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1 “L’arte del ricordare” L’espressione dell’identità culturale di un popolo: lo joik dei Sami Saggio di Antropologia della Musica per il Corso in Teoria e Tecniche della Composizione Musicale del Conservatorio di Musica “C. Pollini” di Padova Sabrina Sartori, A.A. 2008-2009 Nils Nilsson Skum Introduzione Nella primavera del 2007 ho intrapreso un viaggio a Kautokeino, nel nord della Norvegia, per una ricerca sul campo allo scopo di registrare i canti joik del popolo Sami durate i festeggiamenti della Pasqua. I festival sami di Pasqua sono le più autentiche e sentite tra le antiche tradizioni sami, poiché risalgono ai tempi del nomadismo. Fino al secolo scorso, alla fine di aprile, con l’inizio dello scioglimento delle nevi, le famiglie proprietarie di renne cominciavano già a prepararsi per migrare con le greggi verso le coste in cerca di pascoli estivi. Prima di partire era usanza radunarsi per salutare parenti e amici e festeggiare la fine dell’inverno. In passato questa era anche l’unica occasione per socializzare, sposarsi, battezzare i bambini, dato che il pastore era una presenza solo saltuaria per le comunità sami. Ancora oggi, sebbene i Sami non siano più nomadi, si è conservata l’abitudine di sposarsi preferibilmente a Pasqua, con grande pompa e centinaia di invitati. Così nei giorni della settimana di Pasqua, nelle due cittadine norvegesi che vantano i Festival più rinomati – Kautokeino e Karasjok – può capitare di imbattersi in grossi gruppi festanti di persone di ogni età con l’abbigliamento tradizionale arricchito di vistosi gioielli, i cui dettagli (cintura, colori, forma dei copricapi) permettono di riconoscere le varie provenienze di chi lo indossa. In questa settimana, oltre a celebrare con rito religioso la Pasqua, si celebrano competizioni informali di canti joik, di solito accompagnate da abbondante birra, ma soprattutto il Sami Gran Prix (si potrebbe paragonare al nostro festival di Sanremo, pur se con una risonanza ben inferiore a livello nazionale). Sempre in questa settimana, in cui di solito la neve è ancora abbondante, si tengono le gare più importanti di corsa con le renne (il sabato santo a Kautokeino – la pista su un lago ghiacciato – , il giovedì santo a Karasjok). La corsa è lunga soltanto un

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“L’arte del ricordare”

L’espressione dell’identità culturale di un popolo: lo joik dei Sami

Saggio di Antropologia della Musica per il Corso in Teoria e Tecniche della Composizione Musicale del Conservatorio di Musica “C. Pollini” di Padova

Sabrina Sartori, A.A. 2008-2009

Nils Nilsson Skum

Introduzione

Nella primavera del 2007 ho intrapreso un viaggio a Kautokeino, nel nord della Norvegia, per una ricerca sul campo allo scopo di registrare i canti joik del popolo Sami durate i festeggiamenti della Pasqua. I festival sami di Pasqua sono le più autentiche e sentite tra le antiche tradizioni sami, poiché risalgono ai tempi del nomadismo. Fino al secolo scorso, alla fine di aprile, con l’inizio dello scioglimento delle nevi, le famiglie proprietarie di renne cominciavano già a prepararsi per migrare con le greggi verso le coste in cerca di pascoli estivi. Prima di partire era usanza radunarsi per salutare parenti e amici e festeggiare la fine dell’inverno. In passato questa era anche l’unica occasione per socializzare, sposarsi, battezzare i bambini, dato che il pastore era una presenza solo saltuaria per le comunità sami. Ancora oggi, sebbene i Sami non siano più nomadi, si è conservata l’abitudine di sposarsi preferibilmente a Pasqua, con grande pompa e centinaia di invitati. Così nei giorni della settimana di Pasqua, nelle due cittadine norvegesi che vantano i Festival più rinomati – Kautokeino e Karasjok – può capitare di imbattersi in grossi gruppi festanti di persone di ogni età con l’abbigliamento tradizionale arricchito di vistosi gioielli, i cui dettagli (cintura, colori, forma dei copricapi) permettono di riconoscere le varie provenienze di chi lo indossa. In questa settimana, oltre a celebrare con rito religioso la Pasqua, si celebrano competizioni informali di canti joik, di solito accompagnate da abbondante birra, ma soprattutto il Sami Gran Prix (si potrebbe paragonare al nostro festival di Sanremo, pur se con una risonanza ben inferiore a livello nazionale). Sempre in questa settimana, in cui di solito la neve è ancora abbondante, si tengono le gare più importanti di corsa con le renne (il sabato santo a Kautokeino – la pista su un lago ghiacciato – , il giovedì santo a Karasjok). La corsa è lunga soltanto un

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chilometro, ma chi la vince diventa mitico per almeno un anno, fino all’edizione seguente.

Lo joik dei Sami, nonostante periodi di soppressione culturale, rimane un genere musicale vitale e fiorente per la sua intima connessione con la concezione sami del sé, sia nel senso dell’individuo che della collettività. Il primo tra i Sami a descrivere la propria cultura e gli joik fu Johan Turi, nato nel 1854, che nel suo libro “Muitalus sámiid birra” (Un racconto sui Sami) scrisse: “Il modo di cantare dei Sami viene chiamato joik. È l’arte di ricordare gli altri uomini. C’è chi ricorda l’odio, chi l’amore; qualcuno ricorda il dolore.”

Nel corso di questa dissertazione vedremo quali sono i motivi della longevità dello joik e le ragioni che spingono il popolo Sami a continuare a cantare joik, e sempre più in contesti pubblici. Lo joik non rappresenta una istituzione immutabile – lo sradicamento dei rituali sami che un tempo fornivano il contesto del canto smentisce qualsiasi argomento di questo tipo, come pure il folto numero di sperimentazioni musicali con il genere che si sono succedute negli ultimi trenta anni. Lo joik cosí come sperimentato e descritto dai primi viaggiatori nella regione (come gli italiani Pietro Querini e Francesco Negri e lo svedese Johan Schefferus – che però basò le sue ricerche solo su materiale bibliografico) ha terminato di esistere per molti Sami, così come il linguaggio e lo stile di vita tradizionale. Ma lo joik rimane vitale nonostante tutto, spesso servendo da simbolo della cultura sami nel suo complesso.

Da Schefferus 1673

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Celebrazione della messa Pasquale con rito protestante, a Kautokeino. Di fianco al

sacerdote, sul pulpito, un parrocchiano traduce le parole del sacerdote dal norvegese

al sami.

Bandiere norvegese e sami davanti alla chiesa di Kautokeino. La bandiera della

nazione Sami (a destra nella foto) è stata disegnata da una donna, Astrid Båhl e fu

adottata per la prima volta nel 1986 in occasione della 13° conferenza Sami in

Svezia. I colori sono quelli degli abiti tradizionali – il rosso, il blu, il verde e il giallo

– e il cerchio rappresenta il sole e la luna (blu il semicerchio della luna e rosso

quello del sole) rielaborati da uno dei simboli grafici quasi sempre presenti sugli

antichi tamburi degli sciamani.

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Alcuni momenti del Sami Gran Prix. I presentatori, in alto, una donna sami del ceppo

russo, nella foto in basso, riconoscibile dal diverso abito tradizionale

Il vincitore dell’edizione Sami Gran Prix 2007. La continua evoluzione dello joik

porta a scegliere vincitori che presentano forti contaminazioni tra la cultura sami

tradizionale e quella occidentale.

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Partenza di un concorrente durante l’annuale gara di velocità, a Kautokeino (in

alto), sotto l’occhio di due giudici. Il “fantino” con gli sci ai piedi sprona la sua

renna lungo il percorso lungo un chilometro. Sotto, una renna viene portata al blocco

di partenza.

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Competizione amichevole di joik in un pub di Kautokeino, verso le nove di sera,

entrata a pagamento. Le voci dei cantanti erano amplificate con l’uso di microfoni.

Ho effettuato la registrazione dei canti con un minidisk. Per lo più si trattava di joik

cantati da un solo performer. Alcuni da coppie di donne, di uomini o coppie miste.

Non sono stati usati strumenti musicali. In generale il clima era piuttosto bonario, il

coinvolgimento emotivo elevato e numerosi i commenti sull’abilità dei cantanti.

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Tre lavvu (il quarto in allestimento), le abitazioni tradizionali dei Sami – solitamente

ricoperte da pelli di renna – al tempo del loro nomadismo. Usati ancora oggi come

luoghi di ritrovo e ristoro. L’apertura sulla sommità serve all’uscita del fumo

proveniente dal fuoco acceso al centro del lavvu.

Ho avuto l’occasione di fare una corsa con la slitta trainata dalle renne, il mezzo di

spostamente usato prima dell’avvento delle motoslitte.

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La Lapponia

Tracciare i confini della Lapponia non è semplice. Prima che si creassero i moderni Stati nazionali (Norvegia, Svezia, Finlandia, Russia) la Lapponia era già sulle antiche carte geografiche e grossolanamente occupava tutta la parte a nord del circolo polare artico. Tra l’Ottocento e il primo Novecento, invece, non solo la regione ha subito il frazionamento dettato dalle ragioni politiche a seguito delle trasformazioni delle monarchie ma è subentrata una certa mancanza di chiarezza o comunque di omogeneità nel definire la Nazione Sami: il Parlamento Sami (che ha sede in Norvegia) la definisce come: “una nazione che vive in quattro stati diversi”. I confini dunque sono tutt’ora fluttuanti. La regione è chiamata Sapmi, che significa “la terra dei Sami”, quella terra dove i primi abitanti – cacciatori, pescatori e poi allevatori di renne – vivevano fin dall’ultima epoca glaciale. Da otto secoli gli Europei li chiamano “Lapponi” però, nel XX secolo, con la rinascita dell’identità nazionale, si è imposto l’antico vocabolo “Sami” ripreso dalla loro lingua. I Sami si definiscono anche, con orgoglio, “popolo indigeno” della Lapponia, ossia un popolo abitante in quella regione assai prima che fossero tracciati i confini nazionali.

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Una seduta sciamanica

La religione

La religione dei Sami nell’epoca più antica – quando vivevano indisturbati in perfetta armonia con la natura – era di tipo animistico e sciamanico. Si credeva che la natura avesse un’anima, e alcuni luoghi circoscritti della natura come piccole rocce, intere montagne o alberi, vuoi per la forma vuoi per eventi che si erano verificati nei paraggi, assumevano un valore sacro. In questi luoghi non sorgevano monumenti architettonici di alcuna sorta perché un popolo nomade non investe in opere durature. Questa religione non contemplava nemmeno riti di massa; per le esigenze della vita di tutti i giorni legate al successo della caccia, all’abbondanza della pesca, agli eventi della vita, della malattia e della morte era sufficiente un personaggio, il “noaide” – lo sciamano – investito di tutte le funzioni di mediazione con il mondo dell’al di là, diagnosi, pronostici, riti sacrificali quando d’obbligo. Il noaide, per esercitare le sue funzioni, doveva cadere in trance, cosa che avveniva con l’aiuto di un tamburo di forma ovale, sulla cui superficie erano disegnati gli dei della natura e gli eventi su cui interrogare le divinità. Questo tamburo veniva percosso con un oggetto a forma di T, di osso di renna, in modo da farvi rimbalzare sopra un anellino; la posizione in cui questo alla fine si fermava, in corrispondenza dei disegni, veniva interpretata dallo sciamano. Il tamburo non era però usato soltanto dallo sciamano, che talvolta, date le distanze e i tempi di percorrenza, poteva non essere disponibile nei momenti cruciali, ma anche da ogni capofamiglia; questa abitudine durò fino agli inizi del ‘700.

Nils Nilsson Skum

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Da Schefferus 1673

Il tamburo sami di mia proprietà

La forma del martello è dovuta al materiale di cui è costituito: in questo caso le

corna di renna.

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Lo joik come simbolo della identità Sami

Una delle caratteristiche prevalenti dei primi resoconti dei contatti tra individui Sami e non-Sami, è stata la segnalazione dell’uso di un genere vocale indigeno unico, lo joik. Il fascino esercitato dalla musica sami su questi primi viaggiatori va senz’altro attribuito al ruolo giocato dallo joik nelle attività di tipo sciamanico. Si trattava di pratiche molto importanti nella cultura sami prima della loro definitiva scomparsa in seguito all’intervento dei missionari cristiani. Gli iniziali presunti legami tra questo genere musicale ed esercizi “pagani” mise lo joik e coloro che lo praticavano in una luce estremamente negativa. Comunque, nonostante i numerosi tentativi da parte delle varie autorità di scoraggiare gli joik, il risultato fu che il genere scomparve solo in apparenza, mentre veniva praticato laddove si poteva considerare sicuro, da soli o per la propria famiglia. Alla fine del 19esimo secolo lo joik veniva ormai considerato moribondo.

In realtà lo joik non morì e neppure la cultura sami. Come risultato di una ricerca condotta dalla radio Svedese a metà degli anni 1950, si scoprì che il genere continuava a rimanere incredibilmente tenace sia in Norvegia che in Svezia. Non era più così diffuso come i precedenti resoconti lasciavano intuire, ma si trovarono molti anziani che sapevano cantare joik con notevole abilità. Comunque si trattava ancora principalmente di un affare privato. Addirittura molti negavano di saperlo fare: secoli di reazioni negative avevano lasciato il segno. Alla fine del 19esimo secolo si cercò di assimilare la popolazione Sami al resto della popolazione scandinava. Cambiamenti nella scolarizzazione dei bambini Sami, introdotti all’inizio del 20esimo secolo, agevolarono i contatti con i generi musicali occidentali, sia attraverso l’educazione formale che tramite l’esposizione ai media. Man mano che i giovani Sami migravano a sud verso aree urbane in cerca di lavoro, lasciavano alle spalle l’ambiente che suggeriva gli joik e il milieu culturale in grado di rinforzarne la pratica e l’interpretazione.

Il punto di svolta arrivò alla fine degli anni 1960, quando l’immigrazione verso la Scandinavia cominciò a crescere drammaticamente, spingendo il governo a considerare per la prima volta la necessità di adottare misure di protezione nei confronti di popolazioni minoritarie. Nello stesso momento i Sami cominciarono a costituire organizzazioni per difendere ed affermare i propri diritti e la propria identità. Ciò portò al riconoscimento di questo gruppo etnico come il popolo indigeno della Scandinavia settentrionale.

Oggigiorno si può dire che si inizia a respirare un nuovo contesto per gli joik, un contesto che porta il genere allo scoperto sia attraverso concerti che registrazioni commerciali. In questo senso si assiste a quello che si potrebbe considerare come uno spostamento nella funzione dello joik, da un mezzo di identificazione personale in una piccola cerchia a simbolo di identificazione di gruppo. Quasi come se lo joik “moderno” assumesse il ruolo di simbolo riassuntivo della cultura sami, come si può sperimentare nel corso dei numerosi (e movimentati) concerti pubblici e dell’effetto galvanizzante che hanno sul pubblico sami.

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Joik1

L’unica espressione musicale indigena esistente tra i Sami è il genere vocale joik. Alcuni fonti storiche menzionano anche l’esistenza di un semplice aerofono conoscito come fadnu. Si tratta di uno strumento simile all’oboe ricavato dal gambo maturo della pianta Angelica archangelica che cresce in alcune aree abitate dai Sami. L’Angelica era però per lo più una fonte di cibo per i Sami e si ritiene che il fadnu avesse più una funzione di svago che quella di un importante strumento.2 Nel suo contesto più tradizionale lo joik viene cantato senza accompagnamento, di solito da una persona sola. Molti dei resoconti storici riguardanti la pratica del canto joik, in particolar modo quelli del secolo 18esimo e dei secoli precedenti, sono legati alle descrizioni di rituali sciamanici che da soli erano di primario interesse per i viaggiatori e per tutti coloro interessati ai Sami. Come tali, alcune di queste cronache si concentrano sul comportamento dei noaidi, trascurando il contenuto e le caratteristiche del loro canto joik. Ciononostante a questi primi narratori degli joik non sfuggì un certo numero di elementi sonori caratteristici, come risulta dai loro scritti: la struttura ripetitiva dello joik, di solito con alcune brevi sezioni ripetute; l’irregolarità della frase (dal punto di vista musicale occidentale); un timbro vocale insolito che spesso comprende sia nasalità che costrizione della voce; la complessità o imprevidibilità del ritmo; un’apparente propensione per le parole o le sillabe che accentuano i suoni delle vocali in posizione finale (ad es. “la”, “lo”, “no”). Nonostante quei primi resoconti fossero minati da pregiudizi culturali, le descrizioni degli joik in essi contenuti si possono sostanzialmente considerare valide anche oggi.

Nel seguito di questo saggio illustrerò la complessità strutturale del genere joik per passare poi alla motivazione e alle funzioni degli joik nella cultura Sami.

Il flauto Fadnu

Il suono dello joik

La prima caratteristica vocale dello joik tradizionale è stata descritta come “forzata”. Ciò è dovuto a una tecnica canora che esercita tensione sulle corde vocali mentre stringe la gola risultando in un timbro che ha poco a che fare con la risonanza “di petto” o “di testa”. Il suono risulta spesso nasale e aspro rispetto all’estetica

1 Il termine Joik indica il canto tradizionale sami. In realtà si tratta di uno dei molti

modi in cui si esprime il canto sami. Gli altri sono il lavlu/laavloe (canto con parole o testo) e il vuelie (una narrazione su una persona o un evento, talvolta anche senza parole) ma sono spesso anch’essi indicati, come farò anche nel corso di questo saggio, più semplicemente con il termine “Joik”.

2 Per il suono del flauto Fadnu si ascolti l’esempio dal sito: http://www.itv.se/boreale/smusic.htm

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sonora occidentale, in particolar modo quando un individuo si spinge verso i registri più alti della sua estensione vocale. Quando un individuo è a corto di respiro, anziché smorzare il canto, è solito interrompere del tutto il flusso d’aria spingendo la lingua contro il palato e producendo un arresto secco del canto. Questa tecnica richiede una buona capacità di controllo del respiro e rende anche piuttosto faticoso cantare joik per un tempo lungo. I più anziani, se ormai corti di fiato, preferiscono smettere completamente di cantare joik piuttosto di farlo con una voce “inappropriata”. Un’altra caratteristica importante è la maniera in cui le note vengono articolate: contrariamente al bel canto che domina molta della musica europea, nello joik c’è una predilezione per lo scivolare dentro e fuori i gradi, producendo un effetto di glissando e di legato. Questa caratteristica è rafforzata dall’intromissione di singole figure di abbellimento che avvicinano sempre la nota voluta da sopra – con il risultato di una improvvisa interruzione della linea melodica, che sale e scende rapidamente.

Un altro fenomeno udibile, spesso notato da ascoltatori non familiari con il sistema musicale sami, è l’inclinazione per gli intervalli che non corrispondono alle attese degli occidentali. Ciò è evidente non solo negli intervalli che suonano un po’ “larghi” o “stretti” (sempre secondo gli standard occidentali), ma anche nell’uso occasionale di intervalli che sono spesso considerati (come sopra) particolarmente dissonanti, come il tritono. Molti cantanti joik contemporanei sono perfettamente consapevoli di questa potenziale discrepanza con gli standard musicali occidentali, e delle limitazioni che si possono incontrare quando si cerca di cantare uno joik con accompagnamento strumentale.

L’impressione generale, da una prospettiva musicale occidentale, è che si tratti di un genere in cui i gradi sono definiti in maniera piuttosto labile. Ciò influisce non solo le relazioni tra intervalli, ma l’intera struttura di uno joik, che può esibire uno spostamento di tonalità all’interno di una stessa performance. In effetti si può pensare all’influenza che la musica strumentale, prodotta con strumenti sempre più standard, ha avuto nel costituire un riferimento affidabile per la voce. Tra i Sami la musica strumentale è stata praticamente inesistene. Di conseguenza la tendenza all’uniformazione alla scala temperata occidentale non è stata particolarmente seguita. L’influenza sui Sami delle popolazioni circostanti è sempre stata significativa, ma è cresciuta particolarmente negli ultimi cinquant’anni per la natura invasiva dei mass media. Ma anche nelle più recenti manifestazioni di “fusione”, rimane negli joik odierni un inconfondibile suono che non si limita all’uso di particolari melodie o strutture ritmiche: la sua peculiarità deriva da quelle stesse qualità vocali che avevano catturato l’attenzione dei primi visitatori e che sono presenti ancora oggi. A dispetto di chi inizialmente aveva affermato che gli joik non erano che il prodotto di una cultura primitiva, essi vengono oggi riconosciuti come il contrassegno di una differenza culturale.

La struttura musicale degli joik

Una delle caratteristiche più evidenti a un osservatore esterno, oltre all’inconfondibile suono dello joik, è la sua frequente organizzazione ritmica asimmetrica, che rende spesso difficile riconoscere una pulsazione regolare (tuttavia molti joik odierni manifestano un ritmo regolare – è la diversa lunghezza delle frasi che probabilmente contribuisce alla complessità percepita da molti ascoltatori). Ad un

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più attento esame, comunque, emerge che non si tratta di un approccio casuale al ritmo, ma che esibisce una spiccata propensione per schemi ripetuti basati su gradi o sillabe accentuati, occasionalmente intercalati da pause. Poiché in molti casi sono queste apparenti anomalie a dare significato e carattere agli joik, molte trascrizioni recenti di joik hanno adottato segni di cambiamenti di tempo (es. 5/8/6/8) o misure composte (es. 3/8 + 4/8; 6/8 + 7/8).

Di seguito ho riportato uno joik del repertorio di Ingor Antte Ailu Gaup: si tratta di uno joik dedicato a una donna. Con i suoi salti vocali e la complessità ritmica, esso illustra un tipico joik senza accompagnamento della regione sami del nord (in questo caso Kautokeino, Norvegia). La trascrizione presenta tre ripetizioni di diversa lunghezza, tutte contrassegnate da una pulsazione consistente. Si noti che ciascuna viene considerate “completa” dal performer. La diversa lunghezza delle frasi è in una certa misura indicativa di caratteristiche regionali, ma fa anche parte dello stile personale del performer.

Quando si guarda alla struttura degli joik, invece di pensare alle battute è utile pensare alla melodia come a un insieme di paragrafi ritmici. La seguente melodia proviene da Kautokeino: si tratta di uno joik dedicato a Lauri Keskitalo (secondo la trascrizione di Klement A. Buljo). In questa versione si può chiaramente riscontrare un 2/8 + 3/8.

Se si divide la composizione in quattro parti, si nota che il motivo principale è quello indicato con la lettera A. Segue il motivo B che contrasta con A, quindi C è aritmicamente uguale al motivo A con una leggera variazione negli intervalli. Il quarto motivo è lo stesso B ripetuto con una piccola variazione nel primo intervallo. Il contrasto tra i motivi nella melodia serve a creare una certa tensione, ricorrendo a somiglianze e dissimilarità sia melodiche che ritmiche. Joik semplici, o joik per bambini, possono essere costituiti da due soli motivi, ad esempio AB. Nel prossimo

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esempio (secondo la trascrizione di Klement A. Buljo) troviamo solo tre note che formano un piccolo motivo A continuamente ripetuto.

Infine, il prossimo è un esempio di joik della Lapponia meridionale (secondo la trascrizione di Karl Tirén). In questo caso i contrasti si creano spostando le note del motivo a formare intervalli diversi. Il ritmo e la prima nota di ciascun motivo sono simili.

Queste che abbiamo visto sono alcune delle forme base che si ritrovano, in tutto o in parte, negli joik.

Nello joik il testo è subordinato alla melodia e al ritmo, con a volte una notevole differenza tra il modo in cui le stesse parole vengono pronunciate rispetto al parlato. Si può descrivere il processo di composizione di uno joik come una serie di passaggi a partire da una breve melodia con una particolare struttura ritmica che il cantante trova piacevole e adatta, due elementi questi di pari importanza. Man mano che lo joik evolve in un brano più lungo, alcune parole possono venire aggiunte, ma questo non è necessario affinché uno joik venga considerato completo. È la combinazione del ritmo e della melodia a costituire l’elemento più importante di uno joik, a conferire un “significato” in un modo che il testo da solo non può fare. Da questa combinazione nasce il motivo melodico che rappresenta l’unità di base della composizione dello joik. Un motivo può essere di poche note o di molte battute (in termini occidentali), e di solito uno o molti frammenti simili vengono legati insieme in qualche modo, per lo più secondo una notevole ripetizione (per esempio – come abbiamo visto – secondo schemi abac, oppure abab, abcd, dove ciascuna lettera sta per un singolo motivo, oppure i motivi possono essere combinati e permutati in modo molto più complesso). La comprensione di come uno joik sia strutturato è comunque molto difficile data la natura altamente improvvisativa di molte performances, un fenomeno che può influire non solo sulle componenti melodiche e ritmiche ma anche sul testo, se presente. In pratica un performer è libero di modificare il canto aggiungendo e sottraendo sia musica che testo, senza che questo influisca in modo drammatico sul significato della composizione (sorgenti storiche riportano invece che nel caso degli sciamani sembrava apparentemente importante per il noaidi ripetere lo joik nell’esatto modo ogni volta, in modo da garantirne l’efficacia). Un individuo che canti uno joik famoso userà essenzialmente una linea di base alla quale aggiungerà la propria interpretazione. La gamma di variazioni possibili dipende, in un certo grado, dalla regione di provenienza ma l’improvvisazione è l’elemento chiave ovunque.

Per di più la maniera di comunicare il significato di uno joik passa attraverso dettagli che è molto difficile trascrivere secondo notazioni convenzionali, ad esempio

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i gesti, la mimica, che emergono solo durante l’esecuzione dello joik. Nella stessa maniera in cui uno specifico “motivo” (o combinazione di motivi) è soggetto a una personale interpretazione e improvvisazione (spesso cambiandolo ad ogni ripetizione), è molto frequente che uno joik incominci e finisca in modo piuttosto improvviso, brusco, spesso proprio a metà frase (secondo i canoni occidentali). Questa apparente mancanza di limiti (o circolarità) costituisce un altro problema di analisi fondamentale: è difficile generalizzare sulla struttura musicale quando non possiede un punto fermo di partenza né una fine, quando non ha una intonazione o un climax che forniscano dei confini strutturali definiti. All’orecchio di un occidentale molti joik sembrano cominciare allo stesso modo; in più spesso la persona inizia a cantare con una certa esitazione prima di entrare completamente nella performance. Per un ascoltatore inesperto queste caratteristiche potenzialmente disorientanti vengono esacerbate dal modo in cui le frasi sono subordinate al respito. Piuttosto che seguire il concetto musicale occidentale di pause “discrete” per il respiro, di solito in relazione al testo, una persona canta lo joik finché non ha più l’aria sufficiente alla produzione di suoni; quindi si ferma momentaneamente per riempire i polmoni e inizia laddove aveva interrotto, a meno di non fermarsi definitivamente nel caso sia soddisfatta dello joik. In definitiva queste brusche fermate e partenze non sono di solito il risultato di decisioni coscienti del performer quanto piuttosto dipendono dal respiro. Anche questo ha contribuito, storicamente, all’incomprensione della “musicalità” dei Sami. Durante uno joik c’è la tendenza ad aumentare il tono ad ogni ripresa, man mano che l’individuo si fa coinvolgere. Accoppiato a ciò c’è una certa mancanza di dinamica, in particolare nel caso che un individuo canti per altri, situazione questa che di solito impone di cantare il più forte possibile (molto diversamente se una persona canta uno joik per se stesso, spesso con un mormorio appena percepibile). Il suono dello joik può sentirsi anche a grandi distanze, se cantato all’aperto, non diversamente dallo yodeling (con il quale è stato spesso paragonato). In effetti molti Sami raccontano che gli joik venivano usati come mezzo di comunicazione interpersonale nelle regioni montuose, per rassicurare gli animali al pascolo o anche per spaventare potenziali predatori (a questo proposito, lo joik viene ad assumere una funzione simile ai vocalizzi Scandinavi, vallåtar, associati al raduno del bestiame, nelle regioni montuose di Svezia e Norvegia). Non sorprende che la musica occidentale abbia influito anche su questi aspetti – ora si possono sentire joik con un fraseggio e una dinamica più “regolari” – specialmente nelle registrazioni commerciali;3 l’introduzione di strumenti ha inoltre posto un limite alla tendenza ad alzare la tonalità durante la performance. Questi cambiamenti restano tuttavia meno percepibili negli joik spontanei che si continuano a sentire tra i Sami.

3 Negli ultimi anni gli joik hanno subito evoluzioni impensate in abbinamento agli strumenti musicali più diversi e vengono proposti anche in versioni e rielaborazioni più affini alla sensibilità dei giovani. Ci sono così artisti di joik-jazz o di joik-rock, idoli dei concerti alla stregua dei gruppi anglosassoni. Altri sono rimasti, per così dire, classici. Mari Boine è una cantante di joik classica, molto lirica anche nei testi, ed è la più conosciuta a livello internazionale. Alcune sue composizioni sono in lingua sami, norvegese e inglese, non sempre accompagnate da musica strumentale. Tra i miei cantanti preferiti devo aggiungere il duo Adjágas e la cantante Berit Margrethe Oskal.

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I testi

Dato il ruolo minore giocato dalle parole nel dare significato agli joik, è ironico pensare che la cultura sami raggiunse per la prima volta una diffusa notorietà nell’Europa Occidentale grazie alla riproduzione della “poesia” degli joik. Nel 1673 Jahannes Shefferus pubblicò Lapponia (in latino), contenente tra le varie cose due testi joik dettati da un giovane Sami, Olof Sirma, uno studente in teologia presso l’Università di Uppsala, Svezia. Questi, “Kulnasatj, la mia piccola renna” e “Possa il sole risplendere caldo su Ekkorvattnet”, furono in seguito pubblicati in inglese (1674), tedesco (1675), francese (1678), olandese (1682) e diffusi come esempi di poesia “indigena” insolitamente bella. (Von Herder tradusse queste due poesie per includerle nel suo Stimmen der Völker in Liedern (1778-79), che di seguito inspirò Goethe nei suoi sforzi nel creare una voce poetica nazionale).

Se si ascoltano gli joik di oggi (o anche le registrazioni storiche), si fatica comunque a trovare un nesso con i testi piuttosto elaborati di Sirma o di altri Sami fino ai primi dell’Ottocento. Per la maggior parte i testi degli joik odierni sono frammentari; inoltre, spesso danno il via a una lunga serie di vocaboli costituiti per lo più di singole sillabe terminati in vocali ad esempio lai, la, lo, a, na, no, vai, ecc. Questa apparente ambiguità viene spiegata se si pensa che in origine esistevano diversi tipi di joik, di cui solo una piccola percentuale conteneva lunghi testi. Il fatto che molti testi joik appaiono incompleti o abbreviati, comunque, non significa che siano privi di significato o che abbiano una inferiore capacità comunicativa. È importante riconoscere che ciascuno joik costituisce una entità musicale in cui melodia, ritmo, testo/vocaboli tutto gioca un ruolo nel descrivere l’argomento dello joik. Al primo posto in questa struttura vi è la combinazione di melodia e ritmo che può essere sufficiente a realizzare la funzione descrittiva senza nessun contributo del testo; il testo aggiunge solo dettagli al “ritratto” musicale, in molti casi.

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Ma quale è il ruolo del linguaggio sami? Prima di tutto, essendo una lingua finno-ungherese, il sami è agglutinante, incoraggiando forme complesse con la semplice addizione o sostituzione di prefissi e suffissi a parole esistenti. Ciò rende la lingua sami potenzialmente ricca in interpretazioni, anche in presenza di ciò che appare un vocabolario piuttosto ristretto. Una sufficiente conoscenza del sami richiede dunque la consapevolezza dell’importanza del contesto nel discernere i molteplici significati di un vocabolario specifico. Di conseguenza, l’apparente brevità di molti testi di joik è in realtà un chiaro esempio dell’efficacia del linguaggio nel comunicare un messaggio con l’uso di poche parole. In linea con questa qualità strutturale si trova la decisa inclinazione tra i Sami all’uso di metafore, che rendono possibile la comunicazione simultanea di vari livelli di significato. Il testo di uno joik può per esempio descrivere la relazione tra il pastore e i suoi animali nel livello più immediato, mentre in realtà sta descrivendo il dolore per una serie di amori sfortunati. A seconda delle abilità linguistiche dell’individuo, verranno recepiti solo uno oppure entrambi i temi. È questa funzione stratificatrice del linguaggio che non solo stimola un approccio conciso al testo, ma che di fatto promuove lo sviluppo di significati nascosti. Va ripetuto comunque ancora una volta che il testo rimane subordinato alla melodia e al ritmo. Ciò risulta chiaro se si pensa che uno stesso joik può essere cantato con singoli vocaboli invece di alcune/tutte le parole senza una perdita significativa di senso. Questo fatto non implica che i vocaboli siano dei semplici sostituti del linguaggio. Molti joik fanno uso solo di sillabe prive di senso piuttosto che ricorrere a un testo convenzionale; in nessun modo essi sono considerati degeneri o meno funzionali dato che il mezzo principale di comunicazione (la melodia/ritmo) rimane intatto.

Joik epico

Esiste anche un piccolo corpo di joik, conosciuto principalmente grazie a registrazioni storiche, che si affidano al testo per esprimere il significato, riguardante spesso storie e miti o situazioni descritte nei minimi dettagli. Data la complessità dei testi, e l’evidenza di un metro regolare, si pensa che questi joik fossero molto più rigidi nella loro performance e dotati di una melodia molto più semplice come veicolo di narrazione della storia. L’esempio migliore viene da un paio di eccezionali documenti sonori di lunghi joik narrativi registrati in seno al progetto di studio degli joik da parte della Radio Svedese, nel 1953. Nils Mattias Andersson, un pastore di renne in pensione, aveva 71 anni al momento della registrazione. Come altri individui intervistati per il progetto, Nils Mattias aveva ben radicati ricordi dei tempi in cui le famiglie erano autosufficienti e in pratica interamente nomadi, uno stile di vita sami destinato all’estinzione in Scandinavia dopo la Seconda Guerra mondiale. Uno degli joik da lui cantato è conosciuto come “La mandria di renne sull’Oulavuolie” (esempio musicale 1), una narrazione complessa che cattura l’attenzione dell’ascoltatore/lettore con il suo racconto su una mandria di renne pericolosamente vicina al disastro sul grande ghiacciaio di Oulavuolie. (Il secondo joik di Andersson “Lo Joik del Prete” – esempio musicale 2 – racconta l’incontro di culture, simbolizzato dalla visita di un pastore Luterano a una famiglia Sami. Quest’ultima dimostra un notevole grado di compassione e comprensione per il suo ospite, dando una visione molto più benevola del clero di quella che emerge negli scritti di quest’ultimo nei confronti dei parrocchiani Sami). Lo joik di Andersson è un ottimo esempio dell’uso sottile dell’allegoria e della metafora per descrivere contemporaneamente le sue perdite

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personali e la decadenza della propria cultura – la voce dell’uomo spesso è rotta dall’emozione durante la performance. La componente musicale, comunque, sconfina nella monotonia, essendo subordinata, in questo caso, alla comunicazione di un messaggio profondamente orientato sul testo. L’ambito è ristretto per lo più a una terza minore, con molte frasi/motivi che ripetono solo due note. Ritmicamente, è ancora il testo a guidare la struttura, con un notevole approccio sillabico/recitativo. Ma l’aspetto forse più intrigante di questi due joik è il fatto che fossero spontaneamente improvvisati, un risultato che Andersson non riuscì più a ripetere nonostante diversi tentativi. Essi non differiscono in modo significativo dagli altri joik nella sottintesa motivazione di trasmettere una risposta emotiva a una esperienza percepita e ricordata. Nondimeno, essi rappresentano una registrazione unica di quello che viene ora considerato come un tipo di joik perduto, trovando il loro posto tra le raccolte storiche di simili testi dallo stile epico.

Lo joik come uno strumento musicale descrittivo

Nonostante esistano distinti stili “regionali” del canto joik (tra nord e sud Lapponia, ad esempio) e addirittura differenze di stile locale (ad esempio tra la città di Kautokeino e quella di Karasjok), ciò che accomuna queste aree è la funzione descrittiva del genere: uno joik ha sempre un soggetto; non è mai semplicemente una melodia senza riferimento a qualcosa vicino all’ambiente o all’esperienza del cantante. Attraverso una miriade di combinazioni di ritmo, di frammenti melodici o di tempo, testo, perfino di gesti, la creazione di uno joik cerca di catturare l’essenza di un soggetto animale, umano, o di qualsiasi altra entità. Questo aspetto del genere joik è fondamentale per la cultura sami, non solo come mezzo di intrattenimento (pure se questo ne fa parte essenziale) ma nella maniera in cui tali “descrizioni” servono a creare legami tra gli individui all’interno di una particolare concezione di comunità.

Nils Nilsson Skum

Joik personali, sulle renne, e altri soggetti

Ci sono diverse varietà di tipi e soggetti negli joik. Il tipo più diffuso è lo joik personale che rivela un ritratto musicale accurato di un certo individuo. Data l’abbondanza di questo tipo di joik, a molti osservatori esterni risulta strano che non

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tutti i Sami abbiano uno joik personale, e che i Sami neppure si aspettino di averne uno nel corso della propria vita. Tuttavia, l’avere uno joik personale rimane un elemento importante nella costruzione dell’identità dell’individuo presso numerose comunità Sami. Una persona “riceve” questo tipo di joik da un’altra piuttosto che crearne uno per se stesso; così come non canterà il proprio joik – ciò rimarrà sempre responsabilità di altri. Spesso uno joik personale include un tocco di umorismo ed ironia, perfettamente in linea con la predilezione dei Sami per la sottile presa in giro e il gioco di parole. Il principio è lo stesso per chiunque: lo joik deve catturare la personalità dell’individuo e/o le sue caratteristiche fisiche attraverso una descrizione musicale. Più che cercare di tratteggiare un ritratto completo, uno joik personale cerca di cogliere una certa particolarità del comportamento o delle caratteristiche fisiche. Un buono joik personale descrive fedelmente alcuni dettagli di un altro individuo e contemporaneamente rivela una intima conoscenza del carattere di questo individuo, della sua apparenza e della sua personalità. Possedere uno joik personale va al di là del semplice riconoscimento – questo tipo di joik serve frequentemente a situare un individuo in una esatta posizione all’interno della comunità Sami. Da una parte creare uno joik per qualcuno o qualcosa testimonia un legame intimo con il soggetto, dall’altra ricevere uno joik significa vedere riconosciuto il proprio valore da parte di chi compone lo joik. Per rinforzare questa relazione, a uno joik viene sempre dato il nome del soggetto, mai dell’individuo che crea lo joik. Una volta che uno joik è stato creato per un individuo, quella specifica composizione continuerà a identificare il soggetto anche per gli altri ogni volta che verrà udito, non importa che l’individuo sia presente o meno. Questo joik potrà anche subire modifiche nel tempo, riflettendo i cambiamenti del carattere dell’individuo nel tempo, coinvolgendo dunque anche altri nel processo di evoluzione di quel particolare joik e rinforzando la posizione del dedicatario nella comunità. Per via dell’intima natura degli joik personali, può succedere che una persona riceva più di uno joik. Un individuo di una certa levatura può per esempio attrarre questo tipo di omaggio da altri, specialmente se possiede doti degne di nota – ciascuno joik potrebbe, per esempio, rappresentare un certo aspetto della vita di questa persona. Comunque non sono solo persone ad essere oggetto di joik, ma per esempio anche emozioni e relazioni tra persone. Ci sono molti joik dedicati all’amore, alla gioia, al dolore mentre altri trattano di argomenti quali il corteggiamento o le separazioni.

Gli esseri umani non sono gli unici soggetti degli joik. Data l’importanza dell’ambiente per quei Sami ancora legati al pascolo delle renne e ad altri stili di vita tradizionali, non sorprende che molti joik riguardino gli altri abitanti delle foreste: montagne, fiumi, laghi della terra dei Sami. Tra gli animali, quelli più descritti sono le renne, a testimonianza del valore che questo animale ha nel seno della cultura sami.

Non tutti i soggetti sono viventi, anche se la loro caratterizzazione può assumere connotati antropomorfi. Ad esempio luoghi, oggetti, eventi – in ogni caso i soggetti riflettono un significato per l’individuo che li canta, infondendo sentimenti molto personali piuttosto che semplici commenti sulle caratteristiche fisiche, per esempio, di un certo luogo. Uno joik può anche riguardare una città o un villaggio. Addirittura in anni recenti si sono composti joik riguardanti i nuovi compagni di lavoro dei Sami: le moto da neve. Esistono anche joik che descrivono eventi storici: uno degli esempi meglio conosciuti è uno joik che commemora il massacro di Kautokeino del 1852, in cui molti non-Sami furono uccisi, durante una protesta, dai Sami. Come nel caso degli joik personali, la descrizione musicale vuole comunicare delle emozioni profonde piuttosto che un semplice elenco di fatti.

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Non è insolito che la prima reazione al potenziale descrittivo dello Joik Sami sia pregiudicata dalla nostra cultura. Invece, per esempio, di un’orchestra ci troviamo di fronte ad una singola voce umana e a una serie di brevi motivi melodici ripetuti, con o senza testo. Questi pochi elementi si combinano per produrre un convincente ritratto di ciò che viene cantato – processo che richiede delle lenti culturali specifiche per essere pienamente apprezzato. Nella comunità Sami coloro che partecipano ad uno joik, sia come creatori dello joik che come ascoltatori, al di là di possibili differenze di stile o dialetti condividono la stessa ideologia sottostante: ciò spiega la fondamentale capacità descrittiva del genere e supera le ovvie differenze. È solo tale assunzione culturale che rende possibile discutere dello joik come l’entità musicale che rappresenta la cultura sami nel suo complesso.

BIBLIOGRAFIA

Jojk, Matts Arnberg, Israel Ruong, Håkan Unsgaard, Sveriges Radios förlag, 1997.

Trollstilt, Bjørn Aksdal, Klemet Anders Buljo, Andreas Fliflet, Anton Løkken, Lærebok i tradisjonsmusikk, Gyldendal, 1998.

Iter lapponicum, Ada Grilli Bonini, Leading Edizioni, 2000.

As long as we continue to joik, we’ll remember who we are, Richard W. Jones-Bamman, University of Washington, dissertation, 1993.

Novembre 2008