  linea orizzontale tracciata dal punto più alto della cupola diaframmatica dx fino al margine interno delle 2 emiarcate costali. Valore max nell’adulto: 0,50. Il superamento di tale valore risulta espressione di cardiomegalia.   L’esame  radiografico  diretto  del  torace  permette  quindi  di  identificare  l’ingrandimento  delle  singole camere cardiache e del cuore in toto  Ingrandimento dell’atrio sin È denunciato da:  ‐ Comparsa dell’immagine dell’auricola atriale nella parte inferiore dell’arco medio sin, con il margine sin 

dell’ombra cardiovascolare che diviene “a 4 archi” ‐ Doppio contorno dell’arco inferiore dx, per la sporgenza dell’atrio sin dilatato oltre il dx Cause: ‐ Stenosi mitralica, in cui in ventricolo sin conserva dimensioni normali ‐ Insufficienza mitralica, in cui si associa un ingrandimento del ventricolo sin  ‐ Cardiopatie congenite con shunt dx‐sin   Ingrandimento del ventricolo sin È denunciato dall’accentuazione della convessità esterna e dall’allungamento dell’arco inferiore di sin, con la punta del cuore che appare arrotondata e spinta verso il basso ed a sin.  Ciò  comporta  una  spiccata  prevalenza  dell’emidiametro  trasverso  di  sin,  producendo  la  caratteristica immagine del “cuore a scarpa” Cause: ‐ Vizi valvolari aortici ‐ Coartazione aortica  ‐ Cardiopatia ipertensiva ‐ Insufficienza mitralica 

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Ingrandimento dell’atrio dx È suggerito dall’evidenza di un arco inferiore dx allungato e prominente Cause: 

Stenosi tricuspidale, in cui il ventricolo dx conserva dimensioni normale 

Insufficienza tricuspidale, in cui si associa un ingrandimento del ventricolo dx. 

Cardiopatie congenite con shunt sin‐dx (caso di DIA)   Ingrandimento del ventricolo dx Viene suggerito, in proiezione PA, dall’accentuazione della convessità esterna dell’arco inferiore di sin, con la punta del cuore che si presenta sollevata. Ciò dipende dallo spostamento del ventricolo sin ad opera del dx aumentato di volume. In proiezione LL, segno di ingrandimento del ventricolo dx, è l’obliterazione della metà inferiore dello spazio chiaro retro‐sternale. Cause: 

Valvulopatie polmonari 

Stati ipertensivi del piccolo circolo, precapillari e, in fase tardiva, anche postcapillari.    Ingrandimento del cuore in toto Si caratterizza per un  ingrandimento di tutte  le sezioni del cuore, con aumento dei 2 diametri cardiaci ed indice cardio‐toracico maggiore di 0,5.  È riscontrabile, all’Rx standard del torace, nelle seguenti condizioni: ‐ Miocardiopatie acquisite ‐ Pericardite acuta essudativa  Nelle miocardiopatie acquisite si osserva, in proiezione PA:  ‐ Ombra  cardiaca  ingrandita  che,  per  prevalente  accentuazione  del  diametro  trasverso,  assume  un 

aspetto pseudo‐triangolare “a tenda”, con margini rettilinei ed angoli cardio‐frenici ottusi    ‐ Sono evidenti segni di congestione del piccolo circolo  Nella pericardite acuta essudativa si osserva, in proiezione PA: ‐ Ombra  cardiaca  ingrandita  che  assume un  aspetto  “a  fiasco”, per  accentuata  convessità dei 2  archi 

inferiori, con angoli cardio‐frenici acuti Portando  il pz in decubito supino,  la dislocazione gravitazionale del versamento nelle parti più declivi, induce uno slargamento del peduncolo vascolare. 

‐ Mancano segni di congestione del piccolo circolo   All’esame  radiografico  standard  del  torace,  il  pericardio  non  è  riconoscibile  a meno  che  non  presenti calcificazioni. Le calcificazioni pericardiche tipicamente avvolgono “a guscio d’uovo”  la superficie cardiaca, per tratti più o meno estesi.         

 

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Ecocardiografia Costituisce l’indagine di I livello nello studio per immagini del cuore.   L’ecotomografia transtoracica rappresenta la tecnica di base.  Fornisce,  in  tempo  reale,  immagini  bidimensionali  di  sezioni  del  cuore  secondo  i  piani  fondamentali  di scansione: 

Apicale a quattro camere 

Asse lungo parasternale 

Asse corto a due camere  Tali  immagini sono costituite da punti a diversa  luminosità  in una scala di grigi  [B‐(brightness) mode]. La luminosità di ciascun punto è proporzionale all’intensità dell’eco che rappresenta.  Sull’immagine bidimensionale è possibile selezionare linee di vista lungo cui ottenere un tracciato TM (Time Motion)‐mode. Il  tracciato TM‐mode  rappresenta,  in  linea  (immagine monodimensionale),  il movimento nel  tempo delle strutture (pareti cardiache e valvole) incontrate dal fascio di ultrasuoni lungo il suo tragitto.  Il  ricorso al  color‐Doppler  rende possibile  il  riconoscimento e  la caratterizzazione velocimetrica dei  flussi trans‐valvolari anterogradi e retrogradi (da insufficienza). La tecnica Doppler può anche essere applicata al muscolo cardiaco  (Doppler tissutale), permettendo una più accurata valutazione dell’attività contrattile del miocardio.   L’ecocardiografia con color‐Doppler consente pertanto di ottenere, senza l’impiego di radiazione ionizzanti ed in maniera non invasiva: 

Informazioni morfologiche, quali:  1. Dimensioni delle camere cardiache 2. Spessore delle pareti miocardiche 3. Aspetto degli apparati valvolari 

 

Informazioni funzionali, relative a: 1. Cinetica dei ventricolari, globale e regionale 2. Movimenti valvolari 3. Flussi transvalvolari ed intracardiaci  4. Frazione di eiezione del ventricolo sin, calcolata attraverso una formula matematica 5. Funzione diastolica del ventricolo sin, valutata sulla base di un Doppler trans‐mitralico 6. Pressione  sistolica  stimata  dell’arteria  polmonare,  ottenibile  quantificando,  con  color‐Doppler,  il 

rigurgito tricuspidalico  Limiti dell’ecocardiografia sono: 1. Dipendenza dall’abilità dell’operatore, con impossibilità di ottenere misure oggettive e riproducibili 2. Riduzione dell’accuratezza diagnostica in pz obesi 3. Necessità di praticare l’indagine secondo particolari finestre che permettano di evitare l’interposizione 

di tessuto polmonare. Ciò rende il ventricolo dx difficilmente esplorabile. 4. Incapacità esaminare il circolo coronarico         

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Ulteriori tecniche ecografiche impiegate in ambito cardiologico sono: Ecostress Si  tratta  di  un’ecocardiografia  effettuata  sotto  stress,  ergometrico  o  farmacologico,  con  dipiridamolo  o dobutamina ad alte dosi, farmaci che aumentano il consumo miocardico di ossigeno. È indicata per riconoscere un’ischemia miocardica da sforzo o inducibile, denunciata dalla comparsa, sotto stress, di aree ipo/acinetiche, assenti in condizioni di riposo. L’ecostress  può  essere  inoltre  impiegato  per  lo  studio  della  vitalità miocardica mediante  infusione  di dobutamina a basse e ad alte dosi. Il  razionale  dell’esame  consiste  nel  fatto  che  i  segmenti  acinetici,  ma  vitali,  del  miocardio,  pur  non rispondendo a basse dosi di dobutamina, possono rispondere, in termini di motilità parietale, ad alte dosi.  I segmenti miocardici infartuati, invece, non rispondono ne a basse ne ad alte dosi di dobutamina. Il  riscontro  di  vitalità miocardica  è  predittivo  di  recupero  funzionale  dopo  rivascolarizzazione mediante angioplastica percutanea o by‐pass chirurgico.   Ecocardiografia transesofagea Prevede l’introduzione in esofago di una sonda ecografica che viene portata all’altezza del cuore. Tale modalità di esecuzione permette di: 

evitare l’interposizione di strutture che ostacolano la propagazione degli US 

impiegare frequenze più elevate, con conseguente aumento della risoluzione spaziale delle immagini.  È particolarmente indicata per la diagnosi di: 1. Trombosi atriale 2. Forame ovale pervio 3. DIA 4. Patologie del bulbo aortico 5. Dissezione aortica   Ecocardiografia con mdc Prevede  la  somministrazione  endovenosa  di microbolle  gassose  legate  a  sostanze  che  ne  permettano  il superamento del filtro polmonare. Consente una migliore visualizzazione delle camere cardiache di sinistra    Ecografia endovascolare Prevede  l’impiego  di  sonde miniaturizzate  introdotte  nelle  coronarie  in  corso  di  angiografia  coronarica convenzionale. Garantisce: 

Caratterizzazione della placca coronarica 

Valutazione del corretto posizionamento di stent            

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Indagini strumentali di livello successivo  sono: 

 TC Può essere validamente impiegata per lo studio del cuore solo utilizzando apparecchiature multistrato, le uniche dotate di una risoluzione spaziale e temporale sufficientemente elevata, con  i migliori risultati che vengono garantiti da quelle ad almeno 64 strati di detettori. La TC a 64 strati presenta infatti una risoluzione spaziale tale – 0.5 mm – da garantire che la dimensione del volume di acquisizione  (voxel) sia pressoché  identica nei 3 piani dello spazio  (voxel  isotropico).  Il volume anatomico  acquisito  può  così  essere  visualizzato  in  tutti  e  tre  i  piani  dello  spazio,  senza  perdita  di informazioni, mediante MPR. Ciò  rappresenta un  requisito necessario per uno  studio accurato delle coronarie epicardiche, dato  il  loro andamento tortuoso nelle tre dimensioni dello spazio ed il loro piccolo calibro. La  TC  a  64  strati  assicura  inoltre  un  significativo  accorciamento  dei  tempi  di  acquisizione  rispetto  ai precedenti tomografi, riducendo così gli artefatti causati dai movimenti cardiaci.   Per evitare gli artefatti causati dai movimenti cardiaci è inoltre necessario sincronizzare le scansioni TC con il  tracciato ECGgrafico del pz  (ECG‐gating)  in maniera  tale da poter acquisire  immagini  solo  in  fase  tele‐diastolica, quando i ventricoli sono fermi.   La  TC,  in  ambito  cardiologico,  viene principalmente  impiegata  per  lo  studio  del macrocircolo  coronarico (coronarie epicardiche). Del macrocircolo coronarico è possibile 1. determinare esclusivamente il carico calcico, con tecnica diretta oppure  2.  effettuare  una  valutazione  angiografica, mediante  coronaro‐TC,  che  consiste  nel  adattare  al distretto coronarico la tecnica dell’angio‐TC. 

1. La determinazione del carico calcico coronarico, con tecnica diretta trova il suo razionale nel fatto che esso si  correla  con  la  presenza  di  aterosclerosi  coronarica.  Il  mancato  riscontro  di  calcio  nelle  coronarie permette,  infatti,  di  escludere,  con  un  alto  VP,  la  presenza  di  una  stenosi  coronarica  significativa.  Al contrario, la probabilità che sia presente almeno una stenosi coronarica significativa risulta elevata qualora il carico calcio delle coronarie sia maggiore di 400 secondo lo score di Agatston. Per il calcolo dello score vengono considerate solo le calcificazioni con densità >/= 130 HU e con un’area di almeno 1 mm2.  La  valutazione  del  carico  calcico  coronarico  è  stata  proposta  come  procedura  di  screening  per malattia coronarica  in  soggetti  ritenuti  a  rischio  intermedio  di  coronaropatia,  sulla  base  dei  fattori  di  rischio tradizionali (probabilità di eventi coronarici acuti nei successivi 10 anni del 10‐20%) Tale  indicazione  è  tuttavia  controversa  per  l’alta  dose  di  radiazioni  ionizzanti,  in  una  età  relativamente giovane. La determinazione del carico calcico coronarico,  inoltre, va necessariamente effettuata prima di praticare una  coronaro‐TC,  in quanto  l’identificazione di pazienti  con elevato  carico di  calcio  coronarico  (indice di Agatston > 1000) costituisce una controindicazione all’indagine  (coronaro‐TC), per  la prevedibile presenza di artefatti limitanti la valutazione del lume coronarico.  

2. La coronaro‐TC consiste nell’adattare al distretto coronarico la tecnica dell’angio‐TC. L’angio‐TC  coronarica  rende  possibile  una  valutazione  non  invasiva  delle  coronarie  epicardiche, permettendo  di  stabilire  il  grado  di  eventuali  stenosi  e  la  composizione  di  placche  aterosclerotiche, deducibile dalla loro densità. In particolare, si distinguono: ‐ Placche ad elevata componente lipidica (con densità < 50 HU) ‐ Placche a prevalente componente fibrosa (con densità compresa tra 50‐130 HU),o  ‐ Placche a componente calcica (con densità >400 HU).  

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La  coronaro‐TC  resta,  tuttavia,  un’indagine  di  seconda  scelta  per  lo  studio  del macrocircolo  coronarico, poiché, rispetto alla coronarografia tradizionale, ‐ presenta una più bassa risoluzione spaziale (0,5 vs 0,3 mm) ‐ non permette di effettuare procedure terapeutiche     L’indicazione,  oggi,  maggiormente  condivisa  alla  coronaro‐TC  consiste  nell’esclusione  della  malattia coronarica in:  ‐ Soggetti con probabilità pre‐test intermedia (compresa cioè tra il 30 ed 60%), caso di:   Soggetti asintomatici nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo.  Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia In tali soggetti la coronaro‐TC ha, infatti, mostrato un VPN del 100%. 

 N.B. Il VPN della metodica nell’escludere la presenza di una stenosi coronarica è del 100% anche in pz con un quadro clinico a bassa o intermedia probabilità di SCA (caso di pz con dolore toracico acuto, ECG dubbio ed enzimi negati).  In  tali  pz  è  stato  pertanto  proposto  l’impiego  della  coronaro‐TC  al  fine  di  ridurre  i  casi  sottotrattati  o impropriamente ricoverati. N.B. Nei pz con dolore toracico acuto, la coronaro‐TC sarebbe in grado di escludere non solo SCA ma, anche TEP e dissezioni aortiche (cdt “triple rule out”).      

                            

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Nelle sequenze T1‐pesate, ‐ il segnale più alto sarà presentato da: 

grasso ‐ il segnale più basso da: acqua 

Nelle sequenze T2‐pesate, ‐ il segnale più alto sarà mostrato 

dall’acqua e, in generale, dai fluidi stazionari  

RM Requisito necessario allo  studio del  cuore con RM è  la  sincronizzazione dell’invio degli  impulsi di RF con l’onda R del tracciato elettrocardiografico (ECG‐gating), per evitare artefatti dovuti ai movimenti cardiaci. In particolare, è possibile correlare l’acquisizione a fasi definite del ciclo cardiaco – come quella telediastolica 

in  cui  i  ventricoli  sono  fermi  –    (sincronizzazione  prospettica)  oppure  acquisire  con modalità  continua  e scartare a posteriori le informazioni ottenute in fasi non opportune (sincronizzazione retrospettiva).   Punti di forza della RM cardiaca 1. Assenza di radiazioni ionizzanti   2. Multiplanarietà, possibilità cioè di ottenere, direttamente –  senza bisogno di ricostruzione –  immagini 

secondo piani di scansione individualmente  mirati per lo studio del cuore e dei grossi vasi. La RM garantisce, pertanto, un’accurata localizzazione del cuore, senza la necessità di doversi attenere a  determinate  finestre,  come  nell’ecocardiografia.  L’ecocardiografia  va  infatti  obbligatoriamente praticata secondo finestre acustiche che consentano di evitare l’interposizione del tessuto polmonare. Ciò rende il ventricolo dx  difficilmente valutabile in ecocardiografia. 

  3. Multiparametricità  

Possibilità, cioè, di acquisire immagini “pesate” secondo differenti proprietà fisiche, caratteristiche dei diversi  tessuti,  quali  tempo  di  rilassamento  T1  (tempo  necessario  al  ripristino  della  magnetizzazione 

longitudinale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF), tempo di rilassamento T2 (tempo necessario alla perdita 

della magnetizzazione trasversale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF), densità protonica (numero di protoni 

risonanti per unità di volume), agendo su:  ‐ Tempo di ripetizione (TR), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e l’inizio di quella successiva. ‐ Tempo di Echo (TE), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e la ricezione del segnale.   In particolare, ‐ la scelta di un TR breve e di un TE breve genera sequenze T1‐pesate, nelle quali il TR breve fa sì che soltanto i tessuti a T1 

breve  (come quello adiposo) possano recuperare  la magnetizzazione  longitudinale, prima del successivo  impulso di RF, mostrando, pertanto, un segnale elevato. I  tessuti  dotati  di  un  T1  lungo,  invece,  non  riuscendo  a  recuperare  la magnetizzazione  longitudinale,  subiscono  un processo di  saturazione del  segnale  che quindi appare di  intensità bassa o del tutto assente. Ciò vale, ad esempio, per l’acqua. Il TE breve,  inoltre,  rende nulle  le  influenze del defasamento degli spin sul piano trasversale. 

‐ La scelta di un TR  lungo e di un TE  lungo genera,  invece, sequenze T2‐pesate, nelle quali  il  TR  viene  scelto  lungo  in modo  che  tutti  i nuclei abbiano  recuperato  la magnetizzazione  longitudinale  tra un impulso  ed  il  successivo,  rendendo  nulla  l’influenza  del  T1  sul segnale RM.  Il valore lungo del TE, invece, fa sì che si osservino segnali elevati, da tessuti  con T2  lungo, per assenza di un defasamento  significativo; bassi, da tessuti con T2 breve, per eccessivo defasamento.  

‐ La scelta di un TE breve e di un TR  lungo annulla  l’influenza sia del T1 che del T2 redendo predominante  la dipendenza dalla densità protonica, ossia dal numero di spin in risonanza per unità di volume. 

 

La multiparametricità consente di: 1. Manipolare  il  contrasto  delle  immagini  conferendo,  alla  RM,  un’elevata  risoluzione  di  contrasto 

intrinseca. All’elevata  risoluzione  di  contrasto  intrinseca  della  RM  contribuisce  anche  la  possibilità  di sopprimere  selettivamente  il  segnale  proveniente  da  determinate  strutture  come  il  tessuto adiposo. 

2. Distinguere  tra  grasso/miocardio/sangue/trombi/neoplasie,  garantendo  un’ottimale caratterizzazione tissutale  

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4. Risoluzione  temporale  divenuta,  con  le  moderne  apparecchiature,  sufficientemente  elevata  per  lo studio di un organo, come il cuore, in rapido e continuo movimento, offrendo la possibilità di valutare sia la cinetica cardiaca che la perfusione miocardica, dopo somministrazione e.v. di un mdc. 

   5. Possibilità  di  ottenere misure  oggettive  e  riproducibili,  non  operatore‐dipendenti,  come  accade  per 

l’ecocardiografia. Tra  le misure  oggettive  ottenibili  vi  sono  quelle  relative  ai  volumi  del  cuore,  la  cui  determinazione  consente di valutare  la  frazione di eiezione del ventricolo  sin direttamente e non attraverso  formule matematiche, come nell’ecocardiografia. 

  6. Possibilità di valutare velocità e direzione del flusso ematico attraverso gli orifizi valvolari.  

Ciò permette di:  

Campionare insufficienze e stenosi  

Stabilire i patterns di riempimento e di svuotamento ventricolare   7. Capacità di studiare il macro ed il microcircolo coronarico  

Il macrocircolo coronarico può essere analizzato mediante un’angio‐RM delle coronarie epicardiche. L’angio‐RM  coronarica,  tuttavia,  non  può  esser  proposta  come  alternativa  alla  coronarografia tradizionale, per l’incapacità di quantificare in maniera accurata eventuali stenosi.   Le ragioni di ciò sono:  ‐ Minore risoluzione spaziale (1‐1.2 mm vs 0.3 mm)  ‐ Presenza  di  artefatti  da movimento  dovuti  alla  bassa  velocità  di  acquisizione  degli  interi  volumi 

corporei in cui le coronarie decorrono.    L’angio‐RM  coronarica può,  comunque, essere  impiegata per diagnosticare anomalie di origine delle coronarie.  Un  esempio  è  rappresentato  dall’origine  anomala  della  coronaria  dx  tra  aorta  e  tronco  dell’arteria polmonare. In questo caso, la dilatazione dei grossi vasi durante la sistole può schiacciare la coronaria tra  essi  compresa,  determinando  un  ipoafflusso  a  valle,  con  possibilità  di  angina  pectoris  e morte cardiaca improvvisa.     La RM, inoltre, è l’unica metodica di immagine che consenta una valutazione DIRETTA del microcircolo coronarico,  attraverso  l’acquisizione  dinamica  di  immagini,  dopo  iniezione  endovenosa  di  un mdc paramagnetico (chelato del gadolinio a distribuzione bicompartimentale, vascolare/interstiziale).   N.B.  va  detto,  comunque,  che  informazioni  relative  allo  stato  del microcircolo  coronarico  sono  ottenibili,  in maniera INDIRETTA, anche mediante altre tecniche come l’Eco‐stress. Segno indiretto di malattia del microcircolo coronarico  è  infatti  il  riscontro,  sotto  stress,  di  aree  ipo/acinetiche,  assenti  a  riposo,  in  un  pz  con  coronarie indenni da lesioni alla coronarografia tradizionale. 

  Un  requisito  fondamentale consiste nel sincronizzare  l’emissione degli  impulsi di RF con  l’onda R del tracciato  elettrocardiografico  (ECG‐gating),  al  fine  di  poter  acquisire  immagini  solo  nella  fase  tele‐diastolica, quando i ventricoli sono fermi (gating prospettico).  In particolare,  lo studio RM del microcircolo coronarico prevede  la valutazione non solo, della fase di wash in, ma anche quella di wash out del mdc.    

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Nella  I  fase,  di wash  in,  il mdc,  attraverso  le  coronarie  epicardiche  ed  il microcircolo  coronarico, impregna il tessuto miocardico.  Man mano  che  il muscolo  cardiaco  s’impregna  del mdc,  il  suo  colore  vira  dal  grigio  scuro  al  grigio chiaro:  il  picco  del  c.e. miocardico  viene  raggiunto  circa  10  battiti  cardiaci  dopo  l’opacizzazione  del ventricolo sin. Ciò  consente,  innanzitutto,  di  effettuare  una  valutazione  qualitativa  della  perfusione miocardica:  le zone con difetti di perfusione sono, infatti, riconoscibili perché restano scure (e cioè ipointense rispetto al miocardio sano circostante). La perfusione miocardica viene poi esaminata anche in termini quantitativi, mediante la costruzione di curve  intensità/tempo  per  ciascuno  dei  17  settori  in  cui  il  miocardio  ventricolare  sinistro  è  stato convenzionalmente suddiviso: ‐ 6 settori basali ‐ 6 settori intermedi ‐ 4 settori apicali ‐ 1 apice propriamente detto  

Poiché  ad  ogni  settore  corrisponde  un  territorio  di  pertinenza  di  un’arteria  coronarica,  dal  settore ipoperfuso si può stabilire la coronaria interessata. N.B.  Lo  studio  RM  della  perfusione miocardica  può  essere  effettuato  sia  a  riposo  che  sotto  stress farmacologico.      L’esame prosegue quindi  con  la valutazione del  tempo  impiegato dal miocardio per eliminare  il mdc (wash out). Tale valutazione si effettua a distanza di circa 10 min dall’iniezione endovenosa del mdc. Trascorso tale intervallo di tempo, ‐ il  tessuto  miocardico  sano  e  le  zone  ischemiche,  NON  manifestano  un  contrast  enhancement 

tardivo poiché, essendo vitali, hanno  la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi,  il mdc; 

‐ le aree cicatriziali postinfartuali, invece, MANIFESTANO un contrast enhancement tardivo, poiché,  non  essendo  più  vitali, mancano  della  capacità  di  eliminare  cataboliti  e,  con  essi,  il mdc  che, pertanto, ristagna al loro interno.  Il  riscontro  di  un  contrast  enhancement  tardivo,  quindi,  deponendo  per  l’assenza  di  vitalità miocardica, risulta predittivo di mancato recupero funzionale dopo rivascolarizzazione. Esiste  una  corrispondenza  molto  accurata  tra  l’estensione  dell’area  di  contrast  enhancement tardivo e quella della cicatrice post‐infartuale. Ciò permette di stabilire se l’infarto sia stato o meno trasmurale. La distinzione tra infarto transmurale ed infarto non transmurale è importante ai fini della prognosi e della pianificazione terapeutica. Le  forme  non  transmurali,  infatti,  sono  a  più  alto  rischio  di  complicanze  aritmiche,  poiché  la porzione della parete miocardica rimasta vitale diviene frequentemente sede di focolai aritmogeni. Le forme transmurali, invece, vanno più spesso incontro a degenerazione dilatativa. 

 

N.B.  Nello  studio  della  perfusione  del  miocardio,  la  RM  presenta  sulla  SPECT  miocardica  con traccianti di perfusione una serie di vantaggi:  ‐ Maggiore  risoluzione  spaziale,  che permette di  individuare piccoli  infarti  subendocardici e di 

stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto    ‐ Capacità di distinguere un miocardio ibernato – segmento miocardico vitale che si è adattato ad una 

cronica  ipoperfusione  riducendo  la  sua attività contrattile e, quindi,  le  sue esigenze metaboliche – da una cicatrice post‐infartuale. Il miocardio  ibernato,  infatti, non presenta un contrast enhancement  tardivo poiché, essendo vitale, conserva la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi, il mdc 

Principale svantaggio ‐ Costo maggiore 

 

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Indicazioni codificate della RM in ambito cardiologico 1. Valutazione della vitalità miocardica in pz con disfunzione contrattile di origine ischemica 

 2. Distinzione tra trombosi endocavitaria e massa neoplastica 

 3. Diagnosi di displasia  aritmogena del  ventricolo dx,  caratterizzata dalla  sostituzione  fibro‐adiposa del 

miocardio ventricolare  

4. Caratterizzazione e follow‐up di cardiopatie congenite complesse  

5. Diagnosi di anomala origine delle coronarie  

                                      

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Metodiche angiografiche  Quelle  impiegate  in ambito cardiologico, prevedono  l’introduzione, mediante catetere venoso o arterioso, di un mdc  iodato nelle camere cardiache, nei grossi vasi o nelle arterie coronarie al fine di consentirne la visualizzazione radiografica. Attraverso il catetere, inoltre, è possibile effettuare procedure interventistiche.   Metodiche angiografiche effettuate in ambito cardiologico Angiocardiografia e cardioangiografia Nell’angiocardiografia, il mdc è iniettato in VCS, mediante accesso venoso dalla vena femorale, giugulare o brachiale. Nella cardioangiografia, il mdc è selettivamente iniettato in atrio dx, attraverso gli stessi accessi venosi  Dopo introduzione del mdc, si acquisiscono radiogrammi seriati nel tempo, con tecnica tradizionale o digitale sottrattiva. In particolare, si susseguono: 

Destrocardiogramma (1‐2 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale sono visualizzati VCS, AD e VD 

Angiopneumogramma (3‐5 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale viene evidenziato il circolo polmonare arterioso e venoso 

Levocardiogramma (6‐7 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale sono visualizzati AS e VS 

Aortogramma (8 sec dopo l’iniezione del mdc), nel si evidenziano aorta ascendente, arco ed aorta discendente. Le cardiopatie congenite costituiscono l’indicazione più comune per questo tipo di indagine     Aortografia toracica sopravalvolare Viene  realizza mediante  la  tecnica di  Seldinger  che prevede  il  cateterismo  selettivo di un’arteria periferica,  in genere  costituita dall’arteria femorale. La tecnica si articola nelle seguenti fasi: 

Puntura, mediante apposito ago, del vaso prescelto ed inserimento, sotto controllo radioscopico di una guida metallica, che va portata fino al distretto arterioso da esaminare.  

Rimozione  dell’ago  ed  introduzione,  per  scorrimento  sulla  guida metallica,  di  un  catetere  radiopaco  premodellato  e  che possiede memoria (conserva cioè la curvatura primitiva una volta liberata nel lume vascolare dalla guida metallica). In questo caso generalmente ci si avvale di un catetere pig‐tail, con punta a ricciolo e multipli foro laterali 

Posizionamento, sotto controllo radioscopico, dell’apice del catetere nella sede richiesta (in questo caso, circa 2 cm al di sopra delle semilunari aortiche) 

Somministrazione  di  35‐70  ml  di  un  mdc  iodato  idrosolubile  con  un  flusso  di  20  ml/sec  mediante  pompa  di  iniezione elettronica 

Assunzione di radiogrammi mirati a cadenza programmata  Indicazioni principali 1. Insufficienza valvolare aortica 2. Alcune cardiopatie congenite (tra cui pervietà del dotto di Botallo e fistole aorto‐polmonari) 3. Alterazioni acquisite dell’aorta, come aneurismi e dissezioni 4. Patologie dei TSA   Coronarografia selettiva L’accesso è retrogrado e generalmente avviene dall’arteria femorale. L’esame prevede l’incannulamento selettivo, sotto guida radioscopica, degli osti della coronaria sinistra e destra, situati subito al di sopra delle semilunari aortiche, mediante l’utilizzo di cateteri dedicati. Per ciascuna coronaria si procede ad iniezioni multiple di 4‐8 ml di mdc iodato, variando ogni volta il grado di obliquità sin‐dx e la cranio‐caudalità delle acquisizioni, in modo da ottenere almeno 3 proiezioni per la coronaria di sin e 2 per quella di dx.  Ancora oggi  la coronarografia selettiva costituisce  l’indagine d’elezione per  lo studio del macrocircolo coronarico.  le ragioni di ciò sono: 

Elevata risoluzione spaziale, il cui limite è di 0,3 mm (contro gli 0,6 mm della TC ed il mm dell’angio‐RM coronarica) 

Possibilità di effettuare procedure terapeutiche (angioplastica percutanea transluminale e posizionamento di stent)   La coronarografia selettiva, oltre che per  la cardiopatia  ischemica, è  indicata per  la valutazione preoperatoria di vizi valvolari e di alcune cardiopatie congenite.   Ventricolografia sin In  essa,  il  catetere,  solitamente  un  pig‐tail,  viene  spinto  attraverso  le  semilunari  aortiche  nel  ventricolo  sin.  Si  procede  quindi all’iniezione di 30‐35 ml di un mdc iodato, con flusso di 10‐12 ml/sec. Consente di identificare shunts settali e di determinare parametri funzionali del ventricolo sin (come pressioni, volumi, cinetica, FE) Una  ventricolografia  sin  viene  spesso  eseguita  durante  l’indagine  coronarografica,  soprattutto  nei  pz  affetti  da  cardiopatia ischemica post‐infartuale ed in quelli con CC (come DIV e canale atrio‐ventricolare)   

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Tecniche di medicina nucleare  Miocardioscintigrafia con traccianti di perfusione (201Tallio‐cloruro, 99mTc‐sestamibi, 99mTc‐tetrofosmina) I traccianti di perfusione sono molecole che vengono captate dalle cellule miocardiche proporzionalmente al flusso ematico distrettuale. L’esame è basato sul confronto tra studio sotto stress, ergometrico o farmacologico, e studio a riposo. Lo studio sotto stress ha lo scopo di rendere palese la presenza di aree miocardiche con perfusione normale a riposo, ma insufficiente in condizioni di stress (test di riserva coronarica).   La modalità di esecuzione dell’indagine varia in relazione al tracciante di perfusione impiegato: Se  si utilizza  201Tallio‐cloruro,  viene  effettuata un’iniezione  al picco dello  stress,  seguita da una precoce acquisizione scintigrafica planare o tomografica (SPECT), nei 10‐15 min successivi.  Un’area miocardica  ipoperfusa presenterà un minore assorbimento del  tallio  (“area  fredda”)  rispetto ad una con normale perfusione.  Durante le ore seguenti, si verifica un “processo di ridistribuzione” che consiste nell’apporto al miocardio di tallio proveniente da compartimenti extra‐cardiaci  (come  il muscolo scheletrico). Per verificare  l’esito del processo di ridistribuzione, equivalente ad una captazione miocardica in condizioni di riposo, si esegue una seconda acquisizione, tardiva, circa 4 h dopo la prima:  ‐ Le aree di ischemia miocardica inducibile che, in condizioni di stress, apparivano ipoperfuse, divengono 

“normali” in termini di captazione del tracciante, segno di vitalità miocardica. ‐ Le aree necrotiche,  invece, conservano, anche a riposo,  il difetto di captazione mostrato sotto stress. 

Ciò depone per l’assenza di cellule e, quindi, di vitalità miocardica. Pertanto, con  il 201Tallio‐cloruro, è sufficiente una singola  iniezione del radiofarmaco, con due acquisizioni nello stesso giorno. La  ridistribuzione non  si  verifica per  i  traccianti di perfusione miocardica marcati  con  99mTC poiché essi, dopo penetrazione intracellulare, restano intrappolati a livello mitocondriale.  È pertanto richiesta una doppia iniezione del tracciante, rispettivamente in condizioni di stress e di riposo.  I traccianti di perfusione tecneziati vengono comunque preferiti al 201Tallio‐cloruro, perché permettono di: ‐ Ottenere  immagini di migliore qualità, per  la più alta energia di emissione del 99Tc che comporta una 

minore attenuazione da parte dei tessuti molli ‐ Erogare al pz una più bassa dose di radiazioni ionizzanti Avvalendosi dei traccianti di perfusione marcati con 99mTC e sincronizzando la SPECT al tracciato ECGgrafico (ECG‐gating), è inoltre possibile valutare, non solo la perfusione, ma anche la funzione contrattile, regionale e totale, del ventricolo sin, di cui sono calcolabili volumi e FE.   Una gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione è indicata per:  1. Porre diagnosi di malattia coronarica, in soggetti con probabilità pre‐test intermedia (compresa cioè tra 

il 30 ed 60%) caso, ad esempio, di:  ‐ Soggetti asintomatici, nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo o non diagnostico ‐ Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia  ‐ Soggetti asintomatici con multipli fattori di rischio coronarico In  tali  soggetti,  una  gated‐SPECT  miocardica  con  traccianti  di  perfusione  positiva  per  ischemia miocardica inducibile costituisce un’indicazione alla coronarografia. N.B. la gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione si dimostra più sensibile di un ecostress, nel dimostrare  un’ischemia  miocardica  inducibile  poiché  il  deficit  perfusivo,  causato  da  una  stenosi coronarica, precede quello  cinetico, all’interno della  cascata  ischemica.  Le alterazioni elettriche ed  il dolore anginoso sono manifestazioni ancora più tardive. 

2. Esprimere un giudizio prognostico  in pz con cardiopatia  ischemica già nota, sulla base di perfusione e cinetica miocardica 

3. Accertare il significato funzionale di una stenosi coronarica borderline 4. Verificare la vitalità miocardica, prima di procedere ad un intervento di rivascolarizzazione 5. Valutare l’effetto di una rivascolarizzazione, percutanea o chirurgica, e della terapia farmacologica  

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Angiocardioscintigrafia con traccianti vascolari (globuli rossi autologhi marcati con 99mTc) Permette  l’analisi della cinetica ventricolare, globale e distrettuale, attraverso  la valutazione quantitativa delle variazioni di volume e forma a cui le delle cavità cardiache vanno incontro in condizioni di riposo e di stress. Ciò  consente  un  calcolo  accurato  e  riproducibile  dei  più  importanti  parametri  di  funzione  sistolica  e diastolica dei ventricoli.   PET È  stata  a  lungo  considerata  la  tecnica d’elezione per  lo  studio della  vitalità miocardica poiché  consente un’accurata  distinzione  tra  le  tre  condizioni  responsabili  di  disfunzione  contrattile  del miocardio  su  base ischemica (miocardio infartuato, ibernato e stordito). L’esame prevede la valutazione combinata della captazione, da parte del tessuto miocardico, di ammoniaca marcata  con  13N,  che  fornisce  informazioni  relative  alla  perfusione  e  di  18F‐FDG,  che  fornisce  invece informazioni relative all’attività metabolica cellulare. Il miocardio stordito mostra una normale captazione sia dell’ammoniaca marcata che del 18F‐FDG. Il miocardio ibernato mostra una ridotta captazione dell’ammoniaca marcata ma una captazione normale o aumentata del 18F‐FDG (disaccoppiamento flusso/metabolismo) In  tali  condizioni,  il  miocardio  con  disfunzione  contrattile  va  ritenuto  vitale.  Le  procedure  di rivascolarizzazione sono pertanto giustificate. Il miocardio  infartuato mostra,  invece, una ridotta captazione di entrambi  i radiofarmaci  (accoppiamento flusso/metabolismo). Ciò  indica  l’assenza di vitalità miocardica con  le procedure di rivascolarizzazione che pertanto non sono giustificate. Se  l’acquisizione delle  immagini PET viene  sincronizzata al  tracciato ECGgrafico  (gated‐PET)  l’accuratezza dell’indagine aumenta ulteriormente per  l’integrazione dei dati perfusionali e metabolici  con quelli della cinetica miocardica e degli spessori parietali.   La PET presenta tuttavia una serie di svantaggi rispetto alla RM nello studio della vitalità miocardica: ‐ Impiego di radiazioni ionizzanti ‐ Risoluzione spaziale inferiore (6‐7 mm vs 1‐1.2 mm), che la rende meno sensibile nel riconoscere infarti 

subendocardici di  limitata estensione   Scintigrafia miocardica con traccianti recettoriali, in particolare con MIBG marcata mediante 123I Permette di valutare l’innervazione simpatica del cuore. La  MIBG,  infatti,  essendo  un  analogo  della  noradrenalina,  viene  captata  dalle  terminazioni  nervose adrenergiche.  La  valutazione  medico‐nucleare  dell’innervazione  simpatica  del  cuore  è  stata  impiegata  per  la stratificazione prognostica di pz con scompenso cardiaco. Una  ridotta captazione della MIBG marcata,  infatti,  identifica quei pz con  scompenso cardiaco a più alto rischio di morte per eventi aritmici e che, quindi, beneficerebbero dell’impianto di un defibrillatore.  Ciò dipende dal fatto che il miocardio denervato è maggiormente sensibile alle catecolamine circolanti.  

        

 

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SPECIFICHE CONDIZIONI  

Cardiopatia ischemica Comprende uno  spettro di condizioni morbose dipendenti dal  fatto che  il miocardio  riceve una quota di ossigeno insufficiente a soddisfarne il fabbisogno. La  causa  più  frequente  di  cardiopatia  ischemica  è  l’aterosclerosi  coronarica  che  ha,  come  lesione elementare, la placca aterosclerotica. Le  conseguenze  clinica  della  malattia  aterosclerotica  coronarica  sono  condizionate  dall’evoluzione strutturale della placca. ‐ Qualora prevalgano gli espetti proliferativi, responsabili di un progressivo  ingrandimento della  lesione 

all’interno  del  lume  coronarico  (placca  stabile),  la  sofferenza  ischemica  del  miocardio  e  la  sintomatologia dipendono dall’entità della stenosi.     Le  stenosi  delle  coronarie  epicardiche  divengono  emodinamicamente  significative  se  =  o  >  50%  del lume. In tale circostanza si determina,  infatti, una riduzione della pressione di perfusione a valle della stenosi che viene tuttavia compensata dalla riduzione delle resistenze delle arteriole intramiocardiche.  Ciò consente  il mantenimento, a  riposo, di un  flusso coronarico adeguato, nonostante  la presenza di una stenosi significativa. La  vasodilatazione  delle  arteriole  intramiocardiche  limita  comunque  la  capacità  di  un’ulteriore vasodilatazione con riduzione della riserva coronarica. Di conseguenza, quando si verifica un aumento della domanda di ossigeno (classicamente in seguito a uno sforzo), il circolo coronarico può non essere capace di aumentare  il  flusso  in modo adeguato per  soddisfare  la maggiore  richiesta metabolica del miocardio irrorato dal vaso stenotico. Come risultato si avrà ischemia miocardica da sforzo. 

 ‐ Qualora,  invece,  prevalga  la  componente  infiammatoria  (placca  instabile),  il  cappuccio  fibroso  della 

placca    tende  a  rompersi,  con  attivazione  del  processo  trombotico  e  conseguente  ostruzione  della coronaria epicardica interessata.  Da ciò deriva una sindrome coronarica acuta 

  Cause meno comuni di cardiopatia ischemica sono: ‐ Spasmo di un grosso vaso coronarico ‐ Alterazioni del microcircolo coronarico ‐ Anomalie anatomiche di origine e decorso delle coronarie ‐ Embolia coronarica ‐ Coronarite ostiale da aortite luetica ‐ Arterite coronarica nell’ambito di una vasculite ‐ Notevole aumento della domanda di ossigeno del miocardio, come nella marcata ipertrofia ventricolare ‐ Riduzione  della  capacità  di  trasporto  dell’ossigeno  da  parte  del  sangue,  caso  di  gravi  anemie, 

carbossiemoglobinemia, ecc…  

   Relativamente alla cardiopatia ischemica, le metodiche d’immagine non invasive hanno come indicazioni:  1. Diagnosi di malattia  coronarica,  in  soggetti  con probabilità pre‐test  intermedia  (compresa  cioè  tra  il 

30% ed il 60%) caso di:    Soggetti asintomatici con multipli fattori di rischio coronarico  Soggetti asintomatici nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo o non diagnostico  Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia    

 

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Per far ciò ci si può avvalere di: ‐ Metodiche di stress imaging, come  Gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione  Ecostress 

 ‐ Coronaro‐TC 

  N.B. queste indagini non sono indicate  ‐ nei soggetti con probabilità pre‐test di malattia coronarica alta poiché,  in essi, un risultato positivo del test 

aumenterebbe  solo modestamente  la  già  cospicua probabilità  di malattia  coronarica, mentre  un  risultato negativo sarebbe gravato da un elevato rischio di essere un falso negativo. 

‐ nei  soggetti  con  probabilità  pre‐test  di  malattia  coronarica  bassa,  poiché  in  essi  un  risultato  negativo ridurrebbe solo di poco la già scarsa probabilità di malattia coronarica, mentre un risultato positivo sarebbe gravato da un elevato rischio di essere un falso positivo. 

  Relativamente  alle  metodiche  di  “stress  imaging”,  va  detto  che  la  Gated‐SPECT  miocardica  con traccianti  di  perfusione  è  più  sensibile  dell’ecostress  nel riconoscere  aree  miocardiche  non  sufficientemente  irrorate  in condizioni di stress (ischemia miocardica inducibile). Ciò  dipende  dal  fatto  che  il  deficit  perfusivo  costituisce  la  più precoce  manifestazione  di  un’ischemia  miocardica  inducibile precedendo,  nella  cascata  ischemica,  quello  cinetico  ‐ documentabile  mediante  Ecostress  ‐    per  uno  shift  verso  il metabolismo anaerobico. Le alterazioni elettriche, apprezzabili all’ECG da sforzo, ed il dolore anginoso sono manifestazioni ancora più tardive e non sempre presenti. 

 Il riscontro, alle metodiche di “stress imaging”, di un’ischemia miocardica inducibile pone l’indicazione ad una coronarografia.  Nei soggetti con probabilità pre‐test intermedia di malattia coronarica, come alternativa alle metodiche di “stress imaging”, è stato proposto l’utilizzo di una coronaro‐TC Caratteristica  della  coronaro‐TC  è  infatti  l’accuratezza  elevata  nell’escludere  la  presenza  di coronaropatia, in tali soggetti, con un VPN compreso tra il 90 ed il 100%. Rispetto  ad  una  gated‐SPECT  miocardica  con  traccianti  di  perfusione,  tuttavia,  non  fornisce informazioni utili per  la stratificazione prognostica, come quelle riguardanti  la perfusione e  la cinetica miocardica.   Le metodiche  di  stress  “imaging”  e  la  coronaro‐TC  sono  anche  indicate  in  pz  con  sintomatologia anginosa tipica ed ECG da sforzo, non interpretabile o non eseguibile. 

   2. Stratificazione prognostica di pz con cardiopatia ischemica già nota 

Ciò è reso possibile da: ‐ Gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione che consente di valutare i principali parametri 

condizionanti  la  prognosi  di  un  pz  con  cardiopatia  ischemica,  quali  perfusione  e  funzione ventricolare N.B. tali parametri sarebbero valutabili anche mediante RM 

   

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 3. Studio della vitalità miocardica in pz con disfunzione contrattile di origine ischemica, per predire l’esito 

di un  intervento di rivascolarizzazione coronarica: non ha senso,  infatti, rivascolarizzare un miocardio non più vitale. Cause di disfunzione contrattile di origine ischemica sono: ‐ Miocardio infartuato ‐ Miocardio stordito ‐ Miocardio ibernato 

 Per miocardio  infartuato  s’intende  un  tessuto miocardico  non  più  vitale  e,  quindi,  con  disfunzione contrattile irreversibile.  Per miocardio ibernato e stordito, s’intendono due distinte condizioni di miocardio vitale caratterizzate da una disfunzione contrattile reversibile.   ‐ Nello  stordimento,  la  disfunzione  contrattile  reversibile  è  dovuta  all’accumulo  intracellulare  di 

calcio  e  radicali  liberi  che  si  verifica  per  la  rapida  riperfusione  di  un  segmento  miocardico interessato da un’ischemia acuta di breve durata. 

‐ Nell’ibernazione,  la  disfunzione  contrattile  reversibile  viene  indotta  da  uno  stato  di  ischemia cronica.  È  come  se  le  cellule  in  sofferenza  ischemica  innescassero  un meccanismo  di  risparmio energetico per mantenere le loro funzioni vitali in attesa di una ripresa del flusso.  

 La vitalità miocardica  può essere valutata mediante:  TECNICHE MEDICO‐NUCLEARI Gated‐SPECT  miocardica  con  traccianti  di  perfusione  (99mTc‐sestamibi,  99mTc‐tetrofosmina)  che  si effettua sincronizzando l’acquisizione delle immagini al tracciato ECGgrafico. Ciò consente di ottenere informazioni relative non solo alla perfusione ma anche contrattilità regionale e globale del ventricolo sin, di cui è possibile calcolare volumi e FE.  L’esame  è  basato  sul  confronto  tra  studio  sotto  stress,  ergometrico  o  farmacologico,  e  studio  a riposo: ‐ Le  aree  ischemiche  che,  sotto  stress,  appaiono  ipoperfuse,  divengono  “normali”,  in  termini  di 

captazione del tracciante, a riposo, segno di vitalità miocardica. ‐ Le  aree  necrotiche,  invece,  conservano  anche  a  riposo  il  difetto  di  captazione mostrato  sotto 

stress. Ciò depone per l’assenza di cellule e, quindi, di vitalità miocardica. Limiti ‐ Bassa  risoluzione  spaziale  che non  le  consente di  riconoscere piccoli  infarti  subendocardici  e di 

stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto    ‐ Incapacità di differenziare aree  ipoperfuse a  riposo, ma ancora vitali  (miocardio  ibernato) e che 

quindi  possono  giovarsi  di  un  intervento  di  rivascolarizzazione,  da  aree  necrotiche,  non recuperabili, perché non più vitali 

   

PET  È stata a lungo considerata la tecnica d’elezione per lo studio della vitalità miocardica poiché consente un’accurata  distinzione  tra  le  tre  condizioni  responsabili di  disfunzione  contrattile  del miocardio  su base ischemica (miocardio infartuato, ibernato e stordito). L’esame  prevede  la  valutazione  combinata  della  captazione,  da  parte  del  tessuto  miocardico,  di ammoniaca marcata con 13N, che fornisce informazioni relative alla perfusione del miocardio e di 18F‐FDG, che fornisce informazioni relative all’attività metabolica cellulare.   

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‐ Il miocardio stordito mostra una captazione nella norma sia dell’ammoniaca marcata che del 18F‐FDG. 

‐ Il miocardio ibernato presenta una ridotta captazione dell’ammoniaca marcata ma una captazione normale o aumentata del 18F‐FDG (disaccoppiamento flusso/metabolismo) 

In  tali  condizioni,  il  miocardio  con  disfunzione  contrattile  va  ritenuto  vitale.  Le  procedure  di rivascolarizzazione sono pertanto giustificate.  ‐ Il  miocardio  infartuato  mostra,  invece,  una  ridotta  captazione  di  entrambi  i  radiofarmaci 

(accoppiamento  flusso/metabolismo).  Ciò  indica  l’assenza  di  vitalità miocardica,  rendendo  non giustificate le procedure di rivascolarizzazione.  

 Se  l’acquisizione  delle  immagini  PET  viene  sincronizzata  al  tracciato  ECGgrafico  (gated‐PET) l’accuratezza dell’indagine aumenta ulteriormente per l’integrazione dei dati perfusionali e metabolici con quelli della cinetica miocardica e degli spessori parietali.   Il principale  limite della PET nello  studio della vitalità miocardica è costituito dalla bassa  risoluzione spaziale (6‐7 mm), che non  le consente di riconoscere piccoli  infarti subendocardici e di stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto.  

 RM Viene attualmente ritenuta l’indagine d’elezione per lo studio della vitalità miocardica. La vitalità miocardica viene studiata, mediante RM,   valutando  il  tempo  impiegato dal miocardio per eliminare (wash out) un mdc paramagnetico a distribuzione bicompartimentale, vascolare/interstiziale (Gd‐DTPA). Circa 10 min dopo l’iniezione endovenosa del mdc, infatti, ‐ il  tessuto miocardico  sano  e  le  zone  ischemiche,  NON  PRESENTANO  un  contrast  enhancement 

tardivo poiché, essendo vitali, hanno  la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi,  il mdc; 

‐ le aree  cicatriziali postinfartuali,  invece, PRESENTANO un  contrast  enhancement  tardivo, poiché,  non  essendo  più  vitali, mancano  della  capacità  di  eliminare  cataboliti  e,  con  essi,  il mdc  che, pertanto, ristagna al loro interno.  Il  riscontro  di  un  contrast  enhancement  tardivo,  quindi,  deponendo  per  l’assenza  di  vitalità miocardica, risulta predittivo di mancato recupero funzionale dopo rivascolarizzazione. Esiste  una  corrispondenza  molto  accurata  tra  l’estensione  dell’area  di  contrast  enhancement tardivo  e  quella  della  cicatrice  post‐infartuale.  Ciò  permette  di  stabilire  se  l’infarto  sia  stato trasmurale (esteso, cioè, a più del 75% dello spessore ventricolare) o non trasmurale (esteso, cioè, a meno del 75% dello spessore ventricolare). La distinzione tra infarto transmurale ed infarto non transmurale è importante ai fini della prognosi e della pianificazione terapeutica. Le  forme  non  transmurali,  infatti,  sono  a  più  alto  rischio  di  complicanze  aritmiche,  poiché  la porzione della parete miocardica rimasta vitale diviene frequentemente sede di focolai aritmogeni. Le forme transmurali, invece, vanno più spesso incontro a degenerazione dilatativa. 

 Vantaggi della RM sulla gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione ‐ Maggiore  risoluzione  spaziale,  che  permette  di  individuare  piccoli  infarti  subendocardici  e  di 

stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto    ‐ Capacità di distinguere un miocardio  ibernato –  segmento miocardico vitale che  si è adattato ad 

una  cronica  ipoperfusione  riducendo  la  sua  attività  contrattile  e,  quindi,  le  sue  esigenze metaboliche  –  da  una  cicatrice  post‐infartuale.  Il  miocardio  ibernato,  infatti,  non  presenta  un contrast  enhancement  tardivo  poiché,  essendo  vitale,  conserva  la  capacità  di  eliminare rapidamente cataboliti e, con essi, il mdc 

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Ecostress mediante infusione di dobutamina a basse e ad alte dosi Il  razionale  dell’esame  consiste  nell’assunzione  che  i  segmenti  acinetici  ma  vitali,  pur  non rispondendo a basse dosi di dobutamina, possono  rispondere,  in  termini di motilità parietale, ad alte dosi.  I segmenti miocardici infartuati, invece, non rispondono alla dubutamina ne a basse ne ad alte dosi. L’esame tuttavia ‐ Ha una scarsa risoluzione spaziale ‐ È spesso limitato dall’assenza di una finestra acustica adatta ‐ È fortemente operatore‐dipendente e, quindi, poco riproducibile   

   4. Valutazione di pz con probabilità bassa o intermedia che il dolore toracico acuto da essi denunciato sia 

dovuto ad una SCA (per enzimi negativi ed elettrocardiogramma dubbio) La valutazione viene effettuata mediante un’angio‐TC coronarica, capace di escludere con un VPN del 100% nell’escludere la presenza di stenosi coronariche in tali pz. L’angio‐TC coronarica, in pz con dolore toracico acuto, si è dimostrata capace di escludere la presenza, non solo, di stenosi delle coronarie ma anche di embolia polmonare e di dissezione aortica (cdt “triple rule out”).    

 

Pericarditi  Si distinguono: ‐ Forme acute essudative ‐ Forme croniche costrittive  Nella  pericardite  acuta  essudativa,  l’esame  radiografico  diretto  del  torace,  in  ortostatismo,  può evidenziare, un aspetto “a fiasco” dell’ombra cardiaca, per accentuata convessità dei 2 archi  inferiori, con angoli cardiofrenici acuti. In  decubito  supino,  la  dislocazione  gravitazionale  del  versamento  nelle  parti  più  declivi,  induce  uno slargamento del peduncolo vascolare. Mancano segni di congestione del piccolo circolo. L’indagine di elezione è comunque rappresentata da un’ecocardiografia perché consente di: 

Individuare anche piccole quantità di liquido pericardico 

Riconoscere precocemente un tamponamento cardiaco, denunciato da:  Collasso diastolico del ventricolo dx 

  Nella pericardite cronica costrittiva, l’esame radiografico diretto del torace rivela: 

Calcificazioni pericardiche, apprezzabili in circa il 50% dei casi 

Segni di stasi del piccolo circolo e del grande circolo  L’ecocardiografia ha un ruolo limitato poiché consente di apprezzare solo segni indiretti  TC e RM sono fondamentali per individuare l’anomalo ispessimento del pericardio, la cui presenza consente la DD con una cardiomiopatia restrittiva. La  RM,  sebbene  non  permetta  il  riconoscimento  di  calcificazioni,  risulta  più  specifica  poiché  capace  di dimostrare la natura fibrotica dell’ispessimento pericardico.   

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Neoplasie  I tumori primitivi del cuore sono molto rari e di natura prevalentemente benigna.   Più  frequenti  sono  le metastasi,  solitamente a partenza da  tumori polmonari e della mammella. Anche  i linfomi ed i melanomi possono metastatizzare al cuore in maniera significativa. La  disseminazione metastatica  al miocardio  interessa  quasi  sempre  anche  il  pericardio,  producendo  un versamento pericardico.  

Tra i tumori primitivi del cuore, il più comune, è il mixoma. ‐ Nel  75%  dei  casi,  ha  origine  dal  setto  interatriale,  in  prossimità  del  forame  ovale,  sviluppandosi 

all’interno dell’atrio sin. ‐ Nel 10‐20% dei casi, interessa l’atrio dx ‐ Nel 5‐15% dei casi, le cavità ventricolari  Il tumore è per  lo più peduncolato e, quando ha sede atriale, tende a prolassare, durante  la diastole, nel ventricolo sottostante, attraverso l’orifizio atrio‐ventricolare, la cui ostruzione può indurre sincope e morte improvvisa.  L’ecocardiografia ha, nei confronti del mixoma atriale, una sensibilità prossima al 100% e fornisce adeguate informazioni anche sulla mobilità della lesione.  Come  indagine di  II  livello,  ci  si  avvale, principalmente, di una RM  che permette di  valutare  in maniera accurata l’estensione locale della lesione e di ottenere indicazioni circa la sua natura.  

                   

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    VASI SANGUIGNI  Aneurismi  Bisogna, innanzitutto, distinguere aneurismi veri da aneurismi falsi o pseudoaneurismi. Gli aneurismi veri  sono dilatazioni permanenti,  segmentarie e progressive del  lume di un’arteria –  il  cui diametro supera di almeno  il 50%  la norma – correlate ad un sovvertimento strutturale delle tre tonache parietali –  in particolare della media – che vengono  sostituite da  fibre collagene ma che mantengono  la propria continuità. Gli  aneurismi  falsi  o  pseudoaneurismi,  invece,  sono  la  conseguenza  di  una  soluzione  di  continuo  della parete arteriosa, con stravaso ematico perivasale che viene delimitato da una  reazione connettivale  . Ne deriva, pertanto, un ematoma capsulato in diretta comunicazione con il lume vasale.   Gli aneurismi veri, a loro volta, sulla base dell’aspetto morfologico, vengono classificati come: ‐ Fusiformi, in cui il processo dilatativo interessa tutta la circonferenza del vaso. ‐ Sacciformi,  in  cui  il  processo  dilatativo  interessa  solo  una  parte  limitata  della  sua  circonferenza, 

producendo una sacca che comunica con il lume vasale mediante un orifizio più o meno ristretto, detto “colletto”.  

‐ Crisoidei,  in  cui  un  lungo  tratto  del  vaso  va  incontro  ad  una  dilatazione  serpiginosa.  Tale  aspetto  è pressoché esclusivo degli aneurismi veri che interessano l’arteria splenica.       

  Sotto il profilo eziologico, si riconoscono aneurismi congeniti ed aneurismi acquisiti. Gli aneurismi congeniti sono aneurismi veri,  raramente presenti già al momento della nascita, ma che si formano  più  tardivamente  per  un  difetto  strutturale  congenito  della  parete  arteriosa,  dipendente  da sindromi ereditarie, come Sindrome di Marfan, di Ehlers‐Danlos e di Turner.  Gli aneurismi acquisiti possono essere veri o falsi e tra essi rientrano: ‐ Aneurismi aterosclerotici, che rappresentano  il 90% degli aneurismi acquisiti, si manifestano dopo  i 50 

anni, prediligono il sesso maschile ‐ Aneurismi traumatici 

Sono,  generalmente, pseudoaneurismi  causati da un qualsiasi  trauma  capace di  indebolire  la parete arteriosa fino ad indurne fissurazione.   

‐ Aneurismi  infiammatori,  che  complicano  arteriti  specifiche  come  la  m.  di  Takayasu  e  l’arterite temporale. 

‐ Aneurismi infettivi, che si formano per la migrazione di emboli settici, batterici o fungini.    Da un punto di vista clinico, gli aneurismi sono generalmente asintomatici. Manifestazioni cliniche, comunque, possono esser dovute a: ‐ Compressione esercitata sulle strutture circostanti ‐ Complicanze, quali:  Rottura, con emorragia  Trombosi, con possibile occlusione del vaso e distacco di emboli dalla lesione trombotica  

  L’aorta è la sede preferenziale della malattia aneurismatica. Nell’ambito dell’aorta, il segmento più colpito è quello addominale.       

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Aneurisma dell’aorta addominale Rappresentano il 70‐80% di tutti gli aneurismi aortici. Hanno un picco di incidenza tra la 6a e la 7a decade di vita, mostrando predilizione per il sesso maschile.  Più del 90% di essi ha sede sotto‐renale, coinvolgendo, in circa il 20% dei casi, le arterie iliache comuni ed interne. Rara, ma possibile, è l’estensione sovra‐renale anche fino all’aorta toracica.  Per quanta  riguarda  l’eziologia,  la maggior parte degli AAA  sono di origine  aterosclerotica. Molto meno frequenti si dimostrano quelli di origine infiammatoria, infettiva e post‐traumatica.  Sono generalmente asintomatici e di  riscontro occasionale durante  indagini strumentali dell’addome –  in primis ecografia con color‐Doppler –  effettuate per altri motivi.  Possono comunque manifestarsi anche sotto forma di una massa addominale pulsante. In caso di rottura, inoltre, si hanno, per emoperitoneo, dolore addominale acuto con reazione peritoneale, da peritonite chimica ed ipotensione arteriosa.  Per gli AAA è previsto uno screening, condotto  in soggetti asintomatici di età compresa tra 65 e 75 anni, mediante  eco‐color‐Doppler  che  costituisce  anche  l’indagine  strumentale  di  I  livello,  nei  casi  in  cui  la presenza della malattia venga suggerita dal riscontro, all’E.O., di una massa pulsante dell’addome.  L’eco‐color‐Doppler  consente  di  rappresentare  “in  tempo  reale”  sul monitor,  sovrapposte  all’immagine ecotomografica, la velocità e la direzione del flusso ematico, codificate secondo una scala di colori. Tale  scala  cromatica, per  convenzione,  rappresenta  con  il  rosso,  il  flusso  in  avvicinamento  e,  con  il blu, quello in allontanamento, rispetto al trasduttore ecografico. Le variazioni di luminosità del colore esprimono la velocità del flusso. Eventuali turbolenze vengono raffigurate con colori addizionali rispetto ai due principali.  L’ECD  permette  inoltre  di  quantificare,  posizionando  un  volume  campione  all’interno  del  vaso  da esaminare, la velocità del flusso ematico, attraverso l’analisi dello spettro di frequenze del segnale Doppler (analisi spettrale).  In un sistema di assi cartesiani, viene cioè riportato un tracciato spettrale che documenta la variazione nel tempo della frequenza dell’onda emessa rispetto a quella dell’onda ricevuta (Doppler shift). Dal  Doppler  shift  si  risale,  quindi,  alla  velocità  del  flusso  ematico,  conoscendo  la  frequenza  dell’onda incidente e l’angolo che il fascio incidente forma con l’asse del vaso. La  valutazione  del  tracciato  spettrale  consente  anche  di  stabilire  presenza,  direzione  e  tipo  di  flusso (arterioso, venoso, laminare, turbolento...)   L’indagine  inizia  con  scansioni  ecotomografiche  (B‐mode)  longitudinali  e  trasversali  rispetto  all’asse maggiore del vaso che forniscono informazioni morfologiche, quali: 

Sede, forma e dimensioni della sacca aneurismatica 

Eventuale presenza di un trombo parietale  

Il passo successivo consiste nell’applicazione del color‐Doppler che permette di apprezzare il flusso ematico tipico dell’aneurisma,  il cui  lume residuo,  in sezione trasversale, mostra un aspetto a “bandiera coreana”. Ciò  dipende  dalla  presenza  nella  sacca  di  un  flusso  vorticoso  in  contemporaneo  avvicinamento  ed allontanamento rispetto alla sonda.  L’ECD è, tuttavia, poco efficace nello stabilire:  

Limiti superiore e inferiore dell’aneurisma  

Rapporti  dell’aneurisma  con  le  arterie  renali  ed  iliache  (per  il  meteorismo  delle  anse  intestinali interposte) 

Rotture in fase iniziale  

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L’ECD, quindi, pur essendo utile per  la diagnosi ed  il controllo evolutiva – con cadenza semestrale – degli AAA, si dimostra inadeguato per: ‐ la selezionare dei pz candidati all’intervento, chirurgico o endovascolare  ‐ la pianificazione della procedura ‐ la dimostrazione, in condizioni di urgenza, di un’eventuale rottura  La selezionare dei pz candidati all’intervento, chirurgico o endovascolare, e la pianificazione della procedura richiedono infatti il ricorso ad indagini strumentali di II livello, quali: ‐ Angio‐TC spirale mono o multistrato ‐ Angio‐RM  

Tecnica  L’angio‐TC  spirale  mono  o  multistrato  si  realizza  sincronizzando  l’inizio  della  scansione  con  l’arrivo nell’albero  vasale  in  studio  di  un mdc  iodato  idrosolubile,  iniettato  ad  alta  concentrazione  ed  a  flusso elevato (4‐5 ml/sec) in una vena periferica, da una pompa di infusione elettronica. La  tecnica di  sincronizzazione  attualmente più utilizzata è quella del  cdt  “bolus  tracking”  che prevede  il posizionamento  di  una  regione  di  interesse  (ROI)  in  corrispondenza  del  vaso  da  esaminare  ed  il monitoraggio del transito del mdc mediante scansioni dinamiche a bassa dose radiante.  La scansione diagnostica parte quando, nella ROI, viene raggiunto un valore di densità soglia prestabilito, espresso in unità Hounsfield. In particolare, per un enhancement vascolare ottimale, sono richiesti valori di densità > 350 UH. Ciò serve, non solo, per favorire il riconoscimento delle strutture vasali ma, anche, per differenziare il lume pervio da eventuali trombi murali di cui è possibile stabilirne l’estensione.  Le moderne  apparecchiature a  scansione elicoidale  consentono di acquisire  in  tempi brevi  tutti  i dati di grossi volumi che vengono successivamente  impiegati per effettuare ricostruzioni MPR, con algoritmo di proiezione della massima intensità (MIP), tridimensionali, con algoritmo VR. Le ricostruzioni MPR offrono il vantaggio di poter realizzare accurate misurazioni anche in corrispondenza di segmenti vascolari il cui decorso non è perpendicolare al piano di scansione assiale. Le ricostruzione con algoritmo di proiezione della massima intensità (MIP), rappresentando solo i voxel a più alto valore di attenuazione, mettono ulteriormente in risalto le strutture vascolari opacizzate dal mdc Le  ricostruzioni  tridimensionali,  con  algoritmo  VR  sono  utili  per  il  bilancio  di  estensione  ed  una documentazione di sintesi.  N.B.  È  indicato  far  precedere  una  scansione  TC  diretta,  senza mdc,  per  individuare  calcificazioni  e  per riconoscere  il  cdt  “crescent  sign”,  segno  di  imminente  rottura:  iperdensità  semilunare  della  parete arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in essa di sangue     RM Nelle classiche sequenze RM, il sangue in movimento non dà segnale, con il lume vasale che appare nero. Lo studio RM dei vasi  richiede, pertanto, l’esecuzione un’angio‐RM Si distinguono: ‐ Angio‐RM convenzionale, senza mdc ‐ Angio‐RM con mdc  L’angio‐RM convenzionale, senza mdc fornisce un’immagine non del vaso bensì del flusso nel suo contesto. Le principali tecniche che consentono di dimostrare il flusso ematico sono: 

Tecnica di afflusso o del tempo di volo 

Tecnica a contrasto di fase  

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Tecnica di afflusso  Utilizza sequenze caratterizzate da impulsi di RF molto rapidi e ripetuti che determinano la saturazione dei tessuti stazionari. Ciò significa che, tra 2 impulsi successi, i tessuti stazionari non hanno il tempo di recuperare  la  magnetizzazione  longitudinale.  Il  loro  segnale,  pertanto,  subisce  un  progressivo decremento fino alla completa scomparsa. I protoni del sangue  in movimento,  invece, raggiungono  la regione di  interesse nell’intervallo  fra due impulsi, con quelli saturati dal precedente impulso che si sono già allontanati.  I protoni del sangue in movimento, quindi, presentano una magnetizzazione longitudinale completa ed un’intensità di segnale superiore a quella dei tessuti stazionari. 

 

Tecnica a contrasto di fase Sottopone  i protoni del sangue  in movimento ad un campo magnetico  lievemente differente  lungo  il decorso del vaso. Ciò è  reso possibile dall’applicazione di un gradiente di  campo magnetico durante l’acquisizione. 

  Angio‐RM con mdc Supera i limiti dell’angio‐RM diretta quali:  Ristretto campo di vista   Impossibilità di cancellare totalmente il segnale dei tessuti stazionari  Assenza di informazioni relative alla parete vasale  Si basa sull’accorciamento del tempo di rilassamento T1 del sangue da parte di un mdc paramagnetico (Gd‐DTPA) in misura proporzionale alla sua concentrazione. L’intensità di segnale del sangue pertanto aumenta nelle sequenze T1‐pesate. _______________________________________________________________________________________   L’angio‐TC è capace di documentare: 

Sede, morfologia e dimensioni dell’aneurisma 

Calcificazioni, meglio apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica  

Grado di pervietà del lume 

Trombi murali 

Estensione longitudinale dell’aneurisma e suoi rapporti con le arterie renali ed iliache, la cui valutazione richiede ricostruzioni MPR. N.B. particolarmente rilevante per la selezione dei pz da poter sottoporre ad intervento endovascolare mediante protesi è il calcolo della distanza esistente tra origine delle arterie renali ed estremità craniale dell’aneurisma,  cdt  colletto  prossimale  o  sotto‐renale.  Quando,  infatti,  tale  distanza  è  <  15  mm, l’intervento endovascolare risulta controindicato. 

 L’angio‐TC,  inoltre, costituisce  la metodica di  riferimento nelle condizioni di urgenza quando permette di riconoscere, in tempi brevi:  

Segni di imminente rottura, apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica, quali  

“Crescent sign”: iperdensità semilunare della parete arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in essa di sangue 

Discontinuità delle calcificazioni parietali dell’aneurisma 

Segni di rottura  

Ematoma perivasale 

Stravaso extraluminale di mdc   

 

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L’angio‐RM ha performance diagnostiche sovrapponibili, mostrando come vantaggi: ‐ Assenza di radiazioni ionizzanti ‐ Multiplanarità ‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico  Rispetto alla angio‐TC, tuttavia, ‐ non consente di visualizzare calcificazioni parietali ‐ ha tempi di espletamento più lunghi, che ne rendono difficoltoso l’utilizzo in urgenza, condizione nella 

quale  il  suo  impiego  viene  ulteriormente  limitato  dalla  presenza  di  presidi  di  monitoraggio  e  di rianimazione  

   Attualmente, l’angio‐RM è utilizzata come alternativa all’angio‐TC solo in soggetti giovani, data l’assenza di radiazioni ionizzanti ed in quelli che non possono ricevere mdc iodati, per allergia ed insufficienza renale.     Un’aortografia è poco accurata nello stabilire le dimensioni di un aneurisma poiché visualizza solo il lume pervio. Le  reali dimensioni della sacca aneurismatica verrebbero pertanto sottostimate  in presenza di un trombo.   L’indagine sarebbe  indicata solo  in fase pre‐operatoria al fine di precisare  i rapporti dell’aneurisma con  le arterie viscerali, renali ed iliache.  Anche per  la valutazione pre‐operatoria, comunque,  l’aortografia viene sempre più sostituita da angio‐TC ed angio‐RM    La decisione per l’intervento correttivo di un AAA deve essere presa individualmente, caso per caso. È stato dimostrato che  il rischio di rottura per piccoli aneurismi (< 5 cm) è piuttosto basso ed un accurato monitoraggio  fino  a  5,5  cm  viene  considerato  sicuro,  purché  in  assenza  di  sintomatologia  o  di  rapida espansione (> 1 cm/anno).  Qualora si propenda per trattamento correttivo, la scelta tra scelta tra intervento chirurgico tradizionale ed intervento endovascolare mediante protesi è subordinata alla valutazione di diversi parametri. Il principale è rappresentato dalla distanza esistente tra origine delle arterie renali ed estremità craniale dell’aneurisma, cdt colletto prossimale o sotto‐renale. Quando, infatti, tale distanza è < 15 mm, l’intervento endovascolare risulta controindicato.   Nei  pz  trattati  per  via  endovascolare  con  protesi  è  richiesto  un  follow  up  per  identificare  eventuali complicanze, in particolare, endoleaks: rifornimento della sacca aneurismatica da parte di sangue pulsante. Per far ciò, ci si può avvalere di: ‐ US con mdc vascolare ‐ Angio‐TC ‐ Angio‐RM  L’angio‐RM sarebbe la metodica più accurata per riconoscere endoleaks ma si raccomanda di non eseguirla nelle prime 6 settimane successive al posizionamento della protesi che, pur essendo costituita da materiale amagnetico, potrebbe spostarsi prima della definitiva stabilizzazione.     

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Aneurismi dell’aorta toracica Sono meno frequenti di quelli dell’aorta addominale, costituendo il 20‐30% di tutti gli aneurismi aortici. Interessano: ‐ Aorta ascendente, nel 50% dei casi ‐ Arco aortico, nel 10% dei casi ‐ Aorta discendente, nel restante 40% dei casi  Gli aneurismi dell’aorta ascendente e dell’arco aortico sono, in prevalenza, ad eziologia malformativa; più di rado, ad eziologia infettiva o secondari a patologie valvolari aortiche. Gli aneurismi dell’aorta discendente, invece, sono di solito ad eziologia aterosclerotica. Relativamente  frequenti,  inoltre,  si  dimostrano  pseudo‐aneurismi  istimici,  causati  da  incidenti  stradali responsabili di gravi traumi contusivi del torace.   Gli AAT sono generalmente asintomatici e di riscontro occasionale nel corso di  indagini strumentali, come un esame radiografico standard del torace, effettuate per altri motivi.  L’esame  radiografico  standard  del  torace  può  evidenziare  l’aneurisma  come  una  massa  più  o  meno debordante dall’ombra mediastinica. La massa appare non dissociabile dall’aorta in nessuna proiezione ed è  spesso  ben  delimitata  rispetto  al  parenchima  polmonare  circostante,  per  la  presenza  di  un  orletto calcifico. Possono associarsi: 

Dislocazione della trachea  

Erosione dello sterno, nel caso di aneurismi dell’aorta ascendente 

Erosione della superficie anteriore dei corpi vertebrali, nel caso di aneurismi dell’aorta discendente  Il  riscontro  occasionale  di  aneurisma  dell’aorta  ascendente,  può  inoltre  avvenire  mediante un’ecocardiografia con color‐Doppler.   La conferma diagnostica e la caratterizzazione di un’AAT necessitano, in ogni caso, di: ‐ Angio‐TC spirale mono o multistrato ‐ Angio‐RM  L’angio‐TC è capace di documentare: 

Sede, morfologia e dimensioni dell’aneurisma 

Calcificazioni, meglio apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica  

Grado di pervietà del lume 

Trombi murali 

Estensione  longitudinale  dell’aneurisma  e  suoi  rapporti  con  i  tronchi  arteriosi  sovra‐aortici,  la  cui valutazione  richiede  ricostruzioni MPR, con algoritmo di proiezione della massima  intensità  (MIP) e tridimensionali, con algoritmo VR.  

L’angio‐TC,  inoltre, costituisce  la metodica di  riferimento nelle condizioni di urgenza quando permette di riconoscere, in tempi brevi:  

Segni di imminente rottura, apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica, quali  

“Crescent sign”: iperdensità semilunare della parete arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in essa di sangue 

Discontinuità delle calcificazioni parietali dell’aneurisma 

Segni di rottura  

Ematoma perivasale 

Stravaso extraluminale di mdc  

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L’angio‐RM ha performance diagnostiche sovrapponibili, mostrando come vantaggi: ‐ Assenza di radiazioni ionizzanti ‐ Multiplanarità ‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico  Rispetto alla angio‐TC, tuttavia, ‐ non consente di visualizzare calcificazioni parietali ‐ ha tempi di espletamento più lunghi, che ne rendono difficoltoso l’utilizzo in urgenza, condizione nella 

quale  il  suo  impiego  viene  ulteriormente  limitato  dalla  presenza  di  presidi  di  monitoraggio  e  di rianimazione  

   Attualmente, l’angio‐RM è utilizzata come alternativa all’angio‐TC solo in soggetti giovani, data l’assenza di radiazioni ionizzanti ed in quelli che non possono ricevere mdc iodati, per allergia ed insufficienza renale.     Un aneurisma dell’aorta toracica può essere esaminato anche mediante eco‐color‐Doppler trans‐esofageo, utile soprattutto in pz instabili perché rapidamente praticabile al letto del malato.    Un’aortografia è poco accurata nello stabilire le dimensioni di un aneurisma poiché visualizza solo il lume pervio. Le  reali dimensioni della sacca aneurismatica verrebbero pertanto sottostimate  in presenza di un trombo.   L’indagine sarebbe indicata solo in fase pre‐operatoria al fine di precisare rapporti  dell’aneurisma con TSA ed arterie coronariche N.B. Anche per la valutazione pre‐operatoria, comunque, l’aortografia viene sempre più sostituita da angio‐ TC e angio‐RM con mdc    Il trattamento correttivo è indicato per: ‐ Aneurismi asintomatici di diametro > 6 cm ‐ Aneurismi sintomatici ‐ Aneurismi fissurati e rotti ‐ Aneurismi in rapida evoluzione (> 1 cm/anno)   Mentre  gli  aneurismi  dell’aorta  ascendente  sono  di  pertinenza  chirurgica,  quelli  dell’aorta  discendente possono essere trattati, sia in elezione che in urgenza, per via endovascolare con protesi.     Follow‐up  L’angio‐TC è l’indagine di scelta sia per il monitoraggio annuale della crescita degli ATT sia per il follow up dei pz sottoposti a trattamento chirurgico o endovascolare. Un’alternativa può essere costituita da un’angio‐RM. Si raccomanda, tuttavia, di non utilizzare quest’ultima nelle prime 6 settimane successive al posizionamento della protesi che, pur essendo costituita da materiale amagnetico, potrebbe spostarsi prima della definitiva stabilizzazione.     

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Dissezione aortica Consiste nello scollamento dell’intima dell’aorta dalla tonaca medica che si verifica per  la penetrazione di sangue pulsante attraverso una  lacerazione  intimale  (flap).  Il  lume vasale viene pertanto  suddiviso  in un lume vero ed in un lume falso. Il lume falso può terminare a fondo cieco o ricongiungersi al lume vero, attraverso un flap di rientro. Possibile  è  l’estensione  del  processo  dissecante  sia  in  senso  anterogrado  che  retrogrado,  con coinvolgimento di diversi rami dell’aorta.   Secondo la classificazione di Stanford si distinguono due tipi di dissezione aortica:  ‐ Tipo A, che interessa l’aorta ascendente, isolatamente o in associazione al tratto discendente  ‐ Tipo B, che non  interessa  l’aorta ascendente, con  la breccia  intimale situata dopo  l’origine dell’arteria 

succlavia di sin   

Tale classificazione ha importanza prognostica e terapeutica. Le dissezioni aortiche di tipo A,  infatti, se non trattate, comportano un’elevata mortalità, che raggiunge  il 50% a distanza di 48 h. Necessitano, pertanto, di un intervento cardiochirurgico d’urgenza. Per le dissezioni aortiche di tipo B, invece, è possibile effettuare una terapia conservativa o endovascolare in elezione.    FATTORI PREDISPONENTI 1. Ipertensione arteriosa (presente nel 75‐90% dei casi) 2. Sindrome di Marfan  3. Malformazioni aortiche congenite (coartazione aortica ed aorta bicuspide) 4. Valvulopatie aortiche acquisite (post‐reumatiche e degenerative) 5. Gravidanza (III trimestre) 6. Cateterismi 7. Abuso di cocaina   QUADRO CLINICO La  dissezione  aortica  tipicamente  esordisce  con  un  dolore  toracico,  improvviso,  intenso  e  lacerante, avvertito in regione retrosternale o interscapolare. La progressione dello  scollamento  lungo  l’aorta discendente  comporta  la migrazione del dolore  verso  la parte bassa del torace e l’addome (marcia del dolore).  Il dolore è accompagnato da una sintomatologia  ischemica complessa e variabile a seconda dei distretti vascolari coinvolti dal processo dissecante. 

 L’infiltrazione  ematica  dell’anello  valvolare  aortico  provoca  un’insufficienza  aortica  acuta  a  rapida evoluzione verso lo scompenso.   Possibile è la rottura dell’aorta, che può avvenire a livello di: 

Pericardio, con tamponamento cardiaco 

Cavità pleurica sin, con emotorace 

Cavità peritoneale, con emoperitoneo   Le dissezioni aortiche vengono definite: ‐ Acute, qualora siano insorte da meno di due settimane  ‐ Subacute, qualora siano insorte da un tempo compreso tra due settimane e due mesi ‐ Croniche, qualora siano insorte da più di due mesi 

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ITER DIAGNOSTICO Nei pz con dolore toracico acuto, il sospetto di dissezione aortica può esser posto da un esame radiografico standard del torace che, in circa il 90% dei casi, dimostra uno slargamento dell’ombra mediastinica.  L’indagine  strumentale d’elezione per  la diagnosi è  comunque  costituita da un’angio‐TC  spirale mono o multistrato effettuando  ricostruzioni MPR, con algoritmo di proiezione della massima  intensità  (MIP) e tridimensionali, con algoritmo VR.    Indicato è uno studio preliminare senza mdc, per dimostrare: 1. Medializzazione delle calcificazioni intimali  2. Ematoma  intramurale,  che  si  manifesta  sotto  forma  di  un  ispessimento  iperdenso,  semilunare  o 

circonferenziale, della parete arteriosa   La successiva fase arteriografica evidenzia: 1. Doppio lume dell’aorta, per opacizzazione del lume vero e di quello falso 

Il  lume vero può essere distinto dal  falso  individuandone  la continuità con una porzione di vaso non dissecata e valutandone la morfologia: il lume vero, infatti, ha solitamente dimensioni minori di quelle del falso. Quest’ultimo, inoltre, presenta angoli di raccordo acuti tra flap di dissezione e parete aortica, cdt “beak sign”. 

2. Flap o  lembo  intimale, che appare  come un difetto di  riempimento  lineare all’interno del  lume vero dell’aorta, opacizzato dal mdc 

3. Eventuale coinvolgimento di rami collaterali nel processo dissecante    N.B.  L’utilizzo,  in  urgenza,  di  un’angio‐RM  è  limitato  dai  tempi  di  esecuzione,  più  lunghi  di  quelli  dell’ angioTC, e dalla presenza dei presidi di monitoraggio e di rianimazione    Le dissezioni dell’aorta  toracica possono esser studiate anche avvalendosi di un eco‐color‐Doppler  trans‐esofageo ‐ La componente ecotomografica dell’indagine rivela il flap di dissezione. ‐ La componente color‐Doppler dell’indagine evidenzia flusso ematico nel vero e nel falso lume   Consente inoltre di riconoscere l’eventuale presenza di:  ‐ Rigurgito valvolare aortico ‐ Versamento pericardico ‐ Tamponamento cardiaco    Per il follow up dei pz trattati mediante intervento chirurgico o endovascolare ci si avvale di un’angio‐TC. Per il controllo evolutivo delle forme croniche di tipo B è anche possibile effettuare angio‐RM.         

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Malattia steno‐occlusiva arteriosa Riconosce, come causa principale,  l’aterosclerosi, al cui sviluppo concorrono diabete mellito,  ipertensione arteriosa, dislipidemia. Altre cause sono: 

Fibrodisplasia (tipica è quella delle arterie renali) 

Arteriti 

Sindromi  compressive,  tra  cui  sindrome  dello  stretto  toracico  e  sindrome  da  intrappolamento dell’arteria poplitea 

 La malattia steno‐occlusiva arteriosa si manifesta con un quadro di sofferenza ischemia cronica dei distretti interessati. Possibile  è un’ischemia  acuta per  fenomeni  trombo‐embolici  che  conseguono  alla  rottura del  cappuccio fibroso di una placca aterosclerotica.   L’  indagine  di  I  livello  per  la  diagnosi  di malattia  steno‐occlusiva  arteriosa  in  pressoché  tutti  i  distretti corporei è l’eco‐color‐Doppler L’esame  inizia  effettuando  scansioni  ecotomografiche  [B(brightness)‐mode],  trasversali  e  longitudinali, rispetto all’asse maggiore del vaso. Si ottengono, così, immagini bidimensionali di sezioni del vaso, formate da  punti  a  diversa  luminosità  in  una  scala  di  grigi.  La  luminosità  di  ciascun  punto  è  proporzionale all’intensità dell’eco che rappresenta.  Le  scansioni  ecotomografiche  consentono  di  valutare  calibro,  decorso  e  pareti  del  vaso,  dimostrando l’eventuale  presenza  di  ispessimento  dell’intima  e  di  placche  aterosclerotiche  che,  in  base  alle caratteristiche ecostrutturali, possono essere classificate come:  ‐ Calcifiche ‐ Fibrolipidiche  Si procede quindi all’applicazione del  color‐Doppler  che permette di  rappresentare  “in  tempo  reale”  sul monitor, sovrapposte all’immagine ecotomografica, la velocità e la direzione del flusso ematico, codificate secondo una scala di colori. Tale  scala  cromatica,  per  convenzione,  rappresenta  con  il  rosso,  il  flusso  in  avvicinamento  e  con  il  blu, quello in allontanamento, rispetto al trasduttore ecografico. Le variazioni di luminosità del colore esprimono la velocità del flusso. La  rappresentazione del  flusso ematico mediante una scala di colori  favorisce  il  riconoscimento del  lume pervio e  fornisce  segni  “colorimetrici” di  stenosi.  In particolare,  l’aumento di  velocità del  flusso  a  livello della  stenosi  produce,  per  aliasing,  un’inversione  del  colore;  le  turbolenze  a  valle,  invece,  generano  un mosaico cromatico, con comparsa di colori addizionali.   Con il color‐Doppler è anche possibile quantificare, posizionando un volume campione all’interno del vaso da  esaminare,  la  velocità  del  flusso  ematico,  attraverso  l’analisi  dello  spettro  di  frequenze  del  segnale Doppler (analisi spettrale).  In un sistema di assi cartesiani, viene cioè riportato un tracciato spettrale che documenta la variazione nel tempo della frequenza dell’onda emessa rispetto a quella dell’onda ricevuta (Doppler shift). Dal  Doppler  shift  si  risale,  quindi,  alla  velocità  del  flusso  ematico,  conoscendo  la  frequenza  dell’onda incidente e l’angolo che il fascio incidente forma con l’asse del vaso. L’analisi  spettrale  è  particolarmente  utile  nello  studio  della  malattia  steno‐occlusiva  arteriosa  perché consente di stabilire, in maniera precisa, l’entità della stenosi, attraverso il calcolo del rapporto tra velocità di  picco  sistolico  (PSV)  a  livello  della  stenosi  ed  a  monte  della  stessa.  Una  stenosi  viene  definita emodinamicamente significativa quando tale rapporto è maggiore di 2. A valle della stenosi può  inoltre essere riconoscibile un flusso post‐stenotico, definito “tardus‐parvus” per indicare il rallentamento dell’accelerazione sistolica ed il decremento della velocità.   

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Qualora  l’ECD  dimostri  una  stenosi  arteriosa  emodinamicamente  significativa  è  indicato  l’impiego  di indagini strumentali di II livello, come un’angio‐TC o un’angio‐RM con mdc, per confermare l’indicazione al trattamento dis‐ostruttivo e per scegliere tra intervento chirurgico o endo‐vascolare, sulla base di entità ed estensione della stenosi.  Con l’angio‐TC, il grading della stenosi viene effettuato misurando il diametro del lume opacizzato dal mdc. Per far ciò, è molto utile avvalersi di ricostruzioni MPR curve che permettono di analizzare il vaso secondo un piano esattamente perpendicolare al suo decorso.  Il principale limite è costituito dalla diffusa calcificazione di piccoli vasi che ne ostacola la visualizzazione del lume e che porta a sovrastimare l’entità della stenosi.  L’angio‐RM con mdc ha performance diagnostiche sovrapponibili offrendo come vantaggi:  ‐ Assenza di radiazioni ionizzanti ‐ Multiplanarità ‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico  Il suo limite consiste nell’incapacità di dimostrate calcificazioni. Tale  limite, tuttavia, pur rivelarsi un vantaggio perché favorisce  la valutazione della pervietà di piccoli vasi diffusamente calcifici.   L’angio‐TC  e  l’angio‐RM  consento,  inoltre,  di  caratterizzare  le  placche  aterosclerotiche  e  di  identificare quelle  instabili  o  vulnerabili,  dotate  cioè  di  un  elevato  contenuto  lipidico  ed  a  maggior  rischio  di ulcerazione, con conseguenti fenomeni tromboembolici.   Attualmente,  l’arteriografia  viene  effettuata  solo  con  finalità  terapeutiche  (angioplastica  percutanea  e posizionamento di stent).      

Sindrome della vena cava superiore È definita dall’associazione tra: 

Edema a martellina, riguardante parte alta del torace, collo e volto 

Turgore delle giugulari 

Cianosi ed edema congiuntivale 

Vertigini, lipotimia, sincope  Si verifica per l’ostruzione della vena cava superiore da parte di: 

Neoplasie  maligne  (carcinoma  broncogeno  primitivo,  linfomi,  metastasi  a  carico  dei  linfonodi mediastinici)  

Malattia granulomatosa o fibrosa del mediastino 

Aneurismi dell’aorta   Diagnosi   TC del torace con mdc Dimostra: 

Dilatazione della vena cava superiore a monte della stenosi e dei suoi rami 

Sede e causa dell’ostruzione 

Eventuale trombosi cavale, denunciata da riscontro di un’ipodensità centrale   

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Flebografia È  impiegata  soprattutto  a  scopo  terapeutico.  È  infatti  possibile  trattare  con  tecnica  endovascolare  le ostruzioni neoplastiche ab estrinseco, mediante il posizionamento di stent metallici e l’eventuale trombosi, mediante fibrinolisi trans‐catetere.    

Sindrome dello stretto toracico superiore  Dipende dalla compressione del peduncolo neuro‐vascolare dell’arto superiore. La compressione generalmente si verifica in determinate posizioni, quali: 

Sollevamento a 90° e rotazione esterna del braccio 

Iperestensione del collo e torsione del capo verso il lato colpito   In tali posizioni, pertanto, si hanno: 

Parestesie,  dolore,  deficit motori  e  sensitivi  a  carico  di  spalla,  braccio  e mano  da  compressione  o stiramento del plesso brachiale 

Segni di stasi venosa, da compressione della vena succlavia 

Scomparsa del polso radiale dell’arto superiore, da compressione dell’arteria succlavia   Cause 

Anomalie anatomiche congenite, quali:  Costa cervicale Inserzione anomala del muscolo scaleno anteriore sulla prima costa 

Riparazione esuberante di una frattura costale o della clavicola 

Neoplasie, soprattutto quelle del solco polmonare superiore o di Pancoast   Iter diagnostico La compressione vascolare è dimostrabile praticando un eco‐color‐Doppler di arteria e vena succlavia da effettuare  in posizione  indifferente (braccia  lungo  i fianchi) ed  in quella che produce  la sintomatologia del pz.   Per la diagnosi eziologica ci si avvale innanzitutto di un esame radiografico diretto del torace che permette di: ‐ riconoscere la presenza di una costa cervicale e la riparazione esuberante di una frattura costale o della 

clavicola  ‐ sospettare  l’esistenza  di  un  tumore  di  Pancoast  evidenziando  un  ispessimento  monolaterale  ed 

asimmetrico della pleura apicale, talora associata all’osteolisi dell’arco posteriore delle prime tre coste e dei corrispondenti peduncoli vertebrali. L’indagine più accurata per lo studio dello stretto toracico superiore è la RM per la sua multiplanarità e per la capacità di dimostrare il coinvolgimento di rami nervosi del plesso brachiale. 

          

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Trombosi venosa profonda dell’arto inferiore Ha come CONDIZIONI PREDISPONENTI: 

Stasi  venosa,  per  prolungata  immobilizzazione  post‐operatoria,  post‐partum,  da  malattie  cronico‐degenerative 

Gravidanza 

Uso di contraccettivi orali 

Obesità 

Ipercoagulabilità neoplastica o da discrasia ematica 

Danno dell’endotelio da catetere, iniezione di sostanze irritanti, flebiti settiche     Può essere asintomatica o manifestarsi con: 

Combinazione variabile di dolore, edema, calore, chiazze cutanee e vene superficiali turgide, nell’area coinvolta 

Complicanze a distanza (TEP)   ITER DIAGNOSTICO Indagine strumentale di I livello: eco‐color‐Doppler  Segni di TVP sono: ‐ Aumento di calibro e non comprimibilità del vaso venoso ‐ Contenuto endoluminale di ecogenicità variabile a seconda dell’età del trombo ‐ Assenza di flusso ematico o non fasicità dello stesso con gli atti del respiro, al CD ‐ Sviluppo di circoli collaterali di compenso, con eventuale inversione del flusso  Può associarsi un’incontinenza del sistema valvolare, con reflussi patologici, apprezzabili in ortostatismo  Fondamentale è lo studio della porzione prossimale del trombo. In particolare, bisogna stabilire se essa sia completamente adesa alla parete venosa o se risulti flottante nel lume vasale.  N.B. L’accuratezza diagnostica dell’ECD si riduce a  livello  iliaco‐cavale. Pertanto  la sospetta estensione del trombo a tali distretti venosi deve essere confermata mediante una veno‐TC o una flebografia a RM.  L’impiego della flebografia convenzionale è attualmente limitato al trattamento endovasale della TVP. 

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