Storia Della Pedagogia

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Paolo TaroniLorenzo Zaganelli

Appunti diStoria della pedagogia

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Prima edizione in tiratura limitata e riservata: 2003 settembreSeconda edizione ampliata e corretta: 2004 settembre© Copyright Paolo Taroni, Lorenzo Zaganelli© Copyright per questa edizione Allori EdizioniVia S. Alberto, 225 – 48100 Ravennahttp://www.alloriedizioni.come-mail: [email protected]

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A Carla e Angela per la loro pazienza

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INDICE

1. Introduzione terminologica pag. 92. La Grecia arcaica 193. La polis greca 234. I Sofisti e Socrate 295. Platone 376. Aristotele 477. L’ellenismo 558. Cenni sull’educazione nella cultura romana 639. I principi educativi del Cristianesimo 6910. Agostino 7311. La pedagogia nel Medioevo 8112. Tommaso d’Aquino 8513. La scuola nell’Umanesimo e nel Rinascimento 9314. L’idea pedagogica nella Riforma e nella Controriforma 9915. Comenio 10716. John Locke 11117. L’educazione nell’Illuminismo 11918. Jean-Jacques Rousseau 12519. La pedagogia del Romanticismo 13120. Johann Heinrich Pestalozzi 13521. Friedrich Fröbel 14122. Johann Friedrich Herbart 147

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23. La pedagogia del Positivismo 15124. La pedagogia italiana tra XIX e XX secolo 15725. Karl Marx e Friedrich Engels 16326. Anton Siemionovic Makarenko 16927. Attivismo: “scuole nuove” e “scuole attive” 17328. Maria Montessori 17729. John Dewey 18530. Ovide Decroly 19331. Edouard Claparède 19932. Giovanni Gentile e la scuola fascista 20533. Giuseppe Lombardo Radice 21134. Psicoanalisi e pedagogia 21535. Le idee pedagogiche di Jean Piaget 24536. Vygotskij e l’educazione 27537. Jerome Bruner 28338. Howard Gardner e la teoria delle intelligenze multiple 291Bibliografia 303

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1Introduzione terminologica

Cos’è la pedagogia?La pedagogia viene definita, con una affermazione semplice

ma importante, scienza dell’educazione. Definire la pedagogiacome una scienza significa affermare l’indipendenza di questadisciplina rispetto alla filosofia e nei confronti delle altre scien-ze umane, identificandola al contempo come disciplina scienti-fica, con un suo specifico campo d’indagine, dei metodi, dellepossibilità sperimentali e di misurazione, delle attività i cuirisultati possono essere verificati. Ma prima di giungere allapedagogia intesa come scienza trascorreranno parecchi secoli enumerose teorie, pratiche educative nelle diverse epoche eciviltà.

Il vocabolo pedagogia, in senso formale, indica la scienza elo studio dell’educazione (come disciplina); in senso sostanzia-le, indica l’idea dell’educazione (come teoria e concezione).Etimologicamente, pedagogia deriva dal greco país che signifi-ca fanciullo e ágoghè che indica l’azione del condurre, del gui-dare: perciò vuol dire “arte di guidare i fanciulli”. Il pedagogo,nella polis greca era lo schiavo incaricato di condurre il figliodel suo padrone a scuola, alla palestra, ecc.; in seguito, divenneuno schiavo abbastanza colto da aiutare il fanciullo nello studio.Pedagogia, dunque, era il compito del pedagogo e, in generale,

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dell’educatore. In età moderna, il termine passò a indicare lariflessione sull’educazione, prima all’interno della filosofia(per quanto fossero i filosofi a occuparsi della riflessione sull’e-ducazione non risulta, però, corretta una identificazione dipedagogia e filosofia) e, nella seconda metà del XIX secolo,dopo il Positivismo, una teoria elaborata con metodo scientifi-co e coadiuvata dai risultati delle altre scienze umane.

Detto in questi termini il significato di pedagogia sembrariguardare solo l’infanzia e la fanciullezza, mentre sappiamobene che lo sviluppo procede anche per la preadolescenza, l’a-dolescenza e l’età adulta, cosí come il processo educativo èlegato all’intera vita umana, in quella che si definisce “educa-zione permanente”.

Il termine pedagogia si è piú volte fuso e “con-fuso” con iltermine, cui è correlato, di educazione. Alla lettera, educazioneè il processo di formazione della personalità individuale, attra-verso l’integrazione sociale e la trasmissione culturale. Le radi-ci latine del termine (edere che significa “nutrire”, “allevare”;educare che sta per “trarre fuori”) sottolineano il legame delvocabolo con la crescita fisica e interiore, mentale e spirituale.In senso molto lato indica il “processo di formazione dell’uo-mo”, inteso sia come individuo sia come gruppo. In un signifi-cato piú specifico riguarda ogni azione intenzionale e consape-vole voluta dall’adulto e dalla società per aiutare il bambino acrescere e svilupparsi in maniera armonica.

L’idea che sta dietro la parola educazione può essere analiz-zata seguendo un percorso diacronico, che compie un esamestorico, longitudinale, oppure uno sincronico, che esamina ilconcetto su base antropologica compiendo una analisi trasver-sale. Dal punto di vista storico bisogna riconoscere che è sem-pre esistito un processo di comunicazione e trasmissione divalori e beni culturali. Con il termine cultura si intende l’insie-

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me dei fenomeni che caratterizzano una popolazione, l’insiemedegli usi, dei costumi, delle tradizioni, degli stili di vita, dellalingua, della religione, ecc. L’esame antropologico riguarda lostudio del rapporto fra gli uomini come produttori di cultura.L’educazione è quindi l’insieme di atteggiamenti che servono acomunicare e a trasmettere i modelli e i valori culturali cui igiovani appartengono, e non solo i giovani. Comunicare indicalo scambio di informazioni, l’azione comunicativa fra gli indi-vidui. Trasmettere si riferisce all’azione che la società e la col-lettività compiono al fine di perpetuare nel tempo i modelli cul-turali. Comunicazione e trasmissione sono i due modi attraver-so cui le informazioni e i modelli educativi “passano” da unindividuo a un altro e da una società ai suoi appartenenti. La dif-fusione, invece, è il processo di passaggio di un modello cultu-rale da una società a un’altra.

L’educazione è un fenomeno sempre presente nella vita del-l’individuo; può avvenire in maniera diretta, cioè operata dal-l’educatore sul discente in maniera consapevole, con un contat-to personale e senza mediazioni; l’educazione può avvenireanche in maniera indiretta cioè tramite l’influenza dell’ambien-te che plasma l’individuo. L’educazione può presentarsi sottodue forme diverse: a) intenzionale: quando è istituzionalizzatae organizzata, e una o piú persone si impegnano per perseguireun fine, essendone consapevoli. L’educazione diretta è sempreintenzionale, quella indiretta può essere intenzionale, maanche: b) non intenzionale: quando è involontaria, quandoviene fornita senza scopo preciso dall’ambiente sociale nel suocomplesso o da gruppi associativi particolari (quelli che insociologia vengono definiti “agenzie di socializzazione”) comela famiglia, il gruppo dei pari, l’ambiente di lavoro, la scuola, imass-media, ecc. Riguarda tutto ciò che si apprende nei diversicontesti senza che ci sia una volontà precisa di comunicare e tra-

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smettere queste informazioni. Anche in una struttura specifica-mente preposta all’educazione diretta e intenzionale, come lascuola, in realtà, la stragrande maggioranza dei valori, dei modidi pensare e degli stili di vita, in una parola, della cultura, vieneacquisita in maniera non intenzionale.

Pedagogia come scienza dell’educazionePrima di parlare di pedagogia come scienza, sarebbe utile

intendere in maniera univoca il significato del termine “scien-za”. Non esiste una definizione unica del vocabolo “scienza” edi ciò che si intende per scientifico. In senso lato, il terminescienza indica un complesso di proposizioni ritenute “vere”,riferite a un determinato oggetto, che abbiano sufficiente unita-rietà e che siano giustificate in maniera razionale. In questosenso, anche la filosofia è considerata scienza. In un significatopiú specifico, e piú diffuso, scienza (o meglio l’insieme dellescienze) è il sapere fondato sull’osservazione e sulla misurazio-ne di fatti empirici, sull’uso del metodo ipotetico-deduttivo,della possibilità di effettuare misurazioni, calcoli e di quantifi-care i dati raccolti, attraverso l’uso della matematica (o dellastatistica).

La pedagogia intesa come scienza – o “scienze” – dell’edu-cazione implica una presa di distanza dalla filosofia e dalle altrescienze umane (tutte nate come discipline autonome in epocapositivistica). Dire che la pedagogia è una scienza, dunque,significa definire, nella teoria educativa, un campo d’indagine eun oggetto di studio, un metodo preciso, una misurazione mate-matico-statistica e la possibilità di effettuare sperimentazioni everifiche dell’esito dei risultati.

In campo educativo, però, non si ha quasi mai un rapportodiretto fra fenomeno causa e fenomeno effetto, quindi si trattadi una scientificità di tipo diverso: non si possono fare previsio-

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ni precise e perfette, stabilire ipotesi universali, ma solo relati-ve e probabilistiche, tramite indagini statistiche. Ciò nonostan-te, la pedagogia è scienza per la sua necessità di analisi meto-dologica e fenomenologica di tutti gli elementi che concorronoa produrre un certo evento o un dato comportamento.Certamente, la pedagogia può essere definita una disciplinascientifica in quanto ha un proprio campo di indagine, è ingrado di compiere osservazioni ed esperimenti, opera e risolvei problemi che le si pongono seguendo dei metodi sperimentatie effettuando attività precise e rigorose che permettono di veri-ficare i risultati dell’azione educativa.

L’approccio scientifico della pedagogia, però, non si accon-tenta di una pedagogia “esteriormente scientifica”, ma va diret-tamente alla ricerca culturale dei processi formativi e studia lecondizioni per la comprensione e il controllo dei fenomeni indi-viduati.

Terminologia pedagogicaA completamento del discorso introduttivo sulla pedagogia,

è utile aggiungere la definizione di alcuni altri termini che spes-so si incontrano nel discorso sulle idee e teorie educative.Innanzi tutto è utile chiarire i termini principali che riguardanol’attività educativa e scolastica, quali didattica, istruzione, for-mazione, curriculum, scuola.

Didattica designa il settore della pedagogia che si occupa deimetodi e delle tecniche di insegnamento, delle procedure diintervento pedagogico e degli strumenti operativi. Nelle originietimologiche, il termine deriva dal greco didàskein, che signifi-ca insegnare, da cui didacticòs che vale per “atto ad istruire” e,in seguito, il latino medievale didactica ars, “arte didattica”,che venne assunto in maniera definitiva da Comenio nel XVIIsecolo con il suo Didactica magna, la “Grande didattica”.

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L’esistenza di tecniche di insegnamento e di apprendimento, ela loro applicazione metodica e razionale in attività utili all’in-segnamento, è però intrinseca al concetto stesso di educazionecome processo culturale storicamente e socialmente condizio-nato dall’uomo. La didattica – a prescindere dai diversi signifi-cati che storicamente ha avuto – è il momento operativo di unascienza dell’educazione e consente di considerare o meno vali-di i fini e gli orientamenti teorici della pedagogia; in questosignificato didattica è un aspetto che rientra all’interno di ogniteoria pedagogica. Se, invece, si considera la didattica cometeoria dell’istruzione allora deve essere intesa come una scien-za autonoma, anche se in relazione con le altre scienze umane(psicologia, pedagogia, antropologia culturale, sociologia, ecc.)

Strettamente connesso al termine didattica c’è quello diistruzione. Istruzione indica sia la trasmissione del sapere che ilsistema istituzionale dell’insegnamento. Istruzione è l’azionesvolta da un adulto, per lo piú l’insegnante, allo scopo di tra-smettere all’allievo un certo insieme di nozioni. È un aspettodell’educazione che contribuisce alla formazione intellettuale ementale dell’individuo.

Piú in generale l’acquisizione culturale rimanda al concettodi formazione. Formazione è il processo attraverso il quale lepotenzialità complessive, naturali e ideali del soggetto perven-gono armonicamente a maturazione. Il termine formazione èutilizzato nel valore di superamento dei due termini – troppospesso impropriamente contrapposti – di educazione e istruzio-ne. Il termine formazione, dunque, rimanda alla dimensione esi-stenziale dell’educazione, a tutto ciò che influisce a livello sog-gettivo sul modo di essere della persona, ma anche alla dimen-sione tecnica, consapevole e voluta dell’istruzione. Spesso iltermine riguarda l’importante ruolo formativo che hanno diver-si formatori che non siano i classici educatori o insegnanti (pro-

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fessionisti, come medici, ingegneri, economisti, tecnici specia-lizzati, ecc.), quando sono chiamati ad aiutare il giovane adacquisire le competenze specifiche di una professione, che nonpotrebbero essere apprese al di fuori dell’ambito lavorativo.

Formazione indica, quindi, il fatto che si apprende e ci siforma anche al di fuori del luogo canonico e specifico dell’i-struzione, la scuola. La scuola è l’istituzione preposta alla ricer-ca e alla trasmissione del sapere. Sorta per ovviare alla diminui-ta possibilità della famiglia e del gruppo sociale di trasmettereun patrimonio culturale sempre piú vasto e differenziato da unagenerazione all’altra, la scuola si pone come luogo dell’educa-zione intenzionale e specifica anziché spontanea e informale.

All’interno della scuola e nel corso della formazione di ogniindividuo viene seguito un curricolo. Il termine, usato spessonel latino curriculum, indica il complesso integrato di esperien-ze scolastiche che hanno lo scopo di concorrere alla complessi-va formazione dello studente. Non si identifica solo con lematerie di studio, ma comprende anche l’intera gamma di risor-se educative, e comporta la possibilità di programmazioneintenzionale dell’esperienza formativa in una situazione scola-stica. Piú specificamente, il curricolo investe i problemi del-l’organizzazione delle conoscenze all’interno dei singoli gradiscolastici. Il curricolo attraversa i diversi piani dell’esperienzascolastica, dagli obiettivi cognitivi (le strategie dell’istruzione ele teorie dell’apprendimento) ai contenuti culturali (il saperescolastico e la sua distribuzione in discipline), dalle metodolo-gie dell’apprendimento (per materie, per aree disciplinari, ecc.)alle tecniche di valutazione (“formative”, “sommative”, in iti-nere, ecc.) Una impostazione curricolare razionale deve preve-dere i contenuti essenziali della disciplina, le unità didattiche incui suddividere la materia, le possibili espansioni disciplinari incollegamenti e riferimenti ad altre materie, i comportamenti

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cognitivi che una materia è in grado di attivare. Un curricolo vainserito nella prospettiva della programmazione, in una strate-gia e in un progetto in cui si deve tener conto dell’allievo (ogruppo di allievi) reale e concreto, con i suoi bisogni e interes-si, si debbono definire finalità e obiettivi, stabilire attività,metodi, tempi, spazi e materiali, e predisporre una serie di veri-fiche. La programmazione non è un fare una volta per tutte, mava costantemente e continuamente ripresa e risistemata alla lucedei risultati ottenuti tramite l’intervento educativo.

In tutto questo processo e nelle diverse teorie pedagogiche,il concetto centrale è quello di metodo. Il termine metodo, comemetodologia e metodica, nell’originaria etimologia greca deri-va da metà, preposizione che indica “movimento”, “prosegui-mento”, “superamento”, e hodòs che significa “via”, “mezzo”,“modo d’agire”. Metodo, dunque, vale per “ricerca scientifica”,“processo per conseguire un fine”. Il metodo, quindi, è il mezzoche ogni teoria indica come il piú idoneo al raggiungimentodegli obiettivi, è l’insieme dei criteri e delle norme con cui sideve compiere un determinato processo per essere efficace. Inlinea generale indica un modello di realizzazione dell’attività diinsegnamento-apprendimento. È evidente che tale concettovaria e si modifica in ogni teoria pedagogica e sulla base delleesigenze che una società, una cultura hanno e richiedono dall’e-ducazione. I metodi, come le tecniche e i mezzi utilizzati, sonosempre relativi ai contenuti culturali da trasmettere.

I concetti e i termini principali della pedagogia, cui si è fattorapido cenno, hanno quasi tutti – come si è visto – una loro ori-gine nella civiltà e nella lingua greche, poiché – come è noto –la società occidentale prende origine e affonda le sue radicinella cultura ellenica. Per questa ragione, è utile vedere – inconclusione e, a mo’ di apertura, all’inizio della storia delle ideepedagogiche dell’Occidente – due termini chiave per compren-

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dere il significato di educazione, e i valori da questa trasmessi,nella società greca: paideia e areté.

Paideia: termine greco che significa “formazione del fan-ciullo”; etimologicamente deriva da pâis che significa fanciul-lo, ed esprime l’ideale educativo della cultura greca. Viene tra-dotto spesso con il termine “educazione”, ma va inteso anchenel senso di cultura: ciò che una società trasmette, in manieradiretta o indiretta, ai suoi appartenenti. Assume accezioni diver-se a seconda dell’epoca: nella cultura omerica corrispondeall’aristocrazia d’animo, alla nobiltà di azione e di mente; inepoca classica modelli di riferimento saranno quello spartano equello ateniese, con Socrate passa a denotare la tensione aldominio pieno di sé; nell’ellenismo assume un contenuto cultu-rale specifico di appartenenza alla comunità greca.

Areté in greco antico, e quindi nella filosofia antica, indica-va l’attitudine di ogni essere a esplicare nel migliore dei modila sua specifica attività. Viene solitamente tradotto con “virtú”,ma va intesa come capacità di eccellere in qualche attività,senza nessun connotato e valore morale.

Bibliografia essenziale:W. JAEGER, Paideia. La formazione dell’uomo greco, 3 voll. [1936, 1944,1945], trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1953, 1978;R. TISATO (a cura di), Enciclopedia di pedagogia, trad. it. Feltrinelli, Milano1974;A. VISALBERGHI, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano1978, n. ed. 1986;P. BERTOLINI (a cura di), Dizionario di pedagogia e scienze dell’educazione,Zanichelli, Bologna 1996;M. CALLARI-GALLI, Antropologia per insegnare, Bruno Mondadori, Milano2000.

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2La Grecia arcaica

La civiltà greca prese avvio intorno agli inizi del I millennioa.C., dopo che la penisola fu oggetto di successive invasioni dipopoli provenienti dall’Europa danubiana.

L’educazione della società ionica, fino al XI-VIII secolo a.C.,seguí un’organizzazione patriarcale, svolgendosi all’internodella famiglia. I padri trasmettevano le conoscenze praticheriguardanti la produzione dei beni ai figli, e le madri si occupa-vano dell’educazione delle figlie, legata alla gestione domesti-ca e all’allevamento della prole. I modelli educativi erano fissa-ti nel tempo, e i genitori assumevano il ruolo di insegnanti.L’apprendimento delle norme sociali era affidato a incontricomunitari, come i banchetti o le feste religiose. Questo idealepedagogico era basato su un’idea del “dover essere”, dellaacquisizione cioè di un ruolo prestabilito dalla società stessa,che modellava gli individui a seconda dei gruppi di appartenen-za.

A partire dal XI secolo a.C., si introdussero nuovi procedi-menti per la lavorazione del ferro, che resero questo metalloaccessibile anche alle piccole comunità, consentendo cosí l’ac-quisizione di una maggiore autonomia ad artigiani e contadini,

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i quali videro accrescere le loro possibilità di sopravvivenza,grazie anche all’uso della moneta per gli scambi commerciali.

Altrettanto importante, come elemento di progresso, si rive-lò la scrittura, costituita sul modello di quella diffusa in tutto ilMediterraneo dai Fenici.

La maggiore facilità di scambi commerciali, derivante daquesti progressi, portò alla nascita dei primi centri urbani: lepoleis, che fecero crescere sempre di piú il potere di mercanti,contabili, scribi, banchieri, artigiani, facendo diminuire al con-tempo quello della classe aristocratica. Questa crisi dell’aristo-crazia, a livello educativo, trova espressione nelle opere deipoeti “eroici”, i quali criticarono la società moderna, proponen-do una educazione basata sui valori della nobiltà, sullo svilup-po di doti innate appartenenti esclusivamente ai nobili, estraneequindi ai ceti emergenti.

Questi ideali educativi furono trasmessi in primo luogo attra-verso i poemi attribuiti al poeta Omero: Iliade e Odissea, i qualirisalgono ad un periodo che va dalla fine dell’VIII secolo(Iliade) agli inizi del VII (Odissea).

Il mondo greco è rappresentato, in questi poemi, come unasocietà aristocratica (da áristos che significa il “migliore”),dominata da coloro che eccellono per la loro areté, la virtú inte-sa come possesso di qualità superiori.

Questi antichi poemi possono essere considerati, quindi,come sintesi enciclopediche delle tradizioni di un popolo,descrivendo i criteri su cui si basava l’educazione dei giovani dinobile stirpe. Furono pertanto strumento privilegiato di trasmis-sione della paideia e di insegnamento delle areté della Greciaarcaica.

IliadeÈ il poema piú antico, in cui si narra la guerra degli Achei

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contro la città di Troia. Lo stato di guerra descritto mette inprimo piano la figura del guerriero, l’eroe; i personaggi sonosimboli, i quali incarnano le qualità fisiche e morali dell’epoca(ad esempio ad Achille viene attribuita la forza e il valore mili-tare; a Ettore, la dedizione alla patria e il senso dell’onore, ecc.)

Nell’Iliade, oltre alla celebrazione degli attributi virili delguerriero, emerge un’idea di areté intesa come forza fisica,coraggio, aspirazione alla gloria e all’onore. Lo sfondo cheviene presentato è un mosaico di scontri individuali e di episo-di eroici, in cui la differente indole dei guerrieri dà comunqueun’immagine abbastanza omogenea.

Areté, nell’Iliade, è virtú di primeggiare, di eternarsi nelgesto eroico; il grado massimo di tale concetto si ha quindi nellavittoria o nella morte dell’eroe onorata sul campo di battaglia.L’ideale educativo che ne consegue – la paideia dell’Iliade –consiste nell’esempio di una vita condotta nella tensione versol’ideale del “dover essere”, dei doveri che il proprio ruolo com-porta.

OdisseaÈ il poema piú recente. Ci fa conoscere l’aristocratico in

tempo di pace, e descrive i viaggi avventurosi di Ulisse(Odísseo). Lo sfondo è la rappresentazione della vita di corte,con le sue finezze. Acquistano importanza le figure femminili,appaiono celebrate le virtú muliebri come la bellezza, descrittacon pudore, le abilità nei lavori femminili, la fedeltà coniugale,simboleggiata da Penelope che attende con pazienza il suosposo.

Un altro segno del progresso dei tempi può essere dato dalfatto che non solo i nobili, ma anche gli umili sono degni dirispetto: Ulisse viene accolto nella reggia di Itaca, sebbeneindossi stracci da mendicante.

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Infine, un fattore importante che caratterizza e differenzial’Iliade dall’Odissea sta nel fatto che in quest’ultima si hannoindicazioni precise circa l’educazione di un giovane di nobilestirpe. Penelope, madre di Telemaco, è la prima educatrice disuo figlio; per completare la sua educazione Telemaco deveviaggiare, conoscere altri popoli, altri costumi. Ci appare dap-prima un giovane buono, docile, ma che ancora manca di senti-menti virili; per irrobustire le sue doti morali gli si pongono dueguide: Mente e Mentore. Entrambi i precettori devono preparar-lo al suo nobile destino, in quanto egli sarà vendicatore, insie-me col padre, delle offese arrecate alla sua casa e futuro re delpaese.

Narrando l’epopea degli eroi sulla via del ritorno in patria, ipersonaggi hanno a che fare con le difficoltà della vita, dallequali si può uscire solo con il coraggio e l’astuzia. Pertanto, leareté trasmesse dall’Odissea sono appunto il coraggio e l’astu-zia, unite all’intelligenza e alla curiosità, al desiderio di ricerca,di scoprire sempre nuovi posti e compiere nuove esperienze, enon solo la forza fisica e l’uso delle armi.

Bibliografia essenziale:W. JAEGER, Paideia. La formazione dell’uomo greco, vol. 1, trad. it. LaNuova Italia, Firenze 1953, 1978;B. SNELL, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it.Einaudi, Torino 1963

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3La pólis greca

La pólis (la città-stato) viene definita come l’istituzione poli-tica caratteristica della Grecia, dove però non si giunse mai auno stato unitario. Le singole città, infatti, mantennero semprela loro autonomia, su di un piano culturale, sociale, politico,giuridico, religioso, anche a causa della posizione geograficadel territorio greco, con catene montuose differentemente orien-tate che creavano regioni distinte con confini limitati.

Nell’età arcaica, la pólis greca introduce quello che oggichiamiamo res publica, ossia la partecipazione alla gestionedella “cosa pubblica” di un numero sempre maggiore di indivi-dui.

Le due póleis piú importanti della Grecia furono: Sparta eAtene.

Educazione a SpartaSparta è una città che vive di agricoltura, collocata lontano

dal mare, chiusa in se stessa, e divisa rigidamente in classi: i cit-tadini, perieci, e gli iloti, gruppi subalterni. La legislazionespartana, scritta dal mitico re Licurgo, assegna il potere politi-co ai primi, che governano attraverso una assemblea di 28membri e 2 re, eletti con diritto ereditario. Il momento di mas-

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simo splendore di Sparta è nel VII-VI secolo a.C., di poco poste-riore all’epoca dei poemi omerici. Da questi, la società sparta-na prende il principio dell’areté eroica, che in questo contesto,però, non designa piú solo la vitalità, il coraggio, la forza fisi-ca, ma assume contenuto e significato sociali. L’atto eroico,adesso, ha lo scopo di potenziare e difendere la patria, anzichéperseguire la gloria individuale. È l’etica del membro di unorganismo militare, di soldati coinvolti in un’azione e in undestino comune. Dopo il VI secolo a.C., la società spartana sub-isce una involuzione culturale, che la condurrà verso un pro-gressivo declino.

Una delle cause di questa involuzione è la situazione creata-si dopo la conquista della Messenia, che porta l’esercito sparta-no ad una situazione di guerra permanente con la popolazionelocale. Si rende necessaria l’adozione di una nuova tecnicamilitare, lo schieramento oplita, che richiede professionistimilitari estremamente addestrati, solidali fra loro fino a diven-tare una vera e propria casta chiusa. Vengono cosí a negarsi deltutto i valori individuali della società omerica: l’individuo sub-isce una totale spersonalizzazione, per essere sacrificato allaconservazione del potere politico da parte della classe dirigen-te.

Il sistema educativo spartano è organizzato in modo da per-seguire questi scopi politici. Il bambino, alla nascita, viene por-tato in un luogo detto tesche, e giudicato da una commissionedi anziani; nel caso risulti troppo debole, gracile, o malformato,è gettato in una voragine del monte Taigeto, detta Apotete.Dopo la prima educazione in famiglia, dai sette anni in poi, loStato si impossessa del fanciullo fino ai 20 anni di età, educan-dolo all’interno di comunità istituzionalizzate. La musica e laginnastica, insegnate in famiglia, lasciano il posto alla marciamilitare e alla ginnastica volta all’indurimento del corpo. I

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ragazzi sono sottoposti al governo degli irèni, allievi piú gran-di che svolgono il ruolo di superiori. Dopo i 20 anni ogni gio-vane è affidato a un anziano, che ne completa l’educazione.Nell’epoca del declino spartano, si giunge a esaltare il furto, lascaltrezza, la dissimulazione e la menzogna, e l’esercitazionemilitare arriva a prevedere anche spedizioni omicide contro gliiloti. L’educazione intellettuale prevede, oltre a leggere e scri-vere, l’insegnamento (a memoria) dei poemi omerici. A causadi questa limitata educazione intellettuale, Sparta non diedecontributi essenziali alla cultura greca. Caratteristica dell’orato-ria spartana fu il discorso breve e conciso, tanto che ancora oggisi definisce “laconico” (poiché Sparta era situata nell’entroter-ra della Laconia, il Lácone, o Lacedemone, era lo spartano)quello stile che si esprime in poche parole.

Anche le donne erano addestrate militarmente, e godevanodi molti diritti. Non potevano scegliere lo sposo, ma avevano ildiritto di unirsi ad altri uomini dopo il matrimonio, per procrea-re figli sani e robusti per la comunità.

Educazione ad AteneDifferente è il discorso per Atene, innanzi tutto perché,

essendo situata sul mare, all’economia agricola si accosta, nelcorso dell’VIII - VII secolo a.C., un’economia basata sul com-mercio, che si sviluppa sulle rotte aperte dai Fenici.

Per conoscere i fondamenti dell’educazione ateniese ènecessario rifarsi ad un poeta famoso: Solone, che nel 594 a.C.era alla guida della città. Egli diede alla polis una costituzionedemocratica, liberò i contadini, istituí il tribunale del popolo ecreò il Consiglio dei Quattrocento. L’areté eroica diventa civi-le, assumendo il significato di “vivere equilibrato”. Il prevaleredell’aspetto civile su quello militare della vita della polis fa síche l’educazione del cittadino comprenda: l’alfabetizzazione

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culturale, la quale rende possibile a tutti la partecipazione ailavori dell’agorà (nell’antica Grecia era la “piazza”, centrod’incontro e di attività economiche, politiche e giuridiche), unorgano deliberativo, e rende possibile il sorteggio dei membridella boulé (l’“assemblea”), un organo esecutivo; l’accosta-mento ai poemi della tradizione; l’insegnamento della musica edella ginnastica, la quale assume carattere sportivo e trasformala vecchia educazione aristocratica in una pratica formativa piúaccessibile a tutti (ricordiamo l’importanza delle Olimpiadi e lafama che gli atleti vittoriosi conquistavano in tutta la Grecia).

Una delle migliori sintesi del percorso istituzionale dell’edu-cazione in Atene è forse quella offerta da Platone: «dopo laprima educazione impartita dalla famiglia, i genitori mandano ilfanciullo da un maestro. Dopo che il fanciullo ha imparato aleggere e a scrivere, vengono posti sui banchi di scuola alcunipoemi di buoni poeti. Al fanciullo viene insegnato a suonare lacetra e viene insegnata la ginnastica. Quando hanno cessato diandare a scuola, la città fa loro imparare le leggi». Platone sot-tolinea in questo passo dei suoi Dialoghi l’aspetto formativo equindi propriamente pedagogico della formazione.

Figura principale dell’educazione ateniese è il maestro, esuccessivamente l’intera città; i luoghi privilegiati per l’educa-zione sono il campo di battaglia, ma anche l’agorà, la boulé, ilteatro… Tali luoghi educativi concorrono all’organizzazionedel consenso ideologico, cioè alla omogeneizzazione culturaledei cittadini sulla base di una serie di valori comuni: la respon-sabilità individuale, il legame vita individuale-classe sociale-polis, i sentimenti della libertà e della solidarietà.

A 18 anni il giovane diventava efèbo, ed entrava a far partedella cittadinanza. L’efebía durava due anni, durante i quali sisvolgeva la preparazione militare. A 20 anni la formazione eracompiuta ed egli diventava membro della pólis.

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Nonostante l’alto livello di formazione culturale e di demo-crazia espresso dalla società ateniese, l’educazione era comun-que riservata a una classe privilegiata: i cittadini aventi pienodiritto alla vita istituzionale della polis erano non piú del 5%della popolazione effettiva, in quanto i meteci (non originari diAtene), gli schiavi, gli schiavi liberati e i debitori non eranoconsiderati cittadini. Per costoro, la formazione era limitataall’apprendimento di un mestiere, e si trasmetteva per via ere-ditaria. A partire dal V secolo a.C., comunque, anche al popoloe alla piccola borghesia fu concesso di accedere all’istruzioneprimaria. Tra gli esclusi rientravano le donne, la cui formazio-ne prevedeva unicamente la gestione della casa e l’allevamentodei figli.

Bibliografia essenziale:W. JAEGER, Paideia. La formazione dell’uomo greco, vol. 1, trad. it. LaNuova Italia, Firenze 1953, 1978;B. SNELL, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it.Einaudi, Torino 1963.

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4I Sofisti e Socrate

L’apertura sociale realizzatasi ad Atene a partire dal V seco-lo rende necessario un modello educativo nuovo, che consentaalla classe aristocratica di mantenere i privilegi che va progres-sivamente perdendo. La classe emergente, che potremmo defi-nire “borghesia”, d’altra parte cerca di acquisire prestigio epotere “comprando” quella cultura alla quale non aveva potutoaccedere. Si diffonde in questa situazione la figura del sofista,specialista che insegna la propria arte a pagamento, dimostran-do che anche le conoscenze piú elevate possono essere insegna-te a tutti. L’ideale pedagogico dei sofisti si fonda sulla convin-zione che l’educazione non sia un processo naturale, ma debbaessere guidata da un esperto, in un ambiente che favorisca lacrescita e lo sviluppo dell’allievo. Il sofista è un esperto di tec-niche, che trasmette un sapere non astratto, teorico, ma utileall’affermazione sociale, al successo nella vita pubblica. Non sicerca una verità astratta, assoluta, al di là dell’uomo; al contra-rio, l’unica verità è quella stabilita dall’uomo stesso. Questo èil significato della celebre frase di Protagora: “l’uomo è misuradi tutte le cose”.

La tecnica (in greco, techné) piú utile al fine di ottenere l’af-fermazione sociale desiderata, alla luce di questi presupposti, si

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rivela essere quella retorica e oratoria, che permette di tenerediscorsi persuasivi, in modo da convincere gli altri delle proprieragioni. La tecnica sofistica può essere suddivisa in tre parti: lagrammatica (la conoscenza della lingua); la retorica (arte deldiscorso convincente); la dialettica (arte di confrontare due tesicontrapposte, facendole risultare vere o false a seconda dellaconvenienza). Queste tre discipline costituiranno la base per lafutura organizzazione degli studi umanistici.

Tra i sofisti piú famosi, vi furono Protagora (492-411 a.C.,date incerte) e Gorgia (485-376 a.C., date incerte).

Il termine sofista (superlativo di sophós, per intendere unasapienza non comune, superiore) acquisí ben presto un conno-tato spregiativo, per indicare chi faceva uso di ragionamentiartificiosi, di retorici giochi di parole al fine di ottenere ragioneanche con l’inganno. I sofisti vennero accusati di spregiudica-tezza morale e di scarsa serietà scientifica, poiché miravanosolo al successo verbale, senza nessun interesse per la ricercadella verità. Con i sofisti la filosofia operò in stretto contattocon la vita della pólis greca, affrontando principalmente proble-mi umani, del mondo sociale, civile e politico, al fine di tra-smettere una istruzione e una educazione (paidêia), che inse-gnasse una “virtú” (areté) intesa come capacità retorico-dialet-tica di affermarsi con l’uso delle parole. Con Protagora diAbdera e Gorgia di Lentini si affermarono delle visioni delmondo antropocentriche e relativiste.

Protagora, che esercitò con successo l’attività didattica adAtene e subí un processo per empietà, dal quale si salvò fuggen-do, sostenne che l’uomo è la misura (métron) di ogni cosa, percui non esiste una verità assoluta, ma solo tante verità relativevalide per ogni singolo individuo. Di ogni oggetto si può soste-nere un ragionamento e il suo contrario, pertanto la verità è solosoggettiva; di conseguenza, ciò che è meglio e ciò che è peggio

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sono tali sempre in rapporto all’utile pratico dell’uomo che vivenella società. Per questo è possibile insegnare una virtú politicaa tutti i cittadini, perché ognuno ha il diritto di far valere i suoidiritti di fronte all’assemblea.

Gorgia, che sembra abbia vissuto piú di cento anni e che perdimostrare la sua abilità dialettica, pare si divertisse a sfidare lafolla parlando senza preparazione di qualsiasi argomento,sostenne tre tesi: “nulla esiste”, cioè non esiste una verità; “seanche esistesse, non sarebbe conoscibile”; “se anche fosseconoscibile, non sarebbe comunicabile”, perché il linguaggio èun prodotto umano. Come si vede, con Gorgia il problema dellarealtà si legò strettamente a quelli della conoscenza e del lin-guaggio. Pertanto, se non esiste una verità oggettiva, il pensie-ro e il linguaggio sono indipendenti dalla realtà; per cui non sipotrà insegnare una virtú universale, ma solo delle capacità,come la persuasione, la retorica, l’arte di costruire discorsi ele-ganti e persuasivi.

Il personaggio che segnò un passaggio netto nel modo di farfilosofia ad Atene e poi, in generale, in tutto l’Occidente, èSocrate (470/469-399 a.C.) che, benché fosse accusato di esse-re un sofista, dai sofisti si distaccò enormemente, per il suometodo e per la sua levatura morale. Nato nel 469 a.C., adAtene, città amata dalla quale volle allontanarsi il meno possi-bile, figlio di uno scultore, Sofronisco, e di una levatrice,Fenarete, sposato con una donna di nome Santippe (ricordatascherzosamente come la moglie bisbetica), d’aspetto piccolo etozzo (la sgradevole figura esterna fece da contrasto con lastraordinaria bellezza interiore), visse in povertà, perché rifiutòsempre di essere retribuito per la sua opera, in quanto continua-va a sostenere di sapere solo una cosa: “saper di non sapere”.

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Pertanto, non poteva insegnare nulla; ciò nonostante trascorsebuona parte del suo tempo a parlare con tutti i cittadini dellapólis per stimolare tutti a riflettere sulla loro presunta sapienza,chiedersi, con spirito critico, il «che cos’è» delle cose e cercarela verità e il bene. Rimase coerente con le sue convinzioni finoalla morte; quando la città di Atene lo processò per le accuse(false e basate su indizi irrilevanti) di corrompere i giovani e dinon credere negli dèi della tradizione, si difese senza umiliarsi,proponendo provocatoriamente di essere mantenuto a spesedello stato in quanto benefattore della città, accettò la condan-na a morte, rifiutando le successive offerte di fuggire per aversalva la vita e, dopo un mese di prigionia, bevve con impertur-babile dignità la cicuta che lo uccise nel 399 a.C.

Socrate non lasciò nulla di scritto; pertanto, ci si deve rifarea testimonianze dirette e indirette, le piú importanti delle qualisono quelle dell’allievo Platone, che però inizialmente tese aesaltare il maestro e, successivamente, utilizzò molto spesso neisuoi Dialoghi la figura di Socrate per esporre sue teorie; si deb-bono ricordare anche le testimonianze di Senofonte, che ebbe illimite di essere un letterato e di ridurre Socrate a un semplicesaggio; del commediografo Aristofane, che cercò di ridicolizza-re il filosofo ponendolo come modello dei peggiori sofisti; diAristotele, che però aveva l’abitudine di reinterpretare i filoso-fi di cui parlava e che, inoltre, nacque quasi vent’anni dopo lamorte di Socrate; e dei «socratici minori», discepoli di Socrateche interpretarono in maniera diversa da Platone le parole delmaestro, ma dei quali si hanno scarse informazioni. Si deve,quindi, desumere da tutta questa massa di informazioni ciò chesicuramente o probabilmente è il pensiero di Socrate, eliminan-do tutto ciò che è falso, nella consapevolezza che non si potran-no mai delineare con certezza tutte le sfumature del pensiero delfilosofo ateniese.

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Per Socrate, il filosofo e, in generale, l’uomo devono cerca-re la verità e il bene. Socrate affermava, contro i sofisti, che laverità esiste e bisogna ricercarla, anche se egli affermava sem-pre di non possederla: è celebre la sua affermazione, «so di nonsapere»; e quando, al riguardo, lo informano che l’oracolo diDelfi, alla domanda su chi fosse il piú sapiente della Grecia,aveva risposto: «Socrate», il filosofo spiegò che allora – vistoche l’oracolo non può sbagliare – si deve considerare sapientecolui che riconosce che la sua sapienza umana, in verità, non hanessun valore. In questo ragionamento è implicita la condannacontro tutti coloro che si arrogavano il diritto di essere sapientiin qualcosa e si attaccavano ai propri pregiudizi. Attraverso unmetodo basato su un dialogo serrato fatto di rapide domande erisposte, Socrate intende svergognare questi falsi sapienti. Ilprimo momento del procedimento socratico è l’ironia: Socratesi rivolge ai “sapienti” manifestando deferenza, professandouna profonda ignoranza e chiede di essere da loro istruito,ponendo domande precise. Queste persone, lusingate, per dimo-strare la loro sapienza, rispondono e seguono il ragionamento diSocrate che, dopo altre lodi ironiche, inizia a insinuare qualchepiccola obiezione; è questo il momento della confutazione:dopo una lunga serie di assensi, apparentemente ovvi e innocui,i cosiddetti sapienti si trovano a contraddire quanto avevano inprincipio sostenuto dimostrando, in realtà, di essere solo dei“falsi sapienti”.

Dopo questa fase distruttiva, inizia la pars costruens con ladomanda «che cos’è?» una determinata cosa, generalmenteriguardo problematiche morali (per esempio, la virtú, il bene, lagiustizia). Attraverso il che cos’è?, Socrate intende definireconcetti universali, conoscenze valide per il maggior numeropossibile di persone. A questo punto l’opera di Socrate procedecon la sua attività piú importante: la maieutica (ossia il mestie-

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re di sua madre, l’ostetricia, l’arte della levatrice) riferita non aibambini, ma alle idee degli individui con i quali dialogava. SeSocrate afferma di non sapere nulla, possiede però un metododialettico per aiutare a far venire alla luce le idee, i discorsi, leconoscenze degli uomini. Per questo Socrate continua a interro-gare tutti coloro con i quali entra in contatto, alla continua ricer-ca della verità, sapendo che non sempre i ragionamenti porte-ranno a conclusioni e che non si possono insegnare conoscenzespecifiche, ma solo un metodo di ragionamento. Socrate, dun-que, non insegnò dei contenuti o una techné, ma attraverso ildialogo e la maieutica “insegnava” agli interlocutori a riflette-re, ragionare e a “partorire” le proprie idee.

Chiedendosi che cos’è l’uomo, Socrate mette in pratica ilfamoso motto dell’oracolo di Delfi, «Conosci te stesso»: questolavoro di conoscenza interiore porta a dimostrare che l’uomonon è solo materia che sente stimoli e prova bisogni da soddi-sfare, ma possiede qualcosa in piú: l’anima (in greco psyché),che oltre ad animare i corpi, è la sede della coscienza e del pen-siero. È proprio nell’anima che l’uomo deve indagare alla ricer-ca della conoscenza dell’uomo e del bene, per armonizzare l’e-steriorità con l’interiorità. L’uomo non deve mirare a quellevirtú (areté) esteriori che erano tanto agognate dalla cultura edall’educazione (paideia) tradizionali (come la forza, il potere,la prosperità), ma deve aspirare alla libertà, che consiste nelcorretto agire morale che porta a fare il bene. Fare il bene signi-fica essere felici, e presuppone la conoscenza del bene stesso.Colui che conosce il bene non potrà non farlo; infatti, il male èun errore, chi fa il male si sbaglia, non conosce il bene; è perquesto che Socrate ritiene che la vita sia una continua ricercadella verità e del bene: come afferma nell’Apologia che «unavita senza ricerca non è degna di essere vissuta».

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Bibliografia essenziale:PLATONE, Apologia di Socrate, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1966;SENOFONTE, Apologia di Socrate, trad. it. in Socrate. Tutte le testimonianze,Laterza, Roma-Bari 1986;SENOFONTE, Memorabili, trad. it. Rizzoli, Milano 1989.

Letteratura critica:F. ADORNO, Introduzione a Socrate, Laterza, Roma-Bari 1973;G. REALE, Socrate, Rizzoli, Milano 2000.

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5Platone

La morte di Socrate, avvenuta nel 399 a.C., segnò il momen-to ultimo di una crisi culturale e politica che decretò in Ateneuna frattura nel rapporto fra intellettuale e società, il quale sisposta adesso dal piano della concreta esperienza socio-politicadella vita comunitaria a quello del puro pensiero. L’intellettualetrasferisce la propria riflessione sulla ricerca delle condizioni dipossibilità di una rigenerazione dello Stato e dell’esistenza indi-viduale e collettiva.

La situazione storico-politica ateniese vide la città sconfittadalla guerra del Peloponneso contro Sparta, e governata da unademocrazia appena nata (dopo i governi oligarchici instauratida Sparta), estremamente insicura, conservatrice, chiusa e dife-sa entro i confini dei valori tradizionali.

Platone (428-348 a.C.) nacque ad Atene, da famiglia di nobi-li. Decisivo fu l’incontro con Socrate (avvenuto circa nel 408a.C.), che lo introdusse al centro del dibattito culturale in Atene fraretorica e logica, politica ed etica.

Pare che Platone, dopo la morte di Socrate, avesse viaggiatoper qualche tempo; storicamente documentati furono i viaggieffettuati a Siracusa, dove strinse amicizia con Dione (cognatodel tiranno di Siracusa). Progettò di fare di Siracusa un labora-

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torio sperimentale del suo Stato ideale, ma non riuscí mai inquesta impresa. Nel 387 a.C. decise di istituire una scuola filo-sofica propria, l’Accademia. Abbandonato definitivamente ilsogno di realizzare lo stato ideale nella città siciliana, si stabilídefinitivamente ad Atene, e si occupò dell’Accademia fino allamorte, che lo colse nel 348 a.C.

Platone è il primo filosofo della storia di cui si possiedanopressoché tutte le opere, esposte in forma elegante e coerente.Le sue opere (prevalentemente Dialoghi, cioè conversazionifatte di domande e risposte, nei quali Socrate è spesso presentecome personaggio principale), sono divise in nove “tetralogie”(cioè, gruppi di quattro), seppure alcune di dubbia autenticità, edivisibili cronologicamente – dopo notevoli studi stilistici econtenutistici, tutt’ora aperti – in dialoghi giovanili o del grup-po socratico (Apologia, Eutifrone, Critone, Carmide, Lachete,Ione, Protagora, Eutidemo, Repubblica libro I, Gorgia), dialo-ghi della maturità o del gruppo ideale (Cratilo, Menone,Convito, Fedone, Repubblica libri II-X, Fedro) dialoghi dellavecchiaia o dialettici (Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico,Filebo) e opere pitagorizzanti (Timeo, Crizia, Leggi).

Se il dialogo – come strumento – è parte integrante del meto-do platonico, non minore importanza ha l’uso del mito, un tipodi linguaggio diverso dalla quello della tradizione, e che ha ilcómpito filosofico di aiutare e spiegare il lavoro del lógos, sti-molando l’immaginazione dell’ascoltatore. I miti sono narra-zioni fantastiche utilizzate per spiegare in maniera semplice eintuitiva complesse teorie filosofiche.

L’analisi filosofica di Platone comincia con l’accusa allademocrazia della pólis ateniese di essersi macchiata dell’intol-lerabile colpa di aver condannato a morte Socrate. Per questoPlatone scaglia la sua pesante critica, attraverso il personaggio-Socrate ai sacerdoti che elaboravano una ritualistica e una reli-

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gione superficiali e formali, ai poeti, falsi educatori e ai sofisti,che pretendono di insegnare la virtú, senza però conoscere lamorale, la giustizia e nemmeno il bello e il bene, ritenuto verofine e significato della realtà, ciò verso cui essa è orientata.Bisogna pertanto educare alla virtú, alla felicità, al bene.

Se Platone procede dal suo maestro, intende anche superar-lo, per trovare una risposta a cos’è il bene, il giusto, il bello:individuare, in sostanza, l’esistenza di una realtà indubitabile,certa e sicura.

La sua dottrina divide la realtà in due dimensioni completa-mente diverse e separate (per quanto in rapporto fra loro): unaè quella del mondo materiale, concreto, continuamente mutevo-le e in divenire, l’altra è quella del mondo ideale, il mondo delleIdee, o dell’iperuranio, un mondo al di là delle cose fisiche,eterno, immodificabile, immateriale, non sensibile.

Le idee indicano le caratteristiche generali, universali dellecose concrete. Tutte le cose concrete (per esempio un cane)sono le copie, imitazioni (“imitazione”, in greco, si dice míme-sis) delle idee, di cui condividono gli aspetti universali (il canein sé, l’idea del cane di cui tutti i cani particolari partecipano: lacaninità). L’idea universale è una realtà inintelligibile, che puòessere còlta solo tramite il pensiero. L’idea è la vera realtà supe-riore, la forma, il modello, l’archetipo perfetto. Sia tutta la real-tà concreta, sia quella astratta, cosí come tutte le azioni, parte-cipano (partecipazione, in greco, méthexis) delle idee universa-li (per esempio, un’azione giusta partecipa dell’idea di giusti-zia). Le idee esistono in un mondo ultraterreno, sovrasensibile,l’iperuranio, nel quale esse sono organizzate in maniera gerar-chica, con in cima (come la punta di una piramide) l’idea checomprende, unifica tutte le altre, l’idea del bene.

Essendoci due mondi, quello terreno (la copia) e quello delleIdee (vero), gnoseologicamente, vi sono anche due modi diffe-

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renti di conoscere (l’opinione – la dóxa – e la conoscenza vera,la sapienza – la sophía) e due differenti valori, per cui il mondodelle idee è il solo vero, bello e buono.

Per approfondire ed esemplificare la teoria della conoscenza,Platone, nella Repubblica, utilizzò il celebre “mito della caver-na”: si deve immaginare una caverna dove sono seduti, con lespalle rivolte all’ingresso, incatenati e immobili, degli uomini,che possono guardare solo il fondo della caverna; fuori c’è unmuro oltre il quale camminano delle persone che sorreggono dellesagome; dietro di loro c’è un fuoco che illumina e proietta sullaparete della caverna delle ombre; per i prigionieri le ombre sonotutta la realtà; se qualcuno potesse liberarsi e uscire, in un primomomento rimarrebbe abbagliato dalla luce esterna, e, sconcertato,vorrebbe tornare indietro, poi scoprirebbe la vera realtà; gli uomi-ni sono come quei prigionieri che scambiano le ombre (la realtàfenomenica) per la realtà vera (illuminata dall’idea del bene); ilfilosofo è come chi si è liberato dalle catene della sensibilità eattraverso l’intelligibilità scopre la vera realtà ideale e, dopo unprimo momento di smarrimento, non vuol piú tornare indietro ecapisce di avere il cómpito morale di liberare tutti gli uomini.

L’uomo, per conoscere il vero, il bene, le idee, non devecostruire una verità che non esisteva prima, ma deve semplice-mente ricordarsi, svelare una realtà già esistente, che è nasco-sta, ma posseduta da ogni uomo. Le idee, cioè, preesistono, nonnella realtà sensibile, ma in un’altra dimensione (il mondo delleIdee), nella quale l’anima dell’uomo le ha potute conoscereprima di nascere e le ha dimenticate nel momento in cui è venu-to al mondo; cosicché l’uomo non deve fare altro che ricordareciò che si è imparato prima di nascere. Allora l’esperienza sen-sibile (anche se è di valore inferiore a quella intelligibile – delleidee –, non è però totalmente senza valore) ha il compito di sti-molare il ricordo (vedendo le cose concrete, compiendo azioni,

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si recupera la conoscenza delle idee). Al proposito è celebre l’e-pisodio dello schiavo, narrato nel Menone, che, dialogando conSocrate, riesce a trovare complesse verità matematiche, seppurnon istruito.

L’uomo può ricordare le idee perché è unità di corpo (sôma)e anima (psyché), che è immortale e dà vita al corpo e allamorte, l’anima si distacca e ha un destino indipendente dalcorpo, andando a reincarnarsi (riprendendo la dottrina dellametempsicosi di discendenza orfico-pitagorica) in altri corpi.Attraverso il famoso mito dell’auriga, esposto nel Fedro,Platone narra il “viaggio” dell’anima nell’al di là, una voltaseparata dal corpo, di come essa conosce le idee e come vienea reincarnarsi: l’anima è come un cocchio, trainato da duecavalli alati, uno bianco, docile agli ordini dell’auriga (simbolodegli impulsi buoni e razionali) e uno nero, ribelle (simbolodelle passioni carnali e mondane); quando domina il cavallobianco, il cocchio vola nel mondo delle idee e partecipa di esse,quando domina quello nero, l’anima cade sulla terra, perde leali e si incarna nei corpi. Per questo l’uomo deve tendere tuttala vita a riscattarsi, a purificarsi interiormente della caduta sub-íta e, liberatosi dalle passioni, giungere alla contemplazionepura delle idee, per arrivare a quella piú bella e piú buona: l’i-dea del bene. Anche l’amore (éros) può aiutare a raggiungere lasapienza (sophía), perché chi ama, disprezza il piacere fisico esi innamora dell’anima tentando di educarla, cioè di renderlamigliore. Tendere a migliorarsi, a compiere azioni giuste, aprendere decisioni razionali, cercare il bene in terra è un cóm-pito estremamente importante dell’uomo e dell’educazionedella società, perché nell’al di là – come racconta il mito di Ernella Repubblica, a dimostrazione dell’immortalità dell’anima– gli individui saranno gudicati dopo la morte e riceverannopremi e ricompense o castighi e punizioni a seconda della scel-

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te compiute e di come si sono comportati in vita; pertanto gliuomini possono scegliere una vita caratterizzata dalla virtú edalla felicità. Questo mito ha un alto valore pedagogico perchéinsegna che gli uomini devono essere educati a compiere attibuoni e a compiere scelte giuste.

Per rispondere a qual è il rapporto fra il mondo terreno equello delle idee, fra finito e infinito, fra uno e molti, fra limitee illimitato, Platone ricorre all’opera del Demiurgo, cioè unartefice divino che non crea le cose dal nulla, ma che ha datoorigine all’universo ordinando, organizzando la realtà materia-le in base al modello perfetto dell’iperuranio, secondo un pro-cesso di imitazione. Il Demiurgo è buono e ha cercato di creareil cosmo, ispirandosi al modello eterno delle idee, perché fosseil piú bello e perfetto possibile. Come un artista, il Demiurgo haoperato al meglio sulla materia, ma l’opera non è perfetta comeil modello ideale imitato per la pre-esistenza (oltre che di ideee materia) di una seconda causa, la chóra (traducibile con“ricettacolo”, “matrice”, il cui significato, però, si avvicina aquello di “non essere”, in quanto mancanza), che impedisce unacopia identica all’originale. Per questo il mondo terreno tende ariprodurre quello ideale e a essere il migliore possibile; quindisarà animato (vi è un’anima del mondo), in quanto ciò che èvivo è piú bello di ciò che è inanimato; l’iperuranio è eterno,allora nel cosmo vi sarà il tempo che è definito “un’immaginemobile dell’eternità”, perché il mondo terreno essendo genera-to ha un inizio e non può essere eterno, pertanto con il tempo siavvicinerà il piú possibile all’eternità. Il rapporto tra mondodelle idee e mondo terreno è dunque un rapporto di imitazione,pertanto si capisce meglio la svalutazione (che peraltro va ridi-mensionata) dell’arte effettuata da Platone: se il mondo terrenoè una copia del mondo ideale, l’opera d’arte, che è una imita-zione degli oggetti del mondo materiale, è imitazione di imita-

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zione, imitazione di secondo grado, quindi molto distante dallaperfezione delle idee.

Come si è visto, Platone comincia a filosofare condannandola pólis di Atene per aver voluto la morte di Socrate; pertanto,se il governo ateniese ha sbagliato è necessario progettare unostato con un ordinamento politico diverso e idealmente perfet-to. È quello che elabora nella Repubblica, nella quale immagi-na che la giustizia dello Stato si regga sulla divisione in tre clas-si sociali, ognuna con il proprio ruolo: i produttori (nella cuianima prevale l’aspetto concupiscibile, e sono quindi “plasma-ti con metalli vili”) lavorano; i guardiani (dall’anima irascibi-le, “plasmati con l’argento”) difendono; i filosofi (dall’animarazionale, “plasmati con l’oro”) governano e educano il popoloper il bene di tutti, scegliendo, in base alle doti innate di ciascu-no (cioè a quale parte dell’anima è piú sviluppata) a quale clas-se destinare gli individui, rimanendo sempre possibile il passag-gio da una classe all’altra qualora si mostrassero sviluppatenuove caratteristiche.

Nella Repubblica, assieme al suo ideale politico, Platoneespose anche il suo ideale pedagogico. Poiché il fine pedagogi-co massimo è educare al bene collettivo e alla rinuncia di ogniindividualismo, egli propose una educazione svolta in comune,in cui si condivida ogni cosa, persino le donne. Ciascunodovrebbe fare al meglio ciò per cui è piú portato (per questo èstato definito aristocratico, perché devono governare i migliori,i piú idonei a farlo). I bambini dunque verrebbero cresciuti tuttiinsieme, in comune (sottratti ai genitori naturali, che non sannoquali siano i propri figli). Responsabili dell’educazione sono ifilosofi-governanti i quali si occupano soprattutto delle classidei guardiani-difensori e dei filosofi. Platone non mostrò parti-colare interesse educativo per la classe dei produttori, che deveprovvedere unicamente alle necessità economiche.

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L’educazione è quindi inutile, e tutto ciò che serve è la forma-zione professionale, alla quale provvede la famiglia, o la corpo-razione di appartenenza. Una istruzione superiore porterebbesolo a non voler piú svolgere il compito assegnato, causandodisagio e disordine sociale.

Per l’educazione dei guardiani, Platone guarda in parte almodello spartano: alla nascita, i bambini vengono prelevatidalle famiglie per essere inseriti in comunità statali. Dopo iprimi due anni, che prevedono l’ascolto della musica e la lettu-ra delle fiabe, a 7 anni comincia l’educazione vera e propria, lacui prima fase prosegue fino a 18 anni. Le discipline sono:musica (che comprende tutte le arti legate alle Muse: strumen-to musicale, canto, declamazione, poesia) e ginnastica (scher-ma, corsa, marcia, tiro con l’arco, esercitazioni militari). Questaeducazione è proposta anche per le donne. Dai 18 ai 20 annisono previsti due anni di efebía, il servizio militare.

Mentre i guardiani, a questo punto, concludono il loro itereducativo, per i filosofi si prevede una formazione piú lunga:dai 20 ai 30 anni la disciplina studiata sarà la matematica, laquale, per il suo aspetto formale, non legato al mondo fisico,avvicina al mondo delle idee; dai 30 ai 35 anni è previsto lo stu-dio della dialettica, intesa come discussione e contemplazionedella verità razionale pura. Seguono 15 anni di tirocinio, in cuiil filosofo partecipa alla vita politica e sociale della polis. A 50anni si conclude il cammino formativo del governante, il quale,a questo punto, potrà svolgere saggiamente il proprio compito,essendo in grado di prendere decisioni sagge per la vita dellacomunità.

Bibliografia essenziale. Opere di Platone:La Repubblica, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1966;

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Fedro, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1966;Menone, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1966.

Letteratura critica:F. ADORNO, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 1978;G. REALE, Platone, Rizzoli, Milano 1999.

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6Aristotele

L’originalità di Aristotele (384-322 a.C.), rispetto a Platone,consiste nel concepire la filosofia come attività scientifica arti-colata in un sistema di discipline diverse e mirante ad abbrac-ciare tutti gli aspetti della realtà.

Abbiamo visto come per Platone, dato il suo interesse poli-tico-educativo, l’idea pedagogica si rendesse esplicita fino adiventare oggetto di una trattazione analitica in virtú della rela-zione tra utopia politica e sistema formativo (condizione dellasua concreta realizzazione storica). Solo un’educazione nuova(dei custodi perfetti) avrebbe potuto edificare il nuovo Statosecondo giustizia. Aristotele, al contrario, non ha utopie, e miraad una analisi del reale che porti alla costruzione di una peda-gogia fondata sulle caratteristiche psicologiche, etiche e socio-logiche dell’uomo. La paideia, con Aristotele, allarga il suoorizzonte agli interessi scientifici, ma non interrompe la lineacontinua dell’idea educativa tradizionale, ancorata all’etica ealla politica.

Aristotele nacque a Stagira, città macedone colonizzata daigreci, da padre medico, Nicomaco. Aristotele si interessò all’os-servazione dei fenomeni naturali. Rimase orfano da piccolo etrovò ospitalità presso Prasséno, il quale nel 367 a.C. lo iscris-

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se all’Accademia di Platone. Il piano di studi dell’Accademiaprevedeva: matematica, geometria, astronomia, medicina.Aristotele fu promosso abbastanza presto docente di retorica: inun primo momento rimase vicino alle posizioni di Platone, suc-cessivamente, nel 353 a.C., con l’opera Sull’anima iniziò aprendere le distanze da Platone, precisamente sul modo diintendere le idee.

Nel 342 a.C., Filippo di Macedonia lo chiamò alla cortemacedone, come precettore del figlio Alessandro (futuroAlessandro Magno; si vedrà poi che il disegno messo in atto daAlessandro seguirà direzioni opposte a quelle di Aristotele).

Nel 335 a.C., quando Alessandro fu il dominatore indiscus-so della Grecia, Aristotele Fondò ad Atene un grande ginnasiopubblico, il Liceo (perché sacro all’Apollo Licio). Il Liceoaveva un giardino e una passeggiata (perípatos), di cuiAristotele fece uso per le sue lezioni, segnando il suo distaccodefinitivo dall’Accademia.

Nel 323 a.C., alla morte di Alessandro, Aristotele dovettelasciare Atene sotto l’accusa di empietà, e si trasferí a Calcide,dove morí l’anno seguente.

Il corpus delle opere di Aristotele comprende 6 gruppi diopere:

1) scritti di logica (Organon = strumento): Categorie, DeInterpretazione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici,Confutazioni sofistiche;

2) scritti di filosofia della natura o fisica: Fisica, De caelo; 3) I 14 libri sulla Metafisica;4) opere scientifiche, di biologia, di metereologia, di psico-

logia: De anima, Della degenerazione e corruzione, Piccolitrattati di storia naturale, Parti degli animali, Riproduzionedegli animali;

5) opere morali e politiche: Etica Nicomachea, Etica

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Eudemia, Grande Etica (opera spuria, sintesi delle due eticheprecedenti), Politica, Trattato sull’economia, Costituzionedegli Ateniesi;

6) opere di Retorica e Poetica.

Aristotele iniziò il suo lavoro filosofico criticando la teoriadi Platone, in particolare la dottrina delle idee. Per Aristotelenon esistono idee separate dalle cose; al contrario, le idee risie-dono nelle cose, sono i caratteri universali delle cose stesse,sono le caratteristiche comuni a piú cose. Da qui Aristotele ela-bora la sua teoria delle «categorie», cioè dei generi piú ampidelle predicazioni delle cose, i quali si distinguono in base alledomande che si possono porre riguardo le cose: se si chiede«che cos’è?» si tratta della categoria di sostanza, se «quale?»,la categoria qualità, e cosí via per quantità, relazione, luogo,tempo, agire, subire, stare, avere. Alla nozione di sostanza siconnette quella di accidente, ciò che in una cosa è variabile enon essenziale (per esempio che una persona sia al sole oall’ombra è un fatto accidentale, che non modifica la sostanzadella persona). La sostanza negli individui concreti è l’unionedi materia e forma nel sinolo (che significa «tutto insieme»),nel quale vi è un primato della forma, perché essa determina lamateria. In sé, separate, materia e forma non esistono, ma esi-stono sono negli individui reali.

Un’altra teoria fondamentale della filosofia aristotelica èquella riguardante i concetti di «potenza» e «atto», secondo laquale la potenza è la predisposizione di qualcosa ad assumereuna determinata forma, mentre l’atto è la realizzazione compiu-ta della forma nella cosa. Per esempio, il seme è in atto un seme,e in potenza una pianta, che è l’atto di quella potenza. La mate-ria è essere potenziale (possibilità di ricevere una certa forma);la forma è essere in atto (in essa si dispiega la potenzialità della

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materia). La sostanza, cioè ogni singolo ente, è sintesi di mate-ria-potenza e forma-atto.

Importante, poi, è la teoria delle cause dell’esistenza di unente, che Aristotele individua in quattro: causa formale, che è laforma, l’ordine interno alla cosa; la causa materiale, ciò di cuila cosa è fatta; la causa finale, il termine del processo attraver-so il quale la materia acquisisce una determinata forma; la causaefficiente, ciò che esternamente alla cosa realizza questo pro-cesso.

Con lo scritto Sull’anima, Aristotele vuole spiegare la vita intutte le sue forme. Per Aristotele, l’anima si divide in:

1) anima vegetativa (cioè spiega la vita del mondo vegetalee delle funzioni nutritive);

2) anima sensitiva (spiega i fenomeni della sensibilità, delpiacere, del dolore e del mondo animale);

3) anima razionale (è propria dell’uomo e ne spiega l’attivi-tà del pensiero).

Alla luce di quanto esaminato finora, l’antropologia aristote-lica risulta cosí strutturata:

- l’uomo è sinolo (etimologicamente significa “tutto insie-me”; cioè, sintesi di materia e forma);

- l’uomo è un individuo (essere sostanziale);- il corpo ha un suo spessore sostanziale, con propri bisogni

ed esigenze;- l’anima è sostanza nell’accezione piú forte dei significati

dell’essere, se è forma del corpo, e quindi sostanza, almeno perun certo aspetto, è autonoma.

Possiamo notare che in Aristotele viene a cadere la relazioneanima-corpo di Platone. L’uomo non è piú composto di elemen-ti antagonistici, il corpo non è la prigione dell’anima; l’uomo siconfigura ora come un organismo complesso, una sintesi di ele-

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menti in interazione tra loro. L’antropologia aristotelica costi-tuisce il primo modello di un soggetto educativo concreto, cala-to nel mondo biologico e sociale.

A differenza di Platone, per Aristotele la psiche va vista nellatotalità delle sue dimensioni: fisica-organica, sensitiva e intel-lettiva. Nell’uomo l’anima è una struttura unitaria portatrice didiverse funzioni, è atto di un corpo che ha vita in potenza.Questa interazione spiega i numerosi fenomeni psichici che ali-mentano l’esperienza umana. La psicologia di Aristotele èimportante perché costituisce il primo modello organico di unapsicologia che trova i propri fondamenti nella biologia (ciòpone la premessa in modo oggettivo per uno studio scientificodel soggetto da educare).

L’alunno, quindi, non va considerato solo come ente razio-nale, ma è assunto come concreta individualità razionale e cor-porea, con bisogni che riguardano tutto il suo essere. Se ogniente ha come fine quello di attualizzare la propria forma, l’indi-viduo umano tende ad attualizzare le proprie funzioni organi-che, sensitive ed intellettive. L’istruzione e l’educazione sonoattività che assecondano un processo di sviluppo che è natural-mente attivo, la cui efficacia dipende sia dalle attitudini dell’in-dividuo che dalle stimolazioni dell’ambiente. Aristotele ha un’i-dea di educazione intesa come processo attivato dall’interno delsoggetto. All’inizio l’individuo non è portatore di alcun sapere,e giunge alla conoscenza attraverso gli organi di senso e l’intel-ligenza, assimilando forme sensibili e intelligibili.

Abbiamo quindi due gradi del conoscere:1) sensazione, che richiama il processo di assimilazione

materiale propria dell’anima sensitiva;2) conoscenza intellettiva, che induce le forme sensibili

(immagini) a forme intelligibili (idee, concetti).

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L’apprendimento, dunque, è un processo che va dal partico-lare all’universale, dal concreto all’astratto, dal sensibile almentale (induzione). Il risultato dell’apprendimento è l’espe-rienza, che dal punto di vista statico è patrimonio di dati acqui-siti, e dal punto di vista dinamico è il processo di apprendimen-to.

Una buona educazione, perciò, è quella che sviluppa l’utiliz-zo della razionalità e l’esercizio di esperienza.

La virtú, per Aristotele, non riguarda però solo la dimensio-ne razionale, ma tutte le dimensioni personali che intervengononella condotta. La ragione si pone come principio di mediazio-ne, di equilibrio tra passione e razionalità.

Principio etico fondamentale è quello del giusto mezzo, cheè criterio metodologico dell’educazione. Questa “medietà”,come è stata definita, non è da confondersi con la mediocrità,dato che proprio in essa si esplica l’eccellenza del valore mora-le. Il “mezzo” è sempre riferito al soggetto che agisce in deter-minate circostanze, variabili e contingenti. La virtú sta in que-sta disposizione, efficace per la scelta di una condotta interme-dia, che eviti gli eccessi e i difetti passionali. Sul campo di bat-taglia, per esempio, vanno evitati sia l’eccesso di passione (latemerarietà) che il difetto (viltà); di fronte ai piaceri, il giustomezzo sarà quell’atteggiamento fra l’incontinenza sfrenata el’insensibilità disumana. Riguardo all’ira, Aristotele indica lavirtú della “gentilezza”, che evita gli inopportuni eccessi di col-lera ma non esclude il giusto adirarsi per le eventuali offesericevute.

Questa è la condotta che permette all’uomo di raggiungere ilproprio fine piú alto, la felicità, il quale non va confuso con idiversi fini particolari, raggiungibili attraverso condotte speci-fiche (ad esempio, studio al fine di essere un bravo insegnante).L’uomo deve quindi esercitarsi a compiere buone azioni, razio-

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nali, che mantengono un giusto mezzo per raggiungere il fineeducativo della ricerca della felicità. Il fine etico, quindi finedell’educazione, è il bene dell’uomo in due direzioni:

1) direzione conoscitiva (contemplazione riservata a pochiprivilegiati, i filosofi), che mira al sapere come bene supremodell’uomo, bene che permette di realizzare al meglio la proprianatura di essere razionale. Il fine dello sviluppo umano saràallora il tendere alla conoscenza nella sua forma piú elevata.

2) direzione pratica, che si esplica non nella contemplazione,ma nel concreto agire all’interno della società, ad esempio nellasfera politica.

Nella Politica, Aristotele definisce l’uomo un animale poli-tico, un animale sociale, che realizza cioè se stesso all’internodella polis, la comunità della quale fa parte. Il bene per il sin-golo, quindi, coincide con il bene per la polis, a tal punto che inAristotele manca quella che possiamo definire “dimensioneindividuale”, una visione dell’uomo non inserito nella società.Una volta definite le scienze necessarie per il buon funziona-mento della polis (strategia, economia, retorica), Aristoteleindica le possibili forme di governo, le quali risultano essere:

1) politeia, il governo di molti; 2) aristocrazia, il governo di pochi (gli aristòi, in greco i

“migliori”);3) monarchia, il governo di uno solo.Queste, se mal interpretate, possono degenerare rispettiva-

mente in:1) democrazia, quando a dominare sono la confusione e la

demagogia, che impediscono un governo razionale;2) oligarchia, quando i pochi che detengono il potere non

sono i migliori, ma i piú ricchi, che perseguono solo i propriinteressi;

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3) dittatura, situazione politica in cui l’unico governante nongode del favore dei sudditi, ha usurpato il potere e lo usa a pro-prio esclusivo vantaggio.

Come si vede, per Aristotele non è tanto importante qualeforma di governo venga adottata, quanto piuttosto che essa siacorrettamente messa in atto, e che si riveli quindi utile a perse-guire il bene supremo: la felicità dell’uomo.

Bibliografia essenziale. Opere di Aristotele:Dell’anima, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1973;Etica nicomachea, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1973;Politica, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1973.Letteratura critica:G. REALE, Introduzione a Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1974;E. BERTI (a cura di), Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1997.

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7L’ellenismo

Con la morte di Alessandro Magno, imperatore macedone,nel 323 a.C., ebbe inizio l’ellenismo, durante il quale, per tresecoli, si assistette a un’enorme diffusione della cultura e dellalingua greche in buona parte del mondo allora conosciuto, daiconfini con l’India alle coste dell’Africa, fino in Spagna.Questa età conobbe anche una profonda crisi, fatta di lotte eviolenze politiche e sociali, che sfaldarono il grande ImperoMacedone, fin quando Roma conquistò tutti i regni ellenistici,nel 37 a.C.

Si registrarono grandi cambiamenti nella società, a livelloeconomico, politico e culturale, determinati dall’accresciutolivello degli scambi. Questo portò a un accrescimento di ric-chezza e potere, che si concentrarono però nelle mani di pochefamiglie privilegiate. Una conseguenza derivata dalla vastitàdelle proporzioni raggiunte dal territorio dell’impero fu lascomparsa dell’attaccamento alla patria, determinato dal fattoche gli uomini non si sentivano piú legati ad una polis, maappartenenti ad un grande impero, che includeva tutto il mondoallora conosciuto.

La crisi della civiltà greca sarà sentita e vissuta tragicamen-te dagli intellettuali e dai filosofi, i quali si distaccarono sempre

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piú dalle vicende politiche, delusi dalla vita della polis, allaricerca di una forma di felicità individuale, privata. Le filosofieellenistiche, che ebbero larga diffusione e sviluppo nel mondoromano, abbandonarono le speculazioni metafisiche, interessa-te maggiormente alle questioni etiche e morali. Le scuole filo-sofiche piú importanti furono l’epicureismo, lo stoicismo e loscetticismo.

L’epicureismo si sviluppò nella scuola di Epicuro di Samo,chiamata il Giardino (aperta anche agli schiavi e alle donne),elaborando una filosofia concentrata sulla ricerca della felicitàche fu portata avanti nel mondo romano in particolare daLucrezio, autore del De rerum natura.

La visione del mondo di Epicuro è chiaramente materialisti-ca. Da un punto di vista della fisica, egli riprende la teoriademocritea dell’atomismo, secondo la quale il mondo è costi-tuito di atomi e di vuoto in modo da permettere il movimentodegli atomi e l’incontro e l’aggregazione di essi in corpi, secon-do la teoria della paránklisis o clinamen (rispettivamente ingreco e in latino: «deviazione»). L’aspetto piú importante delpensiero epicureo è l’etica, basata sulla ricerca della felicitàintesa come ataraxia, cioè imperturbalità, assenza di turbamen-to, per cui il piacere è assenza di dolore (aponia); pertantoanche la morte non è un male, in quanto assenza di dolore; diconseguenza non bisogna temere la morte, perché, come diceEpicuro nella Lettera a Meneceo, quando c’è lei non ci siamonoi e quando ci siamo noi non c’è lei. Il piacere è un attimolimitato, pertanto l’uomo deve cercare una felicità finita, terre-na, in questa vita, e non deve aspirare a una vita eterna, che èun’illusione; dovrà cercare di vivere bene, e per realizzare que-sto fine eviterà ogni preoccupazione, turbamento, cercando unavita appartata, solitaria, isolata, lontana specialmente dalla poli-tica (è famoso il motto «vivi nascosto!»), in compagnia degli

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amici (persone scelte liberamente, con cui trascorrere piacevolimomenti dialogando e conversando), concentrandosi sull’inte-riorità ed evitando desideri superflui, non necessari e non natu-rali.

Per Epicuro gli dèi esistono, ma vivono separati, lontanodagli uomini e dalle loro preoccupazioni e disinteressati dellevicende terrene, negli intermundia, gli spazi vuoti fra un mondoe l’altro; questo è dimostrato dall’esistenza del male in terra,perché se esiste il male, allora o gli dèi non lo vogliono elimi-nare e allora sono malvagi, o non possono evitarlo e allora sonoimpotenti; ma tutto ciò è in contraddizione con l’esistenza deglidèi, che non possono essere né malvagi, né impotenti. In realtàl’uomo è un essere finito, solo in un mondo finito, e qui devecercare di costruire la propria felicità. La visione degli dèi chevivono beati, in mondi separati, sembra essere la sublimazionedel desiderio di Epicuro di vivere separato, lontano dai turba-menti, dagli eventi del mondo e della società.

Lo stoicismo ebbe la sua origine antica nel III secolo a.C. peropera di Zenone di Cizio, Cleante e Crisippo, per poi sviluppar-si in uno «stoicismo di mezzo», con Panezio e Posidonio e, aRoma, nella «Stoa nuova», con Seneca, Epitteto e MarcoAurelio.

Il nome stoicismo deriva dal nome della scuola, il Portico (ingreco stoá, piú precisamente stoá poikylé, “portico dipinto”)fondata da Zenone attorno al 300 a.C.

Proponendo una visione immanentista e panteista del mondo(animato), che coincide con Dio, inteso come il lógos, la legge,l’ordine razionale interno alla realtà che la guida nel suo svilup-po, gli stoici sono fermamente convinti dell’esistenza del desti-no, della provvidenza che guida la natura e le vicende umaneverso il bene e il meglio.

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Originale e importante è la logica stoica, spesso in opposi-zione e contraddizione con quella aristotelica, dalla quale si dif-ferenzia perché non analizza termini, ma proposizioni (è, per-tanto, una logica proposizionale e non formale), basate su fattireali, empirici, che debbono essere verificati dall’esperienza.

L’etica stoica ricerca la filosofia nella saggezza, che consistenell’atarassia (assenza di turbamento) e nell’apatía (assenza dipassioni, imperturbabilità anche di fronte agli eventi piú gravi),e si propone di vivere secondo natura, di adattarsi al lógos delmondo, allo sviluppo degli eventi, al corso delle cose; solo cosísi può raggiungere la felicità, ispirandosi alla ragione e allavirtú, la quale è premio a se stessa. Le azioni autenticamentevirtuose sono quelle la cui intenzione è completamente pura,finalizzata a se stessa e sono compiute per il solo fine di perse-guire la virtú. Lo stoico, inoltre, non si oppone al destino, accet-tando serenamente ogni evento, compresa la morte: se si rendeconto che la soluzione piú razionale da adottare è il suicidio,egli non esita a metterlo in atto (come hanno fatto in età roma-na molti filosofi stoici, tra i quali, famoso, è il caso di Seneca).

Lo scetticismo (dal greco sképsis, percezione, osservazione,ricerca) nacque per opera di Pirrone di Elide (perciò si parlaanche di «pirronismo»), e viene proseguito da Timone,Arcesilao, Carneade e, nel mondo romano, da Sesto Empirico.

Punto fondamentale di questa dottrina è l’affermazionesecondo cui nulla è vero in senso assoluto; tutte le teorie posso-no essere sottoposte a critica, e dimostrare cosí i loro puntideboli. Per questa via si arriva a rifiutare il linguaggio comeveicolo di conoscenza, tanto radicalmente da proporre l’afasía(cioè l’assenza di discorso), e l’epoché, la “sospensione del giu-dizio”.

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Alcuni stoici opposero agli scettici una critica alle posizionipiú radicali, perché se si afferma che “nulla è vero”, si cade inun circolo vizioso, per cui almeno una verità esiste, cioè la veri-tà di questa affermazione.

Durante quel periodo storico che va dal II-III fino al VI-VIIsecolo d.C., che in passato era considerato solo come età didecadenza, si sviluppò un pensiero ampiamente impregnato diproblematiche religiose: dalla filosofia giudaica (il cui massimoesponente fu Filone di Alessandria), allo gnosticismo (da gno-sis che significa “conoscenza”; non fu un sistema definito didottrine, con un autore specifico, ma una varietà di opinioni suproblematiche cosmogoniche, antropologiche e soteriologico-escatologiche), fino a giungere – attraverso il medio-platonismo– al neo-platonismo di Plotino (205-270) e del suo allievoPorfirio (233/234-305). Fin dalle origini queste nuove tenden-ze filosofico-religiose mostrano l’intento di rinnovare il paga-nesimo ellenico, avendo ricevuto influssi di credenze orientaliegizie, caldaiche e giudaiche, presentano un notevole accentomistico ed estatico. Verso la fine del I secolo a.C., probabilmen-te l’Accademia platonica cessò la sua attività. Il platonismocontinuò però per molti secoli la sua diffusione trovando inAlessandria il suo maggior centro di propagazione.

Nell’età ellenistica la paideia greca assunse la sua formadefinitiva; tale termine indicò non piú il processo educativo, mail suo risultato, il contenuto culturale che viene trasmesso.L’ordinamento scolastico che si affermò in questo periodocostituí una razionalizzazione delle forme e delle strutture edu-cative: venne colmato il vuoto esistente tra il corso elementaree quello superiore, con una connotazione precisa del corsosecondario. Particolare importanza assunse l’insegnamento

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della lingua, sia la lingua madre che quella greca, vista comelinguaggio comune per le diverse popolazioni dell’impero, allequali si insegnò una lingua che era un adattamento del grecoclassico.

Lo sviluppo educativo si venne a suddividere in varie fasi.Educazione familiare, fino ai 7 anni, durante i quali il bam-

bino veniva affidato alla famiglia, alle cure della madre che sioccupava dei problemi igienici e dello sviluppo biologico.Nelle famiglie aristocratiche, alla madre si univa una schiavache poteva adempiere a funzioni di nutrice ed educatrice.

Educazione primaria, dai 7 fino ai 14 anni, durante i quali ilbambino entrava a scuola, la quale poteva avere carattere pub-blico, ma solitamente era privata. Le figure deputate all’educa-zione erano il maestro (didàscalos) e l’insegnante di lingua(grammatistès). Il primo trasmetteva un’educazione generica,non aveva alcuna qualifica professionale e godeva di un presti-gio sociale bassissimo, mentre il secondo, che cominciava l’in-segnamento solo quando l’allievo aveva 12-13 anni, insegnavalettura e scrittura, adottando un metodo mnemonico, basatosulla ripetizione, la declamazione, e l’uso di punizioni corpora-li: si diffuse l’uso della verga. Il materiale didattico era ancorapressoché assente. Un’altra figura rilevante per l’educazionedel giovane era quella del paidagogòs, termine che inizialmen-te designava uno schiavo incaricato di accompagnare l’allievoa scuola, e poi passò a indicare il tutore domestico, il qualeaveva anche un ruolo di supporto alla formazione degli alunniaffidatigli. Spesso divenne piú importante del maestro, superan-dolo per importanza e prestigio.

Educazione secondaria, dai 14 ai 18 anni, che fu caratteriz-zata per il ruolo privilegiato che veniva attribuito all’insegna-mento letterario, a quello della grammatica e della geometria. Iltermine coniato in questo periodo fu quello di enkyklios paideia

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(cultura enciclopedica): intendeva definire l’idea di una forma-zione generale, che però nei fatti si arrestava allo studio dellalogica, della lingua e della letteratura. La figura scolasticadominante era quella del grammatikòs, insegnante di lingua,letteratura classica e poesia, a cui univa in maniera non moltoorganica materie complementari quali il calcolo, disegno, lamusica. Verso la fine dell’ellenismo prese il via la consuetudi-ne di dividere le materie in due gruppi: quello letterario, checomprendeva grammatica, retorica e dialettica, e quello mate-matico, che includeva aritmetica, geometria, astronomia emusica.

Piú ricco era l’insegnamento della ginnastica, che includevala corsa, la lotta libera (il famoso “pancrazio”) e le esercitazio-ni ginniche, e non era piú appannaggio dei soli aristocraticicome in precedenza. Queste discipline erano insegnate dalpedotríba, maestro di ginnastica e guida spirituale, a cui siaffiancò poi il gymnastés, l’allenatore sportivo vero e proprio.

Educazione superiore, che coincideva con l’età dell’efebía,intesa come momento di educazione del carattere, mentre l’edu-cazione fisica assunse esclusivamente carattere sportivo. Illivello degli studi superiori restava riservato ad una élite.

Il limite dell’ideale della formazione enciclopedica consi-stette nella sua astrattezza e nel suo formalismo. L’idea pedago-gica dell’età ellenistica, nondimeno, ebbe il pregio di aver postol’accento sulle dimensioni intellettuali ed etiche della formazio-ne della personalità. La dimensione estetica, affidata al disegno(disciplina inserita per la prima volta nel curriculum di studi) ealla musica, fu destinata a decadere poi attraverso i secoli, cosícome l’educazione fisica, che perse la sua importanza dimomento formativo.

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Bibliografia essenziale:A. LONG, La filosofia ellenistica, trad. it. il Mulino, Bologna 1991;G. GULLINI, L’ ellenismo, Jaca Book, Milano 1998;C. LÉVY, Le filosofie ellenistiche, Einaudi, Torino 2002.

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8Cenni sull’educazione nella cultura romana

Nel 168 a.C. i romani conquistarono la Macedonia, e laGrecia cadde sotto il loro controllo. Con tali conquiste anche lacultura greca fece il suo ingresso a Roma, subendo però un pro-cesso di trasformazione che, per quanto riguarda la filosofia, neaccentuò la dimensione pratica, mettendo in secondo pianol’impegno speculativo e il valore della ricerca pura. Romaassorbí la filosofia, la religione e molti aspetti letterari dalla cul-tura greca, e li adattò alle proprie tradizioni. Le scuole di pen-siero che incontrarono il maggior successo sono quelledell’Ellenismo: l’epicureismo, lo scetticismo e, soprattutto, lostoicismo, che attraverso la sua visione di un mondo unitario,gerarchicamente ordinato, costituiva la base teoricadell’Impero.

Quando Roma diede inizio alla propria storia nel Latium, lapenisola italica aveva già intrecciato rapporti di una qualcheconsistenza con la cultura greca: al sud con le colonie dellaMagna Grecia, al centro-nord con gli Etruschi. Non è da esclu-dere che dai rapporti con queste aree geografiche i romani sianovenuti in possesso dell’alfabeto. C’è però un elemento checaratterizzò in proprio i romani, ed è costituito dal tipo di eco-

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nomia che fece di Roma, originariamente, una città agricola,poco interessata al commercio con altri popoli.

La conseguente mentalità romana, di origine contadina,risultò essere pratica, dedita alla risoluzione di problemi con-creti, in quanto l’atteggiamento del contadino è, da sempre,conservatore e legato ai ritmi ripetitivi e sempre uguali dellaterra; non bisogna però pensare che la civiltà romana fosseesclusivamente dedita all’agricoltura, in quanto diventò famosaanche per le grandi opere di urbanistica, per la costruzione dipalazzi, di strade e di piazze, per la bonifica delle zone paludo-se, per la creazione di imponenti acquedotti e di opere idrauli-che, nonché (sempre significativo della tipica mentalità concre-ta del romano) l’elaborazione di codici di leggi e di una impor-tante struttura giuridica.

La storia dell’idea pedagogica a Roma deve prendere avviodal fatto che è storia dell’educazione di un popolo di contadini,di proprietari terrieri. La struttura agricola dell’economia spie-ga tutta una serie di fenomeni educativi importanti, quali: ilculto della tradizione, il rispetto della legge, la centralità dellafamiglia. Il primato etico occupato dal Mos Majorum (alla let-tera, costume dei grandi) nasce dalla codificazione di un insie-me di usi e costumi che tendono a consolidarsi nel tempo. Leforme di vita contadina hanno le caratteristiche di fissarsi in tra-dizione, in comportamenti, attività, abitudini e rapporti che siripetono uguali, da una generazione all’altra. L’economia agri-cola ha carattere familiare, il che conferisce una naturale stabi-lità e solidità alla continuità delle forme di vita attraverso l’ini-ziazione delle nuove generazioni al lavoro. Una posizione cen-trale nel sistema di vita in età arcaica è occupata dalla famiglia,al cui interno la figura piú importante è quella del pater fami-lias, il cui potere per lungo tempo non conosce limiti: può deci-

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dere della vita e della morte di domestici, schiavi e parenti. Latradizione educativa romana mira a formare un tipo di uomo, ilproprietario terriero, che è sí nobile, ma non per questo disde-gna il lavoro, e costruisce la sua vita su valori concreti: la fami-glia, le sue tradizioni, la dignità personale, l’impegno civile. Ilromano, inoltre, si preoccupa della grandezza e della potenzadella patria non meno di quelle del proprio casato: rafforza ipropri rapporti con lo Stato, partecipa alla vita politica e a quel-la militare. Tuttavia i due momenti, quello familiare (privato) equello sociale (pubblico), restano distinti, concorrendo insiemealla definizione della condotta.

L’educazione romana, almeno fino alle soglie del III secolod.C., allorché presero corpo le prime tendenze innovatrici, sirisolve in un processo di socializzazione che collega l’eticafamiliare a quella politica dello Stato.

Educatrice naturale fino ai 12 anni era la madre e non unaschiava, come invece avveniva in Grecia. L’istruzione comin-ciava con un livello primario, dai 7 ai 12 anni, a cui accedeva-no ragazzi e ragazze. Mentre l’educazione femminile si conclu-deva genericamente a questo punto (la donna era consideratagià in età da marito: requisiti necessari per il matrimonio eranola verginità, la castità e l’esperienza nelle faccende domesti-che), diversa era la situazione di quella maschile: nell’educazio-ne del fanciullo, fattosi preadolescente, alla madre succedeva ilpadre; è questo un motivo pedagogico esclusivamente romano.Non solo il padre introduceva il figlio alla pratica del lavoro edell’organizzazione aziendale della famiglia, ma gli stavaaccanto (con la sua presenza diretta o indirettamente, attraversol’affido a un anziano di provata esperienza e saggezza) nel tiro-cinio delle armi e del fòro, la piazza, centro della vita cittadina,giuridica e politica. Verso i 14-16 anni una pubblica cerimonia

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religiosa (Liberalia) introduceva il giovane alla vita pubblica:egli dismetteva la toga listata di porpora e vestiva la toga bian-ca del cittadino, e da questo momento iniziava ad assistere colpadre alle sedute del senato e a partecipare alla vita politica.Dopo il servizio militare, il giovane era poi affidato dal padre auna personalità di rilievo (fra gli esempi conosciuti, Cicerone,affidato dal padre a Muzio Scevola).

Questo modello educativo subí inevitabilmente delle modi-fiche, le quali rispecchiavano l’evolversi della società romana.Al tempo di Cicerone, nel I secolo a.C., l’educazione non si rea-lizzava piú prevalentemente attraverso il tirocinio e l’esempio,ma anche sui libri, al contrario di quanto avveniva in età arcai-ca, quando lo studio era limitato alle XII tavole delle leggi fon-damentali di Roma.

Va poi ricordato che tutto l’iter educativo descritto riguarda-va la classe dei patrizi, per quanto anche i plebei ricevesserocomunque una educazione dal padre.

I maestri scolastici furono a lungo sconosciuti. Prima dellanascita della letteratura latina, nel III secolo a.C., i maestri eranogreci (spesso schiavi che, a differenza di quelli della civiltà elle-nica, erano cólti poiché conquistati in guerra, ma provenienti dagrandi civiltà istruite, come quella greca), e insegnavano in lin-gua greca. Esistevano scuole pubbliche, ma l’istruzione eraimpartita generalmente in forma privata. Agli insegnanti siaffiancavano poi i rhètores, professori nati sul modello deglioratori greci. La programmazione didattica non era stabilita inalcun modo, ed era l’insegnante a decidere tempi e modi per latrasmissione delle conoscenze. La figura del retore acquisígrande prestigio e fu ricercata e stimata piú di quella del filoso-fo: il retore rappresentava l’uomo libero, colto e rispettato nellavita pubblica.

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Con la nascita dell’impero l’educazione subí un mutamentoulteriore, avvicinandosi piú ai modelli ellenistici. La formazio-ne era collegata al patrocinio diretto dello stato, venivano eret-te biblioteche ricche di opere latine e, sotto Vespasiano, siimprontò addirittura una vera e propria politica pedagogica, conl’istituzione di una scuola superiore (e relativi insegnanti)dipendente dallo Stato.

Tra i piú importanti pensatori che si sono occupati di proble-mi educativi a Roma – dei quali in questa sede, per motivi dispazio, non possiamo trattare – possiamo ricordare: per il perio-do arcaico, Marco Porcio Catone (234-149 a.C.), detto ilCensore; in epoca tardo-repubblicana, Marco Tullio Cicerone(106-43 a.C.); in epoca imperiale, Marco Fabio Quintiliano(35-95 d.C.) e Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.).

Bibliografia essenziale:R. FRASCA, Donne e uomini nell’educazione a Roma, La Nuova Italia,

Firenze 1991;F. JACQUES, J. SCHEDI, Roma e il suo impero, trad. it. Laterza, Roma-Bari

1992;A. SPINOSA La grande storia di Roma, Mondadori, Milano 1998.

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9I principi educativi del Cristianesimo

All’interno del periodo di massimo splendore dell’imperoromano, si verificò un evento capitale per la storiadell’Occidente: la nascita, la vita e la predicazione di Gesú diNazareth, detto il Cristo (cioè l’unto del Signore). La predica-zione di Gesú, anche a prescindere dal significato religioso chead essa si attribuisce, è stata per la civiltà occidentale un fattomolto importante, tanto da segnare l’inizio della nuova èra,quella cristiana. Nel messaggio cristiano, pur non essendo con-tenuto un sistema filosofico e pedagogico, si trovano concezio-ni e dottrine che hanno determinato conseguenze fondamentaliper lo sviluppo della storia dell’Occidente.

La situazione culturale all’inizio dell’èra cristiana vedeva lapresenza di numerose correnti filosofiche e religioso-esoteriche(esoterico significa nascosto), assieme a quella del paganesimodominante nella cultura romana. Il periodo era dominato da unagrande incertezza sul futuro e da una vasta e diffusa angoscia, ele stesse filosofie dell’epoca avevano finito per assumere unsignificato prevalentemente etico e religioso. Il problema delsignificato e della destinazione dell’esistenza era divenuto pre-valente, e le risposte che il cristianesimo forniva ne favorironola diffusione.

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Nel caso della pedagogia cristiana, ciò che qui piú interessaè cogliere gli elementi di novità che la predicazione di Gesúintrodusse nei vari aspetti della formazione dell’uomo.

Il termine “cristianesimo” designa l’insieme delle dottrine edelle comunità che professano la fede in Gesú di Nazareth,figlio di Dio (la principale differenza nei confronti della religio-ne ebraica consiste proprio nel rifiuto, da parte della religionegiudaica, di riconoscere la divinità del Cristo), incarnato, mortoe risorto in Cristo. Gesú è una persona storicamente esistita,che, proclamandosi figlio di Dio, determinò un nuovo tipo dirapporto tra Dio stesso e gli uomini (per questo si parla diNuovo Testamento, che significa nuovo patto, per distinguerlodal Vecchio Testamento, cioè il vecchio patto, il patto di Mosè;insieme, Vecchio e Nuovo Testamento costituiscono la Bibbia(che significa il Libro).

Il messaggio evangelico si colloca all’interno della culturaromana come un messaggio rivoluzionario e dirompente rispet-to alla tradizione accettata. È un messaggio di amore universa-le (“ama il prossimo tuo come te stesso”), di rispetto per ogniuomo, anche per il nemico (“porgi l’altra guancia”), di tolleran-za nei confronti di tutti, perché nessuno può considerarsi senzapeccato (“chi è senza colpa scagli la prima pietra”, dice Gesúquando il popolo vuole lapidare una prostituta), di umiltà epovertà (“è piú facile che un cammello passi per la cruna di unago che un ricco entri nel regno dei cieli”), quest’ultima nonsolo materiale, ma anche intellettuale, in quanto la ricchezza el’eccessiva sapienza rendono l’uomo egoista, arrogante e lo pri-vano dell’umiltà necessaria per vivere in pace e in amore.

Come sostenne San Paolo, che prima della conversione sullastrada di Damasco, quando ancora si chiamava Saulo di Tarso,era uno dei piú acerrimi nemici e persecutori dei cristiani, Gesúè venuto in terra per morire sulla croce, e cosí facendo ha libe-

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rato gli uomini dal peccato originale. Dio, attraverso la Grazia,cioè il dono gratuito della fede, ha eletto fin dall’origine deitempi coloro che si salveranno; l’uomo deve per tutta la vitaimpegnarsi per trovare la fede e scoprire la Grazia dentro di sé,perché ciascuno potrebbe essere l’eletto e scoprirlo solo inpunto di morte. Questo messaggio ha una portata universale, esi diffonde innanzi tutto nelle classi piú povere che si viderooffrire la possibilità di essere uguali di fronte a Dio.

Inizialmente, il cristianesimo subí parecchie persecuzioni efu osteggiato dalla cultura e dalla religione pagana di Roma. Iprimi cristiani dovettero diffondere il loro messaggio in segre-to, rifugiandosi nelle catacombe. Pian piano i primi pensatoricristiani (cosiddetti “apologeti”, perché scrivevano in difesadella nuova religione), tra il I e il III-IV secolo dell’èra cristianadiffusero sempre piú la nuova religione e permisero la nascita ela lenta affermazione della Chiesa cattolica. L’ultima persecu-zione che i cristiani subirono fu quella dell’imperatoreDiocleziano alla fine del III secolo, dopodiché con l’editto diMilano del 313 d.C., sotto l’imperatore Costantino, iniziò unafase di tolleranza della nuova religione al pari delle altre profes-sioni di fede. Fu con l’editto di Tessalonica, del 380 d.C., duran-te l’impero di Teodosio, che il cristianesimo diventò la religio-ne ufficiale dell’Impero. Da questo momento in poi la Chiesa siespanse e arricchí sempre piú, fino a diventare la massimapotenza e la detentrice della cultura e dell’insegnamento scola-stico durante tutti i secoli del Medioevo, esercitando profondiinflussi sulla vita individuale e sociale.

Dal punto di vista pedagogico, con il suo insistere sull’im-portanza di temi come l’amore, la famiglia e l’educazionemediante l’esempio, anziché attraverso lo studio teorico, il cri-stianesimo trasmetteva un modello educativo piú simile a quel-lo della Roma arcaica che a quello della Roma imperiale. Le

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prime figure di maestri all’interno delle comunità cristiane sioccupavano della formazione di catecumeni, coloro che chiede-vano di essere ammessi nella comunità. La formazione, oltre aiprecetti religiosi, comprendeva l’alfabetizzazione degli allievi,non solo bambini ma anche adulti. A livello ideologico, la peda-gogia del cristianesimo dei primi secoli coincise con la forma-zione a una vita nella ricerca della verità, attraverso un percor-so essenzialmente spirituale. Questo atteggiamento portò iprimi teorici cristiani a rigettare sempre piú la cultura pagana, alivello letterario e di valori. L’allontanamento dal mondo terre-no spinse i pedagoghi cristiani a scoraggiare la ricerca del pia-cere fisico, le pratiche connesse alla cura del corpo, come laginnastica e l’esercizio fisico in generale, e anche lo studio didiscipline quali musica e danza.

Bibliografia essenziale:W. JAEGER, Cristianesimo primitivo e paideia greca, trad. it. La Nuova

Italia, Firenze 1966;I vangeli, Mondadori, Milano 1973.

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10Agostino

Agostino (354-429/430) visse negli ultimi anni dell’EtàAntica (che storicamente si fa terminare, per convenzione, conla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C.), ed èuno dei piú importanti padri della Chiesa. La sua epoca coinci-se con i secoli in cui il cristianesimo stava passando dalla con-dizione di religione “lecita” (con l’editto di Milano, nel 313) aquella di religione ufficiale dell’Impero (editto di Tessalonica,nel 380), e doveva fissare i capisaldi ufficiali della religione, alfine di combattere le dottrine pagane e le eresie.Quest’operazione filosofico-religiosa è detta Patristica, eAgostino ne è il massimo rappresentante.

Nato a Tagaste, nella Numidia nordafricana nel 354,Agostino ricevette i primi insegnamenti sul cristianesimo dallamadre Monica. Visse in gioventú a Cartagine, conducendoun’esistenza travagliata e dissoluta, e nel 383 si trasferí a Roma.Durante un soggiorno milanese (384-387), incontrò il vescovodi quella città, Ambrogio, e si convertí al cristianesimo. In unfamoso passo dell’ultimo colloquio di Agostino con la madre aOstia, le ultime parole di lei esprimono la sua felicità per avervisto il figlio convertirsi finalmente alla religione cristiana. Nel391 fu nominato vescovo di Ippona, città africana in cui morínel 429/430, sotto l’assedio delle invasioni barbariche.

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Raccontò tutto il suo travaglio spirituale e filosofico nell’o-pera Confessiones (Le Confessioni), una sorta di autobiografiafilosofica e spirituale, che rivela una sensibilità psicologica epedagogica fino ad allora sconosciute. Altre opere importantisono il De vera religione (Sulla vera religione), il De Trinitate(Sulla Trinità), il De Civitate Dei (Sulla città di Dio), il DeMagistro (Sul maestro).

Prima di giungere, attraverso il platonismo, al cristianesimo,Agostino abbracciò in gioventú dottrine diverse, il manichei-smo e poi lo scetticismo.

Il manicheismo, religione nata ad opera del persiano Mani,nel III secolo d.C., si fonda sulla concezione secondo cui esisteuna netta divisione fra Bene e Male, ontologizzati in due prin-cipi supremi. Per poter raggiungere la salvezza, l’uomo deveseparare in se stesso l’io divino dall’io demoniaco. È un compi-to molto arduo, che può essere portato a termine solo da pochiindividui. In questa visione della realtà, il male non è privazio-ne, negazione, ma qualcosa di esistente, autonomo. Questo con-cetto di Supremo Principio del male è – come dimostrerà S.Tommaso – una assurdità logica, in quanto una cosa completa-mente maligna, cattiva, distrugge anche se stessa, nella sua tota-le malvagità.

Lo scetticismo non dà risposte, ma conduce alla drammaticacondizione del dubbio sulla verità e su tutte le strade che con-ducono alla sua conquista. Al futuro Vescovo di Ippona servíperò da base per liberarsi da ogni falsa certezza, eliminandoqualsiasi credenza infondata e giungere cosí alla Verità del cri-stianesimo.

Il filosofo classico al quale Agostino si ispirò maggiormen-te, integrandone il pensiero con la riflessione cristiana, fu peròPlatone, dal quale egli mutuò diversi temi. Il primo è individua-bile nel convincimento della necessità di ritirarsi dall’esperien-

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za mondana, per potersi rivolgere verso le profondità della pro-pria anima. Il secondo motivo platonico riguarda il problemadel male, che non assume consistenza ontologica, come nelmanicheismo, ma viene concepito solo in riferimento all’esse-re, rispetto al quale costituisce una privazione, una parzialenegazione. Questo non significa che il male morale e fisico nonesistano, ma solo che vanno caratterizzati in modo appropriato:il primo viene a definirsi come il pervertimento della volontà,che si distoglie da Dio e si rivolge a sostanze inferiori, mentreil secondo viene inteso come una conseguenza del peccato ori-ginale, che ha reso il corpo debole e soggetto alla morte.

Nell’opera Sulla vera religione, Agostino espose il percorsoche porta l’uomo a distogliere il pensiero dall’esteriorità, perrivolgerlo alla propria interiorità, in cui appare la luce divina.Nel paragrafo 73, al cap. XXXIX, scrive «Se non vedi ciò chedico e dubiti che sia vero, guarda almeno se non dubiti di dubi-tare di ciò, e, se sei certo di dubitare, cerca la ragione di questacertezza: in questo caso non ti si presenterà certo la luce di que-sto sole, ma la luce vera, che illumina ogni uomo che viene inquesto mondo [citazione da Giovanni, I, 9]. Essa non si puòvedere con questi occhi, e neppure con quelli con cui sono pen-sate le rappresentazioni […]. Formula cosí questa regola chevedi: chiunque comprende di essere in dubbio, comprende ilvero, ed è certo di questa cosa che comprende; dunque è certodel vero. Chi dubita, quindi, se vi sia la verità, ha in se stesso ilvero per cui non deve dubitare; ma non v’è vero che sia vero senon per la verità. È necessario, dunque, che non dubiti dellaverità chi ha potuto dubitare per qualche motivo». È nel dubbiopiú radicale che l’uomo trova la certezza: se si dubita di tutto,non si può dubitare però di una cosa, e cioè del fatto che si stadubitando; di conseguenza si ha la certezza di dubitare. Unaverità, allora, esiste, e se vi è una verità, vi è la Verità, che si

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identifica con il Principio divino, il Deus veritas, che risplendenel profondo dell’anima e che, dunque, l’uomo deve cercaredentro di sé. Non bisogna comunque pensare che il trovare laVerità luminosa di Dio all’interno di sé, nel profondo del pro-prio animo, implichi una visione completamente immanentisti-ca; al contrario, Agostino sostiene che l’uomo può trovare den-tro di sé la luce divina proprio perché Dio è Trascendente, e ciillumina; questo è evidente anche dal continuo uso, nelleConfessioni, del Tu, rivolto a Dio, al quale il Vescovo di Ipponasi confessa; ciò implica una netta separazione fra l’io e il Tu,una esternità (che non significa totale estraneità) fra l’uomo eDio Trascendente.

Un altro richiamo al platonismo è costituito dal fatto cheAgostino interpreta la luce divina come metafora del lógos,della ragione eterna che è Dio, Lógos che è nel mondo e nel-l’uomo, come affermano sia i platonici sia il Vangelo diGiovanni.

Anche nella riflessione agostiniana sulla memoria e il ricor-do emerge l’influenza platonica: la discesa all’interno dell’ani-ma conduce alla luce divina attraverso il ricordo, l’anámnesis dicui parlava Platone (per esempio nel Menone). La Realtà origi-naria di Dio, però, precede l’uomo e la sua memoria, e si con-figura quindi come qualcosa di diverso e trascendente rispettoall’uomo. Il tema della memoria è strettamente ricollegato aquello del tempo, che Agostino elabora autonomamente congrande modernità. Il tempo è un grande mistero; ognuno crededi sapere che cos’è, ma quando si interroga veramente sullarealtà del tempo non sa dare risposta: il futuro deve ancora veni-re, il passato non c’è piú, e il presente è un istantaneo trascor-rere dal passato verso il futuro, un fuggevole momento che nonsi riesce a fermare e a cogliere. Nell’impossibilità di definirlooggettivamente, il tempo si configura come un’esperienza della

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coscienza, dell’interiorità, uno scorrere, un fluire qualitativo nelprofondo di sé con un ritmo e un modo interiori, che non si puòmisurare e quantificare. È la forma della memoria, esistentesolo in rapporto all’uomo, e non come realtà esterna e oggetti-va.

I temi platonici vengono integrati dalla riflessione cristiana.Oggetto della speculazione dapprima filosofica, e poi etico-pedagogica, diviene la fede. Dio si offre all’uomo, ma soloall’uomo che lo cerca, il quale non conosce mai la condizionedi un’appagante contemplazione, ma avverte sempre la distan-za che lo separa da Dio. Avere fede significa seguire il Cristo, ilquale, inserendosi nella vita dell’uomo, lo chiama ad un impe-gno continuo, decisivo, assoluto. Un altro tema cristiano è quel-lo della Grazia: qui Agostino rovesciò completamente l’intel-lettualismo classico, che riteneva l’intelletto superiore allavolontà. Il punto di partenza agostiniano è proprio il primatodella volontà sull’intelligenza. L’uomo è diviso in se stesso,capace di vedere il bene, ma incapace di compierlo. Se nonfosse cosí, infatti, non sarebbero piú necessari il sacrificio diCristo e l’ausilio della Chiesa. L’uomo è per natura peccamino-so; è Dio che, secondo il proprio misterioso disegno, lo prede-stina alla salvazione o alla dannazione. Senza l’intervento dellagrazia divina, quindi, l’uomo non potrebbe raggiungere la sal-vezza eterna. Agli esseri umani rimane comunque l’impegnodella fede, allo stesso tempo riconoscimento del peccato e spe-ranza della Grazia.

Rispetto alla cultura del suo tempo, Agostino introdussealcune riflessioni importanti dal punto di vista pedagogico.

Nelle Confessioni, in cui viene tracciato l’itinerario formati-vo della personalità di ogni credente, il vescovo di Ippona videl’infanzia non come una condizione di purezza o di incomple-tezza dell’uomo, ma come una fase della crescita umana, con

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caratteristiche proprie, anche se segnata, come le altre, dal pec-cato e dalla tendenza ad allontanarsi dalla via del bene.Agostino denunciò l’incapacità dell’educazione del suo tempodi aderire alle esigenze vitali del bambino, e la vacuità educati-va dell’apprendimento retorico, che dava importanza solo allaripetizione. L’educazione deve mirare, per i bambini come pergli adulti, al controllo delle passioni, che non costituiscono diper sé il male, ma possono condurre a esso.

Nello scritto Sul maestro Agostino propose i fondamenti teo-retici che istituiscono il rapporto educativo. Agostino analizzòinnanzitutto le possibilità di comunicazione del linguaggio, poi-ché nella comune esperienza l’insegnamento viene concepitocome quella attività attraverso la quale il maestro trasmette permezzo del linguaggio il proprio sapere all’alunno. La conclu-sione di questa analisi è che la spiegazione dell’atto dell’inse-gnamento è inaccettabile, perché la comunicazione linguistica èimpossibile. Il linguaggio è costituito da suoni e da segni, chenon hanno alcun rapporto reale con gli enti: se io pronuncio laparola “tavolo”, il vocabolo resta un puro suono senza signifi-cato, a meno che colui che percepisce il suono non abbia giàesperienza dell’oggetto corrispondente.

L’apprendimento, dunque, anziché derivare dal linguaggio,sembra basarsi sul rapporto intuitivo con le cose, sulla percezio-ne diretta, sensibile. Ma, a ben vedere, nemmeno questo risultain grado, da solo, di differenziare ciò che nelle cose è essenzia-le da ciò che è accidentale: se non posseggo previamente unanozione dell’oggetto da conoscere, come potrò, unicamenteattraverso il contatto diretto, distinguerne le proprietà essenzia-li da quelle accidentali?

A questo punto, la conclusione raggiunta è che l’insegna-mento è impossibile.

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Per questa via, Agostino non vuole dimostrare che sia impos-sibile apprendere la Verità, ma solo che essa non è insegnabiledall’esterno. Non è attraverso l’insegnamento derivante dal-l’uomo che possiamo diventare sapienti. L’unico vero maestro,infatti, è Dio, il principio fondamentale e il fine ultimo dell’e-ducazione è l’amore e l’obiettivo del percorso pedagogico è lascoperta della Verità. La Verità – come abbiamo visto – si trovanell’interiorità dell’uomo, il quale deve scoprirla da sé. Risulta,a questo punto, molto svalutata l’attività didattica e pedagogicadel precettore, che non consegna la verità all’alunno, ma ha ilsolo compito di guidarlo in quella ricerca interiore e quotidianache deve condurlo a Dio, attraverso un atteggiamento spiritua-le aperto all’amore e alla fede.

Il metodo pedagogico proposta da Agostino, in sintesi, puòessere quello della ricerca dentro di sé della conoscenza e dellaVerità, attraverso un dialogo pedagogico interiore (come realiz-zò attraverso Le Confessioni); anche, però, tramite un dialogomaieutico tra maestro e discente che viene condotto a scoprirela Verità (come propose nello scritto Sul maestro). La fede,infatti, è il presupposto fondamentale per ogni ricerca e ogniconoscenza: “credo per conoscere”, si potrebbe dire conAgostino. Se si possiede la fede si possono scoprire le verità el’amore divini, presenti dentro ciascuno di noi.

Nel libro Sulla città di Dio, opera composta dopo il sacco diRoma compiuto nel 410 dai Visigoti di Alarico (evento che nel-l’immaginario collettivo del tempo rappresenta la fine del gran-de impero romano), il vescovo di Ippona delineò la prima filo-sofia della storia del pensiero occidentale. Egli riesaminò l’in-tero cammino dell’umanità, allo scopo di evidenziarne il sensocomplessivo e il fine ultimo. Questo viene indicato nel trionfodella Civitas Dei, la città dei giusti, illuminata da Dio, sullacittà del demonio, abitata dagli uomini dediti al male, simbolo

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di tutti gli Stati violenti e malvagi. Per Agostino, il solo valorepositivo dello Stato risiede nella sua capacità di permettere lavita associata. Il cristiano non si sente appartenente a nessunoStato, perché la fede non è riconducibile a una entità politicaparticolare, ma riguarda l’umanità intera. La dimensione politi-co-statale, in questo modo, perde il suo valore tradizionale. Ledue città, inoltre, simboleggiano il bene e il male insiti nell’ani-ma dell’uomo, mai disgiunti nettamente, come nel manichei-smo, ma sempre vicini, contemporaneamente presenti. Il cri-stiano, però, deve avere fiducia nel disegno divino, che preve-de la vittoria finale del bene sul male alla fine del cammino del-l’umanità. Dio conduce la storia dell’uomo verso una salvezzache è fuori dalla storia, al di là del tempo terreno, nell’eternità.

Anche questo tema di filosofia della storia, e con finalitàescatologico-religiose, contiene un alto valore pedagogico, poi-ché nella fiducia del trionfo del bene sul male e dell’avventodella città di Dio, il fedele riceve lo stimolo a educare, e adauto-educarsi, alla ricerca del bene, a fare il bene, all’amore ealla scoperta di Dio e della salvezza, fin dalla vita terrena nelmondo della storia e del tempo.

Bibliografia essenziale. Opere di Agostino:Il maestro, Mursia, Torino 1993;La vera religione, Mursia, Torino 1997;Le confessioni, trad. it. Einaudi, Torino 1998.Letteratura critica:K. FLASCH, Agostino di Ippona, trad. it. il Mulino, Bologna 1983;E. GILSON, Introduzione allo studio di Sant’Agostino, trad. it. Jaca Book,

Milano 1984.

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11La pedagogia nel Medioevo

Il Medioevo è il periodo compreso fra il 476 d.C., data dellacaduta dell’Impero romano d’Occidente, e il 1492 d.C., datadella scoperta dell’America.

Storiograficamente, il Medioevo si divide in due fasi: AltoMedioevo, dal V al X-XI secolo d.C., e Basso Medioevo, da circal’anno Mille in avanti.

I due momenti fondamentali della cultura cattolica medioe-vale sono la Patristica: la filosofia dei primi Padri della Chiesa,durante i primi secoli del cristianesimo, il cui massimo espo-nente è S. Agostino, vissuto nel IV-V secolo; e la Scolastica: lafilosofia e il suo metodo di insegnamento impartito nelle scuo-le cristiane dei monasteri, delle cattedrali e, successivamente,nelle Università (a partire dal XII secolo d.C.; le primeUniversità a nascere furono quelle di Bologna, Parigi,Cambridge, Oxford, Salamanca, Padova, Napoli). Il massimoesponente della scolastica è S. Tommaso, vissuto nel secolo XIII.

I piú importanti centri culturali del Medioevo furono: lescuole palatine, delle corti dell’età feudale e dell’èra carolingia;le scuole dei monasteri; le scuole delle cattedrali (soprattutto lacattedrale di Chartres, del 990); le Università, a partire dal XIIsecolo.

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La cultura medioevale presenta una forte unitarietà, conun’organizzazione gerarchica che vede al vertice la teologia, ele arti e le scienze ai gradini inferiori, con una funzione stru-mentale, consistente nel fornire nozioni per agevolare il cammi-no verso la vita spirituale e la teologia.

Il progressivo aumento del potere della Chiesa cristiana sulpotere dello Stato si mostrò con evidenza all’epoca delle inva-sioni barbariche, quando la Chiesa rimase l’unico punto di rife-rimento culturale. I monasteri, sorti all’inizio come luoghi dirifugio e protezione, divennero anche punti di scambi economi-ci, magazzini, mercati, banche. Essi erano anche il piú impor-tante centro di formazione culturale. L’ideale pedagogico di cuila Chiesa era promotrice può essere esemplificato da quello deimonasteri benedettini. Benedetto da Norcia, il fondatore del-l’ordine e dell’abbazia di Montecassino, coniò anche la regolaadottata in quasi tutte le comunità religiose posteriori: il mottoora et labora, (prega e lavora), basato sull’idea che il frate nondoveva mai oziare, ma occupare le sue giornate con la preghie-ra (o lo studio dei testi sacri) e con il lavoro. All’interno delmonastero, però, vigeva un ordine gerarchico, che consentiva aipiú alti in grado di essere esentati dai lavori manuali, per poter-si dedicare interamente allo studio e all’insegnamento.

La trasmissione della cultura era destinata dunque solo acoloro che intraprendevano la vita monastica, eccezion fatta peri figli dei nobili cortigiani, che affiancavano alla preparazionemilitare un’educazione in campo letterario e giuridico. Per lagrande maggioranza della popolazione non era previsto alcuntipo di istruzione, ritenuta inutile per il lavoro nei campi.

Un tentativo di migliorare la situazione culturale è rappre-sentato dalla riforma carolingia. Carlo Magno si rese conto delbasso livello dell’istruzione promossa da molte scuole ecclesia-stiche, e del fatto che questa pur scarsa istruzione fosse ristret-

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ta a pochissime persone. Affidò allora funzioni civili agli eccle-siastici (organizzazione degli uffici anagrafici, restauro deicodici, insegnamento), con il preciso scopo di diffondere mag-giormente l’istruzione e migliorarne la qualità. Il principaleartefice di questo progetto fu Alcuino di York (730-804), cheincontrò Carlo Magno a Parma nel 781 e insegnò per otto annia corte. I risultati ottenuti furono però scarsi, perché il clero erariluttante a istruire chiunque ne facesse richiesta senza intra-prendere poi la carriera ecclesiastica. Nell’825 Lotario, il suc-cessore di Carlo, aprí le prime scuole statali, ma gli iscritti laicifurono scarsi. L’organizzazione didattica delle scuole carolingieprevedeva la divisione in due aree disciplinari: il trivio, com-prendente grammatica, retorica e dialettica, e il quadrivio, cheincludeva aritmetica, geometria, astronomia e musica. Lametodologia didattica era basata sulla lettura e il commento deitesti, attraverso varie fasi: la lectio, lezione del maestro o lettu-ra di un testo, la quaestio, discussione e obiezione dell’argo-mento proposto, e la disputatio, presentazione della tesi risolu-tiva. Il trivio e il quadrivio rappresentavano quello che oggi èdefinito istruzione secondaria; l’istruzione primaria era oggettodi scarsa attenzione, impartita unicamente con esercizi di ripe-tizione di lettere e sillabe, seguite da parole e infine testi.

Nel XII secolo il termine “università” indicava una associa-zione di piú corporazioni: c’erano quelle delle arti meccaniche(scuole per la formazione professionale sorte dopo l’XI secolo aseguito dell’incrementarsi del commercio e la maggiore richie-sta di figure professionali a esso collegate: artigiani, commer-cianti) e quelle delle arti liberali: giudici, notai, medici e spezia-li. In seguito quel termine rimase a indicare solo il corso di studidelle arti liberali. Le prime università presentavano alcunecaratteristiche ben precise: non avevano una sede fissa, eranoindipendenti dal controllo ecclesiastico, erano promosse e gesti-

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te dagli studenti, dei quali i professori erano quindi dipendenti.Per essere ammessi agli studi non era previsto alcun esame, maveniva richiesta una conoscenza di base della lingua latina, oltreal denaro per finanziarsi gli studi.

Bibliografia essenziale:PH. ARIÈS, G. DUBY, La vita privata dal Feudalesimo al Rinascimento,

trad. it. Laterza, Roma-Bari 1987;A. DE LIBERA, La filosofia medievale, trad. it. il Mulino, Bologna 1991;J. LE GOFF, Medioevo, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1996.

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12Tommaso d’Aquino

Tommaso d’Aquino (1221 o 1225-1274), nacque aRoccasecca, in provincia di Frosinone, nel Lazio, nel 1221 (onel 1225, a seconda delle fonti), iniziò i suoi studi nell’abbaziabenedettina di Montecassino e li proseguí a Napoli,nell’Università fondata da Federico II. Fu poi a Colonia conAlberto Magno e, infine, si recò a Parigi, dove iniziò la carrie-ra universitaria. Morí nel 1274, a Fossanova, durante il viaggioche avrebbe dovuto condurlo al secondo Concilio di Lione.

Il passaggio dalla Patristica alla Scolastica vide il pensierocristiano impegnato a darsi una veste filosofica, e a chiarire leproblematiche sorte all’interno di diversi contesti culturali estorici: Agostino si poneva ai confini tra il crollo dell’Imperoromano d’Occidente, e quindi la fine dell’età Antica, e le origi-ni dell’età medioevale, ed è chiamato a fare i conti con il plato-nismo; Tommaso si colloca ai confini tra l’età Medioevale e leorigini dell’età Moderna, e deve confrontarsi con Aristotele, ilcui pensiero era rimasto sconosciuto per tutto l’alto Medioevo,e venne riscoperto grazie ai commentatori arabi (Averroè,Avicenna). Il tentativo di Tommaso fu quello di far coincidere,per quanto possibile, il pensiero di Aristotele con quello cristia-no. Egli cercò di conciliare anche ragione e fede, perché la fede

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è il completamento del lavoro e dell’intelligenza umana: “cono-sco per credere”, si può dire con Tommaso. È tramite la cono-scenza, la ricerca (oggi diremmo scientifica), l’esercizio delleesperienze e l’uso della ragione (sulla scia di Aristotele) che sitrova la fede. È studiando le creature e tutto il mondo creato chesi può risalire al Creatore.

La riflessione filosofica di San Tommaso si colloca ai verti-ci della Scolastica (la filosofia cristiana del basso Medioevo),cosí come quella di Sant’Agostino si collocava ai vertici dellaPatristica. La posizione che occupa Tommaso è di mediazione:disposta a riconoscere alla ragione la funzione di premessa fon-damentale rispetto alle tematiche teologiche ed educative,secondo una prospettiva in cui ragione e fede istituiscono posi-tivi rapporti di collaborazione. La filosofia è vista come sapien-za cristiana, cioè come presenza-possesso della beatificanteverità, che è Dio.

Nelle sue opere piú importanti, De Ente et Essentia(Sull’ente e l’essenza), scritta fra il 1254 e il 1256, la Summacontra Gentiles (Somma contro i Gentili), del 1269-1273, laSumma Theologiæ (Somma teologica), iniziata nel 1269,Tommaso rivendicò il carattere di scienza della Teologia.Teologia e filosofia sono due vie di accesso all’unica verità.Nella Teologia è importante soprattutto l’indagine razionale.Ciò da cui si parte è la ragione, che accomuna tutti gli uomini.Anche per il credente la ragione è necessaria, e viene elevatadal dono della Grazia.

Tommaso compí una distinzione tra Ente ed Essenza: l’enteè concreto, l’essenza è astratta. Gli enti sono di due tipi: gli entireali e gli enti logici. Il reale è la sostanza, ciò che è qualcosa;l’ente logico è quello del verbo, dell’essere, della copula “è”.Tommaso distinse poi le sostanze in semplici e composte: lesostanze semplici sono quelle spirituali (angeli), quelle compo-

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ste sono il sinolo (unione) di materia e forma. La sostanza asso-lutamente semplice e pura è Dio.

Nelle sue opere piú importanti (le Summae) Tommaso sipose il problema di Dio: Dio esiste, e questo è un dogma.Tommaso cercò però di giustificare razionalmente l’esistenza diDio. Egli sostenne che la conoscenza e l’intelletto razionalesono estremamente importanti per il credente, il quale ha ilcómpito di indagare la realtà naturale, che è la creazione di Dio.Tommaso dimostrò l’esistenza di Dio attraverso cinque vie, dichiara ispirazione aristotelica:

1) moto: dato che alcune cose si muovono e che “tutto ciòche si muove è mosso da un altro”, allora, non accettando ilregresso all’infinito, si deve giungere a un primo motore immo-bile, che è Dio;

2) causa: se vi sono degli effetti, debbono esserci le rispetti-ve cause e, non potendo recedere all’infinito, deve esserci quin-di una causa prima non causata: Dio;

3) possibile e necessario: le cose che vediamo possono esse-re e non essere; la loro esistenza non è cioè necessaria, e infat-ti in origine non esistevano. Deve quindi esserci una causanecessaria e da sempre esistente; deve esistere, cioè, un essereper sé necessario, in cui l’esistenza e l’essenza coincidono: Dio;

4) gradi: dato che ci sono gradi di perfezione, un piú e unmeno nelle cose (piú o meno buono, ecc.), deve esserci un valo-re assoluto a fondamento di tutti gli altri, e questo valore è Dio;

5) fine: ogni cosa tende al suo fine, quindi deve esserci unfine ultimo di tutte le cose: Dio.

Tutte queste “vie” si fondano sul principio aristotelico chenon è possibile procedere all’infinito, e si basano sulla cono-scenza sensibile, la quale non è cosí svalutata, ma ha un ruoloimportante nella ricerca della verità; è importante, ancora unavolta, conciliare razionalità e fede.

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È possibile dunque dimostrare filosoficamente l’esistenza diDio a partire dalle creature, e sempre movendo da esse si puòdire qualcosa sugli attributi divini. Poiché infatti c’è proporzio-ne fra causa ed effetto, possiamo sostenere che la causa possie-de in modo eminente tutte le perfezioni che sono nell’effetto.Queste perfezioni, esistenti in forma limitata nelle creature,sono riunite al massimo grado in Dio. Questa analogia fra Dioe le creature, tuttavia, non consente all’uomo di conoscere l’es-senza divina: essa resta inconoscibile, e l’uomo può procederesolo per via negativa, dicendo solo quello che Dio non è (peresempio, non è corpo).

Le cinque vie dimostrano inoltre che Dio è il creatore delmondo, e che gli esseri sono nature reali, esistenti nella loroconcreta individualità, non “partecipazioni di forme eterne”.Gli enti creati sono sostanze spirituali o corporee. Quelle spiri-tuali sono gli angeli, intermediari fra l’uomo e Dio, cheTommaso chiama forme pure, prive di materia. Al vertice delmondo materiale sta l’uomo, concepito come sinolo di materiae forma, corpo e anima. L’anima è legata al corpo per le funzio-ni vitali e sensitive (l’anima vegetativa e sensitiva diAristotele), ma è da esso indipendente per le funzioni intelletti-ve (l’anima razionale). Quest’anima è indipendente dalla mate-ria, sussistente di per sé, immortale. La conoscenza cominciadai sensi, le sensazioni sono unificate dal senso interno e forma-te come immagini nella fantasia (o immaginativa), conservatepoi nella memoria sensitiva. Queste immagini sono poi compa-rate, per distinguerle l’una dall’altra. Fin qui a livello sensibile,per animali e uomo. Quest’ultimo, però, è capace anche di unaconoscenza superiore, propria dell’anima razionale, che consi-dera il mondo corporeo ma secondo concetti universali: leforme, o essenze delle cose.

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Morale e PoliticaL’uomo, grazie al suo intelletto, è libero di conoscere e sce-

gliere il bene, e i mezzi per ottenerlo. L’intelletto, dunque, puòdominare la volontà, alla quale però resta un margine di auto-nomia, per il fatto che l’intelletto non presenta ad essa il beneassoluto, ma dei beni particolari, finiti, che possono non esserericonosciuti come tali. Gli uomini possiedono degli “abiti”, cioèdelle abitudini e, al di là di questi, la legge divina, presenteanche nella legge naturale. Se dunque l’uomo segue la leggenaturale, che tende al bene, conoscerà ciò che si deve o non sideve fare. Questa etica naturale si completa poi con l’etica cri-stiana della redenzione, della grazia e della vita eterna.

Per Tommaso l’uomo è per natura un animale socievole, manon può esserci vita associata senza il comando di qualcuno cheabbia di mira il bene comune. In questa ottica, giusto è il gover-no che tende al bene della collettività, e ingiusto quello che sirivolge all’esclusivo interesse dei governanti.

Si avranno cosí varie forme di governo giuste (monarchia,aristocrazia e politia) o ingiuste (tirannide, oligarchia e demo-crazia). È evidente anche qui, come in altri aspetti della dottri-na tomistica, il richiamo ad Aristotele.

È importante il fatto che la legittimazione del potere non sifonda sulla sua origine divina, ma sulla natura dei fini che ven-gono perseguiti dagli uomini: fini che per Tommaso convergo-no nel bene comune e si specificano nell’ordine e nella giusti-zia. Considerazioni particolarmente importanti per quegli annitravagliati dalle lotte fra Chiesa e Impero e tra potere spiritualee potere temporale.

Tommaso si distaccò dal pensiero di Aristotele quando trat-tò l’antropologia cristiana. Mentre per i pensatori dell’età clas-sica lo Stato esauriva tutti i fini dell’uomo, per Tommaso ciò fureso impossibile dal fatto che l’uomo, data la sua duplice essen-

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za, naturale e spirituale, persegue entrambi i fini. Due devonoessere le autorità: lo Stato per realizzare i fini naturali, e laChiesa per realizzare i fini spirituali. Poiché questi ultimi siidentificano con la salvezza, che è bene superiore rispetto ai finiterreni, Tommaso poté affermare che lo Stato porta i suoi mem-bri alle soglie delle virtú sovrannaturali e della beatitudine con-templativa.

PedagogiaAnche Tommaso – come in precedenza Agostino – scrisse

un’opera intitolata De Magistro (Sul maestro), in cui affrontòtematiche di carattere pedagogico. Il De Magistro di Agostinosi occupava delle condizioni di possibilità, di educazione e diistruzione, tematiche riprese da Tommaso anche nella SummaTheologica: il problema trattato riguardava l’analisi critica delrapporto didattico come atto di trasmissione e di comunicazio-ne del sapere. Il concreto atto didattico ha una struttura triango-lare: l’atto didattico sembra presentarsi come rapporto tra duesoggetti, maestro e scolaro, messi in relazioni da uno o piú daticulturali (scienza) che il primo intende trasmettere al secondo.Il maestro possiede la scienza, l’alunno non sa; l’atto didatticopersegue come obiettivo di condurre l’alunno ad impossessarsidel sapere primo.

Questa è l’istruzione ed è anche l’educazione, come questio-ne già affrontata da Agostino. Quest’ultimo affermava che l’in-segnamento è impossibile, poiché non si riesce a spiegare quel-l’atto della trasmissione, della scienza, in cui si fa consisterel’atto didattico. Tommaso è di altro parere: accoglie alcune tesidi Agostino, ma non è disposto a seguirlo fino alla svalutazionetotale dell’azione positiva esercitata dal maestro nel processo diinsegnamento.

La scienza – secondo Agostino e tutto il platonismo – era un

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possesso originario dell’interiorità del soggetto. Per Tommaso,invece, l’alunno possiede originariamente la scienza nel sensoche dispone dei princípi primi che istituiscono il sapere, princí-pi che sono in lui non in quanto derivati dall’esterno, ma perchécostitutivi del suo intelletto; egli però possiede la scienza comeorganizzazione ordinata di concetti, perché i princípi sono dellepotenzialità, degli strumenti per costruire la scienza, ma nonconstituiscono la scienza nel suo ordinamento definitivo.

L’alunno ha in sé la scienza in potenza, ma non in atto.Dispone dell’attività intellettuale, dei princípi primi o dei con-cetti universali, ma mentre questi sono còlti dall’intelligenza invia immediata, l’ordinamento dei dati sensibili in funzione deiprincípi è un atto di mediazione prodotto dall’attività sinteticadella mente. La conoscenza, dunque, si caratterizza come unprocesso: si tratta di spiegare come la scienza si formi in cono-scenza mediata prodotta dall’incontro fra contenuti della sensi-bilità e princípi primi dell’intelletto.

Agostino, per spiegare la conoscenza, risaliva alla causaprima (illuminazione diretta di Dio). Per Tommaso l’azione delmaestro è necessaria per facilitare la dinamica che va dallapotenza all’atto. L’atto del conoscere è interiore all’alunno, mala condizione ottimale della sua effettuazione è costituita da unagente esterno, il maestro. È quest’ultimo che, essendo in pos-sesso della scienza in atto, può attivare nell’alunno il processocostruttivo del suo sapere. Tommaso esclude l’autoeducazione,ma è a favore di un rapporto didattico inteso come rapporto dicomunicazione, col conseguente riconoscimento di una filoso-fia dell’educazione.

Bibliografia essenziale. Opere di Tommaso:Il maestro, trad. it. Armando, Roma 1965.Letteratura critica:

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S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a San Tommaso d’Aquino, Laterza,Roma-Bari 1973.

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13La scuola nell’Umanesimo e nel Rinascimento

Nel Medioevo, la cultura si presentava come un organismounitario e ordinato gerarchicamente secondo il principio agosti-niano della reduction artium ad theologiam (“riduzione dellearti alla teologia”). Le arti del trivio e del quadrivio si dispone-vano idealmente sui gradini di una piramide, con al vertice lateologia, e tracciavano un itinerario che, se percorso interamen-te, permetteva all’uomo di avvicinarsi progressivamente a Dio.

Con l’Umanesimo si introdusse un fattore importante, deter-minato dalla scoperta dell’autonomia dell’arte. Si cominciò adapprezzare le opere d’arte per la loro bellezza o per il loro con-tenuto di elevata umanità, anziché guardarle alla luce del pen-siero cristiano, come mezzi per una conoscenza piú approfondi-ta dei testi sacri. L’arte fu considerata una creazione che ha ilproprio fine in se stessa, trova la sua giustificazione nel valoredel bello (di un bello ideale che consiste anche nel rispetto diregole canoniche della creazione artistica).

Il termine “umanesimo” venne a indicare una maggioreattenzione alla vita e alle attività dell’uomo nella società, chevenivano rivalutate rispetto al Medioevo, in cui tutto ciò cheriguardava la vita terrena dell’uomo era svalutato, visto comesemplice passaggio per arrivare al regno dei cieli. Questo nondeve però far pensare all’Umanesimo come a un periodo senza

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Dio e religione; al contrario, questi aspetti rimasero estrema-mente importanti, ma vennero affiancati da un recupero deivalori mondani. Diventarono importanti tutte quelle attività ediscipline realizzate dall’uomo (humanitas): arte, letteratura,politica (per la prima volta come scienza autonoma, distintadalla filosofia e dalla religione), etica e morale. Perciò si risco-prirono i classici latini e, soprattutto, greci: nacque una nuovadisciplina, la filologia (lo studio della struttura della lingua), esi registrò un rinnovato interesse per la lingua dei poemi ome-rici. Nella cultura greca, gli umanisti trovarono quegli ideali dibellezza, di ordine, armonia, equilibrio ed euritmia (perfettaserenità dell’animo, buon rapporto dell’individuo con se stesso,con gli altri e con tutto il mondo) che caratterizzavano la cultu-ra antica. Cosí, gli intellettuali umanisti pensarono che, ripropo-nendo le forme artistiche e letterarie degli antichi, si potesseritrovare quella serenità d’animo, quella nobiltà interiore equella grande virtú che erano sottintese alle loro opere d’arte.

Inoltre, nella vita tipica dell’intellettuale umanista, svoltaall’interno delle corti (importanti soprattutto quelle dei Signoridegli Stati italiani: i Gonzaga a Mantova, i Medici a Firenze, gliEstensi a Ferrara, dei Visconti a Milano, dei Montefeltro aUrbino, e ancora le corti di Napoli, dello Stato della Chiesa aRoma), diventò fondamentale l’ideale di eleganza, di raffina-tezza dei modi (come è sottolineato anche dalla realizzazione diopere come il Galateo di Giovanni Dalla Casa o Il cortegianodi Baldassarre Castiglione); la vita dell’intellettuale umanista sisvolge prevalentemente alla corte, dove il Signore diventa un“mecenate” mantenendo a spese proprie i piú importanti intel-lettuali: artisti, filosofi, letterati, poeti, pittori, architetti, i qualidanno prestigio alla corte, contribuiscono a renderla sempre piúsplendida e aiutano il loro signore nelle mansioni amministrati-ve e di ambasceria.

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Le humanæ litteræ, dunque, vennero esaltate e ricercate per-ché rispondevano a una serie di bisogni e di valori che si eranovenuti a formare attraverso la vita comunale, la nuova econo-mia e la vivace esperienza della vita cittadina, e successivamen-te delle Signorie, le quali pian piano soppiantarono, tra la finedel XIV secolo e il XV secolo, i Comuni.

L’Italia si trovò, durante l’Umanesimo e ancor piú durante ilRinascimento, nella paradossale situazione di essere il punto diriferimento e modello di vita, di stile, di arte e di cultura pertutta l’Europa, mentre politicamente era estremamente fragile esoggetta a subire le lotte delle varie potenze straniere, già orga-nizzate in grandi Stati nazionali, come la Francia e la Spagna.Non fu la cultura classica a creare la figura dell’umanista, mafurono gli umanisti, ancora immersi nel mondo medievale intrasformazione, che si accostarono alle opere classiche come adei modelli per meglio definire la loro identità e per costruirsil’immagine morale del loro futuro.

Se l’Umanesimo coprí circa i primi ottant’anni delQuattrocento, il Rinascimento, dalla fine del XV secolo, prose-guí l’opera di rinnovamento iniziata dagli umanisti e portò que-sto processo ai massimi livelli nei primi anni del Cinquecento,fino al progressivo declino nella seconda metà del Cinquecento.Umanesimo e Rinascimento, dunque, possono essere conside-rati distinti per molti aspetti, ma anche intesi come un unicoprocesso storico, che si conclude con il XVI secolo.

Il termine “Rinascimento” indica la rinascita della vita edella cultura, dopo i secoli dominati dalle preoccupazioni dicarattere religioso e per il Trascendente, caratteristiche delMedioevo. Con il Rinascimento il fenomeno piú caratteristico èdato dall’ampliarsi del processo di disgregazione dell’unità delsistema culturale del Medioevo. Come era stato per l’arte, inquesti anni la politica, la filosofia e la scienza si disposero su di

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un piano orizzontale: ogni disciplina si distaccò dalle altre, ren-dendosi autonoma e fondandosi su di un distinto valore: l’utileper la politica, la spiegazione della natura secondo propri prin-cípi per la filosofia, la prospettiva come cànone di bellezza per-fetta per la pittura. È il fenomeno che portò alla nascita dellescienze moderne nel Seicento, anticipata nell’Umanesimo dalgrande sviluppo dell’astrologia, dell’alchimia e delle scienzemagiche: esse, sebbene in maniera “magica”, possedevano giàil criterio che, nel secolo successivo, caratterizzò le scienzemoderne: cercare di conoscere la natura per dominarla e sotto-metterla agli scopi dell’uomo. Con l’astrologia, soprattutto,l’uomo cercò di trovare una corrispondenza tra microcosmo emacrocosmo, vedendo ripercorrere nel ciclo vitale del singoloindividuo tutta l’esistenza e la struttura dell’universo intero. Sicercò di stabilire un rapporto fra le influenze degli astri, gli ele-menti naturali e l’uomo, per consentire a quest’ultimo di piega-re la natura ai propri fini.

Da qui nacque la nuova idea pedagogica fondata sulla volon-tà umana e sulla fiducia nei poteri della ragione e della fantasiacreatrice. L’idea della renovatio proposta dagli umanisti riman-da all’imitazione dell’antico e si pone come idealizzazione delpassato, ripreso e rinnovato per essere adattato alle nuove esi-genze della vita umanistica. Il passato viene esaltato perché cre-duto modello di perfezione morale, civile e sociale. Attraversol’imitazione, dunque, si cercò di riprodurre i grandi valori delpassato. A questo significato morale e artistico si legò, però,anche un valore religioso-spirituale. Si volle far rinascere il pas-sato come atto di fede in una perfezione (come una verità rive-lata) che viene assunta quale modello al fine di rimuovere larealtà esistente e edificarne una nuova: l’imitazione del passatodiventa quindi un processo creativo e di adattamento da attiva-re nel presente e nel futuro. La continuità sotterranea fra passa-

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to e presente aiutò anche a dare evidenza all’idea pedagogicadominante nel corso dell’Umanesimo-Rinascimento: un’ideapedagogica che mantenne ancor fermo il rapporto tra cultura ereligione, spostando l’accento sul momento morale del cristia-nesimo, e guardò al passato, alle humanæ litteræ come a unrepertorio di modelli per la perfezione interiore, nonché per laproiezione dell’uomo entro la vita politica e civile.

L’Umanesimo assunse connotazioni diverse nei vari paesieuropei, sia per effetto dei rapporti che devette necessariamen-te istituire con le diverse tradizioni culturali con le quali vennein contatto, sia e soprattutto per la creatività di alcune persona-lità di eccezione. Una di esse fu Leon Battista Alberti (1404-1472) che, nel suo trattato della famiglia, delineò la figura del-l’uomo “nuovo”, che grazie alle sue virtú riesce a costruire dasolo il proprio destino. Dal punto di vista pedagogico, Albertivalorizzò il lavoro e l’esercizio, sia in ambito individuale che inambito sociale. La famiglia è il luogo ideale in cui si compie ilprocesso educativo, che deve formare l’individuo in tutti i suoiaspetti, al fine di ottenere una personalità equilibrata e comple-ta.

Altre personalità eccezionali, per cultura e capacità creative,furono Leonardo da Vinci (1452-1519), che fu a un tempo pit-tore, architetto, ingegnere, poeta, letterato, filosofo, scultore,inventore: vera realizzazione dell’uomo completo, e GiovanniPico della Mirandola (1463-1495), celebre per la sua stermi-nata cultura e per la prodigiosa memoria.

L’idea pedagogica della civiltà umanistico-rinascimentale,nei vari modelli elaborati, trovò le forme piú adeguate di con-creta espressione nelle scuole di Guarino Veronese (1374-1460) e di Vittorino da Feltre (1378-1447): la prima orientataalla formazione degli insegnanti e degli ecclesiastici, e dunquecon un fine professionale; la seconda diretta alla formazione

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completa dei giovani chiamati a servire “Dio nella Chiesa enello Stato”: magistrati, teologi, capi di stato, comandanti dieserciti. Fondamento comune del curriculum delle due scuole,come di tutte le scuole umanistiche sono la letteratura greca elatina. Altre discipline comuni sono l’arte, la poesia, la retorica,la dialettica, ecc. Diversi, invece, sono i metodi impiegati: piúsevero e filologicamente agguerrito quello di Guarino; piú aper-to e liberale, anche se con una forte impronta morale, quello delsuo discepolo e collega Vittorino, il quale recuperò le arti deltrivio e del quadrivio, e allargò le attività educative fino a com-prendere il gioco e l’educazione fisica.

Bibliografia essenziale:E. GARIN, Educazione umanistica in Italia, Laterza, Roma-Bari 1975;E. GARIN, L’educazione in Europa. 1400/1600, Laterza, Roma-Bari

1976.

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14L’idea pedagogica nella Riforma e nella Controriforma

Il motivo della renovatio ispirò sia gli esponenti dellaRiforma protestante che quelli della Controriforma cattolica: iprimi per il tema del ritorno alla parola della rivelazione e allasemplicità del cristianesimo primitivo, senza mediazioni distrutture esterne ecclesiali; i secondi per l’esigenza di unarestaurazione del contenuto dottrinale della Scolastica e dellaPatristica, che alimentò un movimento di rigenerazione internoalla Chiesa stessa. Questo movimento precedette, per alcuniversi, anche la stessa Riforma protestante, e costituí uno deifondamenti su cui si resse il rinnovamento della Chiesa neipaesi dell’Europa meridionale.

L’idea pedagogica nella Riforma protestanteIl principale esponente della Riforma protestante fu Martin

Lutero (1483-1546). Il motivo rivoluzionario del pensiero diLutero (che dette inizio in Germania al movimento protestantee alle Chiese riformate, le quali si separarono successivamentedalla Chiesa di Roma) è costituito dal rifiuto del principio diautorità. La teologia luterana nacque dalla riscoperta della fedecome fondamento unico della salvezza.

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Solo la fede giustifica l’uomo, che nasce peccatore, e nullapotrebbe senza l’intervento gratuito di Dio. Intorno al 1521Lutero tradusse la Bibbia in tedesco, e l’anno successivo tradus-se anche il Nuovo Testamento, in modo da permettere a tutto ilpopolo, che non conosceva il latino, di leggere direttamente iltesto sacro e comprenderlo con le proprie capacità, in modo cheil libero esame dei testi sacri costituisca la base della nuova dot-trina, senza la necessaria mediazione dell’ecclesiastico.

Il protestantesimo trovò un altro esponente fondamentale inGiovanni Calvino (1509-1564). Calvino realizzò la sua rifor-ma protestante in Svizzera. Il suo libro, Institutio christianæreligionis (L’istituzione della religione cristiana, del 1534), sipuò considerare un trattato filosofico-religioso che contiene unaprecisa visione del mondo, e tocca tutti gli aspetti della vitaindividuale e collettiva. Il suo capolavoro, da un punto di vistapratico, fu lo “Stato teocratico” creato a Ginevra, che restò unmodello per l’organizzazione politico-religiosa del calvinismoeuropeo. Calvino, rispetto a Lutero, accentuò la distanza chesepara l’uomo da Dio: l’uomo è nulla, mentre Dio è tutto,Essere trascendente e sovrano dell’universo; Dio è conoscibilesolo attraverso le scritture, che sono la parola di Dio. La salvez-za non è nelle nostre mani, ma risiede nei disegni di Dio, e noipossiamo solo presentirla attraverso la nostra attività, comesegno della nostra predestinata chiamata tra gli eletti: è questala dottrina della salvatio per vocationem (salvezza per vocazio-ne).

La pedagogia della riforma protestanteUna delle conseguenze indirette della riforma fu l’afferma-

zione della scuola pubblica, affidata allo Stato nel caso dei lute-rani, o alla Chiesa in quello dei seguaci di Calvino. Si diffusecosí il principio della obbligatorietà dell’istruzione, considerata

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dai protestanti condizione essenziale della pratica effettiva dellafede, incentrata sul libero esame dei testi sacri. Lutero si posecome continuatore dello spirito rinascimentale, sia per l’istanzadella riforma e del rinnovamento della Chiesa e dell’esperienzareligiosa, sia per l’individualismo della sua nuova dottrina, fon-data sul libero esame e sul sacerdozio universale. La dignitashominis, che sembra recuperata nella riconquista della fede edel pensiero, di fatto subisce un colpo mortale: il principio del“servo arbitrio”, in opposizione a quello del “libero arbitrio”,toglie all’uomo ogni possibilità di contribuire alla propria sal-vezza, rimettendo il destino dell’uomo in mano a Dio. Il princi-pio di obbedienza è centrale sia in Lutero che in Calvino, eporta con sè conseguenze pratiche importanti, nella sottomis-sione a un sovrano assoluto (in Lutero) o a una teocrazia nonmeno assoluta (in Calvino).

Se da una parte la riforma protestante contribuí a diffonderel’istruzione, dall’altra, però, essa impoverí l’idea pedagogicadell’umanesimo originario, e segnò un momento di arresto nelsuo sviluppo. L’ordinamento degli studi prevedeva il primatoesasperato dell’educazione religiosa, mentre lo studio dellehumane litteræ si fece sempre piú formalistico ed esteriore.

L’idea pedagogica nella Controriforma cattolicaLa Controriforma designò un periodo storico che va dalla

metà del XVI secolo ai primi decenni del XVII secolo. Piú esatta-mente, l’inizio della Controriforma cattolica si indica con ilConcilio di Trento, tenutosi dal 1545 al 1563, con due lunghiperiodi d’intervallo, in cui si discussero le misure da prenderecontro le Chiese riformate e contro il dilagare del protestantesi-mo, al fine di ricomporre l’unità dei cristiani. Il Concilio diTrento operò su due piani distinti: uno dottrinale, in cui si vollericonfermare il principio di autorità, il primato del Papa e la

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funzione mediatrice della Chiesa, e l’altro organizzativo-cultu-rale, che introdusse una serie di innovazioni che liberarono laChiesa dal malcostume dilagante, dall’immoralità del Clero,dall’ignoranza dei fedeli e del basso clero, cioè i parroci di cam-pagna, che spesso erano semi-analfabeti. In questi anni laChiesa provvide ad arginare gli effetti del protestantesimo,mediante il riordino della propria dottrina e la riorganizzazionedelle proprie strutture istituzionali.

Il termine “Riforma cattolica” indicò, invece, un vasto movi-mento che ebbe le sue radici nel tardo Medioevo, e che attraver-so Umanesimo e Rinascimento fu vòlto al rinnovamento inter-no della Chiesa.

Riforma e Controriforma cattolica giunsero, a un certopunto, a intrecciarsi, contribuendo a innescare un processo direazione della Chiesa a difesa del papato. Gli ordini religiosi(fra i quali si possono ricordare i Gesuiti, i fratelli delle scuolecristiane di San Giovanni Battista de La Salle, i Barnabiti, iSomaschi, gli Scolopi, la congregazione dell’Oratorio di SanFilippo Neri) costituirono un’espressione delle esigenze diriforma interiore della vita religiosa e del modo di porsi dellaChiesa nel mondo, nonché degli strumenti per mezzo dei qualiil neo-cattolicesimo della Controriforma riuscí ad affermarsinei paesi non ancora conquistati dal protestantesimo. I semina-ri di nuova istituzione provvedettero alla formazione morale eculturale dei sacerdoti, anche in funzione dell’educazione popo-lare delle parrocchie. La Controriforma costituí una svolta che,nella storia della Chiesa, ebbe un significato importante: segnòil passaggio dal caos all’ordine, da una religione fattasi stru-mento di potere a una religione vòlta alla salvezza dell’indivi-duo. Nel sistema della cultura, la Controriforma riportò a nuovavita la lingua latina e ripristinò la centralità della Scolastica. Trai metodi repressivi venne ripristinata e aumentata la forza del

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tribunale della Santa Inquisizione, che condannava tutte le ere-sie, e in molti casi arrivò anche a decretare la morte per gliappartenenti a una setta giudicata eretica, o chi era sospettato diidee eretiche (pensiamo all’esecuzione della condanna al rogodi Giordano Bruno avvenuta il 17 febbraio 1600, in Campo de’Fiori a Roma); inoltre venne pubblicato l’Indice dei libri proi-biti dalla Chiesa.

I gesuiti e la ratio studiorumLo strumento piú energico di difesa e di controffensiva della

Chiesa di Roma nell’età della Controriforma fu rappresentatodalla Compagnia di Gesú, sorta grazie a Sant’Ignazio diLoyola (1491-1556), un ex-generale spagnolo. La struttura del-l’ordine fu contraddistinta da un vocabolario e una disciplinamilitareschi, e nacque con precisi compiti: la lotta all’eresia e ladifesa della Chiesa. L’ordine si pose alle dirette dipendenze delPapa, Paolo III, come corpo d’assalto per lottare contro l’eresiae propagare la fede cristiana nel mondo, e ai tre voti tradiziona-li degli ordini religiosi, obbedienza, povertà e castità, ne venneaggiunto un quarto: assoluta sottomissione al Papa e al genera-le dell’ordine.

I gesuiti intesero divulgare la cultura e l’educazione cattoli-ca in diversi modi: da una parte, tramite la realizzazione discuole per poveri nelle campagne, cosí da educare i bambini finda piccoli alle regole cristiane; dall’altra, attrverso la diffusionedel messaggio evangelico anche ad altre culture, che vennerocosí convertite, a opera di varie Missioni con lo scopo di evan-gelizzare. A questo proposito, particolarmente importanti siriveleranno le missioni in Cina e in tutto l’estremo oriente, cheaprirono le strade alla successiva colonizzazione europea.

La formazione del gesuita era severissima, e prevedeva sia latotale abnegazione di ogni moto spontaneo della volontà e del-

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l’intelligenza individuale, sia l’assoluta disponibilità all’obbe-dienza, che è via di perfezione interiore e di disciplina e siacquista mediante appositi esercizi spirituali. Importantissimoera poi l’accurato studio letterario da svolgere all’interno del“collegio”, in cui la disciplina era mantenuta attraverso punizio-ni anche corporali, e in cui i ragazzi erano sollecitati a denun-ciare, attraverso la delazione, i compagni che trasgredivano leregole.

L’ordine degli studi, come venne fissato dalla Ratio atqueInstitutio Studiorum Societatis Jesu, compreso nelleCostituzioni (del 1599), distingue tre livelli: un corso di gram-matica triennale, un corso di umanità e retorica biennale, e uncorso di filosofia, che coincide col ginnasio inferiore, e uno diteologia, che corrisponde al ginnasio superiore, al liceo e all’u-niversità. Inoltre, era obbligatorio l’uso della lingua latina nelparlato.

La scuola dei gesuiti ricevette in eredità il piano di studidegli umanisti, cristallizzandolo però entro l’area privilegiatadello studio letterario, e limitandone cosí la portata nella desti-nazione sociale, ristretta ai membri della futura classe dirigen-te. L’idea pedagogica che essa cercò di realizzare risultò pertan-to quella di una formazione retorica: una formazione solida che,però, lasciò scoperte molte direzioni formative individuate inetà umanistica, come l’educazione allo spirito critico e allacreatività e l’esercizio pratico. Altri limiti della formazione deigesuiti risiedono nel fatto che non veniva data importanza allescienze sperimentali, e il loro insegnamento scadeva nel manie-rismo e nel convenzionalismo morale.

Altre scuole da ricordare dell’età della Controriforma conorientamenti culturali e metodologici di grande interesse psico-logico, etico-religioso e sociale, furono: la “comunità dei fratel-li”, il cui fondatore è San Giovanni Battista de La Salle (1651-

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1719); le scuole parrocchiali; le scuole domenicali, per operai epiccoli apprendisti; le scuole tecniche.

Bibliografia essenziale:H. OBERMAN, I maestri della riforma, il Mulino, Bologna 1982;J. LORTH, E. ISERLOH, Storia della riforma, il Mulino, Bologna 1974.Opere di Ignazio di Loyola:Esercizi spirituali, trad. it. tea, Milano 1988.Letteratura critica sulla Controriforma:A. PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missio-

nari, Einaudi, Torino 1996.

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15Comenio

Johann Amos Komenski, latinizzato in Comenio (1592-1670), nacque in Moravia. Fu una delle maggiori figure dellapedagogia e della scuola del XVII secolo. Durante la sua vita tra-vagliata scrisse molte opere a carattere mistico-religioso epedagogico didattico, tra cui le piú importanti sono: DidacticaMagna (La grande didattica), del 1631; Leggi di una scuolaben ordinata, pubblicata nel 1653; Quadro del mondo dellecose sensibili, del 1658.

L’ampia diffusione delle sue opere fece di Comenio un per-sonaggio famoso in tutta Europa, tanto che i governi diInghilterra, Svezia, Olanda e Ungheria lo invitarono a riforma-re i sistemi scolastici dei relativi paesi. Nominato vescovo, ter-minò la sua vita ad Amsterdam.

Nel corso del XVII secolo la riflessione sulla problematicadell’educazione assunse una nuova consapevolezza di sé e unanuova forma sistematica. Essa partecipò all’esigenza di elabo-rare fondamenti e metodi certi, relativamente ad àmbiti di inda-gine miranti ad acquisire uno statuto teorico rigoroso.Pedagogia e indagine giuridico-sociale si riferirono a tematicheper piú versi analoghe, a cominciare dalla riflessione sulla natu-ra razionale dell’uomo e dal problema delle procedure piúopportune di analisi dell’essere umano.

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Il pensiero di Comenio rimase legato a due ideali del tardorinascimento europeo: la ricerca di un metodo universale capa-ce di organizzare tutto lo scibile umano, e la dottrina pansofica(da pan, che significa tutto, e sofia, che significa sapienza), percui ogni uomo deve tendere a una formazione piú completa eintegrale possibile, mirando a realizzare il piú alto grado diumanità.

Come sostennero, in seguito, anche gli empiristi, perComenio la mente umana, nonostante l’esistenza di alcunecapacità potenziali, è sostanzialmente una tabula rasa, per cuiassume assoluta centralità il processo educativo.

La teoria pedagogica di Comenio si basa sui seguenti puntifondamentali:

1) l’educazione deve essere concepita come un processonaturale, che tenga conto dei ritmi e delle istanze che si susse-guono nel bambino e nell’adolescente nel corso dello sviluppo;

2) la trasmissione delle conoscenze consiste nel passaggiodal semplice al complesso e dal facile al difficile;

3) il processo educativo deve utilizzare le funzioni che Dioha donato all’uomo; bisognerà partire da nozioni acquisite daisensi, fissate dall’immaginazione e dalla memoria e infine ela-borate dall’intelletto;

4) questo processo deve seguire un ordine: l’educazionedeve essere fatta di cose, e non di parole.

Le cose, e con esse l’esperienza diretta del mondo naturale eumano, divennero le protagoniste della filosofia di Comenio.Contro la cultura e l’educazione retorico-letteraria, Comenioaffermò che il conoscere è soprattutto un fare: la genesi e lastruttura delle cose si apprendono facendole, agendo su di esse.Riguardo all’aspetto etico-spirituale, Comenio diede importan-za all’educazione morale e a quella religiosa.

L’istruzione venne articolata in quattro fasi, ciascuna della

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durata di sei anni, alle quali corrispondevano quattro diversi tipidi scuola: per prima la Scuola Materna, in ogni casa, per i bam-bini fino ai sei anni, base per ogni sapere successivo; poi laScuola Elementare, in ogni comune, dai sei ai dodici anni, il cuifine è coltivare l’intelligenza, l’immaginazione e la memoria; visi insegnava a scrivere e a far di conto, lo schema della storia edella geografia, alcuni lavori manuali, e qualche nozione dipolitica ed economia. L’educazione religiosa si svolgeva attra-verso la lettura di brani della Sacra Scrittura.

Lo studente passava poi alla Scuola Latina o Ginnasio, inogni città, dai dodici ai diciotto anni, divisa in sei classi: gram-matica, fisica, matematica, etica, dialettica e retorica.

L’ultima scuola inserita nella riforma di Comenio eral’Accademia (l’istituzione piú diffusa nel Seicento in ambitoculturale elevato), in ogni regione o grande provincia, daidiciotto ai venticinque anni, affinché gli allievi potessero stu-diare una scienza speciale a loro scelta.

Il contenuto della conoscenza è uno; a variare, nei diversilivelli scolastici, sono solo i metodi di trasmettere le conoscen-ze, legati alle diverse età dei discenti: è questo il principio del-l’insegnamento globale e ciclico, in cui ogni tappa scolasticaabbraccia un insieme compiuto e organico di conoscenze ade-guate all’età e alle capacità dello studente, e insegnate secondoun metodo atto a sviluppare il suo senso critico.

Comenio riassunse in un “decalogo” la sua teoria pedagogi-co-didattica:

1) nessuno potrà essere istruito in modo perfetto in unascienza sola, senza dare uno sguardo alle altre;

2) si può diventare uomo solo per opera dell’educazione;3) la prima scuola del bambino è sulle ginocchia della

madre;4) si lasci che i bambini giochino molto a loro piacere;

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5) il maestro è il sole della scuola;6) bisogna presentare alla gioventú non le ombre delle cose,

ma le cose stesse;7) una scuola senza disciplina è come un mulino senz’acqua;8) la natura passa dalle cose piú facili alle cose piú difficili;9) tutto a tutti;10) buona parte di un retto ordinamento scolastico consiste

nel ben distribuire le fatiche e le ricreazioni.

Bibliografia essenziale. Opere di Comenio:Opere, trad. it. UTET, Torino 1974

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16John Locke

John Locke (1632-1704) nacque a Wrigton, nei pressi diBristol, in Inghilterra. Dal 1652 frequentò il collegio di ChristChurch a Oxford. Pur non conseguendo il dottorato in medici-na, esercitò per lunghi anni la professione di medico. ConobbeLord Ashley, conte di Shaftesbury ed esponente del nascentepartito whig (progressista) durante gli anni della monarchiadegli Stuart, di cui divenne medico e collaboratore personale,dal 1672 al 1691.

All’epoca l’Inghilterra viveva un periodo di grande travagliopolitico; la situazione politica vedeva la contrapposizione didue partiti: il partito whig, liberale, progressista, a favore delparlamento, e il partito tory, conservatore e sostenitore dellamonarchia. La nascita del nuovo partito dei whigs gettò le basiper la grande rivoluzione parlamentare del 1688, che portò algoverno Guglielmo d’Orange, di idee liberal-costituzionali.Locke può essere considerato, grazie alle sue opere politiche,l’autore principale dell’ideologia whig.

Nel 1671, intanto, Locke iniziò a scrivere il suo capolavorofilosofico, Il Saggio sull’intelletto umano, che pubblicò nel1690. Dovette compiere parecchi viaggi, per sfuggire a unarepressione contro i whigs, in Francia e in Olanda, dove morí

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Lord Shaftesbury. Oltre al Saggio, scrisse opere di caratterepolitico, come i due Trattati sul governo (1690), di tema religio-so, come l’Epistola sulla tolleranza (1689), e pedagogico, qualii Pensieri sull’educazione (1693), che mira alla formazione delgentleman, il rappresentante della nuova classe borghese affer-matasi in Inghilterra nel XVII secolo.

Teoria della conoscenzaLocke è considerato il padre dell’empirismo moderno, teoria

secondo la quale tutta la conoscenza deriva dall’esperienza.Nel Saggio sull’intelletto umano, egli volle indicare i limiti

dell’intelligenza umana, analizzando criticamente le capacitàcognitive dell’uomo.

La polemica di Locke si rivolse contro la teoria delle ideeinnate, che nel Seicento aveva i suoi principali sostenitori neicosiddetti “platonici di Cambridge”. Locke negò l’esistenza diidee, conoscenze e princípi morali o religiosi innati, per affer-mare invece che la mente umana, alla nascita, è una tabularasa, e apprende tutte le conoscenze solo attraverso le esperien-ze che derivano dai sensi esterni, e vengono elaborate in segui-to dai sensi interni e dalla ragione. La mente dell’uomo, in altreparole, è come un foglio bianco privo di ogni carattere, o unatavoletta di cera, su cui l’esperienza scrive le informazioni.

Locke fondò la sua teoria su tre princípi:1) L’ipotesi innatista non è indispensabile: si può conoscere

tutto attraverso l’esperienza.2) È falso che vi sia un accordo universale su certi princípi

innati. Questo è dimostrabile analizzando i bambini, gli idioti oi selvaggi, che non hanno conoscenze innate e non distinguonoil bene dal male.

3) Nemmeno le idee religiose e l’idea di Dio possono essereconsiderate universali e innate; infatti, vi sono persone atee e

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popolazioni che non le hanno, o le possiedono in maniera diffe-rente dalla nostra. Locke, comunque, non è ateo, ma pensa cheDio esista e sia la causa prima di tutte le cose.

Per il pensatore inglese le esperienze possono dividersi indue tipi:

- esperienze esterne (le sensazioni), che derivano dai sensiesterni;

- esperienze interne (le percezioni, la memoria, il pensiero, ildiscernimento, il volere), effettuate dai sensi interni.

Le sensazioni, a loro volta, sono di 2 tipi:- primarie, cioè oggettive (figura, estensione, solidità, movi-

mento);- secondarie, cioè soggettive (colori, suoni, odori, ecc.).Le sensazioni vengono a costituire le idee semplici delle

cose, dalle quali derivano le idee complesse, ottenute dallacomparazione, unione ed elaborazione delle idee semplici. Peresempio, l’idea complessa dell’argento è formata dalle ideesemplici di estensione, colore, peso, ecc.

PoliticaLocke è reputato anche il filosofo della borghesia. Il borghe-

se è colui che si è fatto da sé, con la propria attività e intrapren-denza: è la classe piú moderna e dinamica del Seicento, rispet-to alla nobiltà. Dal punto di vista politico, Locke elaborò unateoria contro il governo monarchico e contro tutti i privilegi chei nobili possedevano, senza aver fatto nulla per meritarli.

Locke fu favorevole alla moderna concezione dello statoliberale e costituzionale, in cui il potere è in mano a tutti i citta-dini che eleggono i loro rappresentanti. Ipotizzò, come altripensatori, uno stato di natura in cui gli uomini vivevano in ori-gine liberi, ma in uno stato di guerra di tutti contro tutti. Perpoter convivere è necessario stipulare un contratto sociale, che

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faccia uscire gli uomini dallo stato di barbarie tramite l’adozio-ne di leggi razionali. I cittadini non possono però, come scrisseil filosofo inglese Thomas Hobbes nella sua opera principale, ilLeviathan (Leviatano), cedere completamente i propri dirittinaturali a un sovrano assoluto. È il popolo che deve esseresovrano, ed eleggere liberamente i propri rappresentanti inParlamento. I poteri dello Stato, secondo Locke, devono esseredivisi in:

a) potere legislativo: votare le leggi, che spetta alParlamento;

b) potere esecutivo: mettere in atto le leggi, che spetta alGoverno;

c) potere giudiziario o federativo: far rispettare le leggi, chespetta alla Magistratura e alla polizia.

Il primato deve essere dato al potere legislativo, in quanto èil popolo che elegge i propri rappresentanti in Parlamento, e hail diritto di ribellarsi a uno Stato i cui governanti commettanoabusi di potere e ingiustizie.

ReligioneLe teorie religiose di Locke sono esposte nell’Epistola sulla

tolleranza, in cui egli sostiene che nello Stato debba esistereuna pacifica convivenza di religioni diverse, e Stato e Chiesadebbano mantenere una vita autonoma e indipendente l’unodall’altra.

Locke rifiutò l’idea che il genere umano discenda da Adamoed Eva, e confutò senza difficoltà la teoria di Robert Filmer, ilquale sosteneva che il monarca ha diritto a essere tale perdiscendenza diretta da Adamo o dai Patriarchi. Il cristianesimodeve essere il piú possibile semplificato e razionalizzato, elimi-nando le superstizioni per diventare “ragionevole”.

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PedagogiaIl pensiero pedagogico di Locke è la diretta conseguenza del

suo pensiero filosofico e politico. I Pensieri sull’educazionenascono con l’intento di educare non tutta la popolazione, ma ilgentleman, cioè il rampollo della nuova classe sociale emergen-te, la borghesia, quel ceto che, durante le trasformazioni socia-li dell’Inghilterra del XVII secolo, entrò nell’industria, nel com-mercio, nella finanza, e si volle affermare per mezzo delle pro-prie ricchezze, capacità, intelligenza, cultura, intraprendenza econ grande spirito d’iniziativa.

La pedagogia proposta da Locke educa alla libertà, attraver-so una istruzione sciolta da precetti e norme universali; l’uomodeve conquistare la libertà attraverso il rigore e la disciplina,cosí da giungere all’autogoverno (il self-governement). Comeabbiamo visto, gli individui nascono senza alcuna idea innata;la mente del bambino è una tabula rasa, ed è l’esperienza cheforma le idee nella mente. Di conseguenza, nell’educazione l’a-spetto piú importante è l’apprendimento. Perciò al bambinodeve essere insegnato ogni sapere e comportamento corretto,attraverso la disciplina e l’uso di premi e punizioni, la lode e ilbiasimo, la stima e i castighi, in una parola: la capacità di auto-governarsi.

Educare, per Locke, significa far capire agli allievi che lecapacità e le nozioni trasmesse sono ragionevoli e utili e, se sicomanda o proibisce qualcosa, non è per caso, per capriccio oper collera; è importante la persuasione e l’uso del ragionamen-to anche con i bambini, i quali, se il precettore adotta le giusteparole, sono in grado di capire.

L’educazione proposta da Locke non tende però al conformi-smo o all’autoritarismo: l’individuo deve sviluppare la propriapersonalità, e non conformarsi passivamente alle regole dellasocietà. Contro il verbalismo e il dogmatismo delle scuole uma-

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nistiche, Locke afferma l’importanza del rapporto diretto con lecose concrete, anche attraverso il gioco, o meglio un’attivitàgiocosa e divertente.

Riguardo al metodo e ai contenuti dell’insegnamento, Lockesottolineò che lo studio non deve essere sentito come un dove-re, ma come un gioco; bisogna prestare attenzione alle esigen-ze psichiche del bambino, e offrirgli continuamente novità inte-ressanti che lo attirino, senza annoiarlo.

L’iter educativo deve partire dalle idee semplici, per arriva-re gradatamente a quelle complesse, sempre con la confermadell’esperienza e dell’analisi critica. Una volta raggiunta questacapacità, l’allievo potrà anche percorrere il cammino inverso,andare cioè dal complesso al semplice, scomponendo una que-stione complessa nei suoi elementi primari.

Il curriculum delle materie da studiare è contrario a quellodegli umanisti, i quali davano molta importanza alle disciplineanziché all’allievo, e attribuivano la precedenza alle materieumanistiche: arte, letteratura, retorica, lingue classiche. Lockepropone di modellare il curriculum scolastico sullo sviluppobiologico e psicologico dell’individuo, e sull’utilità della cultu-ra; l’insegnamento non deve essere dogmatico, né astratto, néautoritario, ma deve sviluppare lo spirito critico della persona.Infatti, il fine ultimo dell’educazione è l’utile, un sapere che siautile all’affermazione dell’individuo nella società moderna.

I contenuti devono essere concreti e vicini all’esperienzadiretta; per esempio, per studiare la lingua madre, si dovrannoprivilegiare le esperienze dirette del soggetto, fargli toccare lecose e far capire la loro utilità. Anche la seconda lingua, chedeve essere viva e utile, come il francese, deve essere appresacon la pratica, parlando, e non attraverso la grammatica e leregole astratte, come invece veniva insegnato il latino in passa-to.

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Si dovranno fare inoltre molti viaggi, affinché il ragazzoentri in contatto con altri mondi e culture diverse e allarghi ipropri orizzonti. Il latino, anche se lingua morta, si deve impa-rare, perché serve per leggere altri libri e imparare altre disci-pline. Ciò che comunque va evitato, anche nell’insegnamentodi questa lingua, è il metodo mnemonico basato esclusivamen-te sullo studio della grammatica, mentre bisogna privilegiare unapprendimento che si fondi sull’uso concreto della lingua.

Le materie piú importanti sono quelle che hanno una utilitàpratica e servono ad affermarsi in società: materie tecniche escientifiche, quali la geografia, l’astronomia, la storia, la crono-logia, la matematica, la geometria e l’anatomia. Rimangonoinoltre importanti l’etica, il diritto e la conoscenza delle leggidel proprio paese, mentre vengono svalutate le materie artisti-che, quali pittura e poesia.

Bibliografia essenziale. Opere di Locke:Pensieri sull’educazione, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1942.Letteratura critica:M. SINA, Introduzione a Locke, Laterza, Roma-Bari 1982.

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17L’educazione nell’Illuminismo

L’Illuminismo è una corrente di pensiero che sentí una pro-fonda fiducia ottimistica nella capacità della ragione. Nacque inInghilterra, si sviluppò soprattutto in Francia nel XVIII secolo,per diffondersi poi in quasi tutti i paesi dell’Europa. Si ispiròalla cultura razionalista di Cartesio, alla scienza del Seicento, alpensiero del filosofo materialista inglese Thomas Hobbes(1588-1679). I maggiori pensatori inglesi, primo fra tutti DavidHume (1711-1776), diedero vita a concezioni filosofiche illu-ministiche le quali fecero propria la dottrina della conoscenzadell’empirismo. In Francia, dove l’Illuminismo ebbe il suo cen-tro promotore piú fertile e dinamico, vissero importanti filosofi(i philosophes) come Voltaire, Condillac, Cabanis, Destutt deTracy; i materialisti D’Holbach e Helvètius; gli autoridell’Encyclopèdie (il primo grande progetto di realizzare un’o-pera enciclopedica monumentale in cui fosse contenuto tutto ilsapere): Diderot e D’Alambert; l’autore dell’opera L’hommemachine, La Mettrie. I nomi piú importanti e originalidell’Illuminismo sono, però, Charles-Louis de Secondatbarone di La Brède e di Montesquieu (1689-1755) e Jean-Jacques Rousseau (1712-1778).

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Il pensiero dell’Illuminismo, con i suoi ideali di ragione e dilibertà, uguaglianza e fraternità, portò alla rivoluzione francese(1789), con la proposta dei valori di liberté, egalité e fraternité.

Il piú grande filosofo illuminista tedesco fu Immanuel Kant(1724-1804) che, nel 1784, scrisse un libretto in Risposta alladomanda: che cos’è l’Illuminismo, in cui cerca di dare una defi-nizione dello spirito illuministico, affermando chel’Illuminismo è “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità”(minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza laguida di altri); l’Illuminismo quindi sostenne l’importanza diservirsi della propria ragione per risolvere i problemi umani edel mondo, e volle porre ad analisi critico-razionale tutto ilsapere, il ragionamento, le convinzioni, la fede, i dogmi e lesuperstizioni.

L’Illuminismo fu un movimento laico, cioè indipendente daogni fede religiosa. Dal punto di vista religioso gli illuministifurono prevalentemente atei, cioè non credevano in Dio. Moltidi loro, oltre a essere atei, si dichiaravano profondamente nemi-ci di ogni fede religiosa, mentre alcuni si definirono deisti (ildeismo è la fede in un dio razionale, filosofico) e avevano unapropria fede individuale. Inoltre, nonostante fossero atei, gliilluministi sostennero l’importanza della tolleranza religiosa,verso ogni fede o credenza, in nome della libertà di pensiero edi opinione.

Per gli illuministi l’uomo è un essere terreno che, in questaterra, deve trovare la propria felicità, senza preoccuparsi di proble-mi metafisici, del futuro dell’anima e dell’Aldilà. L’Illuminismo èquindi materialista, ovverosia rifiuta ogni entità metafisica e spi-rituale, affermando che tutti gli aspetti della realtà, compresa l’uo-mo, l’anima, il pensiero e i suoi piú astratti sogni, sono materia espiegabili in termini materiali. Tutta la realtà è materia; può e deveessere conosciuta solo attraverso gli organi di senso.

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Gli ideali politici degli illuministi di giustizia sociale, liber-tà, democrazia, portarono a un grande movimento politico distampo progressista e riformatore, che sfociò nel XVIII secolo indue importanti rivoluzioni: quella americana contro il dominioinglese (1773-1783), alla metà del secolo, e quella francese allafine del XVIII secolo (1789-1792). Queste rivoluzioni realizza-rono una profonda trasformazione nella società e nelle ideepolitiche, ad opera soprattutto di una nuova classe sociale inascesa, la borghesia, la quale volle conquistare l’egemonia e ilpotere politico contro la nobiltà e la monarchia. Gli illuministi,mostrando l’ignoranza e l’arretratezza delle leggi e delle strut-ture politiche a loro precedenti e contemporanee, diedero vita,tramite la proposta dell’uso della ragione e un’opera di educa-zione alla volontà illuminata, a grandi e profonde riforme poli-tiche e sociali.

La cultura, con l’Illuminismo, si allargò a vasti strati socialie diventò sempre piú ampia e disponibile al pubblico. Si forma-rono centri intellettuali nelle Accademie, ma la diffusione dellenotizie, delle nuove idee e dei nuovi ideali di riforma socialeavvenne soprattutto nei salotti, nei caffè, e attraverso i giornaliche in questi anni si moltiplicarono e ampliarono la loro distri-buzione.

L’educazione svolse una funzione fondamentale e indispen-sabile per riformare la società illuminata; si rese indispensabileuna profonda riforma di scuole e metodi didattici. Per questomotivo, si sviluppò un ampio dibattito attorno ai problemi edu-cativi, che prese in esame fini, metodi e contenuti dell’istruzio-ne. Fu indispensabile, per la riforma sociale, che fosse lo Statoa prendersi cura, a proprie spese, dell’educazione, e organizzas-se in maniera sistematica e razionale un sistema scolasticonazionale, che desse ordine e omogeneità ai vari gradi di scuo-la, preparasse e controllasse il lavoro degli insegnanti.

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L’estensione dell’istruzione riguarda, in realtà, solo la classeborghese. Per il popolo, i teorici illuministi prevedevano solol’insegnamento dell’istruzione primaria: leggere, scrivere, fardi conto e le nozioni tecniche necessarie per il lavoro da svol-gere. Questo perché si temeva un abbandono, da parte delleclassi piú povere, dei lavori manuali, umili, di cui una società inespansione economico-industriale aveva ancora molto bisogno.Celebre, a questo riguardo, rimase l’affermazione di Voltaire:“il popolo non deve essere istruito: non ne è degno”.

La scuola diventò quindi laica e nazionale. L’educazionemirò a far conoscere e capire in modo chiaro e vivo la realtà,attraverso l’esperienza, l’intuizione empirica, l’osservazione eil ragionamento. L’insegnamento doveva seguire lo svilupponaturale dello spirito umano, che va dall’esperienza sensorialealla riflessione e alla sistemazione scientifica. Si volle svilup-pare allo stesso modo anche la volontà dell’individuo.All’autorità e alla costrizione adottate dalla scuola precedente,per lottare contro i difetti delle tendenze naturali, si sostituiro-no il principio della libertà, dell’autonomia e del rispetto del-l’individuo. Gli intellettuali illuministi sostennero che non sidovesse comprimere e obbligare la volontà del fanciullo, mafosse piú utile sorvegliarlo e guidarlo, lasciando sbocciare lasua natura semplice e buona. Nacque in questi anni l’idea cheoriginariamente la natura umana fosse buona, ma venisse cor-rotta dalla società: per questa ragione diventò fondamentale eprioritaria una rifondazione dell’educazione per giungere a unasocietà equilibrata che rispettasse l’individuo, lo rendessemigliore e felice e non lo corrompesse. Si incentivò l’uso delragionamento e della persuasione anziché la richiesta di sotto-missione.

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Bibliografia essenziale:A. TAGLIAPIETRA (a cura di), Che cos’è l’illuminismo?, Bruno

Mondadori, Milano 1997

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18Jean-Jacques Rousseau

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) nacque a Ginevra,nella Svizzera francese. Visse una gioventú travagliata e avven-turosa. Venne affidato dal padre ad alcuni parenti, da cui a 16anni fuggí, trovando ospitalità presso M.me de Warens, che fuper lui madre, amica e amante. Nel 1740 fu a Lione, e in segui-to si recò a Parigi, dove partecipò agli ideali dell’Illuminismo,divenendo amico dei piú importanti philosophes francesi e col-tivando scambi culturali con i piú celebri pensatori europei delsuo tempo. Rispetto alle idee illuministe, però, rivalutò l’impor-tanza delle passioni, del sentimento e della religione, venendocosí ad anticipare alcuni motivi che, da lí a poco, caratterizza-rono il Pre-Romanticismo e il Romanticismo di fine Settecentoinizi Ottocento.

A Parigi, partecipò a due concorsi letterari con due opere: ilDiscorso sulle scienze e sulle arti (1750) e il Discorso sull’ori-gine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754).Dopo un clamoroso litigio con Diderot e D’Alembert, gli orga-nizzatori dell’Enciclopedia, la grande opera alla quale collabo-rò per la stesura di alcune voci, Rousseau si isolò sempre piúdall’ambiente culturale francese, e scrisse le sue opere piúimportanti: Giulia o la nuova Eloisa, del 1761, un romanzo

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pedagogico; Emilio. Ovvero dell’educazione, del 1762, il suocapolavoro pedagogico; il Contratto sociale, sempre del 1762,un’opera di filosofia politica.

Queste opere, a causa delle teorie esposte dall’autore, susci-tarono l’ostilità delle autorità politiche e religiose; privo dellaprotezione dei philosophes, con i quali aveva ormai rotto ognirapporto, Rousseau dovette rifugiarsi in Svizzera e poi inInghilterra, chiamatovi da Hume; venuto in contrasto anche conquest’ultimo, rientrò in Francia, dove si concentrò particolar-mente su se stesso, analizzando i propri travagli di coscienza ele proprie crisi depressive. In questo periodo scrisse Rousseaugiudice di Jean-Jacques (1772), e portò a termine leConfessioni, un’autobiografia filosofica divenuta molto cele-bre, iniziata nel 1765 e pubblicata postuma. Morí nel 1778,ormai in completo isolamento.

Nel suo Discorso sulle scienze e sulle arti, Rousseau prote-stò contro la corruzione e la degradazione dei rapporti umaninella società moderna, esaltando la purezza dei costumi antichi.

Successivamente, nel Discorso sull’origine e i fondamentidella disuguaglianza tra gli uomini, il filosofo tracciò una gene-si storico-teorica della perdita della libertà individuale e dell’in-staurarsi del dispotismo politico, anticipando le tematiche dellasua piú importante opera di filosofia politica, il Contratto socia-le. Contrariamente a quanto sosteneva Hobbes, secondoRousseau l’uomo è buono per natura, e la vita associata è ilprodotto di una spontanea convivenza di sentimenti, bisogni einteressi. La società, però, corrompe questa originaria bontàcreando profonde disuguaglianze sociali, attraverso l’insorgeredella proprietà privata e della divisione del lavoro, che sonoquindi le cause principali dell’egoismo e delle ingiustizie. Perporre rimedio a questi effetti, però, Rousseau non auspicò un

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impossibile ritorno a uno stato di natura originario, peraltropuramente teorico; ciò che egli propose è invece un nuovo con-tratto sociale, attraverso il quale ricostruire la società intera.Per portare a termine questo progetto affermò la necessità dirinnovare l’uomo, impresa realizzabile solo tramite nuove leggie una nuova educazione, che riformasse e modificasse il mododi pensare e di vivere degli individui. Sottoscrivendo il contrat-to sociale, gli individui rinuncerebbero spontaneamente allalibertà assoluta, propria dello stato di natura, per accettare unaconvivenza che porti vantaggio alla collettività, e conseguente-mente al singolo. Nascerebbe cosí l’uomo nuovo, il cittadino(le citoyen), che si realizzerebbe consegnando il potere al popo-lo divenuto sovrano.

La libertà quindi consiste nell’agire non secondo la volontàindividuale, ma nel comprendere la razionalità e la convenien-za della vita collettiva, in cui gli uomini sono uguali e accetta-no liberamente di sottomettersi alla volontà generale, la qualegarantisce la giustizia, la libertà e l’uguaglianza fra gli uomini.In questo modo il ginevrino volle arrivare a una forma demo-cratica di governo. Bisogna però precisare che l’ideale politicodi Rousseau è riferito a una piccola comunità (la città ideale,per Rousseau, è Ginevra, o le città-stato greche, o ancora l’an-tica Roma repubblicana), in cui tutti possano partecipare diret-tamente alle decisioni collettive.

Con Rousseau la pedagogia conquistò per la prima volta unapropria autonomia. Nell’Emilio il filosofo realizzò un esperimen-to ideale, mirando a definire l’educazione dell’uomo in quantotale. Non piú, quindi, come in passato, una educazione per unparticolare esponente della società, come il gentleman di Locke,o il militare, o il cortigiano o il religioso, bensí l’uomo. Il bambi-no, inoltre, non è visto come un adulto imperfetto, ma come unessere diverso dall’adulto, che va rispettato per quello che è.

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Se l’uomo è buono per natura, innocente, senza colpa alcuna(nemmeno quella del peccato originale, ciò che portò Rousseaufuori dall’ortodossia cristiana), saranno l’educazione e le rego-le da questa dettate a corrompere la natura umana. Il bambino,allora, andrebbe cresciuto in una condizione di isolamento dallasocietà. Emile, nel progetto ideale di Rousseau, è educato incampagna, con un precettore che si dedichi solo alla sua educa-zione, per farlo vivere nella tranquillità, nella pace e nella bel-lezza della natura, dove possa esercitare felicemente le funzio-ni fisiche, psicologiche e spirituali che si manifestano sponta-neamente nelle varie fasi dello sviluppo. Il bambino deve esse-re abituato a conoscere il mondo stimolando la curiosità e l’in-teresse, in modo attivo, scoprendo le cose attraverso l’esperien-za. Il precettore non deve forzare a imparare piú di quello chel’allievo è realmente in grado di apprendere; non si debbonoinsegnare troppe parole incomprensibili, né si devono inculcareconcetti, dogmi, leggi e idee morali (bene-male) rigide e astrat-te. Il metodo educativo deve essere ricavato dall’evoluzione delsoggetto, che si sviluppa secondo 5 fasi, in base alla formuladell’educazione negativa. Questo termine indica la negazionedi ogni intervento impositivo dell’educatore (di ogni obbligo),nel rispetto dell’evoluzione naturale del soggetto e dei suoibisogni, preservandolo da influenze dannose e corruttrici, perevitare che cada nel vizio e nell’errore. Apparentemente il pre-cettore non educa, ma in realtà il non intervento e la libertà delbambino sono illusorie, perché questi è costantemente sorve-gliato assieme all’ambiente circostante, anch’esso adattato aseconda delle esigenze. Le situazioni cosí appaiono spontanee,quando invece sono costruite e indotte dal precettore.

I periodi in cui Rousseau divide lo sviluppo dell’individuosono:

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1) Prima infanzia, da zero a due anni, durante la quale ilbambino è messo in contatto con la natura e in rapporto imme-diato con gli oggetti, per provare sensazioni attraverso la mani-polazione diretta delle cose.

2) Seconda infanzia, da tre a dodici anni. Quando inizia acamminare e parlare, il bambino è in grado di usare la ragione,e viene educato alla conquista della libertà. Non conoscecomandi, divieti, doveri, obblighi, ma viene messo in contattocon la dura legge della necessità delle cose (forza, necessità,impotenza, soggezione). L’educatore non deve anticipareintempestivamente con il proprio insegnamento lo svilupponaturale, ma l’educazione deve adeguarsi al livello del sogget-to, fondandosi sui bisogni e sugli interessi.

3) Fanciullezza, fino a 15 anni: ora si rafforza la ragione, cheva comunque sempre sostenuta dalla curiosità. Il metodo edu-cativo diventa positivo: muovendo dalla curiosità, e ponendoattenzione all’utilità di quanto ci si occupa, l’educazione diven-ta ricerca e scoperta. Il fanciullo deve entrare nella vita socialecon la mente sgombra da pregiudizi, essendo in grado di valu-tare le cose in base al criterio naturale dell’utilità, e non dellusso, del capriccio, delle apparenze o delle mode. In questafase le conoscenze pratiche, sempre molto importanti, sonoimpartite attraverso l’esempio e il lavoro.

4) Adolescenza: in questa età scoppiano le passioni. È unperiodo critico e tempestoso, che coincide con l’ingresso nellavita sociale e con l’accesso ai valori morali. Con lo svilupparsidell’immaginazione e lo scoppiare delle passioni, anche ilmetodo e i contenuti educativi devono mutare, per inserire l’al-lievo nella società e immergerlo nelle problematiche morali,sviluppando concetti astratti, fino alla conquista razionale del-l’idea di Dio. L’origine delle passioni è naturale, ma bisognamettere in guardia dalle deviazioni dovute all’immaginazione;

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per questo l’educatore deve sorvegliare affinché la personalitàsi sviluppi correttamente. Si deve evitare che l’amore di se stes-so, positivo, non si corrompa in amor proprio, che invece è veroe proprio egoismo, evitando vanità, invidia, odio, ostentazionee orgoglio, e accostando invece l’adolescente a esperienze disofferenza e dolore, in modo da sviluppare in lui la pietà e l’a-more per tutti gli uomini, e condurlo gradualmente all’assimila-zione di valori come la giustizia e la pace, e al sommo valoreche è Dio. Il tema della religione è trattato nel libro IVdell’Emilio, la Professione di fede del Vicario Savoiardo.

5) Età adulta, in cui Emilio può sposarsi con la sua Sofia, ladonna ideale. La bambina e la donna, inoltre, sono educate invista della subordinazione all’uomo, nei classici ruoli dellamoglie e della madre, e la loro istruzione deve riguardare solole conoscenze utili per il loro status sociale.

L’educazione proposta da Rousseau restò comunque, difatto, riservata al borghese.

Bibliografia essenziale. Opere di Rousseau:Il contratto sociale, Rizzoli, Milano 1993Le confessioni, Rizzoli, Milano 1978Emilio, ovvero dell’educazione, Mondadori, Milano 1997Letteratura critica:P. CASINI, Introduzione a Rousseau, Laterza, Roma-Bari 1981

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19La pedagogia del Romanticismo

Il termine romantico deriva dall’inglese romantic per indica-re il favoloso, lo stravagante, il fantastico, l’irreale. Anche se iltermine è di origine inglese, il centro di diffusione delRomanticismo fu soprattutto la Germania.

Il Romanticismo fu un movimento artistico, letterario e filo-sofico. Indicò una nuova sensibilità, che per le sue caratteristi-che si contrappose al razionalismo illuministico. Alla ragione,che per gli illuministi era il fondamento di tutta la conoscenza,il movimento romantico oppose il sentimento, la fantasia, l’in-tuizione, la soggettività, gli aspetti irrazionali della nostra piúnascosta individualità, il sogno, l’inconscio. Il Romanticismopropose una visione tragica e sentimentale della vita, in cuil’uomo è alla perenne ricerca dell’infinito, di qualcosa di vago,di indeterminato, di qualcosa che non si può esprimere comple-tamente. Il Romanticismo ritenne che l’uomo fosse in grado disentire quella fusione totale con la realtà, per cui Spirito eNatura vengono a unificarsi in una dimensione totale che puòessere afferrata solo tramite l’intuizione, la poesia, o una visio-ne mistica intesa come consapevolezza immediata. Il movimen-to romantico rivalutò l’arte, la religione e la storia, soprattuttoil Medioevo, screditato e definito dagli Illuministi i “secoli bui

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della storia”, in quanto vere espressioni dell’uomo, della suacreatività e della sua irrazionalità.

Il primo movimento che anticipò tematiche romantiche fu loSturm und Drang (“tempesta e impeto”), che rifiutò l’imitazio-ne a favore della spontaneità e dell’immediatezza. I primi movi-menti romantici sorsero a Jena; i principali esponenti furono ilpoeta Novalis (1772-1801, il cui vero nome era Friedrich vonHardenberg) e nei fratelli Schlegel, August (1767-1845) eFriedrich (1772-1829). Si diffuse l’idea di una unione diSpirito e Natura che in seguito venne teorizzata dal filosofoFriedrich Schelling (1775-1854). Altri centri importanti di unsecondo Romanticismo furono i circoli di Heidelberg (con vonArnim e i fratelli Grimm) e di Monaco (con van Baader eCarus).

Una delle tematiche centrali del Romanticismo è la conce-zione dell’uomo come essere pervaso da un’ansia profonda,eternamente insoddisfatto, che anela qualcosa di irraggiungibi-le. Un termine fondamentale dell’essere romantici è Sehnsucht,che significa “nostalgia”, “struggimento”, “male del desiderio”,desiderare qualcosa che si è avuto e che si sa non poter piúavere, in contrapposizione alla Stille dei neo-classici, cioèall’ordine, all’equilibrio, alla calma serenità interiore. IlRomanticismo rivalutò la religione, soprattutto nella sua tensio-ne verso l’Infinito e l’Assoluto, ed esplorò il mistero dell’inte-riorità che entra in rapporto con l’Eterno. La visione filosofico-religiosa dei romantici giunse al panteismo (“Dio è in tutte lecose”), poiché è una concezione che meglio esprime il senso diinfinito e la possibilità di cogliere l’Assoluto tramite la poesia el’amore. La Natura, cosí, venne considerata un grande organi-smo vivente in cui l’uomo è immerso, e che crea continuamen-te l’uomo e il mondo, in una unione con lo Spirito. Altrettantoimportante fu la concezione della libertà, che si contrappone

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alla rigida necessità meccanica delle leggi fisiche, ed esprimel’essenza stessa dello Spirito, che agisce e sceglie.

Bibliografia essenziale:C. DE PASCALE, Il problema dell’educazione in Germania dal neouma-

nesimo al romanticismo, Loescher, Torino 1979S. GIVONE, La questione romantica, Laterza, Roma-Bari 1992C. LARMORE, L’eredità romantica, Feltrinelli, Milano 2000I. BERLIN, Le radici del romanticismo, Adelphi, Milano 2001

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20Johann Heinrich Pestalozzi

Dopo le grandi novità proposte da Rousseau, lo studiosodella Svizzera tedesca Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827) ebbe il merito di introdurre in campo pedagogico impor-tanti visioni originali, che confluiranno nelle sue opere. Inoltresi impegnò concretamente in molti progetti educativi, seppurpiú volte fallimentari sotto l’aspetto pratico, prestando la suaopera in diversi istituti a Neuhof, Stans, Burgdorf e Yverdon.

Scrisse e operò per dare vita a una scuola rinnovata, popola-re e nazionale, riscoprendo e rivalutando il modello educativodella famiglia, come riferimento fondamentale per un’autenticaeducazione secondo natura. La formazione che ricevette fupiuttosto chiusa e protettiva, e favorí le attitudini all’immagina-zione e al sentimento a scapito delle capacità pratiche e organiz-zative, al punto che egli stesso si definí “delicato, debole, disat-tento, svagato, irriflessivo”. Il suo percorso lo portò infine versouna fede religiosa elevata, sincera, profonda, semplice e pia,che ispirerà un modello educativo tendente a formare integral-mente l’uomo, tutto incentrato sulla figura della madre, nellafamiglia e sull’amore.

Le sue opere piú importanti sono: La veglia di un solitario(1780), Leonardo e Gertrude (romanzo, 1781-1787), Mie inda-

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gini sul corso della natura nello sviluppo dell’umanità (1797),Come Gertrude istruisce i suoi figli (1801), Canto del cigno(1825).

Nel 1769 fondò un istituto educativo nella sua tenuta agrico-la di Neuhof, nel cantone di Berna. In questa struttura, che fun-zionò fino al 1779, assieme alla moglie Anna, ospitò ragazzipoveri e bisognosi, fornendo loro una istruzione elementare dibase e una educazione etico-sociale, e insegnando al contempoun mestiere, in agricoltura o manifattura, che doveva garantireagli allievi la possibilità di un riscatto sociale. I guadagni del-l’attività lavorativa avrebbero dovuto fornire introiti finanziarisufficienti per la gestione della scuola, ma il progetto fallí, acausa dell’incapacità di Pestalozzi di fronteggiare le problema-tiche pratiche e finanziarie.

A questa delusione seguí un periodo di disperazione, depres-sione e angoscia profonde, alle quali si uní un forte senso dicolpa per il fallimento della sua esistenza e dei suoi ideali.

Scrisse un romanzo a sfondo morale, Leonardo e Gertrude,che gli diede un certo successo come autore. È la storia di unvillaggio di montagna in cui gli abitanti sono vittime di un osteusuraio, che li costringe a ridursi in miseria per chiedere dena-ro a lui. Fra le vittime, Leonardo, marito di Gertrude, la qualeperò, con la forza del suo amore, riesce a salvare prima il mari-to, e poi tutto il paese. È qui che Pestalozzi rende evidentequanto sia per lui importante l’amore, e soprattutto la figuradella donna come madre e moglie amorevole, che con le sueforze sconfigge il male.

Nel 1798, nella cittadina di Stans, il direttorio elvetico gliaffidò la direzione di un istituto educativo per bambini abban-donati e per l’educazione degli orfani di guerra. Sebbene anchequesta esperienza fosse destinata a concludersi dopo pochi mesiper mancanza di fondi governativi, Pestalozzi compí dei passi

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in avanti da un punto di vista teorico, maturando una nuovaconcezione del lavoro, inteso ora, oltre che come strumento diriscatto sociale, anche come occasione per formare la persona-lità dell’allievo. Divennero ora piú chiari gli scopi dell’educa-zione, e la natura dell’animo umano.

Nel 1799, dopo solo cinque mesi, terminò l’esperienza diStans, comunque molto importante per la precisazione del suometodo pedagogico. Nel 1800 Pestalozzi aprí un proprio istitu-to nel castello della cittadina di Burgdorf. Grazie a questa espe-rienza cercò di semplificare ulteriormente i propri metodi didat-tici, per realizzare una scuola elementare accessibile e utile atutti, quindi veramente popolare. Fra i metodi da lui sperimen-tati, possiamo ricordare quello di usare gli allievi piú grandicome maestri per gli alunni delle classi inferiori. Terminataanche questa avventura, l’educatore svizzero era ormai famosoin tutta Europa. L’ultimo suo progetto ebbe vita nel castello diYverdon, nel cantone di Vaud, quando nel 1804 accettò un’of-ferta del governo democratico di Losanna. Qui Pestalozzi orga-nizzò il suo metodo educativo nella forma piú compiuta, facen-done un modello per tutta la Svizzera e ricevendo visite d’ecce-zione, fra cui quella di Friedrich Fröbel (1782-1851), Madamede Staël (1776-1817), Robert Owen (1771-1858). Ciò non-ostante, nel 1810, una commissione ispettiva diede parere sfa-vorevole sull’organizzazione educative e didattica della scuoladi Yverdon. L’esperienza si concluse nel 1825, allorché, divenu-to ormai troppo anziano, Pestalozzi si accorse che i collabora-tori che avrebbero dovuto prendere il suo posto alla guida del-l’istituto non avevano una visione univoca sulla via da seguire.Per volontà del suo stesso fondatore la scuola chiuse i battenti,e i suoi ex collaboratori si separarono. Pestalozzi si ritirò aNeuhof dove tracciò un bilancio della propria esperienza didat-tica, scrivendo l’opera Il canto del cigno.

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Per l’importanza attribuita a madre, famiglia, amore e a unmetodo basato principalmente sull’intuizione, la pedagogia diPestalozzi può essere considerata una delle massime espressio-ni del primo Romanticismo, quanto la cultura era ancora moltopermeata di idee illuministiche. Infatti, uno dei primi punti diriferimento del pensiero di Pestalozzi fu lo studio delle conce-zioni di Rousseau.

Mentre in una prima fase della sua pedagogia, Pestalozzicondivise con Rousseau l’idea della naturale bontà dell’animoumano, in seguito alle delusioni e ai fallimenti, Pestalozzi siconvinse che nell’uomo convivono stati benevoli e stati egoisti-ci.

Nell’analisi della natura umana, secondo Pestalozzi, allanascita l’uomo è un misto di egoismo e benevolenza, sottopo-sto all’influenza della società. L’educazione deve fornire uninsegnamento etico, che consenta di superare gli egoismi indi-viduali e collettivi, attraverso l’amore.

Per Pestalozzi, lo sviluppo dello spirito passa attraverso trestati: naturale, sociale e morale.

Lo stato naturale è la metafora del piú alto grado di innocen-za animale, è ingenuità istintuale che spinge a ogni godimentosensibile, è allo stesso tempo innocenza e bestialità. L’uomo, daquesta situazione, può elevarsi verso la sua natura superiore diinnocenza e virtú, oppure cadere nel caos dei propri impulsiegoistici; l’essere umano dunque è possibilità, che va guidata esostenuta per tendere verso il bene. Il sostegno viene da buoneleggi e dall’educazione, fondata sulla famiglia e sulla madre.

Lo stato sociale è la condizione in cui il debole cerca prote-zione, e il forte cerca di prevalere; è necessario perciò trovarel’equilibrio e la giustizia, attraverso la morale. La legislazionepuò agevolare il sorgere della moralità, la quale però, per esse-re efficace, da eteronoma deve divenire autonoma. Non è pos-

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sibile, cioè, raggiungere una autentico stato morale se sicostringono semplicemente i cittadini a obbedire alle leggidello Stato, ponendo loro come alternativa lo spauracchio dellapena; la costrizione deve essere accompagnata sempre dall’ope-ra educativa, che mostri la bontà delle leggi, e la convenienzadi seguirle. Solo cosí si progredirà verso la perfezione morale,la quale resta comunque un’idea limite, un fine ideale a cuibisogna tendere con un impegno costante e infinito, al fine dimigliorare continuamente la condizione umana.

L’attività spirituale si esplica attraverso il sentimento, l’intel-letto e l’attività pratica (che Pestalozzi rappresentò attraversotre organi: il cuore, la mente e la mano), che vanno armonizza-ti fra loro. L’attività didattica prevede che il processo di appren-dimento cominci a partire dall’intuizione. L’intuizione non è lasemplice sensazione passiva, come la concepivano gli empiri-sti, ma è una funzione che implica l’attività del soggetto, ilquale si rapporta con gli oggetti caratterizzandoli progressiva-mente nella forma, nei loro rapporti quantitativi e nella defini-zione linguistica, secondo la triade parola-numero-forma.Questa didattica è definita elementare, perché si basa sugli ele-menti piú semplici del sapere, sui quali va costruita gradata-mente tutta la conoscenza e l’intera formazione culturale delsoggetto. È fondamentale seguire il processo naturale dello svi-luppo delle facoltà del soggetto, avanzando per gradi, dal con-creto all’astratto, e predisponendo strumenti per fare acquisireabilità concrete, osservando attentamente il bambino.

Il suo metodo didattico non si fissò mai in un modello rigi-do, nella convinzione che non sia possibile pre-determinare ilprocesso di apprendimento, perché la natura spirituale del sog-getto sfugge a ogni legge e a ogni rigido determinismo.Pestalozzi colse la pedagogia in tutta la sua problematicità, spe-rimentando continuamente, mantenendo sempre viva la sua

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curiosità in piú direzioni, cercando di trovare un equilibrio trala forza impetuosa del suo sentimento e la ricerca di categorielogiche per la spiegazione della realtà, sorretto sempre da unaprecisa finalità antropologica. Per questo, nonostante i suoi pro-getti educativi non fossero riusciti a dotare concretamente ipoveri di autentici strumenti di emancipazione (come gli vennecontestato soprattutto dagli studiosi di stampo marxista), restauno dei piú grandi pedagogisti moderni.

Bibliografia essenziale. Opere di Pestalozzi:Scritti scelti, UTET, Torino 1970Letteratura critica:A. BANFI, Pestalozzi, La Nuova Italia, Firenze 1961

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21Friedrich Fröbel

In maniera autonoma e originale Friedrich Fröbel (1782-1851) prese spunto dal Romanticismo e dall’Idealismo tedeschia lui contemporanei, ispirandosi in particolar modo dal filoso-fo Schelling. Elaborò una pedagogia che tradusse poi in istitu-zioni scolastiche concrete, le prime del tempo in Germania.Compí studi disordinati, e visse in contatto diretto con la natu-ra, lavorando nell’orto-giardino del padre (un pastore protestan-te), facendo lunghe passeggiate nelle foreste della Turingia, esvolgendo l’attività di apprendista forestale. Queste esperienzefurono decisive per la maturazione di un rapporto mistico-sen-timentale con la natura, di cui cercava l’interna struttura perscoprire le leggi che la regolano, e avere la conferma della suaintuizione idealistica che tutto il molteplice è riconducibileall’unità, che comprende in sé realtà e cultura. Tutto per Froebelè unità, tutto è fondato sull’unità, muove dall’unità, tende, con-duce e ritorna all’unità di tutto il cosmo, per giungere all’unitàassoluta di Natura e Spirito.

La sua pedagogia, e l’educazione conseguente, si basaronosu un grande sistema filosofico idealistico, che lo espose airischi dell’eccessiva teoria, dell’astrattezza e del simbolismodidattico. Dal punto di vista metodologico si basò sulle idee di

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comunità, contro l’individualismo di Rousseau, di gioco (fu ilprimo teorico nella storia della filosofia dell’educazione a valu-tarlo come momento fondamentale dello sviluppo creativo delbambino), e di doni, intesi come materiale didattico. Fondò unistituto educativo di istruzione secondaria e, nel 1839-1840, ilprimo “Giardino d’Infanzia” (Kindergarten) della storia, cheperò venne chiuso dal Governo prussiano con l’accusa di “atei-smo e socialismo” nel 1850. Si dedicò in seguito ad attività diriforma educativa e alla formazione degli educatori.

Le sue opere principali sono: L’educazione dell’uomo(1826), Progetto di un piano per la fondazione e la realizzazio-ne di un giardino d’infanzia (1840), Canti e carezze materne(1844).

Secondo Fröbel, esiste una legge eterna, che si rivela all’e-sterno nella natura, e all’interno nello spirito; è l’unità, viven-te, autocosciente ed eterna: Dio. Non è però il Dio trascenden-te della tradizione cattolica, ma una attività creatrice continuae infinita, che si esplica e realizza nel mondo. Questa visione èdetta panenteismo, che significa “Dio in tutto”, ed è raggiungi-bile attraverso l’intuizione di un principio di unificazione dellamolteplicità dei fenomeni osservabili, in cui la natura, i fiori, glialberi, tutto è indissolubilmente legato in una essenziale unità.Questa intuizione è il risultato di uno sforzo ininterrotto di ricer-ca e di riflessione, in cui una parte fondamentale ha l’educazio-ne.

Lo sviluppo del bambino, come quello di tutti gli esseri, è unprocesso creativo. Fröbel delinea due periodi della crescita: laprima infanzia, durante la quale la creatività è espressiva, mani-festandosi dall’interno all’esterno in direzione centrifuga, e laseconda infanzia, in cui il bambino diventa consapevole cheinterno ed esterno sono aspetti di un’unica realtà. In questomomento il bambino può cominciare ad apprendere. Il bambi-

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no non nasce come una tabula rasa, ma possiede delle poten-zialità da estrinsecare in modo libero e spontaneo, per realizza-re il suo sviluppo.

Esaminiamo i due periodi dello sviluppo piú approfondita-mente:

1) Prima infanzia: dallo stato di poppante, in cui viene sem-plicemente allevato, il bambino passa all’infanzia attraverso lacomparsa del linguaggio, che gli consente di inserire nell’unitàoriginaria indifferenziata il molteplice, e di esteriorizzare i sen-timenti e le impressioni traducendoli in rappresentazioni e poiin azioni, in una parola è in grado di esprimersi. La creatività diogni atto umano è il momento espressivo del divino che è nel-l’uomo; è perciò importante che le rappresentazioni siano spon-tanee, naturali. L’attività fondamentale del bambino è il gioco(Fröbel è stato il primo a identificare infanzia con gioco), attra-verso il quale egli penetra nelle cose, e queste entrano in lui; ilbambino attribuisce vita, capacità di sentire, parlare e udire atutto ciò che lo circonda. L’attività ludica prepara e promuovelo sviluppo del bambino verso il disegno, il linguaggio, le atti-vità logico-matematiche e il futuro lavoro. Gioco, linguaggio edisegno sono dapprima manifestazioni del mondo interno delbambino, e diventano poi il tramite per conoscere, assumendoquindi funzioni cognitive. Il disegno sta a metà fra le parole (èun’immagine) e le cose (rappresenta le forme e i contorni): conesso ordina e trova un nesso fra le quantità delle cose, portan-dolo alla conoscenza del numero (armonia). Nell’educazionedella prima infanzia sono inclusi il movimento, gli esercizi cor-porei, il ritmo, la musica (il canto), la danza.

2) Seconda infanzia: in questa fase il bambino comincia ainteressarsi al mondo esterno, guidato dalla curiosità e dall’in-teresse. Anziché esprimere la propria interiorità con un movi-mento centrifugo, dirige la sua attenzione sul mondo, conoscen-

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dolo e interiorizzandolo. L’azione del soggetto può definirsi oracentripeta; è il periodo in cui comincia l’apprendimento vero eproprio, attraverso l’istruzione, il cui compito è far penetrare loscolaro nell’unità delle cose. La didattica fröbeliana è basata suuna intuizione mistica che, trascurando la psicologia, conduceal simbolismo e al mito.

C’è un’unica intuizione, perché l’universo è unità. Essa èconoscibile in tre modalità diverse, che si oggettivano in Dio,Natura, Se stesso.

Dio è conoscibile attraverso l’insegnamento della religione,al primo posto per far cogliere, intuire e presentire l’unità ditutto il creato.

La natura è la rivelazione dell’unità divina, e va penetrataattraverso la ricerca scientifica, mediata da alcuni oggetti soli-di fondamentali, i doni, veri e propri strumenti didattici che ser-vono a far cogliere l’unità del tutto negli oggetti primi.

Strumento fondamentale per la conoscenza del sé è la lingua,principale mezzo espressivo dell’uomo, che manifesta la mobi-lità e la trasformazione continua del vivente. La scrittura, siaper immagini (il disegno) che per codici convenzionali (l’alfa-beto), è un vero e proprio bisogno per l’uomo, che gli permettedi estrinsecare la propria natura.

È molto importante anche l’insegnamento artistico, che èlegato al movimento (i suoni: musica e canto), a linee e superfi-ci (i colori: pittura), corpi (la massa: arte plastica). La pittura ele arti plastiche sono unificate dal disegno.

Fröbel realizza un modello istituzionale di scuola dell’infan-zia: il Giardino d’Infanzia, organizzato secondo molteplicimodalità, per cercare di soddisfare le multiformi esigenze deisoggetti da educare: all’esterno presenta piccole “proprietà pri-vate”, per il lavoro individuale (la coltivazione di un piccolo

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giardino), e un’area piú ampia per il lavoro in comune. In que-sto modo viene alla luce la dialettica fra individualità e sociali-tà, e si soddisfa un bisogno psicologico, il possesso, strumentofondamentale per l’identità e l’educazione alla responsabilità,attraverso il lavoro nelle proprietà individuali, e lo sviluppodella cooperazione e della collaborazione, tramite il lavoro neicampi in comune. All’interno del Kindergarten la didattica siesplica attraverso l’uso del materiale didattico prestrutturato, idoni – cui si è fatto cenno in precedenza – che riproducono lestrutture fondamentali della natura e dell’essere. Essi, manipo-lati concretamente, permettono lo sviluppo della comprensionedelle forme della realtà, delle loro connessioni, la numerazione,le qualità. In ordine di utilizzo, i sei doni sono:

sfera, realizzata in 6 gomitoli di lana in 6 tinte diverse;sfera e cubo di legno, accompagnati dal cilindro come forma

intermedia;Cubo diviso in 8 cubetti;Cubo diviso in 8 tavolette;Cubo diviso in 27 cubetti;Cubo diviso in colonne e mattoni.Tralasciando la funzione metafisica attribuita da Fröbel ai

doni, è da notare che essi hanno una loro precisa valenza didat-tica, e aiutano a formare i concetti di categorizzazione e classi-ficazione, permettendo al bambino di esprimere la sua creativi-tà attraverso attività costruttive e fantastiche. L’attività attraver-so la quale si deve utilizzare tutto il materiale didattico è ilgioco, naturale espressione del vivere del bambino, in cui lafantasia si fonde con la realtà. Esso ha valenze estetiche, cogni-tive, motorie, costruttive e sociali, ed è un diritto dell’infanzia,la modalità unica della prima educazione. È fondamentale chel’attività ludica sia spontanea, anche se questo non implica unasvalutazione del ruolo del precettore, il quale dovrà comunque

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guidare il bambino verso esperienze utili a sviluppare precisio-ne e chiarezza.

Bibliografia essenziale. Opere di Fröbel:L’educazione dell’uomo, La Nuova Italia, Firenze 1993.Letteratura critica:R. SPRANGER, Il mondo e il pensiero di Fröbel, Armando, Roma 1960.

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22Johann Friedrich Herbart

Johann Friedrich Herbart (1776-1841), filosofo tedesco,fu precettore in Svizzera, dove incontrò Pestalozzi. Insegnònelle Università tedesche, succedendo alla cattedra di Filosofiae Pedagogia che era stata di Kant a Könisberg, all’epoca in cuiregnavano il Romanticismo e l’Idealismo, a cui si contrapposecon una visione filosofica realista, basata su una costruzionemetafisica e su considerazioni psicologiche ed etico-estetiche.Fra le sue opere piú importanti, citiamo Pedagogia generale(1806), Psicologia come scienza (1825), Metafisica generale(1828), Lezioni di pedagogia (1835).

In campo filosofico, Herbart si contrappose decisamente aimaggiori filosofi idealisti tedeschi, Fichte, Schelling e Hegel, iquali avevano la pretesa di spiegare tutto il reale partendodall’Io. In questo modo, si generava la contraddizione di volerrendere conto delle facoltà conoscitive dell’uomo attraversoquelle stesse capacità che si dovrebbero spiegare. Herbart sipose contro il rifiuto del principio di identità (A=A) in filoso-fia; esso rimane lo strumento per elaborare concetti, eliminan-do le contraddizioni che derivano dagli oggetti dell’esperienza.

Da un punto di vista pedagogico, la critica di Herbart sirivolse contro Rousseau e Locke; quest’ultimo era colpevole di

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promuovere una pedagogia volta al conformismo, mentre ilprimo non si rendeva conto che l’uomo non deve sviluppare lapropria spontaneità senza integrarsi anche da un punto di vistasociale. Un altro bersaglio di Herbart fu Pestalozzi, che nonaveva dato a suo parere una base sistematica alla pedagogia,fondandola sull’intuizione.

Herbart fu il primo educatore a teorizzare una pedagogiascientifica (anche se si tratta di una scienza filosofica), basatasulla psicologia e sull’etica. Quest’ultima definisce il fine gene-rale dell’educazione, mentre la psicologia chiarisce i mezzi pergiungere agli scopi morali prefissi dall’educazione.

La psicologia si basa sull’esperienza interna, i cui dati sono gliaccadimenti psichici, le impressioni sensibili, le rappresentazioni,alla cui base sta il reale: l’anima semplice, immateriale, immuta-bile. Alla nascita, l’individuo non possieda alcuna conoscenzainnata, e gli oggetti della realtà restano in qualche modo incono-scibili (come il noumeno kantiano). L’oggetto dell’analisi psicolo-gica sono dunque le rappresentazioni che, se coerenti da un puntodi vista logico, vengono assimilate e associate in masse, tramitel’appercezione, mentre se risultano confuse e incoerenti vengonorimosse sotto la soglia della coscienza (anticipando di parecchidecenni il concetto di inconscio frudiano). L’etica, l’atto moraleconcreto, si basa sul giudizio estetico, e nasce dal sentimento diapprovazione e disapprovazione che sorge nel confronto fra l’i-deale e il reale concreto agire: percependo e vivendo il Bello (este-tica) si sente anche il Bene (etica). La pedagogia ha il fine moraledi formare il carattere, introducendo le idee pratiche che servonoda modello per la condotta: libertà interna (l’armonia e la coeren-za fra volontà e condotta), perfezione (il massimo di forza dellavolontà), benevolenza (l’armonia fra la nostra volontà e quelladegli altri), diritto (la concordanza di due volontà su un oggetto),equità (l’eliminazione di ogni volontà intenzionale di male).

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L’apporto fondamentale di Herbart alla pedagogia è di avercontribuito a fondarla come scienza autonoma, sistematica, conadeguati strumenti, e averla sottratta alla parzialità dell’empiri-smo. Il suo limite rimane quello di aver però fondato la psico-logia e l’etica sulla sua filosofia, che è definita come metafisi-ca realista.

La pedagogia di Herbart è istruzione, e deve insegnare e gui-dare il soggetto rispettando i suoi ritmi di sviluppo naturale, maal contempo cercando di integrare momento naturale e momen-to sociale, nella prospettiva piú vasta della moralità.

L’educazione morale si compone di tre piani:1) Governo: guida esterna dell’educatore che aiuta il bambi-

no a reprimere i suoi impulsi, attraverso la volontà.2) Istruzione: una didattica rigorosa, che istruisca e insegni

tenendo conto delle diverse fasi d’età, e sia soprattutto capacedi dare stimoli e interessi, formando le idee e il giudizio.

3) Autogoverno: è la sintesi di volontà e giudizio, che per-mette al ragazzo di proseguire, educandosi da sé.

L’educatore deve escludere la sorveglianza, per basarsi sul-l’autorevolezza e sull’amore, facendo leva sull’interesse persaldare disciplina e apprendimento. Inizialmente l’interesse èoggettivo, cioè definito in base all’oggetto che interessa (peresempio, una palla), poi può essere soggettivo, e sarà allora lostato d’animo del soggetto che lo spinge a interessarsi a qualco-sa.

L’unità di coscienza si polarizza in due momenti: quellodella concentrazione, l’approfondimento dell’oggetto in esame,e quello della riflessione, la sintesi di piú approfondimenti.

Herbart fornisce anche una classificazione degli interessi,che risultano essere di due tipi:

1. Conoscitivo, l’interesse per gli enigmi del mondo, divisoin tre modelli: a) empirico, b) teoretico, c) estetico;

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2. Compartecipante, l’interesse per esigenze degli uomini,che si divide in: a) simpatetico, b) sociale, c) religioso.

Gli interessi devono presentarsi simultaneamente; per i finidella didattica l’apprendimento deve svilupparsi per gradi; laconcentrazione e la riflessione devono conferire chiarezza adati e rappresentazioni, quindi istituire associazioni fra le varierappresentazioni, fino a organizzarle in sistema, che è lo stru-mento, il metodo per verificare e controllare quanto è statosistemato e appreso.

La didattica deve muoversi dall’esperienza, per poi superar-la con l’istruzione: è importante dunque che l’educazione agi-sca direttamente per realizzare la crescita culturale del bambi-no, fornendogli una conoscenza vasta e profonda che lo inseri-sca attivamente e consapevolmente alla vita sociale e culturale.

Bibliografia essenziale. Opere di Herbart:Antologia pedagogica, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1973Letteratura critica:R. PETTOELLO, Introduzione a Herbart, Laterza, Roma-Bari 1988

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23La pedagogia del Positivismo

Nella seconda metà dell’Ottocento, il grande sviluppo eco-nomico-industriale e tecnologico della Rivoluzione industrialeportò a un mutamento della visione del mondo, della conoscen-za e anche, di conseguenza, della pedagogia. Il Positivismo e ilmaterialismo storico-dialettico (di Karl Marx e FriedrichEngels) dominarono in questi anni; il Positivismo aveva la cer-tezza che la ragione e la scienza potessero spiegare tutto inmodo sicuro e certo. Alla visione già positiva dell’Illuminismo,si aggiunse lo sperimentalismo permesso dai grandi progressiscientifici e tecnologici, con invenzioni e scoperte che modifi-carono il modo di vivere degli uomini e il loro modo di esperi-re il mondo (mezzi di comunicazioni, di trasporto, di produzio-ne nuovi furono il fondamento materiale per il nuovo orienta-mento di pensiero: telefono, radiotelegrafia, macchina per scri-vere, raggi x, fonografo, cinema, bicicletta, automobili, dirigi-bili e aereoplani, tramway elettrici, navi a motore e sommergi-bili).

Atteggiamenti tipici e caratteristici della mentalità positivi-sta furono l’esaltazione incondizionata delle scienze particolarie del loro metodo di ricerca empirica e analitica, la fiducia dipoter estendere tale metodo a tutti i campi della realtà (compre-

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si l’uomo, la psicologia umana, la società umana e l’educazio-ne), la negazione alla filosofia – e particolarmente alla metafi-sica – di un proprio campo d’indagine e di un loro metodo spe-cifico, con conseguente riduzione della loro attività a sistema-zione dei dati e delle conquiste scientifiche, quindi a fondazio-ne e giustificazione dei procedimenti gnoseologici ed epistemo-logici dello scienziato. In sostanza: la filosofia venne conside-rata ancella di tante scienze isolate, poi ri-composte e ri-com-pattate in un sistema totale.

Restò intatta, nel Positivismo, una fiducia illuministica nelcontinuo progresso della scienza, con un corrispondente costan-te miglioramento morale e sociale, e una ottimistica certezzache grazie ai risultati della scienza, prima o poi, si potrannoconoscere e risolvere tutti i problemi.

Causalismo e determinismo meccanicistico rimasero presen-ti, trasformandosi in riduttivismo e scientismo. Gli elementi dicui si compone il mondo vennero considerati elementi omoge-nei e passibili di essere studiati con lo stesso unico metodo dellascienza.

Con la fede nel progresso, nella scienza, nella tecnologia enell’industrializzazione, che avrebbero portato l’uomo a libe-rarsi sempre piú dai bisogni concreti, il Positivismo basò la suaricerca sul mondo naturale, sull’oggettività e necessità dellecose, del mondo, delle leggi, attraverso una rigorosa osserva-zione dei fatti e dei dati di esperienza, cosí da poter applicare lostesso metodo delle scienze oggettive anche all’uomo e allasocietà. Il Positivismo pedagogico, in generale, propose: chel’educazione formi il bambino alla vita e alla convivenza socia-le; che l’educatore sia preparato scientificamente; di attribuireimportanza alla psicologia; che la scuola e l’educazione debba-no essere laiche; di utilizzare il metodo oggettivo; di far usodella percezione sensibile come fondamento delle conoscenze

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razionali. Esalta l’importanza dell’osservazione e dell’esperi-mento anche nella ricerca pedagogica, formulando leggi dell’e-ducazione.

Come ogni tendenza di pensiero che si affermi, gli elementieccessivi e autodistruttori dello scientismo positivistico furonocaratteristici e presenti piú nella “mentalità dilagante” dei per-sonaggi meno noti e meno importanti, che negli scienziati efilosofi piú seri. Infatti l’esaltazione irrazionale della tecnolo-gia, l’elezione a dogma assoluto della scienza, dopo che si eravoluta distruggere la metafisica proprio per le sue pretese diassolutezza, furono atteggiamenti tipici di piccoli scienziatipoco originali, che abbracciavano un sapere come una “scuola”,acriticamente, decantandolo illimitatamente.

I grandi pensatori e teorici del Positivismo (August Comte,Ernest Renan, Hippolyte Taine in Francia; James Stuart Mill,Herbert Spencer in Inghilterra; Roberto Ardigò, AristideGabelli e Andrea Angiulli in Italia), invece, stemperarono lavisione ottimistica, prendendo in considerazionc piú aspettipossibili di critica, meditando prudentemente i procedimenti delproprio pensiero.

John Stuart Mill (1806-1873) e Herbert Spencer (1820-1903) si ispirarono all’evoluzionismo di Charles Darwin(1809-1882), portandolo sul piano sociale, ricollegando l’uomoalle forme inferiori di vita in una unità e continuità evolutiva. Sioriginò il darwinismo sociale, con risvolti piuttosto inquietantispecie quando ci si riferí a esso a proposito delle persone piúdeboli, malate o handicappate, o quando ci si serví di esso pergiustificare e legittimare operazioni espansionistiche o imperia-listiche: da questo derivò anche un darwinismo pedagogico, chelegittimò e giustificò come positive la competitività e la sele-zione scolastica.

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Herbert Spencer (1820-1903) criticò e si oppose all’educa-zione tradizionale, libresca, astratta e sostenne la necessità direimpostare i curricola e i programmi su base piú moderna. Leprime nozioni da insegnare devono essere quelle di piú imme-diata utilità, che preparino alla vita concreta: fisiologia, igiene,educazione fisica (che servono alla conservazione della specie);poi le discipline scientifiche: biologia, matematica, chimica egeologia (che servono alla propria professione e allo sviluppoindustriale); infine le conoscenze utili ai genitori nell’alleva-mento dei figli: principi di alimentazione, educazione delcorpo. saperi morali e intellettuali, elementi di psicologia. Allabase vi è l’idea che il bambino, nel suo sviluppo debba ripercor-rere in breve l’evoluzione di tutta l’umanità (il bambino è vistocome l’uomo primitivo: deve essere lasciato libero di esprimer-si secondo natura e far emergere i propri bisogni, ma deveanche essere aiutato a imparare le nuove tecniche di adattamen-to all’ambiente). Il processo della conoscenza nell’uomo proce-de dal semplice al complesso, dall’indefinito al finito, dal con-creto all’astratto, dall’empirico al razionale.

Auguste Comte (1798-1857) fu allievo e collaboratore diSaint-Simon, ma se ne staccò presto poiché riteneva che lanuova società industriale non potesse sorgere per mezzo di unasemplice azione politica, bensí doveva essere preparata e prece-duta da una profonda rivoluzione intellettuale e morale. Egliritenne che si possono cambiare le istituzioni solo dopo avercambiato le opinioni e i sistemi filosofici. Nel suo Corso di filo-sofia positiva (1830-1842), in 6 volumi, egli riordinò tutte ilsapere secondo una scala delle scienze con in cima la sociolo-gia (fondata come scienza) e presentò anche alcune importantiriflessioni sull’educazione, piú adatta alla civiltà moderna eindustriale.

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Egli ritenne che a fondamento di tutto il sapere vi siano lescienze, alla cui base sta la matematica, lo strumento umano piúpotente per lo studio dei fenomeni naturali, per poi svilupparelo studio delle scienze esatte nell’ordine in cui si sono venute acreare nella storia dell’umanità: quell’ordine che segue la suc-cessione delle scienze presente nell’età moderna, dalla matema-tica, all’astronomia, alla fisica, alla chimica, alla biologia, allafisiologia; solo i fatti sociali devono diventare oggetto di unascienza positiva, autonoma, la “fisica sociale”, o sociologia,che deve collocarsi in cima a tutte le scienze. Escluse la psico-logia, perché Comte riteneva che l’uomo potesse essere studia-to nelle sue funzioni organiche dalla biologia e nelle sue attivi-tà sociali dalla sociologia. Le scienze naturali si possono distin-guere in due generi: le prime sono astratte e cercano le leggi cheregolano i fenomeni; le seconde sono concrete, particolari edescrittive e sono subordinate alle altre; è pertanto pericolosal’eccessiva specializzazione e l’idea di considerare un’unicascienza come totale e valida anche per spiegare le altre, per que-sto è utile unirle e collegarle tutte in una rete di relazioni e con-nessioni (un sistema).

L’evoluzione delle conoscenze umane è costata secoli e mil-lenni di ricerche e lo sviluppo del genere umano è paragonabi-le a quello del singolo uomo: vi è stata un’infanzia del genereumano (a cui corrispondono, nel pensiero, lo stato teologico, ofittizio; politicamente, c’è la supremazia di poteri monarchico-militari, con prevalenza della casta sacerdotale: vi è ignoranzadelle leggi e si cercano le cause prime delle cose attraversol’immaginazione; gli uomini si rappresentano i fenomeni comese fossero prodotti grazie a interventi soprannaturali); poi si èavuta una giovinezza (lo stato dei pensiero metafisico, o astrat-to; in politica, si affermano gli ordinamenti di sovranità popola-re, con prevalenza di giuristi: all’immaginazione subentra la

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ragione come facoltà di astrazione, ma si cercano sempre lecause prime delle cose in entità astratte, forze inesistenti); infi-ne si è giunti alla maturità (lo stato del pensiero positivo, chevede l’affermarsi in campo politico del mondo dell’industria: sirinuncia a cercare le cause dei fenomeni, per accertarne invecele leggi che sono sempre relative e relazionali in cui si ricono-sce l’impossibilità di ottenere nozioni assolute; si rinuncia quin-di a cercare l’origine e la destinazione dell’universo e ci siimpegna a conoscere, scoprire, osservare e ragionare sulla basedelle effettive leggi del mondo fisico-naturale). Non essendopossibile pretendere che un solo individuo possa ripercorrerepasso a passo, in pochi anni, tutti questi processi di pensiero, èpiú logico cogliere i risultati delle ricerche nelle loro relazioni,per cui è utile una esposizione e classificazione sistematicadelle scienze, per poterle meglio studiare e apprendere. Comtemise dunque in guardia contro la specializzazione eccessivanella formazione dei lavoratori, che abbruttisce gli individui inun esercizio miserabile e ripetitivo.

Bibliografia essenziale:S. POGGI, Introduzione al Positivismo, Laterza, Roma-Bari 1987

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24La pedagogia italiana tra XIX e XX secolo

La pedagogia del cattolicesimo reazionario e liberaleIn Italia, dopo il 1820-21, nel clima politico della

Restaurazione, il movimento reazionario cattolico assunse con-sistenza, per contrapposizione alle apparenti tensioni rivoluzio-narie. Gli esponenti piú reazionari del cattolicesimo proposerouna prospettiva dell’istruzione e dell’educazione popolare inlinea con i loro principi politici: considerando che il bambinodelle classi popolari, dopo l’asilo, avrebbe dovuto vivere intuguri, officine sporche e fumose, e si sarebbe abituato a unavita dura, fatta di privazioni e sofferenze, si affermò che sareb-be stata una crudeltà e un’imprudenza, oltre che un atteggia-mento non cristiano, educare il bambino a condizioni di vita chenon avrebbe potuto piú mantenere. Meglio sarebbe stato infon-dere rassegnazione, tranquillità, contentezza di vivere umil-mente.

Negli stessi anni, la cultura risorgimentale italiana diede vitaa idee liberali e democratiche, dai caratteri moderati, e proposeuna ricerca pedagogica che si sforzasse di trasformare la socie-tà italiana in una nazione, per cui si dovevano cambiare la men-talità, la cultura, raccordare le classi sociali attraverso un ampioprocesso educativo, che rendesse i cittadini uniti e sudditi diuno stato nel quale si riconoscessero.

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Il punto di riferimento fondamentale era essenzialmentecostituito dalle idee filosofiche di Vincenzo Gioberti, e soprat-tutto dal pensiero di Alessandro Manzoni. Quest’ultimo, infatti,proponeva di educare il popolo alla morale cattolica, per instil-lare la fiducia nella Provvidenza divina che avrebbe fatto trion-fare il bene sul male. Egli sostenne che “è il popolo a fare la sto-ria”, e che per realizzare una vera unità d’Italia è necessariaun’unità linguistica.

I principali autori della pedagogia del cattolicesimo liberalefurono Ferrante Aporti e Gino Capponi.

Ferrante Aporti (1791-1858) fu sacerdote, e diresse lascuola elementare di Cremona, dove aprí poi la scuola infantilenel 1837. Scrisse il Manuale di educazione, del 1833 e gliElementi di pedagogia, del 1847.

Nell’Italia risorgimentale, in ritardo rispetto agli altri paesinello sviluppo economico e industriale, in cui l’infanzia vivevain condizioni igieniche, morali e materiali miserevoli, Aportidette vita a numerose iniziative filantropiche. Organizzò le suescuole non come semplici sale di custodia, ma cercò di fornireun metodo educativo, dei contenuti disciplinari, e di educare ilbambino tenendo conto dei suoi bisogni e formarlo globalmen-te da diversi punti di vista: morale, religioso, fisico, affettivo,sociale. Per capire l’importanza dell’opera di Aporti è necessa-rio ricondurla al periodo storico nel quale si svolge: infatti,molti consideravano l’educazione infantile dei poveri un peri-coloso strumento di emancipazione sociale. Pertanto, la suaproposta risultò progressista e all’avanguardia da un punto divista liberale.

Gino Capponi (1792-1876) operò in Toscana. Scrisse iPensieri sull’educazione, pubblicati nel 1845.

Attento alle classi piú povere, si interessò all’educazione deibambini, cercando di crescerli in modo da farli sentire, da adul-

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ti, elementi di una collettività, di un popolo, al quale, per darecoscienza dei propri doveri, è necessaria una formazione cultu-rale. L’educazione deve sfociare in un impegno etico, morale ecivile, risultato che si ottiene attraverso la trasmissione di ideeelevate, “grandi”, che Capponi chiama “idee-forza”: uguaglian-za, libertà, patria.

La pedagogia del Positivismo italianoI pedagogisti piú importanti del Positivismo italiano furono:

Aristide Gabelli (1830-1891), che riprese Stuart Mill e criticòRousseau in nome di una superiorità dell’intelligenza sulla sen-sibilità e di un uso critico dello “strumento testa”, proponendol’osservazione diretta della realtà come metodo educativo;Andrea Angiulli (1837-1890), che tese a privilegiare gli aspet-ti tecnici dell’educazione in nome del principio che ogni meto-do didattico non può prescindere dai dati della ricerca antropo-logica e sociologica.

Un altro importante esponente del Positivismo educativo efilosofico in Italia fu Roberto Ardigò (1828-1920). Fu sacerdo-te dal 1851 al 1871, quando in seguito a una “conversione all’a-teismo”, rinunciò all’abito. Morí suicida all’età di 92 anni.Vicino alle idee di Spencer, propose una filosofia della naturasu basi positivistiche. Fra le sue opere: La psicologia comescienza positiva, del 1870, e Scienza dell’educazione, del 1893.

La pedagogia – secondo Ardigò – è scienza che deve forma-re l’individuo con abilità utili, decorose e nobili. Il bambino nonpossiede capacità innate, e l’educazione è formazione dall’e-sterno, azione dell’ambiente sul soggetto. I valori devono esse-re formati attraverso l’esperienza e l’abitudine, e il metodo dautilizzare guarda sia alla conoscenza sensibile, diretta, sia allostudio del patrimonio culturale e scientifico. Didatticamente, sioppose ai metodi verbalistico-retorici, e valorizzò l’esperienza

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diretta. Sostenne che la scuola debba essere laica e professiona-le. Il curriculum che propose ricalcò quello di Spencer, con ilprimato della scienza rispetto alle discipline umanistiche. PerArdigò, in linea con il Positivismo, non esiste nulla di incono-scibile, la scienza può arrivare a conoscere tutto, e l’educazio-ne può modellare gli uomini per i propri fini.

Il metodo delle sorelle AgazziRosa (1866-1951) e Carolina (1870-1945) Agazzi nacque-

ro a Volongo, in provincia di Cremona, e fondarono aMompiano, in provincia di Brescia, nel 1895, un asilo, chiama-to la “casa dei bambini”.

Il lavoro teorico fu il frutto soprattutto del lavoro intellettua-le di Rosa Agazzi, la quale pubblicò numerose opere, fra cui:Come intendo il museo didattico nell’educazione dell’infanziae della fanciullezza (1923); L’arte delle piccole mani (1929);Guida per educatrici dell’infanzia (1932).

Nella loro “casa dei bambini”, rifiutando il convenzionali-smo delle sale di custodia e lo scolasticismo nozionistico, inco-raggiarono le attività individuali dei bambini, concedendo libe-ro sfogo alle loro forme di vita spontanea. Con la “casa deibambini” di Mompiano, diretta da Rosa dal 1896 in poi, diede-ro l’avvio a una riforma dell’educazione infantile che serví daesempio a molti asili che sorsero in seguito col nome e utiliz-zando il metodo delle sorelle Agazzi.

Considerarono l’asilo per l’infanzia la continuazione dellavita all’interno della famiglia cercarono di realizzarlo in colla-borazione con la famiglia. Ebbero molta cura dell’igiene, dellacura e della pulizia personali.

Il loro metodo si fondava sulla spontaneità e sull’esperienzapersonale dei bambini, i quali vivevano in comunità, attendeva-no a lavori vari, alternati alla musica, al canto, alla conoscenza

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di cose nuove e ad esercizi di giardinaggio e all’allevamento dianimali domestici.

La libertà, la spontaneità e la operosità individuale, natural-mente, erano regolate dalle esigenze della vita in comune e sti-molate da un materiale didattico spesso raccolto o fabbricatodalla maestra e dai bambini stessi (che sostituiva quello preco-stituito dei “doni” di Fröbel).

Agli esercizi tradizionali di tipo fröbeliano, esse iniziarono asostituire esercizi di vita concreta, manuale, venendo cosí a per-fezionare le capacità creative ed estetiche. Mediante l’introdu-zione della pratica, altamente educativa, dell’aiuto e dell’assi-stenza fornite dai bambini grandicelli verso i piú piccoli, favo-rirono lo sviluppo della socializzazione.

Cominciarono a far uso di contrassegni personali, affinchéogni bambino mettesse le proprie cose al loro posto. Lo stru-mento educativo nell’asilo di Monpiano è il “MuseoPedagogico”, o “Museo delle cianfrusaglie”, perché raccoglie-va tutte le cianfrusaglie, utilizzate come materiale didattico,che il bambino trovava o costruiva da sé. Lo strumento educa-tivo – il Museo Pedagogico, o Museo Didattico – era un luogo(scaffale, teca, armadio) in cui si raccoglievano tutte le cianfru-saglie trovate dal bambino o da esso costruite e venivano dispo-ste per colore, o per forma, o per somiglianza, o per nome, con-trassegnate in vari modi, per insegnare al bambino le differen-ze, le qualità e le somiglianze fra gli oggetti e a prendere pos-sesso della realtà. Inoltre, essendo raccolte come reliquie, lecianfrusaglie facevano sí i bambini vedessero attribuito valorealle loro piccole proprietà e ciò risultò molto utile per lo svilup-po della sicurezza individuale.

Il metodo Agazzi non ha nulla di artificioso e di meccanico;perciò è stato talora contrapposto al metodo Montessori, ma inrealtà quella delle Agazzi rimase un’esperienza molto piú limi-

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tata e concreta rispetto alla costruzione teorica dell’altra grandestudiosa italiana.

Il metodo Agazzi ebbe, comunque, enorme successo (piú diquello della Montessori) nell’Italia di fine Ottocento, iniziNovecento, perché era molto economico da realizzare e facileda attuare. Queste erano caratteristiche fondamentali per attua-re una scuola nazionale, nella situazione italiana post-unitaria;l’Italia, infatti, si trovava in grave crisi economica, ma con l’ur-genza di realizzare un’istruzione e una scuola pubblica naziona-le, uguale per tutti e unitaria, in breve tempo; cosí, con il meto-do Agazzi era possibile aprire a costi limitati molti asili e inse-gnare questo metodo molto semplice a chiunque intendesseimpegnarsi nell’insegnamento infantile, in modo da preparare,senza grande spesa e senza necessità di molta istruzione, parec-chie maestre, in tempi rapidi.

Bibliografia essenziale:G. LOMBARDO RADICE, Il metodo Agazzi, La Nuova Italia, Firenze 1952F. CAMBI, La pedagogia borghese nell’Italia moderna, La Nuova Italia,

Firenze 1974D. MARCHI, La scuola e la pedagogia del Risorgimento, Loescher,

Torino 1985.

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25Karl Marx e Friedrich Engels

Nella seconda metà dell’800, se il Positivismo esaltò i valo-ri laici e l’organizzazione sociale ed educativa della classe bor-ghese, con il mito del progresso, la fiducia nella scienza e nellatecnologia, il Socialismo, d’altro canto, espresse la posizione,l’ideologia e i valori della classe antagonista, il proletariato. Ilmovimento socialista esaltò i valori di solidarietà, uguaglianza,partecipazione popolare al governo, delineando una società“senza classi”. Il socialismo si avviò, già prima del 1848, con leposizioni del socialismo utopico (soprattutto con Fourier inFrancia e Owen in Inghilterra), per poi definirsi in modo “scien-tifico” attraverso l’opera di Karl Marx (1818-1883) eFriedrich Engels (1820-1895), autori tra l’altro del Manifestodel Partito Comunista (1847-48), e fondatori del materialismostorico: filosofi, teorici dell’economia e politici allo stessotempo, elaborarono anche alcune proposte intorno all’istruzio-ne.

Fin da subito il socialismo evidenziò, oltre a un nucleo cen-trale di problematiche politiche, anche interessi pedagogici,esaltando gli ideali di giustizia sociale e di uguaglianza tra gliuomini, con il principio di solidarietà e di libertà all’internodelle classiche istituzioni sociali: la famiglia, la fabbrica, lo

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Stato. Colse in maniera consapevole il legame stretto tra educa-zione e società, tra pedagogia e politica. La cultura socialistanon fece nessun richiamo al Trascendente (a Dio) e cercò l’af-fermazione di ideali umani in cui le condizioni di vita dellemasse popolari non fossero caratterizzate dallo sfruttamento edall’ignoranza. Per Marx ed Engels la pedagogia doveva essereimpostata su una rigorosa base storico-materialista, contro ognimetafisica astratta, ed evidenziare l’importanza delle condizio-ni economico-sociali in cui l’individuo viveva e maturava per laformazione e il pensiero dell’uomo.

Per Marx, l’uomo, attraverso il proprio lavoro e la sua dia-lettica rivoluzionaria, è attivo e prepara il proprio riscatto. Illavoro è l’attività propria dell’uomo e dunque va messo al cen-tro anche della formazione individuale. Il lavoro è attività dia-lettica in quanto capace di mutare, attraverso la lotta di classeda parte degli operai in senso rivoluzionario, le condizioni dialienazione che storicamente contraddistinguono l’uomo.

Contro l’individuo unilaterale e specializzato, Marx credetteche l’evoluzione economico-politica della società moderna por-tasse alla formazione di un “uomo nuovo” che avrebbe riunitoin sé le attività manuali e intellettuali, in maniera completa earmonica. Marx ed Engels criticarono l’istruzione popolare,rimasta circoscritta alle attività di leggere, scrivere, far di contoe al catechismo religioso. Sottolinearono la dipendenza dell’e-ducazione dalla società, cioè dalla classe dominante che decidechi e come educare. In questo modo l’educazione era vistacome uno strumento ideologico che esprime le concezioni dellaclasse al potere, venendo a rimarcare la divisione tra le classisociali (borghesia e proletariato), con indirizzi scolastici diver-sificati.

Evidenziando le oggettive condizioni di miseria e sfrutta-mento in cui i fanciulli delle classi povere vivevano (gli studi

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effettuati da Marx si riferivano soprattutto all’Inghilterra),ritennero che l’educazione si dovesse riferire alla realtà socio-economica e alla lotta di classe che le caratterizzava e che illavoro, da intendersi come lavoro produttivo, legato alla fabbri-ca e alla società, dovesse entrare nell’àmbito scolastico. Marxpropose che ogni fanciullo, a partire dai nove anni di età, diven-tasse un operaio produttivo; divise i fanciulli in tre gruppi aseconda dell’età: dai 9 ai 13 anni, dai 13 ai 15, dai 16 ai 17, incui l’attività lavorativa dovesse essere rispettivamente di due,quattro e sei ore. L’istruzione doveva essere innanzitutto forma-zione spirituale, poi educazione fisica (ginnastica) e, infine,istruzione politecnica (che unisse, cioè, il lavoro produttivoall’istruzione), che trasmettesse i fondamenti scientifici genera-li di tutti i processi di produzione e iniziasse il fanciullo all’usodegli strumenti di tutti i mestieri.

In sostanza il contributo piú rivoluzionario che Marx edEngels hanno dato alla pedagogia consiste:

1) nel richiamo la lavoro produttivo (contro le tendenzeintellettualistiche e spiritualistiche);

2) nell’affermazione del rapporto dialettico (di scambio) traeducazione e società, per cui ogni tipo di ideale formativo e dipratica educativo risente di valori e interessi ideologici, connes-si alla struttura economico-politica della società che li esprimee agli obiettivi pratici che la governano;

3) nel legame tra educazione e politica, secondo cui le stra-tegie educative devono richiamarsi alla praxis, all’azione poli-tica e rivoluzionaria;

4) nella formazione integralmente umana dell’uomo, cioècompleta e armonica, non assoggettata, subalterna e alienata.L’interpretazione marxista diede inoltre importanza all’opposi-zione a ogni forma di spontaneismo e di naturalismo ingenuoper realizzare, attraverso la disciplina educativa, una conforma-

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zione degli individui, tutti uguali fra loro (aspetto che fu privi-legiato soprattutto là dove il socialismo reale si affermò, e cioènella Russia post-rivoluzionaria – in URSS sino alla caduta delregime comunista nel 1989 e la nascita della C.S.I. nel 1991).La cultura marxiana si diffuse in tutta Europa e venne portataavanti da molti studiosi, fra i quali, in Italia, alla fine del XIXsecolo Antonio Labriola (1843-1904) e nel XX secolo AntonioGramsci (1891-1937), che ripensò i principi metodologici delmarxismo, realizzando una delle piú ricche e piú alte esperien-ze pedagogiche del marxismo. La sua esperienza influí notevol-mente sulla pedagogia italiana del secondo dopoguerra, guidan-do la strategia educativa del PCI e ispirando molti pedagogistiitaliani di oggi, fra cui Dina Bertoni Jovine, Lucio LombardoRadice, Mario Alighiero Manacorda.

L’educazione marxistaPer Marx l’educazione deveva essere intellettuale, fisica e

tecnica, e trovare il completamento nel lavoro produttivo, chenon è il semplice lavoro manuale, in quanto prevede la pianifi-cazione e la specializzazione dell’attività produttiva.

In Russia, all’indomani della Rivoluzione d’ottobre del1917, si cercò di rifondare l’educazione e la pedagogia in modonon borghese, ispirandosi al materialismo storico e dialetticodel marxismo. In questo periodo due erano le correnti pedago-giche maggiormente diffuse in Russia, l’educazione libera e l’e-ducazione scientifica, a cui si aggiunse la pedagogia socialista.

a) L’educazione libera si rifaceva a Rousseau e a Tolstoy, esottolineava l’importanza della spontaneità e della creativitàindividuale. Per l’enfasi posta sulla libertà poteva rientrare nellacostruzione della nuova società sovietica senza stato, formatada individui liberi e uguali.

b) La pedagogia scientifica continuava a essere “borghese”,

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perché si fondava sull’idea di natura del soggetto, ma si basavasu strutture ritenute “scientifiche”. Questa pretesa scientificità,che implicava una possibilità di controllo, esercitò una notevo-le presa nella cultura marxista.

c) la pedagogia socialista doveva formare il combattente,che liberasse il proletariato e costruisse nuovi valori morali,culturali, economici e politici; deveva ricostruire l’educazionein concordanza con le tesi del materialismo storico e dialettico,unendo lo studio con il lavoro produttivo e offrendo una forma-zione politecnica.

Nel 1918 e nel 1923 si realizzarono due riforme scolastiche.Nella prima si affermò che la scuola doveva essere unica, aper-ta a tutti, laica e in stretta connessione con il lavoro produttivo,in modo da preparare il futuro comunista lavoratore. Nel ’23 siammise però che questo processo non poteva realizzarsi inmodo spontaneo, ma andava sorretto da un intervento ideologi-co, che inculcasse i nuovi principi socialisti. L’educazione,quindi, non doveva piú essere libera, bensí doveva essere rego-lata sulla visione ideologica marxista, che ricollegava e coordi-nava le relazioni fra gli uomini (Società) e la realtà (Natura),attraverso i rapporti di produzione (Lavoro).

Bibliografia essenziale. Opere di Marx e Engels:Il manifesto del partito comunista, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1995Letteratura critica:M.A. MANACORDA, Il marxismo e l’educazione, Armando, Roma 1964A. BROCCOLI, Marxismo e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1978G. BEDESCHI, Introduzione a Marx, Laterza, Roma-Bari 1981F. CAMBI, Libertà da… L’eredità del marxismo pedagogico, La Nuova

Italia, Firenze 1994.

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26Anton Siemionovic Makarenko

Anton Siemionovic Makarenko (1888-1939) realizzò lapropria attività pedagogica nella Russia post-rivoluzionaria,attuandola con ragazzi abbandonati o orfani traviati e a rischiodi delinquenza, all’interno di strutture collettive: nel 1920 creòla Colonia “Gorki” (di cui raccontò le attività in Poema peda-gogico; pubblicato nel 1933) e dal 1928 andò alla Comune“Derzinski” (esperienza narrata in Bandiere sulle torri, del1938).

Makarenko diede organicità al sistema pedagogico, creandoun organico modello educativo che costituisse la teoria su cui sipoggiavano tutti gli elementi (scuola unica, laica, politecnica,ecc.) già presenti nella nascente cultura sovietica. Il punto diriferimento privilegiato fu il marxismo e volle rompere con lapedagogia del passato borghese (considerata l’espressione dellasovrastruttura di quella società da superare). Riconobbe che lasocietà senza stato era lontana a venire e che la dittatura del pro-letariato sarebbe durata a lungo, per cui si pose dei fini reali eimmediati: formazione del “comunista” e del “lavoratore”. Lapedagogia e l’educazione, cosí, si posero al servizio della poli-tica e dello stato (ideologizzazione).

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Makarenko sostenne che l’educazione è il processo dellasocializzazione, per cui è importantissima, non ha basi psicolo-giche, biologiche e non deriva da una vaga natura creatrice; èescluso ogni individualismo e intellettualismo.

L’educazione deve essere eteronoma, per cui le norme socia-li derivano dall’esterno, il singolo deve piegarsi alle superioriesigenze dello Stato, il fine della società deve determinare ilfine personale e non viceversa; inoltre essa deve basarsi sulladisciplina, tenendo presente che le leggi imposte dall’alto devo-no però essere comprese e interiorizzate: in un primo momentosono dettate dall’esterno, e in seguito vengono auto-imposte,facendo coincidere la propria volontà con le esigenze del collet-tivo.

Il collettivo è un organo unitario e totalitario, strumento ditutti i processi che intervengono nella formazione della perso-nalità, al cui interno si organizzano tutte le forme di vita deisoggetti. Il collettivo generale, cioè l’intero istituto, è suddivisoin collettivi di base, o reparti. Ciò che ne risulta è quindi unaorganizzazione a classi aperte, in modo da evitare la chiusura diun gruppo in se stesso. Sono presenti ragazzi di diverse età, perfare in modo che gli interessi dei componenti non siano focaliz-zati sulle problematiche tipiche di un periodo della crescita.

L’educazione nel collettivo è attuata in modo rigido, secon-do una disciplina e un’estetica militaristica, con adozione diuniformi e gradi. Grande importanza è attribuita alla tradizione,ritenuta solida base sulla quale costruire la stabilità e la conti-nuità del collettivo stesso. Il lavoro produttivo è parte integran-te dell’attività educativa, composta di alcune ore dedicate allostudio, e altre riservate interamente al lavoro: in questo modo icollettivi si auto-finanziano, preparando una “dote” a disposi-zione dello studente il quale, una volta uscito dal collettivo,avrebbe potuto meglio inserirsi nella società. Il collettivo realiz-

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za al proprio interno un’autentica forma di auto-governo, con lesue squadre, comandanti, regole, punizioni, valori, in cui sonosottolineati il senso del dovere e dell’onore, e gli individui ven-gono responsabilizzati singolarmente con incarichi e mansionilavorative.

Bibliografia essenziale. Opere di Makarenko:Bandiere sulle torri, 2 voll. trad. it. Edizioni di Cultura Sociale, Roma

1955Poema pedagogico, 3 voll. trad. it. Editori Riuniti, Roma 1975Letteratura critica:J. BOWEN, Anton S. Makarenko e lo sperimentalismo sovietico, trad. it.

La Nuova Italia, Firenze 1973A. KAMINSKI, La pedagogia sovietica e l’opera di A. Makarenko, trad. it.

Armando, Roma 1962.

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27Attivismo: “scuole nuove” e “scuole attive”

Nel xx secolo, con le grandi trasformazioni che investironola società e la cultura occidentali, sempre piú indirizzate versosistemi democratici, libertari e pratici, si assistette a un profon-do e radicale rinnovamento delle scuole, dell’istruzione e delleteorie pedagogiche. La scuola si aprí alle masse, diventò sem-pre piú ideologizzata e si rivolse a tutti. Il fiorire di “scuolenuove” e di “scuole attive” caratterizzò l’educazione fino a tuttigli anni Cinquanta. Caratteristiche peculiari dell’attivismo furo-no: il porre al centro del processo educativo il bambino, con isuoi bisogni, interessi, le sue capacità; il fare che deve prece-dere il conoscere, il quale si evolve dal globale al distinto e simisura inizialmente su un piano “operatorio” (secondo le gran-di teorizzazioni di Piaget); la concezione di un sapere costruitoin un ambiente specifico, non piú fissato rigidamente, codifica-to e da imparare cosí com’è. Infine, si diede sempre piú valoree importanza alla psicologia del bambino, riconoscendo la radi-cale diversità della psiche infantile rispetto a quella adulta.

Le “scuole nuove” che si diffusero soprattutto negli StatiUniti e in Europa, richiamarono l’attenzione sull’infanzia comeetà pre-morale e pre-intellettuale, nella quale i processi cogni-tivi si intrecciano strettamente all’operare, alla senso-motricità

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e al dinamismo spontaneo del fanciullo. L’importanza di attivi-tà non solo intellettuali, ma anche di manipolazione, che rispet-tino la natura “globale” del fanciullo, furono affermate, inmaniere diverse fra loro, un po’ da tutti i rappresentanti del rin-novamento scolastico novecentesco, e della “scuola attiva”(come venne definita dal ginevrino Pierre Bovet) a partire daigrandi nomi quali John Dewey (1859-1952) negli Stati Uniti,Maria Montessori (1870-1952) in Italia, Ovide Decroly(1871-1932) in Belgio, Édouard Claparède (1873-1940) inSvizzera (direttore all’Istituto Jean-Jacques Rousseau diGinevra, dove piú tardi avrebbe lavorato Jean Piaget, fondandoil Centro di Epistemologia genetica), fino ai nomi meno noticome Hellen Parkhurst (1887-1973) che fu attiva a New Yorkispirandosi alle posizioni montessoriane, Carleton W.Washburne (1889-1968) operante vicino a Chicago, RogerCousinet (1882-1973) in Francia, Célestin Freinet (1896-1966) che dalla Francia ebbe ampia diffusione in Europa esoprattutto in Italia.

Il movimento delle “scuole nuove” fu accompagnato da unintenso lavoro di elaborazione teorica, mettendo in luce i fon-damenti filosofici e scientifici che sono alla base della pedago-gia. Gli autori – Montessori, Dewey, Decroly, ecc. – elaboranoteorie molto diverse fra loro, ma condivisero alcuni aspetticaratteristici del rinnovamento delle “scuole attive” (il cui mas-simo rappresentante si può considerare Dewey).

L’attivismo collegò strettamente la pedagogia alle scienzeumane, soprattutto alla psicologia e alla sociologia, e ne indicòanche le implicazioni politiche (in senso democratico) e antro-pologiche (per formare un uomo piú libero e felice, piú intelli-gente e creativo).

Questo movimento operò una svolta profonda nella pedago-gia occidentale, durante i primi cinquant’anni del XX secolo,

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dando vita anche a importanti associazioni mondiali quali la«Lega Internazionale per l’Educazione Nuova», fondata nel1921 a Calais, o il CEMEA, l’MCE sorto nel 1951, vennero pub-blicate nuove riviste, furono organizzati numerosi convegni econgressi.

In Italia, l’attivismo trovò ampio sostegno solo nel secondoDopoguerra, con pedagogisti quali Lamberto Borghi (nato nel1907), Francesco De Bartolomeis (nato nel 1918), AldoVisalberghi (nato nel 1919).

Verso la fine degli anni Cinquanta, negli Stati Uniti prima ein Europa poi, l’attivismo ricevette aspre critiche e subí unaradicale revisione. I suoi teorici furono accusati di aver datovita a una scuola eccessivamente permissiva da un punto divista disciplinare, di promuovere una formazione scientificainsoddisfacente per le nuove generazioni e di avere privilegiatotroppo la manualità a scapito delle finalità culturali e cognitive,giudicate ora determinanti per la vita di una società in rapidaevoluzione e crescita tecnologica, dominata dai computers edall’informatica, e caratterizzata da una civiltà delle comunica-zioni sempre piú rapide ed efficienti. Queste critiche sorserosoprattutto in ambiente cognitivista, e in particolar modo ven-nero sviluppate da Jerome Bruner.

Riassumendo in maniera schematica, i grandi temi dell’atti-vismo comuni pressoché a tutti gli autori possono essere cosísintetizzati:

1) il puerocentrismo: il riconoscimento cioè del ruolo essen-ziale e attivo del bambino in ogni processo educativo;

2) il valore al “fare” nel rapporto educativo, inteso noncome fare fine a se stesso, ma come fare per imparare, comestrumento didattico per conoscere il mondo, tendendo quindi adar valore allo svolgimento, a scuola, di attività manuali, algioco (con l’eccezione di Montessori) e al lavoro;

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3) tenere in grande considerazione le motivazioni e gli inte-ressi dei bambini, spinti cosí a cercare di conoscere e a svilup-pare un migliore apprendimento;

4) la centralità dello studio dell’ambiente in cui il bambinovive, ma anche dell’ambiente in cui si svolge il processo educa-tivo, perché proprio dalla realtà che lo circonda il fanciullo rice-ve stimolo all’apprendimento;

5) l’accento sulla socializzazione, considerata un bisognoprimario del bambino che deve essere soddisfatto e incentivato;

6) l’importanza di un atteggiamento anti-autoritaristico, perrinnovare profondamente la tradizione educativa e scolasticache fino ad allora continuava a dare importanza ai fini dell’a-dulto a scapito delle esigenze del bambino;

7) l’anti-intellettualismo: il non dare importanza cioè solo aicontenuti culturali dei programmi scolastici, ma valorizzare unaorganizzazione delle conoscenze piú libera da parte del discen-te, per dotarlo di strumenti utili ad affrontare meglio il mondoanziché di una massa di informazioni frammentarie e disartico-late, imparate in maniera mnemonica.

Bibliografia essenziale:L. BORGHI, Il fondamento dell’educazione attiva, La Nuova Italia,

Firenze 1952A. ATTISANI, Problemi e prospettive di scuola attiva, Armando, Roma

1968.

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28Maria Montessori

Maria Montessori (1870-1952) studiò all’Università diRoma, dove si laureò in medicina nel 1896. Fu la prima donnain Italia a esercitare la professione medica. Cominciò a lavora-re alla clinica psichiatrica di Roma come assistente, operandocon bambini anormali. Questa esperienza fu molto rilevante alfine della successiva realizzazione della sua teoria pedagogica,che conterrà innovazioni sull’educazione dei soggetti anormali,quali il fatto che il bambino anormale ha bisogno non solo dicure e assistenza, ma anche di una azione educativa che modi-fichi complessivamente la sua personalità, riducendo gli inse-gnamenti ai suoi elementi piú essenziali, piú semplici, e adot-tando un metodo chiaro, definito e scientifico. Per la prepara-zione scientifica della Montessori furono molto importanti lalettura e la traduzione delle opere sulla deficienza mentale deglistudiosi francesi Itard e Séguin.

Il 6 gennaio 1907, nel quartiere San Lorenzo di Roma, unodei quartieri piú poveri, emarginati e degradati della capitale,Maria Montessori aprí il suo asilo, la “Casa dei bambini”, nelquale dovette affrontare problemi pedagogici e didattici estre-mamente complessi, che richiesero un risanamento sia civileche sociale, oltre che educativo.

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Il metodo educativo proposto dalla sua “pedagogia scientifi-ca” fu molto innovatore rispetto al passato. Se Fröbel vedeva unbambino ludico, la Montessori intese il suo bambino comelaborioso, impegnato nei suoi lavori svolti all’interno della“Casa dei bambini”, in maniera dinamica e attiva; il bambinonon deve giocare per puro divertimento, per tenersi impegnato,ma deve essere coinvolto nelle sue attività. Tutto questo nondeve far pensare a un metodo duro, impositivo, coercitivo, dog-matico; al contrario, si debbono rispettare bisogni e interessi delsoggetto da educare, che è laborioso perché segue la sua natu-ra; il bambino si impegna spontaneamente, perché si diverte,perché ogni cosa è una nuova scoperta su cui concentrarsi edesercitarsi; quel bambino tutto frivolezze e pianti che molticonoscono è il prodotto dei genitori che lo viziano, lo tengonosempre sotto il loro controllo, risolvendogli tutti i problemi,anche i piú piccoli e insignificanti.

Il metodo della Montessori ebbe poca diffusione in Italianegli anni in cui operò la pedagogista, perché richiedeva unosforzo finanziario molto alto e insostenibile a causa della gravesituazione economica in cui versava l’Italia all’inizio delNovecento: fu necessario costruire gli asili che richiesero strut-ture particolari, fornire il materiale didattico, formare gli inse-gnanti. Si preferí quindi adottare il metodo Agazzi, molto menoimpegnativo e piú economico.

Inoltre, la Montessori fu perseguitata dal fascismo, dopo glianni ’20 e costretta a riparare all’estero. Viaggiò in tutto ilmondo, realizzando numerose esperienze pedagogiche, fra lequali importanti furono quelle in India. Soggiornò a lungo inOlanda, dove morí. Solo nel secondo dopoguerra il metodo e gliasili in stile Montessori si diffusero anche in Italia.

Le sue opere principali sono: Il metodo della pedagogiascientifica applicata all’educazione infantile nelle Case dei

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bambini (1909), ristampato poi con il titolo La scoperta delbambino (1948); L’autoeducazione nelle scuole elementari(1916); Manuale di pedagogia scientifica (1930); Il segreto del-l’infanzia (1938); La mente del bambino (Mente assorbente)(1952).

Maria Montessori utilizzò la psicologia, la psichiatria, lamedicina, la biologia e l’antropologia culturale, allo scopo difornire un fondamento quanto piú possibile scientifico alla suateoria pedagogica. Il suo metodo didattico-educativo, propostonella Casa del bambino fin dal 1907, prevedeva un utilizzo pro-gressivo e graduale di materiale elementare prestrutturato, attra-verso il quale il bambino inizia a compiere varie attività, comeinserire figure geometriche negli spazi appositi di uguale forma,lettere con le quali comporre le prime parole, esercizi di manua-lità, materiale per imparare a contare, per i colori, le figure, ledimensioni, per la musica e i suoni, e altro ancora.

Il metodo scientifico della Montessori, per quanto conser-vasse un debito nei confronti della pedagogia positivista, sioppose però allo “scientismo”, all’ambientalismo e al “sociolo-gismo” da essa propugnato. Montessori sostenne la necessità distimolare l’attività e il rapporto col bambino partendo dai suoibisogni e interessi, e ciò implica, contro l’empirismo e ilPositivismo, che il bambino possieda caratteristiche sue pecu-liari già alla nascita.

Inoltre, il bambino deve sentirsi libero, e imparare a diveni-re autonomo; non bisogna abituarlo alla passività, ma dargli ilmateriale strutturato in base ai suoi bisogni e alle sue capacità,lasciarlo scegliere, operare e impegnarsi liberamente.L’educatrice di Chiaravalle fu estremamente critica nei con-fronti delle famiglie che rovinano i bambini facendoli solo gio-care, imponendo costantemente la presenza dell’adulto per

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risolvere loro ogni problema, anche solo per prendere un ogget-to o aprire una porta, controllandoli sempre e offrendo troppecose già “fatte”, rendendo i bambini dipendenti, passivi, inveceche attivi, liberi e autonomi. Per raggiungere l’autosufficienza,il fanciullo deve imparare da solo a fare ciò che è potenzialmen-te in grado di fare: deve cioè autoeducarsi, e raggiungere cosíl’autonomia.

Pertanto bisogna partire da zero con l’educazione: costruireun nuovo tipo di asilo e utilizzare un nuovo metodo, assieme anuovo materiale didattico strutturato. Tutto dovrà essere a misu-ra di bambino, vale a dire in miniatura, piccolo e basso, inmodo che egli sia in grado di fare tutto da solo: aprire le porte,accendere gli interruttori, prendere e rimettere in ordine glioggetti dagli scaffali, andare in bagno da solo e altro ancora.Tutto è a sua disposizione, ferme restando la sicurezza e la con-tinua supervisione e attenzione degli insegnanti. Senza dipende-re dall’adulto, il bambino lavorerà impegnato, con piacere erendimento. Il gioco è previsto dalla Montessori, ma non comeattività fine a se stessa; deve invece intendersi come momentodella formazione della personalità del fanciullo, fondamentaleper sviluppare la creatività. Bisogna invece criticare moltoseveramente il gioco fine a se stesso e l’utilizzo di giocattoli per“distrarre” o “tenere impegnato” il bambino. L’ambiente pro-porzionato, creato nell’asilo “Montessori”, assolse anche unaltro compito: quello di educare al bello, inteso come un’esteti-ca ordinata.

La vita scolastica, inoltre, è anche vita di gruppo, perciò èbene che i bambini si organizzino tra loro, formino dei gruppi,lavorino in coppia e vengano rispettati dagli adulti, che dovran-no cercare di non interferire nei gruppi e non aiutare i fanciulli,ma lasciare che facciano da soli; il cómpito del maestro, quin-di, sarà quello di essere una buona guida. Il maestro deve avere

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una grande preparazione scientifica, psicologica e un’enormecapacità di osservare e scoprire il bambino nel suo mondo natu-rale, con la sua spontaneità, per cogliere i bisogni, gli interessi,i problemi, le caratteristiche e le peculiarità di ciascuno. Il mae-stro, però, deve essere anche umile, deve saper tollerare, rispet-tare senza intromettersi, dare gli strumenti didattici adeguatiall’età e appropriati alle esigenze, allo sviluppo, ai bisogni eagli interessi.

A proposito dell’uso del materiale didattico, questo non vaconsegnato tutto insieme, perché ciò creerebbe confusione edisorientamento nel fanciullo, che rischierebbe di non conclu-dere nulla; nemmeno cambiare troppo spesso il materiale èindicato, quando il bambino lo sta ancora utilizzando con inte-resse, perché bisogna lasciargli il tempo di esercitarsi e acquisi-re ciò che lo coinvolge, ma si deve al contempo evitare diannoiarlo troppo a lungo con un unico cómpito, o con un mate-riale strutturato non piú adeguato alla sua età, quando egli è ingrado di risolvere attività piú complesse.

Una delle critiche rivolte al metodo ideato dalla Montessoriè la sua eccessiva rigidità: tutto è programmato, e non c’è spa-zio per l’immaginazione, la creatività, la fantasia, che secondol’educatrice servono solo a rendere il bambino viziato. La scel-ta della Montessori, però, nacque da una importante scoperta:ella rimase colpita dal fatto che il fanciullo non è tutto assorbi-to dal gioco, dall’immaginazione, ma è concentrato totalmente,senza distrarsi, nelle sue attività; ripete i suoi esercizi moltevolte senza stancarsi, perché sta imparando, è curioso e se vivein un ambiente adatto, quando è libero è anche calmo, discipli-nato, organizzato e tranquillo: questo è il segreto dell’infanziascoperto dalla Montessori.

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Come si è già detto, il primo momento indispensabile dellavoro nella scuola è l’osservazione del bambino; ciò presuppo-ne, quindi, una buona padronanza della psicologia dell’infanzia,perché la mente del bambino ha una sua specificità, è diversa daquella dell’adulto; inoltre, ogni bambino presenta alcune carat-teristiche peculiari e irripetibili, che lo rendono unico; ognibambino è – come scrsse la Montessori – un embrione spiritua-le, cioè è portatore di una energia vitale interna, psichica, unapotenza che si sviluppa nel rapporto con gli altri e con se stes-so; perciò ogni individuo ha il diritto di essere libero, di esserese stesso con la propria inconfondibile originalità, e va rispetta-to per ciò che è. L’embrione spirituale è il punto di partenzadello sviluppo psichico dell’energia vitale che si realizzerà poinel rapporto con l’ambiente. Nello sviluppo dell’embrione, lamente del bambino potrà acquisire conoscenze, imparare, cre-scere, apprendere, incarnare, mettere dentro di sé le nozioni e leconoscenze. Le informazioni che l’ambiente offre al bambinonon sono organizzate e strutturate; si presentano piuttosto comedelle nebule (nebule del linguaggio, nebule dei costumi, delleabitudini, dei numeri, dei colori, ecc.), delle spinte nebulose,degli ammassi di stimoli confusi da cui la mente assorbe i con-tenuti e le conoscenze indispensabili alla propria crescita; glistimoli che giungono in maniera vaga, disordinata, caotica, ven-gono selezionati in maniera inconscia, per mezzo della menteassorbente (tendenza di tutti ad assorbire inconsapevolmente idati che si incontrano nell’ambiente, selezionando e imparandoin maniera non volontaria e cosciente); la nostra mente, cioè,assorbe senza rendersene conto dall’ambiente certe informazio-ni invece di altre, ordinando il caos nebuloso dei dati dell’ester-no; seleziona gli aspetti piú rilevanti e importanti e le regole cheservono per operare. Lo sviluppo dell’embrione spirituale el’apprendimento inconscio tramite la mente assorbente avviene

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in tempi differenti e in momenti privilegiati, i periodi sensitivi,quando il bambino è piú adatto e pronto ad apprendere certeinformazioni e conoscenze; lo sviluppo perciò sarà semprediverso da individuo a individuo, anche se i tempi sono vicini,e l’iter scolastico non potrà mai essere identico per i diversisoggetti.

In questo modo ciascuno sceglie dal mondo esterno e segueuno sviluppo individuale, realizzando l’energia creativa chepossiede, e crea la propria personalità, impossessandosi di tuttele conoscenze, del linguaggio, dei costumi, dei comportamenti,diventando una persona autonoma, libera, adeguata ad agire einteragire, a rispondere alle richieste del tempo, del mondo,della società, dell’ambiente circostante.

Bibliografia essenziale. Opere di Montessori:L’educazione alla libertà, Laterza, Roma-Bari 1950Dall’infanzia all’adolescenza, Garzanti, Milano 1970La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1991L’autoeducazione, Garzanti, Milano 1992La mente del bambino, Garzanti, Milano 1992Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1992Letteratura critica:F. DE BARTOLOMEIS, Maria Montessori e la pedagogia scientifica, La

Nuova Italia, Firenze 1953A. SCOCCHERA, Maria Montessori. Quasi un ritratto inedito, La Nuova

Italia, Firenze 1990.

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29John Dewey

John Dewey (1859-1952), filosofo e pedagogista statuniten-se, attento alla vita, alla cultura e alla scienza del Novecento,nella sua lunga vita partecipò in maniera consapevole alle gran-di trasformazioni che la società occidentale ha subito tra il XIXe il XX secolo. Egli risentí delle influenze culturali di Morris edel Pragmatismo di Charles Pierce e William James. IlPragmatismo fu quella filosofia, maturata alla fine dell’800, checonsidera come verità ciò che è azione pratica e concreta utileall’affermarsi dell’uomo nella società. Questa corrente di pen-siero diede vita, per opera di James e Granville Stanley Hall –primo psicologo che si occupò dei problemi evolutivi – alla psi-cologia funzionalista; assieme al Funzionalismo e alla ScuolaProgressiva di Dewey, fu la piú chiara espressione della tipicamentalità americana, migliorista, ottimista, pragmatica, di chivuole affermarsi rapidamente e in maniera attiva, trasformandoil mondo e la natura alle proprie esigenze, e di chi deve risolve-re in breve tempo i problemi di adattamento e convivenza conun mondo fino ad allora impervio e selvaggio.

Al fondo della visione pragmatista ci furono l’affermazionedei diritti naturali originari e indipendenti dal vivere sociale, lafiducia nelle capacità dell’individuo, l’avversione per ogni

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forma di violenza e oppressione, secondo una linea politicademocratica, l’ottimismo per lo sviluppo tipico degli Stati Unitiche, da una forma di economia prevalentemente agricola, stava-no passando a una produzione industriale che li portarono aessere, nel giro di pochi decenni, la prima potenza mondiale.Nel modo di pensare americano rimasero però presenti i valoridelle originali condizioni pionieristiche di vita: il lavoro, l’abi-lità e il talento individuali, lo spirito d’iniziativa e, soprattutto,l’adattabilità personale. La società in cui visse Dewey (e in cuiviviamo anche oggi) è in rapidissima trasformazione e necessi-ta di efficienza e di attività: è una civiltà interessata alle abilitàe alle competenze concrete. La società americana di fineOttocento, inizi Novecento era profondamente ottimista, crede-va in un miglioramento e in un progresso continui e Dewey sifece partecipe e portavoce in pedagogia di questa tendenza, cherimase profondamente delusa (e Dewey subí forti attacchi ericevette aspre critiche) quando l’economia su cui questomondo basava la propria certezza cadde miseramente con ilcrollo della borsa di Wall Street nel 1929, portando la societàamericana ed europea a livelli di miseria, disoccupazione epovertà che non si sarebbe mai piú creduto di rivedere.

Dewey si occupò di pedagogia in maniera sia teorica sia con-creta, aprendo una scuola elementare annessa all’Università diChicago (dove insegnò fino al 1905, per poi trasferirsi a quelladi New York); viaggiò molto e pubblicò parecchie opere, difilosofia, psicologia e pedagogia, tra cui, per l’educazione, lepiú importanti sono: Il mio credo pedagogico (1897); Scuola esocietà (1899); Come pensiamo (1910); Democrazia ed educa-zione (1916); Esperienza e natura (1925); Le fonti di una scien-za dell’educazione (1929); La ricerca della certezza (1929);Esperienza ed educazione (1938); Logica. Teoria dell’indagine(1938); Libertà e cultura (1938).

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Dewey sostenne che la pedagogia è una scienza autonomache utilizza i risultati delle altre scienze. Spostò l’interesse del-l’educazione sulla totalità della natura biofisica, psichica esociale del bambino, con i suoi bisogni, interessi, processi logi-ci e psichici, le sue conoscenze, la sua affettività, le sue realiesperienze. La nozione di esperienza fu posta al centro della suapedagogia. Nell’empirismo inglese del XVII-XVIII secolo, lanozione di esperienza implicava il fatto che l’individuo fossepassivo, una “tabula rasa” che nel contatto con l’ambiente regi-stra e fissa le impressioni ricevute dall’esterno traducendole inidee e giudizi. In Dewey la nozione di esperienza si allargò, finoa concepire un io attivo che opera e trasforma il mondo, l’am-biente esterno e la società per meglio adattarsi ad essi; l’espe-rienza è la totalità della realtà che include tutti gli aspetti dellarealtà, in una continuità indissolubile fra fisico, biologico, psi-chico, coscienziale e mentale. Il rapporto uomo-ambiente siconfigura come un rapporto problematico fra individuo emondo esterno, in cui l’uomo cerca di intervenire sulle cose, lequali oppongono resistenza, allo scopo di modificarle a propriovantaggio; l’esperienza è un adattarsi agendo, un modificarel’ambiente per adattarsi meglio. Esperienza è vivere e agire,fare (mai però un fare fine a se stesso) guidato dal pensiero, alfine di superare gli ostacoli, ricostruire le situazioni, senza nes-suna garanzia di verità e certezza.

Anche la scuola è coinvolta in questa continuità; l’educazio-ne, per Dewey, è un processo continuo che inizia dalla nascitae continua nella costante assimilazione di conoscenze attive nelrapporto con l’ambiente; la scuola deve essere continuità con lavita reale nella società, per preparare i bambini a fronteggiare lequestioni reali della vita futura.

Tutta l’attività dell’insegnamento consiste quindi nel dareagli allievi gli strumenti (“strumentalismo”) per padroneggiare,

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interpretare e modificare la realtà, in modo da adattarsi attiva-mente ai mutamenti sociali ed economici del mondo contempo-raneo, al fine di realizzare una pacifica convivenza in democra-zia. Il processo educativo che porta alla democrazia è possibilesolo tramite una comunicazione continua, tanto per chi trasmet-te quanto per chi riceve; «l’educazione non è un’istruzione for-malistica: è un processo di nutrizione, di allevamento, di colti-vazione, è crescita, perché come la vita, anche l’educazione èsviluppo; come la vita non ha altro fine che vivere, cosí la cre-scita mira soltanto a una crescita ulteriore». È importante chel’insegnante conosca gli interessi dei bambini per porli in unrapporto attivo con l’ambiente, perciò i docenti debbono esserepreparati, oltre che nelle loro discipline, anche in altre scienze,in filosofia, in biologia, sociologia, psicologia.

L’educazione deve essere una pratica continua che guida l’a-zione al miglioramento della società e deve incentrarsi su formedi attività pratica, utili per la cultura e la società. Il pensiero èsempre legato all’azione, è lo strumento che guida la conquistaattiva dell’ambiente. È importante osservare i dati a disposizio-ne, far osservare il bambino, per poi sperimentare le ipotesiposte. La ricerca e la conoscenza, sia all’interno della scuolache a livello scientifico debbono essere sempre aperte alla novi-tà e mai porsi come risultato ultimo e definitivo. La scienzadeve avere grande onestà intellettuale e apertura mentale,cogliendo la profonda connessione fra individuo e società, edeve sempre essere consapevole di essere ricerca continua. Perquesta ragione pertanto Dewey fu estremamente critico nei con-fronti del Positivismo, e della pretesa infallibilità della scienza.

Anche la pedagogia e il lavoro didattico devono esserescientifici in questi termini, cioè aperti alla novità, al cambia-mento e alla loro possibile falsificazione. Pertanto l’educazionenon consiste nell’applicazione pura e semplice delle indicazio-

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ni offerte dalle scienze e di regole pedagogiche rigide e sempreuguali e valide tali e quali; al contrario, l’educazione si fondasempre sull’esperienza reale e concreta. La pedagogia si basasulla psicologia e sulla sociologia; infatti nel processo educati-vo ci sono due aspetti, uno psicologico e uno sociale, e nessu-no dei due deve essere subordinato all’altro o trascurato senzache ne conseguano sterili risultati.

L’impegno per una autentica “scuola progressiva” non è unasemplice questione di pedagogia, ma una questione civile, poli-tica e culturale, perché il futuro è legato al diffondersi dell’at-teggiamento scientifico. Il processo didattico non può, perciò,isolarsi dalla società, non deve chiudersi nello stretto rapportomaestro-alunno, bensí deve allargarsi dall’individuale al socia-le, e portare dentro di sé la società intera, con i suoi compiti ele sue regole. È importante, quindi, che la scuola insegni anchepratiche le quali abbiano una effettiva utilità nella realtà socia-le (il giardinaggio, la cucina, il laboratorio artigianale, ecc.).

Anche l’educazione morale avviene nella scuola come mododi vita sociale. Dewey fu critico nei confronti della vecchiascuola e dei vecchi programmi, perché si deve pensare alla cre-scita del fanciullo e distinguere i vari periodi della crescita inmodo che a certi interessi corrispondano certi atteggiamentididattici. Per esempio, in un primo periodo della vita del bam-bino, che va dai 4 agli 8 anni domina l’immediatezza degli inte-ressi personali e sociali i quali lo spingono a muoversi per espri-mersi, collegando idee e azioni, pertanto la scuola dovrebbeunire l’apprendimento all’azione, quindi si dovrebbe insegnaresempre attraverso l’operare e l’agire concreti; mentre in unsecondo periodo, dagli 8-9 ai 10-11 anni, il fanciullo cercarisultati permanenti per la sua azione, i quali richiedono posses-so di tecniche, e assumono cosí grande significato il leggere, loscrivere, il far di conto.

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Dewey rifiutò ogni autorità esterna nella scuola, ma ciò nonsignifica rifiutare ogni autorità in assoluto, perché rimuovere lacostrizione esterna non è sufficiente per far nascere l’autodisci-plina negli allievi. Non si deve quindi abolire il maestro il quale– certo – non deve essere un rigido dittatore del gruppo, madovrà comunque essere presente come direttore di attività asso-ciate. L’insegnante deve essere il leader, la guida che realizzil’unità e la continuità del rapporto fra educazione ed esperien-za, fra soggetto e oggetto, fra scuola e società. Continuità signi-fica che ogni esperienza riceve qualcosa dalle esperienze prece-denti e influenzerà quelle future.

Dewey, soprattutto nell’opera Ligica. Teoria dell’indagine,distinse il pensiero «che capita si abbia», cioè quel pensiero chesorge involontariamente, dal pensiero «riflessivo», che invecesegue una consequenzialità del ragionamento. La scuola haanche il compito di educare a pensare, cioè fare in modo che ilfanciullo trasformi il pensiero “che ha” in pensiero riflessivo e,per fare questo, è utile impegnarlo in occupazioni attive, chesuscitino l’interesse e lo coinvolgano, che lo stimolino a proget-tare, a creare e a realizzare sempre nuove esperienze; inoltre èimportante che al progetto di lavoro vengano dedicati lo spazioe il tempo occorrenti per la sua realizzazione. Tutto ciò, unitoalla necessità di osservare attentamente il bambino e di educar-lo a osservare la realtà, implica una grande preparazione profes-sionale degli insegnanti, i quali devono conoscere profonda-mente le menti degli allievi e interpretare correttamente e pron-tamente ciò che essi dicono e fanno.

Scuola e pedagogia progressiva, per Dewey, significaronopratica di un’esperienza educativa caratterizzata dall’apertura edalla continuità, da configurarsi nei termini dello sperimentali-smo pedagogico. La scuola divenne sede di ricerca metodologi-ca, che mira a svilupparsi e progredire, in un processo aperto.

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Al contrario dei pedagogisti neo-idealisti italiani, che nega-rono il metodo in nome della creatività dello spirito, Deweysostenne che un metodo deve essere utilizzato; non però inmaniera dogmatica, ma in base all’esperienza, scegliendo quel-lo piú efficace e didatticamente produttivo e, comunque, apertoalla novità e alle modifiche. In Italia la pedagogia di Dewey fua lungo ostacolata, sia dall’educazione di stampo cattolico, per-ché la pedagogia dello statunitense era laica, sia dal versantemarxista, perché espressione della cultura borghese americana.

Bibliografia essenziale. Opere di Dewey:Scuola e società, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1949Il mio credo pedagogico, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1954Democrazia e educazione, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1961Esperienza e educazione, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1984Letteratura critica:L. BORGHI, John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli

Stati Uniti, La Nuova Italia, Firenze 1951A. GRANESE, Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 1973.

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30Ovide Decroly

Ovide Decroly (1871-1932), nacque a Renaix, in Belgio. Fueducato dal padre nell’ampio giardino di casa con la possibilitàdi osservare e di curare piante e animali, e con un laboratorio asua disposizione per giocare e lavorare assieme ai fratelli.Durante la scuola superiore si scontrò con un insegnamentodistaccato dalla realtà e dall’esperienza, tutto fondato sui libri,tanto da essere cacciato da scuola.

Decroly, si laureò in medicina nel 1898, si occupò dapprimadella rieducazione dei bambini anormali, fondando, nel 1901,con l’aiuto della moglie, nella sua casa di Bruxelles, l’Istituto diInsegnamento Speciale per Ritardati e Anormali. Sempre allaricerca di una scuola nuova e da rinnovare, elaborò una teoriaeducativa estremamente scientifica e aggiornata con i piúrecenti studi psicologici, riconoscendo l’indispensabile apportodella psicologia sperimentale e della psicologia dell’età evolu-tiva alla pedagogia, in rapporto con i test di Alfred Binet e l’i-stituto psicopedagogico ginevrino di Edouard Claparède. Nel1904 venne nominato ispettore delle classi d’insegnamento spe-ciale di Bruxelles. Nel 1905 fondò la Società di pedotecnia,all’interno della quale tenne corsi, lezioni e conferenze per dif-fondere le sue esperienze. Si accorse che per eliminare le cause

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dell’anormalità e del disadattamento era necessario trasformareil tradizionale sistema scolastico. Nel 1907 fondò a Ixelles laScuola dell’Eremo, dove applicò a bambini “normali” i metodie i materiali sperimentati con quelli “anormali”. Nel 1920venne nominato professore di Psicologia e poi di Igiene educa-tiva all’Università di Bruxelles, città in cui morí all’età di 61anni.

Le sue opere piú importanti sono: Una scuola per la vitaattraverso la vita (1908, 1921); Nozioni generali sull’evoluzio-ne affettiva del fanciullo (1927); Verso la scuola rinnovata: unaprima tappa (1921, 1927): La funzione di globalizzazione el’insegnamento (1912, 1929).

Nell’opera Verso la scuola rinnovata: una prima tappa(1921, 1927), Decroly avanzò la proposta di un programmabasato sui centri d’interesse, che sostituisse a una programma-zione centrata sui contenuti disciplinari una pianificazione diattività formative basate sugli aspetti e sui problemi dell’espe-rienza del bambino, cosí come emergono a partire dai suoi biso-gni e conseguenti interessi. Per quanto riguarda gli interessi,questi concernono l’uomo in riferimento all’universo, ai suoisimili, ai minerali, ai vegetali, agli animali, al suo organismo.

Nello scritto La funzione di globalizzazione e l’insegnamento(1912, 1929), in sintonia con le scoperte contemporanee di psicolo-gia della forma (gestalt), sostenne che il punto di partenza per l’ap-prendimento di qualsiasi contenuto, comprese la scrittura e la lettu-ra, dovesse essere la visione sincretica (con-fusione), globale delbambino, all’interno della quale tutto è indifferenziato; questa visio-ne sincretica produce una totalità già organizzata della percezione(gestalten) nella coscienza, e non percezioni frammentate e som-mate. All’inizio della percezione del bambino, quindi, la funzione diglobalizzazione assume un ruolo di fondamentale importanza.

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È dal debito nei confronti della cultura positivista del secon-do Ottocento, specialmente di Spencer con l’opera del 1896,Educazione intellettuale morale e fisica, che Decroly dedussel’importanza educativa dei bisogni (prima di tutto biologici:nutrirsi, difendersi, agire, migliorarsi) e degli interessi nel corsodell’evoluzione, sia filogenetica, cioè riferita alla specie, cheontogenetica, vale a dire dell’individuo. Per realizzare un’edu-cazione scientifica, secondo il Positivismo di Spencer, si dove-va porre al centro dell’attenzione il soggetto, rispettando i suoiritmi di sviluppo psicologico e disponendo di conseguenza lematerie da insegnare in un ordine cronologico e gerarchico, cheè il medesimo sviluppo ripercorso durante l’evoluzione cultura-le e sociale dell’umanità.

Importanti furono anche gli influssi ricevuti dalla psicopeda-gogia dello statunitense Granville Stanley Hall, secondo cui ilmetodo della ricerca sperimentale va ricavato induttivamentedalla psicologia, cioè dall’osservazione diretta del bambino inlaboratorio, perché solo cosí si può costruire una pedagogiascientifica, e ricavare un metodo educativo rigorosamente con-trollato.

Ancora, importanti furono i contributi di Cattel e di Binet eSimon per l’uso dei tests mentali in psicologia e pedagogia, tra-sferendo la ricerca sperimentale dal laboratorio alla scuola.

Decroly sostenne che la vita è un processo di adattamentoall’ambiente e costituisce il principio dinamico (l’energia) cheattraversa l’intero universo, basandosi sui bisogni e sugli inte-ressi originari ed essenziali di conservazione dell’individuo edella specie. Decroly intense proporre una metodologia rinno-vata e un piano di studi nuovo, che tengano conto dei bisogninaturali degli individui nel rapporto con l’ambiente. Sentí dun-que il bisogno di rinnovare profondamente la scuola per render-la piú aderente alla vita; perciò Decroly programmò le attività

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educative facendole convergere intorno a diverse unità, i centridi interesse, adeguandosi ai livelli e alle caratteristiche dei sin-goli soggetti (individualizzazione). Le singole unità devonointegrarsi e congiungersi fra loro per formare un tutt’uno indi-visibile nel quale ogni argomento sia collegato e converga versoun’idea centrale presente in ogni lezione, affinché ciascun indi-viduo possa trarre il massimo profitto dall’insegnamento rice-vuto. È importante infondere in ognuno il desiderio di conosce-re, e offrire agli allievi gli strumenti necessari per apprendere erealizzare un adattamento rapido, facile e sicuro. Per fare ciò èindispensabile quindi studiare la vita individuale e l’ambiente.

Decroly affermò che molti ragazzi sono delusi dalla scuola eottengono scarsi risultati perché sono abituati a distrarsi, sonodisinteressati e arrivano a essere disgustati dallo studio chesvolgono con pigrizia, avversione, ribellione, scoraggiamento.Centrando l’attenzione sui loro bisogni e interessi (prima biolo-gici, poi psicologici e sociali), essi verranno coinvolti, parteci-peranno, in stretto contatto con l’ambiente, compiendo espe-rienze reali e significative. Bisogna perciò fissare dei centri diinteresse che siano prima spontanei, occasionali, poi centrati suibisogni, dopodiché si dovranno raccordare questi bisogni contutte le possibili esperienze attive e coinvolgenti che l’ambien-te offre (l’ambiente vicino, costituito dall’ambiente naturale:mondo inorganico, vegetale, animale; dall’ambiente sociale:famiglia, scuola, società; e l’ambiente lontano, nello spazio enel tempo), con attività percettivo-conoscitive ed espressive(concrete, come il disegno e il lavoro; o astratte, in forma scrit-ta e orale): è questo il programma delle idee associate.

Si debbono attivare le tre funzioni psicologiche fondamenta-li, il cosiddetto trittico: osservazione (impressioni, percezioni,misurazioni, controlli); associazione (generalizzazioni, con-fronti, giudizi) ed espressione (rappresentazioni, costruzioni,

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riflessioni, sintesi, valutazioni), in un processo circolare, nelquale i tre momenti si completano.

Tornando alla funzione di globalizzazione, secondo Decrolyil bambino fin dalla nascita ha percezioni ed espressioni chenon sono analitiche, riferite ad aspetti o parti isolate, ma a untutto, a una unità: la percezione è globale, sincretica, riferita auna forma totale, unitaria, una totalità nel suo insieme. La fun-zione di globalizzazione è una struttura mentale, un modo difunzionamento dell’attività psichica infantile che riguarda lapercezione e l’espressione. Successivamente il bambino passe-rà dalla fase sincretica a quella analitico-sintetica e anche ilgioco può essere utilizzato, come esercizio quotidiano, per per-mettere questo passaggio, per giungere cioè dalla fase di globa-lizzazione a quella di analisi e sintesi. Decroly propone l’uso dimateriali per favorire la mobilitazione delle energie e dellecompetenze creative del ragazzo.

Con il suo lavoro su bambini anormali, con disturbi mentali,con deficit fisici e mentali, Decroly dimostrò che è falso cheessi siano incurabili e irrecuperabili, che non c’è una pedagogiadiversa per bambini diversi (fu contro la pedagogia speciale),che l’educazione è un fenomeno unico, che va adattato ai sin-goli casi, esigenze e situazioni, ma non va divisa settorialmen-te. Quindi i bambini anormali vanno educati affinché si formi-no le loro personalità, curandone tutte le componenti: fisica,motoria, percettiva, intellettuale, affettiva, sociale, etico-profes-sionale.

Bibliografia essenziale. Opere di Decroly:Una scuola per la vita attraverso la vita, trad. it. Loescher, Torino 1973Verso la scuola rinnovata, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1973La funzione di globalizzazione e l’insegnamento, trad. it. La Nuova

Italia, Firenze 1974

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Letteratura critica:F. DE BARTOLOMEIS, Ovide Decroly, Verso la scuola rinnovata, La

Nuova Italia, Firenze 1953

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31Édouard Claparède

Édouard Claparède (1873-1940) nacque a Ginevra. Dopogli studi scientifico-medici e di psicologia, nel 1912 fondò aGinevra il centro “Jean-Jacques Rousseau”, specializzato nellericerche sull’età evolutiva, il centro presso cui, nel 1921, andràa lavorare anche il giovane Jean Piaget, e in cui operaronoanche Pierre Bovet (1878-1944), Adolphe Ferrière (1879-1960)e Henri Wallon (1879-1962). Lo spirito di questa scuola di“scienze dell’educazione” è espresso dal motto “Discat a pueromagister” – utilizzato da Claparède stesso nella sua autobiogra-fia – il quale esprime la necessità di conoscere i bambini primadi istruirli ed educarli. Dal 1915 insegnò psicologia sperimen-tale all’Università di Ginevra, concentrandosi sulle applicazio-ni pedagogiche della psicologia.

Le sue opere più importanti sono: Psicologia del fanciullo epedagogia sperimentale, del 1905, edizione definitiva in 2volumi: Lo sviluppo mentale e I metodi, del 1946-47; La scuo-la su misura, del 1920; L’educazione funzionale, del 1931; Lagenesi dell’ipotesi, del 1934.

In teoria dell’apprendimento, in contrasto con la teoria aso-ciazionista, Claparède riprese i presupposti della tradizione fun-zionalista, vedendo una stretta relazione dinamica fra il com-

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portamento dell’individuo, i suoi processi psichici e l’ambientecui deve adattarsi attivamente. In altre parole, ogni singolofenomeno psichico non può essere considerato isolato, ma vavisto in rapporto al soddisfacimento di un bisogno di adatta-mento e alla totalità del comportamento. Il concetto di “educa-zione funzionale”, e quello di “scuola su misura” (in cui i meto-di didattici vanno adeguati allo sviluppo e alle attitudini delbambino), costituiscono i perni attorno ai quali ruota tutta la suateoria globale dell’educazione.

Al centro della sua teoria – come di ogni teoria funzionalistae/o attivista – c’è il concetto di bisogno. L’organismo è un siste-ma in equilibrio che di continuo viene rotto in funzione dell’e-voluzione. La rottura dell’equilibrio provoca un nuovo bisognoche ricerca il proprio soddisfacimento. I bisogni, quindi, sonoalla base delle condotte, dell’evoluzione e dell’equilibrio sem-pre ricercato. Per questa ragione bisogna rivedere tutti i pro-grammi di studio e i metodi d’insegnamento tradizionali chenon tengono conto delle motivazioni, dei bisogni e della parte-cipazione degli allievi. Per queste ragioni la scuola nuova deveessere “su misura” del fanciullo, rispettandone la natura, i biso-gni e i processi individuali di sviluppo e di apprendimento: è ilprincipio nuovo e fondamentale dell’individualizzazione del-l’insegnamento. La scuola deve offrire diverse attività tra cui ilbambino possa scegliere liberamente. Il bambino sceglie sullabase dei propri bisogni che hanno messo in atto i processi men-tali funzionali al loro soddisfacimento. Questo processo è chia-mato da Claperède appunto “educazione funzionale”.

Il modello di scuola nuova alternativa a quella tradizionaledeve rispettare le leggi del bisogno e dell’interesse che sosten-gono la condotta umana. La legge del bisogno afferma che“ogni bisogno tende a provocare le reazioni adatte a soddisfar-lo” e, di conseguenza, “l’attività è sempre suscitata da un biso-

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gno”. La legge dell’interesse riguarda lo sviluppo mentale inte-so come “proporzionale allo scarto esistente tra i bisogni e imezzi per soddisfarli”: indica il legame tra il bisogno e i mezzoche lo soddisfa, per cui ogni condotta umana mira a ottenere unrisultato che serve ed è, pertanto, sempre sorretta da un interes-se. Di conseguenza, la legge dell’autonomia funzionale sostie-ne che ogni individuo è un’unità funzionale in quanto agisce ereagisce in rapporto ai suoi bisogni di organismo autonomo.Ogni individuo è un organismo complesso che ha sviluppato idiversi processi psichici per rispondere e adattarsi all’ambiente,risolvendo i problemi fisici e sociali.

Da un punto di vista funzionale – nell’opera L’educazionefunzionale, del 1931 – Claparède elaborò sei “leggi” che sonoalla base di ogni attività educativa: 1. Legge della successionegenetica: “Il fanciullo si sviluppa naturalmente passando attra-verso fasi determinate, che si succedono in ordine costante. […]L’educazione deve conformarsi al procedere dell’evoluzionementale.” Il bambino, in altre parole, si sviluppa in manieracostante, secondo delle tappe ordinate che ripetono lo sviluppodella specie. 2. Legge di esercizio funzionale: “L’esercizio diuna funzione è condizione del suo sviluppo.” Ogni funzione,cioè, viene sviluppata sulla base del suo esercizio. 3. Legge diesercizio genetico: “L’esercizio di una funzione è la condizioneper la quale determinate funzioni ulteriori possono manifestar-si.” È la conseguenza diretta della precedente legge, per cui l’e-sercizio di una funzione è la premessa del sorgere, manifestarsied esercitarsi delle funzioni successive. 4. Legge di adattamen-to funzionale: “L’azione si manifesta quando per sua natura èatta a soddisfare il bisogno o l’interesse del momento. Se sivuol far agire un individuo bisogna porlo nelle condizioni attea far nascere il bisogno che l’azione che si desidera di suscita-re ha la funzione di soddisfare.” In sintesi, l’esercizio si produ-

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ce solo quando ci sono il bisogno e l’interesse che, quindi,vanno suscitati e stimolati. 5. Legge di autonomia funzionale:“Il fanciullo di per se stesso non è un essere imperfetto, ma è unessere adeguato alle circostanze che gli sono proprie; la sua atti-vità mentale è relativa ai suoi bisogni e la sua vita mentale èunitaria.” Il bambino, in sostanza, deve essere considerato unessere autonomo e completo in sé. 6. Legge d’individualità:“Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche e psichiche, ogniindividuo differisce in varia misura dagli altri.” Ogni individuo,quindi, è unico è l’educazione deve essere personalizzata e indi-vidualizzata.

Queste leggi costituiscono i presupposti e le condizioni diogni azione educativa rivolta al bambino o all’adolescente.

Claparède, inoltre, approfondisce quelle attività da cui ilbambino è naturalmente e primariamente attratto per soddisfa-re i propri bisogni e interessi: l’imitazione e il gioco. Questeattività costituiscono le fondamenta di una pedagogia attiva. Inalcuni bei capitoli sul gioco e sull’imitazione di Psicologia delfanciullo e pedagogia sperimentale. Lo sviluppo mentale,Claparède analizza le varie teorie del gioco, le sue funzioni pri-marie e secondarie, i vari tipi di giochi e di giocattoli che pos-sono essere utilizzati per stimolare l’esercizio della funzione;esamina inoltre le funzioni dell’imitazione per lo sviluppo delbambino, l’imitazione riflessa e automatica, l’imitazione acqui-sita, sia involontariamente che volontariamente. Sulla base diqueste ricerche e di un’attenta indagine della psicologia infan-tile, con spirito scientifico, attraverso osservazione, sperimenta-zione e applicazione, Claparède propose di rinnovare l’attivitàeducativa e la preparazione degli educatori, sostenendo che lanuova didattica deve basarsi su bisogni, interessi e motivazionidell’allievo, utilizzando l’esplorazione, il gioco e la scopertaattiva dell’ambiente, costruendo una scuola che si adegui alle

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effettive capacità e alle esigenze (bisogni e interessi) peculiaridi ciascuna individualità.

Bibliografia essenziale. Opere di Claparède:Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale (1905, edizione defi-

nitiva in 2 volumi, 1946-47), Lo sviluppo mentale; I metodi, trad. it. Giunti,Firenze 1955;

La scuola su misura (1920), trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1952;L’educazione funzionale (1931), trad. it. Bemporad-Marzocco, Firenze

1967;La genesi dell’ipotesi (1934), trad. it. Giunti, Firenze 1972.

Letteratura critica:J. PIAGET, La psicologia di Edouard Claparède, in Psicologia del fan-

ciullo e pedagogia sperimentale. I metodi, cit. pp. 1-28;L. MEYLAN, Il funzionalismo di Claparède, in La scuola su misura, cit.

pp. 3-29;R. TITONE, Claparède, La Scuola, Brescia 1958C. TROMBETTA, Edouard Claparède. La famiglia, l’infanzia, gli studi, la

bibliografia, Bulzoni, Roma 1977.

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32Giovanni Gentile e la scuola fascista

La filosofia idealistica tedesca di Fichte, Schelling e Hegel,venne riproposta in maniera originale nel primo Novecento davari autori europei, fra cui, in Italia, Benedetto Croce (1866-1952) e Giovanni Gentile (1875-1944). Quando nell’ottobredel 1922, dopo la “marcia su Roma”, il re consegnò il governonelle mani di Mussolini, e prima che questi trasformasse loStato italiano in una dittatura fascista (cosa che avvenne dopo il1925 e l’assunzione di responsabilità di Mussolini del delittoMatteotti, avvenuto nel 1924), a svolgere il ruolo di Ministrodella Pubblica Istruzione fu chiamato, in qualità di “tecnico”,Giovanni Gentile, il quale svolse il suo mandato nel periodo frail 1922 e il 1924, dando vita a una importante riforma scolasti-ca che prese il suo nome. Gentile abbandonò il Ministero, dopoil 1924, non per dissidi politici con il fascismo, a cui restò anzifedele fino alla morte, ma perché fautore di una scuola laica,che contrastava con la tendenza del fascismo a scendere a com-promessi con la Chiesa, tendenza che sfociò nel Concordato traStato e Chiesa Cattolica (Patti lateranensi del 1929) firmato daMussolini e papa Pio XI.

Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano (Trapani), studiòalla Scuola Normale Superiore di Pisa, insegnò all’Università di

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Palermo, poi a Pisa e a Roma. Le sue opere filosofiche piúimportanti sono: Teoria generale dello Spirito come Atto puro(1916) e Riforma della dialettica hegeliana (1913). Nominatosenatore nel 1922, lasciò il governo dopo il delitto Matteotti.Per aver confermato la sua adesione al fascismo e allaRepubblica sociale di Salò, anche dopo l’8 settembre 1943,Gentile fu ucciso da un gruppo di partigiani dei GAP a Firenze,il 15 aprile 1944.

Le sue opere pedagogiche principali sono: Sommario dipedagogia come scienza filosofica (1912, 1919, 1925); Lariforma dell’educazione (1919, 1923, 1928); Preliminari allostudio del fanciullo (1921); La riforma della scuola in Italia(1924, 1932).

La filosofia di Gentile va sotto il nome di attualismo. Il filo-sofo siciliano intese contrastare il materialismo e il naturalismopositivistico dominanti nella cultura italiana di fine Ottocento,e contemporaneamente recuperare e sviluppare le tesi idealisti-che dei filosofi del Romanticismo. Il Soggetto (o Spirito, o pen-siero) è il fondamento di tutta la realtà, e il principio creativo ditutto il conoscere. È un principio che precede ogni altra entità,la quale, per poter essere, deve sempre essere pensata, e dunquepresupporre il pensiero che la pensa. Il mondo è quindi legatoall’attività del pensiero, esiste solo nell’atto del pensare (di qui“attualismo”).

La pedagogia venne considerata da Gentile una scienza filo-sofica. Richiamandosi a Hegel, affermò un’assoluta unità delloSpirito: questo è cioè uno, puro divenire in atto. L’educazione,quindi, è il suo continuo svolgimento, che si esplica nei singolisoggetti empirici, identificandosi con essi. È il percorso interio-re dalla coscienza fino all’autoconquista di sé, fino a divenireauto-educazione. La scienza dell’educazione è teoria e coscien-

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za delle forme del divenire dello Spirito, quindi in quanto dot-trina dello Spirito è filosofia; la pedagogia pertanto non puòessere una scienza autonoma, ma si identifica con la filosofia:la pedagogia è vera scienza solo se diviene filosofia. La verapedagogia scientifica è quella che pensa l’uomo in termini diSpirito.

Nella teoria pedagogica di Gentile, l’educazione è educazio-ne umanistica, antropologico-spiritualistica e critica, poiché lavita stessa è critica perpetua e perpetuo progresso in un sapereche non è mai concluso definitivamente. La possibilità, quindi,di un sapere e di una scuola nazionali si devono fondare sullavolontà comune che si realizza in sé e nello Stato contempora-neamente; in altre parole, la vita di ogni uomo porta con sél’impronta della propria nazionalità, e ogni scienza è scienzanazionale. Ogni individuo e ogni sapere sono autenticamente sestessi solo nel contesto nazionale della vita dello Stato.

La pedagogia di Gentile si contrappose, pertanto, a ogninaturalismo scientifico, positivistico, e a ogni teoria che consi-deri la pedagogia come una “tecnica”. Piú che una scienza, lapedagogia per Gentile era un’arte, che deve conoscere e farconoscere la spiritualità, la libertà e la spontaneità della vita psi-chica.

La vita nella scuola, per Gentile, si riduce al rapporto tramaestro e scolaro, che si unificano nella concreta vita dello spi-rito che si realizza nel processo formativo della lezione. A benvedere, però, l’unità viene ad affermare, nella pratica, la centra-lità dell’insegnante, della sua cultura e della sua autorità diadulto che ha raggiunto uno sviluppo spirituale piú elevato,mentre il fanciullo, con la sua identità, i suoi bisogni e interes-si, risulta emarginato. La scuola di Gentile è la scuola del mae-stro e della cultura e non quella del fanciullo, in cui si svolgeuna lezione di trasmissione di cultura e una scuola “di cattedra”

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tradizionali, giustificata con il principio della comunicazionespirituale in interiore homine (che si realizza all’interno di cia-scun individuo).

Gentile distinse tre diversi tipi di fanciullo: il “fanciullo eter-no” (quello che si incontra in qualunque età della vita, e cheognuno sente nel proprio animo), il “fanciullo fantoccio”(costruito dalla psicologia dell’infanzia, che appare come un“fanciullo mitico”), e il “fanciullo reale” (che esiste in carne eossa, vivo e bisognoso di cure, artista e sognatore, che gioca maha anche una morale, una volontà e un’autonomia, ed è sponta-neità e sviluppo). C’è, quindi, un’oscillazione tra spontaneismoe disciplina, che recupera però, in sostanza, la scuola tradizio-nale legata alla centralità della figura del maestro, della lezione“passiva”, con orientamento autoritario e conservatore dell’e-ducazione.

Questa scuola – che ci sembra oggi spesso ancora cosí pre-sente – si contrapponeva, negli anni in cui Gentile elaborava lasua teoria, a quella positivista, allora dominante in Italia.

La sua concezione pedagogica influenzò largamente la suaRiforma scolastica del 1923, che è rimasta presente (nonostan-te enormi e radicali modifiche, introdotte però solamente perDecreto Legge a partire dal secondo dopoguerra, fra le qualivanno segnalate l’unificazione delle scuole medie e la liberaliz-zazione dell’ingresso alle Università) fino alla fine del XX seco-lo, orientando la scuola italiana verso una difesa della superio-rità della formazione umanistica e verso uno spiritualismo ingran parte retorico e astratto.

La pedagogia del Neo-Idealismo italiano, oltre che da Croce(Ministro dell’Istruzione nei governi precedenti il fascismo,amico e figura di riferimento giovanile per Gentile, con il qualepoi litigò aspramente) e Gentile, venne portata avanti da altriautori quali Ugo Spirito, Guido Calogero e, in particolare,

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Giuseppe Lombardo Radice, collaboratore di Gentile per lariforma del 1923, che abbandonò poi il fascismo dopo il 1924divenendo antifascista.

Bibliografia essenziale. Opere di Gentile:Sommario di pedagogia come scienza filosofica, in Opere, voll. I e II,

Sansoni, Firenze 1954La riforma dell’educazione, in Opere, vol. VII, Sansoni, Firenze 1954Preliminari allo studio del fanciullo, in Opere, vol. XLII, Sansoni,

Firenze 1954La riforma della scuola in Italia, in Opere, vol. XLI, Sansoni, Firenze

1954Letteratura critica:M. OSTENC, La scuola italiana durante il fascismo, Laterza, Roma-Bari

1981A. LO SCHIAVO, Introduzione a Gentile, Laterza, Roma-Bari 1986

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33Giuseppe Lombardo Radice

Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938), nato a Catania,professore di pedagogia e docente universitario a Catania e aRoma, nel 1922 venne chiamato da Gentile a collaborare allariforma della scuola varata nel 1923, come direttore generaleper l’istruzione elementare. Dopo il delitto Matteotti, nel 1924,ruppe i suoi rapporti con il regime fascista, e rinunciò a qualsia-si incarico pubblico per dedicarsi unicamente all’insegnamento.Le sue opere più importanti sono: Saggi di propaganda politi-ca e pedagogica (1910), Lezioni di didattica (1912), Lezioni dipedagogia generale (1916), Educazione e diseducazione(1922), Pedagogia di apostoli e di operai (1936). Collaboròanche a diverse riviste di pedagogia, la più importante dellequali è «L’educazione nazionale», edita dal 1919 al 1933.

Sebbene da un punto di vista filosofico Lombardo Radice sicollochi nell’ambito del neo-idealismo italiano, la sua teoriapedagogica differisce in alcuni punti sostanziali da quella diGentile. Innanzitutto, lo spazio alla didattica vera e propria,intesa come disciplina che ha un suo specifico oggetto e alcunipeculiari problemi, è molto maggiore di quello che a questadisciplina aveva riservato il filosofo di Castelvetrano. PerLombardo Radice, infatti, è necessario scrivere e parlare di pro-

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blemi didattici, cioè di come fare scuola, come tenere le lezio-ni, rapportarsi agli alunni, permettere diversi approcci alle variematerie di studio, formare gli insegnanti. Problemi reali, con-creti, particolari, ai quali Lombardo Radice cerca di dare unasoluzione sempre evitando di perdere di vista i maestri e gli sco-lari, intesi nelle loro relazioni concrete, storicamente determi-nate.

Se Gentile intende la scuola come scuola del maestro, inLombardo Radice l’accento si sposta sulla relazione fra maestroe alunni, intesa come collaborazione. Il maestro è sì spiritocreatore, ma la trasmissione della cultura deve avvenire tenen-do conto delle esigenze degli allievi e dell’ambiente in cui vivo-no, permettendo di liberare le loro potenzialità creative. Lalezione, quindi, non si configura più come mera trasmissione didati che presuppone l’assenso dell’alunno, ma come occasioneper affrontare un problema, che deve essere sentito, fatto pro-prio dall’alunno. Il rapporto maestro – allievi si configura cosìcome dialogo e ricerca continui, dove la cultura del primo inter-viene per contribuire a risolvere i problemi dei secondi. In que-st’ottica diventa fondamentale il rispetto per gli alunni, a cui sidevono sottoporre i quesiti tenendo conto ovviamente del lorogrado di sviluppo intellettivo. Si deve sempre procedere dalfacile al difficile, intendendo per facile ciò che in qualche modoè già noto, che si trova già nell’attuale cultura dell’alunno, nellasua esperienza, che costituisce un riferimento. È dunque fonda-mentale partire dall’esperienza vissuta, per giungere alla scien-za (momento in cui si sintetizzano i dati delle varie esperienze)senza forzature. Storia, geografia, scienze naturali, matematica,devono partire da episodi di vita locale, per poi allargare i pro-pri orizzonti approfondendo i loro oggetti: le età storiche, levarie categorie geografiche, le connessioni causali tra i fenome-ni ecc.

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Lombardo Radice sviluppa il suo programma pedagogicoalla luce di una specifica concezione dell’infanzia, vista comeetà creativa in cui domina un approccio alla conoscenza di tipomagico. Il fanciullo è un poeta, e manifesta se stesso nel modopiù completo nell’espressione artistica (da notare come in que-sta teoria siano rintracciabili non solo gli influssi gentiliani, maanche quelli di pedagogisti dell’idealismo come Fröbel). In par-ticolare, allora, nella scuola elementare sarà dato spazio algioco e ad attività artistiche quali disegno e canto, che prepare-ranno all’educazione linguistica, vista come il centro di tuttol’insegnamento successivo.

Lombardo Radice elaborò un modello di scuola detto«Scuola serena», che, sebbene tenesse conto delle novità intro-dotte dall’attivismo, ne rifiutava al contempo alcuni eccessi.Per esempio: non puerocentrismo, concetto che presuppone unaperdita di importanza della figura dell’insegnante, ma collabo-razione. Allo stesso modo, il fare generico è sostituito da atti-vità artistiche.

L’argomento in cui Lombardo Radice è più vicino a Gentileè l’insegnamento religioso. Entrambi sono infatti convintisostenitori di una scuola laica, senza che questo implichi l’e-sclusione della materia religiosa dai programmi di insegnamen-to. La religione deve entrare nella scuola come fondamentodella vita morale, ma è intesa come filosofia minore, come unmodo semplice e diretto di spiegare ciò che al momento oppor-tuno sarà oggetto della filosofia. Non quindi religione comeinsegnamento di dogmi, ma pratica estetica (Lombardo Radicela definisce canto della fede) che prepara alla vita futura, in cuii temi morali verranno affrontati più compiutamente.

Un ultimo aspetto a cui Lombardo Radice attribuisce unaparticolare importanza (distaccandosi da Gentile) è quello dellaformazione degli insegnanti, per la quale sono previsti corsi di

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specializzazione in cui deve essere riconosciuto un ruoloimportante anche alla psicologia e alla didattica.

Bibliografia essenziale. Opere di Lombardo Radice:Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale (1913), Sandron,

Firenze 1936;Saggi di critica didattica (antologia), SEI, Torino 1937;Didattica viva. Problemi ed esperienze (antologia), La Nuova Italia,

Firenze 1951;Educazione e diseducazione (antologia), Marzocco, Firenze 1952.Letteratura critica:I. PICCO, Giuseppe Lombardo Radice, La Nuova Italia, Firenze 1951;G. CIVES, Giuseppe Lombardo Radice: didattica e pedagogia della col-

laborazione, La Nuova Italia, Firenze 1970;G. CATALFAMO, Lombardo Radice, La Scuola, Brescia 1973;G. CIVES, Attivismo e antifascismo in Giuseppe Lombardo Radice, La

Nuova Italia, Firenze 1983.

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34Psicoanalisi ed educazione

Sigmund Freud (1856-1939) nacque a Freiberg (inMoravia). Nel 1860, con la sua famiglia, si stabilí a Vienna. Silaureò in medicina nel 1881 e iniziò a occuparsi di pazientimalati di disturbi nervosi. Nel 1885 si recò a Parigi, dove fre-quentò la Clinica Psichiatrica della Salpêtrière, diretta dal pro-fessor Jean Charcot, con il quale affrontò casi di isteria utiliz-zando l’ipnosi come terapia.

L’isteria, nel XIX secolo, era considerata una patologia tipica-mente femminile, di eziologia nervosa. Nei casi di isteria, siverifica un sintomo, quali per esempio la cecità, la paralisi di unarto, l’afasia, senza che vi sia una causa organica (trauma fisi-co, incidente, tumore, ecc.). Esistono anche casi di gravidanzaisterica.

Freud si rese conto che l’isteria è una malattia non solo fem-minile e la classificò fra le nevrosi. La nevrosi è, infatti, unapatologia i cui sintomi sono l’espressione somatica di un con-flitto psichico che ha le sue radici nelle esperienze vissute e, inparticolar modo, nell’infanzia del soggetto. Il paziente nevroti-co è consapevole del suo stato, ma non è in grado di controlla-re i sintomi e di riconoscere (e ammettere) le cause. È impor-tante distinguere la nevrosi dalla psicosi che comprende una

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gamma di malattie mentali molto ampia, di notevole gravità, inquanto il paziente non ha completa consapevolezza di esseremalato. I casi piú gravi, le schizofrenie (termine derivato dalgreco, che significa scissione, rottura, taglio) manifestano unadissociazione del paziente dalla realtà e dal mondo esterni.

Nel 1895, Freud pubblicò Studi sull’isteria, assieme aJoseph Breuer.

All’inizio, Freud tentò di curare l’isteria e le nevrosi tramitel’ipnosi. Attraverso il rilassamento e l’induzione del sonnoipnotico, il paziente può essere condizionato a non sentire piú,dopo il risveglio, un determinato sintomo. Questo meccanismoviene definito condizionamento post-ipnotico. Sempre grazie alcondizionamento, il paziente ipnotizzato può essere indotto acompiere, in stato di trance, una qualche azione (solo se per luiè moralmente accettabile) senza che ne sia consapevole.Attraverso l’ipnosi, inoltre, il paziente può essere portato“indietro nel tempo” con la memoria e rivivere le emozionitraumatiche del passato, spesso rimosse e dimenticate. Si defi-nisce abreazione l’atto di provare di nuovo un’emozione fortevissuta in passato e poi rimossa; tramite l’abreazione il sogget-to scarica le proprie emozioni e si libera dalle tensioni affettivelegate al ricordo dell’evento traumatico, fino alla piú o menototale “purificazione” (definita catarsi, riprendendo un concet-to della Poetica aristotelica relativo al teatro). Freud però sco-prí che l’ipnosi non garantiva risultati terapeutici definitivi, poi-ché eliminava il sintomo, senza rimuovere completamente lecause, cosí che i sintomi tornavano trasformati sotto altreforme.

Freud elaborò, dunque, una nuova tecnica terapeutica, la psi-coanalisi.

La terapia psicoanalitica si realizza facendo rilassare il piúpossibile, disteso, il paziente e invitandolo a parlare in libertà

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dicendo tutto quello che gli “viene in mente”, cercando di nonlasciarsi bloccare e inibire dal pensiero cosciente; con questometodo, detto delle libere associazioni, si può interpretare sim-bolicamente il discorso del paziente e cercare di risalire, cosí,alle motivazioni inconsce delle azione quotidiane. Oltre almetodo delle libere associazioni, la psicoanalisi utilizza, perrisalire all’inconscio, l’interpretazione dei sogni, dei lapsus,degli atti mancati, dei motti di spirito.

Le opere piú importanti di Freud sono: Studi sull’isteria (incollaborazione con Joseph Breuer), 1895; L’interpretazione deisogni, 1900 [in realtà risale al 1899]; Il sogno, 1900;Psicopatologia della vita quotidiana, 1901; Tre saggi sulla teo-ria sessuale, 1905; Il motto di spirito e la sua relazione con l’in-conscio, 1905; Il caso di Dora, 1905; Il caso del piccolo Hans,1909; Il caso dell’uomo dei topi, 1909; Sulla psicoanalisi: cin-que conferenze, 1909; Un ricordo d’infanzia di Leonardo daVinci, 1910; Totem e tabú, 1913; Il caso dell’uomo dei lupi,1914; Al di là del principio del piacere, 1920; L’avvenire diun’illusione, 1927; Il disagio della civiltà, 1929.

I fenomeni mentali si possono dividere in inconsci, precon-sci, consci. Quelli coscienti sono quelli presenti attualmente,quelli preconsci quelli che possono facilmente divenirecoscienti (tramite uno sforzo dell’attenzione e del ricordo, pen-sandoci o parlando), mentre quelli inconsci sono rimossi e l’in-dividuo non è consapevole; non è possibile accedervi, se nonper mezzo di un notevole sforzo di analisi e interpretazione.

Lo studio e l’indagine approfondita dell’inconscio (e nontanto la sua scoperta, che fu già stata effettuata da altri studiosie filosofi, quali Leibniz, Herbart, Schopenhauer) è la caratteri-stica piú importante e originale del pensiero di Sigmund Freud.

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Freud, nella sua organizzazione e strutturazione della vitamentale (topica, termine che deriva dal greco tópos che signifi-ca “luogo”), evidenziò tre istanze psichiche (che non sono trezone del cervello, ma tre modalità funzionali della mente): Es(o Id), Io (o Ego) e Super-io (o Super-Ego), fra loro collegate ein continuo scambio.

Ciò di cui un individuo è dotato fin dalla nascita è l’Es, checostituisce l’aspetto pulsionale (pulsione significa “carica dienergia inconscia”, che produce uno stato di eccitazione enecessita di essere scaricata, sfogata, gratificata, al fine di ridur-re la tensione). L’Es è il serbatoio primario dell’energia psichi-ca e richiede un soddisfacimento immediato. Le pulsioni posso-no essere ridotte essenzialmente a due gruppi: pulsioni sessua-li e pulsioni aggressive. Libido è il termine con il quale si indi-cano le energie pulsionali della sessualità. Ovviamente, la con-siderazione che fin dalla nascita, ogni individuo possieda unaforma di sessualità e un’aggressività, si scontrò notevolmentecon la cultura benpensante viennese e mitteleuropea di fineOttocento inizio Novecento, che considerava il bambino unacreaturina innocente, buona, pura e incapace di egoismo; Freudinoltre scandalizzò anche perché attribuendo tanta importanzaalla vita inconscia e alle spinte che questa dava ai comporta-menti coscienti veniva a limitare notevolmente la capacità diautocontrollo e auto-dominio degli individui, i quali spesso agi-scono nascondendo, o senza sapere quali sono le vere motiva-zioni delle loro azioni. Per questo motivo si è parlato, riguardoalla psicoanalisi, di terza rivoluzione copernicana, dopo quelledi Copernico e Darwin: dopo aver perso il dominio sull’univer-so e sugli esseri viventi, con Freud l’uomo ha perduto anche ildominio su se stesso.

Nell’interazione con l’ambiente e il mondo esterno, le pul-sioni dell’Es si scontrano con i limiti che la realtà pone al sog-

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getto. Si forma cosí gradualmente l’Io, che cerca di mediare, ditrasformare, di placare la pulsione inconscia, per permettere uncontrollo e un soddisfacimento successivo o mediato dello sti-molo.

Tramite la socializzazione, il rapporto con gli adulti, in par-ticolare con i genitori, il bambino inizia a conoscere le regole(sociali, morali, religiose, ecc.) che questi impongono. Il pro-cesso di interiorizzazione di queste regole, porta alla formazio-ne della terza istanza psichica: il Super-io, appunto l’insiemedelle norme e regole di condotta morale “introiettate”. Il Super-io è come un io ideale, è ciò a cui ciascuno aspira, la perfezio-ne che si vorrebbe raggiungere, ma che viene a scontrarsi congli istinti inconsci (dei quali non si accetta la soddisfazioneimmediata e brutale) e con l’impossibilità materiale che la real-tà esterna pone (per esempio se qualcuno vuole diventare ilmigliore in qualche campo di attività, può scoprire l’esistenzadi limiti – di tempo, di capacità, fisici, ecc. – che gli si pongo-no).

In questo continuo scontro fra Es, mondo esterno e Super-io,l’Io si pone da mediatore, con il suo bisogno di auto-conserva-zione. Esso cerca di mediare le varie, diverse e contrapposteesigenze. Se i bisogni dell’Es non vengono sfogati e vengonocontinuamente inibiti, si creano stati di ansia; nell’interazionefra le varie istanze e necessità, l’individuo può andare incontroa stati di angoscia, paure (fobie), depressione, vergogna, invi-dia, gelosie, sensi di colpa, i quali possono, se non risolti, dege-nerare in forme piú o meno gravi di nevrosi o psicosi. L’Io, percercare una situazione di ottimale equilibrio fra le varie istanzepsichiche, per la sopravvivenza dell’individuo, mette in atto imeccanismi di difesa, i quali hanno lo scopo di spostare, trasfor-mare, modificare, inibire le pulsioni inconsce e di permettereuna migliore sopportazione delle frustrazioni che l’ambiente e

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la vita quotidiana continuamente impongono. I meccanismi didifesa agiscono prevalentemente in maniera inconscia e richie-dono molta energia per opporsi alle pulsioni che vogliono emer-gere e mantenere uno stato di normalità. I piú importanti mec-canismi di difesa sono: rimozione, sublimazione (è un processomentale che – come l’identificazione e la compensazione – avolte viene utilizzato come difesa), conversione, inibizione,censura, spostamento, razionalizzazione, formazione reattiva,regressione, proiezione, negazione, isolamento dell’affetto, ecc.Attraverso i meccanismi di difesa è possibile scaricare le tensio-ni e sfogare le pulsioni in maniera diversa da quella iniziale osu oggetti o persone diverse da quelle a cui originariamenteerano dirette. Un celebre esempio di sublimazione è quello delchirurgo che sublima la sua pulsione aggressiva e il piacere perla vista del sangue nella nobile arte della chirurgia, oppure quel-lo dell’artista che sublima le sue pulsioni sessuali (e le sue fru-strazioni – direbbe qualcuno pensando magari a Leopardi) nel-l’arte poetica.

È importante ricordare e sottolineare che l’Es è totalmenteinconscio, ma non è tutto l’inconscio, mentre L’Io e il Super-iosono in parte inconsci e in parte coscienti. Non vi è simmetria,quindi, tra Es, Io, Super-io e Inconscio, Preconscio, Conscio.

Quando scrisse L’interpretazione dei sogni, nel 1900, Freudaffermò che «il sogno è la via maestra per accedere all’incon-scio». Il ricordo cosciente della narrazione del sogno, al risve-glio, è chiamato contenuto manifesto del sogno, mentre il signi-ficato inconscio e simbolico che sta dietro al sogno, è chiamatocontenuto latente. I sogni secondo Freud seguono una logicadiversa da quella razionale; sono l’espressione delle pulsioniinconsce, dei conflitti emotivi vissuti e non resi consapevoli,secondo un linguaggio simbolico; gli elementi e i personaggidei sogni devono pertanto essere interpretati simbolicamente e

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associati alla sessualità; sebbene Freud mettesse in evidenza ilrischio di compiere accostamenti troppo semplicisti, si può,schematicamente, dire che tutto ciò che ha una forma cilindricae penetrante (per esempio: bastoni, alberi, colonne, spade, ecc.)può essere associato all’organo genitale maschile, mentre tuttociò che può accogliere come un antro (per esempio: casa, caver-na, grotta, contenitori, ecc.) è simbolo dell’organo genitale fem-minile. Durante il sonno le difese psichiche vengono alquantoridotte e i contenuti dell’inconscio potrebbero facilmente emer-gere disturbando il sonno e svegliando il soggetto. A tale scopol’Io mantiene un’attività minima per salvaguardare il sonno:maschera i contenuti inconsci mediante alcuni artifici. Unsogno è dunque una rappresentazione di un contenuto oniricolatente che viene dapprima trasformato in immagine e poimanipolato in vari modi tale da permettere di evitare la tensio-ne che lo riguarda (spostamento, condensazione, dispersione,simbolizzazione, ecc…); in seguito, il sogno viene articolatosecondo una logica piú coerente possibile. Questi due momenti(trasformazione e successivamente riarticolazione logica) sonol’elaborazione primaria e quella secondaria.

Utilizzando il metodo psicoanalitico, Freud richiamò l’atten-zione su un altro gruppo di fenomeni, i lapsus, fino ad alloratrascurati, che dimostrano come le attività mentali inconscepossano interessare il nostro pensiero cosciente; molto schema-ticamente si può dire che i lapsus avvengono nella vita quoti-diana, in stato di veglia e sono errori della lingua, azioni com-piute per errore, senza volere (atti mancati), sbagli che indica-no le vere volontà inconsce del soggetto agente. L’inconsciodetermina spesso tanti piccoli incidenti durante la giornata. Puòcadere qualcosa di mano (atti mancati), ci si può sbagliare nelpronunciare una parola (lapsus linguae), si dimenticare unappuntamento, ci si può ferire accidentalmente. Dietro a queste

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mancanze sta spesso l’inconscio. Infatti, a volte, per scaricareparzialmente la tensione, ciascuno di noi proietta il contenutoinconscio su qualcosa o qualcuno di esterno cosicché la causadella tensione diventa esterna invece che interna. Una causaesterna può essere facilmente trattata dall’Io. Tuttavia ciò è unartificio, e ovviamente non risolve il problema interno. Freudtrattò ampiamente questi problemi nell’opera Psicopatologiadella vita quotidiana, nella quale dimostrò come gli individuicontinuamente subiscano spinte inconsce dal mondo psichicosommerso che sempre tende ad emergere.

In un’altra celebre opera, Il motto di spirito e la sua relazio-ne con l’inconscio, spiegò il concetto di motto di spirito. Questoè un altro modo di manifestarsi dei contenuti inconsci.Attraverso di esso ogni individuo riesce a scaricare la tensionelegata al contenuto del motto stesso. Con una barzelletta, (maanche una battuta di spirito, uno scherzo, una “verità” dettaridendo), ad esempio, viene risolta una tensione e quindi l’Iorisparmia l’energia necessaria a contrastare tale contenuto.

Nella terapia psicoanalitica il terapeuta utilizza la tecnicadelle libere associazioni. Il paziente è invitato a dire tutto quel-lo che gli viene in mente riguardo ad un qualsiasi fatto propo-sto dall’analista o dal paziente stesso. Quando il paziente siavvicina a ciò che lo turba (il motivo della rimozione delle ten-sioni) allora il suo Io ricorre alla censura e l’analista può avver-tire tale reticenza e focalizzare la propria attenzione su quell’ar-gomento.

Essendo una terapia, in realtà, la prima osservazione effet-tuata dal terapeuta si concentra sul sintomo. Il sintomo è unazione che mira a proteggere il soggetto dal contenuto incon-scio. Il fatto che egli possa interrompere l’azione sintomaticastabilisce se il sintomo stesso è patologico o meno. In questocaso il contenuto inconscio viene ad essere cosí pressante che il

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nevrotico elabora questa tecnica, la quale segue le regole dellarealtà interna, per controllarlo. Il sintomo è quindi una difesadall’Es, un tentativo del paziente di superare il problema anchese con armi che sono scese al livello dell’inconscio stesso. Adesempio, un tic può servire a controllare un senso d’inferioritàderivante dal complesso d’Edipo; ovviamente riesce a fare ciò“magicamente”, seguendo le regole dell’inconscio (onnipoten-za del pensiero).

È indispensabile ribadire e sottolineare ancora che la psicoa-nalisi nasce come terapia per curare le malattie mentali menogravi, le nevrosi (anche se autorevoli studiosi hanno cercato diapplicarla, con risultati alterni, alle psicosi e alle schizofrenie);nel rapporto terapeutico si incontrano alcuni ostacoli, come iltransfert e il contro-transfert. Con il transfert il paziente,durante le sedute psicoanalitiche, trasferisce a livello inconscioe simbolico sul terapeuta la persona con la quale ha vissuto lasituazione conflittuale (generalmente un genitore) che ha scate-nato il problema nervoso, scaricando su di esso tutti i proprisentimenti, le emozioni, le invidie, le gelosie, l’ansia, i sensi dicolpa, l’amore e l’odio che prova. Il transfert è lo strumento piúpotente a disposizione dell’analista, infatti, poiché il pazientetende a proiettare (trasferire) sull’analista le cause dei suoi con-flitti e poi a introiettarle (le trasferisce nuovamente su se stes-so), il terapeuta deve imparare a utilizzare il transfert per acqui-sire la fiducia del paziente e guidarlo verso la guarigione.

Se con il transfert il paziente identifica il terapeuta con lapersona del suo conflitto, con il contro-transfert avviene lo stes-so da parte del medico, il quale “carica” il paziente di valoriaffettivi relativi ad altre persone; è compito (difficile e perico-loso per la cura) del terapeuta riuscire a controllare questo reci-proco scambio di affettività. Il controtransfert, come strumen-to, è l’ultimo ad essere stato scoperto (e non a caso). Per Freud

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esso costituiva l’insieme di tutte le proiezioni dell’analista sulpaziente e perciò era considerato un elemento di disturbo nel-l’analisi. Oggi invece è considerato lo strumento piú prezioso inmano all’analista e viene visto come l’insieme delle emozioniche l’analista prova nei confronti del paziente. In effetti, leproiezioni del paziente costringono l’analista a difendersi dallequalità negative che il paziente gli ha attribuito. L’analista,buon conoscitore del proprio inconscio (a questo serve il lungotraining) riesce a dare soluzione emotiva a questo conflitto del-l’inconscio.

Fasi di sviluppo della sessualitàIn particolar modo nei Tre saggi sulla teoria sessuale, Freud

elaborò la sua teoria dello sviluppo sessuale: il bambino, findalla nascita, dirige le sue pulsioni sessuali verso determinatearee del proprio corpo, investe cioè di piacere sessuale una zona(detta zona erogena) dalla quale trae godimento. Freud distinsevarie fasi.

Fase orale: è la fase durante la quale il bambino investe dipiacere sessuale la bocca, prova cioè piacere mettendo tutto inbocca; è la fase della suzione, importante per la sopravvivenzadei primi mesi (per prendere il latte), con cui il bambino entracosí in contatto con il primo oggetto d’amore, il seno materno,che in breve diventerà la madre intera.

Fase anale: è la fase nella quale si investe di piacere l’ano,il bambino prova cioè piacere nel trattenere ed espellere le fecie l’urina; è molto importante perché porta al controllo deglisfinteri.

Fase fallica: è la fase in cui si investe di piacere sessualel’apparato genitale; avviene quando il bambino inizia a ricono-scere la differenza fra i sessi (in maniera molto elementare:come presenza o assenza del pene) e comincia a conoscersi, a

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scrutarsi, a guardarsi, a giocare con il proprio sesso e a toccar-si (masturbazione infantile). Con il riconoscimento della diffe-renze fra i sessi nella bambina insorge l’invidia del pene e ilconseguente complesso di castrazione, a causa del quale ellaaccusa e rimprovera piú o meno inconsciamente la madre diaverla fatta nascere senza il pene.

È in questa fase (circa dai 3 ai 5 anni) che il bambino vive,in maniera inconscia, il Complesso di Edipo (o di Elettra per lebambine). In maniera molto schematica si può dire che il bam-bino si innamora del genitore di sesso opposto e prova odioverso quello del proprio sesso, visto come l’antagonista che glisottrae il proprio oggetto d’amore. Nello stesso tempo il bambi-no prova anche soggezione, paura – oltre che odio – nei con-fronti del genitore del proprio sesso, dal quale teme una vendet-ta per questo suo odio vissuto; la vendetta piú grande, temuta daparte del maschio, è la castrazione. Riconoscendo la somiglian-za con il genitore del proprio sesso, il bambino inizia a imitar-lo, perché se lui (o lei nel caso di Elettra) è riuscito a conqui-stare la madre (o il padre per la bambina), allora comportando-si allo stesso modo avrà maggiori possibilità di conquistare lapersona amata. Cosí facendo, però, si identifica nel genitore delproprio sesso e l’odio inizia gradualmente a svanire, superandoil Complesso di Edipo e giungendo alla consapevolezza che sideve trovare il proprio oggetto d’amore maturo nel proprio“principe azzurro”, cioè in una persona all’incirca coetanea.

Bisogna notare che nella femmina vi è una importante diffe-renza, in quanto la bambina non può provare la paura dellacastrazione nei confronti della madre, contro la quale anzi, acausa dell’invidia del pene, già provava rancore accusandola diaverla fatta nascere senza l’organo genitale maschile.

Alla fine del Complesso di Edipo, che ha costituito l’aspettopiú importante e coinvolgente di tutta la vita affettiva ed emoti-

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va del bambino in questo periodo, avviene una rimozione deglieventi legati a questa enorme situazione angosciosa; tutti gliavvenimenti vissuti dal bambino durante questi anni, attraversola rimozione edipica vengono dimenticati; con essi vengonorimossi anche la maggior parte dei ricordi dei primi anni di vitaed è per questo, secondo Freud, che non si ricordano che pochiframmenti degli avvenimenti dalla nascita fino ai 4-5 anni.

Dopo questa fase, le pulsioni sessuali vengono provvisoria-mente e parzialmente accantonate (fase di latenza), finché nonritorneranno prepotentemente con lo sbocciare della sessualitàmatura durante l’adolescenza.

All’interno della Società Psicoanalitica (di cui bisogna ricor-dare i memorabili incontri del mercoledí a casa Freud) vi furo-no spesso scontri e fratture fra i vari allievi di Freud e il mae-stro stesso. Freud venne piú volte accusato di essere troppoautoritario con gli allievi, che trattava un po’ come “bambini”;storici furono i litigi, per motivi teorici (ma che celavano causeanche affettive), con il suo piú grande allievo, lo svizzero CarlGustav Jung, che fondò la Psicologia Analitica e con un altroallievo, Alfred Adler, che costituí la scuola di PsicologiaIndividuale. Altri nomi importanti della storia della psicoanali-si sono, oltre a questi: il biografo di Freud: Ernest Jones, KarlAbraham, l’ungherese Sandor Ferenczi, Georg Groddeck, OttoRank, Hanns Sachs, la figlia di Sigmund: Anna Freud, MelanieKlein, Lou Andreas- Salomé, l’italiano Edoardo Weiss,Wilhelm Reich.

Negli anni Trenta, con la crescita della tensione internazio-nale, l’avvento del nazismo e delle leggi antirazziali, Freud emolti suoi allievi furono costretti a fuggire da Vienna,dall’Austria e dalla Germania perché di origine ebrea; le operedi Freud vennero pubblicamente bruciate, a Berlino e in tutta la

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Germania nazista, nel rogo dei libri pericolosi del 1934; non-ostante non volesse lasciare Vienna, Freud fu costretto a ripara-re con la famiglia a Londra, nel 1938, dove morí l’anno seguen-te.

Per comprendere meglio gli elementi fondamentali della psi-coanalisi è utile vedere, in sintesi, quali sono i principali mec-canismi di difesa individuati da Freud e dagli altri studiosi dipsicoanalisi; è inoltre utile un rapido cenno sulle distinzioni trai piú importanti sintomi di tipo nevrotico e psicotico.

Il principale meccanismo di difesa è la rimozione, che esclu-de parzialmente o totalmente dalla coscienza la rappresentazio-ne connessa a un’azione il cui soddisfacimento sarebbe in con-trasto con le altre esigenze psichiche. Quando questa funzionefallisce, in parte o del tutto, intervengono altri meccanismi didifesa in maniera “stratigrafica”, accumulandosi cioè l’uno sul-l’altro. I piú importanti sono: la sublimazione, cioè la trasfor-mazione delle pulsioni dannose o inaccettabili (sessuali oaggressive) in attività riconosciute come valide o socialmenteutili, come l’arte, la medicina, l’assistenza, in modo da convo-gliare e incanalare l’energia inconscia e poterla cosí sfogaresenza danni; la regressione, che consiste nel trovare gratifica-zione ritornando inconsciamente a stadi psichici precedenti; laformazione reattiva, meccanismo che consente di volgere alcontrario tendenze inaccettabili (per esempio il bambino che haricevuto un pesante divieto di sporcarsi da piccolo, con le fecio altro, può diventare un maniaco della pulizia); l’isolamento,cioè la tendenza a chiudersi sempre piú in se stessi per evitarele situazioni che possono causare tensione; la proiezione, cioèl’attribuire un’origine esterna a sentimenti che non si voglionoriconoscere come propri (per esempio nel “Complesso diEdipo”, il bambino dirà: “il babbo mi odia”, proiettando sul

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padre quelli che sono i suoi sentimenti); l’introiezione, il con-trario della proiezione, che consiste nel volgere su se stessi sen-timenti di altri; la negazione, in cui semplicemente si nega unapulsione; la razionalizzazione, che si verifica quando si cercauna spiegazione razionale per non ammettere i motivi inconsci,le delusioni e i fallimenti, e sopportare meglio la realtà.

Con il fallimento della rimozione, e la conseguente messa inatto degli altri meccanismi di difesa, si verificano a volte alcu-ni sintomi nevrotici e psicotici. Vediamo alcune fra le forme piúimportanti di tipo nevrotico.

Le nevrosi d’angoscia: sono stati di paura attivati dal siste-ma nervoso autonomo; l’individuo non è consapevole dell’ori-gine della sua angoscia, ma avverte un senso di dolore che sfo-cerà in sintomi somatici quali tachicardia, sudorazione, vertigi-ni, secchezza delle fauci, difficoltà a inghiottire, disturbi dige-stivi, frequenza urinaria, impotenza, eccesso di ossigeno nelsangue, ecc.

Le nevrosi fobiche: sono paure irrazionali di qualcosa (gliesempi piú diffusi sono la claustrofobia, l’agoràfobía, l’arac-nofobía), che provocano un carico di angoscia intensa; il fobi-co può riconoscere che la sua paura è esagerata, rimane perples-so se deve spiegarla, ma non può sottrarsi a essa. Le fobíe sonocomuni a tutti; diventano però gravi quando condizionanopesantemente la vita dell’individuo. Per superare le nevrosifobiche, i metodi piú usati prevedono una terapia graduale ditipo comportamentale. Per esempio, per la aracnofobía, si puòcominciare mostrando in fotografia un ragno al paziente, poiquesti procederà a toccare la foto, successivamente vedrà deiragni finti, poi ragni veri in teche di vetro, e cosí via. La psicoa-nalisi serve per scoprire le cause del sintomo ed evitare che que-sto si manifesti di nuovo anche sotto altre forme nevrotiche.

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Le nevrosi isteriche: sono sindromi nevrotiche che dànnoluogo a disturbi di due tipi: nel primo caso riguardano le fun-zioni motorie o sensorie, quali paralisi, dolore, anestesie, ceci-tà, impotenza psicogena, gravidanza isterica ecc.; nel secondocaso si tratta di disturbi mentali, come amnesie, stati di fuga,personalità multiple, ecc.

Le nevrosi ossessivo-coatte: sono caratterizzate da pensieriossessivi (un pensiero ossessivo tende continuamente a intro-mettersi nella consapevolezza e non c’è modo di arrestarlo: frale forme piú leggere e diffuse, per esempio, si possono ricorda-re quelle parole, quelle canzoni, quelle frasi, quei desideri chetornano ciclicamente e ossessivamente in mente) e azioni coat-te (ripetute continuamente).

Le reazioni depressive: sono le forme di disturbi psichici piúcomuni; sono sgradevoli reazioni affettive temporanee, origina-te dalla reazione infantile alla perdita d’amore dei genitori;nelle persone adulte sono evocate da varie perdite: lutto, divor-zio, fine di un legame affettivo o di un’amicizia, perdita dellavoro o di uno status sociale, ecc.

Gli stati maniacali: in apparenza si manifestano in manieraopposta alla depressione: l’individuo è esultante, euforico, iper-attivo, espansivo, ottimista, entusiasta in maniera illimitata,dorme poco, parla incessantemente, è arrogante, si sente onni-potente (arrivando, nelle forme psicotiche piú gravi, a credersiun re, un genio, un messia); non coglie realisticamente la realtàe, ogni tanto, cade in forme di paranoia: accusa gli altri diminacciarlo, di perseguitarlo, o di essere pazzi; è una reazioneopposta alla depressione, detta anche stato depressivo-maniaca-le. Il soggetto paranoico è solito adottare quale caratteristicomeccanismo di difesa la proiezione: spesso attribuisce ad altrepersone i propri impulsi primitivi ostili e non accettati (peresempio l’omicidio). Le paranoie hanno una gamma molto

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ampia di casi, in quelli estremi si può giungere alla schizofre-nia. Sembra dunque esserci una gradualità dalle semplici nevro-si agli stati psicotici, fino alle forme di schizofrenia.

La schizofrenia è l’area della psichiatria piú controversa eincerta. Vi rientrano casi molto diversi, compresi tutti gli indi-vidui definiti in passato genericamente “pazzi”, “matti”, o“folli”. Alcuni casi di schizofrenia sembrano essere l’effetto diuna soverchiante tensione ambientale, per esempio la guerra;altri sembrano dovuti a traumi infantili. Molti studiosi hannoipotizzato e sostenuto anche la presenza di disturbi biologici, alivello genetico ereditario. Il termine schizofrenia indica scis-sione della mente, divisione, a indicare la discordanza di pen-siero, sentimento e comportamento, in una personalità che sichiude in se stessa isolandosi dal resto del mondo, o che vive inmaniera alterata rispetto alla norma. Lo schizofrenico spesso ècaotico, irrazionale, è in grado di esibire un discorso (e a volteuna scrittura) fluido e rapido, ma senza un legame logico com-prensibile, mostra emozioni inappropriate alle situazioni, e viverapporti ambivalenti (mescolanza di amore-odio nei confrontidelle persone); non è cosciente dei confini del proprio Io, nonha ben determinato il rapporto fra Io e non-Io, ha una carentecapacità di esame della realtà.

Psicoanalisi e PedagogiaSappiamo che Freud aveva elaborato una teoria nella quale

tutta la vita adulta è determinata a partire dalle esperienze dellaprima infanzia, attraverso le varie fasi della sessualità e il sor-gere delle istanze psichiche in diverse età della vita del bambi-no. Ciò nonostante, egli non si occupò quasi mai delle implica-zioni pedagogiche che la sua teoria poteva avere e curò rara-mente bambini, se non nel famoso caso del “Piccolo Hans”.

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Infatti, in questo studio clinico Freud, per la prima e unicavolta, si confrontò con la pedagogia e le problematiche ineren-ti l’infanzia. Freud, in realtà, non analizzò mai direttamente deibambini, ma applicò la psicoanalisi indirettamente al conflittovissuto da Herbert Graf, descritto appunto come “il piccoloHans”. Hans era affetto da una grave fobia per i cavalli, anima-li dai quali fino a poco prima era profondamente attratto. Avevapaura di essere morso dai cavalli e si rifiutava di uscire di casa.Il padre di Hans si rivolse a Freud, il quale vide il bambino unasola volta, ma ne seguí le angoscie, le fantasie, le curiosità e iprogressi, attraverso i resoconti del padre. È curioso notare cheFreud rivide di nuovo Hans solamente quando questi era diven-tato adulto e non si ricordava piú del conflitto vissuto durantel’infanzia. Il bambino, in piena fase edipica, spostò i sentimen-ti negativi provati nei confronti del padre sull’animale. Ma que-sto trasferimento di affetti negativi si ritorse su se stesso sottoforma di fobia. Questo caso clinico costituí il preludio all’ana-lisi infantile, ponendo al centro dell’attenzione i temi dellacastrazione e del complesso edipico, oltre che degli impulsi,delle curiosità sessuali dei bambini e delle loro identificazioni.Un ruolo determinante, nel caso di Hans, giocò la madre, expaziente di Freud, la quale, con le sue fobie, le sue ansie, il suostile educativo altalenante (a volte troppo rigido, a volte troppopermissivo), aveva trasmesso al bambino messaggi ambivalen-ti che crearono confusione nello sviluppo affettivo del bambi-no.

In realtà, nonostante sia difficile dedurre rigidamente daiprincipi psicoanalitici una pedagogia positiva, la loro conoscen-za risulta molto utile per cogliere meglio il rapporto adulto-bambino, in maniera piú consapevole nei rapporti con la socie-tà, l’intera famiglia e la scuola, oltre che per criticare moltiaspetti delle pedagogie contemporanee. «Il rapporto che i geni-

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tori intrattengono con ciascuno dei figli è unico ed irripetibile;[…] è un rapporto in cui vengono coinvolti diversi aspetti affet-tivi e tutta l’esperienza precedente dei genitori, la loro infanzia,i loro timori, le loro speranze, che vengono riattivati con lanascita di un figlio. Sul figlio viene proiettato l’Io ideale deigenitori, ma tale proiezione non è esente da angosce, timori,ambivalenze, cosí come il bambino non è un essere inerte, macon i suoi comportamenti interagisce sulle aspettative dei geni-tori, confermandole o smentendole. I rapporti originari fra ilbambino e i genitori sono differenti: se il legame con la madreè inizialmente corporeo, istintivo, radicato nella necessità natu-rale della sopravvivenza, quello con il padre è mediato dallaparola, si svolge su di un piano simbolico-culturale in cui ilgenitore di sesso maschile opera, nell’àmbito della famiglia,come rappresentante delle esigenze sociali. L’identificazionecon la figura paterna, con la quale termina il conflitto edipico,è essenzialmente un’identificazione con il suo Super-io chegarantisce pertanto una trasmissione di norme e di obblighimorali, sociali, di valori e comportamenti da una generazioneall’altra.»

L’ingresso dei bambini nella scuola comporta un distaccodagli oggetti affettivi della vita della famiglia e coincide (a circa6 anni) con l’inizio del periodo di latenza. È possibile pertantoformulare un bilancio delle esperienze e dei vissuti del periodoprecedente, perché se il bambino avrà superato felicemente tuttii conflitti, le angosce e le ansie ad esso legate, potrà utilizzarel’energia pulsionale al servizio dell’attività intellettuale e scola-stica.

Se Freud non si preoccupò di applicare la psicoanalisi all’e-ducazione, questo tentativo fu invece compiuto successivamen-te da molti psicoanalisti (come Donald Winnicott – importanteper i suoi studi sul gioco – e René Spitz – che studiò, tra l’altro,

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le conseguenze dovute alla mancanza della figura materna suibambini piccoli, come racconta nel suo libro Il primo anno divita del bambino del 1958). Coloro che si occuparono per primedel rapporto fra psicoanalisi e pedagogia furono, in manieremolto differenti fra loro, Anna Freud e Melanie Klein.

Anna Freud (1895-1982) nacque a Vienna, ultima dei seifigli di Sigmund, fu l’unica a seguire le orme paterne, portandoavanti la psicoanalisi. Ebbe sempre un rapporto estremamenteaffettuoso con il padre, spesso anche di vera e propria dipen-denza. Essendo ebrea, quando nel 1938 cominciarono le perse-cuzioni naziste, dovette fuggire con il padre da Vienna, e si sta-bilí a Londra, dove fondò alcuni centri per bambini sfollati,privi di casa e famiglia. Assunse il ruolo di direttrice delle scuo-le da lei fondate (“Hampstead War Nurseries”, “HampsteadChild-Therapy Corse”, “Hampstead Child-Therapy Clinic”),all’interno delle quali si occupò della formazione di terapeutiinfantili, influenzando con il suo lavoro l’organizzazione degliasili di Vienna, Londra, Boston, Detroit, Los Angeles, NewYork. Si occupò di divulgare la psicoanalisi applicata all’infan-zia tenendo parecchie conferenze e scrivendo varie opere, le piúimportanti delle quali sono: Quattro conferenze di psicoanalisiper insegnanti e genitori (1930); L’Io e i meccanismi di difesa(1936); Problemi dell’analisi didattica (1938); Il trattamentopsicoanalitico dei bambini (1946); Normalità e patologia nel-l’età infantile (1965).

Anna Freud si occupò di quell’istanza psichica che il padreaveva maggiormente trascurato, considerandone lo studio estre-mamente problematico: l’Io. Esso ha il compito di mediare lepulsioni e le fantasie inconsce dell’Es, da una parte con i limitiposti dal mondo esterno, e dall’altra con gli ideali, le regole e leleggi morali rappresentate dal Super-io. Per cercare di ordinare,

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armonizzare e far convivere tutte queste esigenze contrastanti,l’Io, che mira principalmente alla sopravvivenza, mette in atto imeccanismi di difesa. Data la sua enorme importanza nella vitadel singolo individuo, l’Io necessita di una analisi dettagliatadel proprio funzionamento; in questo modo, con Anna Freud, lapsicoanalisi diventò analisi della personalità totale.

Anna Freud fu molto piú cauta e prudente di quanto nonfosse Melanie Klein riguardo le possibilità di applicare la tera-pia psicoanalitica ai bambini, ritenendo che la terapia analiticaandasse applicata all’infanzia solo in casi di estrema gravità.Sul rapporto psicoanalisi-educazione Anna Freud affermò chela psicoanalisi offre i mezzi per criticare i metodi educativi con-temporanei, e può ampliare le conoscenze psico-pedagogichedisponibili sull’individuo. Inoltre, essa permette di approfondi-re i rapporti tra bambini e adulti, in modo che la terapia possariparare ai danni che spesso l’educazione provoca. Tramite unaanalisi dell’intera famiglia coinvolta nel rapporto educativo sicerca di guidare l’insieme delle relazioni affettive in direzioneequilibrata e “sana”.

In ogni caso, Anna Freud sottolineò che l’analisi dei bambi-ni debba essere profondamente differente rispetto a quella clas-sica degli adulti, perché nel rapporto terapeutico non è il bam-bino a decidere di curarsi; oltretutto il piú delle volte egli non ènemmeno consapevole di costituire un problema, non ha nessu-na comprensione della malattia, e nemmeno il desiderio dicurarsi e guarire (presupposti essenziali affinché qualsiasi tera-pia abbia effetto). Infine, ed è importantissimo per il successodella terapia psicoanalitica, egli non è in grado di attuare il tran-sfert (problema riguardo al quale Anna Freud entrò in apertoconflitto con Melanie Klein).

Anna Freud fu propensa a far trascorrere un periodo prelimi-nare alla vera e propria analisi del bambino, durante il quale

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cercare di interpretare i suoi sogni con l’ausilio dei disegni edelle libere associazioni. Se necessario, arrivò a ipotizzare,come già accennato, una psicoanalisi dell’intera famiglia, tera-pia utile anche per i genitori.

Per questo, Anna Freud si prodigò nel sensibilizzare i pueri-cultori, gli insegnanti, i genitori, i medici, le infermiere, acogliere i bisogni infantili prima che l’indifferenza degli adultili trasformi in sintomi. Anna Freud si convinse che l’educazio-ne debba stare a metà strada tra autorità e permissività: lamigliore educazione è la minore educazione. Questo non elimi-na la necessità del processo educativo; l’educazione è anzinecessaria, perché se lasciato solo a se stesso il bambino rimar-rebbe preda delle proprie pulsioni incontrollate, che creanoangoscia; ma si deve, comunque, riconoscere la spontaneitàdell’evoluzione psichica infantile. Ecco perchè è necessarioeducare il meno possibile, ma intervenire quando serve, facen-do attenzione a non reprimere eccessivamente gli impulsi delbambino. Ciò di cui egli ha bisogno in età infantile è un aiutonell’affrontare i suoi processi interni, e non di biasimo, di puni-zioni e di severità, che creano inibizioni e frustrazioni, aumen-tando ulteriormente il suo senso di isolamento e amarezza.

Per educare in questa maniera, è importante conoscere lecaratteristiche di Es, Io e Super-io, oltre ai tempi e ai modi attra-verso i quali si afferma l’Io. Studiando l’evoluzione della strut-tura dinamica della psiche infantile, Anna Freud individuò tretappe fondamentali: 1) infanzia (dalla nascita ai 5/6 anni); 2)latenza (dai 6 agli 11/12 anni); 3) pubertà (che sfocia nell’etàadulta).

Ogni età è caratterizzata da una diversa strutturazione inter-na della personalità: nella prima infanzia, all’inizio domina l’Escon le pulsioni istintive, poi sorge l’Io, che acquisterà semprepiú forza contrapponendosi all’Es come antagonista. In questo

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primo periodo, quando l’Io emerge e si sta strutturando, le suefunzioni essenziali sono l’esame della realtà, la memoria, lefacoltà di sintesi e il controllo dell’emotività. Per lo studio del-l’infanzia, specialmente in età pre-verbale, è essenziale l’osser-vazione diretta. In seguito si formerà il Super-io. Nel periodo dilatenza l’Io riuscirà a dominare, creando un equilibrio che peròverrà messo in crisi durante l’adolescenza, quando la ricca dina-mica interiore si evolverà in un rapporto fluido e mutevole fral’Io e l’Es.

È importante che gli educatori siano accorti nel non cercareun precoce equilibrio psichico che anticipi i tempi naturali, per-ché questo bloccherebbe le dinamiche psichiche; è chiaro allo-ra perché l’educazione debba porsi a metà strada fra autorità epermissività: spesso le pretese degli educatori sono eccessive,ma l’inibizione di certe espressioni pulsionali è necessariaaffinché si diano al bambino i mezzi per interiorizzare le normemorali, trasformandole da imposizioni esterne in regole interne.

Lo sviluppo dell’interazione tra Es, Io e Super-io e le lororeazioni agli influssi ambientali, la loro strutturazione e l’adat-tamento, seguono una linea evolutiva che va dalla totale dipen-denza del figlio dalla madre, periodo caratterizzato dal narcisi-smo, alla costituzione di un rapporto con l’oggetto parziale (ilseno materno), solo nel momento del bisogno, fino all’interio-rizzazione dell’oggetto, il quale raggiunge cosí una esistenzapsichica costante, per instaurare un rapporto con l’oggettocaratterizzato dall’ambivalenza pre-edipica (oggetto, cioè,amato e odiato allo stesso tempo); dopodiché, la teoria dellosviluppo psichico di Anna Freud segue quello del padre (fasefallica, periodo di latenza, pre-adolescenza, adolescenza ed etàadulta).

L’ideale educativo di Anna Freud è quello di realizzare unosviluppo armonico tra mondo esterno e mondo interno, oltre a

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un equilibrio delle tre istanze psichiche, in cui l’Io è la zona diincontro tra questi vari aspetti. Si è già detto che l’Io controllale pulsioni istintuali (sessuali e aggressive) dell’Es e organizzatutte le resistenze, opponendosi anche all’analisi terapeutica,attraverso i meccanismi di difesa; è importante però aggiunge-re che i meccanismi di difesa sono messi in moto da tre tipi diangosce che colpiscono l’Io di fronte: 1) alla morale (scontrocon il Super-io); 2) alla realtà (conflitto con il mondo esterno);3) alle pulsioni (lotta contro l’Es).

I meccanismi di difesa servono appunto per tenere lontanidalla coscienza gli impulsi inconsci primitivi, incompatibili conla realtà, e pertanto inaccettabili; essi scattano in modo automa-tico, il piú delle volte in maniera inconsapevole e involontaria.

Melanie Klein (1882-1960) apportò numerose, importanti eprofonde modifiche alla terapia freudiana, contribuendo adapplicare la psicoanalisi all’educazione, assieme ad AnnaFreud, con la quale entrò in profonda polemica.

Nacque a Vienna, da una famiglia di ebrei; il padre, MorizReizes, era medico e morí quando Melanie aveva 18 anni. Tuttala sua esistenza fu tempestata di lutti (quando aveva 5 anni lemorí una sorella, quando ne aveva 20 morí un fratello, succes-sivamente uno dei tre figli); tutte queste esperienze luttuosecontribuirono a formare in maniera indelebile il suo caratterespesso depresso e malinconico. Non poté laurearsi in medicina,come avrebbe desiderato. All’età di 21 anni si sposò conStephen Klein; tra i frequenti spostamenti dovuti al lavoro delmarito, nel 1910 ci fu il trasferimento a Budapest; qui MelanieKlein entrò in analisi con lo psicoanalista Sandor Ferenczi e ini-ziò ad analizzare a sua volta alcuni bambini, tra cui i suoi figli.Nel 1921, in seguito alla separazione dal marito, si trasferí aBerlino, dove lavorò con Karl Abraham, fino alla morte di que-

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sti avvenuta 9 mesi dopo (anche questo lutto la prostrò grave-mente). Entrata in contrasto con i colleghi berlinesi riguardo letecniche adottate (in particolar modo quella del gioco), nel 1926si trasferí a Londra, dove si acuí il suo conflitto con Anna Freudcirca gli aspetti clinici e teorici della psicoanalisi infantile (inparticolare sul problema del transfert; Melanie Klein fu moltopiú possibilista riguardo le opportunità di applicare la psicoana-lisi all’infanzia, specialmente approfondendo l’aspetto fantasti-co, la produzione immaginaria della vita infantile e utilizzandoil gioco come strumento diagnostico e terapeutico. Morí aLondra nel 1960, dopo una vita molto travagliata, piena di con-flitti e scontri. Come ricorda la sua allieva e biografa HannaSegal, Melanie fu una donna che suscitava forti emozioni,amore o odio e, nonostante i lutti continui e le crisi depressiveche la coglievano, fu sempre piena di vitalità e di entusiasmo, econtinuò a esser ricordata per la «sua esuberanza, la sua verveerotica e la sua forza persuasiva».

Le sue opere principali sono: La psicoanalisi dei bambini(1932); Nuove vie della psicoanalisi (1933, con altri autori; diMelanie Klein è presente un importante articolo sul gioco);Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco depressivi(1935); Invidia e gratitudine (1957); Analisi di un bambino(1961, postuma); Il nostro mondo adulto (1963, postuma).

Melanie Klein sostenne con forza la grande importanza dellapossibilità di applicare l’interpretazione psicoanalitica all’in-fanzia, approfondendo particolarmente gli aspetti fantastici e leproduzioni immaginarie della vita infantile; per fare questo,ideò una metodologia basata sulla interpretazione del gioco (la“tecnica del gioco” corrisponde alle libere associazioni per l’a-nalisi dell’adulto).

Nel gioco il bambino esprime e manifesta spontaneamentetutta la sua vita inconscia. Attraverso di esso, l’Es scarica la

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propria tensione sulle cose, sugli oggetti, le persone, e si tradu-ce in simboli, comportamenti e linguaggi interpretabili.

Nel gioco si esprimono i desideri, le fantasie, le esperienzedel bambino, perciò il rapporto terapeuta-bambino sarà media-to da materiale e attività ludico-creative: piccoli giocattoli,lavabo, bottigliette, bicchieri, cucchiai, giochi di ruolo (giocareal dottore e all’ammalato, a fare il genitore, ecc.), giochi conl’acqua, un elemento con un’alta simbologia inconscia, cherichiama la condizione di pace, protezione, sicurezza e caloredella vita intrauterina, e inoltre canto, disegno spontaneo, pittu-ra.

Quando il bambino gioca e finge di essere un adulto – spe-cialmente se gioca separato e non visto dai genitori – è possibi-le cogliere la sua personalità, le sue ansie, le angosce, le invi-die, i sensi di colpa, ed eventualmente le nascenti nevrosi e psi-cosi (per esempio può fantasticare, nel gioco o attraverso undisegno, di distruggere la mamma). Il gioco è agire, costruire,rompere, manipolare, imitare: è un linguaggio e, come tale,manifesta l’inconscio del bambino.

La produzione immaginaria ha un aspetto cosciente e unoinconscio, che corrispondono ai contenuti manifesto e latentedel sogno, e a significante e significato del linguaggio. Il com-pito della psicoanalisi infantile sarà, allora, quello di risalire dalcontenuto cosciente a quello inconscio.

Molti dei problemi che il bambino vive dipendono da unSuper-io troppo esigente che, quindi, blocca le immagini arcai-che, le pulsioni inconsce del bambino. Melanie Klein si convin-se che i contenuti fantastici (i “fantasmi”) compaiono già nelprimo anno di vita, e cercò di studiare la formazione e la pre-senza dell’Io e degli aspetti pre-edipici fin dai primi mesi del-l’esistenza dell’individuo. Secondo la psicoanalista, oltre l’Es,alla nascita esiste già un Io elementare, estremamente precoce,

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capace di provare angoscia, di mettere in atto meccanismi didifesa e stabilire primitivi rapporti con oggetti, sia nella realtàche nella fantasia, perciò viene presto a scontrarsi con le richie-ste del Super-Io. Come è evidente, questi elementi costituironouna rottura profonda con il padre della psicoanalisi e con ogniforma di terapia ortodossa.

Il primo anno di vita del bambino è caratterizzato da dueaspetti, due posizioni: la prima è detta schizoparanoide, e simanifesta durante i primi mesi di vita del bambino; la secondaè la posizione depressiva, ed è tipica dei mesi successivi. Lecaratteristiche di entrambe le posizioni permarranno anche infuturo, e si evolveranno durante tutta la vita dell’individuosenza mai scomparire completamente, anche se si manifesteran-no in maniera piú attenuata.

Nella posizione schizoparanoide avviene una scissione neiconfronti di un oggetto, che è visto a volte come buono e a voltecome cattivo. Il primo conflitto vissuto dal bambino deriva dal-l’innata polarità e contrapposizione tra istinto di vita e istinto dimorte (eros e thanatos). In questa fase il bambino vive chiusoin se stesso, percependo solo oggetti parziali come il senomaterno, che è fonte di gratificazione quando nutre (pulsioni divita) e fonte di frustrazione quando è assente (pulsioni dimorte).

Tutte le prime attività psichiche del bambino sono quasi allu-cinazioni in cui l’intero mondo è un agglomerato di oggetti par-ziali; queste allucinazioni sono connotate da sentimenti diamore e odio, di affetto e aggressività.

È importante, a questo punto, vedere come Melanie Kleininserí i concetti di invidia e gratitudine all’interno di questodiscorso. L’invidia non deve essere confusa con la gelosia; que-st’ultima, infatti, compare successivamente, si fonda sull’amo-re e tende al possesso dell’amato e alla eliminazione del rivale;

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fa parte quindi di un momento della vita in cui gli oggetti sonoriconosciuti come autonomi, e prevede sempre un rapporto ditre elementi; l’invidia, diversamente, è una relazione a due, cheinveste un oggetto o una persona per qualche sua qualità posse-duta; è sperimentata fin dall’inizio della vita, su oggetti parzia-li (primo fra tutti il seno, e dato che investe l’oggetto che è fontedi vita, l’invidia viene ad essere la prima precoce espressionedell’istinto di morte).

All’invidia si contrappone la gratitudine nei confronti del-l’oggetto, per ciò che questo offre al bambino. L’oggetto idealediventa cosí una parte dell’Io e ne accresce la capacità d’amo-re. Le energie non sono piú riversate verso l’esterno; in questomodo si rafforza l’Io e il mondo apparirà meno pauroso. Il bam-bino nasce con un profondo istinto di sopravvivenza, che gli fapercepire il mondo esterno come pauroso; se viene gratificato,riceve l’amore, le attenzioni materne, soddisfa i propri bisogni,allora avrà meno paura del mondo esterno.

I bisogni primari del bambino sono avvertiti come stimolispiacevoli, che producono ansia e fanno scattare dei meccani-smi di difesa; al riguardo, Melanie Klein elaborò il concetto diidentificazione proiettiva, un meccanismo psichico attraversocui si scinde l’Io e si proiettano parti di sé dentro un’altra per-sona. Questo meccanismo è accompagnato dall’introiezionedell’altro, una configurazione che è il prototipo del rapportooggettuale primitivo dal punto di vista aggressivo e libidico.

Il passaggio dall’oggetto parziale all’oggetto intero, cheavviene verso i sei mesi, segna il superamento della posizioneschizoparanoide e l’inizio di quella depressiva, nella quale ilbambino impara a dominare le proprie angosce.

Nella posizione depressiva gli oggetti, compresa la madre,non sono piú visti come parti disgregate (seno, occhi, bocca,mani), ma come un oggetto intero, che può essere presente o

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assente, buono o cattivo, amato e odiato. La madre cosí unifica-ta è un oggetto ambivalente, visto a volte come buono, altrevolte come cattivo: il bambino scopre che la madre non esistesolo in funzione dei suoi bisogni, ma ha una vita autonoma erelazioni diverse, tra cui essenziale è quella col padre. Il bam-bino teme di perdere la madre, si sente impotente a trattenerlae, nello stesso tempo, si riconosce totalmente dipendente da leiper la sopravvivenza; dipendenza e impotenza provocanodepressione.

A differenza di Sigmund Freud, Melanie Klein non ritenneche il conflitto edipico insorga nel corso della fase fallica: la suaconcezione dei “fantasmi” inconsci che preesistono a qualsiasiesperienza rende inutile chiedersi quando avviene l’inizio dideterminate situazioni (le varie fasi sessuali), che sono, invece,coestese alla vita stessa.

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1994.

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35Le idee pedagogiche di Jean Piaget

Dati sulla vita e sulle opere di PiagetJean Piaget (1896-1980) nacque a Neuchâtel, nella Svizzera

francese, dove si laureò in Biologia nel 1918 con una tesi inzoologia. Studiò anche parecchi filosofi quali Kant, Bergson,Spencer, Comte, Durkheim, William James, ma sentí l’esigen-za di realizzare una ricerca piú concreta e sperimentale di quel-la che i filosofi offrivano. Per questo si indirizzò verso la psico-logia sperimentale, lavorando alla Sorbona di Parigi. Furonoimportanti l’incontro con Théodore Simon che gli consigliò distandardizzare i test di ragionamento di Binet, e l’offerta, del1921, che gli fece Edouard Claparède, di entrare all’Istituto“Jean-Jacques Rousseau” di Ginevra. Insegnò presso leUniversità di Neuchâtel, Ginevra, Losanna e della Sorbona. Nel1955, grazie alle sovvenzioni della fondazione Rockefeller, isti-tuí a Ginevra il “Centre International de EpistemologieGénétique”, punto d’incontro interdisciplinare per filosofi e psi-cologi. Fu autore di un numero enorme di opere (circa unmigliaio fra libri e articoli) su svariati argomenti (dalla biologiaalla filosofia, dalla psicologia alla logica, dalla sociologia all’e-ducazione). Divenne famoso anche negli Stati Uniti solo versola fine degli anni Cinquanta, quando l’ambiente psicologicovide decadere pian piano il predominio che il comportamenti-

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smo aveva avuto per piú di 30 anni, lasciando spazio alle nuovericerche di psicologia cognitivista che con Jerome Bruner enumerosi altri studiosi ripresero e criticarono le concezioni diPiaget e del sovietico Lev Vygotskij, e quando Flavell scrisseun’opera in inglese che compendiò tutto il pensiero di Piaget(La mente dalla nascita all’adolescenza nel pensiero di JeanPiaget, 1963).

Piaget impostò la sua teoria sullo sviluppo cognitivo delbambino negli anni Venti-Trenta, osservando e studiandosoprattutto i suoi figli. Queste ricerche portarono alla pubblica-zione di 5 libri: Il linguaggio e il pensiero del fanciullo (1923),Giudizio e ragionamento nel bambino (1924), La rappresenta-zione del mondo nel fanciullo (1926), La causalità fisica nelbambino (1927), Il giudizio morale nel fanciullo (1932). Oltrea queste opere, sulla teoria dello sviluppo cognitivo pubblicòanche La nascita dell’intelligenza nel fanciullo (1936), Lacostruzione del reale nel bambino (1937), La formazione delsimbolo nel bambino (1945). Questa teorizzazione venne rias-sunta in maniera chiara e sintetica nello scritto, del 1964, Losviluppo mentale del bambino e nel libretto, scritto in collabo-razione con la sua piú fedele assistente, Barbel Inhelder, La psi-cologia del bambino (1966). Piaget riprese i principali concettielaborati, in modo da ampliarli e modificarli nelle opere succes-sive e, soprattutto, applicarli a vari campi della ricerca: lamemoria, la percezione, le quantità, il numero, il movimento, lavelocità, il tempo e lo spazio. Si possono infine ricordare leopere di carattere epistemologico, quali Biologia e conoscenza(1967) e L’epistemologia genetica (1970).

Premesse sull’Epistemologia GeneticaLa premessa al carattere evolutivo della ricerca piagetiana è

la specificità, la differenza, fra il pensiero del bambino e quello

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dell’adulto. Piaget studiò la genesi e lo sviluppo delle forme diconoscenza del bambino. Diede vita all’epistemologia genetica,disciplina che studia lo sviluppo della conoscenza e dell’intelli-genza come costruzione attiva dell’individuo; “epistemologia”indica teoria della conoscenza, studio dei metodi e delle formeattraverso cui gli individui conoscono; “genetica” (non nelsenso di “innato” o geneticamente determinato) indica, nontanto l’origine, quanto lo sviluppo delle conoscenze e dell’intel-ligenza; l’epistemologia genetica studia, dunque, le originidella conoscenza, i meccanismi psicologici che consentono lasua realizzazione e le varie tappe dello sviluppo dell’organizza-zione psicologia da forme di equilibrio meno evolute a quellepiú evolute. Con le parole di Piaget: «L’epistemologia geneticasi occupa della formazione e del significato della conoscenza edei mezzi attraverso i quali la mente umana passa da un livellodi conoscenza inferiore a uno giudicato superiore.» Piaget ela-borò una grande costruzione teorica dello sviluppo dell’intelli-genza dalla nascita all’età adulta, che venne man mano verifi-cata, confermata e modificata dalle ricerche sperimentali dellostudioso svizzero. Nella ricerca di Piaget si vennero a fondereassieme le esigenze sistematiche, filosofiche e quelle concretedello psicologo scientifico. Infatti Piaget, a una giovanile for-mazione scientifica di Biologo, aggiunse grandi interessi filoso-fici, per passare a elaborare il piú importante modello di psico-logia dello sviluppo cognitivo del Novecento. Agli importantistudi biologici, filosofici e psicologici, Piaget aggiunse ancheinteressi sulla logica, sulla società e sull’educazione.

Impostazione della teoria evolutiva di PiagetSecondo Piaget sussiste una continuità fra biologico e men-

tale. Il soggetto non risponde passivamente agli stimoli esternie nemmeno è il veicolo di idee innate. Piaget si allontananò e

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cercò di superare la classica contrapposizione fra innatismo eambientalismo: l’individuo è sempre attivo nei confronti del-l’ambiente e nel processo di conoscenza del mondo esterno.Piaget insistette sull’attività organizzatrice dell’individuo e sul-l’intelligenza intesa come costruzione (da qui la definizione dicostruttivismo data alla sua teoria). La conoscenza non è unostato, ma un processo, un evento, una relazione fra conoscentee conosciuto (vi è un’interazione costante fra colui che conoscee il mondo esterno); la persona “costruisce” la sua conoscenza,in quanto prende parte attiva e dà forma al processo di cono-scenza. La conoscenza che il bambino ha del mondo cambiacon lo sviluppo del suo sistema cognitivo. Piaget studiò l’origi-ne e lo sviluppo dell’intelligenza e sostenne che l’intelligenza èla migliore capacità di adattarsi attivamente all’ambiente: intel-ligente è quel comportamento che è appropriato alle richiestedell’ambiente. Il rapporto fra uomo e ambiente si realizza attra-verso uno sviluppo per gradi, che è un equilibramento progres-sivo, un passaggio cioè da una condizione di equilibrio preca-rio, attraverso la rottura di questo equilibrio, a un equilibirosuperiore. In questo processo di crescita, costruzione e svilup-po ci sono varie funzioni, gli invarianti funzionali, cioè quegliaspetti che nell’evoluzione continuano a funzionare; sonomodalità di funzionamento generale che governano tutte leazioni della persona dalle piú concrete azioni all’intelligenzapiú astratta. I piú importanti invarianti funzionali sono l’orga-nizzazione e l’adattamento, il quale si scinde in assimilazione eaccomodamento.

L’organizzazione indica il fatto che il pensiero tende a esse-re costituito di sistemi o strutture, le cui parti sono integrate inmodo da formare un insieme; cosí come, per esempio, i sistemicorporei, digestivo, circolatorio, nervoso. Le strutture sono le

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forme che assume l’organizzazione interna. Fin dalla nascita ein ogni momento dello sviluppo l’organismo possiede una orga-nizzazione e tende a migliorarla sempre piú per avere un equi-librio maggiore. Esiste quindi un insieme di strutture o sistemiinterni che costituiscono il substrato del comportamento e checonsentono all’individuo di comprendere la realtà e attribuiresignificato all’esperienza. Le strutture sono totalità in cui iltutto è piú della somma delle parti e in cui ogni elemento agi-sce in relazione agli altri e in funzione delle leggi che ne rego-lano l’interazione. Con lo sviluppo cambia la natura delle strut-ture mentali, perciò oltre alle relazioni fra il tutto e le parti sonoimportanti anche quelle fra uno stato precedente e uno seguen-te. Le strutture cognitive del bambino piccolo sono chiamateschemi, e precisamente schemi di azione, limitati alla percezio-ne sensibile e alla motricità (da qui la denominazione di stadiosenso-motorio per il primo periodo della vita del bambino). Glischemi sono le unità piú elementari della conoscenza e il lorosviluppo avviene attraverso l’interazione con l’ambiente. Glischemi di azione sono programmi motori che permettono lamanifestazione delle azioni. Lo schema d’azione è un modoparticolare di comportamento (i primi schemi di azione sono iriflessi, come la prensione, la suzione, il rooting, la visione diun oggetto in movimento, il moro, la marcia automatica, ilpianto, il sorriso, ecc…) Lo schema è una totalità organizzatache nell’interazione con l’ambiente e nello sviluppo si viene ageneralizzare e a coordinare con altri schemi d’azione percostruire strutture piú complesse (ad esempio lo schema suzio-ne, inizialmente manifestato a vuoto, viene poi a coordinarsicon gli schemi visione, motricità e prensione, per guardare unoggetto in movimento, allungare il braccio, prenderlo e portar-lo alla bocca per succhiarlo). Solo quando gli schemi di azionediventano schemi mentali e questi si organizzano in unità piú

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ampie si può parlare di vera struttura mentale (processo cheavviene nei primi 7-8 anni di vita del bambino).

L’organizzazione è inseparabile dall’adattamento: organiz-zazione e adattamento sono i due aspetti complementari di unmeccanismo unico; il primo è l’aspetto interno del ciclo, di cuil’adattamento costituisce l’aspetto esterno. Nello sviluppo men-tale le strutture interne si modificano di continuo attraverso gliscambi fra soggetto e ambiente e l’adattamento che si verifica.L’adattamento implica, si scinde e si realizza in due processicontemporanei e complementari: assimilazione e accomoda-mento. Vi è uno scambio continuo di adattamento attivo all’am-biente, che costituisce l’evoluzione dell’intelligenza. L’uomoconosce per assimilazione dell’ambiente, ma raramente questaassimilazione è totale, si verifica spesso una “resistenza” del-l’oggetto, che porta all’accomodamento del soggetto all’am-biente.

L’assimilazione indica la tendenza a incorporare ogni datonuovo, un elemento esterno, all’interno degli schemi (o struttu-re) che l’individuo possiede e che non vengono quindi modifi-cati dall’incontro con stimoli nuovi. L’assimilazione è un pro-cesso di adegamento alla realtà.

L’accomodamento è invece il processo inverso, per cui loschema o la struttura si modifica per accogliere i nuovi oggettidi esperienza, in funzione delle sue caratteristiche. Le strutturesi adeguano alla novità.

L’individuo si sviluppa attraverso un continuo scambio conl’ambiente: assimila oggetti ed esperienze nei suoi schemi men-tali fino a che questi non sono adeguati a contenerli, poi adattale proprie strutture alle nuove esperienze, creando cosí semprenuovi equilibri tra assimilazione e accomodamento. Questoadattamento attivo e continuo all’ambiente costituisce l’intelli-genza; l’intelligenza è la forma piú alta di adattamento, in cui

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assimilazione e accomodamento raggiungono l’equilirbiomigliore. Ci sono momenti in cui prevale l’accomodamentocome nell’imitazione (si arricchisce di schemi già preparati daaltri e accomoda i propri per compiere le azioni che vuole imi-tare), e momenti in cui prevale invece l’assimilazione, come nelgioco (assicura il consolidamento degli schemi e gratifica ilbambino con l’esercizio di attività; il bambino cioè ripete unaazione imparata per assimilarla meglio). Bisogna notare, però,che in ogni momento dello sviluppo assimilazione e accomoda-mento interagiscono sempre assieme e nello stesso tempo,senza che nessuno dei due venga totalmente annullato.

In Piaget è costantemente riaffermato il primato dello svilup-po sull’apprendimento. L’apprendimento non può di per sécreare una struttura logica, può solo anticiparne i tempi, a con-dizione però che lo sviluppo sia giunto a maturazione sufficien-te per realizzare quella struttura. Per Piaget, l’apprendimento èuna complessa attività di rielaborazione mentale permessa daun incremento di maturità, innescato dalla rottura di un equili-brio a cui si sostituisce un nuovo equilibrio piú alto ed evoluto:esplorazione, manipolazione e rielaborazione, non solo ricezio-ne di stimoli ed eventi.

Tutto questo processo evolutivo di costruzione dell’intelli-genza si sviluppa attraverso fasi o stadi di equilibrio tempora-neo, verso forme sempre piú evolute.

Piaget individuò 4 periodi, fasi o stadi dell’evoluzionecognitiva (bisogna notare che a volte Piaget in alcune opere rag-gruppò il secondo e il terzo periodo in un unico periodo piúampio, per cui parlò di 3 periodi invece di 4); all’interno di ogniperiodo o stadio si possono indicare altri sotto-stadi. Uno sta-dio, per Piaget, è un periodo di tempo in cui il pensiero e il com-portamento del bambino in una varietà di situazioni riflettono

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un tipo particolare di struttura mentale. Lo sviluppo è, cosí, siaun processo continuo sia discontinuo, nei passaggi fra l’orga-nizzazione strutturale di uno stadio e quella successiva qualita-tivamente diversa. Le età di passaggio da una fase all’altra nonsono cronologicamente rigide, ma delle medie; ciò che è rigidoè l’ordine di successione delle fasi. Per esempio, può verificar-si che alcune caratteristiche del terzo stadio, invece di manife-starsi a 7 anni, comincino a 6, ma non si realizzeranno maiprima degli aspetti caratteristici del secondo stadio. L’ordine disuccessione, in altre parole, è costante e le strutture caratteristi-che di ogni stadio presuppongono le strutture dello stadio pre-cedente e sono la necessaria premessa di quelle che appariran-no nella fase successiva. Ogni stadio incorpora e trasforma ilprecedente secondo un ordine invariante e senza che si possasaltare nessuno stadio. Gli stadi sono universali e valgono quin-di per tutti, di conseguenza i fattori sociali e culturali non pos-sono determinare un ordine differente, ma possono tutt’al piúinfluire sulla collocazione cronologica delle varie fasi (proble-ma dei decalagès).

Nelle sue ricerche sperimentali Piaget ha fatto uso di varimetodi di ricerca psicologici, soprattutto l’osservazione (senzainterferire nell’azione del bambino), e il metodo del colloquioclinico (realizzato ponendo una domanda e proseguendo sullabase delle risposte date dal bambino alla risposta precedente).

Periodi evolutiviI periodo (0/2 anni-18/20 mesi), stadio senso-motorio (o

sensorio-motorio): il bambino nasce dotato di pochi schemiinnati (i riflessi: cioè reazioni innati come: succhiare, afferrarecon le mani, guardare un oggetto in movimento, fonazione,audizione), che gli permettono di effettuare le prime esperien-ze. Inizialmente il bambino esercita e consolida i propri riflessi

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e poi li applica in situazioni sempre piú numerose. I riflessi pri-mitivi del bambino si trasformano in schemi senso-motori (laprima forma di adattamento). In questo periodo il bambino èassolutamente egocentrico (egocentrismo radicale o aduali-smo: non distingue il mondo esterno da se stesso): inizialmenteil bambino non riconosce che il braccio che muove è il suo (col-lega la cosa verso i 4-5 mesi); questa coordinazione gli permet-te di farsi, attorno ai 6 mesi, un’idea di sé in quanto entità sepa-rata dalle altre; poi scopre che gli oggetti hanno una esistenzaautonoma e persistente, indipendentemente dal fatto che egli lipercepisca (fino a 8 mesi il bambino perde interesse per unoggetto che viene nascosto, poi, fra gli 8 e 12 mesi, lo va a cer-care là dove era stato nascosto); arriva a finalizzare un’azioneall’ottenimento di una mèta. È il periodo delle reazioni circola-ri (ripetizione di un’azione prodotta inizialmente per caso, poieseguita per interesse, cosí da consolidarla e perfezionarla, inmodo da diventare uno schema ripetibile a piacere in altre cir-costanze). Alla fine è superato completamente l’egocentrismoassoluto e riconosce la permanenza dell’oggetto indipendenteda sé.

Piú in dettaglio lo stadio senso-motorio si divide in 6 sotto-stadi.

1) Dalla nascita fino ai 2 mesi: con la riproduzione, tramitel’esercizio riflesso, si consolidano (assimilazione riproduttiva ofunzionale) gli schemi innati (succhiare, afferrare, vocalizzare,ecc.) e si generalizzano (assimilazione generalizzatrice: peresempio, prima il lattante succhia a vuoto poi succhia tutto ciòche gli capita, cioè generalizza uno schema a vari oggetti).Attraverso la suzione, il neonato, comincia a coordinare brac-cio-mano-bocca, costruendo uno schema senso-motorio. Mancala differenziazione tra esterno e interno (adualismo iniziale),non differenzia tra se stesso e il mondo circostante (egocentri-

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smo assoluto che continua per tutto lo stadio successivo). Inquesto sotto-stadio non si osservano né gioco, né imitazione.Sviluppo del linguaggio: nel pianto e non solo, si manifestano iprimi vocalizzi, suoni prolungati vocalici (ahaaaa) o consonan-tici (ccchhhhh).

2) 2-4 mesi: è il momento delle reazioni circolari primarie(ripetizioni di un’azione che riguarda il suo corpo, prima effet-tuata per caso, poi ripetuta per piacere o interesse; per esempio,far schioccare la lingua, toccare parte del suo corpo, ecc.):acquisisce nuovi schemi d’azione (le prime abitudini) e comin-cia a coordinarli tra loro (per esempio, coordina visione e pren-sione: guarda le sue mani mentre afferrano qualcosa; oppureunisce allo schema della suzione un oggetto esterno, il suo ditopollice). L’oggetto costituisce ancora un prolungamento dell’a-zione (per fare venire la madre, per esempio, guarda nella dire-zione dove prima era scomparsa). La ripetizione effettuata perpuro piacere delle reazioni circolari è la prima forma di gioco;inizia a imitare, ma solo ciò che è parte dei suoi schemi riflessi(non può imitare le parti del corpo che non può vedere).Sviluppo del linguaggio: i vocalizzi sono caratterizzati comenel sotto-stadio 1.

3) 4-8 mesi: è caratterizzato dalle reazioni circolari seconda-rie (ripetizione di un’azione rivolta agli effetti sul mondo circo-stante; se per caso tira con le mani un cordone sopra la sua cullache provoca il movimento di un sonaglio, poi ripete il movi-mento per riprodurre il suono); c’è interesse per la realtà.L’intenzionalità però è solo operatoria (ripete l’azione, ma noncapisce il meccanismo di funzionamento, non si fa un’immagi-ne mentale). Il bambino agisce sugli oggetti e produce deglieffetti, ma non sa perché, inizia comunque ad esplorare la real-tà. L’oggetto inizia ad avere una sua realtà autonoma, indipen-dentemente dalla sua attività percettiva o motoria. Però se gli si

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nasconde sotto una coperta il gioco a cui poco prima era inte-ressato, non riesce a recuperarlo e si comporta come se non esi-stesse piú. Il gioco e l’imitazione sono come nel sotto-stadio 2.Sviluppo del linguaggio: a 5-6 mesi si osservano i primi balbet-tíi, sillabe e sequenze di sillabe (popopopopo, mamamama) danon confondere con prime parole; essi hanno origine innata,poiché si verificano anche nei bambini sordi fin dalla nascita.

4) 8-12 mesi: il bambino sa coordinare una sequenza di sche-mi d’azione, differenziando tra mezzi e scopi (il bambino, peresempio, cerca di eliminare gli ostacoli-mezzi, utilizzando glischemi d’azione noti, come battere, tirare, prendere, per rag-giungere uno scopo, come trovare un oggetto nascosto dietro osotto questi ostacoli). Compare cosí l’intelligenza senso-moto-ria proprio perché appare una differenziazione tra mezzi e fini.Mostra di attribuire un’esistenza indipente dalla propria perce-zione agli oggetti, vuole raggiungere uno scopo per il quale nondispone però di uno schema appropriato. Per la formazionedella nozione di oggetto, limita la propria ricerca al luogo doveha visto sparire l’oggetto, se lo si nasconde una seconda voltain un altro luogo, il bambino non è piú in grado di ritrovarlo elo cercherà dove era stato nascosto la prima volta (è celebre alriguardo l’esperimento effettuato da Piaget con la figliaGiacomina). Inizia a imitare anche movimenti a lui invisibili(riesce ad aprire e chiudere gli occhi, tirare fuori la lingua). Nelgioco inizia a ritualizzare alcuni schemi (sequenza di gesti: è unprimo inizio di gioco di finzione). Sviluppo del linguaggio: allafine del primo anno il bambino imita i suoni: è il cosiddettogergo espressivo (intonazione e ritmo).

5) 12-18 mesi: reazioni circolari terziarie (ripetizione diazioni, variandole per trovare nuovi mezzi di azione intenziona-le sul mondo circostante: il bambino cerca di applicare ai nuovioggetti tutte le azioni che sa eseguire; cosí scopre nuove rela-

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zioni, per esempio che un oggetto può spingere, trainare, tirareun altro oggetto; oppure fa scivolare, girare una catena secondotraiettorie differenti). Sperimenta attivamente, inventandomezzi nuovi e costruendo schemi nuovi che applica a una varie-tà di situazioni. È completamente cosciente della sostanzialità epermanenza degli oggetti. Cerca l’oggetto nel posto dove èstato nascosto e segue i vari spostamenti da un nascondiglioall’altro e lo cerca nell’ultimo luogo, ma non lo ritrova se èstato nascosto in posti invisibili (per esempio, se una pallina ètenuta chiusa nel pugno, e poi viene fatta scivolare sotto ilcuscino, il bambino non è piú in grado di ritrovarla). Imita azio-ni per lui nuove, anche di parti del corpo che egli non può vede-re, mettere la mano sulla fronte, toccarsi la lingua, fare “mara-meo”). Sviluppo del linguaggio: a 15 mesi circa emette le primeparole; i suoni accompagnano le azioni (dice “ciao” muovendoinsieme la mano): di solito si tratta di nomi di oggetti che eglipuò manipolare; usa un linguaggio olofrastico (con una parolaintende esprimere una frase intera, per esempio dice “pappa”per intendere “voglio ancora della pappa”).

6) Dopo i 18 mesi, fino ai 24 mesi: può agire sulla realtà conil pensiero; si basa sull’invenzione e non piú sulla scoperta. Ilbambino utilizza gli schemi precedenti in modo simbolico(immagina l’effetto dell’azione, senza bisogno di prove). Hatotalmente costruito la nozione di oggetto permanente, infatti sacercare oggetti nascosti in posti non visti (per esempio la palli-na fatta scivolare nella manica). Le azioni sono ora interioriz-zate. Il bambino è in grado di anticipare mentalmente l’effettodelle azioni, il che indica la comparsa della rappresentazione.Oltre alla nozione di oggetto, costruisce anche le nozioni dicausa, spazio, tempo, che gli consentono di agire su oggetti inun ambiente obiettivo. Inizia a usare il linguaggio per descrive-re cose non presenti o raccontare ciò che ha visto o fatto tempo

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prima e non solo per descrivere le azioni che sta compiendo. Ècapace di giochi simbolici (fingere di mangiare, di bere, di dor-mire): il bambino può fingere (usare un oggetto come se fosseun altro). L’imitazione si estende ai movimenti di oggetti e puòimitare un’azione a distanza di tempo (imitazione differita).Sviluppo del linguaggio: dopo i 18 mesi, per mezzo della fun-zione simbolica (o semiotica), il bambino inizia a formare dellefrasi e si ha cosí il linguaggio vero e proprio (il linguaggio refe-renziale con il quale usa le parole come referenti di qualcosache non è presente; parla di cose che sono altrove, o eventi pas-sati, o situazioni fittizie).

II periodo (2-7 anni) stadio pre-oeratorio: è caratterizzatodall’inizio dell’attività simbolica, rivelata dal linguaggio verba-le, dall’imitazione differita e dal gioco simbolico. Il bambinoriesce a rappresentarsi un’azione con il pensiero, ma non è ingrado di compiere operazioni con il pensiero, cioè di modifica-re tramite il pensiero i dati percettivi di un’attività motoria.Fino a 7 anni, il pensiero del bambino è caratterizzato dall’ego-centrismo del pensiero (o intellettuale), cioè dall’incapacità diconcepire punti di vista differenti dai suoi. Fra le varie opera-zioni, una di quella che piú di tutti mostra in maniera evidentel’uscita dall’egocentrismo è quella che riguarda lo spazio geo-metrico. Infatti, attraverso un celebre esperimento effettuatocon un plastico costituito da tre monti, uno grande che sormon-ta e copre la visuale di altri due piú piccoli, Piaget evidenziòl’incapacità del bambino dello stadio pre-operatorio, dominatodalla percezione, di cambiare prospettiva e comprendere chealtre persone possono avere punti di vista differenti. Solo grazieall’uscita dall’egocentrismo del pensiero e la conquista delleoperazioni reversibili, egli riesce a coordinare i diversi punti divista e costruire dei rapporti proiettivi, comprendendo che a

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ogni posizione dell’osservatore corrisponde un certo sistema direlazioni e una diversa prospettiva.

Il pensiero del bambino è di tipo magico. È caratterizzato daanimismo, artificialismo e finalismo. Con l’animismo egli attri-buisce vita a ogni oggetto. Il bambino non distingue le cose ani-mate da quelle inanimate, per esempio si arrabbia con la fine-stra, con la sedia o con qualsiasi oggetto, perché “l’ha fattoapposta a sbattergli contro e a fargli male”, oppure considera imovimenti degli astri, delle nuvole, del vento come fossero gui-dati da scelte volontarie compiute dagli oggetti stessi dotati diintenzionalità che si muovono verso le loro mète: «Le nuvolesanno quindi di avanzare, perché portano la pioggia e soprattut-to la notte, la quale è una grande nuvole nera che copre il cieloquando è ora di dormire. Piú tardi solo il movimento spontaneoè dotato di coscienza. Per esempio le nuvole non sono piú con-sapevoli «perché non è una persona», ma «sa di soffiare, perchéè lui che soffia»! Gli astri sono particolarmente intelligenti: laluna ci segue nelle passeggiate e torna indietro quando noiinvertiamo il cammino»

L’artificialismo indica la convinzione che le cose siano statecostruite dall’uomo o da una attività divina che operi secondole regole della costruzione umana. Il bambino non distingue glioggetti naturali da quelli creati dall’uomo. Egli pensa, peresempio, che i fiumi, i laghi e il mare possano essere stati sca-vati dall’uomo o da un essere supremo (un grande uomo, unSignore potente, o dai primi uomini) che vi hanno versato l’ac-qua: «gli uomini hanno scavato il lago, vi hanno messo dentrol’acqua e tutta quest’acqua viene dalle fontane e dai tubi.» Tuttoè stato “costruito”: «le montagne «crescono» perché hannopiantato delle pietre, dopo averle fatte; i laghi sono stati scava-ti, e ancora per molto tempo il bambino immagina che le cittàsiano esistite prima dei laghi».

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Con il finalismo egli ritiene che tutti i fenomeni abbiano unoscopo e che la loro ragione consista nell’uso che il bambinovuole farne; per esempio, il sole illumina per fare luce agliuomini, oppure la pallina rotola in una discesa per andare versoil bambino che desidera giocare. «Perché rotola?» chiede, peresempio, il bambino di sei anni alla persona che si occupa di lui,indicando una biglia che, su di una terrazza leggermente incli-nata, si dirige verso la persona che sta all’estremità della pen-denza; gli si risponde allora: «Perché è in discesa», cioè con unarisposta soltanto causale, ma il bambino, non soddisfatto daquesta spiegazione, aggiunge una seconda domanda: «Ma labiglia sa che tu sei lí?». Gli eventi non sono fortuiti o casuali,tutta la realtà, secondo il bambino, è creata su misura per gliuomini e, soprattutto, per i bambini; anzi, principalmente per sestesso, bambino: crede che ogni oggetto, compresi i corpi natu-rali, sia come fatti per…, secondo la formula sintetica dello stileinfantile. Il sole, il lago, o la montagna, è ritenuto «fatto per»scaldare, per andare in battello, o per salirvi; ciò vuol dire cheesso è concepito come fatto per l’uomo e, di conseguenza, lega-to strettamente all’uomo. Un altro esempio chiarisce ancormeglio il significato e la caratteristica del pensiero finalista, nelsuo inscindibile legame con l’egocentrismo: un bambino sichiede perché sopra Ginevra vi siano due monti Salève, mentrenon ci sono due monti Cervino sopra Zermatt. La risposta, peril bambino, non presenta nessuna difficoltà: «c’è un grandeSalève per le lunghe gite e le persone grandi, e un piccoloSalève per le piccole passeggiate e i bambini. […] In altri ter-mini, nella natura non esiste il caso, perché tutto è «fatto per»gli uomini e i bambini, secondo un saggio piano prestabilito dicui l’essere umano è il centro»

Animismo, artificialismo e finalismo, sono caratteristicheindissociabili e perfettamente compatibili fra loro, per la mente

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intuitiva ed egocentrica del fanciullo.Il bambino non segue i princípi di causa-effetto e non agisce

secondo gli schemi della logica. Il bambino non è in grado direalizzare seriazioni e classificazioni: per esempio, se si dannoal bambino tre bastoncini, A, B, C, a coppie A-B e B-C, eglivede che A è piú lungo di B e che B è piú lungo di C, ma nonriesce a dedurre che A è piú lungo di C, se non li confrontadirettamente; oppure – per riportare un altro esempio – egli nonè in grado di comprendere che la stessa quantità di liquido rima-ne uguale, se versato in recipienti di diverse dimensioni; oppu-re, ancora, non comprende che la quantità di sostanza di unapallina di creta rimane la stessa se viene schiacciata.

Il dominio della percezione impedisce l’impiego della logi-ca, cosí che il bambino supplisce a questa carenza con la solaintuizione: appunto per questo si tratta di un pensiero pre-logi-co o intuitivo.Il pensiero del bambino, quindi, non è in grado di compiere unaseriazione (come nemmeno una classificazione), poiché il suopensiero è irreversibile, fintanto che rimane dominato dall’in-tuizione. L’intuizione corrisponde a una irreversibilità deglieventi; la seriazione è, invece, la capacità di costruire un pro-cesso reversibile, in contrasto con il corso della realtà, che èirreversibile. Tra l’intuizione percettiva, immediata, e il ragio-namento operatorio, vi sono vari livelli intermedi attraverso iquali il bambino giunge dall’una all’altro in maniera graduale.

III periodo (7-11 anni) stadio delle operazioni concrete: con-quista la capacità di compiere operazioni mentali (o intellettua-li) sugli oggetti, ma solo con un riferimento concreto a oggettimateriali e ad azioni reali.

Questo è lo stadio delle vere e proprie strutture intellettuali:le azioni interiorizzate si coordinano e si raggruppano per dar

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luogo a delle strutture di insieme, appunto le operazioni intel-lettuali. Le operazioni sono caratterizzate dalla reversibilità. Lareversibilità del pensiero caratterizza la novità rispetto allo sta-dio precedente; la reversibilità permette di ritornare, mental-mente, al punto di partenza: ogni azione è collegata logicamen-te alla sua inversa. Le operazioni compiono delle trasformazio-ni, mentali o concrete, ma conservano immutati alcuni aspettidell’oggetto: invarianti.

La nozione di conservazione della sostanza, dei liquidi, delnumero, della lunghezza, dell’area, del peso, del volume, ecc.,viene acquisita in momenti e a età leggermente differenti. Seper la conservazione dei liquidi fin dai 7 o 8 anni, il bambinodirà: “è la stessa acqua”, “non si è fatto altro che versare”, “nonsi è tolto né aggiunto nulla”, “è piú alto, ma è piú stretto, allorafa lo stesso”, diversamente comprenderà la conservazione dellasostanza, attraverso le compensazioni della deformazione diuna pallina di argilla verso gli otto anni, quella riguardante ilpeso verso i nove-dieci anni, e quella del volume solo attornoagli undici anni.

La prima, e forse piú semplice, nozione di conservazioneacquisita dal bambino è quella dei liquidi. Si presenta al bambi-no un contenitore con dentro una certa quantità di liquido; suc-cessivamente, si travasa il liquido in un contenitore di formadiversa, per esempio piú stretto e alto. I bambini del pensieroegocentrico non considerano costante la quantità di liquido; inseguito, dopo uno stadio intermedio, i bambini di sei anni emezzo o sette comprendono la conservazione della quantità diliquido anche se contenuto in recipienti di forma diversa, unen-do la credenza nella conservazione a una capacità di misurazio-ne sistematica.

Per studiare la conservazione della sostanza si utilizza unapallina di creta e si chiede al bambino di darle un’altra forma.

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Gli si chiede, per esempio, di allungarla a forma di salame, oappiattirla come una pizza, oppure ancora dividerla in due pal-line piú piccole; il bambino prima degli otto anni circa nonriuscirà a comprendere che, anche nelle diverse forme, perma-ne sempre la medesima quantità di sostanza; acquisirà questacapacità solo quando riuscirà a compensare le diverse trasfor-mazioni della forma della materia, mantenendo invariata lasostanza materiale, anche in contrasto con la percezione visiva,che può portare a vedere come piú grande una pizza che unapallina.

Riproducendo lo sviluppo della conservazione della sostan-za, quella riguardante il peso avviene in seguito perché presen-ta elementi nuovi. Per giungere poi alla comprensione dellaconservazione del volume servono ancora alcuni anni poiché lanozione è estremamente complessa. Ancora piú complessa è laacquisizione della conservazione della materia che cambia distato, come lo sciogliersi dello zucchero nell’acqua, che sembrascomparire e dileguarsi come materia. Per comprendere che lamateria si trasforma in profondità fino a fondersi con un’altrasostanza di cui ne modifica le caratteristiche, il bambino deveporre in rapporto la conservazione della sostanza, del peso, delvolume, fino a giungere a una comprensione dell’atomismo delreale e vedere che la zolletta di zucchero si scompone in «pic-cole briciole» durante la dissoluzione.

Inoltre, durante il pensiero operatorio concreto, il bambinodiventa capace di compiere le piú importanti ed elementari ope-razioni logiche: classificare e costruire delle serie.Classificazione e seriazione sono due strutture che rimandano adaltre due funzioni importanti che vengono coinvolte: nella clas-sificazione agisce in maniera piú rilevante il linguaggio infantile,mentre nella seriazione prevalgono i fattori percettivi, anche se visono meccanismi comuni che attivano entrambe le capacità.

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Compiere una classificazione consiste nell’individuare e col-legare rassomiglianze tra oggetti o eventi; la classificazionecostituisce un raggruppamento fondamentale che gli permettedi costruire insiemi di oggetti che hanno caratteristiche comunie sotto-insiemi composti da elementi che possiedono solo unadelle caratteristiche e comprendendo quali sono gli insiemiinclusi in insiemi piú ampi e quali insiemi si intersecano fra lorograzie a sotto-insiemi. Quando il bambino giunge a incastrare leclassi fra loro, attorno agli 8 anni, si ha la vera «classificazioneoperativa». Il principio dell’inglobamento delle parti nel tutto ola scomposizione dell’intero nelle parti è la base della classifi-cazione logica e non semplicemente intuitiva. «Si presenti adesempio al soggetto una scatola aperta con una ventina di palli-ne nere e due o tre palline bianche, tutte di legno, e dopo averfatto costatare quest’ultimo dato (con la manipolazione), sichieda semplicemente se nella scatola vi sono piú palline dilegno o piú palline nere. Ebbene, la grande maggioranza dei piúpiccoli, prima dei sette anni, non riesce a rispondere altro che:«ci sono piú palline nere», perché nella misura in cui dissocia-no il tutto («tutte di legno») in due parti, non riescono piú aparagonare una di queste parti al tutto distrutto mentalmente, esi limitano a paragonare una parte all’altra! Verso i sette anniinvece questa difficoltà dovuta all’intuizione percettiva si atte-nua, e si riesce a paragonare il tutto a una delle parti, ed ogniparte viene ormai concepita in funzione del tutto (una parte = iltutto, meno le altre parti, con l’intervento dell’operazione inver-sa).»

Il bambino è in grado, allora, di compiere addizione e molti-plicazione di classi. Le classificazioni additive aggiungono ele-menti all’interno di una classe (per esempio, inserire una fogliaall’interno la classe delle foglie o un oggetto verde nella classedegli oggetti verdi); con la classificazione moltiplicativa si ha a

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che fare con una matrice a doppia entrata, per esempio dei qua-drati e dei cerchi, rossi e azzurri, cosí che si possono creare leclassi dei quadrati e dei cerchi e quelle degli oggetti rossi e diquelli azzurri. In questo modo il bambino, per compiere unaclassificazione moltiplicativa dovrà classificare nello stessotempo piú classificazioni additive.

La seriazione è la capacità di mettere in serie, dal piú picco-lo al piú grande, o viceversa, degli oggetti, per esempio di ordi-nare una serie di bastoncini secondo l’altezza. È evidente che ilbambino di qualsiasi età è in grado di distinguere due bastonci-ni in rapporto alla loro lunghezza, ma all’inizio si tratta soltan-to di un rapporto percettivo o intuitivo, non di una operazionelogica. Al fine di riuscire a compiere una seriazione, è necessa-rio che il bambino sia in grado di realizzare delle corrisponden-ze fra gli elementi o gli eventi a cui assiste. Deve essere ingrado, in altre parole, di “rovesciare”, tramite il pensiero, l’a-zione compiuta o vissuta e ottenere cosí una operazione rever-sibile. Il bambino acquisisce questa capacità logica operatoriaattraverso alcune tappe. Se si dà al bambino dieci asticelle dipoco differenti, tali da necessitare un confronto due a due, all’i-nizio il piú piccolo forma delle coppie o dei piccoli gruppi; inseguito costruisce una serie per tentativi empirici; infine, versoi sette anni, raggiunge «un metodo sistematico che consiste nelcercare attraverso confronti due a due dapprima l’elemento piúpiccolo, quindi il piú piccolo di quelli che restano, ecc.»

L’acquisizione della seriazione come operazione logicaavviene quando il bambino opera sugli oggetti attraverso lareversibilità del pensiero e la comprensione, operatoria concre-ta, della transitività, per cui se un oggetto concreto A è piú gran-de di un altro B e questo, a sua volta, è maggiore di un terzo C,allora A è piú grande di C.

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Oltre alle operazioni effettuate sull’universo fisico e le ope-razioni logiche legate al mondo concreto, il fanciullo riesce aeffettuare delle operazioni aritmetiche di numerazione (checostituiscono la sintesi di classe e di serie). Se il bambino pic-colo intuisce i primi numeri perché corrispondenti a figure per-cepibili, solo verso i sette anni riesce a comprendere la serieinfinita dei numeri e le operazioni aritmetiche dell’addizione (ela sua inversa, la sottrazione) e della moltiplicazione, comesomma di somme (e la sua inversa, la divisione, come sottrazio-ne di sottrazioni). In particolare, il bambino giunge a conquista-re la nozione di numero attraverso la corrispondenza termineper termine tra due oggetti diversi, posti in rapporto fra loro, peresempio bicchieri e bottiglie, fiori e vasi, uova e porta-uovo. Ilbambino giunge pian piano ad associare in maniera durevoledue oggetti fra loro appartenenti ai due gruppi. Poiché alcunioggetti raggruppati occupano piú spazio, il bambino – per pas-sare dalla quantificazione globale alla corrispondenza termine atermine – deve uscire dal dominio della percezione e porre inrapporto fra loro le unità, prescindendo dalla forma e dalladimensione degli oggetti, oltre che dalla lunghezza e dallo spa-zio occupati. Egli giunge a comprendere cosí i giudizi di equi-valenza e di corrispondenza accompagnati dalla numerazione.Le operazioni logiche e aritmetiche – come si è visto – hannobisogno di un riferimento agli oggetti del mondo reale fisicocollocati nello spazio e nel tempo, che si muovono secondovelocità e stanno in rapporti di causalità o casualità, di necessi-tà o possibilità e probabilità. La costruzione delle nozioni ditempo, spazio, velocità, causa, caso, costituiscono le operazio-ni infra-logiche.

IV periodo (da 11 anni) stadio delle operazioni formali: ilpensiero non esige piú il sostegno dell’esperienza, né di schemi

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d’azione o di supporti materiali: procede da dati teorici e siesercita su ipotesi, lavora con concetti astratti (logica formale),e ricava conclusioni logiche attraverso deduzioni e induzioni:utilizza il procedimento ipotetico-deduttivo; si sviluppa cosí ilpensiero di tipo scientifico, oggettivo.

Il pensiero astratto, ipotetico-deduttivo dello stadio operato-rio-formale inizia a partire dalla pre-adolescenza, verso undici-dodici anni, e continua durante tutta l’adolescenza, giungendoal massimo equilibrio attorno ai quattordici-quindici anni e con-duce alla logica dell’adulto. La capacità di riflettere astratta-mente porta l’adolescente a orientarsi verso l’inattuale, il futu-ro. È un periodo di «grandi ideali o di inizio di teorie.»L’adolescente costruisce – anche se il piú delle volte in manie-ra inconsapevole – dei grandi sistemi ed è interessato a proble-mi talvolta inattuali. La scoperta delle grandi potenzialità delpensiero astratto porta l’adolescente, negli anni in cui sta for-mando una identità dell’Io, a sopravvalutare le possibilità dellariflessione, fin quasi a credere a una onnipotenza delle idee. Ilpensiero formale supera i limiti della realtà esterna rappresenta-ta.

Attraverso l’esercizio del pensiero astratto e logico-formalel’adolescente giunge a una nuova condizione di equilibrio. Conil periodo operatorio-formale, il pensiero non esige piú il soste-gno dell’esperienza, né di schemi d’azione o di supporti mate-riali. Il ragazzo procede da dati teorici e si esercita su ipotesi,lavora con concetti astratti (quelli della logica formale), e rica-va conclusioni rigorose attraverso deduzioni e induzioni: utiliz-za il procedimento ipotetico-deduttivo. Il pensiero è formale,astratto, e può operare in maniera preposizionale.

Si sviluppa, in questo modo, un pensiero di tipo scientifico,oggettivo. Si forma spontaneamente nell’adolescente uno spiri-to sperimentale: egli, cioè, vuole verificare le ipotesi poste e

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analizza le differenze in base alla modificazione degli elementidella situazione. Il ragazzo è in grado di porre delle ipotesi,verificarle e variarle; tutto questo, restando su di un piano pura-mente formale, astratto e verbale.

Naturalmente, le operazioni che l’adolescente compie sonoanche le stesse degli stadi precedenti: classificazioni, seriazio-ni, enumerazioni, misura, disposizione o spostamento nello spa-zio o nel tempo, ecc.; ma tali operazioni vengono elaboratesotto forma di proposizioni linguistiche che le esprimono. Visono però alcuni schemi operatori nuovi che compaiono nellostadio formale. C’è lo schema delle operazioni combinatorie,tra cui le combinazioni, le permutazioni, le aggregazioni.

Le piú importanti operazioni conquistate in questo stadiosono le operazioni proposizionali. I connettivi logici piú utiliz-zati e le conseguenti operazioni sono: la disgiunzione (p v q:o… o; significa che la proposizione è vera se è vera una delledue, oppure entrambe), la congiunzione o esclusione (p · q: e…e; significa che la proposizione è vera solo se sono vere entram-be, vale nel senso di aut aut della logica medievale), la negazio-ne (~p: non; che serve per negare la proposizione), l’implicazio-ne logica (p q: se… allora; nel senso che la proposizioneè sempre vera eccetto quando p è vera e q è falsa), fino alla con-traddizione (p · ~p; che è una proposizione sempre falsa) e allatautologia (p v ~p; che è una proposizione sempre vera).L’adolescente è, dunque, in grado di elaborare e comprendere lalogica delle proposizioni. La mente dell’adolescente riesce autilizzare insieme, contemporaneamente, in maniera astrattatutta una serie di operazioni attraverso un metodo sperimentalee ipotetico-deduttivo.

Questa complessità logica via via crescente che si è costrui-ta nello sviluppo cognitivo dell’adolescente è mostrata inmaniera emblematica da quello che forse è il piú celebre espe-

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rimento piagetiano riguardante lo stadio delle operazioni for-mali: l’esempio del pendolo. In questo esempio si vede chiara-mente che le diverse operazioni vengono utilizzate assieme aglischemi derivati della logica proposizionale e alla coordinazionedi inversione e reciprocità. Attraverso la sperimentazione ordi-nata di tutte le combinazioni possibili, variando un elementoalla volta, lunghezza del filo, peso, altezza della caduta, slancioiniziale, il ragazzo verifica qual è l’elemento che causa la varia-zione della frequenza delle oscillazioni.

Ora, quindi, grazie alla logica delle classi o delle serie, eglinon ha piú bisogno degli oggetti concreti, ma coglie immedia-tamente i rapporti logici e matematici (+ A – A = 0; se A > B eB > C allora A > C). L’adolescente – come l’adulto – è in gradodi comprendere, pertanto, i rapporti formali di inclusione,reversibilità, transitività, ecc. ed è in grado di operare con lalogica delle proposizioni. È ben chiaro che avere la capacità diutilizzare o comprendere le operazioni logiche e proposizionalinon significa averne coscienza e consapevolezza. Il piú dellevolte gli individui compiono operazioni e ragionamenti senzarendersi conto della possibilità di formalizzare questi pensieri.L’adolescente, come l’adulto, oltre a compiere questi ragiona-menti è in grado di comprenderli e riconoscere il sistema diconnessioni delle diverse operazioni, senza necessariamenteesserne cosciente in maniera spontanea. Può non sempre essereconsapevole dei meccanismi logici sottesi al ragionamento, mali utilizza ed è perfettamente cosciente di sé, di essere in gradodi riflettere e di avere un pensiero in grado di compiere tutte leoperazioni logiche.

Grazie alla consapevolezza cosciente della propria interiori-tà distinta dal mondo esterno, il ragazzo (come l’adulto) puòcogliere in maniera soggettiva, ma anche razionale (e non ego-centrica), la percezione del proprio vissuto personale, distinta

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dal tempo oggettivo del mondo fisico esterno a lui. Il ragazzo,ormai pre-adolescente o adolescente, comincia a riflettere suipropri processi di pensiero e ad avere consapevolezza della pro-pria conoscenza. Inizia ad avere coscienza di sé e dei propriprocessi mentali, riuscendo a mettere in atto quello che si chia-ma un meta-pensiero o una meta-conoscenza. Riesce a compie-re auto-analisi e introspezione cosí da giungere a costruire un Iopiú solido ed equilibrato che lo porterà nel mondo adulto. Solodurante il pensiero operatorio-formale, dunque, l’adolescente èin grado di riflettere sui propri aspetti soggettivi, ha consapevo-lezza di sé, del proprio vissuto individuale e dei propri proces-si di pensiero.

Lo sviluppo psichico, dunque, realizza la costruzione deiprocessi conoscitivi. Un presupposto dello sviluppo cognitivo èla maturazione del sistema nervoso, a cui si debbono aggiunge-re l’esperienza (sia acquisita, come ripetizione di azioni e per-cezioni, sia logico-matematica, che riguarda la possibilità disperimentare le proprietà delle azioni) e l’interazione sociale, ilcui strumento principale è il linguaggio. Lo sviluppo è un con-tinuo riequilibrarsi delle strutture cognitive che progredisconoattraverso operazioni di autoregolazione (utilizzando feed-backche l’ambiente fornisce) per costruire strutture sempre piú glo-bali e integrate.

Quindi, per riassumere, gli aspetti invarianti del sistema dibase sono: organizzazione (schemi e strutture) e adattamento(assimilazione e accomodamento); a queste bisogna aggiunge-re una terza invariante funzionale: equilibrazione (quando assi-milazione e accomodamento sono coordinate in maniera bilan-ciata). Questa continua equilibrazione avviene attraverso variperiodi in cui l’equilibrio è provvisorio, dopodiché si rompe esi raggiunge un livello “migliore” di equilibrio.

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Considerazioni sulla pedagogia e sull’educazioneNonostante la conoscenza di Piaget sia necessaria a pedago-

gisti ed educatori, lo studioso svizzero non prestò particolareattenzione alle indicazioni metodologiche e didattiche sull’ap-plicazione delle sue teorie alle situazioni concrete nella scuolae nell’educazione.

Piaget scrisse pochi e brevi testi sui problemi dell’educazio-ne e della pedagogia, quali: Psicopedagogia e mentalità infan-tile (1928); Il diritto all’educazione nel mondo attuale (1948);Dove va l’educazione (1948); L’insegnamento della matemati-ca (1955); Psicologia e pedagogia (1969).

È comunque evidente l’importanza essenziale, per chiunquedebba operare con i bambini, della conoscenza di un sistemacosí globale e ampio sull’evoluzione cognitiva come quello diPiaget. Oltre ad alcune indicazioni generali si possono anchericavare possibili applicazioni specifiche del sistema di Piagetai problemi educativi. La teoria piagetiana ha avuto una profon-da influenza sui metodi e sull’organizzazione scolastica. Piú ditutti ha cercato di sviluppare delle tecniche didattiche dal pen-siero di Piaget, lo studioso H. Aebli, nel suo Didattica psicolo-gica del 1951: anche se questo lavoro è stato contestato damolti ricercatori, perché è piú importante la globalità del lavo-ro di Piaget per l’educazione del fanciullo e la formazioneumana, che non l’applicazione didattica spicciola.

Dato che ogni pedagogia si basa sempre su una psicologia,Piaget si augura che il rapporto fra la sua psicologia genetica ela pedagogia diventi costante e sistematico, anche se non si può,secondo Piaget, trarre direttamente dalla psicologia un pro-gramma educativo.

Comunque sia, la teoria di Piaget che il pensiero è azioneinteriorizzata, cioè operazione, e che “essere significa fare”

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sono importanti indicazioni che furono utilizzate per la realiz-zazione di scuole nuove e di una didattica attiva che riconosces-se l’importanza del fare per apprendere. Per Piaget pensare èoperare secondo stili diversi, relativi alle diverse tappe dell’etàevolutiva.

Piú che dare indicazioni metodologico-didattiche, dunque, lostudio del pensiero di Piaget aiuta a capire il significato dell’e-ducazione, la sua importanza e i suoi compiti. Inoltre, l’atten-zione data alla razionalizzazione, alla scientificità e alla speri-mentazione, l’interesse per le scienze e l’interdisciplinarietàdella ricerca di Piaget offrono indicazioni anche sul rigore esulla scientificità necessarie nell’attività didattica, nonché l’im-portanza di collegare assieme tutte le discipline di studio. Èimportante notare che sperimentazione per Piaget non si riferi-sce agli esperimenti in laboratorio, bensí alle situazioni natura-li in cui si svolgono i processi di apprendimento.

Tutto lo studio dello sviluppo psichico del bambino e tutti gliesperimenti realizzati da Piaget e raccontati nei suoi testi pos-sono essere utilizzati e riproposti nei vari livelli per controllaree verificare l’apprendimento, senza pretendere di richiedereprestazioni dal bambino che questi non è in grado di dare pro-prio perché non adeguatamente strutturato cognitivamente enon giunto a determinati stadi di sviluppo. Se non si ha, peresempio, la nozione di numero non ha senso lo studio dei nume-ri. Imparare determinate materie significa prima di tutto impa-rare ad eseguire certe operazioni utili per conseguire le nozionie le conoscenze. Se un bambino non possiede le operazioni diclassificazione e seriazione e le nozioni topologiche di spaziogeometrico, non si potranno insegnare algebra e geometria.Finchè non si sono costruite le nozioni infralogiche di spazio etempo non avrà senso affrontare lo studio della geografia e dellastoria.

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Infatti l’aspetto che Piaget ha maggiormente sottolineatoriguardo l’educazione è il legame indispensabile tra lo sviluppopsico-genetico del bambino e il contenuto dell’insegnamento;le strutture conoscitive possono servire da punto di riferimentonella scelta dei contenuti dell’insegnamento.

È necessario, dunque, riformare i programmi e i metodi diinsegnamento in conformità con i risultati della psicologia dellosviluppo, ma ancor piú importante – come sostiene inPsicologia e pedagogia del 1969 – è preparare adeguatamentegli insegnanti alle nozioni di teoria dello sviluppo, di psicologiadell’apprendimento, di psicologia dell’intelligenza e di pedago-gia sperimentale. Questo porterebbe a ridurre il conservatori-smo presente nelle scuole, a migliorare lo sviluppo dei bambinie ad elevare il livello culturale dei popoli, portando anche unmiglioramento di ordine economico (sia per gli insegnanti cheper la società intera). È chiaro che la formazione scientifica del-l’insegnante non deve penalizzare né la cultura generale neces-saria a produrre una certa apertura mentale, né lo sviluppo delleattività pratiche, collegate con il mondo esterno.

Dato che il bambino non impara in modo passivo dall’am-biente e dal linguaggio, ma da una assimilazione attiva, èimportante che la scuola gli permetta di imparare in questamaniera. Piaget sostiene che le scuole attive e i radicali muta-menti di prospettive pedagogiche realizzati da pensatori qualiDewey, Claparède, Decroly, Montessori, hanno potuto nasceree verificarsi nel XX secolo grazie anche alla psicologia geneti-ca ed evolutiva che ha vivificato la pedagogia.

Tutte queste considerazioni implicano che non si possanopiú fare le solite lezioni tenute con un linguaggio adulto, mabisogna far agire (ma non nel senso di una pratica del lavoromanuale), cioè permettere che egli possa esercitare i proprimeccanismi mentali in corrispondenza con la sua evoluzione

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strutturale (dunque un bambino piccolo del periodo pre-logicodovrà manipolare, affinché in età scolare cominci a sperimenta-re da solo). L’insegnante, per esempio, se vuole spiegare il con-cetto di frazione non presenterà delle figure di oggetti divise inparti uguali, ma dividerà effettivamente un oggetto concreto difronte alla classe o lo farà fare agli alunni stessi.

Il maestro deve saper dosare le novità degli oggetti da stu-diare, senza eccedere (perché l’eccessiva confusione di stimoliblocca e fa regredire il bambino). L’educazione attiva, però, nonè un’educazione individualista, al contrario si realizza in socie-tà, combinando il lavoro individuale con quello di gruppo. Inquesto modo, ai 7-8 anni, sarà stimolato a superare l’egocentri-smo del pensiero e trasformarlo in reciprocità operante. È diprimaria importanza la dimensione sociale in cui l’educazionedel pensiero si svolge. Il maestro deve unire alla solida forma-zione scientifica, anche la capacità inventiva e creativa perpoter svolgere al meglio il proprio lavoro, ma senza dimentica-re la sperimentazione continua e metodica.

Piaget polemizzò contro i falsi tentativi di realizzare metodipedagogici attivi attraverso una pura e semplice attività di con-tatto con i fenomeni; allo stesso modo contestò l’uso di fareesperimenti in classe se questi vengono fatti solo dall’insegnan-te; o anche l’uso di audiovisivi se questi rischiano di riproporreil tradizionale verbalismo, applicato alle immagini anziché alleparole; criticò anche l’istruzione programmata di stampo com-portamentistico e le “macchine per apprendere” realizzate daSkinner, in quanto non lasciano spazio all’iniziativa e alla crea-tività dell’alunno. In conclusione, per Piaget l’insegnamentoattivo si basa sull’azione che tende a una costruzione operatoriadell’astrazione e a favorire lo sviluppo dell’intelligenza.

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Bibliografia essenziale. Opere di Piaget sulla psicologia:Psicologia dell’intelligenza, trad. it. Giunti, Firenze 1952Lo sviluppo mentale del bambino, trad. it. Einaudi, Torino 1967La psicologia del bambino, trad. it. Einaudi, Torino 1970L’epistemologia genetica, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1971Opere di Piaget sulla pedagogia:Psicologia e pedagogia, trad. it. Loescher, Torino 1970Dove va l’educazione, trad. it. Armando, Roma 1974Cos’è la pedagogia, trad. it. Newton Compton, Roma 1999

Letteratura critica:H. G. FURTH, Piaget per gli insegnanti, Giunti Barbèra, Firenze 1980E. GATTICO, Jean Piaget, Bruno Mondadori, Milano 2001

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36La scuola storico-culturale e la psicologia di Vygotskij

In Unione sovietica, negli anni Venti-Trenta, in stretto rap-porto con le trasformazioni sociali e politiche prodotte dallaRivoluzione bolscevica dell’Ottobre del 1917, si sviluppò unaprospettiva psicologica la quale intesse essere aderente ai prin-cipi filosofici di Marx e del suo materialismo storico-dialettico,sulla base dei quali si era realizzata la rivoluzione: la scuola sto-rico-culturale di Lev S. Vygotskij (1896-1934), AleksejLeont’ev (1903-1979) e Aleksandr Lurija (1902-1977). Essisvolsero importanti ricerche sui processi cognitivi, studiando ilcomportamento e le funzioni psichiche in prospettiva evolutiva.Studiò le opere di alcuni dei piú importanti psicologi occiden-tali, quali Piaget, Freud, gli psicologi della Gestalt e tanti altricelebri autori, rimanendo invece da questi sconosciuto per lun-ghi anni. Nonostante la base del materialismo storico-dialettico,quando il regime comunista sovietico divenne piú rigido e auto-ritario (soprattutto con Stalin), si preferí una psicologia comequella di Pavlov, piú rigorosa e quantitativa, a quella storico-culturale, colpevole di lasciare “troppo spazio” all’individuali-tà. Per questa ragione, non venne molto diffusa in URSS, dal1936, due anni dopo la morte di Vygotskij, in seguito al decre-

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to contro la pedologia del Comitato centrale del PCUS, le sueopere vennero proibite). Oltre a questo, altri due elementi impe-dirono la diffusione delle teorie della scuola storico-culturalenel resto del mondo, e per parecchi decenni: da una parte lascarsa conoscenza in Occidente della lingua russa, e dall’altrala situazione politica del secondo dopoguerra, che vedeva ladivisione, con la “cortina di ferro”, dei due blocchi, sovietico eoccidentale. Bisogna ricordare, poi, che Vygotskij si ammalòmolto giovane di tubercolosi e morí a soli 38 anni, lasciandocomunque un’importantissima eredità, la sua scuola e unaimportantissima opera pubblicata postuma, nel 1934, Pensieroe linguaggio.

Nonostante la genialità di Vygotskij, non bisogna commette-re l’errore di ridurre la scuola storico-culturale esclusivamentealle sue idee, poiché anche il lavoro di Leont’ev e Lurija è estre-mamente importante e stimolante.

Comunque, solo a partire dagli anni Sessanta del XX secoloquesti autori furono studiati e tradotti anche in America e inEuropa, e solo negli anni Ottanta si cominciò a ricostruirne inmaniera rigorosa la biografia e il pensiero. Fra coloro che con-tribuirono maggiormente alla riscoperta della scuola storico-culturale possiamo ricordare Jerome Bruner (nato nel 1915), ilquale colse l’importante valore degli studi sulla cognizione esullo sviluppo psichico; egli valutò soprattutto l’importanzadella rappresentazione del mondo costruita dal bambino sullabase delle regole socioculturali, delle convenzioni linguistichee dei sistemi semiotici. In Italia, uno dei maggiori studiosi diVygotskij che, a partire dalla fine degli anni Settanta, ha tradot-to le opere direttamente dal russo, è stato Luciano Mecacci.

Il nucleo centrale della scuola storico-culturale è la “teoriadell’attività” elaborata da Leont’ev.

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Cercando di realizzare una psicologia in sintonia con i prin-cípi del materialismo storico-dialettico marxiano, la scuola sto-rico-culturale (come è spiegato nei saggi contenuti nel libro diLeont’ev, Attività, coscienza, personalità del 1975) sostenneche il rapporto dell’individuo con l’ambiente è sempre mediatodall’attività del soggetto, per cui, sebbene la conoscenzacominci dagli stimoli ricevuti dall’ambiente (soprattutto socia-le, storico e culturale), il soggetto non è passivo (al contrario diquanto sostenuto dalla teoria S-R dei comportamentisti) e, dopoaver raccolto gli stimoli dall’ambiente esterno, agisce a suavolta sulla realtà, trasformandola. Si può riassumere il rapportofra individuo (soggetto=S) e ambiente (oggetto=O), tramitequesto schema in cui l’elemento che media è sempre l’attività(A):

O A S A O

Come si può osservare, tutto ha inizio con l’oggetto, conl’ambiente esterno (materiale, storico e sociale) che fornisce glistimoli, ma questo è recepito dal soggetto in maniera attiva tra-mite un lavoro mentale, a cui segue un ulteriore processo dirielaborazione e trasformazione dello stesso mondo esterno.

Anche il lavoro di Lurija risultò molto importante e stimo-lante, soprattutto per le ricerche sui sistemi funzionali cerebra-li, che ebbero origine dagli studi compiuti sui feriti al cervellodella Grande guerra. Lurija rifiutò la localizzazione rigida dellefunzioni cerebrali; sia la funzione, sia la localizzazione nel cer-vello sono estremamente dinamiche: l’organizzazione cerebra-le, cioè, è in continua evoluzione dall’infanzia all’età adulta.

Vygotskij nacque a Orsha, una piccola città dellaBielorussia, nel 1896, l’anno della nascita di Piaget, da famigliadi origini ebree; studiò filosofia, si appassionò all’arte e alla let-

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teratura e si laureò in giurisprudenza. Lavorò come critico d’ar-te e insegnante. Divenne celebre a partire dal 1924, quando ilsuo genio venne notato in una famosa conferenza al “Secondocongresso di psiconeurologia”. Dal 1924 al 1934, anno dellasua morte, diede vita alla “troika” (dei tre) con Leont’ev eLurija, all’Istituto di Psicologia di Mosca. L’opera principale diLev Vygotskij fu Pensiero e linguaggio, uscita postuma nel1934, anno della morte.

Il primo aspetto del pensiero di Vygotskij da sottolineare è lapriorità dell’azione sulla cognizione. Egli sostenne che si debbastudiare lo sviluppo sia individuale (ontogenesi) sia delle specie(filogenesi), ma vi è un “salto qualitativo” tra gli animali e l’uo-mo. Nell’uomo è riscontrabile una continuità fra strutture e fun-zioni psichiche, la quale presenta dei momenti critici che distin-guono i comportamenti (vi sono dei salti nel modo di interagi-re con ambiente). Il salto dall’animale all’uomo che c’è statonello sviluppo filogenetico corrisponde, nello sviluppo ontoge-netico, alla formazione umana di funzioni complesse. Solo nel-l’uomo l’interazione con l’ambiente si caratterizza per l’uso distrumenti, sia materiali (utensili: la costruzione di oggetti comeattrezzi e macchine è stato il salto che ha dato vita all’intelligen-za umana) sia di simboli (linguaggio: i sistemi di numerazione,la scrittura, le scienze). Questi strumenti sono appresi nel rap-porto con il contesto sociale, poi impiegati come strumenti inte-riori senza bisogno di stimoli esterni. La caratteristica della vitaumana è, quindi, l’uso di strumenti, che da strumenti materialidiventano strumenti psicologici: concetti, simboli, opere d’arte,scrittura. Il sistema scolastico è il luogo in cui questi strumentipsicologici vengono trasmessi. Il linguaggio è l’elemento cen-trale che media il passaggio dall’azione alla cognizione.

Pensiero e linguaggio, per Vygotskij hanno radici genetichedifferenti (inizialmente vi è una attività di pensiero senza uso

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del linguaggio). Poi, a un anno e mezzo o due circa, nel bambi-no il pensiero e il linguaggio cominciano a interagire (il lin-guaggio diventa uno strumento di comunicazione del pensiero).A quattro anni circa, il linguaggio è usato come strumento diregolazione del proprio comportamento (prima a voce alta: faseegocentrica), fino a sette anni circa, quando l’interiorizzazionediventa completa (graduale). A questo riguardo è celebre, eimportante da ricordare, la critica di Vygotskij a Piaget sul con-cetto di fase egocentrica. Per Vygotskij, il linguaggio ha inizial-mente una funzione interpsichica (è un’attività sociale chemette in rapporto una persona con un’altra per fini comunicati-vi e di interazione sociale), poi diventa intrapsichica (un’attivi-tà individuale che permette di regolare dall’interno i propri pro-cessi psichici e il comportamento). Con il linguaggio egocentri-co, quindi, il bambino inizia a orientarsi mentalmente, a riflet-tere e a pensare. La comunicazione verbale tra bambino e adul-to è il momento interpersonale (interpsichico) che precede lacomunicazione mentale interna del bambino (intrapsichica).Per Piaget, invece, il percorso è opposto: il linguaggio, da ini-ziale funzione interna, diventa sociale (il linguaggio egocentri-co manifesta l’egocentrismo del bambino, che è il passaggio-compromesso tra autismo iniziale e prima socializzazione).Inoltre, l’intelligenza – secondo Piaget – nel corso dello svilup-po psichico costruisce le varie attività e funzioni psichiche, tracui il linguaggio (per cui quest’ultimo è un prodotto dell’intel-ligenza), mentre – secondo Vygotskij – linguaggio e intelligen-za hanno origini differenti, e il linguaggio ha un ruolo centralenello sviluppo dell’intelligenza. Vygotskij concepisce, quindi,una molteplicità di aspetti psichici che si sviluppano, per poiincontrarsi e coordinarsi nel pensiero, mentre in Piaget vi è ununico sviluppo dell’intelligenza.

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Considerazioni psico-pedagogicheTutti i processi comunicativi e lo sviluppo cognitivo conse-

guente, si verificano sempre in un contesto sociale e culturale.Ogni mente che si sviluppa ha una sua storia individuale, per-sonale, che si svolge nella relazione con le altre menti all’inter-no della società.

Vygotskij sottolinò l’importanza dell’ambiente sociale e del-l’apprendimento, senza assolutamente eliminare la presenzadell’individuo con le proprie capacità di elaborazione e creazio-ne. Nel processo di apprendimento, in particolare scolastico(che invece Piaget aveva eccessivamente sottovalutato), èimportante il concetto di “zona di sviluppo prossimale”, secon-do il quale il bambino ha determinate potenzialità che può svi-luppare e attualizzare, solo se stimolato adeguatamente dall’e-sterno dall’adulto; il fanciullo, autonomamente, non sarebbe ingrado di ottenere quei risultati che invece riesce a raggiungeregrazie a questi stimoli.

Il linguaggio ha una struttura innata, ma concretamente (lalingua realmente parlata) si determina nell’ambiente sociale eculturale in cui si vive. Lo sviluppo potenziale può essere avvia-to – come si è appena detto – attraverso opportuni interventipedagogici (si nota l’importanza fondamentale dell’istruzioneche deve prospettare lo sviluppo di nuove potenzialità attraver-so un intervento dell’adulto): «in collaborazione, sotto la dire-zione e con l’aiuto di qualcuno, il bambino può sempre fare dipiú e risolvere problemi piú difficili di quando agisce da solo»e, in seguito, sarà in grado di fare da solo ciò che prima facevacon l’adulto. L’apprendimento, dunque, è una funzione di natu-ra sociale e comunicativa, in opposizione alla teoria di Piagetche nega un ruolo rilevante ai processi apprenditivi (apparatoeducativo). Alla predominanza data da Piaget allo svilupporispetto all’apprendimento, Vygotskij contrappone una relazio-

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ne di complementarietà (una dialettica; una dinamica proces-suale continua), in cui l’apprendimento ha un ruolo attivo nelprodurre sviluppo (promuovere, anticipare e sviluppare lepotenzialità evolutive del bambino).

Vygotskij sostenne che è molto importante, per l’educazionedel bambino, anche il gioco, che è la realizzazione di desideri,un addestramento, un rispetto delle regole; in sostanza esso èsia piacere sia rispetto delle norme, sia progetto sia esercizio. Èanche importante l’attività creativa: creare non significa inven-tare, ma rielaborare la realtà, smontare e ricomporne i dati e glielementi, dare risposte nuove e diverse ai problemi (non serveessere dei genî per essere creativi). Tutto ciò nasce vivendo inun ambiente libero, stimolante, con un intervento educativorispettoso dell’espressione personale, teso a stimolare domandepiú che a dare risposte. Ciò che è appreso dall’ambiente (l’og-getto) viene poi interiorizzato (dal soggetto) e viene a costitui-re l’insieme di regole, strategie e contenuti dell’attività psichi-ca e infine viene riutilizzato per modificare l’ambiente (ancorail circolo: oggetto-attività-soggetto-attività-oggetto).

La scuola storico-culturale studiò soprattutto lo sviluppo nelbambino delle funzioni psichiche superiori, quali il ragiona-mento, la volontà, il pensiero logico, la formazione dei concet-ti; tutti questi aspetti – come già anticipato – divennero gli argo-menti di ricerca privilegiati della psicologia cognitivista, dopogli anni Sessanta del XX secolo, in particolar modo in ambienteinglese e statunitense.

Bibliografia essenziale. Opere di L. VygotskijPensiero e linguaggio, trad. it. Giunti, Firenze 1966Lo sviluppo psichico del bambino, trad. it. Editori Riuniti, Roma 1973Immaginazione e creatività nell’età infantile, trad. it. Editori Riuniti,

Roma 1972

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Pensiero e linguaggio, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1992Opere di A. LurijaUn mondo perduto e ritrovato, trad. it. Editori Riuniti, Roma 1973

Verso una teoria dell’istruzione [1966], Armando, Roma 1967Il significato dell’educazione [1971], Armando, Roma 1973Opere di A. Leont’evAttività, coscienza, personalità, trad. it. Giunti, Firenze 1977Letteratura critica:O. LIVERTA SEMPIO, Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo,

Cortina, Milano 1998.

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37Jerome Seymour Bruner

Dopo il crollo della borsa di Wall Street del 1929, che portòenormi conseguenze nella crisi degli anni Trenta, e in seguito inquella post-bellica degli anni Cinquanta, la situazione politica,sociale e, di conseguenza, le principali dottrine psicologiche epedagogiche (la scuola attiva e il pensiero di Dewey, il compor-tamentismo, la Gestalt e la psicoanalisi freudiana) subirono unacrisi molto travagliata, e si cominciò a sentire la necessità diuna loro revisione. L’ottimismo pragmatista tipicamente ameri-cano subí un ulteriore attacco quando avvenne il lancio delprimo satellite sovietico nel 1957, lo Sputnik, che dimostò lasuperiorità tecnologica dell’URSS nei confronti degli USA. Lasocietà americana, per colmare la distanza dai paesi comunisti,richiese una maggiore efficienza e piú concreti risultati educa-tivi.

Jerome Bruner (nato nel 1915), laureatosi in psicologia adHarvard nel 1941, fu chiamato a presiedere la Conferenza diWoods Hole del 1959, organizzata dall’Accademia Nazionaledelle Scienze per la revisione dei programmi allora adottatinelle scuole americane. Nel 1960 fondò il Centro per gli StudiCognitivi. Si oppose alla teoria di Dewey e le idee del compor-tamentismo, in nome di un maggior sviluppo e utilizzo all’in-

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terno della scuola delle funzioni cognitive superiori, eccessiva-mente trascurate o negate sia dall’attivismo sia dagli psicologibehavioristi; fu critico, inoltre, anche nei confronti della psico-logia della Gestalt e della psicoanalisi freudiana. Storicamenteè stata una delle figure centrali della pedagogia negli anni delcognitivismo. Fu soprattutto merito di Bruner la riscoperta neipaesi di lingua anglosassone del lavoro di Vygotskij e dellascuola storico-culturale. Le sue opere piú importanti sono: Ilpensiero: strategie e categorie (1956); Dopo Dewey; il proces-so di apprendimento nelle due culture (1960); Il conoscere.Saggi per la mano sinistra (1962); Verso una teoria dell’istru-zione (1966); Lo sviluppo cognitivo (1966); Il significato dell’e-ducazione (1971); Il linguaggio del bambino (1983); La mentea piú dimensioni (1986); La ricerca del significato (1990); Lacultura dell’educazione (1996).

Come accennato, Jerome Bruner criticò profondamente lescuole psicologiche entrate in crisi negli anni Cinquanta. Alcomportamentismo rimproverò di voler spiegare con la teoriadella risposta allo stimolo ciò che in realtà è molto piú comples-so; alla psicoanalisi di aver ridotto l’attività razionale a un ruolomarginale nella vita cognitiva dell’individuo; alla scuola dellapsicologia della forma, infine, di voler ridurre la percezione afenomeno a sé, slegato dalla vita psichica dell’uomo. Partendoda un approccio cognitivista, al quale uní una componente psi-cologica e una sociologica, Bruner si interessò poi di pedago-gia, educazione e didattica, finché giunse a elaborare una verae propria teoria dell’istruzione.

Oggetto privilegiato dei suoi studi fu l’attività cognitiva delpensiero; definí il pensiero un processo costruttivo che elaborai dati dell’esperienza culturalmente determinati. Questa defini-zione è densa di implicazioni e significati, che vanno ben messi

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in luce per poter comprendere le tesi dello studioso americano.Il primo processo cognitivo preso in esame è la categorizza-

zione, atto che consiste nel raggruppare in classi o rendere equi-valenti vari oggetti, persone o eventi fra loro diversi. Brunerconsiderò questa capacità un atto di invenzione, perché la cate-gorizzazione degli stessi dati può di volta in volta fondarsi sucategorie affettive, funzionali, formali, e dunque rispondere aesigenze diverse provenienti dal soggetto. Ciò che troviamocome costante è semplicemente l’atto del categorizzare, mentrele categorie impiegate sono variabili. Non è però solo una que-stione soggettiva; secondo Bruner, le categorie scelte riflettonoprofondamente la cultura di provenienza. Il linguaggio, il mododi vivere, la religione, la scienza di un popolo, tutto ciò concor-re a formare la storia personale di un individuo, e influenza pro-fondamente il suo modo di pensare il mondo. La categorizza-zione è alla base di processi piú complicati, quali le inferenze,le elaborazioni di ipotesi e le loro verifiche.

Secondo Bruner, l’evoluzione umana ha trasformato biologi-camente gli esseri attraverso agenti esterni, e non interni; evo-luzione e adattamento si spiegano cioè come trasformazionegenetica e psichica determinata dalla necessità di adeguare leabilità interne (gli atti sensoriali, la percezione, il pensiero) alleesigenze poste dagli utensíli esterni: “l’uso degli arnesi, la vitasul suolo, la vita di caccia crearono il grande cervello umano, enon fu l’uomo dal grande cervello a scoprire certi modi di vita”.

Per lo studioso americano, quindi, l’uomo dipende dall’ere-ditarietà di caratteristiche acquisite dal patrimonio culturaleanziché da quello cromosomico. La cultura diventa allora lostrumento principale per garantire la sopravvivenza.

Da questa prospettiva, lo psicologo americano prese inesame gli studi compiuti da Piaget sull’età evolutiva. La primacritica rivolta al ginevrino fu che egli si è limitato a descrivere

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il processo di maturazione delle strutture mentali, trascurandogli altri elementi che influenzano lo sviluppo. Ciò che Brunerconservò delle teorie piagetiane è il modello dello sviluppo arti-colato in tre fasi: attività psico-motoria, pensiero pre-operatorioe operatorio concreto, pensiero operatorio formale; a sua volta,Bruner distinse tre modalità rappresentative: esecutiva, iconica,simbolica.

Nella prima fase, quella definita esecutiva, il mondo è rap-presentato prevalentemente attraverso l’azione; la fase iconicacostruisce il mondo attraverso l’immagine, la quale si liberaprogressivamente dai condizionamenti percettivi; la terza fase,simbolica, usa il sistema simbolico del linguaggio per esprime-re concetti e categorizzazioni. A differenza di Piaget, però,secondo Bruner non possiamo parlare di stadi evolutivi distinti;se è vero che ciascuno dei tre tipi di rappresentazione incidemaggiormente sulla vita mentale degli esseri umani in etàdiverse (bambino, fanciullo, preadolescente), lo sviluppo intel-lettuale non è una semplice sequenza automatica, ma risentedelle influenze ambientali e dell’ambiente scolastico.L’educazione al pensare scientifico non deve seguire passiva-mente lo sviluppo dell’allievo, ma guidarlo, proponendo pro-blemi impegnativi e tali da consentirgli di porsi a capo del suosviluppo. I tre sistemi della rappresentazione (esecutiva, iconi-ca e simbolica) non sono da considerare “stadi”, termine cheindica una consequenzialità rigida, ma caratteristiche salientinel corso dello sviluppo. Una conseguenza delle teorie diBruner è il fatto che tutto può essere insegnato a qualsiasi età,purché il contenuto dell’apprendimento sia tradotto in forme dirappresentazione adeguate. È quindi possibile accelerare i pro-cessi di apprendimento, anziché seguire passivamente lo svilup-po cognitivo dell’allievo.

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Un altro bersaglio delle critiche di Bruner fu la “scuola atti-va” di Dewey, colpevole di privilegiare troppo gli obiettivi disocializzazione rispetto a quelli intellettuali. Per Dewey lascuola era una forma di vita comunitaria che trasmette la cultu-ra, era cioè vita essa stessa, e non preparazione alla vita. Sevuole assolvere il suo compito, la scuola deve portare a contat-to con visioni del mondo diverse da quella della propria cultu-ra, per esplorarle. Dewey, inoltre, attribuiva un primato all’a-zione del bambino, ritenendo che il metodo di insegnamentofosse implicito nella sua natura; secondo Bruner, invece, ilmetodo va cercato all’interno delle discipline. L’educazioneinoltre deve rispondere alle richieste della società contempora-nea; pur considerando il mondo psichico dell’alunno, bisognametterlo di fronte alle esigenze del mondo attuale. In una civil-tà tecnologicamente avanzata, il processo di apprendimentoperde inevitabilmente il suo carattere di continuità con la vitaadulta, per svolgersi al di fuori del contesto dell’azione, lonta-no dalla percezione diretta della realtà; la rappresentazione ese-cutiva e quella iconica hanno quindi meno spazi per il loro uso,mentre prevale la comunicazione simbolica.

Una scuola conforme alle necessità di oggi, allora, devesuperare rapidamente i momenti dell’azione e dell’immagina-zione, e introdurre gli alunni nel mondo dei simboli. Questo nonsignifica assolutamente privilegiare il momento razionale suquello intuitivo; l’esperienza immediata rimane un momentonon eliminabile, sul quale bisogna costruire il processo dell’ap-prendimento. Per Bruner, quindi, è necessario prestare attenzio-ne sia allo sviluppo delle funzioni logiche e scientifiche (lamano destra) sia di quelle intuitive (la mano sinistra), vale adire la metafora, il simbolo, il mito, la capacità narrativa. Il pen-siero narrativo, in particolare, è generalmente considerato inopposizione a quello logico-scientifico. Si ritiene che esso sia

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innato, non insegnabile e, piú che utile, “decorativo”. Brunermise in discussione tutti questi luoghi comuni, e sottolineòl’importanza di questa modalità cognitiva per lo sviluppo del-l’individuo. Il “creare storie” risulta essere importante almenoquanto le capacità logico matematiche.

La scuola, quindi, deve essere in grado di definire esperien-ze utili e stimolanti per l’apprendimento, programmare tempi emodi in cui si realizzano le proposte didattiche (programmid’insegnamento e metodi), verificare l’effettivo sviluppo rag-giunto dagli allievi attraverso l’esame di azioni, immagini osimboli a seconda dei casi, organizzando una struttura ordinatadelle discipline da proporre e prevedendo un sistema di gratifi-cazioni e punizioni.

Nello svolgimento del curricolo di studi si devono assolverequattro compiti:

1) stabilire le esperienze che motivano e predispongono adapprendere;

2) le materie, i contenuti, le informazioni e le conoscenzedevono essere strutturate in modo da esser comprensive e assi-milabili;

3) individuare il processo ottimale per presentare la materia;4) indicare punizioni e ricompense per rinforzare nozioni e

abilità acquisite.Bruner delineò un metodo generale, ma all’insegnante rima-

ne la responsabilità di interpretare e adattare il tutto alla situa-zione individuale, ambientale e sociale.

Bibliografia essenziale. Opere di J. BrunerVerso una teoria dell’istruzione, trad. it. Armando, Roma 1967Il conoscere: saggi per la mano sinistra, trad. it. Armando, Roma 1968Il significato dell’educazione, trad. it. Armando, Roma 1973Il processo educativo dopo Dewey, trad. it. Armando, Roma 1977

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Autobiografia. Alla ricerca della mente, trad. it. Armando, Roma 1984Il linguaggio del bambino, trad. it. Armando, Roma 1987La mente a piú dimensioni, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1988La ricerca del significato, trad. it. Bollati Boringhieri Torino 1992La cultura dell’educazione, trad. it. Feltrinelli, Milano 1997Letteratura critica:M. GROPPO, V.ORNAGHI, I.GRAZZANI, L. CARRUBBA, La psicologia cultu-

rale di Bruner, Cortina, Milano 1999

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38Howard Gardner e la teoria delle intelligenze multiple

Howard Gardner, nato a Scranton, in Pennsylvania, nel1943, da genitori ebrei tedeschi emigrati negli Stati Uniti persfuggire alle persecuzioni naziste, dopo una formazione in pro-vincia, nel 1961 si iscrisse all’Università di Harvard. Iniziatoalla psicologia da Erik Erikson, abbandonò presto gli studi sulprofondo per dedicarsi all’esplorazione del cervello e dellamente da un punto di vista cognitivo. Fu la conoscenza diJerome Bruner a indirizzarlo alle ricerche delle funzioni cogni-tive dei bambini. Dopo aver studiato un anno a Londra, fre-quentò a Ginevra un seminario di Jean Piaget su “biologia econoscenza” che lo influenzò notevolmente. Studiò, tra gli altri,Noam Chomsky e Jerry Fodor. Partecipò al Progetto zero, di cuiin seguito diventò direttore, una ricerca sperimentale di psico-logia evolutiva sulla creatività e sullo sviluppo simbolico deibambini. La sua opera piú celebre in cui sintetizzò la sua teoriaè stata Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza,del 1983. Altre opere importanti sono: La nuova scienza dellamente, del 1985, una storia delle scienze cognitive; Aprire lementi, del 1989, sulla creatività nella scuola in Occidente e inCina; Educare al comprendere, del 1991; Intelligenze creativedel 1993, sulla creatività in Freud, Einstein, Ricasso,

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Stravinskij, Eliot, Gandhi, Martha Graham; Personalità egemo-ni, del 1994, sull’attitudine al comando; Sapere per comprende-re, del 1998.

L’opera di Gardner è una critica severa alla scuola e alla for-mazione dei giovani americani. Infatti – dice Gardner – «all’e-tà di diciassette anni l’80% dei nostri studenti sembra essereincapace di scrivere una lettera convincente». Alla ricerca diuna soluzione che ponga rimedio alla crisi della scuola ameri-cana, propose la teoria delle Intelligenze Multiple (IM), scri-vendo un’opera che cercò di far breccia in un pubblico vasto diinsegnanti e studiosi di educazione, Formae mentis. La teoriadelle IM suscitò grandi discussioni che oggi sono ancora acce-se e attuali. La teoria delle IM è stata definita “un frutto matu-ro del cognitivismo” e, infatti, è la teoria piú celebre e discussafra quelle recenti maturate nella psicologia cognitivista. Il puntodi partenza della teoria è il vecchio “problema di Platone”,ripreso da Chomsky fin dalla fine degli anni Cinquanta e l’ini-zio degli anni Sessanta. Il “problema di Platone” rimanda a unaconcezione innatista della conoscenza ed è una rilettura e rime-ditazione del Menone platonico. Nel celebre dialogo – comenoto – si racconta del giovane schiavo, completamente ignoran-te di tutto, che viene guidato da Socrate alla soluzione di unproblema di geometria. La riflessione sulla conoscenza che nederiva è riassunta nella domanda di Chomsky: «Come mai gliesseri umani, il cui contatto con il mondo è cosí breve, persona-le e limitato, sono in grado di avere una conoscenza cosí ampiacome di fatto hanno?» [N. Chomsky, Regole e rappresentazio-ni (1980), trad. it. il Saggiatore, Milano 1989, p. 5] L’unicarisposta possibile – secondo Chomsky – è una tesi profonda-mente innatista della conoscenza (in netta contrapposizione delcomportamentismo di Skinner). Gardner non ha una incrollabi-

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le fede innatista, anche se la teoria delle IM pone un suo pre-supposto nell’eredità genetica. Gardner collocò la sua teoriaall’interno delle scienze cognitive, delle quali offrí un’ampiasintesi nell’opera del 1985 La nuova scienza della mente, in cuipropose l’esagono cognitivo, le sei discipline, fra loro in rela-zione, che costituiscono le scienze cognitive: Filosofia,Psicologia, Linguistica, Intelligenza Artificiale, Neuroscienza,Antropologia culturale. Una base filosofico-psicologica impor-tante della teoria delle IM viene individuata da Gardner nellateoria modulare di Jerry Fodor, allievo di Chomsky, e docente aNew York.

La teoria computazionale e rappresentazionale della menteviene elaborata da Fodor nell’opera La mente modulare del1983, dopo averla anticipata in Il linguaggio del pensiero, del1975, e riprendendola in seguito in Psicosemantica (1987),Concetti (1998), La mente non lavora cosí (2000). Per spiegarel’organizzazione funzionale della mente bisogna utilizzare irisultati della psicologia cognitiva, dell’analogia mente/compu-ter, proposta dall’IA e della linguistica generativa di Chomsky.La mente è il software, il programma, dell’hardware cerebrale.Le attività mentali sono processi computazionali, che combina-no i segni secondo “regole sintattiche di composizione”; affin-ché ciò sia possibile devono esistere rappresentazioni mentaliche possono essere combinate secondo certe regole. Il sistemacomputazionale e rappresentazionale implementato dal cervel-lo (la mente) è un “linguaggio del pensiero” (le rappresentazio-ni sono le parole), che segue un codice innato (le regole gram-maticali del mentalese). La struttura della mente proposta daFodor, il suo modularismo, ha una “architettura cognitiva” ver-ticale: i moduli che trasformano coputazionalmente gli input inrappresentazioni (i sistemi di analisi dell’input, percezione, lin-guaggio, ecc. trasformano gli input sensoriali in rappresentazio-

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ni) che vengono offerte alla parte centrale del sistema cogniti-vo. I moduli, in quanto sistemi di analisi dell’input, sono “spe-cifici per dominio” (sono strutture altamente specializzate e dif-ferenti da modulo a modulo), hanno un funzionamento obbliga-to (in presenza di un certo input non possono che entrare inazione), costituiscono un accesso limitato al sistema centraledella coscienza (al quale portano la rappresentazione che hannocomputato), sono molto veloci nel funzionamento, sono incap-sulati informazionalmente (cioè non possono avere accesso alleconoscenze memorizzate a lungo termine nel sistema centralementre lavorano, in modo da essere veloci).

Come la teoria di Fodor, anche quella di Gardner delle IM, èuna teoria localizzazionista e modulare. La mente, cioè, è sud-divisa in moduli preposti a specifiche attività e funzioni cogni-tive. Gardner però riconosce che la teoria localizzazionista(chiamata anche delle “volpi”) e verticale dell’intelligenza (ivari moduli cognitivi sono verticali, cioè non operano in contat-to fra loro) va coniugata con quella generalista, o olistica (chia-mata dei “ricci”) e orizzontale dell’intelligenza (tutte le funzio-ni cognitive sono in rapporto fra loro e lavorano assieme costi-tuendo l’intelligenza in generale), perché esistono comunquesistemi cognitivi molto generali. La teoria delle IM, comunque,si inquadra in un contesto di ricerche orientate in senso modu-lare. Le intelligenze di Gardner, però, non sono esatti equiva-lenti dei moduli computazionali di Fodor, ma qualcosa di piú,perché i moduli hanno la caratteristica di elaborare informazio-ne, mentre per Gardner un centro computazionale non fa un’in-telligenza.

L’ipotesi dell’organizzazione modulare della mente sembraincludere l’idea di una elaborazione “in parallelo” dell’informa-zione, grazie a numerosi processori (in elettronica e informati-ca i processori sono gli elementi centrali dell’elaboratore elet-

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tronico e il funzionamento in parallelo dei circuiti integratisignifica che piú informazioni possono essere elaborate con-temporaneamente da piú processori – quindi da piú computers– che lavorano in parallelo e sono collegati fra loro in una rete;il singolo computer con un unico processore funziona, perquanto in maniera estremamente veloce, “in serie”, cioè elabo-rando un’informazione dopo l’altra). La teoria di Gardner, inve-ce, incorpora anche la dimensione diacronica, temporale, dellosviluppo cognitivo ed evidenzia l’interazione tra le potenzialitàdell’intelletto umano e l’ambiente, valutando il ruolo della cul-tura sull’orientamento dello sviluppo simbolico.

La teoria delle IM è una concezione dell’intelligenza diver-sa da quella comune ed esclude, dal significato di intelligenza,i concetti di intuizione, analisi, sintesi. Questi aspetti vannopresi in considerazione e spiegati, ma all’interno di una conce-zione di una pluralità di intelligenze, per cui l’intuizione mate-matica sarà diversa dall’intuizione artistica, perché riferita a tipidi intelligenza differenti. Le intelligenze si possono raggruppa-re sulla base di vincoli, di “costrizioni” di natura fisica, biolo-gica, culturale. Le intelligenze non sono equivalenti a sistemisensoriali e non dipendono da un singolo sistema sensoriale, masono capaci di realizzarsi attraverso piú di un sistema sensoria-le. Le intelligenze sono entità parzialmente generali (non comeintuizione, analisi, sintesi) che operano ciascuna secondo pro-cedimenti suoi propri e con sue basi biologiche. Ogni intelli-genza è un sistema a sé, con regole sue proprie. Per comodità,si possono considerare le varie intelligenze, ciascuna come uninsieme di procedimenti di know-how per fare qualcosa (know-how, “conoscere come”, è la conoscenza di come eseguire qual-cosa, mentre know-that, “conoscere cosa”, è la conoscenzadiscorsiva dell’insieme reale di procedimenti implicati nell’ese-cuzione). Le diverse intelligenze sono:

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1) Intelligenza linguistica.2) Intelligenza musicale.3) Intelligenza logico-matematica.4) Intelligenza spaziale.5) Intelligenza corporeo-cinestetica.6) Intelligenza personale.7) Intelligenza interpersonale.

Le intelligenze linguistica e musicale hanno vincoli interni esono senza rapporto con gli oggetti; mentre le intelligenze logi-co-matematica, spaziale e corporeo-cinestetica hanno vincoliesterni e si riferiscono agli oggetti; infine, le intelligenze per-sonali (intrapersonali) e interpersonali hanno sia vincoli inter-ni (la propria persona) sia esterni (le altre persone e il Sé nellealtre culture), afferiscono al piano dell’affettività e degli scam-bi relazionali.

L’intelligenza linguistica e lo sviluppo del linguaggio costi-tuiscono la prova migliore della modularità dell’intelligenza.Questo tipo di intelligenza non è controllata dagli oggetti ed èvincolata solo dalle caratteristiche strutturali delle lingue (lalocalizzazione del linguaggio nelle aree cerebrali), anche inriferimento alla cultura di cui una lingua è espressione (pensia-mo alla differenza culturale dei cinesi e dei giapponesi cheusano lingue dalla logica ideografica completamente differenteda quella alfabetica). La lingua ha un aspetto creativo e libero,come dimostrano i poeti che hanno «sviluppato a un gradosuperlativamente acuto capacità che sono alla portata di tutte lepersone normali, e perfino di molti subnormali».

L’intelligenza musicale, che nel suo sviluppo probabilmenteha condiviso un’origine comune con il linguaggio, è un’abilitàcomune a tutti gli individui anche se la vera competenza musi-cale è una versione piú raffinata e articolata. Per quanto riguar-da l’intelligenza musicale la localizzazione è difficile da effet-

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tuare rispetto a quella linguistica, ma il fatto che possa esserciuna localizzazione non identica in tutti gli individui non impe-disce di mostrare che le abilità musicali sono univoche e noncoinvolgono altre abilità differenti, mostrando cosí di essereuna intelligenza autonoma.

L’intelligenza logico-matematica – come già sostenevaPiaget – tende all’astrazione a partire dall’azione. Per questol’intelligenza logico-matematica (come anche quelle spaziale ecorporeo-cinestetica) realizza un rapporto con gli oggetti.Anche se è difficile localizzare le abilità matematiche, l’intelli-genza logico-matematica è estremamente specifica e costituisceun sistema “puro” e “autonomo”.

L’intelligenza spaziale è quella che molti psicologi hannochiamato “l’altra intelligenza”, o “intelligenza visiva”.L’intelligenza spaziale ha a che fare con l’immagine e ha unrapporto privilegiato con gli oggetti. Le abilità dell’intelligenzaspaziale (riconoscere, trasformare, produrre una rappresenta-zione grafica, capacità di orientamento) sono separate.L’intelligenza spaziale riguarda, quindi, soprattutto il disegno el’espressività artistica.

L’intelligenza corporeo-cinestetica integra e completa ilquadro delle abilità umane che interagiscono con gli oggetti.Prendendo coscienza della realtà degli oggetti, il bambino nelcorso dello sviluppo prende coscienza anche della propria real-tà individuale. L’intelligenza corporeo-cinestetica, che riguardail movimento, il rapporto del corpo con gli oggetti fisici, le abi-lità pratiche, manipolative, imitative, resta immutata anchequando ci sono deficit nella comunicazione e nelle altre formedi intelligenza.

Le intelligenze personali riguardano i problemi dell’io inrapporto con se stesso (intrapersonale) e in rapporto con glialtri (interpersonale). Le persone si distinguono le une dalle

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altre per aspetti difficilmente misurabili in maniera quantitativa(in contrapposizione netta con le teorie dei test di intelligenza econ la psicometria in generale). L’intelligenza intrapersonale èstrettamente legata alla creatività e la figura di Freud, ma anchequella di Gandhi, sono emblematiche della possibilità di rag-giungere alte vette di creatività, grazie a una intelligenza parti-colare che ha saputo far tesoro dell’analisi dei propri pensieri esentimenti. Gardner, parlando di intelligenze personali, compieun esplicito riferimento alla dimensione affettiva della mente.Nelle intelligenze personali opera lo sviluppo degli aspettiinterni dell’individuo, l’accesso alla propria vita affettiva(intrapersonale), e la propensione a sensibilizzarsi ai problemidegli altri (interpersonale), rilevare e fare distinzioni fra gliindividui.

La teoria delle IM di Gardner ha avuto molta fortuna anche,e soprattutto, per le sue possibili implicazioni pedagogiche ededucative. I suoi numerosi viaggi di ricerca in paesi occidenta-li e orientali, come la Cina e il Giappone, la partecipazione aprogrammi internazionali di ricerca e a studi sulle varie struttu-re scolastiche (importante l’organizzazione di alcune scuoledell’infanzia in Olanda e in Italia a Reggio Emilia), hanno spin-to Gardner ad attribuire importanza fondamentale al contestonella sua strategia educativa. L’idea che l’intelligenza non siauna qualità nascosta e segreta di ciascun individuo, ma che alcontrario si diffonda alle altre menti in una continua interazio-ne, ha portato Gardner a pensare che, per aprire le menti, servaun’educazione “egualitaria” delle abilità intellettive. In questomodo, egli si è opposto al classico predominio delle abilità lin-guistiche e logico-matematiche diffuso nelle scuole.

La nuova scuola del progetto di Gardner, quindi, eleva leabilità spaziali, musicali, cinestetiche, ecc. a un rango paritario

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rispetto alle altre. Poiché è la scuola stessa una delle cause piúimportante dell’attuale crisi dell’educazione, per uscire dallacrisi e migliorare l’efficacia della didattica si dovranno modifi-care radicalmente le pratiche diffuse nelle scuole in contrastocon i nuovi principi dell’apprendimento. L’educazione formaleaveva separato apprendimento e contesto. Nell’educazionenuova e concreta è fondamentale, dunque, il processo di ri-con-testualizzazione del sapere e dei processi di apprendimento,poiché tutta la conoscenza nasce in un preciso contesto. Il ter-mine contesto non è uno “sfondo” vago e indefinibile, ma lacondizione culturale precisa nella quale si svolge l’apprendi-mento. La scuola offre contesti adatti solo all’apprendimentodell’algebra e di una cultura astratta rispetto ai normali contestidi vita nei quali le persone intrattengono rapporti, comunicano,lavorano e operano.

In coerenza con le caratteristiche delle abilità delle varieintelligenze multiple, anche nella scuola si dovrà insegnare uninsieme di know how, di “come” fare, delle modalità di azionee soluzione dei problemi, e non dei “saperi”, dei know that, chesono il contenuto della scuola formale tradizionale. L’obiettivodella scuola, dunque, diventa la prospettiva di una scuola “fattasu misura per ogni singolo bambino” (come già sostenevaÉdouard Claparède, il teorico dell’ècole sur mesure, la scuolasu misura, ma anche in parte l’educazione progressiva di JohnDewey). La scuola proposta da Gardner è una scuola che miraa educare alla comprensione da parte dell’allievo e a sviluppa-re la capacità di comprendere (al riguardo si possono vedere isuoi libri Educare al comprendere del 1993 e Sapere per com-prendere del 1999).

Per questa ragione, non può valere piú il principio che nellescuole (soprattutto nelle scuole dell’infanzia ed elementari) sidebbono rispettare determinati standard. È invece importante

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chiedersi come l’alunno potrà utilizzare ciò che ha imparato perinserirsi nel tessuto sociale con un proprio ruolo. La scuoladeve, quindi, «avere il proprio punto di riferimento in una vitaproduttiva all’interno della comunità». La scelta fra quale tipodi scuola adottare, però, non è una questione scientifica e peda-gogica, ma è “una questione politica”.

La scuola di Gardner vuole essere “distribuita”: a partire dal-l’ambiente, ricco e stimolante, deve individuare le intelligenzeper impostare una didattica individualizzata, in un rapportodinamico fra scuola e strutture del territorio (musei, atelier,associazioni, ecc.) e valutare non piú tramite test e verifichestandard, bensí tramite valutazioni contestualizzate, come i“portfolio”, i “dossier di progetto”, ecc., in cui ogni alunno faparte di un gruppo di lavoro finalizzato al compimento di un“apprendistato” sotto la guida di un maestro. Per questo, uninsegnante valido e ben preparato è sempre meglio di qualsiasitecnologia per quanto sviluppata e avanzata, senza però in que-sto modo addossare agli insegnanti tutto il peso del cambiamen-to che, invece, avviene per vie istituzionali e politiche: sempli-cemente, Gardner vuole restituire credibilità al loro ruolo dieducatori.

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Feltrinelli, Milano 1987HLa nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva, trad.

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Feltrinelli, Milano 1991Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico,

trad. it. Feltrinelli, Milano 1993Intelligenze creative. Fisiologia della creatività attraverso le vite di

Freud, Einstein, Picasso, Stravinskij, Eliot, Gandhi e Martha Graham, trad.

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it. Feltrinelli, Milano 1994Personalità egemoni. Anatomia dell’attitudine al comendo, trad. it.

Feltrinelli, Milano 1995Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente,

trad. it. Feltrinelli, Milano 1999Letteratura critica:N. FILOGRASSO, H. Gardner. Un modello di pedagogia modulare, Anicia,

Roma 1995

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trad. it. Laterza, Bari-Roma 1989E. BECCHI, Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1987R. FORNACA, La pedagogia scientifica del Novecento, Principato, Milano,

1989R. TASSI, Itinerari pedagogici, 3 voll. (Mondo antico, Età moderna,

Novecento), Zanichelli, Bologna 1989, 1993R. FORNACA, Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1991R. MASSA, Istituzioni di pedagogia e scienze dell’educazione, Laterza, Bari-

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Mondadori, Milano 1999F. FRABBONI, Luigi Guerra, Cesare Scurati, Pedagogia. Realtà e prospettive

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Collane Edizioni Allori

NarrativaMauro Baldrati - Immagini dal buioMauro Baldrati - Crosstown trafficLara Baroncelli - Pirland (la terra dei pirati)Tiziano Bordoni - Dodici piccoli amiciTiziano Bordoni - Dieci & lodeTiziano Bordoni - Ho fatto tredici!Tiziano Bordoni - Dieci decimiTiziano Bordoni, Gianluca Conti - Guida s...ragionata ai bagniMaria Enrica Carbognin - Storia di un reLuca Ciarabelli - Tanto colore per nullaLara Del Duca - Aldeide FòrmicaLara Del Duca - Samuel.zipLoredana Fantato - Quarantenni alla riscossaFabrizio Fronzoni - Anche i topi amano la civiltà bizantinaErnesto Giacomino - D’istinto distanteAlberto Lori - Lo scheletro senza nomeGianluca Mancini - Le colonie marineAngelo Nataloni - Pensieri e sentieriFrancesco Pianfetti - Le leggi del caosPiero Pieri - FurioPaolo Pingani - Quando l’isolaGianguido Reggiani - Autobiografia di un piccolo inventoreGianguido Reggiani - Il biondino

I fiori bluMaria Enrica Carbognin - L’eredità MorosiniFabrizio Fronzoni - FresnoNevio Galeati - Otto...alla rovesciaPaolo Pingani - Max

SaggisticaBarbara Bellinelli - Tana libera tutti!a cura di Massimo Canali - Economie, società, agricolture

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Matteo Emiliano Girotti e Giuseppe Bianchi - Pamir 2001 - Un viaggio nelsognoKatia Savini - Girotondo tra i petali del cuoreMaria Luisa Savorani - Il cibo, una via di trasformazione

Le strenneFabrizio Fronzoni - Distanze

RitrattiItalo Ianne - ...seguendo quella musica!Rossella Marcenaro - Diana, diario di una principessaTita Lemmi Simonelli - MalintoppoTitta (Giuseppe Tittarelli) - Palle cinesi

E-bookLoretta Zaganelli - La fotografia italiana di paesaggio negli anni 80 e 90 delNovecento

AppuntiLuigi Bussi - Lezioni di contabilità e statisticaLuigi Bussi, Lorenzo Zaganelli - Appunti di Storia contemporaneaPaolo Taroni - Appunti di Storia della filosofiaPaolo Taroni - Appunti di Storia della psicologiaPaolo Taroni, Lorenzo Zaganelli - Appunti di Storia della pedagogiaPaolo Taroni, Lorenzo Zaganelli - Appunti di Psicologia dello sviluppo epratica psico-pedagogica di comunità

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Finito di stampare nel mese di Settembre pressoCentro Stampa Digitalprint

RIMINI