Storia d'Europa nel XIX secolo

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STORIA DELL’EUROPA NEL XIX SECOLO LA POLITICA DEGLI STATI. CONFLITTI E SOCIETA’. SUNTI E BREVE STORIA DELLE NAZIONI EUROPEE DALL’INIZIO DELL’OTTOCENTO FINO AGLI ANNI SETTANTA. Materiale proveniente dall’analisi di manuali di storia moderna. 2012 PIERPAOLO CETERA Centro Studi Tirsenide 15/09/2012

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Breve ricognizione di storia europea nell'ottocento

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STORIA DELL’EUROPA NEL XIX SECOLO LA POLITICA DEGLI STATI. CONFLITTI E SOCIETA’. SUNTI E BREVE STORIA DELLE NAZIONI EUROPEE DALL’INIZIO DELL’OTTOCENTO FINO AGLI ANNI SETTANTA. Materiale proveniente dall’analisi di manuali di storia moderna.

2012

PIERPAOLO CETERA Centro Studi Tirsenide

15/09/2012

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Storia d’Europa

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Excursus 1815-1860

Parte prima. La Restaurazione.

Paradosso politico: la coalizione antifrancese era costituita dal paese più avanzato

(Inghilterra) e dal paese più reazionario e arretrato (la Russia). Lo Zar russo mirava a

conservare lo status quo sociale e politico dell’Europa, gli Inglesi vollero impedire

un’egemonia francese sul continente.

Congresso di Vienna:

La Francia di Luigi XVIII: riduzioni territoriali, pagamenti di indennità, politica di

riappacificazione (Talleyrand)

Prussia di Federico Gugliemo III di Hohenzollern: raddoppia il territorio.

Austria di Francesco I d’Asburgo: egemonia sugli stati germanici meridionali, sull’Italia del

nord-est e sui Balcani.

Russia di Alessandro I Romanoff: notevoli annessioni territoriali.

Inghilterra di Giorgio III di Hannover: egemonia mercantile.

Spagna: restaurazione del re Ferdinando VII di Borbone.

Paesi Bassi: Guglielmo I d’Orange.

L’Italia era suddivisa in:

Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco

Trentino-Trieste e Istria annessi all’Impero Austria-Ungheria (AU)

Ducato di Parma-Piacenza sotto l’austriaca Maria Luisa d’Asburgo

Ducato di Massa e Carrara all’austriaca Maria Beatrice d’Este

Ducato di Modena - Reggio Emilia all’austriaco Francesco IV d’Asburgo- Este

Granducato di Toscana all’austriaco Ferdinando III d’Asburgo-Lorena

Stato Pontificio (papa Pio VII)

Regno delle Due Sicilie a Ferdinando I

Regno di Sardegna e Piemonte a Vittorio emanuele I di Savoia.

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Tutta la coalizione fu unificata nella Quadruplice Alleanza : Inghilterra, Prussia,

Austria-Ungheria e Francia.

La Francia.

Il re Luigi XVIII apparteneva alla corrente moderata della reazione, sua è la “Charte Octroyée” che stabiliva la forma del controllo politico del paese.

Il Parlamento era suddiviso in Camera dei Pari (eletti dal Re) e Camera dei Deputati ( eletti su suffragio a base ristretta). La lotta politica era determinata da gruppo degli “Ultras” (ultras royalistes, estrema destra monarchica), dai “costituzionali” (alta-borghesia) e dagli “indipendenti” (borghesia e intellettuali).

L’Italia.

Nel Lombardo-veneto, sotto totale controllo militare austriaco, vi era una borghesia illuminata e intellettuali inclini a un forte nazionalismo “italiano” e di sentimenti antiaustriaci. “Il Conciliatore” fu la rivista portatrice di nuove idealità romantiche e nazionali. Già nel 1818 le società segrete antiaustriache costituivano una forte opposizione, capace di aggregare molti proto-patrioti. Lo stato piemontese era rigidamente reazionario. Lo stato toscano rappresentava la corrente moderata della Restaurazione. Lo stato pontificio promuove alcune riforme ma conservava una politica arretrata e poliziesca. Nel Regno delle Due Sicilie vi furono alcuni tentativi di riforme contrastate dai gruppi baronali siciliani ultraconservatori; sul versante degli oppositori vi fu un notevole impulso delle società segrete come la Carboneria.

(fonte M. L. Salvadori)

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Italia 1831-46

Rinnovamento delle forze progressiste: le correnti mazziniane e i moderati.

Scopo della Giovine Italia di Mazzini era la “Rivoluzione Nazionale”.

L’organizzazione doveva portare all’unificazione dell’Italia sotto un sistema repubblicano

fondato sulla libertà, eguaglianza, umanità, indipendenza e Unità.

L’associazione era caratterizzata dall’omogeneità dei suoi membri, dalla pubblica

diffusione del programma politico e dall’ideale repubblicano (imprescindibile).

L’Unità politica e spirituale della nazione: obiettivo raggiungibile grazie all’insurrezione

contro i governanti della reazione e l’educazione basata sulla missione di civilizzazione

dell’Italia.

A fondamento filosofico delle tesi mazziniane era l’inscindibilità fra pensiero e azione. La

bandiera della Giovine Italia era il tricolore.

L’insurrezione in un primo momento fu concepita come attuabile dal popolo oppresso

(sono evidenti le influenze del rivoluzionario Buonarroti); in un secondo momento

prevalse l’idea di un fronte ampio che comprendesse tutti quelli che condividevano le idee

mazziniane di unità nazionale. Essendo la questione nazionale prioritaria e quella sociale

secondaria Mazzini criticava “il socialismo e il comunismo”, condividendone solo gli

aspetti di critica dell’ordine costituito.

La legge dell’umanità è data da Dio, concepito come forza immanente e principio etico

superiore; è una legge che regola il rapporto tra la nazione italiana e l’umanità stessa. La

missione attribuita all’Italia era la creazione della terza Roma, dopo quella imperiale e

papale.

Una società come quella italiana, prevalentemente contadina, non accettava questo

movimentismo quasi misticheggiante e “razionalista”, perché si allontanava dalle reali

istanze delle masse, poste tra l’incudine e il martello dell’oppressione del latifondismo

aristocratico e la depauperizzazione delle economie agrarie che creavano più volte carestie

e disfunzioni della distribuzione e produzione delle derrate alimentari.

I moderati. Gioberti e Balbo.

Scopo dell’ideologia liberale moderata era quella di creare una forte unità delle forze

liberali dell’aristocrazia e della borghesia, in modo da far pressione sui governi al fine di

creare un clima favorevole al riformismo debole (eludendo così qualunque questione di

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riforme di tipo sociali o delle architetture politiche). Isolare gli elementi reazionari, gli

ideologi della “Chiesa e aristocrazia” contrari ai progressi della grande borghesia

imprenditoriale. Opporsi energicamente alle istanze radicali e “giacobine” del movimento

repubblicano (mazziniani) e democratico (socialisti).

Le polemiche contro la rivoluzione francese e la rivalutazione del riformismo

settecentesco costituirono il background culturale di ogni moderato. Un'altra direzione

era la riconciliazione fra liberalismo e cattolicesimo, intesa come sintesi fra tradizione e

innovazione politica. A partire dalla metà degli anni trenta importanti riviste culturali

come “Il Conciliatore” e l’”Antologia” fecero da cassa di risonanza delle idee moderate. I

congressi degli scienziati, tenutesi a Pisa (1839-47), furono importanti anche per le loro

discussioni sulle questioni fondamentali del progresso scientifico, per la diffusione di

nuove idee (positivismo), di nuove teorie economiche e nuove tecniche. Alessandro

Manzoni, nume tutelare del moderatismo politico-religioso, fu l’intellettuale che diede

contributi al cattolicesimo liberale. Antonio Rosmini considerava importante la

democratizzazione della gerarchia ecclesiastica. Bettino Ricasoli chiedeva la separazione,

nella reciproca autonomia, della Chiesa dallo Stato. Colui che attuò con i suoi scritti la

sintesi del moderatismo politico col liberalismo sociale fu Gioberti (Del primato morale e

civile degli Italiani, 1843): due erano i principi di questa sintesi, la confederazione degli Stati

Italiani sotto l’autorità morale del Papa e l’antirepubblicanesimo.

Per Balbo il futuro politico dell’Italia doveva essere la confederazione degli stati con

egemonia del Piemonte: quindi il moderatismo aveva fiducia nella monarchia sabauda. A

differenza di Gioberti, Balbo non si poneva la questione della Chiesa.

Nel suo esilio volontario a Parigi Vincenzo Gioberti revisionò alcune sue posizioni

precedenti e con realismo si orientava verso un’idea più sociale e nazionale della questione

italiana (Del rinnovamento civile d’Italia, 1851).

L’Inghilterra.

Governo reazionario dei Tories (il blocco conservatore fra aristocratici, grandi proprietari

terrieri e clero anglicano). L’opposizione era rappresentata dai liberali Whigs . La

monarchia di Giorgio IV, monarca di idee conservatrici, fu al centro di una politica

fortemente repressiva. Importante fu, invece, la sua azione politica a favore dei cattolici.

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La rivoluzione industriale in Inghilterra.

Dal modello interpretativo di D. S. Landes (volume pubblicato in italiano presso l’editore Einaudi,

Torino).

1) Sostituzione delle macchine all’abilità e alla fatica umana

2) Sostituzione di fonti di energie all’utilizzo di animali per il lavoro (macchine per la

conversione del calore in lavoro).

3) L’uso di materie prime minerali

Nel Lancashire -nel 1760- venivano importati 2,5 milioni di libbre di cotone grezzo poi

lavorato in decine di botteghe di maestri tessitori. Nel 1787 il consumo di cotone grezzo

passò a ventidue milioni di libbre e tutto il processo di pulitura, cardatura e filatura era

svolto da macchine idrauliche o azionate a mano. Mezzo secolo dopo venivano lavorate

366 milioni di libbre e tutto il processo lavorativo avveniva in fabbrica. La manifattura del

cotone divenne la più importante del regno per valore di prodotto capitale investito e

numero di addetti.

In genere per un cambiamento è necessario che a) sia opportuno la trasformazione a

causa della levitazione dei costi dovuti all’inefficienza delle tecniche esistenti, b) una

superiorità tale per cui i nuovi metodi siano tanto redditizi da giustificare il costo del

cambiamento.

A differenza del vecchio imprenditore il nuovo era prigioniero del suo investimento: la

flessibilità del pre-capitalismo significò la possibilità di arrestare la produzione in epoche

di crisi, mentre ora il capitale investito veniva immesso in un ciclo e quindi essere di

produttivo o assorbito erano le uniche possibilità che esistevano.

Per l’operaio “la fabbrica era un nuovo genere di prigione e l’orologio un nuovo genere di

carceriere”.

La bottega artigianale, sviluppatasi durante il medioevo, con i suoi apprendisti e maestri

venne trasformata nel momento in cui il mercato si espanse e nacque la figura

dell’intermediario che vendeva i prodotti finiti sui mercati più lontani e redditizi. Ma ha

causa della manodopera a basso costo concentrata nelle zone rurali, l’intermediario-

mercante cercò di sfruttare questa possibilità, creando così una industria rurale priva di

tutte quelle regolamentazioni che caratterizzava l’industria corporativa urbana. Il mercante

comprava il prodotto grezzo, lo faceva lavorare al contadino o alla sua famiglia per poi

rivenderlo, con forti profitti, sulle piazze delle città a prezzi concorrenziali.

Industria urbana: corporativa e limitata nell’entroterra

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“ rurale: libertà di adattamento e mercati interregionali ed internazionali.

L’industria inglese era caratterizzata da una libertà di adattamento e innovazione e da uno

spirito di iniziativa unici in Europa: oltre a questi caratteri sociali non bisogna dimenticare

che nei decenni dell’industrializzazione non ci sono stati conflitti o guerre rilevanti, ma

anche che l’Inghilterra era un mercato unico e omogeneo, privo di frazionismo doganale

che caratterizzava altre regioni europee. Lo sviluppo delle vie di comunicazioni (strade,

canali di navigazioni e vie commerciali) fu così rapito ed efficace che non ha paragoni con

altri.

È di questo periodo anche la trasformazione del tessuto urbano: le città da semplice

centro burocratico-religioso medievale diviene centro commerciale e nevralgico

dell’economia.

Il mercato interno dei manufatti era in aumento a causa del miglioramento delle

condizioni di vita (reddito, consumo e igiene), del progredire delle tecniche e vie di

comunicazioni e del modello di vendita caratterizzato da prezzo fisso, prodotto

standardizzato e mancanza di leggi che limitano il consumo (leggi suntuarie).

La standardizzazione del prodotto significa “… porre il profitto al di sopra dell’orgoglio e

anche delle parvenze di orgoglio artigiano, implica un certo distacco del produttore, un

orientamento più al mercato che alla bottega”.

Per l’industria laniera è possibile tracciare le incidenze delle importazioni e delle

esportazioni sul totale della produzione: agli inizi (del XVIII secolo) l’export era del 30 %

poi nel 1770-80 era circa della metà, quindi si deduce che lo sviluppo principale

dell’industria laniera era dovuto all’esportazione.

Non si può certamente attribuire all’esportazione il principale motore di sviluppo

rivoluzionario dell’economia “ma le impennate della domanda estera imponevano

subitanei e pesanti fardelli al sistema produttivo, spingevano l’impresa in una situazione di

costi rapidamente ascendenti, e accrescevano l’incentivo ai cambiamenti tecnologici”.

In conclusione fu la pressione della domanda sui modi di produzione a suscitare le nuove

tecniche e l’offerta abbondante e reattiva dei fattori produttivi a permettere che ci fosse

un rapido sfruttamento e diffusione delle stesse tecniche.

“Soltanto con la trasformazione della tecniche di filatura e tessitura di stoffe a buon

mercato fu varcata la soglia della RIVOLUZIONE. La prima a varcare fu la manifattura

del cotone. Perché il cotone? Si penserebbe che a fare il passo dovesse essere l’industria

laniera, di gran lunga la più importante a quel tempo, per numero di addetti, per capitali

investiti e per valore di prodotto …

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Per molto tempo si è usato spiegare quest’ apparente paradosso negandolo, ossia

affermando che fu appunto per il fatto di essere nuova e quindi libera dalle restrizioni

tradizionali sulla scala e il carattere della produzione, che l’industria cotoniera fu in grado

di adottare nuove tecniche. L’argomento non regge all’esame. In Inghilterra –che è il

paese che conta per ciò che qui ci interessa- l’ampio sviluppo dell’industria a domicilio

nelle regioni occidentali e nell’Anglia orientale, e il sorgere di drappieri indipendenti nello

Yorkshire, avevano liberato da un pezzo il grosso della manifattura laniera dai controlli

corporativi. Se mai, nella misura in cui le restrizioni legali entraro-no in gioco, esse

favorivano l’industria più vecchia sulla quale si era fondata la prosperità economica del

paese

… cosa anche più importante, il cotone dal punto di vista tecnologico si prestava meglio

della lana alla meccanizzazione. È una fibra vegetale, resistente e di caratteristiche

relativamente omogenee” (pag. 108-110).

Le invenzioni più importanti per il miglioramento tecnologico e per la trasformazione

meccanica:

- Macchina cardatrice di Paul (1750)

- Giannetta, invenzione di James Hardgreaves, consentiva la filatura di più fili (1765-

1770).

- Filatoio idraulico (o telaio ad acqua) di Richard Arkwright (1769), un filatoio azionato da

una ruota idraulica.

- Mula (1779)

- Telaio meccanico di Edmund Cartwright (1785-87).

Sviluppo dell’industria metallurgica.

1) “ La metallurgia è un processo chimico: il problema è di ridurre il minerale che è

ferro in forma composita, a un metallo di conveniente purezza … qualunque

combustibile contiene sostanze diverse dal carbonio che sono dannose per il

prodotto finale” (pag. 118). Nel 1709 in una circostanza fortuita si ottenne un

prodotto discreto ma solo con continue ricerche di metodi empirici si raggiunsero

livelli che permisero la commercializzazione del ferro (con l’uso degli Altiforni

Coke).

2) Per un problema tecnico c’era bisogno di diversi tipi di carbone nel processo di

produzione metallurgica. “Ma le differenze di qualità comportavano differenze di

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costo, e specialmente nell’ottocento la distribuzione del carbone da coke … fu

fattore cruciale per l’ubicazione e la competitività delle imprese metallurgiche”

(pag. 120).

“Il motivo conduttore della tecnologia del vapore fu lo sforzo di accrescere l’efficienza,

ossia la quantità di lavoro compiuto per unità di energia assorbita. A paragone l’obiettivo

di una maggior potenza, ossia maggior quantità di lavoro per unità di tempo veniva al

secondo posto, anche se i due obiettivi erano collegati, e ciò che giovava all’uno

consentiva o produceva l’altro.

Questa ricerca di economia e potenza del combustibile, come altri motivi di avanza-

mento tecnologico, ebbe la sua moltitudine di piccoli e spesso anonimi progressi: migliori

materiali, tolleranza più ristrette, introduzione di valvole di sicurezza e di manometri,

individuazione del carbone più adatto per la produzione del vapore, raccolta di dati precisi

sul rendimento delle macchine in differenti condizioni. Ma fu punteggiata altresì da grandi

balzi in avanti ciascuno contrassegnato da una innovazione critica che ampliò

sostanzialmente l’ambito di applicazione commerciale del vapore” (pag. 133).

Macchine

MACCHINA DI NEWCOMEN (1705): “ … IN ESSA LA POMPA era separata dal

cilindro che riceveva il vapore. Il vuoto prodotto dalla condensazione era utilizzato per

richiamare l’acqua, ma per azionare un pistone collegato all’estremità di una traversa

capace di movimento alternato, l’altra estremità della quale, alzandosi e abbassandosi

azionava l’asta della pompa per l’acqua. Si noti che il vapore non serviva a muovere il

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pistone, ma soltanto a creare il vuoto; la normale pressione dell’aria forniva la forza che

spingeva il pistone verso il basso, a contrappeso della pompa facente capo all’altra

estremità della traversa” (pag. 134).

L’INDUSTRIA CHIMICA

L’evoluzione dell’industria chimica nel periodo della rivoluzione industriale fu graduale

ma costante e rese possibili molte trasformazioni e nascite di prodotti d’uso più o meno

comune. Le linee di massima per cui si svolsero dell’innovazioni fondamentali furono:

1) Sostituzione di materie prime vegetali a quelle animali.

2) Utilizzo di sostanze inorganiche al posto di quelle organiche.

3) Utilizzazione dei sottoprodotti di ogni reazione (chimica) per produrre altre

reazioni che fornivano composti utili.

4) Miglioramenti degli strumenti e delle attrezzature dell’industria: vasche, forni,

miscelatori e simili in modo da consentire una lavorazione più rapida e sicura di

maggior quantità di materiali.

Osservazioni finali.

La tesi classica di Karl Marx sulla trasformazione sociale avvenuta nella rivoluzione

industriale, dovuta all’esproprio e allo sradicamento del contadino della campagna alla

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città a causa delle leggi sull’ENCLOSEMENT (le recinzioni dei terreni coltivabili) è

dimostrata infondata per le ricerche successive sulla mobilità e sullo sviluppo demo-

grafico della popolazione extraurbana.

“La scarsezza della manodopera sembra incoraggiare un approfondimento di capitale

nell’Inghilterra settecentesca; mentre l’offerta più abbondante ne facilitò l’allargamento

nei decenni successivi” (pag. 156).

“ … industrializzazione e urbanizzazione portarono a una specializzazione sempre più

accentuata del lavoro e alla decomposizione della versatilità domestica” (pag. 158).

Si può affermare che la prima fase della rivoluzione industriale era caratterizzata da un

sistema di fabbrica che era in realtà “l’ultima di una serie di fasi ascendenti

dell’organizzazione industriale, cominciata con la bottega artigianale e passata attraverso

l’industria a domicilio” e non un CATACLISMA come pensarono i contemporanei.

“Il censimento del 1851 – nonostante tutte le sue inesattezze- mostra un paese in cui

l’agricoltura e il servizio domestico erano le occupazioni di gran lunga più importanti, in

cui la maggior parte delle forze di lavoro erano occupate in industrie vecchio tipo:

costruzioni edili, sartoria, calzoleria, lavori non specializzati di ogni genere. Nella stessa

industria cotoniera, in cui più di tre quinti degli altri cinquecentomila lavoratori (su un

totale di 16 milioni) erano occupati nelle fabbriche, quasi due terzi delle unità registrate

avevano meno di 50 dipendenti, la fabbrica media in Inghilterra ne contava 200 e decine

di migliaia di telai a mano erano ancora in funzione nelle case rurali” (pag. 159).

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Le turbolenze dopo la restaurazione.

I moti del 1820-21 in Spagna e in Italia

I militari della “Lega dei Comuneros” si rivoltarono contro la monarchia, ripristinarono la

Costituzione del 1812 e posero la superiorità delle Cortes (il Parlamento spagnolo)

rispetto a qualsiasi altra autorità. Vi fu la guerra civile tra gli esaltados ( i rivoluzionari

democratici) e i conservatori filo monarchici.

In Italia l’insurrezione antiborbonica e antiaustriaca sfociò nell’istituzione della Carta

Costituzionale, il potere passo nelle mani della coalizione moderata “murattiana” e

carbonara (democratici e radicali).

L’Austria convoca la Quadruplice Alleanza per intervenire manu militari contro i

rivoluzionari. Vi fu anche il tradimento di Ferdinando I che, facendosi garante della

costituzione al congresso della Quadruplice, in un secondo momento rinnegò il

cambiamento.

In Piemonte la rivoluzione prese piede: la reggenza passò a Carlo Alberto, mentre

Vittorio Emanuele I abdicò in favore di Carlo Felice. L’esercito costituzionale venne

sconfitto dagli austriaci. Nel Regno delle due Sicilie il contrasto tra murattiani e carbonari

sfasciò il fronte rivoluzionario e gli Austriaci invasero i territori borbonici giungendo fino

a Napoli.

In Spagna, la radicalizzazione delle Cortes in senso democratico portò al rafforzamento

del fronte reazionario, quest’ultimo appoggiato dalla Francia (il cui governo era in mano

agli ultras monarchici). I comuneros furono sconfitti nel 1823, e fu restaurata la

monarchia ultras di Ferdinando VII di Borbone.

Nel dicembre 1825 la Russia fu investita dall’onda rivoluzionaria dei decabristi, una società

rivoluzionaria politicamente vicina ai liberali, favorevoli all’instaurazione di una monarchia

costituzionale o di una repubblica. I moti furono repressi violentemente dal nuovo zar

Nicola I Romanoff.

Nel 1829 la Grecia divenne indipendente dall’Impero Turco-Ottomano grazie alla guerra

dei francesi, russi e inglesi contro gli Arabi e Turchi.

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I MOTI DEL 1830-1831.

Con questi nuovi moti rivoluzionari in varie parti d’Europa si vennero a creare due

modelli di riferimento per le analisi delle politiche nazionali, idee-guida che avevano come

scopo precipuo lo svincolarsi dalla ferrea Restaurazione pura e semplice così come era

stata concepita a Vienna.

1) Il modello liberale-borghese (Francia e Inghilterra)

2) Il modello conservatore-aristocratico (Prussia, Austria e Russia)

Essere favorevole o contrario a questi modelli spiega l’andamento rivoluzionario e

controrivoluzionario della storia europea per la sua prima meta del secolo XIX.

La vittoria della borghesia produsse una radicalizzazione della democrazia su istanze

sociali e lo sviluppo del “socialismo-comunismo” comportava l’affacciarsi di un nuovo

elemento sulla scena della storia: le masse. Elemento di tensione nei confronti dei regimi,

ma anche per le sette segrete e i gruppi elitari, le masse iniziarono a pesare sulle scelte

degli ideali ( e delle ideologie) dei movimenti politici.

Possiamo datare nella crisi economica del 1825-26 le origini di questi nuovi elementi.

La Francia: dalla Restaurazione alla monarchia liberale.

La presa del potere da parte dei gruppi Ultras nel 1821, con il governo Villéle, ebbe come

contrapposto la formazione di un gruppo compatto antiborbonico, formato da liberali,

monarchici, radicali democratici e proto-socialisti). Nel 1824 salì al trono Carlo X e

instaurò de facto un regime antiliberale (leggi del 1825). Ma le nuove elezioni del ’27

cambiarono lo scenario: la vittoria dei liberali, gabinetto Martignac, e i successi nella

politica coloniale rafforzarono il fronte interno antidinastico. Venne tentato il colpo di

mano con lo scioglimento delle Camere e indette le nuove elezioni, ma il fatto clamoroso

fu il tentativo di Colpo di Stato di Polignac, capo della fazione degli Ultras, appoggiato da

Carlo X. Le leggi antiborghesi del 25 luglio 1830 fecero scoppiare la rivoluzione: il 27, 28

e 29 luglio iniziarono le proteste di massa, il re fu costretto a fuggire e venne eletto Luigi

Filippo d’Orleans nuovo monarca costituzionale.

Le ripercussioni.

Il 25 agosto 1830 vi fu l’insurrezione a Bruxelles contro l’egemonia olandese sul Belgio.

Venne istituita una costituzione liberale a suffragio maschile allargato, con monarca

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Leopoldo di Sassonia. Il 29 novembre un’analoga insurrezione investì Varsavia, una

rivolta contro l’egemonia russa, ma anche in solidarietà con i belgi insorti: era probabile

che i soldati dello zar presenti sul territorio polacco potessero essere utilizzati per

reprimere le istanze belghe. Nel gennaio 1831 la Polonia proclamò la sua indipendenza e

sovranità: gli ufficiali polacchi si associarono con l’aristocrazia antizarista, separandosi

dalle masse “socialisteggianti”. La repressione zarista non tardò a manifestarsi e proseguì

fino alla caduta di Varsavia (settembre 1831), roccaforte dei patrioti.

I moti del 1830-31 in Italia.

Francesco IV d’Asburgo-Este, duca di Modena e Reggio Emilia, mirando all’egemonia di

uno Stato dell’Alta Italia, tentò un’azione contro il Papato con i congiurati e rivoluzionari

guidati dal patriota modenese Ciro Menotti. Gli eventi francesi del luglio ’30 portarono a

un rovesciamento di fronte da parte dell’Estense. Menotti tentò lo stesso la rivolta

durante la transizione da Pio VIII a Gregorio XVI, ma le truppe del duca impedirono

ogni azione con arresti e deportazioni. L’ambiguo ruolo di Francesco rientrava in quella

casistica di sovrani più ambiziosi che patrioti. Anche se bloccata sul nascere la propaganda

dei patrioti antipapali raggiunse Bologna che, insorta, proclamò un governo moderato,

guidato provvisoriamente da elementi aristocratici. I tentativi di coinvolgere Roma nella

rivolta fallirono a causa della titubanza del governo bolognese. Gli austriaci ebbero così

facile manovra reprimendo nel marzo 1831 il moto.

Ripercussioni in Germania, Svizzera e penisola Iberica.

In Germania vi furono riforme in Sassonia. Fu spodestato il sovrano di Brunswick.

Numerose manifestazioni liberali si svolsero in città tedesche-meridionali e rivolte

studenteschi vi furono a Francoforte. La Svizzera fu al centro di un movimento che

spingeva su riforme in senso liberale in numerosi cantoni.

La Spagna, con la morte di Ferdinando VII (1833), fu sull’orlo di una guerra civile. I

seguaci di Don Carlos, fratello di Ferdinando, ultraconservatore, provocarono numerosi

incidenti contro i seguaci di Maria Cristina, la moglie del defunto re, di tendenze liberali.

Una situazione simile era presente in Portogallo tra i seguaci di Maria di Portogallo, di

sentimenti liberali e il pretendente al trono Don Miguel, reazionario.

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L’Inghilterra fino a 1832.

La grande riforma

La situazione politica della potenza inglese era legata alla forma del controllo sulla “cosa

pubblica”, un controllo plutocratico cioè la ricchezza era l’elemento che determinava la

posizione e la carica politica. La politica dei tories fu sostanzialmente una politica

plutocratica ma unita a una carica repressiva di qualunque iniziativa dal basso. Era per

questo motivo che, dopo i fatti del continente, le istanze democratiche e la richiesta di

rinnovamento sociale proveniente dalle classi lavoratrici e dalla borghesia avanzata

divennero più pressanti. Repressione o riforme? Questo fu il dilemma affrontato dalla

classe dirigente borghese e aristocratica che governava il paese. L’opposizione dei whigs e

dei gruppi radicali si fece sempre più consistente. A livello governativo si assistette al

passaggio di potere dall’ultraconservatore Castlereagh a quello più aperto di Canning.

Nel 1824 fu legalizzata la libera associazione degli operai e fu introdotta una politica di

riduzione delle tasse doganali. Nel 1825 venne concessa la libertà di commercio alle

colonie. Nel 1828 fu parificata la religione cattolica con quella protestante nell’accesso alle

cariche politiche in Irlanda (dove i cattolici, maggioranza, erano sotto il giogo della

minoranza protestante).

Ma l’evento più importante fu la Legge Elettorale del 1832 (Reform Bills) che come

effetto immediato ebbe un elettore ogni 22 inglesi (in Francia era 1 su 200). Vi fu, quindi,

uno spostamento della supremazia elettorale dall’aristocrazia terriera alla borghesia.

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Europa 1831-1847

FRANCIA

Il re conservava grande potere decisionale.

Partito del movimento→ partito della Resistenza (una svolta conservatrice)

Il partito della resistenza si opponeva ai legittimisti (legati alla monarchia borbonica) e ai

repubblicani e socialisti. Tentativo di golpe”legittimista” del ’32. Disordini repubblicani

nel ’34. Con Guizot (1841-46) la monarchia orleanista raggiunge l’apogeo dei consensi fra

i grandi borghesi e aristocratici non reazionari. La politica francese nel periodo

considerato: 1) riduzione dell’influenza dell’opposizione legale del partito del movimento;

2) crescita economica rilevante; 3) nessun progresso sul versante delle leggi e repressioni

delle istanze dal basso.

INGHILTERRA

Il conservatorismo e il riformismo sono prerogative, rispettivamente, dei tories e dei

whigs. Inizio dell’età Vittoriana (1837). Dal 1832 al 1841 governo dei riformisti e dei

liberali. Sul fronte sociale iniziano le lotte operaie per il suffragio universale.

1833: legge antischiavitù per le colonie e lette per la tutela dei lavori per minori.

1847: legge della giornata lavorativa di dieci ore.

La questione delle riforme sociali divenne d’importanza nazionale.

Nascita e sviluppo del movimento radicale borghese e operaio dei “cartisti” (dal nome

del documento “Carta dei diritti del popolo” pubblicata nel 1838 e proposta

successivamente al Parlamento inglese. Governo conservatore 1841-46.

Inizia il movimento del libero scambio economico e commerciale e riforma

antiprotezionistica delle dogane.

I PAESI CONSERVATORI

AUSTRIA

L’imperatore Ferdinando I era un monarca assai debole: il fronte conservatore era

dilaniato dal conflitto interno tra Metternich (uno degli artefici della politica degli equilibri

Page 18: Storia d'Europa nel XIX secolo

18

post-napoleonici) e l’Arciduca Luigi, che appoggiava la politica dell’antagonista di

Metternich, il ministro delle Finanze Kolowrat. Sul piano delle nazionalità si registrano in

questo periodo (dopo il ’30) i rafforzamenti dei nazionalisti magiari, serbi, croati e sloveni.

Un’insurrezione filo polacca era scoppiata in Galizia: gli austriaci, con abilità nel gestire il

conflitto, incitarono i contadini contro i proprietari aristocratici filo polacchi insorti,

promettendo di abolire l’odiosa “robota” (servitù della gleba).

GERMANIA E PRUSSIA

Sviluppo della “zollverein”, l’unione doganale degli Stati germanici, e libera circolazione

delle merci. Repressione e persecuzione degli intellettuali. Monarchia prussiana di

Guglielmo IV (1840-61).

RUSSIA

Lo zar Nicola I tentò delle riforme di stampo paternalistiche, ma l’opposizione dei contadini

(che volevano la Riforma agraria), degli intellettuali (che chiedevano più libertà civili) e

della borghesia (sviluppo industriale). Il Tribunale della III sezione della Cancelleria

Imperiale accentuò la repressione del dissenso.

Le alleanze (1831-47)

Quadruplice alleanza “liberista”: Francia, Inghilterra, Belgio, Spagna.

Triplice Alleanza conservatrice; Prussia, Austria e Russia.

Contrasti fra il Sultano turco e il Pascià egiziano; legami politici-economici tra Turchia e

Russia e legami politici-militari tra Francia ed egiziani. Contrasto del 1832-33 tra Turchia

ed Egitto (quest’ultimo appoggiato da Francia e Inghilterra): la Siria era stata occupata da

truppe egiziane (1831-1840). Tensione russo-egiziana mediata da anglo-francesi. Gli

Egiziani sono costretti, da Gran Bretagna e Austria, a lasciare la Siria nel 1840.

Aumentano gli interessi inglesi in Turchia: la questione siriana ritorna al centro della

politica turca. Contrasti tra Francia e Inghilterra per la Siria. La Russia mirava a un

indebolimento dell’alleanza “liberista”. Il contrasto degli europei fu superato con il

licenziamento da parte francese dell’ultranazionalista Thiers e sua la sostituzione con

Guizot. Ingerenza della Francia nelle questioni dinastiche spagnole, contrastate dagli

inglesi. Riavvicinamento tra Francia e Austria.

La svizzera al centro di un conflitto tra liberali e Cattolici (i primi godono dell’appoggio

internazionale degli Inglesi; i secondi dell’Austria, Francia, Russia e Prussia). I liberali (e

protestanti) svizzeri conquistano il governo (esulterà l’inglese Lord Palmerson ed era così

ridimensionato il fronte conservatore di Metternich- Guizot).

Page 19: Storia d'Europa nel XIX secolo

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Prima fase imperialista-colonialista (1830-1850)

In Gran Bretagna la “Compagnia delle Indie” costituiva un gruppo economico-politico

autonomo dal governo. Successivamente vi fu un cambiamento che consentì la gestione

economica ai titolari delle azioni, ma il controllo politico e sociale del territorio d’interesse

“commerciale” toccava al governo. Questo passaggio consentì la formazione delle

moderne colonie: dal punto di vista giuridico e politico la penetrazione dei modelli di

controllo occidentali fu completata dopo il ’58.

Il controllo del porto di Canton, attuato dall’esercito inglese, consentiva una libera

circolazione delle merci in Cina, specialmente l’oppio. Il governo imperiale cinese si

opponeva a questo tipo di commercio legiferando e introducendo la pena di morte per

chiunque (e di qualunque nazionalità) commerciava queste sostanze sul proprio territorio.

La risposta inglese fu la guerra (1839-42) detta, appunto, dell’oppio. La Cina sconfitta

cedette anche la città di Hong Kong. Diversa la situazione creatasi in Canada, dove il

conflitto con la madrepatria inglese si risolse in indipendenza formale (Act of Union, 1840) e

nell’ avvio dello stato nordamericano sulla via dello sviluppo capitalistico. In Africa del

Sud il contrasto tra i boeri (la popolazione di origine olandese) e gli inglesi portò a una

separazione formale tra gli Stati boeri dell’Orange e del Transvaal e Città del Capo (in un

secondo tempo veniva occupato il Natal) in mano agli Inglesi.

La Francia con il dominio sul territorio nordafricano, voluto da Carlo X nel 1830 iniziava

la sua fase colonialista. Alcuni anni dopo iniziarono i tentativi di assimilazione di questi

territori al modello francese (giustizia, lingua e amministrazione). Nel 1843-44 nonostante

la forte resistenza interna anche il Marocco veniva soggiogato: il colono-agricoltore-

soldato francese diventava la figura emblematica del colonialismo gallico.

Page 20: Storia d'Europa nel XIX secolo

20

1848. LE RIVOLUZIONI

Gli eventi

Crisi economica del 1846: aumenti dei prezzi dei generi alimentari. Malattia della patata.

Crisi sociale: sommosse popolari stroncate nel sangue attraverso l’uso dell’esercito.

In Inghilterra le agitazioni cartiste-operaie vengono “compensate” dalla politica dei

liberali.

Due situazioni politiche:

In Francia non essendoci un problema nazionale si manifesta, per la prima volta, la lotta

di classe tra la borghesia al governo e gli operai organizzati.

Nei regni italici, nella confederazione germanica e nell’Impero Austro-ungarico la lotta era

nazionale o di minoranze che chiedevano di costituirsi in nazione (indipendenza degli

Ungheresi, Croati-Serbi, Slovacchi). Anche la Germania aspirava all’unità nazionale.

In Francia

Guizot conservatore con venature reazionarie, diventa primo ministro nel 1847 e attua

una politica immobilista. Opposizione guidata dai repubblicani, dai liberali e dai socialisti

(con Louis-A. Blanqui leader di grande prestigio, nonostante le numerose carcerazioni

subìte). Anche una destra d’opposizione contestava il governo, formata da nazionalisti,

clericali, legittimisti e bonapartisti. Nel luglio 1847 le varie associazioni politiche daranno

vita ai banchetti, una forma di attivismo fatta per le strade e le piazze di Parigi e altre

città. Il 22 febbraio ’48 il governo tentò di impedire uno di questi banchetti: fu la scintilla

della rivoluzione, l’insurrezione promossa da studenti e operai portava a innalzare le

barricate nei quartieri operai. La Guardia Nazionale rifiuta di spargere sangue. Il re Luigi

Filippo licenziò il suo primo ministro Guizot, sostituendolo con il moderato Barrot.

Nonostante queste (tardive) iniziative gli scontri ci furono lo stesso: 23 morti tra la

popolazione insorta. Gli effetti furono un’insurrezione delle masse e la fuga del Re, e la

formazione di un governo rivoluzionario provvisorio che promulgava la Repubblica, il

suffragio universale maschile e l’abolizione della pena capitale.

Il moto rivoluzionario interessava solo le città, le campagne accettarono come “fatto

compiuto”. Comunque la spaccatura nel movimento rivoluzionario non tardò a

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presentarsi, una rottura tra i liberali Lamartine e Ledru-Rollin, da una parte, e i socialisti

Blanc e Blanqui.

Furono creati gli Ateliers Nationaux (gli Opifici Nazionali, da un’idea di Blanc, con lo

scopo di ridurre la disoccupazione). Alcuni squilibri di bilancio avrebbero aumentato le

tasse, con gravi ripercussioni in agricoltura. Fu creata una forza armata costituita da

borghesi e masse sottoproletarie in funzione antioperaia. Le elezioni del 23 aprile furono

vinte con schiacciante maggioranza dal “partito moderato” (800 delegati su 900). La

risposta dei socialisti, che avevano rifiutato le “conseguenze elettorali”, fu il ricorso alla

forza operaia nel caso che avessero chiuso gli Ateliers: gli operai degli opifici insorsero e

fu proclamato un “governo socialista”. La Guardia Nazionale represse l’insurrezione e il

“governo liberale” abolì gli Ateliers. Nel giugno del 1848 fu dato mandato e pieni poteri al

generale Cavaignac, già ministro della guerra. La repressione e la dittatura militare, e il

terrore bianco, furono le risposte governative.

Il contagio negli altri stati non si fece attendere (v. “Il 1848 in Europa”).

La Francia dichiara ufficialmente la non ingerenza in “politica estera”.

Fu votata la Costituzione, scelta la forma Repubblica presidenziale, il suffragio universale

maschile, i pieni poteri militari e di governo al presidente (con l’unico limite che non

poteva sciogliere il Parlamento). Il “partito dell’ordine” (moderati) scelse il principe Luigi

Napoleone Bonaparte. Eletto col plebiscito il presidente-principe era sostenuto da una

base fatta da contadini, alta borghesia, clericali, molti artigiani e operai. Il “partito

dell’ordine” ebbe 500 eletti su 750, scomparvero i repubblicani moderati, e la “democrazia

sociale” 180 deputati.

Proprio Ledru-Rollin, capo dei repubblicani, tenta un’opposizione politica al Regime: le

dimostrazioni contro l’interventismo nel Papato (Roma era diventata Repubblica, sotto

l’egida di un triumvirato mazziniano) sono represse.

In Germania

La rivolta contro gli Junker, i grandi proprietari aristocratici, dovuta alla pesante crisi

economica, interessò vasti strati della popolazione contadina. La reazione feudale fu

violenta. Nel marzo iniziarono le rivolte degli operai nella Prussia, specialmente a Berlino,

e costrinsero il re Federico Guglielmo IV ad allontanare le truppe e a promettere un

governo liberale e una Costituzione. Furono proclamate la libertà di stampa, di

associazione, il suffragio universale maschile e il controllo parlamentare sul bilancio degli

Stati. Alle richieste di un ulteriore avanzamento democratico i moderati si spostarono più

a destra rifiutando di abolire i diritti feudali . Timorosi di un rafforzamento del movimento

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22

operaio i borghesi oscillarono, secondo i propri vantaggi contingenti, ma infine il re

sciolse il parlamento rivoluzionario e poté agire indisturbato nella repressione (giugno

1849).

I fautori della “Grande Germania” (filo-austriaci) e quelli della “piccola Germania” (i

federalisti del sud della Germania) s’inasprirono e quando fu proposto di affidare al Re

prussiano il comando della confederazione, l’Austria pose il veto. Il paradosso era che

anche il re prussiano respinse l’offerta (aprile 1849) perché le era stata proposta da

un’assemblea rivoluzionaria. L’assemblea della Confederazione tedesca si spezzava in due

fazioni, la Destra che abbandonava ogni iniziativa democratica e la Sinistra che si orientò

verso un repubblicanesimo radical-democratico.

A Stoccarda i repubblicani proclamarono la nascita della Germania Democratica, ma le

truppe reazionarie appoggiate dalla Prussia, sciolsero il parlamento e iniziava la fase di

repressione e di restaurazione autocratica.

Nell’Impero Austro-ungarico.

I primi movimenti nazionalistici esplosero in Boemia, con la richiesta di una Costituzione.

Metternich, il 13 marzo 1848, rifiutò di discutere di qualsiasi riforma, Vienna insorse e

l’esercito provocava la morte di oltre 50 persone. Ferdinando I licenziò il cancelliere

producendo così un’insurrezione nel Lombardo-Veneto, a Milano. Il re non volle

comunque concedere nulla, gli operai insorti e i loro leader ottennero la convocazione del

Reichstag che sancì nella prima riunione la fine dei diritti feudali (luglio ’48).

I cechi e gli slovacchi chiesero ambedue l’autonomia; Praga insorse e, nonostante la

resistenza degli studenti, degli operai e dei contadini, capitolò dopo un pesante

bombardamento della Guardia Nazionale guidata dal gen. Windischgraetz.

In Ungheria era stato eletto un Parlamento a suffragio universale, in un primo momento

accettato dall’imperatore. Le truppe imperiali attaccarono l’Ungheria (ottobre ’48) che

resistette (fino a quando anche l’esercito zarista a nord attaccò in soccorso dei “cugini”

imperiali) e poi capitolava nell’agosto del 1849. Il potere imperiale passava a Francesco

Giuseppe, mentre la repressione fu affidata al gen. von Schwartzenberg.

In Italia

La debolezza degli oppositori dello status quo nel creare un fronte unitario antiaustriaco e a

favore dell’unità d’Italia fu la causa della sconfitta del ’48. Prima Venezia (17 marzo) e poi

Milano (18 marzo) quando insorsero riuscirono a cacciare le truppe del gen. Radetzky. Il

Page 23: Storia d'Europa nel XIX secolo

23

comandante austriaco riuscì a “chiudere” il grosso dell’esercito nel quadrilatero delle città-

fortezze di Verona, Legnago Peschiera e Mantova. A Milano, che aveva fornito prova di

grande patriottismo nelle famose cinque giornate, ebbe a capo del governo provvisorio

un intellettuale di prestigio come Cattaneo. Il governo repubblicano di Venezia,

costituitosi il 22 marzo, era invece guidato da Daniele Manin.

A favore di un intervento sabaudo erano propensi i moderati milanesi, ma Cattaneo era

un indipendentista puro e all’interno del suo stesso schieramento c’era chi riteneva

prioritario il fronte antiaustriaco.

Carlo Alberto intervenne nelle questioni lombardo-venete in modo ambiguo: da una parte

si diceva fautore del diritto dei popoli all’indipendenza ma con i diplomatici parlava di

conservazione dei regimi vigenti e della lotta contro i repubblicani.

L’opportunismo politico contagiava i diversi stati italiani e molti dei governati, dalla

Toscana alla Sicilia sino al Papato si dicevano favorevoli a riforme liberali.

La ripresa degli austriaci dallo scacco militare non si fece attendere.

Intanto a Napoli lo scontro tra repubblicani e monarchici fu molto violento: il re

Ferdinando II agì in modo che possiamo definire un colpo di stato.

La guerra da “federale” divenne, con l’intervento piemontese, guerra “sabauda”(dal 28

marzo): a Goito e a Pastrengo (30 maggio) le truppe albertine ottennero importanti

vittorie. L’annessione al Piemonte riguardava le città di Milano, Parma, Modena e

Venezia (13 luglio). Dieci giorni dopo a Custoza i piemontesi furono sbaragliati

dall’esercito imperiale (23-25 luglio). I democratici chiesero l’intervento dei francesi, ma il

Piemonte era pronto all’armistizio che, di fatto, fu firmato il 9 agosto.

Nel Regno di Piemonte e di Sardegna il 16 dicembre fu nominato presidente del

Parlamento subalpino Vincenzo Gioberti, appoggiato dai democratici piemontesi e che

ribadiva la sua idea di una confederazione di stati a egemonia moderata.

Man mano che le cose erano rese difficili dall’avanzata su tutti i fronti degli eserciti

“legittimisti”, i moderati iniziavano ad appoggiare il ripristino dello status quo ante.

La borghesia, gli intellettuali e i piccoli proprietari che costituivano la base sociale dei

democratici invocarono la “guerra di popolo”.

Nel regno borbonico intanto la reazione al colpo di stato furono le sommosse in

Calabria, Sicilia (quest’ultima poco dopo le rivolte dovette capitolare).

Page 24: Storia d'Europa nel XIX secolo

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Anche a Bologna un’insurrezione di popolo (la battaglia della Montagnola) portò alla

cacciata degli austriaci. La Toscana fece un ulteriore passo in avanti chiedendo la

Costituente italiana. Gli eventi più significativi vi furono a Roma: il papa Pio IX accettò,

in un primo momento la formazione di un governo democratico cittadino, poi fuggì nella

fortezza di Gaeta, mettendosi sotto la protezione del re Borbone.

Roma divenne così Repubblica, il 9 febbraio 1849, e guidarla era un triumvirato costituito

da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini (come dire, il non plus ultra dei

repubblicani). Anche la Toscana con la fuga del granduca divenne repubblica: per Mazzini

era questa la base per l’unità italiana.

Nel marzo 1849 il Piemonte di Carlo Alberto, spinto dai successi repubblicani ad agire

per riproporre il prestigio sabaudo, entrò di nuovo in guerra contro gli austriaci: la

sconfitta avvenne sul campo di battaglia di Novara il 23 marzo.

Le conseguenze politiche furono l’abdicazione del re in favore di suo figlio Vittorio

Emanuele II.

Anche Genova e Brescia, nel frattempo, insorsero per volontà repubblicana, ma furono

violentemente represse. Il Granducato Toscano fu invaso dalle truppe austriache (luglio

1849) e il potere legittimista divenne dittatoriale.

Le uniche roccaforti repubblicane erano rimaste Venezia e Roma: quest’ultima fu

abbattuta dall’intervento congiunto francese, austriaco e napoletano (4 luglio 1849);

Venezia dopo che fu ridotta alla fame e con lo scoppio di epidemie si arrese il 26 agosto

1849. Terminava così il quarantotto italiano.

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Europa 1850-1870.

Imperi e seconda restaurazione.

La borghesia di fronte alle rivolte e alle rivoluzioni del triennio 1847-49, all’apparire della

lotta di classe fra proprietari borghesi e proletari, spostava la sua alleanza verso

l’aristocrazia. Una parte rilevante della borghesia più illuminata si radicalizza in senso più

democratico: questo fu lo scenario sociale durante la nuova riorganizzazione in senso

conservatore del continente (unica eccezione europea: la Gran Bretagna).

Inghilterra

Il periodo 1850-70 fu caratterizzato da un enorme progresso tecnico-scientifico e dalle

politiche di liberalizzazione economiche che resero il paese l’avanguardia del mondo. La

caduta dei conservatori nel 1846, con i whigs al governo rese nulli gli effetti del febbraio

francese in Inghilterra. Il credo dei whigs fu la dottrina del libero-scambio, che consentì ai

mercati inglesi di espandersi in tutti i continenti. Lord Palmerston (al governo dal 1859-

65) e Gladstone (al governo dal ’68-’80, con breve intervallo) furono gli artefici

dell’egemonia mondiale. Le azioni dei liberali ridussero le influenze di qualsiasi tentazione

“socialista” della prima potenza mondiale. Unico oppositore forte dei liberali era B.

Disraeli, leader dei tories e fautore di una “monarchia popolare”. La parentesi del governo

Disraeli (1865-67) ebbe come conseguenze il riconoscimento nel 1871 delle associazioni

sindacali (le Trade Unions): le questioni sociali erano perfettamente integrate

nell’ideologia nazionale inglese.

Francia

Dopo la vittoria del “partito dell’ordine” (1849), furono revisionate tutte le leggi liberali e

progressiste: erano promosse le iniziative clericali, antioperaie e di restrizioni della base

elettorale). A capo del movimento d’ordine vi era il principe-presidente Luigi Napoleone,

che rafforzò la sua leadership grazie all’appoggio incondizionato dell’esercito e della

burocrazia. Le idee politiche di Luigi Napoleone erano innovative: per rafforzare la sua

posizione si mostrava favorevole all’introduzione del suffragio universale (tipica richiesta

dell’ala progressista). Con la repressione della Repubblica Romana ottenne i favori dei

conservatori e dei cattolici. Nonostante la proibizione per legge di una possibile

ricandidatura del presidente, Luigi Napoleone richiese la sua candidatura: il parlamento a

guida moderata si oppose e il presidente sciolse il Parlamento e occupò militarmente

Parigi: con un plebiscito e con una nuova costituzione ebbe i pieni poteri (“dittatoriali”,

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secondo i suoi oppositori). Nel 1852 Luigi Napoleone decreta una politica di “sano

conservatorismo” e il 20 novembre assunse la nuova carica di Imperatore dei Francesi

col nome di Napoleone III. Furono represse tutte le dissidenze e dopo un attentato

l’apparato militare fu prevalente in molti aspetti della vita sociale del paese.

La politica plebiscitaria di Napoleone III cambiò repentinamente dopo il 1858-59: la lotta

contro la cattolica e reazionaria Austria assorbì le sue energie. Divenne favorevole

all’unità italiana e promosse importanti accordi commerciali con l’Inghilterra. Rifiutandosi

di introdurre qualsiasi forma di parlamentarismo e con la sua demagogia e il suo

paternalismo s’impegnò nel promuovere l’istituzione di una cultura laica e delle libere

associazioni operaie. Intanto l’opposizione repubblicana e la monarchica-legittimista

erano impotenti, tanto che si formò una terza forza politica d’ispirazione liberale e

bonapartista, con leader Ollivier, quest’ultimo andato al potere nel 1870.

La “questione romana” in Italia, la crescita dell’opposizione radicale e la tensione ai

confini con la Prussia, che sfociò nella guerra del settembre 1870, portò l’impero al crollo.

La Russia e la questione dei Balcani.

La politica espansionistica degli zar ebbe un suo momento di stasi con la guerra per il

controllo dello stretto del Bosforo, la Crimea. Nicola I aggredì la Turchia (nazione alleata

dei francesi –che coinvolsero i piemontesi- e degl’inglesi). La guerra dal novembre 1855 al

marzo 1856, fino alla scomparsa dello zar che l’aveva promossa e la successione del

nuovo Romanov Alessandro II. L’autocrazia di Alessandro II consentì alcuni processi di

industrializzazione: la Russia, a singhiozzo si avviava a diventare una moderna nazione,

ma non mancarono squilibri nell’agricoltura ancora arretrata e processi di radicalizzazione

dello scontro politico. L’abolizione della servitù della gleba, dal 1861, e le istituzioni di

nuove amministrazioni locali (le Zemstvo) illusero molti per la presunta volontà

riformatrice del nuovo zar: la violenta repressione polacca, del 1863, fu una doccia fredda

per i democratici russi. Nel frattempo le ideologie rivoluzionarie penetrarono anche oltre

la cortina zarista: la rivoluzione era pensata come possibilità in Russia dai marxisti (G.

Plechanov), dal populismo (Aleksandr Herzen) e dagli anarchici (Bakunin e,

successivamente Piotr A. Kropotkin).

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Excursus 1815-1860. Parte prima. La Restaurazione, pag. 3

Italia 1831-46, pag. 5

La rivoluzione industriale in Inghilterra, pag. 7

Le turbolenze dopo la restaurazione: i moti del 1820-21 in Spagna e in Italia, pag. 13 I moti del ‘30-’31, pag. 14 L’Inghilterra fino al 1832, pag. 16 Europa 1831-1847, pag. 17 Prima fase imperialista-colonialista (1830-1850), pag. 19

1848. Le rivoluzioni, pag. 20

Europa 1850-1870. Imperi e seconda restaurazione, pag. 25