STUDI E DOCUMENTI - italia-resistenza.it · 3 Da Fuga in quattro tempi, ora in Scritti politici e...

33
STUDI E DOCUMENTI CARLO ROSSELLI DAL PROCESSO DI SAVONA ALLA FONDAZIONE DI GL (1927-1929) 1. Da Savona a Lipari. L’incontro con Lussu Dalla conclusione del processo per la fuga di Turati all’arrivo a Lipari, l’isola scelta dalla commissione di polizia che decretò subito dopo la sen- tenza del tribunale la condanna di Carlo Rosselb a cinque anni di confino, trascorsero altri due mesi. Carlo li passò in un’atmosfera di relativa serenità, magari seccato per l’ostentato filofascismo d’una parte della sua famiglia, i Rosselli di Livorno (« mi fa un buffo effetto! Come è vario l’uomo anche se in un mondo piccolo come il nostro — scrive dal carcere alla madre il 2 settembre 1927 — Io qui a rodermi e a disperarmi per lo stato d’Italia. Loro ai tennis mondani fascistizzati a esibirsi in cavalleresche tenzoni tra dame e cavalieri ») o preoccupato per il sequestro di alcuni suoi appunti di ricerca sul liberismo che aveva affidato al fratello Nello (« Non potresti spiegare — gli dice in una lettera da Savona del 2 dicembre 1927 — al direttore della Colonia che si trattava di appunti per una storia economica inglese relativa ai primi anni del secolo XIX d’un tuo fratello ex professore d’economia... Non vorrei che andassero perduti sei mesi di lavoro duro di biblioteca... ») ma fondamentalmente ancora preso dalla vittoria politica rappresentata dal dibattimento di Savona e assorto nei suoi programmi di letture e di riflessioni sul piano politico e ideologico '. L’arrivo a Lipari negli ultimi giorni del dicembre 1927 provoca in un primo tempo una vera e propria esplosione della vitalità e dell’attivismo di Carlo. La « traduzione » da Savona alle Eolie gli aveva offerto un utile spaccato di quello che significava la deportazione nell’Italia fascista. La traduzione ordinaria — scriverà nel ’29 in un articolo destinato a una rivista belga e non pubblicato, a quanto risulta1 2 — è l’esperienza più atroce 1 Entrambe le lettere citate si trovano nell’Archivio Rosselli, Firenze. Nella prima, indirizzata alla madre, c’è anche una conclusione caratteristica per comprendere lo stato d’animo di C. R., non solo in quei mesi: « Inutile ribellarsi. Il mondo è sempre stato così. Conforto sicuro però il sentirmi migliore, più in alto di tutti costoro ». In altre lettere del dicembre 1927 si trovano riferimenti alle letture di quei mesi: opere di Arturo Labriola sul materialismo storico e scritti di De Ruggiero (essenzial- mente la Storia del liberalismo europeo) apparsa presso Laterza nel 1926. 2 II dattiloscritto dell’articolo senza titolo, di 29 pagine, si trova nell’Archivio Giu- stizia e Libertà, Firenze, fase. I, fondo Carlo Rosselli, sezione II, parte 4“, n. 2 (d’ora in poi AGL, I, II, 4*, 2). Per una vivace descrizione, paragonabile per immediatezza

Transcript of STUDI E DOCUMENTI - italia-resistenza.it · 3 Da Fuga in quattro tempi, ora in Scritti politici e...

STUDI E DOCUMENTI

CARLO ROSSELLI DAL PROCESSO DI SAVONA ALLA FONDAZIONE DI GL (1927-1929)

1. Da Savona a Lipari. L ’incontro con Lussu

Dalla conclusione del processo per la fuga di Turati all’arrivo a Lipari, l’isola scelta dalla commissione di polizia che decretò subito dopo la sen­tenza del tribunale la condanna di Carlo Rosselb a cinque anni di confino, trascorsero altri due mesi. Carlo li passò in un’atmosfera di relativa serenità, magari seccato per l’ostentato filofascismo d’una parte della sua famiglia, i Rosselli di Livorno (« mi fa un buffo effetto! Come è vario l’uomo anche se in un mondo piccolo come il nostro — scrive dal carcere alla madre il 2 settembre 1927 — Io qui a rodermi e a disperarmi per lo stato d’Italia. Loro ai tennis mondani fascistizzati a esibirsi in cavalleresche tenzoni tra dame e cavalieri ») o preoccupato per il sequestro di alcuni suoi appunti di ricerca sul liberismo che aveva affidato al fratello Nello (« Non potresti spiegare — gli dice in una lettera da Savona del 2 dicembre 1927 — al direttore della Colonia che si trattava di appunti per una storia economica inglese relativa ai primi anni del secolo XIX d’un tuo fratello ex professore d’economia... Non vorrei che andassero perduti sei mesi di lavoro duro di biblioteca... ») ma fondamentalmente ancora preso dalla vittoria politica rappresentata dal dibattimento di Savona e assorto nei suoi programmi di letture e di riflessioni sul piano politico e ideologico '.

L’arrivo a Lipari negli ultimi giorni del dicembre 1927 provoca in un primo tempo una vera e propria esplosione della vitalità e dell’attivismo di Carlo. La « traduzione » da Savona alle Eolie gli aveva offerto un utile spaccato di quello che significava la deportazione nell’Italia fascista.

La traduzione ordinaria — scriverà nel ’29 in un articolo destinato a una rivista belga e non pubblicato, a quanto risulta1 2 — è l’esperienza più atroce

1 Entrambe le lettere citate si trovano nell’Archivio Rosselli, Firenze. Nella prima, indirizzata alla madre, c’è anche una conclusione caratteristica per comprendere lo stato d’animo di C. R., non solo in quei mesi: « Inutile ribellarsi. Il mondo è sempre stato così. Conforto sicuro però il sentirmi migliore, più in alto di tutti costoro ». In altre lettere del dicembre 1927 si trovano riferimenti alle letture di quei mesi: opere di Arturo Labriola sul materialismo storico e scritti di De Ruggiero (essenzial­mente la Storia del liberalismo europeo) apparsa presso Laterza nel 1926.2 II dattiloscritto dell’articolo senza titolo, di 29 pagine, si trova nell’Archivio Giu­stizia e Libertà, Firenze, fase. I, fondo Carlo Rosselli, sezione II, parte 4“, n. 2 (d’ora in poi AGL, I, II, 4*, 2). Per una vivace descrizione, paragonabile per immediatezza

4 Nicola Tranfagita

che un uomo possa fare, è il terrore di tutti i carcerati [...]. Io ho portate le manette ai polsi per 150 ore. Colui che è tradotto non ha praticamente nessun diritto, nè di mangiare, nè di dormire, nè di lavarsi, nè, tanto meno, di leggere e di scrivere ai suoi. Egli è un numero in balia di una amministrazione borbo- nizzata, un pacco postale, una palla di stracci.

Poi la breve sosta ad Ustica:

Un pugno di casette bianche, bianchissime, arrampicate su una terra pie­trosa e bruciata [...] cadono ferri e catene. Un po’ di massaggio ai polsi, for­malità, saluti e poi via in ricognizione per i vicoli sporchi e animatissimi [...]. Dopo una lunga prigione il primo giorno di confino è l’orgia, l’esplosione del- l’« io » fisico. SI, lo so: tra otto giorni non sarà più così. Tra otto giorni sarà peggio forse che in prigione. Ma intanto lasciatemi godere. Il nostro destino è di perdere in estensione e di guadagnare in intensità3.

Infine, l’arrivo a Lipari: « Non ho tempo — scrive alla madre — il 29 dicembre — di descriverti le mie impressioni deliziose, come puoi ben immaginare, dopo tanto grigio e tanta monotonia ».

Molte altre cose doveva tacere in quei mesi, e nei diciannove succes­sivi trascorsi nell’isola, alla madre, al fratello Nello e alla moglie Marion in lettere che sapeva esaminate dalla direzione della MVSN e della colonia fascista. Anzitutto, l’incontro — per molti aspetti importante — con Emilio Lussu, sbarcato a Lipari il 19 novembre 1927 « ammanettato con doppia catena », come egli stesso ricorderà in un libretto scritto subito dopo la fuga dall’isola4.

Di quasi dieci anni più anziano di Carlo (era nato ad Armungia, in provincia di Cagliari, il 4 dicembre 1890), Lussu giungeva al confino con un’esperienza di vita e di lotta politica nel complesso più immediata e significativa. Il padre « un provinciale semplice, senza cultura », contro le

a quella stesa da R. nell’articolo citato e nella nota Fuga in quattro tempi pubblicata a l l ’Almanacco socialista del 1931, ora in Carlo Rosselli, Scritti politici e autobio­grafici, Napoli, 1944, pp. 33-54, si legga il recente articolo di Ferruccio Patri Le cimici di Poggioreale nell’Astrolabio del 21 luglio 1968, pp. 4-5 in cui il compagno di carcere e di confino di Carlo rievoca il « transito » nel carcere napoletano, diretti a Lipari: « [...] Allora era un carcere nuovo, un carcere modello, gloria del regime e di Napoli fascista. Eravamo stanchi e sfessati per la lunga traduzione in cellulare veramente peno­sa. I polsi dolevano per l’ammanettamento permanente. I carabinieri della scorta, poveri diavoli, veramente non ci mettevano del loro nessuna mala volontà: obbedivano ad ordini rigorosi. Affioravano invece già tra i sottufficiali le grinte di quelli che facevano carriera col fascismo, primi campioni di quella famigerata rete di marescialli che furono nell’Italia provinciale il sostegno più fido del regime, più valido che non i parroci [...]. Passammo il giorno così come si potè, senza rancio perché la cucina non ci aveva preso in forza, senza spesa perché quelli in transito non ne avevano diritto [...] ». Cfr. anche Emilio Lu ssu , La Catena, Firenze-Milano-Roma, 19452, pp. 95 sgg. (Parigi, 19291); Francesco Fausto N itti, Le nostre prigioni e la nostra evasione, Napoli, 19462, pp. 67 sgg.3 Da Fuga in quattro tempi, ora in Scritti politici e autobiografici, cit., pp. 37-38,4 La lettera di C. R. alla madre in AR. Per l’espressione citata di Lussu, voi. La catena, cit., p. 108.

Rosselli nel 1927-29 5

leggi del suo clan borghese, aveva sposato una popolana e ai figli aveva cercato di trasmettere il suo istintivo populismo e il suo radicato regiona­lismo. Non a caso) ricordando a distanza di cinquantanni la sua infanzia, Lussu ricorderà alcuni episodi giudicati centrali per la sua formazione « democratica »: come il commento anticonformista del padre alla notizia dell’uccisione di Umberto I, il « re buono » (« che [...] non era così buono come si diceva, che aveva fatto uccidere a freddo dei buoni cittadini [...] e mandato a farsi massacrare dei soldati in Africa; che la Sardegna non aveva conosciuto che re prepotenti e ladri e che quanti più morivano tanto meglio era per la sorte di tutti [...] ») o l’insistenza del padre stesso sul­l’assurdità dei privilegi sociali (« il padrone è Antonio e il servo sei tu. Perché Antonio lavora e tu non fai niente [...] Chi lavora comanda [...] »).

La forte influenza del padre negli anni dell’infanzia non aveva reso immune il giovane sardo, una volta trasferitosi in città e venuto in contatto attraverso la scuola con i figli dei maggiorenti cagliaritani, dai valori e dai miti propri della borghesia nazionale nel primo quindicennio del Novecento. Studente di giurisprudenza all’Università di Cagliari allo scoppio della pri­ma guerra mondiale, Lussu, come Carlo Rosselli, Ernesto Rossi e tanti altri democratici che diverranno in seguito oppositori del nazionalfascismo, era stato uno dei leaders delle manifestazioni studentesche a favore dell’inter vento e, quando questo era avvenuto, aveva atteso con impazienza il giorno della partenza verso il fronte con la « Brigata Sassari », arruolata su base regionale e dunque composta interamente da soldati sardi o ad essi assi­milati. Ma l’esperienza della guerra di trincea sul Carso aveva provocato nell’interventista un conflitto bruciante tra quei miti e quei valori ricevuti nelle scuole e all’università — patria, risorgimento, ultima guerra per la liberazione dei popoli — e una realtà tragica e dolorosa — la divisione in classi della società esemplificata fin troppo chiaramente dalle rigide gerar­chie militari e soprattutto dal costo umano della guerra, pagato soprattutto dai poveri contadini analfabeti, a ragione estranei ai miti interventistici — che egli aveva avuto modo di vivere intensamente per tutta la durata del conflitto, da un osservatorio eccezionale, e che lo aveva portato a com­prendere meglio, e in un certo senso ad integrare, la lezione populista e di primitivo ribellismo trasmessagli dal padre. Né in guerra né dopo, è stato osservato, un tale conflitto si era evoluto verso un’acquisizione della definizione leninista della guerra come scontro di opposti imperialismi ma la contraddizione avrebbe fatto maturare lentamente in Lussu un abban- 5

5 Per tutte le notizie sulla formazione di E. Lussu v. il ritratto che di lui ha fatto Mario I snenghi in Belfagor, 31 maggio 1966, n. 3, pp. 300-324 e ne II mito della grande guerra, Bari, 1970 dello stesso a. le osservazioni alle pp. 196-98. Si vedano inoltre i ricordi di Emilio Lussu , in Nascita di uomini democratici, in Belfagor, 30 ottobre 1952, n. 5, pp. 586-89; in Alcuni ricordi su Carlo Rosselli, in II Fonte, giugno 1947, n. 6, p. 505-509 e nella prefazione all’edizione per le scuole di Un anno sull’altipiano, Torino, 1966, pp. 5-6.

6 Nicola Tranfaglia

dono sempre più chiaro e consapevole del primo interventismo. Alla fine della guerra, per Lussu come per altri giovani che s’erano già impegnati nella battaglia per l’intervento, si pose il problema di prender posizione nella lotta politica.

La grande popolarità acquistata tra gli ex combattenti della brigata « Sassari », e attraverso di essi nelle masse rurali del Cagliaritano e del Sassarese, impose a Lussu fin dal giugno ’19, quando non era stato ancora smobilitato, di assumere responsabilità di leader nella federazione regionale dei combattenti, costituita nel I convegno dei combattenti della provincia di Cagliari. In quel convegno, il primo nome per il consiglio direttivo della federazione indicato dagli ex combattenti è quello del capitano Emilio Lussu: ed è Lussu a presiedere e a guidare le assemblee di reduci che si svolgono numerose in Sardegna, a partire dall’estate del ’19.

Nell’ambito della federazione regionale da cui nascerà pochi mesi dopo il partito sardo d’azione, Lussu si colloca a sinistra, differenziandosi dalla corrente moderata e liberaleggiante presente nell’una e nell’altra forma­zione, portatore di esigenze di lotta per l’autonomia regionale e di rove­sciamento delle strutture burocratiche, accentratrici e antidemocratiche dello Stato italiano. Ma, almeno nella prima fase della sua attività, sconta la sua appartenenza al fronte interventista e la divisione accentuata dal con­flitto tra borghesia intellettuale e proletariato, con prese di posizione in cui si evidenziano chiaramente la diffidenza per l’« egoismo corporativo » delle organizzazioni operaie e l’entusiasmo per il confuso ribellismo intinto di nazionalismo di d’Annunzio e dei suoi legionari6. Non c’è dubbio sul fatto che nella crisi del dopoguerra l’atteggiamento di Lussu, come in genere quello degli interventisti « democratici » non catturati dal nascente fasci­smo né convertiti al socialismo riformista o massimalista, possa apparire, e per certi versi sia effettivamente, molto contraddittorio: l’ex capitano della brigata Sassari tra il ’19 e il ’22 oscilla tra l’appoggio costante alle rivendicazioni dei minatori, e in genere delle masse contadine sarde, e l’avversione altrettanto costante alle organizzazioni socialiste « sovversive », fino a dar credito in un primo momento all’azione « antisovversiva » del fascismo e ad appoggiare in Parlamento, dove esordisce nel ’21 come rappresentante del partito sardo d’azione, l’ambiguo governo Bonomi. Sa­rebbe pericoloso, tuttavia, racchiudere in schemi troppo rigidi e astratti tali contraddizioni. E per spiegarle è opportuno piuttosto insistere sulle componenti autonomistiche e strettamente regionalistiche dell’azione poli­tica di Lussu. Come Rosselli e altri democratici, il giovane deputato di Armungia ha sperato subito dopo la guerra in un rinnovamento profondo della vita politica nazionale, in una vittoria degli ex combattenti, contadini

6 Per questi giudizi v. Salvatore Sechi, Dopoguerra e fascismo in Sardegna 1918- 1926, Torino, 1969, pp. 102-103, 105, 116, 126,

t

Rosselli nel 1927-'29 7

e piccoli borghesi sulle oligarchie clientelari dello stato liberale: rinnova­mento, peraltro, che avrebbe dovuto avvenire senza, e addirittura contro, il sindacato e il partito socialista, condannati e per i legami con quelle stesse oligarchie liberali e soprattutto per il neutralismo e l’internazionali­smo loro propri. Di qui sia l’equivoco sulla funzione del fascismo, almeno fino a tutto il 1920; sia le istanze libertarie, antiparlamentaristiche e anti­statuali, presenti nel programma del partito sardo d’azione. Ma, a differenza di Rosselli e di altri, Lussu non vede abortire dall’inizio un simile tentativo. Al contrario, il partito dei combattenti — pur composito e diviso al suo interno in correnti non omogenee — si afferma in Sardegna come una forza reale, capace di convogliare sotto la sua bandiera larghe masse conta­dine e questo gli dà fino alla marcia su Roma l’illusione di poter proseguire su una linea così chiaramente contraddittoria rispetto alla situazione poli­tica effettiva a livello nazionale che vede sempre più la contrapposizione tra il movimento operaio organizzato e il nazionalfascismo sostenuto da agrari e industriali.

Così, tormentosamente, tra il ’22 e il ’25, matura in Lussu un processo d’interna chiarificazione che lo spinge a un’opposizione decisa al fascismo ormai al potere. Meglio e prima degli altri, l’ex capitano della « Sassari » comprende la necessità di contrapporre alla violenza, protetta dalle autorità statali, degli squadristi una difesa efficace. Nell’autunno del ’22, nel Caglia­ritano si formano « squadre d’azione antifascista » (le « camicie grigie ») particolarmente efficaci nelle azioni di difesa e di controffensiva. Lussu le ha addestrate con tecnica prettamente militare e ad uso della guerriglia, per proteggersi dagli attacchi dei fascisti cagliaritani7. Ma le sorti della lotta sono ormai decise a livello nazionale e l’azione di Lussu — assunto tra i massimi dirigenti dell’autonomismo sardo — non può che tendere, con qualche residua illusione nei confronti del programma fascista, a salvare il salvabile del combattentismo in attesa di una svolta politica generale che non avverrà. Mentre il partito sardo d’azione si sfalda, anche grazie all’abile mediazione del prefetto Asclepia Gandolfo inviato da Mussolini in Sarde­gna proprio con questo obbiettivo, Lussu e pochi altri leaders assumono la guida della debole opposizione clandestina al regime8. Ma le possibilità di azione sono sempre più ridotte. Per non essere massacrato dai fascisti che gli assalgono la casa, Lussu abbatte uno degli aggressori e, malgrado l’immunità parlamentare (era stato rieletto alla Camera nel ’24), viene pro­

7 S. Sechi, op. cit. p. 212, 297-98, 305 e passim. Per l’appoggio dei sardisti al governo Bonomi, ibid., pp. 305-307; per la campagna antisowersiva e l’apprezzamento dell’azione fascista v. pp. 319 sgg. Sulle « camicie grigie », pp. 325-26.8 S. Sechi, op. cit., pp. 382-86, 391, 398, 400, 404-408, 412-14, 477, 483, 488. Per tutta quest’ultima parte, la ricostruzione di Sechi tende a dar il massimo credito a fonti come quelle vicine al fascismo che avrebbero invece bisogno d’un controllo particolarmente rigoroso: in mancanza di tale verifica, ho ritenuto di dover utilizzare con cautela alcune notizie contenute nella parte finale del saggio.

8 Nicola Tranfaglia

cessato. Ma i giudici riconoscono che il deputato sardista ha agito in stato di legittima difesa e Mussolini, come per Rosselli e Parri, deve ricorrere alla commissione di confino per sbarazzarsi d’un oppositore particolarmente scomodo.

L’incontro tra Lussu e Rosselli a Lipari nel dicembre ’27 si rivela per entrambi importante. Chiari i punti di affinità tra i due, certe comuni matrici politico-culturali (l’influenza di Salvemini era stata risentita dall’uno e dal­l’altro, quantunque in diverso grado) e anche di temperamento (ambedue uomini d’azione, ribelli a disciplina di setta e di partito) ma anche i diffe­renti itinerari compiuti sono nel momento destinati durante il confino a integrarsi reciprocamente (« È che io — scriverà Lussu più tardi, cogliendo nel segno — venivo da una ristretta ma profonda esperienza pratica di masse rurali povere, ed egli da un’esperienza generale più vasta, nazionale ed europea, prevalentemente culturale » )9.

Né Lussu né Rosselli intendevano rinunciare all’unica possibilità di continuare all’estero la lotta contro il regime: l’evasione dall’isola. Secondo una recente testimonianza resa a chi scrive da Lussu, nei primi incontri a Lipari Rosselli sembrava ancora deciso a rimanere in Italia: ma l’afferma­zione è in contrasto con il chiaro accenno a una fuga contenuto in una lettera a Filippo Turati del 18 settembre 1927 dal carcere di Savona10. È più probabile che Rosselli si rendesse conto con chiarezza del « costo » non solo individuale e psicologico, ma politico per tutta l’opposizione anti­fascista, rappresentato in quel momento dall’abbandono del paese e che questo suscitasse in lui incertezze e perplessità. Certo è però, come lo stesso Lussu ricorda, che alla fuga entrambi cominciarono a pensare sin dal primo incontro, e ne fecero poi uno dei temi principali di discussione nell’anno e mezzo successivo. C’erano a Lipari, tra il ’27 e il ’29, circa quattrocento « politici » e un centinaio di confinati per reati comuni: tra questi ultimi la milizia fascista e la direzione della colonia reclutavano spie e agenti provocatori per ottenere informazioni sulla lotta clandestina al regime, compromettere i « politici » più pericolosi e condurli davanti al Tribunale speciale. In questo senso aveva ragione Carlo a definire le isole « un deposito » per i tribunali fascisti. A Lussu e Rosselli si unì presto nei progetti per la fuga, Francesco Fausto Nitti, nipote dell’ex presidente del consiglio, repubblicano e massone, arrestato e inviato al confino per sospetta attività antifascista. In realtà, Nitti era stato tra gli animatori a Roma della « Giovane Italia » — l’organizzazione clan­destina creata nel ’27 da repubblicani e democratici di sinistra con un

9 E. Lussu, Alcuni ricordi su Carlo Rosselli, cit., pp. 506-507.10 N icola Tranfaglia, Carlo Rosselli dell'interventismo a Giustizia e Libertà, Bari, 1968, p. 357 e per una lettera alla madre del 10 aprile 1927 nello stesso senso, ivi, p. 351.

Rosselli nel 1927-’29 9

programma che per molti versi prefigurava la prima G L 11 12 — ed era deciso, quanto Rosselli e Lussu, a tentare con ogni mezzo l’evasione e l’espatrio.

Ma non si trattava d’una impresa di facile esecuzione. Circa cinque­cento, tra carabinieri, agenti di polizia, militi fascisti, guardie di finanza, marinai, erano addetti alla sorveglianza dei confinati di Lipari. Questi ultimi dovevano osservare rigorosamente gli orari fissati della direzione della colonia: alle 19 d’inverno, alle 21 d’estate tutti dovevano esser tornati nei cameroni, nelle stanze o nelle case d’affitto in cui risiedevano. Ogni sera veniva fatto l’appello in maniera da individuare subito even­tuali tentativi di fuga. Lussu e Rosselli, che furono sottoposti a una speciale sorveglianza in quanto ritenuti particolarmente pericolosi, riusci­rono a dar l’impressione d ’essere rassegnati al confino, fingendo l’uno d’esser malato e incapace di derogare alla propria vita di studio dagli orari calcolati al minuto, ostentando l’altro di pensare soprattutto alle migliorie d’una casetta affittata nell’isola e ai problemi familiari u.

2. Il confino

In realtà, almeno per quanto riguarda Rosselli, si può affermare che i diciannove mesi di confino non rappresentarono soltanto l’attesa e la preparazione della fuga ma anche un periodo importante per la provvi­soria sistemazione delle idee che aveva elaborato negli anni precedenti ed espresso frammentariamente sulla Rivoluzione liberale e soprattutto sul Quarto stato. « Un momento — nel ricordo di Ferruccio Parri — di matu­razione e di unificazione di un pensiero, cui il confronto con gli amici con­finati che aveva trovato a Lipari — e in primo luogo Lussu — aveva dato notevole apporto ». Di quei mesi e di quel processo è oggi possibile rico­struire, attraverso le testimonianze, le lettere alla famiglia, gli appunti di lavoro ritrovati dopo la morte, le fasi più significative. « Le esperienze della guerra e del dopoguerra — ha scritto Parri, che fu con Lussu il prin­cipale interlocutore di Carlo a Lipari — erano spesso presenti, e con esse

11 Sulla « Giovane Italia » v. Armando G avagnin, Vent’anni di resistenza al fa­scismo, Torino, 1957 e la testimonianza autobiografica di F. F. N itti, Le nostre prigioni e la nostra evasione, cit., pp. 32 sgg.12 Non sembra utile soffermarsi in questa sede sulla vita dei confinati e su una serie di particolari riguardanti il soggiorno a Lipari di Lussu e Rosselli, già rievocati

' ampiamente dai protagonisti (ne La catena, cit. e nell’articolo già utilizzato di Rosselli, ora in AGL) e da un’abbondante memorialistica. Anche, perché su questo specifico punto, le fonti da noi utilizzate — le carte di polizia e gli epistolari — non apportano nessuna novità di rilievo. Rinviamo quindi il lettore, oltre che ai libri di Lussu e di Nitti, alla recentissima opera di G. Ghini - Adriano dal Pont, Gli antifascisti al confino, Roma, 1971 e ai saggi contenuti in No al fascismo, a cura di Ernesto Rossi, Torino, 1963 e in 30 anni di storia italiana a cura di Franco Antonicelli, Torino, 1961.

10 Nicola Tranfaglia

la revisione, più spregiudicata in Rosselli che in me, del nostro interven­tismo, e la valutazione della rivoluzione comunista e delle sue evoluzio­ni » 13. E Lussu, nella testimonianza resa a chi scrive, ha ulteriormente specificato i temi di discussione predominanti: dalla riflessione critica sul­l’interventismo si partiva per un’analisi della politica del movimento ope­raio organizzato e della classe dirigente liberale nella crisi del dopoguerra alla ricerca in primo luogo d’una spiegazione della vittoria fascista meno insoddisfacente di quelle circolanti fino a quel momento. Le posizioni non erano identiche, né ai tre stavano a cuore gli stessi aspetti della crisi. Parri era giudicato sia da Rosselli che da Lussu un conservatore: essi non ne condividevano né la tenace difesa del significato « risorgimentale » della grande guerra né la persistente fiducia in un liberalismo aperto a nuovi apporti da parte delle classi meno abbienti. In Lussu e Rosselli, dominava, inoltre, assai più che in Parri, l’ansia e a volte l’impazienza di trovare formule e soluzioni a breve scadenza, anche sul piano politico-ideologico, per l’organizzazione della lotta antifascista. Ma univa tutti e tre un comune modo di sentire di fronte a questioni, in quel momento e in quelle cir­costanze, di particolare importanza: la critica severa, sul piano morale anzi­tutto, della classe politica prefascista, dai liberali ai socialisti, senza distin­zioni di partito; il rifiuto, quindi, di ogni soluzione della crisi che signi­ficasse in qualche modo il ritorno all’Italia giolittiana e postgiolittiana; la condanna della monarchia e della chiesa per il ruolo espletato di fronte al fascismo; la necessità di organizzare su basi clandestine, senza escludere audaci colpi di mano, la lotta al regime dittatoriale; il rifiuto dell’inter­pretazione comunista del fascismo come puro fenomeno di classe e l’accen­tuazione, al contrario, degli aspetti legati a una crisi spirituale della società italiana, e della borghesia in particolare. A dirlo in due parole, i tre giovani sentivano soprattutto la questione morale e ad essa si riferivano sia per l’analisi del passato che per la delineazione d’una strategia comune 14.

Di quelle discussioni nelle lettere inviate da Carlo alla madre, alla moglie e al fratello Nello nel ’28 e nel ’29 si trova solo un’eco sfocata. L’opportunità di mostrare ai censori il maggior distacco possibile dalla lotta in corso spingeva Rosselli ad occuparsi d’altro. Malgrado una simile limitazione, l’epistolario costituisce una fonte di estremo interesse per se­guire le tappe essenziali dell’esperienza di confino del giovane tra il dicem­bre 1927 e il luglio 1929.

Tre temi in particolare si ritrovano in quelle lettere: la riflessione di Rosselli sul significato della propria esistenza e della propria azione politica, il dialogo con il fratello Nello sulla storia d’Italia e indirettamente sul

13 I due brani citati sono in Ferruccio Parri, Dopo Matteotti, in l’Astrolabio, 18 giugno 1967.14 Ricavo queste annotazioni dalie testimonianze di Parri e Lussu raccolte nel 1967, oltre che dall’epistolario di Carlo Rosselli.

Rosselli nel 1927’29 11

fascismo, le letture preparatorie alla stesura — che avverrà appunto nel­l’interno del 1928 — di Socialismo liberale.

È trascorsa ormai per Carlo la fase adolescenziale in cui cercava tor­mentosamente una strada propria, tra molte incertezze. La battaglia clan­destina culminata nel processo di Savona ha segnato una scelta precisa, di cui il giovane non si pente. Ma nelle lettere dal confino sente il bisogno di spiegare meglio a sè stesso e agli altri il senso di quella scelta. Al fratello Nello, che rifiuta di chiedere alla commissione di confino d’esser trasferito a Torino per proseguire le sue ricerche di storia, scrive il 22 gennaio 1928:

Ti sei fissato definitivamente un criterio di condotta, ti riuscirà più facile sicura riposante la vita avvenire, comunque e dovunque si svolga [...]. L’essere in pace con sé stessi è la premessa per la felicità. Senza di quelle, tu fossi pure sistemato al British Museum sfornando un capolavoro all’anno, la vita sarebbe riuscita tormentosa a te e a quelli che ti fossero stati accanto.

E alla madre, qualche mese dopo, in una lettera del 25 agosto 1928, riba­disce i motivi del suo agire:

[...] Non ho l’abito, la vocazione professorale e in quel piccolo mondo sarei asfissiato. Guai a violentare la propria natura. Troppi anni sono vissuto in pieno dramma interiore per non apprezzare in tutto il suo valore questa sicu­rezza nuova tanto penosamente conquistata. Oggi so quel che voglio e quel che sono; e pur non ignorando i miei limiti conosco le mie capacità [...]. Questa vita, nonostante tutto, così come si viene ormai dipanando sotto gli occhi della mente, l’amo. Non saprei sceglierne una diversa [...].

La presenza per un lungo periodo a Lipari della moglie Marion e del pri­mogenito John gli rende meno insopportabile la monotonia dell’isola ma non lo distoglie dai soliti pensieri (« Guai se fossi stato solo. Mi sarei roso da mane a sera — così in una lettera del 7 marzo 1928 alla madre — . Così tiro avanti se non proprio con letizia, col massimo di serenità possibile [...] io non mi acqueto di fronte alla contemplazione delle armonie familieri »), a cui si aggiungono nell’atmosfera un po’ irreale e atemporale del confino curiose e inconsuete divagazioni esistenziali. Più volte nelle sue lettere alla famiglia, Rosselli ritorna su questi temi, mettendo, ad esempio, in relazione il « senso così potente e profondo della vita familiare » proprio degli ebrei con la loro « mancanza di fede in una vita nell’al di là » (lettera alla madre del 14 luglio 1928). Tra le tante, vale la pena ricordare almeno due lettere: la prima è del 16 settembre 1928 e in essa Carlo estrinseca con chiarezza il suo stato d’animo di fronte al problema religioso:

Quanto più passano gli anni e si accumulano le esperienze e il tempo di vivere si accorcia rispetto a quello vissuto, tanto più si rivela la pochezza di questa esistenza terrena e la sentimentale, prima che logica, necessità di un’altra vita. Il mio fondo intimo è un po’ scettico, e tu lo sai. Ma certo io non riesco a considerare più positiva l’ipotesi positivista, anzi materialista, negatrice di

12 Nicola Tranfaglia

ogni vita al di là. Anzi dico che se dovessi con un atto di fede eleggermi un credo in argomento, propenderei per la tesi contraria. Ma ci vorrebbe l’atto di fede cieca, e non riesco a piegarmi. E così sempre più intensa e violenta diviene la mia volontà di azione e di realizzazione [...].

Nella seconda, di due settimane successiva (è del primo ottobre 1928), chiarisce ancor meglio il nesso tra questo suo stato d’animo e le sue scelte in campo ideologico e politico:

[...] I più hanno per solo scopo quello di farsi un posticino nel mondo come l’hanno trovato nascendo. I pochi tendono a modificarlo. E simili ambi­zioni si pagano, ed è bene, necessario che siano lautamente pagate. Forse a nulla approderai col tuo sforzo? Che conta? Avrai pur sempre modificato, migliorato, purificato te stesso, cioè il tuo vero mondo, che non è quello esterno e materiale, ma quello intimo, dello spirito. Decisamente non sono né un materialista, né un positivista. Cioè non accetto né la semplicistica soluzione né il metodo, eviratore della personalità morale. Da Socrate in là i problemi massimi sono posti: e non li risolvi col materialismo e non li affronti col positivismo.

Si tratta di precisazioni e chiarimenti non contingenti, alla cui luce acquistano un più chiaro significato gli altri discorsi che si ritrovano nel fitto epistolario di quei due anni1S.

Quando riesce a staccarsi dalla riflessione, persino ossessiva su sé stesso (« Come vedi — confessa alla madre il 15 luglio 1929 — parlo sempre di me, giro sempre attorno allo stesso fuoco fino a bruciarmi le ali. Ma che posso farci? Il mio me mi interessa enormemente ») e a liberarsi della retorica pseudoromantica che caratterizza molti suoi scritti di questo pe­riodo, Rosselli rivela — soprattutto nelle lettere destinate al fratello Nello — l’evolversi e il precisarsi dei suoi interessi.

Di Nello — che da storico ha esordito proprio nel 1927, e brillante- mente, con il Mazzini e Bakounine letto avidamente dai « politici » confinati a Lipari (« digli — scrive alla madre il 16 novembre 1928 — che il suo libro piace a tutti enormemente ») — Carlo si fa anzitutto consigliere attento e profondamente interessato. Già in una lettera spedita alla fami­glia il 16 dicembre 1927 dal carcere di Savona aveva espresso un precisa opinione sul futuro lavoro di Nello, dopo l’apparizione dell’opera prima:

Intanto mi sembra che sia da escludere, almeno inizialmente, il lavoro sull’Inghilterra. Le ragioni sono ovvie. Non è un lavoro centrale e non c’è la possibilità di far ricerche in loco. Egualmente deve escludere il lavoro sui ceti conservatori ecc., intendo come lavoro a sé stante. La cosa migliore sarebbe che approfondisse le ricerche e gli studi sulla Destra storica. Col vantaggio che molto materiale e molte idee servirebbero per la ripresa della storia del movi­mento operaio. Ma bisognerebbe discuterne. Perché, se non vuole limitarsi al

15 Le due lettere citate sono in AR.

Rosselli nel 1927-29 13

periodo 61-76, deve affrontare il problema del Risorgimento, ossia darci la storia d ’Italia dal ’48 in avanti sotto un particolare punto di vista, ossia, in definitiva, darci un’interpretazione del Risorgimento ispirata agli ideali dei profeti della Destra. Ora non so se precisamente questo sia il suo pensiero e il suo intimo desiderio. Né mi replichi che la sua vuol essere storia obbiettiva ecc. perché, a parte le evidenti contestazioni sulla validità di una storia « ob­biettiva », l ’imprendere oggi un lavoro simile significa annettergli un signifi­cato polemico e un orientamento ben determinato.

Da Lipari il discorso riprende in più occasioni: e oggi sappiamo che Nello Rosselli lavorò a lungo proprio a un progetto di storia dell’Italia unita senza giungere a compierlo ma lasciando numerosi e interessanti appunti di ricerca 16. Quando il fratello, dimesso dal confino, va a Torino, Carlo interviene ancora a dargli consigli, lo invita a recarsi da Luigi Einaudi (« Nello dovrebbe abbonarsi alla Riforma sociale perchè da quando lui, E., ci scrive e largamente, è diventata estremamente interessante e varia [...]. Recentemente Ernesto vi ha pubblicato un ottimo articolo sul bi­lancio, che dimostra la sua competenza e chiarezza [...] »), a curare i gio­vani studiosi Mario Fubini e Federico Chabod — da lui conosciuti nel soggiorno torinese del ’23. Ed è sempre a Nello che affida le sue impres­sioni sulla storia d’Italia di Benedetto Croce e i suoi progetti di lavoro sul federalismo e su Carlo Cattaneo.

Sulla Stampa del 1° aprile 1928 era apparsa, in prima pagina e con notevole ribevo, una lunga recensione di Adriano Tilgher alla Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Croce, su cui già si era negativamente pronunciato « impacciatissimo », secondo la definizione di Carlo in una lettera del 21 febbraio 1928 — lo storico ufficiale del regime, Gioacchino Volpe nel Corriere della sera. Tilgher, che fino a quel momento aveva tenuto una posizione prima contraria e, poi negli ultimi tempi, di distacco dal fasci­smo, concludeva l’articolo con un apprezzamento dell’opera di governo di Mussolini, che segnò il suo allineamento a posizioni gradite alla ditta­tura 17. Dopo un accenno alla « miseria morale dell’uomo », Rosselli in una

16 Dobbiamo questa notizia alla signora Maria Rosselli, vedova di Nello. Gli appunti sono conservati nell’Archivio Rosselli, a Firenze.17 Vale la pena di riportare la conclusione del saggio di Tilgher sulla Stampa-,« [...] la guerra segue la morte irrevocabile del vecchio liberalismo che ha retto l’Italia dal 1871 al 1915, e apre anche in politica le porte al Romanticismo trionfante nell’ultima. Dopo di allora, l’Italia entra in crisi. L’anima romantica ha spezzato il vaso in cui i vecchi maghi del Trasformismo la tenevano da mezzo secolo incarcerata. Invano nel 1920, impiegando le vecchie arti, questi tenteranno incatenarla di nuovo. Essa sfuggirà loro. Nel 1860 Cavour diplomatizzava, statizzava la Rivoluzione. Nel 1922 Mussolini rivoluzionava la diplomazia, lo Stato, portava la Rivoluzione al pos­sesso dello Stato. Con lui il romanticismo sale al governo. E dopo di allora egli si adopera a costruire a quest’anima romantica la forma definita precisa classica, in cui essa potrà finalmente posare quieta ». Su Tilgher cfr. le osservazioni di Eugenio G arin, Cronache di filosofia, Bari, 1966, voi. I l, pp. 392 sgg.

Per gli autori citati nel testo v. le lettere del 19 marzo 1928, del 2 aprile 1928, del

14 Nicola Tranfaglia

lettera del 3 aprile definisce l’articolo « molto vigoroso, limpido, serrato » e si dichiara senz’altro d’accordo con la prima parte dello scritto in cui Tilgher enuncia con grande chiarezza la critica fondamentale che, pur da punti di vista differenti, poteva portarsi all’opera di Croce.

Si esce dal libro di Croce — scriveva l’articolista — con un’impressione strana, come da un romanzo che, dopo averci a lungo dipinto la vita di una famiglia modello, di colpo, nell’ultimo capitolo, come se niente fosse e con l’accento di prima, ci mostra la moglie in fuga, il marito suicida, i figli dispersi alla ventura pel mondo e in tutta questa ira di Dio vede una crisi dolorosa, certo, ma tutto sommato, benefica e per niente anormale [...].

Insomma, fuori della metafora, Rosselli accetta in pieno la critica di Tilgher all’immagine idilliaca dell’Italia postunitaria in costante crescita e positiva evoluzione in campo economico, sociale e politico fino alla guerra, e poi d’improvviso precipitata nella crisi che porta al crollo dello stato liberale e all’instaurazione del regime fascista. Respinge invece, e con forza, l’interpretazione che Tilgher propone della storia unitaria fondata su una contrapposizione tra l’anima romantica e l’anima classica, « le due anime che alla Terza Italia legarono i genitori dalle nozze dei quali essa era nata, la Monarchia Sabauda e la Rivoluzione, il vecchio e il nuovo mondo, le vecchie e le nuove forze che intorno alla Monarchia e alla Rivoluzione si aggrappavano ». Egli afferma che il dissidio di cui parla Tilgher è « un mo­tivo costante di ogni storia, e non della nostra storia particolare; e perfet­tamente rientra nella visione crociana ».

15 aprile 1928 e del 19 maggio 1928 alla madre, tutte in AR. Dall’epistolario citato si traggono abbondanti indicazioni sulle « frenetiche letture » di Carlo anche in campo storico: dal Saggio sulla rivoluzione napoletana del '99 di Vincenzo Cuoco ai di­scorsi di Cavour alle opere del liberista De Viti De Marco, dalla Fine di un regno di De Cesare al « grande insuperato Colletta » (« Quel 99 napoletano — scrive in una lettera del 15 aprile 1928 — è pur sempre un meraviglioso semenzaio di espe­rienze e di uomini. Pare impossibile che una terra relativamente così piccola, povera, arretrata, abbia potuto dare una così stupenda fioritura di caratteri e di ingegni; ciò è consolante e lascia sperare [...] ») e a Croce storico, appunto, della rivoluzione napoletana. In una lettera di pochi giorni precedente la fuga, confida: « Sto reagendo intensamente al Napoleone di Ludwig, una ben rude risposta al Remarque [di All'ovest niente di nuovo], che forse un giorno leggerai. Come va che il mio cuore batte per entrambi? Eccezionale facilità di autosuggestione, o riposti legami? ». Al confino, Rosselli segue anche come può la narrativa italiana e critica apertamente i giovani scrittori che si affermano in quegli anni, soprattutto per il loro disimpegno sul piano politico: « Assumono subito — osserva in una lettera del 3 agosto 1928 — quell’aria di professionisti della letteratura e badano più a far tornare il periodo, a scagliar parole e a filtrar sottilmente quelle quattro ideette che hanno, che a rove­sciare il tormento dell’animo sul foglio di carta. Anche questi signorini educati e sbiaditi son figli dell’epoca. Dostoyevsky alla loro età era ai bagni in Siberia ». Senilità di Svevo lo irrita ma lo affascina: « Stile, inutile dire, e argomento banale, banalissimo, personaggi gretti, volgari, salvo il protagonista. Eppure, nonostante que­sto po’ po’ di passivo l’ingranaggio psicologico mi ha preso. Sarà perché sono io pure sensibile alla raffinatezza dei processi psicologici miei e altrui, certo è che mi è parsa opera tutt’altro che spregevole [...] » (lettera alla madre del 20 marzo 1929 in AR).

Rosselli nel 1927-29 15

Il punto veramente cruciale — aggiunge tuttavia il giovane — sta nel vedere se in effetto, come il Tilgher assevera, si può e si deve riconoscere nell’ultimo moto l’esplosione dell’anima romantica a lungo violentata o limitata, o non piuttosto, come il Croce opina, il portato di quelle correnti e mode irrazionalistiche [...]. Ma anche ammesso — il che mi par difficile a chi guardi alla sostanza profonda e non alla forma e ai cartelli — che il moto fosse di natura romantica, non per questo il cesareo assetto successivo può farsi rien­trare nella tradizione romantica [...] l’unico pensiero serio organico, informa­tivo del moto è il nazionalistico [...]. Ora il nazionalismo è per la natura stessa delle sue dottrine tutto ciò che c’è di più antiromantico, antisentimentale, antilibertario [...]. Hindeburg o Machiavelli, non Garibaldi o Mazzini sono i più veri interpreti del neoromanticismo italiano.

Si precisa in questa lettera l’interpretazione del fascismo — già annun­ciata negli articoli rosselliani del ’23-’26 — che tende a sottolineare la continuità, piuttosto che la rottura, tra Italia prefascista e Italia fascista.

Come fa [Tilgher] — conclude la sua lettera il giovane — a proclamare romantica una rivoluzione che si apre... con una transazione con le forze facenti capo all’edificio monarchico; e che di quella transazione originaria porta, sin dal primo giorno, indelebile impronta ».

Il nazionalismo, come cemento ideologico di un movimento altrimenti oscillante e confuso; la monarchia, complice e pilastro della dittatura; il fascismo, infine, rivelazione degli antichi e irrisolti problemi d’Italia. La diagnosi è chiara e precisa. Pur in una lettera sottoposta a censura, Carlo dice tu tt’intero il suo giudizio sulla crisi italiana ed è proprio da tale visione che nascono le sue letture e i suoi interessi di lavoro confidati al fratello o alla madre. Da una parte, troviamo così gli autori che appari­ranno nelle pagine di Socialismo liberale da Bernstein — di cui vuol tra­durre in italiano « il fondamentale volumetto » su I presupposti del sociali­smo e i compiti della socialdemocrazia — a Sorel, a Gentile (La filosofia di Marx), soprattutto al Croce dei saggi sul materialismo storico e ad Henri De Man, di cui Laterza pubblica nel ’29 II superamento del marxismo che Carlo legge l’anno prima nell’edizione di Bruxelles. Dall’altra, il tentativo di Rosselli di ripercorrere criticamente alcuni momenti della storia d’Italia ai fini della sua battaglia politica contro il nazionalfascismo. Di qui la sua particolare insistenza su Carlo Cattaneo e sulla tradizione autonomista e federalista cara a Gaetano Salvemini. « Son d’accordo anch’io — scrive alla madre da Lipari il 10 ottobre 1928 — che questo inverno lo dovrò dedicare a un lavoro determinato mettendo un po’ in disparte le letture freneticamente prolungatesi per due anni ».

Scartata l’idea di riprendere lo studio dell’economia inglese dell’800, già iniziato nel carcere di Savona, Carlo è esortato dal fratello Nello a scrivere una biografia di Cattaneo.

16 Nicola Tranfagita

Ma questa — egli scrive nella lettera appena citata — avrebbe un senso per me se preceduta da studi preparatori intorno al problema massimo che tormentò il milanese, e cioè l’autonomismo [...]. A occhio e croce son lontano da ogni forma di autonomismo imposto. Per me il problema si risolve col dare la possibilità alle iniziative locali, laddove esistono non solo a parole, di mani­festarsi in tutta la loro forza [...]. Insieme a questa dell’autonomia amerei studiare altre questioni fondamentali contemporanee, sempre allo scopo di sor­tire dal vago delle formule ingannatrici. Così la questione del disarmo, della costituzionalizzazione del regime di fabbrica, del sistema punitivo e repressivo, della riforma tributaria, della razionalizzazione economica, ecc.

In un’altra lettera, del 24 novembre 1928 a Nello, Rosselli ribadisce il suo proposito di analizzare da un punto di vista storico il problema delle autonomie, studiando Cattaneo e « gli uomini della vecchia Destra » e vedendo la questione italiana in un ambito più vasto: arrivando, in­somma al tema specifico « attraverso l’analisi della vita politica amministra­tiva nei grandi stati moderni, principalmente Inghilterra, Svizzera, Francia, Stati Uniti [...] ».

Il progetto, ambizioso e ancora vago e indeterminato, sarà poi abban­donato da Rosselli che dedicherà invece l’ultimo inverno di confino e i primi mesi del 1929 a stendere in forma più organica e compiuta una serie di osservazioni sulla crisi del marxismo e sull’avvenire del socialismo, già parzialmente anticipate negli articoli del periodo ’23-’26 in Italia. Non c’è da stupirsi per chi abbia seguito fino a questo punto l’evoluzione del giovane economista, se egli preferisce formulare una sorta di manifesto ideologico piuttosto che affrontare un’ardua ricerca storica, solo media­tamente utilizzabile per la lotta politica al fascismo.

Sulla preparazione di Socialismo liberale, e, in prospettiva di un nuovo « strumento d’azione » (secondo la definizione di Lussu) che traesse degli errori e dalla sconfitta socialista una lezione utile per la battaglia antifa­scista esistono, oltre alle lettere qui riprodotte, essenzialmente due testi­monianze dovute rispettivamente a Emilio Lussu e a Ferruccio Parri che (lo si è già detto) con Gioacchino Dolci e Fausto Nitti furono per Rosselli le presenze più rilevanti nei diciannove mesi di permanenza a Lipari18.

Le testimonianze di Lussu e di Parri sono meno contrastanti di quanto possa a prima vista apparire: nel senso che Parri sottolinea il fatto che fin dalle discussioni nel carcere di Savona e poi a Lipari sia lui che Rosselli erano alla ricerca di « una formula sintetica tale da riassumere i fonda­menti perenni e insostituibili di una società moderna », « un manifesto

18 V. per questo una lettera del 4 gennaio 1929 alla madre: « [...] Ancora oggi non si può non lamentarsi dell’isolamento spirituale in cui ci troviamo. Un po’ dipende dalle numerose partenze avvenute negli ultimi mesi, ma un po’ anche dalla povertà intel­lettuale di molti giovani. Come sai, il più caro di tutti partì il primo dicembre: Dolci ». E di Parri, in una lettera del 7 luglio 1928 a Nello, dice: « Quel benedetto uomo è una coscienza in atto ».

Rosselli nel 1927-29 17

di idee semplici e capaci di forza eversiva »; mentre Lussu sostiene che l’idea della costituzione di « Giustizia e libertà » nasce a Parigi e non al confino, dove — secondo una testimonianza resa nel ’67 a Mario Signorino e a chi scrive — erano decisi ad agire, a creare uno strumento d’azione: « ma quale sarebbe stato questo strumento, l’avrebbero visto sul posto. Era assurdo prendere una decisione al confino senza conoscere direttamente anche l’ambiente politico del fuoruscitismo » 19. Sulla base di quanto si è detto finora, con ogni probabilità, già a Savona e a Lipari almeno Parri e Rosselli discussero della « formula » da adottare per raccogliere una élite antifascista al di fuori dei partiti tradizionali, anche se l’idea si precisò solo in seguito, dopo l’evasione dell’isola. A Lipari Carlo pensava so­prattutto a Socialismo liberale, steso interamente al confino, di nascosto, in condizioni senza dubbio poco favorevoli ad una ricerca accurata e pubblicato, dopo una revisione che per alcune parti rappresentò addirit­tura una seconda stesura, a Parigi solo nel 1930, quando « Giustizia e libertà » — fondata nell’autunno 1929 — era già una sigla nota agli op­positori e alla polizia di Mussolini20.

In questo senso, non si può dire che il libretto di Rosselli — come si potrà vedere anche meglio nel seguito di questo lavoro — abbia costi­tuito la base teorica del movimento creato dai fuggiaschi di Lipari, con l’aiuto di Salvemini. Non c’è dubbio, tuttavia, che ad esso informò la propria azione Rosselli almeno nei primi anni dell’esilio e che altri tra i fuorusciti aderenti a GL ne rimasero di fatto influenzati. Le discussioni e le polemiche sorte al suo apparire testimoniano, d’altra parte, ch’esso rappresentò comunque un punto di riferimento per molti socialisti e senza partito dal fuoruscitismo italiano, senza contare l’influenza ch’esso avrà poi sul partito d’azione, o almen. su una parte di esso

In una simile prospettiva, oltre che ai fini d’una ricostruzione pun­

19 Per le frasi citate nel testo v. di Ferruccio Parri, Nascita di GL, in II Ponte, giugno 1957, pp. 859 sgg.; Ferruccio Parri, Dopo Matteotti, in L'Astrolabio, 18 giugno 1967, oltre alla testimonianza resa a chi scrive nel ’67. Di Emilio Lussu , Alcuni ricordi su Carlo Rosselli, in II Ponte, 8 giugno 1947, pp. 505 sgg. e l’inter­vista a Mario Signorino, Quei trotskisti di GL, in L’Astrolabio, 18 giugno 1967.20 Ad oltre quarantanni dalla sua stesura, gli studiosi non dispongono ancora del testo originale italiano di Socialismo liberale, di cui ora è finalmente in corso l’edizione a cura di John Rosselli presso l’editore Einaudi, nel primo volume delle Opere di Carlo Rosselli. In realtà, il testo subì vicende complesse. Trafugato da Lipari da Marion Rosselli, poco prima che Carlo fuggisse dall’isola, il saggio fu riveduto e in parte riscritto a Parigi nel ’29-’30 e su di esso si fondò la traduzione francese di Stefan Priacel apparsa presso Valois alla fine del dicembre 1930. Sul testo francese condusse poi una versione italiana — riveduta da Aldo Garosci — Leone Bortone nel 1945, essendo irreperibile l’originale. Nel 1949 la famiglia Rosselli donò alla Biblioteca Nazionale di Firenze un fondo di carte inedite di Carlo, tra cui vi era il manoscritto originale di Socialismo liberale. Tra la versione italiana del ’45 e l’ori­ginale ci sono alcune significative varianti. È da segnalare soprattutto una bozza di prefazione molto « prezzoliniana », poi scartata dall’autore.

18 Nicola Tranfagita

tuale della maturazione ideologica di Rosselli, varrà forse la pena cercare di analizzare le tesi essenziali e le fonti a cui attinse.

3. Socialismo liberale

Il nucleo centrale del saggio scritto a Lipari da Carlo Rosselli riguarda ancora — come negli articoli Bilancio marxista del ’23, Liberalismo socia­lista del ’24, più che in quelli scritti per II Quarto stato dominati da esigenze nel ’26 più urgenti d’azione politica — il problema dell’inter­pretazione di Marx e del marxismo (senza un’esplicita distinzione, e al contrario a volte con una chiara confusione, dei due aspetti della questione) e del nesso tra marxismo e movimento socialista. Interno a questo motivo essenziale che percorre tutto il libro, dall’inizio alla fine, si possono cogliere altri temi, a cui l’autore dedica più pagine o soltanto un accenno: anzitutto, il fascismo e la crisi italiana su cui già si son viste le considerazioni dettate dall’articolo di Tilgher; poi l’avvenire del capitalismo e dell’espe­rienza sovietica, con una attenzione particolare al nesso tra gli aspetti economici e quelli politici della società futura; infine quella che a ragione Garosci ha definito « la profezia » del libro, ossia la delineazione d’un socialismo nuovo, capace insieme di battere e superare il fascismo e il comuniSmo burocratico.

A livello ideologico generale, la critica che muove Rosselli al pensiero di Marx non contiene elementi di novità né rispetto a quanto il revisio­nismo europeo aveva messo in luce tra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento né rispetto a quel che lo stesso Rosselli aveva scritto, sia pure per accenni e in forma più giornalistica e meno siste­matica, negli articoli del ’23-’24. Per l’autore di Socialismo liberale quello di Marx è un

pensiero nettamente deterministico, rispetto al quale gli sforzi interpreta­tivi di un Sorel, di un Labriola, di un Mondolfo per avvalorare un’interpreta­zione che faccia posto ad un’autonoma funzione degli uomini nella storia, sono sempre naufragati. Il sistema marxistico è determinista, o non è. Non è, intendo, come sistema organico di pensiero21. «Tutto il revisionismo, sia di destra che

21 Socialismo liberale, p. 5 dell’originale inedito, da cui trarrò le citazioni succes­sive. A riprova del determinismo insito nel pensiero di Marx, Rosselli porta anche il disinteresse dell’autore del Capitale per i « problemi di psicologia individuale e collettiva » e dunque per il ruolo del « fattore umano » nel processo storico: ma una simile prova sembra fatta apposta per rivoltarsi contro chi l’ha esibita, poiché se è vero che Marx non si occupò specificamente di psicologia, almeno oggi è difficile negare l’influenza esercitata proprio degli scritti di Marx sui fondatori della psicologia moderna, a cominciare da S. Freud, proprio per quella dialettica d’ascendenza hage- liana che R. liquida in SL come elemento secondario e addirittura marginale del pensiero di Marx. Su questo punto v. tra gli altri Erich Fromm, Marx e Freud, tr.it., Milano, 1968.

Rosselli nel 1927-’29 19

di sinistra — afferma Rosselli — può riassumersi nello sforzo di far posto, nel sistema marxista, alla volontà e all’ottimismo del moto operaio [...]. Lo stesso leninismo, pure tanto rispettoso per la lettera marxista, non ha fatto che sviluppare in modo autonomo e originale tutti gli aspetti volontaristici del sistema, vale a dire la dottrina relativa ai periodi di transizione e alla funzione della dittatura e del terrore22.

La conclusione della disputa tra revisionisti e ortodossi fu determinata non da esigenze di « coraggiosa chiarificazione ideologica » ma dalla neces­sità sentita dai protagonisti del dibattito di mantenere, malgrado tutto, il marxismo come « bussola del movimento operaio »:

E gli effetti furono — commenta Rosselli — che i frutti della battaglia revisionistica andarono in gran parte perduti. Quando proprio sembrava che la élite della nuova generazione fosse per emanciparsi dalla servitù marxista, essa rientrava, solo armata di qualche riserva formale, nel solco tradizionale. Fu una conciliazione (tra teoria e realtà, e tra revisionisti e ortodossi) tutta esteriore, apparente, in funzione delle contingenze e del prevalere delle tendnze; e non il superamento di una crisi che avrebbe dovuto svolgersi, prima e soprattutto, nell’intimo delle coscienze. Nei rivoluzionari fu un fenomeno di ipocrisia o di cecità; nei riformisti di debolezza.

Fin qui, nulla di nuovo anche rispetto al Rosselli del ’23-’24 che aveva già insistito sul determinismo, sul fatalismo e sull’economicismo della filosofia marxista e sulla necessità di dissociare marxismo e socialismo, traendo quelle conclusioni che — a suo avviso — Bernstein, Sorel, La­briola, Mondolfo si erano rifiutati di trarre23. Solo c’è da notare una maggior sicurezza nell’argomentazione, una miglior conoscenza dei teoria chiamati in causa, un distacco del marxismo che negli scritti del ’24 e anche del ’26 non era ancora psicologicamente consumato e può spiegare il persistere di contraddizioni che in Socialismo liberale scompaiono. Ora il sillogismo rosselliano è chiarissimo e, a suo modo, coerente: se il marxismo è determinismo e, in quanto tale, conduce alla sconfitta il movimento operaio, importa relativamente poco che i teorici del movi­mento si affannino a darne per le élites una versione idealista e volon­tarista. Occorre, invece, che si crei un’ideologia nuova che penetri tra le masse, ne favorisca l’ascesa, non la disfatta.

Ma perché il sillogismo regga, è necessario che l’autore dimostri quel rapporto causa — effetto tra influenza del marxismo e crisi del movimento operaio. Di qui l’analisi che Rossellini dedica nel terzo capitolo del suo libro alla situazione italiana e che riprende più volte, e da differenti angolature, in altri passi dell’opera. Sono le pagine più personali e carat­

22 Socialismo liberale, p. 20.23 Cfr. su questo punto N. T ranfaglia, Carlo Rosselli dall’interventismo a Giustizia e libertà, Bari, 1968, pp. 140 sgg.

terizzanti di Socialismo liberale: vi entrano intenzioni ed elementi accennati negli scritti del ’24-’26 ma unificati in una visione della storia recente che vuol essere organica, anche se rapida e centrata sui nodi fondamentali del processo storico. Rosselli non nega che l’introduzione del marxismo in Italia rappresentò alla fine dell’Ottocento un contributo « alla rinascita morale e culturale del paese » e si rifà per questo al riconoscimento con­tenuto nella Storia d’Italia del Croce, ma subito dopo insiste sul fatto che « l’Italia male si prestava a un innesto di socialismo marxista », in quanto « immensa plebe rurale, legata ancora alla gleba e al prete, con vastissime oasi artigiane e rare avanguardie proletarie e capitaliste, il problema per essa non consisteva nell’avviamento al socialismo, ma nell’avviamento al capitalismo e alla vita moderna » e poi perché così « si ruppe bruscamente quella sia pur scarna tradizione socialista paesana che aveva avuto nel Mazzini e nel Cattaneo i suoi principali esponenti » 24.

L’ultimo decennio del secolo vide il passaggio per il movimento socia­lista italiano da un periodo di persecuzioni — adatto a favorire un’inter­pretazione « messianica » del marxismo — all’avvento di un liberalismo aperto alle esigenze del riformismo turatiano: e

in questo contrasto nel tempo, che costringeva i pionieri a far opera di raccoglitori, in questa fatale immaturità psicologica e tecnica a fronteggiare i compiti nuovi e positivi — immaturità di cui non si saprebbe accusare nes­suno — sta probabilmente la prima ragione della crisi che, a cominciare dal 1907-8 circa, roderà sempre più gravemente il socialismo italiano.

È in questa luce che R. estende il suo esame al revisionismo italiano: da Antonio Labriola a Benedetto Croce, da Ivanoe Bonomi ad Arturo Labriola, da Enrico Leone a Rodolfo Mondolfo.

Sono ritratti disegnati in poche battute, forse troppo rapidamente, in uno stile che Salvemini — come risulta da un suo appunto trovato tra le carte di Rosselli, che si riferisce appunto a Socialismo liberale — definisce non a torto « prezzoliniano » 25. L’autore, ai fini della sua tesi generale, non tiene distinto il piano dell’analisi del revisionismo italiano da quella della prassi seguita concretamente dal partito socialista in Italia nel primo ventennio del Novecento, confonde di continuo — e non a caso — l’uno e l’altro aspetto del problema. Così dei riformisti afferma che la revisione tentata da Bonomi, Turati, etc. « non solo non aggiunse nulla di sostan­ziale a quanto aveva già detto il Bernstein ma non incise menomamente le masse » e subito dopo aggiunge, come se si trattasse d’un effetto imme­diatamente ed esclusivamente collegabile a quella causa che

24 Le citazioni da Socialismo liberale sono rispettivamente a p. 32, 30 e 33 dell’ori­ginale citato. Nella traduzione francese invece che di Mazzini e Cattaneo, si citano più correttamente, a proposito della tradizione socialista italiana, oltre Mazzini, Fer­rari e Pisacane.

20 Nicola Tranfaglia

Rosselli nel 1927-’29 21

sul terreno pratico, forse indebolita dal rumoroso e sterile atteggiamento negativo dei rivoluzionari, finì per adattarsi ad un’azione frammentaria di riforme, ad una politica di compromessi e transazioni, perdendo ognora più di vista i fini più generali e lontani della lotta,

dove è chiara la derivazione salveminiana del giudizio Quanto ai sindacalisti rivoluzionari, l’autore ne parla come di « una disordinatissima avventura di intellettuali disoccupati che non sapevano piegarsi alla ne­cessaria disciplina di un moto », ricavando anche qui i criteri del giudizio dallo storico pugliese25 26. Della storia del movimento socialista in Italia salva due momenti e due personaggi: L'Unità di Salvemini nel suo primo periodo, il Mussolini ante 1914 che « dotato di intuito non comune, [...] quasi unico sentì come la vecchia posizione socialista non soddi­sfacesse il bisogno dei giovani e si dette a tutt’uomo a rifrescarla facendo larga parte all’idealismo da un lato e al volontarismo pragmatista e berg- soniano dall’altro ». L’accostamento, pur con tutti i distinguo che nel­l’opera si trovano, non è privo di significato per comprendere la tematica rosselliana: il rifiuto fondamentale è per il riformismo senza nerbo della socialdemocrazia italiana, e in questo senso il radicalismo concretistico di Salvemini gli appare come la soluzione da opporre; ma d’altra parte i giovani hanno bisogno di una ideologia nuova, di qualcosa di più trasci­nante dell’empirismo salveminiano, e possono trovarlo appunto nell’idea­lismo di cui si fece eco il direttore à Æ Avanti negli anni dieci27 *.

C’è nel duplice giudizio una contraddizione che permarrà ancora a lungo in Rosselli, anche se con il tempo il secondo termine del dilemma tenderà ad assumere un’importanza ancora maggiore: il ritratto che nel libro egli dà di sé e dei suoi coetanei accentua già una simile scelta, quando egli contrappone « la nuova generazione tutta idealista, volonta­rista, pragmatista » al « linguaggio materialistico, positivistico, scientifi- stico dei vecchi ». Neppure l’analisi del pensiero di Rodolfo Mondolfo, di cui pure Rosselli risente notevolmente l’influsso, gli sembra soddisfacente ai fini di una rifondazione del marxismo in Italia: « se davvero — egli scrive — tutto il marxismo stesse nel concetto della prassi che si rovescia, a me par chiaro che esso si risolva nel liberalismo » M.

25 L’annotazione di pugno di G. Salvemini è in CIR, Firenze. Sempre nello stesso fondo si trova un commento complessivo dello storico pugliese alle tesi di Rosselli: « Se il proletariato avesse forza sufficiente, non avrebbe bisogno di alleati. Ma non ha forza sufficiente in nessun luogo, meno che mai in Italia. Qui non si tratta di discutere quel che si farà nel 2000, ma quel che si può fare oggi ». La frase è significativa per cogliere lo stato d’animo dell’empirista S. di fronte al tentativo dottrinale di Rosselli nel ’29.25 t>ìs y . per questo N. Tranfaglia, Carlo Rosselli, cit., p. 141, il brano citato si trova a p. 37 di Socialismo liberale.26 Socialismo liberale, p. 38 e N. T ranfaglia, op. cit., pp. 130 sgg.27 Socialismo liberale, p. 45.M Socialismo liberale, pp. 44 e 41.

22 Nicola Tran faglia

Ora non è il caso di fermarsi ad analizzare la differenza dei punti di partenza e degli intenti perseguiti da Mandolfo e da Rosselli per spiegare le differenti conclusioni cui arrivano, pur sulla base di una sostanziale convergenza del fiorentino alle tesi dell’autore di Sulle orme di Marx, i due autori, poiché basta rinviare all’analisi fatta da chi scrive degli articoli rosselliani del ’23-’24 29.

Varrà piuttosto la pena di concludere, sulla base di queste lunghe citazioni, come neppure la storia del revisionismo italiano sia stata utile a Rosselli per la dimostrazione del suo assunto iniziale: crisi del movimento operaio come conseguenza dell’adozione del marxismo. Anche Garosci, che pure consente con la liquidazione del marxismo tentata in Socialismo liberale, non può fare a meno di osservare che « molti dei mali che egli [Rosselli] attribuisce al « marxismo » sono episodi più generali della crisi della società contemporanea » 30 31. Ma il fatto è che proprio su quella tesi poggiano e l’interpretazione della crisi italiana e la stessa profezia del « socialismo liberale ». Il superamento del marxismo s’intitola il quinto ■capitolo del libro di Rosselli, l’inizio della parte « costruttiva » nel pam­phlet di Lipari. L’unica maniera di trarre correttamente tutte le conclusioni ■della battaglia revisionistica, secondo l’autore, è il rifiuto del marxismo come bussola del movimento operaio, lo sbocco del revisionismo verso un liberalismo moderno che dia un peso preponderante al problema sociale e al ruolo della volontà umana nel farsi della storia. È necessario trasfor­mare le coscienze oltre che i rapporti di produzione, né il socialismo può concepirsi altro che come un ideale dinamico, in costante evoluzione, fondato su ragioni e ideali morali più che sulle condizioni obbiettive dello sviluppo economico. Dopo il declino borghese, sono i proletari a divenire gli eredi della filosofia della libertà: di qui l’esigenza di rispettare anzitutto il metodo liberale, di porre al primo posto le esigenze di auto­nomia e di libertà, di concepire come mezzo e non come fine la socializ­zazione dei mezzi di produzione, di opporre all’internazionalismo assoluto del marxismo un internazionalismo relativo, conciliabile con un sano pa­triottismo.

Confluiscono in una simile sintesi, vaga certo e generica ma esposta con una sincera passione di rinnovamento, tutti i motivi fondamentali ■dell’ideologia giovanile di Rosselli come delle sue letture o riletture in carcere o al confino. Anzitutto, l’influenza, crescente rispetto ai primi scritti, di Benedetto Croce e in particolare di tre brevi saggi richiamati dallo stesso Croce a chiarimento e conforto di alcune sue affermazioni della Storia d’Italia dal 1871 al 1915ìl. Nei saggi crociani, Rosselli trova

29 N. T ranfaglia, Carlo Rosselli, cit., spec. pp. 146-47.30 Aldo G arosci, La vita di Carlo Rosselli, Roma-Firenze-Milano, 1945, vol. I, p. 147.31 Croce pubblicò a p. 105 del n. 10 dei Quaderni della Critica la seguente lettera,

Rosselli nel 1927-’29 23

spunto o conferma di motivi centrali del suo libro: l’inesistenza di un effettivo conflitto tra socialismo e liberalismo nell’organizzazione economica della società; la non necessaria connessione di liberismo e liberalismo, già affermata da Rosselli nel 1924 in polemica con Luigi Einaudi; e di qui — nello scritto intitolato appunto Liberismo e liberalismo — una affermazione di particolare importanza ai fini della tesi rosselliana:

Ben si potrà, con la più sincera e vivida conoscenza liberale — scriveva Croce — sostenere provvedimenti e ordinamenti che i teorici dell’astratta economica classificano come socialisti e, con paradosso di espressione, parlare finanche (come ricordo si fa in una bella eulogia e apologia inglese del libera­lismo, quella dello Hobhouse) di un « socialismo liberale ». Una seria oppo­sizione di principio al socialismo è soltanto quella che oppone all’etica e politica autoritaria, che è nel suo fondo, l’etica e politica liberale 32.

Ma, accanto agli echi di tutto il revisionismo di destra già assimilato negli anni precedenti, lo si è già detto, un nuovo teorico — dallo stesso Croce segnalato favorevolmente ne La Critica del 1928 e poi più ampia­mente accolto e discusso l’anno dopo sulla stessa rivista da Guido De Ruggiero33 — esercita su Rosselli un’influenza che, senza timore di esagera-

datata Lipari, 29 febbraio 1928, speditagli da Carlo Rosselli: « Illustre senatore, la consuetudine spirituale che da anni sono venuto stabilendo con l’opera sua e la recen­tissima lettura della storia d’Italia mi spingono a chiedere alla sua cortesia l’invio in estratti delle tre note ricordate nelle annotazioni al suo ultimo volume: Il pre­supposto filosofico della concezione liberale. Contrasti d’ideali politici in Europa dopo il 1870. Liberismo e liberalismo. Considerato l’interesse grandissimo che il libro anche qui va suscitando posso assicurarle che non sarò certo il solo a leggerlo e a meditarlo. Perdoni la voluta laconicità e accolga i miei devoti saluti e ringra­ziamenti ».32 Cfr. Benedetto Croce, Etica e politica, Bari, 19564, p. 295 e per il brano citato p. 327. Non è escluso che Rosselli conoscesse direttamente il pensiero di L. T. Hob­house, di cui era apparso nel 1904, Democracy and Reaction e nel 1911 Liberalism, poi ristampato nel 1919 e nel 1925 dove, assumendo come punto di riferimento la tradizione liberale inglese e in particolare Stuart Mill, ma senza trascurare l’esperienza della socialdemocrazia tedesca e il suo programma del 1891, si giungeva a conclusioni non dissimili a quelle rosselliane. È strano tuttavia che, avendolo letto, R. non l’abbia citato, a differenza di quanto fa per tutti i sostenitori più o meno prossimi del « socialismo liberale ». Si potrebbe ipotizzare che, se lo lesse, preferì non citarlo a conferma di certe sue tesi trattandosi di un autore, a differenza degli altri richiamati nel testo, estraneo del tutto alla tradizione socialista: ma lo stesso discorso avrebbe potuto valere per Croce, che R. invece cita largamente.33 La segnalazione di B. Croce, che sottolinea soprattutto due aspetti del pensiero di De Man — il socialismo come moto di « elevazione spirituale degli uomini »; la storia come « storia d ’ideali morali condotta da intellettuali » — è nel vol. XXVI de La Critica, Napoli, 1928, pp. 459-60. La recensione di De Ruggiero — nel vol. XXVII, Napoli, 1929, pp. 459-63 — accoglie in pieno le tesi principali dell’opera di De Man insistendo in particolare su due punti: 1) il capitalismo non genera necessariamente la lotta di classe; 2) le insufficienze del marxismo derivanti dal suo economicismo e della sua ademocraticità, e in conclusione della degradazione dei valori morali. È probabile che R. abbia letto la segnalazione di Croce, che si riferiva all’edizione francese di Tur Phychologie des Sozialismus, Jena, 1926 apparsa a Bruxelles nel 1927 con il titolo Au de là du marxisme, di cui in effetti si servì per le sue citazioni

24 Nicola Tran faglia

re, si può definire preponderante: si tratta di Henri De Man, leader già noto della socialdemocrazia belga, autore nel 1926 di quel saggio sulla « psicologia del socialismo », a cui Rosselli si ispirò in maniera tale da poter considerare Socialismo liberale — almeno nella sua parte « ricostrut­tiva » — poco più di una traduzione o riduzione italiana dell’opera di De Man. Tra le carte dell’archivio privato di Carlo Rosselli si trovano appunti estremamente dettagliati sulla preparazione di Socialismo liberale.

Ecco un libro, anzi, ecco il libro, il mio libro — confessa Carlo all’inizio delle sue note di lettura su A u delà du marxisme — il libro che avevo tante volte sognato di scrivere, tante volte cominciato, sempre abbandonato. È la confessione coraggiosa, onesta, acutissima di un marxista disincantato, o meglio di un socialista convinto e praticante che vede volatizzarsi il verbo marxista alla luce dei fatti e delle dure esperienze M.

Le successive annotazioni confermano l’importanza per Rosselli del­l’incontro con De Man. Certo, non si può dire che tutte le tesi di Socia­lismo liberale siano state tratte dall’opera del teorico belga: il nesso tra degenerazione corporativa del movimento operaio e influenza del marxismo è affermato con forza da De Man, ma non è nuovo — lo si è già visto — in Rosselli, così come le critiche al classismo e all’economi­cismo socialista si trovano in tutti gli autori revisionisti, a cominciare da Bernstein, consultati e assimilati dal fiorentino negli anni successivi alla vittoria fascista. La stessa espressione « socialismo liberale » non deriva per Carlo da De Man ma da Croce, da Hobhouse o forse addirittura da uno degli autori che più lo impressionarono da giovane, John Stuart M ill35. Ma è in De Man — fonte insospettabile in quanto proveniente dall’interno della tradizione sindacale e socialista europea, e non già da un qualsiasi scrittore liberale — che Rosselli trova sottolineata con vigore anzitutto la necessità della liquidazione del marxismo per un’ideologia che rivaluti un socialismo etico e libertario, un riformismo che non perda di vista i

l’autore di Socialismo liberale. L’opera di De Man venne tradotta in Italia da Ales­sandro Schiavi e uscì presso Laterza nel 1929 con il titolo II superamento del marxismo.34 CIR, Firenze.35 Cfr. N. Tranfaglia, Carlo Rosselli, cit., in particolare i capp. II e IV. Nella sua Vita di Carlo Rosselli, cit., vol. I, pp. 133-34, A. Garosci scrive che «la critica del determinismo marxista non è, così nei termini generali, un enunciato nuovo [...]. Quel che Rosselli apporta di suo a questa critica è [...] una identificazione del determinismo come il punto centrale del sistema. È una critica interna al sistema (in questo non si confonde con le critiche degli avversari) ma una critica non di dettaglio, bensì centrale, e consciamente centrale ». Ma da quando si è esposto fino a questo punto non sembra di poter condividere né l’una né l’altra affermazione: R. si ispira a De Man per la critica al determinismo e vi trova tutto quello di cui ha bisogno per le sue tesi; né si può dire che sia critica interna al marxismo, una teorizzazione come quella rosselliana che esplicitamente vuol giungere alla liquida­zione del pensiero di Marx.

Rosselli nel 1927-’29 25

fini generali del movimento. Proprio commentando la quarta parte del libro di De Man, dedicata alla « dottrina », Rosselli osserva nelle sue note di lettura: « È la parte più originale del libro e più personale » e, ripor­tando la seguente frase testuale: « Gli antagonismi rivoluzionari non sono reali che per quel tanto che si applicano a dei fini etici o giuridici; è per questo che il senso storico essenziale di ogni rivoluzione è il rovesciamento dell’ordine giuridico in base ad un nuovo principio etico », commenta significativamente: « Siamo di fronte al più completo rovesciamento della posizione marxista! Considerare cioè come reale solo il rovesciamento etico o giuridico. È questo del resto l’unico modo di salvare il riformismo, il gradualismo, dalla degenerazione e dalla sciatteria. Approfondire. È in De Man che il fiorentino legge « delle pagine quadrate e vibranti sul valore della democrazia, che, ben diversamente dal marxismo, non va considerato come mezzo, ma come una condizione psichica senza la quale il socialismo non può realizzarsi, addirittura come la sostanza stessa delle sue idee », di cui c’è una chiara eco nei capitoli V, VI e V ili di Socia­lismo liberale. Ma soprattutto De Man offre all’allievo di Salvemini una dimostrazione assai suggestiva sul piano psicologico e delle ragioni della diffusione del marxismo tra le masse operaie del fatto che del marxismo le masse hanno sempre colto gli aspetti fatalistici, deterministici piuttosto che la dialettica o gli aspetti libertari di essa, o almeno d’una parte di essa, del Marx giovane, di cui R. parla più volte sia in Socialismo liberale che nei suoi appunti di lettura. A Rosselli non « pare molto felice » il tentativo di De Man di far « ricorso ai dettami della psicologia freudiana » per spiegare un simile processo, chiaro a suo avviso a tutti gli uomini di buon senso, senza bisogno « di un linguaggio così tecnicamente compli­cato ». Ma, Freud o non Freud, Rosselli accetta del ragionamento di De Man le conclusioni ultime. E quando questi osserva, sempre a spiegazione della fortuna del marxismo e della necessità di liquidarlo, che « l’uomo non può calmare la sua nostalgia la più profonda, la vittoria sul tempo, che se trasforma i suoi fini futuri in movimenti attuali e incorpora così un frammento dell’avvenire nel presente », Carlo commenta: « Acutissimo e fondamentale. E’ il perfezionamento della formula Bernstein. Non il moto è tutto, ma le relazioni, gli stimoli che vi presiedono. Ritorno all’io, e ai motivi intimi, profondi...36 ». Si potrebbe continuare ancora a lungo, sia sulla base degli appunti di Rosselli sia su un confronto puntuale tra l’opera di De Man e Socialismo liberale, per dimostrare la dipendenza in tutte le affermazioni principali — sul piano della costruzione d’una nuova ideologia — del pamphlet scritto a Lipari dal saggio del socialde­mocratico belga. Ma gli esempi forniti finora bastano, mi pare, a com­

36 Tutti i brani riportati sono in CIR.

26 Nicola Tranfaglia

provare la correttezza dell’assunto. Ci sono ancora due punti da sotto- lineare.

Il primo riguarda il ruolo degli intellettuali. Anche su questo punto Rosselli da una parte riprende certe sue osservazioni del 1926 su Ford e il fordismo, dall’altra accoglie e fa sua la tesi essenziale di De Man.

Solo alcune frazioni della borghesia — egli scrive alle pp. 87 e 88 di Socialismo liberale — esercitano ancora una più utile, diciamo anzi pressoché indispensabile, funzione progressista. E quali? Quelle che, indipendentemente dal privilegio della nascita, realizzano nella vita nuovi valori nella sfera delia intelligenza pura e del lavoro di direzione: gli intellettuali, gli scienziati, la parte più sana e più attiva della borghesia industriale ed agraria, e quelle figure formidabili del mondo moderno che sono gli imprenditori, i grandi capitani di industria, i politici dell’económia [...] 37 38.

Queste affermazioni introducono aU’ultimo punto che mi preme di sottolineare e che gli interpreti di Socialismo liberale, in particolare Garosci, hanno indicato come una delle parti, se non la parte più originale, del libro. Il fallimento dell’esperienza sovietica dal punto di vista dello sviluppo economico — da Rosselli a torto sancito sulla base delle notizie allora disponibili in Occidente sull’economia russa — e le innegabili diffi­coltà del capitalismo di tipo classico, liberista fanno concludere all’autore di Socialismo liberale — impressionato assai favorevolmente dal pater­nalismo fordiano — anzitutto che neocapitalismo e socialismo « applicato all’industria » sono forme abbastanza simili, e destinate con il tempo ad avvicinarsi ancor più, di organizzazione della produzione. Le differenze ormai, osserva Rosselli, « non stanno più (come in Marx) nella sfera della produzione, ma in quella della distribuzione e della morale ». Ma se questo è vero, « è possibile concepire che il passaggio dall’una all’altra si compia con processo graduale e pacifico: con un processo che, salvando i pregi ormai assicurati dell’una, li rafforzi progressivamente coi pregi dell’altra » 3S. È questo, già più che in embrione, quel motivo dell’eco­nomia mista o a due settori che sarà un punto fermo nel pensiero rossel- liano e che influenzerà profondamente i programmi di « Giustizia e libertà »

37 V. per queste affermazioni tutta la seconda parte di Zur Psychologie des So- zialismus e in particolare i paragrafi Gli intellettuali e lo stato e II socialismo degli intellettuali, pp. 198-250 dell’edizione italiana citata, I voi., a cura di Ales­sandro Schiavi. E inoltre P. D odge, Beyond Marxism. The Faith and Works of H. De Man, La Hague, 1966.38 Cfr. C. Rosselli, Socialismo liberale, pp. 59-66 dell’originale italiano. Anzi si­gnificativo quest’accenno a Ford: « In una discussione tra Marx e un filatore di cotoni del Lancashire o un produttore di caldaie di Birmingham, Marx avrebbe ri­portato indubbiamente la palma. Nonostante le esagerazioni, lui e non il suo avver­sario percorreva i tempi ed era sulla linea del progresso economico. Ma immaginate oggi un marxista ortodosso alle prese con Ford e sentirete come tutte le sue ri­vendicazioni e requisitorie nell’ordine produttivo si spuntino contro le realizzazioni -di Ford » (p. 63).

Rosselli nel 1927-'29 27

fino a tutto il 1937. Ora qui si deve sottolineare una differenza di tono e di accenti tra la visione di De Man e quella di Rosselli: giacché l’uno sia nel saggio sulla « psicologia del socialismo » sia in altre opere prece­denti o dello stesso periodo è sconcertato per il successo, malgrado tutto, del sistema capitalistico e paventa il diffondersi nella società futura delle caratteristiche negative di quel sistema; l’altro guarda con ottimismo a quel successo e profetizza un accostamento dei due sistemi economici e politici. Ma anche su questo punto, più che elaborare un tema originale, muove dalle osservazioni, fondamentali a questo riguardo, di Werner Sombart che in Der moderne Kapitalismus, un’opera nota a Rosselli nella riduzione italiana compiuta da Gino Luzzatto fin dal 1925, e che egli cita una volta sola nelle pagine conclusive di Socialismo liberale, aveva parlato esplicitamente dell’avviamento del capitalismo verso una regola­mentazione tale da sviluppare forme di proprietà pubblica e privata, limitare la concorrenza alle esigenze del piano economico, da accostarsi insomma — almeno per certi aspetti — all’immagine del socialismo indu­striale offerto dall’esperienza sovietica39.

Infine, l’analisi del fascismo a cui Rosselli dedica uno spazio notevole nell’ultima parte del suo saggio. Rispetto all’interpretazione già tentata dal giovane nel ’23, ’24 e poi nel ’26, il giudizio è più organico e com­plesso, e si fanno sentire in questo non solo e non tanto le nuove letture o riflessioni quanto le esperienze di azione, gli incontri, il carcere e il confino di Lipari. Sono punti da sottolineare per comprendere l’azione di Rosselli e di « Giustizia e libertà » nella sua prima fase. Tentando di ricavare uno schema più o meno unitario dalle notazioni sparse in Socia­lismo liberale, l’interpretazione di Rosselli può sintetizzarsi così: 1) il fascismo non si spiega con un’analisi prettamente economica, né può definirsi esclusivamente classismo: esso è l’autobiografia della nazione, il ritorno ai secoli passati della storia italiana (una storia senza rivoluzioni popolari né lotte di religione, con un Risorgimento opera di pochi) ed è antiliberismo quanto e più che antisocialismo; 2) non può quindi essere una parentesi, come sostiene Croce, ma un’esperienza « di cui resterà il segno nella vita italiana. Comprendere è vincere [...] ». Anche perchè

pur non risolvendoli o risolvendoli male, il fascismo inoltre ha sollevato pro­blemi che non si possono ignorare. Il problema dei rapporti tra socialismo e inazione, il problema del governo in regime di democrazia, il problema del­

39 Cfr. su questo punto le osservazioni di A. Cavalli nella sua Introduzione alla nuova ed. italiana de II capitalismo moderno, Torino, 1967, pp. 46-47 e nel testo bombardano le pp. 852 sgg. dell’edizione italiana citata. Alla tematica di Sombart si collega, del resto, la successiva elaborazione di De Man sfociata nel Plan du Travail, su cui, oltre all’opera cit. di P. Dodge, si v. tra l’altro l’articolo di Aldo Agosti, Le matrici revisioniste della « pianificazione democratica »: il pia­nismo, in Classe, 1967, n. 1, pp. 241-60.

28 Nicola Tranfagita

l’autonomia politica, si porranno, a fascismo caduto, con una intensità e uno stile affatto nuovi40.

Sono tutti elementi, come dicevo, già presenti magari per accenni negli articoli del biennio ’23-’26 ma meglio organizzati e legati al discorso ideo­logico sul « nuovo socialismo » posto da Carlo al centro del suo libro e che proprio da questo punto di riferimento attingono una forza maggiore. Ne viene confermata ancora una volta la dipendenza di Rosselli per quest’aspetto da quella linea Oriani - Missiroli - Fortunato - Gobetti così importante per comprendere certe posizioni della generazione affacciatasi alla vita politica con la guerra e con i primi anni del dopoguerra. Quanto a Socialismo liberale nel suo complesso, se chi scrive ha condotto un’analisi così dettagliata delle sue tesi non è stato solo per individuarne le fonti essenziali, gli autori a cui R. si ispirò ma anche per coglierne l’esatta collocazione nell’ambito del revisionismo europeo, di cui il libro rappre­sentò un episodio senza dubbio marginale e secondario, del tutto subor­dinato all’eresia di De Man. Fu invece una tappa importante per l’autore che a quelle idee continuò ad ispirarsi negli anni parigini e fino alla guerra civile di Spagna e per il movimento politico che guidò fino alla morte.

4. La fuga da Lipari nelle carte della polizia fascista

La sera del 27 luglio 1929 Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Fausto Nitti riuscirono ad evadere dalla colonia di Lipari, imbarcandosi su un moto­scafo guidato da Italo Oxilia, Gioacchino Dolci e dal francese Paul Vonin, a raggiungere Tunisi e di qui Marsiglia e Parigi.

Oltre ai racconti scritti dai protagonisti dell’impresa per motivi politici e propagandistici, possediamo di quell’episodio e dei suoi retroscena un resoconto estremamente diligente e accurato steso circa dieci anni fa da Alberto Tarchiani che dalla fuga fin dal ’27 si era assunto il difficile compito organizzativo41. Non vale quindi la pena di ripercorrerne tutte le fasi: dal primo incontro tra Ernesto Rossi e Alberto Tarchiani nel­l’estate 1927 a Laugrune sur Mer al successivo del marzo 1928 a Londra tra Salvemini e lo stesso Tarchiani, che segnò il definitivo varo dell’im­presa; dal progetto affidato a Raffaele Rossetti appunto nel ’28 e fallito nel settembre per l’inidoneità del motoscafo Sigma IV acquistato dal

40 Socialismo liberale, pp. 109-10; 118-19 e passim. E per le precedenti analisi del fascismo compiute da Rosselli, N. Tranfaglia, Carlo Rosselli, cit., spec. pp. 164-65 e 299 sgg.41 F. F. N itti, Le nostre prigioni, la nostra evasione, Napoli, 1946; E. Lussu, La catena, cit.; C. Rosselli, Fuga in quattro tempi, in CR, Scritti politici e auto- biografici, Napoli, 1944; Alberto Tarchiani, L’impresa di Lipari, in No al fascismo, a cura di Ernesto Rossi, Torino, 1963, pp. 115 sgg.

Rosselli nel 1927-’29 29

Rossetti e per altri errori commessi dallo stesso alla decisione di Tarchiani e Salvemini di affidare il comando dell’impresa a Italo Oxilia, che nel giugno 1929 acquistava il Dream V e, dopo un tentativo fallito per il mare grosso il 25 luglio, riusciva due giorni dopo a raggiungere l’isola e a farne evadere i tre confinati.

Ha invece un certo interesse rispondere a due quesiti che anche la memorialistica talvolta si è posta nel dopoguerra: 1) come si spiega l’inef­ficienza della sorveglianza e della reazione fascista; 2) che effetti ebbe la fuga a livello dell’opinione pubblica italiana e come reagì l’apparato repressivo del regime. Gli archivi della polizia fascista e gli atti del processo che si celebrò l’anno dopo a Messina contro Paolo Fabbri, un confinato romagnolo che aiutò Rosselli, Lussu e Nitti ad evadere e fu condannato a tre anni di reclusione, permettono di ricostruire con sufficiente precisione la fuga dal punto di vista che in questa sede ci interessa. La prima reazione a livello di vertice è del 28 luglio 1929. Alle 13,30 di quel giorno, immediatamente successivo all’evasione, riferendosi all’annuncio datone dalla questura di Messina, un telegramma cifrato con « precedenza assoluta » diretto a tutti i prefetti del Regno e al questore di Roma dalla direzione generale della polizia si raccomanda

affinché indagini siano condotte alacremente et massimo impegno, avver­tendo che trattasi di persone pericolose et capaci di commettere anche atti inconsulti. Speciale raccomandazione viene fatta prefetture confine marittimo alto Tirreno con preghiera far effettuare ricognizione per mare per ipotesi che predetti confinati abbiano progettato et intendano attuare espatrio via mare.

L’illusione di poter ancora fermare i fuggiaschi dura poche ore. Il giorno dopo vengono fermati a Courmayeur Marion Rosselli, a Fiuggi Nello: la prima per rappresaglia, il secondo anche per il sospetto che avesse partecipato all’organizzazione della fuga. E il 31 luglio il prefetto di Messina, Guerresi, che già all’alba del 28 luglio aveva inviato a Lipari un vicequestore con l’incarico di guidare le ricerche e condurre una prima inchiesta ricorda i suoi precedenti rapporti fondati su « notizie confiden­ziali » su progetti di evasione di Rosselli inviati a Roma nel marzo e nel­l’aprile del ’29 e sollecita la direzione di polizia perché « voglia compia­cersi esaminare se non sia il caso procedere integrazione dette notizie confi­denziali e conseguenti collegamenti con fatti verificatisi onde addivenire rintraccio evasi e accertamenti tutte responsabilità ». Il telegramma è chia­ramente teso ad evitare che l’inchiesta affidata dal capo della polizia Bocchini all’ispettore generale di PS d’Orazi, giunto appunto a Messina il 31 e diretto a Lipari, possa comportare un danno per il diligente prefetto, ed è un’indiretta conferma dell’importanza assunta dalla questione e delle pressanti direttive da Roma, e probabilmente da Mussolini stesso, a far piena luce sulla vicenda. Da parte sua l’ufficio politico investigativo

30 Nicola Tranfaglia

della milizia volontaria di sicurezza nazionale inviava il 5 agosto a Lipari il luogotenente generale comandante la XIV zona della MVSN per con­durre un’apposita e propria inchiesta sulla responsabilità della direzione della colonia e in particolare sulla milizia che aveva — come è noto — in ogni colonia un comando autonomo e doveva assicurare la vigilanza sui limiti di confino.

I rapporti stesi da Bartoli e da d’Orazi dopo alcuni giorni d’indagine sul luogo indicano concordemente gli elementi che permisero l’evasione dei tre. Nel suo rapporto, spedito da Palermo fin dal 7 agosto 1929 al comando generale della milizia, Bartoli mette in luce essenzialmente cinque punti: 1) che la fuga « fu preparata con scrupolosa meticolosità e predi­sposta fino nei più minuti particolari »; 2) che « doveva esservi a bordo un direttore di rotta — almeno per l’accostata all’isola — che conosceva molto bene quel tratto di costa rocciosa, con fondali variabilissimi per gli scogli » e fa il nome di Gioacchino Dolci; 3) che i fuggiaschi si servirono della casa a due ingressi, di cui quello che immette sulla spiaggia non sorvegliato a sufficienza, di Paolo Fabbri; 4) gli inconvenienti derivanti dal « miscuglio di forze armate addette alla sorveglianza della colonia » (PS, carabinieri, milizia); 5) la scarsa diligenza di una pattuglia di cara­binieri che scorse il Dream V, e l’« ingenuità » di due capisquadra della milizia accorsi presso la casa del Fabbri subito dopo la fuga.

Più dettagliata e approfondita l’inchiesta condotta dall’ispettore gene­rale Pietro d’Orazi e inviata nell’agosto 1929, probabilmente nei primis­simi giorni del mese, al capo della polizia Bocchini di cui vale la pena riportare la parte centrale e le conclusioni.

L’evasione dei confinati Rosselli, N itti e Lussu — scrive D ’Orazi — sa­rebbe stata indubbiamente evitata, se il direttore della Colonia di Lipari, com­missario di PS Cannata rag. Francesco, avesse presa in più seria considerazione, come era suo dovere, la segnalazione fatta dal Ministero con telegramma 3 marzo u.s., con la quale si davano notizie dettagliate e precise di un piano, che si andava organizzando ad opera di fuorusciti per l’evasione del Rosselli e altri confinati e se egli si fosse attenuto alle istruzioni nelle circostanze a lui impartite dal questore di Messina, il quale, nel comunicargli il dispaccio ministeriale, lo interessava a provvedere con le stesse modalità adottate per il noto antifascista Torrigiani [gran maestro della massoneria] allorché questi fu presente nell’isola.

II v. commissario Lanfré Italo, che il 4 marzo sostituiva temporaneamente il Cannata, dispose subito il piantonamento presso l’abitazione del Rosselli a mezzo di una pattuglia di militi e di un agente, nonché il pedinamento conti­nuo di detto. Con altro telegramma in data 12 maggio, il Ministero richia­mava l’attenzione sulla precedente segnalazione, richiedendo che « vigilanza sul mare isola Lipari sia attentissima e che tu tti specchi d ’acqua, anche quelli che possono permettere approdo piccole imbarcazioni siano efficacemente vigi­lati e ciò ad evitare qualsiasi tentativo fuga confinati ». Tanto in occasione

Rosselli nel 1927-’29 31

della prima quanto della seconda segnalazione, il direttore della colonia for­niva al superiore ufficio ampie assicurazioni, allegati 3 e 3 bis, senza peraltro imprimere un maggior impulso ai servizi e trascurando di procedere, personal­mente, a nuove ricognizioni lungo la costa, per sincerarsi se fosse necessario o meno modificare le zone affidate alla vigilanza degli agenti di polizia, o an­che istituire nuovi posti di vedetta. E ciò si desume oltreché dalle indagini da me espletate, anche dal fatto che il Cannata non ammetteva neppure l’ipotesi di un tentativo di fuga, persuaso che la vigilanza da lui predisposta costituisse la più assoluta garanzia, onde neppure le particolareggiate segnalazioni, né gli ordini a lui impartiti valsero a scuoterlo da uno stato di soverchia tranquil­lità [...].

Nella ricostruzione dei fatti, d’Orazi non si allontanava sostanzial­mente dai risultati dell’inchiesta di Perugino Battoli. Mette in luce la mancata sorveglianza del sentiero seguito dagli evasi per raggiungere la spiaggia, deplora egualmente l’assenza di iniziativa degli agenti della milizia accorsi presso la casa del Fabbri e la scarsa « comprensione del proprio dovere » da parte dei carabinieri che scorsero il Dream V procedere a fari spenti nel porto, e sulla base di questi giudizi chiede e ottiene l’esonero del direttore della colonia e la punizione di due marescialli di PS mentre scioglie da ogni possibile addebito il questore di Messina.

Le indagini sulla fuga e sulle responsabilità di chi avrebbe dovuto impedirla non si fermarono dopo il rapporto di d ’Orazi. Contemporanea­mente alle inchieste Battoli e d’Orazi, Bocchini aveva dato all’ispettore generale di PS per la Sicilia, Ranalli, di svolgere un’altra indagine che si concluse con un rapporto del 12 agosto 1929 che, rispetto a quello riportato dal d’Orazi, sottolineava altri due punti: 1) il Cannata era stato avvertito di un progetto di fuga di Rosselli e Lussu fin dal 17 giugno 1928 e poi di nuovo ammonito — come anche il d’Orazi ricorda — nel marzo 1929; 2) il direttore della colonia appare dal rapporto di Ranalli un per­sonaggio colpevole non solo di scarsa diligenza:

il Cannata, come il maresciallo Pastore e altri funzionari governativi — scrive l’ispettore nella sua relazione conclusiva a Bocchini — obbligati a vivere in un ambiente sociale ristretto e a contatto per ragione di ufficio con le autorità e le gerarchie locali, non sempre sono apparsi estranei alle vicende della poli­tica liparota, materiata di affarismo più che di fede fascista, a causa dei con­tinui attacchi cui erano fatti segno ora dell’una ora dell’altra parte, che li costituivano in uno stato di permanente difesa [...]. Il Cannata effettivamente si è mostrato condiscendente con i confinati e arrendevole verso quelli di con­dizione sociale più elevata; ma non si è potuto controllare se per simpatia o fini disonesti o scorretti; certo per inesatta valutazione della situazione locale e delle qualità dell’istituto del confino di polizia politico.

Le ricerche dei fuggiaschi da parte delle questure italiane, malgrado che la stampa internazionale avesse dato notizia dell’arrivo dei tre a

32 Nicola T ran faglia

Parigi fin dai primi giorni di agosto, cessarono per ordine del capo della polizia solo il 16 agosto 1929. Le ulteriori indagini sulle responsabilità proseguirono fino al dicembre dello stesso anno, senza apportare nessun elemento di novità. E, allo stato della documentazione, non sembra possi­bile andare molto oltre la conclusione delle inchieste di polizia. Il quesito principale riguarda, a questo proposito, il ruolo dei dirigenti della colonia nella clamorosa evasione. Si trattò esclusivamente di inefficienza e scarsa diligenza o si può parlare di una consapevole complicità, da parte almeno del direttore della colonia? Né Rosselli né Lussu né Nitti hanno mai detto nulla su quest’aspetto della vicenda. In una conferenza registrata a Firenze il 21 maggio 1960 Emilio Lussu ha affermato che « un merito del successo spetta anche all’ammiraglio comandante la base navale di Napoli, il quale, ritardando ad arte l’esecuzione degli ordini per l’insegui­mento immediato, fu scientemente nostro complice ». Particolare inedito e di un certo interesse, anche se non direttamente confermato dai documenti di polizia consultati da chi scrive: in un telegramma cifrato della direzione generale di polizia all’alto commissario a Napoli, in data 6 agosto 1929, si sottolinea che l’evasione dei tre è stata possibile « per deplorevole fun­zionamento servizi vigilanza terrestre et marittimi imputabile sia a direttore colonia [...] sia agli organi dipendenti preposti vigilanza che hanno dato prova indolenza et di mancanza assoluta di intuito et di iniziativa » e si raccomanda all’alto commissario di rinnovare ordini precisi al direttore della colonia di Ponza, senza nessun accenno alle autorità della marina militare di Napoli. Quanto al commissario Cannata, i dubbi alla luce della documentazione offerta restano. Ma senza possibilità, ripeto, di scioglierli nell’una o nell’altra soluzione42.

42 Tutti i documenti citati in questo paragrafo si trovano in Archivio centrale dello stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza 1914-1933, Divisione affari generali e riservati 1929, b. 7, fase. Evasione Lipari. Agli elementi riportati nel testo vai la pena di aggiungere due particolari: 1) le speciali indagini promosse per accertare eventuali possibilità di contatti tra i superstiti del movi­mento sardista ed Emilio Lussu, come risulta da un allarmato telegramma in cifra ai prefetti di Cagliari, Nuoro e Sassari in data 10 agosto 1929 di pugno di Bocchini che ordina di « fare attentamente sorvegliare appartenenti disciolto partito sardo d’azione, sia per conoscere se, in seguito evasione suddetta, essi esplichino una qualsiasi attività per mettersi in contatto con Lussu et per promuovere una clan­destina agitazione contro il regime, sia per conoscere se predetto, dato suo carattere ben conosciuto, non voglia attuare qualche audace disegno compiendo egli stesso atti inconsulti aut istigando suoi partigiani a compierlo ». Il timore di un attentato, come già è stato notato (vd. la voce Bocchini nel vol. XI del Dizionario biografico degli italiani, p. 78), preoccupava particolarmente il capo della polizia fascista; 2) ulteriori dubbi su complicità nella fuga da parte di funzionari italiani che sembrano emergere da un’inchiesta dell’ispettore generale di PS Mocchia in relazione a voci su rapporti tra un brigadiere sardo e Lussu. Nel suo rapporto, peraltro negativo, del 3 ottobre 1929, a Bocchini, Mocchia afferma: « [...] Nel n. 37 della Libertà, pubblicata a Parigi il 15 settembre e pervenuta al comm. Grassi [nuovo direttore della colonia di Lipari] si danno dei particolari — quello per es. del modo come la notte dal 27 al 28 luglio avrebbe funzionato la radiotelegrafia — che impres-

Rosselli nel 1927-29 33

Sul secondo quesito, posto all’inizio di questa rapida ricostruzione dei retroscena della fuga, disponiamo di alcuni elementi, frammentari ma a loro modo significativi. Subito dopo la fuga Mussolini ordinò ai giornali di limitarsi a riportare una brevissima nota dell’agenzia Stefani che, senza alcun commento, comunicava l’avvenuta evasione di Rosselli, Lussu e Nitti. Ma in un rapporto « confidenziale » del 13 agosto 1929 a Bocchini troviamo un’interessante ammissione.

Secondo la nostra « Grinomi » [pseudonimo di una spia fascista non iden­tificata] le tre righe della « Stefani » che comunicavano ufficialmente la fuga notturna, dall’isola di Lipari, dei « confinati » Lussu, Rosselli e Nitti, avrebbero per il loro scheletrico contenuto, fatto fiorire nei quartieri popolari, le più strane e rocambolesche leggende. La « Grinomi » nel caffè « Norge » a San Lorenzo, avrebbe udito, da operai, riferire « particolari » degni della fantasia di Giulio Verne e del Salgari. Questa « fuga » notturna, a bordo di un moto­scafo straniero, con relativo inseguimento e scambio di colpi di moschetto e mitragliatrice sarebbe oggetto di esaltazione, e motivo di una « ripresa », e que­sto è il più importante, di mormorazioni antifasciste. Inutile dire che negli ambienti popolari il Nitti viene ritenuto figlio dell’ex presidente. Il fatto che eccita di più la fantasia popolare riguarda la laconicità scheletrica della notizia stessa: perché, secondo la « Grinomi », se i giornali avessero data una qual­siasi versione ampia e particolareggiata, questo rifiorire di leggende, questa nuova esaltazione di « martiri antifascisti » non avrebbe certamente avuto luogo.

Il rapporto « confidenziale » — pur con tutte le cautele necessarie di fronte a simili fonti — ha valore di sintomo d’un’atmosfera come quella italiana negli anni trenta e testimonia della suggestione esercitata proprio presso gli ambienti popolari da imprese come quella di Lipari. Ma Bocchini, probabilmente dopo aver conferito con Mussolini, non diede soverchia importanza al rapporto. Il duce e il capo della polizia si preoccuparono invece assai di più per la campagna iniziata sulla stampa tedesca, svizzera, ma soprattutto inglese e francese, a proposito della fuga dei tre confinati e dell’immediata rappresaglia attuata dal regime inviando al confino Nello Rosselli come complice del fratello e trattenendo in stato di fermo e poi di speciale sorveglianza ad Aosta Marion Cave, moglie di Carlo. Cosi il 3 settembre Bocchini telegrafa in cifra al prefetto di Aosta: « Pregasi trovar modo di fare riservatamente sapere alla signora Rosselli che se chiede il passaporto le sarà dato ». L’ordine del capo della polizia ha la stessa data ad è con ogni probabilità immediatamente successivo a un telegramma del ministero degli Esteri, al ministro dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, che informava Bocchini delle reazioni estre-

sionano perché rispondono al vero e non potevano essere conosciuti se non da coloro che, per ragioni della carica, seguivano il febbrile movimento determinatosi nella questura di Messina e nell’ufficio di Lipari appena dopo constatata la tuga ».

34 Nicola T ran faglia

inamente negative dell’opinione pubblica inglese alla vicenda e concludeva con queste parole:

Non spetta a me giudicare o dare suggerimenti a proposito ma mi pare che permettere alla signora Rosselli di lasciare l’Italia sarebbe la più efficace e potente smentita a tutte le voci tendenziose e false che l’antifascismo ha fatto correre sul trattamento da lei subito, troncherebbe qui ogni penosa im­pressione e sarebbe considerato come la prova migliore del sentimento umani­tario ed equo del « terrore fascista ».

Il disegno convinse Mussolini che da parte sua non vedeva l’ora di far dimenticare all’opinione pubblica internazionale l’increscioso episodio. Al punto che quando il 18 ottobre Luigi Villari, propagandista ufficioso del regime a Londra, sottopose al capo della polizia una minuta di lettera da inviare all’ambasciatore italiano a Londra per metterlo in condizione di rettificare alcune affermazioni di Carlo Rosselli sul fermo della moglie, Bocchini chiese istruzioni a Mussolini che tagliò netto con un’ordine signi­ficativo: « Non è il caso di dare ulteriori notizie ».

L’epilogo giudiziario della fuga di Lipari fu, come si è già detto, nel 1930, il processo di Messina contro Lussu, Rosselli e Nitti) contumaci, e Paolo Fabbri, in carcere dal 28 luglio 1929. Non è qui il caso di rico­struirne la storia sulla base degli atti processuali giacché essi confermano in pieno quel che si è già scritto. Basti mettere in luce da una parte il comportamento ammirevole del Fabbri e di Parri, sui quali l’ispettore generale di PS, Cocchia, in un rapporto da Messina del 25 settembre 1929 al capo della polizia, dava i seguenti giudizi:

Dico subito che Fabbri, nonostante gli accertamenti e le contestazioni fat­tigli, si è mantenuto decisamente negativo e non era da attendersi altro dal vecchio organizzatore di Molinella; soltanto ha dovuto, come vedremo, fare delle confessioni circa gli indumenti a suo tempo sequestrati, risultando così più certa la di lui partecipazione al fatto [...]. Parri è stato dal primo momento intollerabilmente cinico e sprezzante sicché, dopo qualche abile assaggio, avendo compreso fosse miglior partito desistere da qualsiasi insistenza troncai ogni interrogazione. Sicché, per questo lato, non si è ricavato niente.

Dall’altra, i metodi usati dalla polizia e condivisi dalla magistratura ordinaria per giungere a una condanna del Fabbri nel processo. Subito dopo la fuga di Lipari, due confinati — Terzilio Borghesi e Daniele Pie­monte — si offrirono di fornire informazioni sui compagni di confino e di « collaborare » con la polizia politica. Venne scelto il Piemonte, la cui opera si rivelò preziosa per il processo di Messina, come risulta dal seguente telegramma in cifra inviato dal prefetto del capoluogo siciliano il 19 dicembre ’29 alla direzione generale di polizia:

Come già riferito codesto Ministero con prefettizia 17 andante eguale

Rosselli nel 1927-’29 35

numero in considerazione che elementi difensivi addotti imputato Fabbri ne rendevano probabile assoluzione nell’immediata imminenza trattazione causa fissata 17 corrente e in mancanza tempestive istruzioni codesto Ministero nello assoluto interesse della giustizia questa Questura ritenne dovere imprescindibile informare riservatamente locale Procura del Re dando notizia pura e semplice che predetto Fabbri aveva confessato al Piemonte di passaggio carcere Milazzo [per l’esattezza, come si ricava da altro documento, inviato appositamente in quel carcere] sua partecipazione attuazione fuga confinati Lussu Nitti e Rosselli. Causa a richiesta Procura del Re rinviata 23 gennaio p.v.43.

Nicola Tranfaglia

43 Tutti i documenti citati in quest’ultima parte si trovano nello stesso fondo archivistico di cui alla nota precedente. Copia degli atti del processo di Messina si trova in AR.