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Storia della Scuola e delle Istituzioni Educative A.A. 2017/2018 Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione I e II semestre – 9 CFU Dott.ssa Chiara Lepri

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Storia della Scuola e delle Istituzioni EducativeA.A. 2017/2018

Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione

I e II semestre – 9 CFU

Dott.ssa Chiara Lepri

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Una premessa: dalla Storia della Pedagogia alla Storia dell’Educazione

Negli ultimi trent’anni si è compiuta una profonda trasformazione metodologica nella ricercastorico-educativa che ha portato a un radicale mutamento di orientamento:

Dalla storia della pedagogia si è passati alla storia dell’educazione.

Un passo indietro: la storia della pedagogia in senso proprio era nata tra ‘700 e ‘800 e si erasviluppata nel corso del XIX secolo come indagine svolta da uomini di scuola, impegnatinell’organizzazione di una istituzione, la scuola, divenuta sempre più centrale nella societàmoderna.

La storia della pedagogia nasceva come una storia ideologicamente orientata, che valorizzavala continuità dei principi e degli ideali, che convergeva sulla contemporaneità e che costruivail passato in modo organico e lineare, ponendo l’accento in particolare sugli ideali e sullateoria, rappresentata soprattutto dalla filosofia.

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La storia della pedagogia, in tal senso, era una storia persuasiva e teoreticistica, assailontana dai processi educativi reali, relativi alle diverse società, differenziati per classisociali, sesso ed età, dalle istituzioni in cui essi si compivano (la famiglia, la scuola, labottega artigiana, e poi la fabbrica, ma anche il seminario o l’esercito), dalle pratichedi allevamento o d’istruzione, dagli apporti delle scienze, soprattutto umane, allaconoscenza dei processi formativi (con psicologia e sociologia in testa).

Tale storia doveva diffondere un’idea di educazione tutta accorpata intorno ai propriprincipi ideali (piuttosto che alle pratiche) e, attraverso questi, alle ideologie che liispiravano.

Si avevano, così, storie della pedagogia a forte tasso filosofico, contrassegnate daidiversi indirizzi della filosofia (positivistiche, idealistiche, spiritualistiche…).

Il lavoro storico-pedagogico coincideva, quindi, con una storia delle idee.

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In Italia questo atteggiamento toccò, con l’idealismo di Giovanni Gentile ai primi del‘900, la sua realizzazione più coerente ed estrema: la pedagogia si risolveva nellafilosofia come teoria dell’autoformazione dello spirito.

Già dal secondo dopoguerra, però, si diffusero nuovi indirizzi storiografici anche incampo pedagogico

(Storiografia = scienza e pratica dello scrivere la storia utilizzando principimetodologici e un’indagine critica)

e alcuni presupposti di quel modo tradizionale di fare storia della pedagogiaentrarono in crisi.

Si avviava così un lungo processo che ha condotto alla sostituzione della storia dellapedagogia con la storia dell’educazione.

La pedagogia perdeva la sua esclusiva connotazione filosofica e si delineava comedisciplina costituita dall’incontro delle diverse scienze e quindi come un sapereinterdisciplinare che intrecciava la sua storia con quella di altri saperi, soprattutto lediverse scienze umane.

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Inoltre la pedagogia si andava saldando ad un ruolo sempre più centrale nella vitasociale:

quello di formare l’individuo socializzato e di attuare questa formazione attraversomolteplici vie istituzionali e molteplici tecniche diffuse nella società.

E il fare storia si caratterizzava come la costruzione di una storia totale, capace dicogliere i diversi aspetti della vita sociale e dei vari momenti storici, facendo perdereogni esclusività e predominio alla storia delle idee. La metodologia con la quale sistudia la storia subisce una radicale trasformazione: si articola secondo molti ambiti diricerca, accoglie una molteplicità di fonti, si organizza in settori specializzati, anzi,sempre più specializzati, come:

la storia delle teorie pedagogiche; la storia della didattica; la storia del costumeeducativo; la storia dell’infanzia; la storia delle donne; la storia dell’immaginario…

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Dagli anni ‘50, poi sempre più dagli anni ‘60 e ’70, si è sviluppato un modoradicalmente nuovo di fare storia degli eventi pedagogico-educativi, che ha rotto conil modello ideologico per dar vita ad un’indagine più pluralistica e problematica,articolata e differenziata, che può essere definita come

storia dell’educazione

Intendendo per educazione l’insieme delle pratiche sociali e l’insieme dei saperi.

Si è passati, quindi, da un modo chiuso di fare storia in educazione e pedagogia a unoaperto, consapevole della ricchezza e complessità del suo campo di ricerca e dellavarietà e articolazione di metodi e strumenti da usare.

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Tre rivoluzioni in storiografia

La trasformazione del modo di intendere la storia e di svolgerne l’attività scientifica èstata determinata dall’azione congiunta di orientamenti storiografici che hannoadottato principi metodologici rinnovati.

Sono almeno quattro orientamenti:

1. il marxismo

2. la ricerca delle «Annales» e la storia totale

3. l’apporto della psicoanalisi alla ricerca storica

4. lo strutturalismo e le indagini quantitative

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1. Il marxismo

Ha posto in luce, rispetto agli eventi storici, il ruolo della struttura economico-socialee ha invitato a studiare le complesse mediazioni che legano insieme economia epolitica, politica e cultura, cultura e società. Le indagini di Gramsci sono state inquesto campo esemplari e hanno influenzato in profondità la ricerca storica.

La storia appare ai ricercatori marxisti come lotta di classi e di ideologie, che siarticolano intorno a sistemi di produzione e che guardano all’egemonia storica,influenzando ogni ambito della vita sociale, dalla famiglia allo stato, alla cultura.

2. Scuola delle «Annales»

Le «Annales» è una rivista fondata in Francia nel 1929 che ha avuto un ruolofondamentale di rinnovamento della ricerca storica, oltra a una notorietà mondiale. Èuna scuola che si è ispirata al marxismo, ponendo in luce le permanenze o strutturerispetto agli «avvenimenti», ma ne ha arricchita e sfumata la lezione introducendo lostudio di strutture non solo economiche, come la mentalità, e guardando a una storiaa parte intera che tenga conto di tutti i fattori e aspetti di un momento o di un eventostorico.

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La storiografia delle «Annales» concorda nell’affermare che tutto è una fonte per lostorico, ampliando l’orizzonte oltre il documento strettamente inteso come testoscritto, di gran lunga il più conservato e utilizzato dagli storici.

Cosa è una fonte?

La storia della pedagogia, al pari di altre forme di ricerca storica, utilizza un materialedi base che comunemente viene definito con il termine di fonti. Sono, per esempio,documenti d’archivio (pubblici e privati) e presenti nelle biblioteche, testi manoscrittie a stampa che recentemente sono stati raccolti negli Archivi Nazionali.

Gli storici annalisti introducono fonti atipiche, come le interviste (fonti orali), i dipinti, imonumenti, i diari e gli epistolari, le autobiografie e le opere letterarie, la fotografia eil cinema, gli arredi, … ed altro che può consentire la comprensione di un contestostorico e sociale.

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3. La psicoanalisi

È stata soprattutto l’area americana che attraverso la psicostoria ne ha affermatal’applicazione alla ricerca storica. La psicostoria studia le mentalità collettive eindividuali, leggibili ispirandosi ai meccanismi propri del pensiero freudiano(inconscio, repressione, conflitti nell’io, …).

4. Lo strutturalismo e la storia quantitativa

Hanno posto l’accento su ciò che è impersonale nella storia, sulle strutture cheregolano i comportamenti individuali in profondità (siano istituzioni o mentalità) e lehanno lette come variabili quantitative, sottoponibili ad analisi sociali, a ricostruzionistatistiche. La storia della sessualità di Foucault o la storia del tempo di Ladurierichiamano le permanenze e la loro funzione genetica nell’ambito della produzione difenomeni storici. E sono permanenze oggettive.

All’incrocio di queste diverse posizioni si sono realizzate tre rivoluzioni cruciali nellastoriografia contemporanea: una sui metodi, una sul tempo, una sui documenti.

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1. La rivoluzione dei metodi

È stata una rivoluzione profonda che ha messo in luce soprattutto il pluralismo deimetodi. Il «fare storia» non implica l’uso di una sola procedura capace di affrontateogni tipo di fenomeno storico e di leggerne le strutture e il divenire, bensì si attuaintorno a molteplici metodologie, da quelli della storia «strutturale», economica,sociale, «delle mentalità», a quella degli avvenimenti, a quella locale, a quella orale-vissuta, alla psicostoria, all’etnostoria, alla storia del quotidiano, ecc.

La storiografia attuale ha quindi perduto la certezza del metodo per approdare aidiversi metodi. Di conseguenza, la storia si è fatta plurale.

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2. La rivoluzione del tempo

È stato soprattutto Braudel ad avviare un processo di revisione della temporalità storica,mostrando come il tempo storico sia diverso da quello del quotidiano perché plurale,polistrutturato, problematico e mai univoco-unitario.

Sono tre – dice Braudel – i tempi della storia:

A. il tempo degli avvenimenti (o eventi), vicino al vissuto e al cronologico; è il tempo di ciòche accade, misurato all’istante, ed è il tempo della storia-narrazione;

B. il tempo delle brevi durate (o congiunture, istituzioni…) o delle permanenze relative: è iltempo connesso alle strutture politiche, sociali o culturali, che sta al di sotto degliavvenimenti e li coordina; in questo tempo agiscono gli stati, le culture, le società. È il tempodella storia-spiegazione;

C. il tempo delle lunghe (o lunghissime) durate: è un tempo geografico, economico eantropologico, che coglie le permanenze profonde, le strutture quasi invarianti; è il tempodella storia-interpretazione.

Sono tre temporalità tutte necessarie per comprendere la storia, ma che non vanno confuse.Anzi, vanno colte le differenze e le intersezioni.

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3. La rivoluzione dei documenti

È stato di recente che la nozione di «documento» si è radicalmente rinnovata,ampliandosi verso classi inedite e ponendo il documento non più come monumentoma come effetto dell’interpretazione.

Si sono aperti archivi dedicati a documenti fino a ieri marginali (es. l’Archivio DiaristicoNazionale di Pieve Santo Stefano) o ignorati.

Le tre rivoluzioni hanno ridisegnato la nostra coscienza storiografica, come citestimoniano le opere metodologiche dei grandi storici contemporanei.

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Foto di Luigi Burroni, in www.piccolomuseodeldiario.it

L’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano offre un percorso museale che accoglie il visitatore in maniera coinvolgente einnovativa e lo conduce per mano attraverso le scritture di persone comuni che hanno raccontato la storia d’Italia da un punto divista assolutamente inedito. Memorie private che da storie singole e personali sono diventate storie collettive e universali,affiancandosi così alla Storia con la S maiuscola e intrecciandosi ad essa a tal punto da far parlare di “storia scritta dal basso”. Lastoria di un Paese che qui ritrova la sua identità più pura, quotidiana, schietta e onesta. Storie, memorie, lettere e diari checancellano i filtri della retorica e fanno comprendere il mondo dove viviamo, il nostro Paese, la nostra società. [Cfr. sito web delmuseo]

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Le molte storie educative

La storia dell’educazione è oggi un contenitore di diverse storie, dialetticamenteinterconnesse e interagenti, tutte accomunate dall’oggetto complesso «educazione».

Ogni ambito di indagine all’interno della storia dell’educazione ha una propriaautonomia e specificità, è un «territorio» dell’indagine storica.

Tra gli ambiti dotati di autonomia e di tradizione di ricerca potremmo individuarequello delle teorie, quelle delle istituzioni, quello delle politiche, quello della storiasociale (intesa come storia del costume, delle culture e delle mentalità), quellodell’immaginario. Quest’ultimo è un settore ancora poco sviluppato ed è una vera epropria frontiera della storia sociale.

La storia della scuola e della istituzioni educative è un settore autonomo eorganicamente sviluppato delle scienze dell’educazione: si occupa della scuola, maanche della famiglia e le altre istituzioni educative come la «bottega», la fabbrica, leassociazioni, gli oratori, i gruppi sportivi. Si tratta di istituzioni cui è affidato un precisoruolo formativo nei diversi tipi di società.

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Sono ambiti che poi, a loro volta, si articolano in altri sotto-settori. Per esempio, nellastoria delle scuola vi sono i seguenti sotto-settori:

- la storia degli insegnanti

- la storia della didattica

- la storia legislastiva

- la storia della vita scolastica (interna, quella delle sue regole, dei suoi riti connessiall’iniziazione alla vita sociale)

- la storia delle politiche educative e scolastiche

Sono campi d’indagine articolati intorno a metodologie assai diverse (quantitative eseriali, oppure narrative e qualitative, fino alle tecniche della storia orale, lamemorialistica, i carteggi…) che vengono a costruire una mappa e a dareall’istituzione scuola una pregnanza sociologica.

[Cfr. F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 3-9]

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Scuola

Da sempre le giovani generazioni hanno imparato dagli adulti modi di essere, di fare, dicomunicare, usi e costumi, idealità e valori, in un continuo e dialettico processo di interazioneche si è svolto – e si svolge ancora oggi – al di fuori dei contesti formali e senza intenzionalitàe consapevolezza.

L’educazione è un’azione spontanea e coeva all’uomo, a lui connaturata. Per la scuola, invece,il discorso è diverso. La scuola, così come è stata intesa in epoca moderna, è una formaistituzionalizzata di educazione che è nata quando la semplice partecipazione alla vita socialenon bastò ad assicurare ai più giovani l’acquisizione del patrimonio culturale raggiunto dalgruppo di appartenenza. Si è reso necessario, quindi, creare forme educative organizzate.

Il termine schola compariva già nelle opere ciceroniane, nel senso di studio, di ricerca e nongià, come nel Medioevo, come luogo in cui un maestro intrattiene, insegnando, gli allievi.

A Roma, per esempio, la scuola primaria veniva chiamata ludus, che significa gioco,intrattenimento: potevano adire ai ludi i ragazzi che potevano permettersi di non lavorare.

[Cfr. C. Betti, Storia della pedagogia, in AA.VV., Le scienze della formazione, Milano, Apogeo, 2007]

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Cos’è la scuola?Il concetto di scuola non è semplice da definire per le profonde differenziazioni che lascuola ha subìto nel corso di una evoluzione storica che ne ha mutato l’articolazione, icompiti sociali e le finalità. In linea generale, potremmo dire che la scuola è

• una istituzione che ha il compito di preparare i suoi allievi a entrare nella società conle conoscenze, le capacità e i criteri di azione necessari a viverci.

Ma per assolvere a questa funzione deve avere una struttura interna articolata inmodo da rispondere alle esigenze sociali e culturali della popolazione infantile egiovanile cui si rivolge; inoltre deve avere una diffusione sufficiente a raggiungere ogniparte del paese, dalle grandi città ai villaggi isolati, e quindi un’organizzazioneadeguata.

Occorrono, quindi, altre caratteristiche per delineare il concetto di scuola così come siè venuto a precisare nella seconda metà del XVIII secolo, quando la scuola divieneparte integrante della struttura di uno Stato.

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Possiamo sintetizzare queste caratteristiche attraverso alcuni punti nodali:

1. la caratteristica dell’autonomia e, quindi, della laicità

2. la gratuità

3. la funzione universalistica: la scuola dovrebbe consentire all’individuo di applicare strategie mentali, cui è stato sollecitato, in contesti altri

4. l’intenzionalità

5. la primarietà del codice alfabetico

6. la tensione cognitiva

7. la verificabilità e la sperimentazione

8. la fondamentalità del ruolo del docente

9. la capillarità e la struttura sistematica

10. la pubblicità e il pluralismo

Sono tutti aspetti ineliminabili del concetto di scuola. Senza di questi non si dà scuola nel senso pieno del termine.

[Cfr. G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2004]

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Storia e storia politica e sociale

Conoscere la storia della scuola nel nostro Paese significa ricostruire, di riflesso:

• la storia della società italiana, almeno dal momento in cui essa comincia adacquistare la coscienza di essere una nazione

• lo sviluppo e la diffusione di tale coscienza dalle classi dirigenti a tutto il popolo

• come le classi dirigenti si sono regolate per aprire le scuole alle classi popolari

• come le classi popolari, attraverso la scuola (ma anche attraverso le lotte sociali),hanno acquistato sia la coscienza dei propri diritti civili e politici, sia la culturanecessaria ad affermarsi economicamente e socialmente nell'ambito della societànazionale

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Nella storia della scuola italiana si riflettono, pertanto,

• Le vicende politiche del Risorgimento

• Le lotte sociali che hanno trasformato lo stato originario (costituito in regno e divisotra élite agraria e industriale e una plebe di contadini, braccianti e operai esclusi dallavita pubblica) in una Repubblica in cui i diritti e i doveri sono divenuti uguali per tutti eil lavoro è concepito come il fondamento della convivenza comune

• Il progresso scientifico e tecnologico, la vita morale, letteraria, artistica, religiosa, ildiritto, il cambiare dei costumi, il persistere e il mutare dei valori che orientano irapporti fra le persone e i popoli

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Tra la storia generale della società italiana e la storia particolare della sua scuola, delleteorie educative e degli interventi legislativi che ne hanno accompagnato la nascita elo sviluppo dall’Unità a oggi vi è una stretto rapporto.

La storia d’Italia racchiude in sé la storia della scuola, nel senso che al suo interno,accanto agli aspetti sociali, politici ed economici, insieme a quelli civili e culturali,trovano posto anche i processi di scolarizzazione, con i loro risvolti non solopedagogici e educativi, ma anche legislativi e amministrativi.

Due nodi, interconnessi, appaiono di primo piano:

- l’analfabetismo

- l’obbligo scolastico

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Altri nodi cruciali caratterizzano il dibattito all’indomani dell’Unità d’Italia (1861):

• la gestione statale delle pubblica istruzione, cui si perverrà con la Legge Daneo-Credaro (1911)

• Il rapporto tra Stato e Chiesa sul terreno educativo

• la formazione e la condizione degli insegnanti

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Le ‘grandi questioni’

Inoltre, all’indomani dell’Unità d’Italia, il giovane regno si trovò ad affrontare alcunegrandi questioni, che tradizionalmente sono:

1. la questione sociale: processo di industrializzazione / nascita di un vasto proletariatourbano. Molti lavoratori vivevano in condizioni di miseria, privi di diritti civili (es. ilvoto) e di strumenti di rappresentanza politica. L’ascesa di questo strato sociale e lasua capacità di organizzarsi in leghe, cooperative, sindacati, partiti politici daranno vitaad aspre lotte di classe con scontri drammatici.

2. La questione meridionale: vi era un profondo divario tra Nord e Sud del paese,economico, ma anche sociale e culturale, connesso a una secolare diversificazionedella storia del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia.

3. La questione romana: interessa il rapporto tra Stato e Chiesa e la funzione diquest’ultima nella vita nazionale.

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Potremmo aggiungere:

4. La questione scolastica: connessa con le altre tre questioni e al tempo stesso dotatadi specificità.

Cosa s’intende?

In primo luogo la questione dell’analfabetismo, una piaga che dà al regno d’Italia untriste primato con punte particolarmente allarmanti al Sud e tra le donne.

- l’analfabeta è un vero e proprio invalido civile, non può votare, è condannato ai lavoripiù umili, sta ai margini della società.

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La scolarizzazione difficile

Oltre a combattere l’analfabetismo, in quegli anni la scuola ha il preciso compito diunificare il comune sentire degli italiani = costruire un’identità civile = creare quellacoscienza nazionale che aveva fatto da spinta propulsiva al processo di unificazionema che mancava negli strati più profondi della società.

La nostra scuola si caratterizza, fin dalle origini, per la distanza permanente tra lavastità dei fini che a parole sono indicati e l’assoluta inefficienza dei mezzi che di fattovengono assicurati.

Inoltre la questione scolastica si lega indissolubilmente con la questione romana,ossia con il problema del ruolo dei cattolici nell’istruzione pubblica e nel nascentesistema scolastico e gestione pubblica: per la Curia romana, l’educazione laica affidataallo Stato, l’obbligo scolastico, l’istruzione per tutti rappresentavano errori dottrinali eminacce al mantenimento dell’ordine costituito.

[ S. Santamaita, Storia della scuola, Milano, Bruno Mondadori, 2010]

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Le origini della scuola italianaLa situazione dell’istruzione negli stati preunitari (dalla Restaurazione, 1814, all’Unità, 1861) mostra un quadro molto differenziato, sia per le diversità tra stato e stato, sia per le rispettive politiche scolastiche strettamente connesse alle vicende storiche di ciascuno Stato.

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Regno del Lombardo-Veneto

La situazione più avanzata è quella del Lombardo-Veneto, dove i provvedimentiassunti dal 1786 da Maria Teresa d’Austria e da Giuseppe II avevano dato vita a unabuona rete di scuole elementari, professionali e normali, per la formazione degliinsegnanti.

Qui già il 70% dei bambini assolveva l’obbligo scolastico. Nel censimento del 1861 erala regione più alfabetizzata d’Italia (oltre il 50%).

Granducato di Toscana

Vi era una discreta attenzione nei confronti dell’istruzione, sia elementare cheprofessionale, soprattutto per l’impulso dei proprietari terrieri i quali, interessati allosviluppo dell’agricoltura, si curarono anche delle condizioni di vita delle messe ruralicon il contributo dell’Accademia dei Georgofili.

Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie

La scuola non si era sviluppata anche se ci furono tentativi di contrastare una secolarearretratezza culturale. Esistono scuole private gestite dai vari ordini religiosi.

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Va detto che la nascente borghesia italiana tra Sette e Ottocento aveva avviatoprocessi di modernizzazione nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato e delcommercio, dell’industria e della finanza. Nelle aree geografiche in cui questifenomeni erano stati più intensi, come in Piemonte, Lombardia e Toscana, più alta eral’attenzione verso l’istruzione scolastica e lo scontro con le forze che la contrastavano,come la Chiesa e i ceti aristocratici più conservatori).

Nelle zone in cui l’affermazione della borghesia era più lenta e faticosa, come nelMezzogiorno, nelle Isole e nell’Italia centrale dello stato pontificio, il ristagnodell’attività economica comportava anche più gravi ritardi nello sviluppodell’istruzione.

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Regno di Sardegna

Nei primi decenni dell’800 presentava una situazione economica e sociale piùavanzata rispetto agli altri stati preunitari. L’agricoltura abbandonava l’impostazionefeudale e divenne più razionale e moderna, grazie al conte Camillo Benso di Cavour.Fu fondata la Società Agraria, che appoggiava la nascente industria piemontese.Anche qui, come in Toscana, l’impegno sul fronte economico e sociale si accompagnòa una discreta attenzione verso la scuola.

L’istruzione elementare era particolarmente sviluppata, in particolare dopo il 1948,come anche le scuole tecniche. Nell’istruzione classica, scuola di formazione delleclassi dirigenti, si diffusero studenti provenienti non solo dall’aristocrazia ma anchedalla borghesia benestante e liberale.

Qui, dopo la Restaurazione (1815), vanno ricordati i seguenti provvedimenti:

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1. La Regia Lettera del 30 novembre 1847 con cui Carlo Alberto istituiva il Ministerodella pubblica istruzione. Il regno si allineava così alle tendenze in atto in altri paesieuropei che intendevano ricondurre l’istruzione alla responsabilità dello Stato. Ciòdeterminava aspri conflitti con la Chiesa le cui prerogative, in fatto di istruzione, siriducevano

2. La Legge Boncompagni del 4 ottobre 1848, emanata da Carlo Alberto in forza deipoteri straordinari conferiti dal re nell’imminenza della prima guerra di indipendenzasenza dibattito parlamentare:

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La Legge Boncompagni (1848)

- poneva sotto il controllo dello Stato l’istruzione pubblica e privata, articolata in 3 livelli:

• Elementare (un biennio inferiore e un biennio superiore), la cui istituzione eraobbligatoria per i comuni

• Secondario (con separazione tra studi classici e studi tecnici, questi ultimi privi di sbocchiuniversitari e destinati all’avviamento professionale)

• Universitario

- limitava le prerogative dell’istruzione religiosa: congregazioni e istituzioni ecclesiastichedovevano dotarsi di una abilitazione statale all’insegnamento e i titoli rilasciati daiseminari vescovili non consentivano di accedere né all’insegnamento, né all’università

- dava al sistema scolastico un assetto piramidale: Ministro – Consiglio superiore dellapubblica istruzione – ispettori – consigli e provveditori

- riservava la massima attenzione agli studi classici e all’università, preposte allaformazione della classe dirigente. Meno rilevante era la considerazione per le scuoletecniche

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Legge Casati (1859)

Costituisce il nucleo fondamentale dell’ordinamento scolastico italiano negli annidell’unità e nei decenni successivi.

La legge Casati viene emanata da Vittorio Emanuele II in virtù dei pieni poteri che ilParlamento gli aveva conferito nell’imminenza della seconda guerra d’indipendenza,dunque senza dibattito parlamentare, con Regio decreto del Regno di Sardegna del 13novembre 1859 predisposto dal Ministro dell’Istruzione Pubblica Gabrio Casati eriferentesi, al momento dell’entrata in vigore, ai vecchi territori piemontesi e allaLombardia.

Si trattava, quindi, di un provvedimento finalizzato a consolidare le istituzioniscolastiche sabaude e della Lombardia, che proprio in quei mesi veniva annessa alRegno di Sardegna.

La legge, con i suoi 380 articoli, costituiva un vero e proprio codice dell’istruzioneregolante l’intera materia. Gli articoli, procedendo secondo l’importanza attribuita agliargomenti, cominciavano a trattare l’amministrazione della pubblica istruzione efinivano con l’istruzione elementare. Il primo ramo scolastico considerato era quellodell’istruzione classica.

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La legge Casati:

1. Organizzava l’amministrazione scolastica in modo fortemente accentrato. Il ministrodell’istruzione aveva ampi poteri discrezionali e decisionali, ad esempio nominava econtrollava i principali funzionari centrali e periferici, mentre gli organi consultivierano di nomina reale. L’unica forma di decentramento era quella burocratica(carattere statalista e accentratore).

2. Separava nettamente la scuola umanistica (ginnasio-liceo) dalla scuola tecnica(scuola tecnica, istituto tecnico);

3. Ignorava l’istruzione professionale, che era affidata al Ministro dell’Agricoltura e delCommercio;

4. Delineava una scuola elementare gratuita di 4 anni;

5. Prevedeva, ma in modo ambiguo, l’obbligo scolastico per i primi due anni,affidandolo, di fatto, alla buona volontà dei Comuni senza disporre di alcuna forma disostegno verso di loro, né verso gli alunni;

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6. Distribuiva le competenze sulla scuola, affidando tendenzialmente al poterel’istruzione classica, alle Province la tecnica superiore, al Comuni l’elementare,facendo gravare su questi ultimi le spese per i locali, le suppellettili e i materiali nonscientifici;

7. L’istruzione religiosa era obbligatoria con possibilità di dispensa a richiesta deigenitori.

La legge suscitò vivaci polemiche, ma di fatto aveva una sua organicità e un suodisegno: era, infatti, un tentativo organico di regolare una materia fino ad allora nonconsiderata di piena competenza statale.

La legge Casati rappresenta la Magna Charta (L. Borghi) della scuola italiana: dopo laproclamazione del Regno d’Italia (1861), verrà estesa via via alle altre regioni ed i suoieffetti dureranno fino al 1923, quando la Riforma Gentile ridisegnerà la struttura dellascuola italiana, pur non cancellando alcuni tratti essenziali presenti nell’elaborazionedel 1859.

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Il fatto che la Legge sia stata varata senza dibattito parlamentare, come del resto eraaccaduto per la legge Boncompagni e come accadrà per la Riforma Gentile, dimostrache il sistema scolastico privilegiava le esigenze della classe dirigenze rispetto a quelledella realtà sociale.

Vediamo la legge nel dettaglio:

- affidava al Ministro la direzione della scuola pubblica e il controllo su quella privata;

- nell’art. 1, divideva la Pubblica Istruzione in 3 rami:

1. Istruzione superiore, cioè universitaria, alla quale sono riservati ben 141 articoli dei380

2. Istruzione secondaria classica, alla quale sono dedicati 84 articoli

3. Istruzione tecnica, l’istruzione primaria e l’istruzione normale (= destinata allaformazione degli insegnanti), alle quali sono destinati rispettivamente 43 e 66 articoli.

L’importanza che il legislatore attribuiva ai diversi rami si evince non solo dallagerarchia con la quale se ne occupa, dall’alto verso il basso, ma anche dal numero diarticoli che riserva ad ogni ramo: è una legge che punta soprattutto alla formazionedella classe dirigente e considera secondario il problema della formazione popolare.

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1. L’istruzione superiore

Aveva lo scopo di indirizzare la gioventù alle carriere sia pubbliche che private attraverso la«preparazione di accurati studj speciali». Erano previste 5 facoltà: Teologia, Giurisprudenza,Medicina, Scienze fisiche matematiche e naturali, Lettere e Filosofia, in 6 università: Torino,Pavia, Genova, Cagliari, l’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano e l'istituto universitario diChambéry, antica capitale della Savoia. Al corpo accademico dei docenti era dedicataparticolare attenzione.

2. L’istruzione secondaria classica

È la ‘via maestra’ di tutto il sistema disegnato dalla legge Casati: è il canale formativoprivilegiato, destinato ad assicurare la riproduzione della classe dirigente. Promuove lacultura letteraria e filosofica ed è articolata in 2 gradi per una durata complessiva di 8 anni: ilginnasio di 5 anni e il liceo di 3. per accedere a ciascuno dei due gradi è necessario sostenerel’esame di ammissione, mentre l’esame di licenza (come la nostra maturità) conclude gli studi.Da notare che il ginnasio corrisponde in parte alla nostra scuola media con la differenza chequesta ha durata triennale, è parte dell’istruzione obbligatoria e dà accesso a tutti i canaliformativi secondari, mentre il ginnasio sabaudo durava cinque anni , non era obbligatorio edaveva come unico sbocco la frequenza del liceo.

Si rivolgeva a uno strato sociale non più solo aristocratico e alto-borghese, ma anche allaclasse media.

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3. L’istruzione tecnica

Si rivolge ai giovani che intendono intraprendere carriere nel pubblico servizio, nelcommercio, nella ‘condotta’ delle cose agrarie. Le finalità sono pratiche, miranoall’ingresso nel lavoro.

Prevedeva 2 gradi di durata triennale: le scuole tecniche e gli istituti tecnici.L’istruzione nelle scuole tecniche, ossia nei primi 3 anni, era gratuita e questo èsenz’altro un elemento di apertura sociale. Le scuole tecniche dovevano essereassicurate nei capoluoghi di provincia che ne assicuravano il mantenimento, mentregli istituti tecnici erano a carico delle province. Al termine degli studi era necessariosostenere un esame di licenza, come nei licei.

Gli istituti tecnici prevedevano inizialmente 4 sezioni: commerciale-industriale,agronomica, chimica, fisico-matematica (quest’ultima sezione dava accesso allaFacoltà di Scienze); vi furono, nel corso del tempo, numerose modifiche alle sezioni inrelazione alle condizioni di sviluppo economico e sociale nelle diverse aree del Paese.

Di fatto, si dava scarsa importanza a queste scuole rispetto, invece, ai licei.

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L’istruzione normale

Per poter insegnare in una scuola pubblica elementare, il maestro doveva essereminuto di una patente di idoneità e di un attestato di moralità. La patente siconseguiva nelle cosiddette scuole normali, antenate dell’istituto magistrale voluto daGentile nel 1923.

In Italia il problema della formazione dei maestri si presentò subito all’indomanidell’Unità d’Italia come uno dei più urgenti. Per quanto la scuola elementare fossepoco diffusa, la mancanza di maestri preparati rappresentava un grave problema. Neiprimi anni, si ricorse ai maestri già in servizio prima dell’unificazione, ma si trattava dipersonale di modesto livello culturale, al limite dell’analfabetismo, senza alcunapreparazione di carattere didattico e pedagogico. Con la legge Casati si tentò per laprima volta di regolare l’istruzione normale che costituiva di fatto un terzo corso distudi accanto all’istruzione tecnica e alla formazione liceale.

Erano scuole maschili e femminili triennali; al termine del biennio si conseguiva lapatente per insegnare nel primo biennio della scuola elementare; completando,invece, il triennio, si accedeva all’insegnamento anche nel biennio successivo.

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La patente poteva essere acquisita anche da coloro che avessero superato l’esamefinale e svolto un tirocinio di un anno in una scuola elementare.

Per accedere occorreva superare un esame di ammissione ed era necessario unattestato di moralità rilasciato dal Comune ed uno di sanità fisica.

Il curriculum prevedeva lo studio della pedagogia; per i maestri si prevedeva un corsodi agricoltura e di nozioni generali dei diritti e dei doveri dei cittadini, mentre per lemaestre era previsto l’insegnamento «dei lavori propri al sesso femminile», anchedetti «lavori donneschi».

Inoltre i ragazzi poteva accedere alle scuole normali all’età di 16, le ragazze all’età di15. Si deduce che si riteneva la donna particolarmente adatta o ‘vocata’ allaprofessionale magistrale.

La carenza di insegnanti era tale che nel 1865 si istituirono sedici scuole preparatorieche duravano 6 mesi e consentivano l’accesso diretto alle scuole normali ol’acquisizione di una patente provvisoria per insegnare in una classe femminile delprimo ciclo inferiore. Si escogitarono altre strategie per accelerare l’ingresso deimaestri nelle scuole, come la partecipazione alle conferenze magistrali: di fatto,durante questa emergenza non migliorarono le condizioni degli insegnanti in quanto:

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- il maestro era assunto dal Comune con un contratto da 1 a 3 anni, rinnovabile;

- chi insegnava nel secondo biennio guadagnava di più di chi insegnava nel primobiennio;

- chi insegnava nelle scuole di città guadagnava di più di cui insegnava nelle scuolerurali o nei piccoli e disagiati centri abitati;

- le maestre avevano stipendi inferiori a quelle dei maestri.

Le norme mettevano le insegnanti e gli insegnanti in balìa dei sindaci: l’attestato dimoralità, come si può ben intuire, aveva carattere discrezionale.

Negli anni ’80 ebbe grande scalpore il caso di Italia Donati, di cui parleremoapprofonditamente (Cfr. E. Gianini Belotti, Prima della quiete. Il caso di Italia Donati),maestra suicida nella campagna pistoiese a causa delle persecuzioni cui lasottoponeva il sindaco; si ricorda anche della maestra di Carbonara, nel circondario diVarese, «che nel 1886 doveva, oltre al suo lavoro a scuola, fare quello del sagrestano,suonare le campane, pulir la chiesa, accendere le candele ecc., per il semplice fattoche la parrocchia contribuiva per 20 lire mensili al su stipendio» (D. Bertoni Jovine)

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Il caso di Italia Donati

Letture da in aula tratte da:

E. Catarsi, Il suicidio della maestra Italia Donati, in L’educazione del popolo, Juvenilia, Bergamo, 1985, pp. 103-123.

M.C. Leuzzi, Le maestre e le maestrine, in Alfabetizzazione nazionale e identità civile, Anicia, Roma, 2012, pp. 141-151.

E. Gianini Belotti, Prima della quiete. Storia di Italia Donati, Milano, BUR.

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L’istruzione primaria/elementare

La scuola elementare della Legge Casati:

- ha durata di 4 anni

- è suddivisa in 2 gradi biennali: grado inferiore e grado superiore

- vi si accede dopo aver compiuto i 6 anni d’età

- le scuole elementare femminili sono sperate dalle scuole elementare maschili, ciascuna ha insegnantidello stesso sesso

- gli allievi delle scuole che hanno una sola classe potranno eccedere il numero di 70 ma nonoltrepassare il numero di 100: ciò la dice lunga sulle condizioni in cui si impartiva l’insegnamento.

- i genitori hanno l’obbligo di far frequentare ai figli il grado inferiore delle scuole elementari; se non lofanno «saranno puniti a norma delle leggi penali dello Stato»: ne consegue che il primo biennio dellascuola elementare è obbligatorio, ma la legge contempla la possibilità di impartire una «educazionepaterna» in casa, anche attraverso precettori e insegnanti privati. Qualora poi si decidesse di accederealla scuola pubblica, è necessario un esame di ammissione.

Appare chiaro che l’obbligo scolastico fosse tale solo per le famiglie meno agiate; inoltre va detto che difatto le leggi dello Stato non prevedono alcuna pena per gli inadempienti, pertanto sono molti ibambini che si assentano da scuola, soprattutto in ambito rurale e nei mesi di aprile e maggio, quandoil lavoro nei campi si intensifica.

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- L’istituzione della scuola elementare compete ai comuni, che provvedono «inproporzione delle loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti» e hanno l’obbligo diassicurare «almeno una scuola, nella quale verrà data l’istruzione elementare del gradoinferiore ai fanciulli, e un’altra per le fanciulle». Il biennio superiore sarà attivato neicomuni con oltre 4000 abitanti.

In conseguenza di ciò, nei comuni più piccoli e soprattutto nel Mezzogiorno la scuola sidiffuse in tempi lentissimi, in condizioni di grande miseria e nella latitanza istituzionale.

Le reazioni

La parte più retriva e conservatrice dell’opinione pubblica accusava di obbligare lefamiglie a inviare i figli alla scuola elementare: istruire il popolo poteva risultare inutile edannoso per l’ordine stabilito. Gli alfabetizzati, infatti, avrebbero potuto votare.

Paradossalmente anche le famiglie più povere erano diffidenti, non erano cioè in grado dicomprendere il valore dell’istruzione, soprattutto per le figlie. Molti genitori, costretti aimpiegare i figli nelle campagne, rifiutavano la scuola e ne subivano come una vessazionel’obbligatorietà, considerata ingiusta e illiberale.

Ancora più forti le posizioni della Chiesa e degli ambienti cattolici tradizionalisti controuna scuola laica istituita dallo Stato: l’istruzione e l’educazione dovrebbero – secondo illoro punto di vista – competere alla Chiesa.

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L’educazione infantile

La legge Casati non si occupava di alcun tipo di scuola per l’infanzia.

L’educazione dei più piccoli era infatti considerato come un problema a carattereassistenziale e custodialistico da regolamentare insieme alle ‘opere pie’ e dicompetenza del Ministero degli Interni.

Un passo indietro…

Le prime forme di diffusione della manifattura, di industrializzazione, l’utilizzazionedella mano d’opera femminile, l’attrazione della città sulla campagna mettono indiscussione le tradizionali forme di vita legate all’attività dei campi. Vengono amancare, così, le forme tradizionali di sostegno tra le famiglie del vicinato, soprattuttoper l’affidamento dei bambini, che solitamente erano lasciati alle anziane. Si diffonde,così, da un lato l’affidamento a balia, abitudine prima estranea ai ceti popolari,dall’altro la creazione di sale di custodia, o «sale deposito» come le chiamerà FerranteAporti.

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Ferrante Aporti, sacerdote, sarà tra i primi, in Italia, secondo una impostazione cheemergeva negli stessi anni in tutta l’Europa progressista, a cercare di organizzare unasilo non solo rivolto ad accogliere i piccoli, ma anche a fornire loro attenzionieducative.

Aporti aprì il primo asilo a Cremona nel 1828. In breve numerosi asili aportiani furonoaperti, soprattutto nelle regioni centro-settentrionali d’Italia. I promotori sono per lopiù filantropi e patrioti, talvolta cattolici o protestanti, oppure figure politicamente eintellettualmente impegnate.

Aporti dà grande importanza all’educazione fisica, intesa come fondamento dellosviluppo del bambino e strettamente associata alle pratiche di igiene, alla disciplinascolastica, agli esercizi dei sensi e ai giochi. Successivamente introdurrà nei suoi asilianche il lavoro manuale, specialmente per le bambine (cucito, ricamo, maglia). Nonmancherà, naturalmente, l’educazione morale che ispirerà alla religione cristiana.

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Un ulteriore sviluppo dell’educazione infantile venne dal diffondersi, anche in Italia,delle idee di Froebel e del suo «giardino d’infanzia». Con Froebel la concezioneassistenzialistica è superata; egli insiste sull’importanza del gioco infantile e sulladidattica intenzionale programmata (i doni) ed imposta su nuove base l’educazioneinfantile.

Da notare che la nascita degli asili è legata ai processi produttivi, alla nuova situazionesociale, ai nuovi costumi familiari e sociali e, naturalmente, a nuove ideepedagogiche.

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La scoperta dell’infanzia

L’attenzione, da parte delle figure ricordate, alla prima infanzia ha a che vedere con la«scoperta dell’infanzia» da parte della cultura europea. Si tratta di un fenomeno dilungo periodo che accompagna lo sviluppo della moderna borghesia tra i secoli XVIII eXIX. Lo storico annalista Philippe Ariès ha dedicato all’argomento pagine suggestiveutilizzando fonti storiografiche insolite come l’iconografia, i diari, i memoriali, ed haraccontato come le famiglie di banchieri e mercanti, per esempio, avesserocominciato a considerare il bambino non più un homunculus, un uomo in miniatura,ma un essere dotato di propria specificità e bisogni speciali.

Nasceva così il sentimento dell’infanzia.

Inoltre l’ascesa della borghesia e i mutamenti sociali che la caratterizzavanofavorivano tra l’altro anche lo sviluppo di un nuovo modo di intendere la funzionegenitoriale: la famiglia si andava impegnando con maggiore consapevolezzanell’educazione dei bambini e delle bambine, che si vedevano riconosciuti, anche secon lentezza, i propri diritti.

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La Legge Casati, con il suo silenzio sulla scuola dell’infanzia, non fa altro che sancire una situazioneormai consolidata: la prima educazione compete alle famiglie e, quando queste non sono in gradodi assicurarla, vi concorrono i comuni, i benefattori privati, le istituzioni religiose. Le funzioni divigilanza sugli asili infantili sono affidate al Ministero degli Interni, che già si occupa di questionilegate al culto e alla beneficenza. In sostanza, nonostante le esperienze di Aporti e Lambruschini,si lascia il campo libero a iniziative custodialiste e assistenziali svolte spesso in squallidi stanzoni, inpresenza di personale impreparato che si limita ad insegnare filastrocche e preghiere.

Quali le ragioni di tanta disattenzione?

Emerge una connotazione classista del problema: il sentimento dell’infanzia che va sviluppandosiin relazione alla diversa concezione dell’istituto familiare è un fenomeno tipico delle classiborghesi, che guarda agli strati più deboli con diffidenza oppure con spirito di condiscendentefilantropia. Se la famiglia povera o culturalmente deprivata non è in grado di educare i bambinipiccoli, allora può farlo la Chiesa. Inoltre, affidare anche l’educazione della prima infanzia allo Statoavrebbe inasprito i rapporti con la Chiesa stessa, alla quale si preferisce lasciare quel terrenoeducativo, ed aggravato le finanze del Regno, già appesantite dall’annessione di tante regionidissestate.

Occorrerà attendere il 1968, come vedremo, perché lo Stato si faccia carico della scuoladell’infanzia.

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L’analfabetismo

Si è detto che nei decenni successivi all’Unità l’analfabetismo costituiva uno deiproblemi più gravi del nostro Paese.

Secondo il censimento del 1861, una popolazione di circa 22 milioni di abitanti, 17milioni erano analfabeti. Si trattava del 74,7% della popolazione con più di 6 anni.

Scenderà al 68,8% nel 1871, mentre occorrerà attendere il 1901 per arrivare al 48,7%.Nel 1911 l’analfabetismo sarà al 37,9%, nel 1921 al 27,3%.

Si tratta, tuttavia, di cifre ottimistiche, poiché si considera alfabeta chi sa fare lapropria firma. In realtà i dati sono più drammatici: per esempio, nel 1861 abbiamo il67% di analfabeti al Nord e l’87,1% al Sud e nel 1921, 21,8% al Nord e sotto il 50% alSud. Il grande divario tra Nord e Sud mostra anche uno sviluppo diseguale nel campodell’istruzione.

Il paragone con la situazione europea è sconfortante: alla metà del XIX secolo l’Italiaoccupava l’ultimo posto in Europa quanto a presenza di cittadini in grado di leggere escrivere, insieme con la Spagna e con l’impero russo. Migliore la situazione nei paesiprotestanti (Prussia, Svezia, Inghilterra, Olanda).

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Tra le ragioni storiche che concorrono a spiegare una situazione così diversificata traItalia e resto d’Europa vi è il diverso atteggiamento della Chiesa cattolica e dellechiese riformate nei confronti dell’istruzione: durante tutto il corso dell’età moderna,infatti, Santa Romana Chiesa considerava una ‘iattura’ la diffusione presso gli stratipopolari degli elementi fondamentali della cultura come il «leggere, scrivere e far diconto».

All’interno di una visione statica della società e di una concezione provvidenzialedell’uomo e del suo destino, era giusto e naturale che all’istruzione accedessero soloquanti, per nascita e per censo, sarebbero stati in grado di utilizzarla correttamenteper avviarsi alle professioni liberali, agli impieghi amministrativi e soprattutto alla curadelle anime nelle fila del clero.

Per i protestanti, invece, per consentire al credente di entrare in contatto diretto conla Bibbia, era necessario che tutti sapessero leggere e scrivere.

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La scuola della Destra storica (1861-1876)

La classe dirigente che aveva realizzato l’Unità, ossia la Destra storica, guiderà il paesedal 1861 al 1876.

La sua politica scolastica presenta un bilancio piuttosto deludente: stanziamentiesigui, inchieste interessanti ma prive di conseguenze, debole impegno control’analfabetismo e in favore dell’obbligo scolastico.

Le inchieste

Lo strumento dell’inchiesta era molto diffuso tra gli Stati moderni dell’Ottocento. IlRegno d’Italia dedicò una inchiesta all’istruzione primaria alla fine degli anni Sessanta,una sull’istruzione secondaria classica del 1871, una sul complesso dell’istruzionesecondaria nel 1875. La grande inchiesta pubblicata nel 1864 produsse una grandequantità di dati e di documenti e mostrò, a 5 anni dall’Unità, una situazione ancoramolto grave. Ne scaturirono diverse proposte, rimaste poi inattuate.

L’analfabetismo non era che una spia, ed era strettamente legato sia alla questionesociale, sia alla questione meridionale.

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Non solo la Chiesa, ma di fatto anche nelle classi dirigenti vi erano atteggiamenti disottovalutazione o di vero e proprio fastidio nei confronti della scuola elementare,nonostante il paese, che volgeva verso la diffusione dell’industria, della finanza e delcommercio, richiedesse una manodopera sempre più qualificata.

Come si evince dalla struttura stessa della Legge Casati, maggiore interesse (emaggiori finanziamenti) va verso l’università e i licei.

L’obbligo scolastico

Come si è visto, la Legge Casati lo affermava in modo evanescente. La parte piùtradizionale del mondo cattolico era impegnata nel diritto, spettante alla famiglia, dieducare i propri figli. Altri problemi si riconducevano alla questione sociale: le forzeanimate da sincera sensibilità sociale consideravano prioritario il miglioramento dellecondizioni di vita alla scolarizzazione. Mancarono, dunque, provvedimenti cherendessero effettivo l’obbligo scolastico.

Toccherà alla classe dirigente della Sinistra dare nuovo corso alla scuola, manifestandoquella sensibilità che era mancata sotto il governo della Destra storica.

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La scuola della Sinistra

Nel 1876 la sconfitta parlamentare del governo Minghetti e la sua sostituzione con ilgoverno Depretis determinarono il tramonto della Destra a l’avvento al potere dellaSinistra, che guiderà il Paese sino al 1887.

Depretis, Cairoli, Crispi, Mancini, Zanardelli sono alcuni degli uomini che daranno vitaalla stagione caratterizzata da importanti provvedimenti: istruzione primariaobbligatoria (Legge Coppino, 1877), abolizione della tassa sul macinato (1880), avviodi una nuova politica agraria, allargamento del diritto di voto (1882: fu concesso aicittadini in possesso della licenza elementare).

Appare evidente la volontà di allargare la base democratica dello Stato, di assicurarealla classe dirigente una più ampia rappresentatività, di accorciare le distanze cheseparavano il paese legale da quello reale.

Molta importanza fu data all’istruzione elementare che nei programmi di AgostinoDepretis e della Sinistra doveva essere gratuita, obbligatoria, laica.

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Alcuni provvedimenti

In questo senso, vi furono importanti provvedimenti come le leggi del 1876 e del1886 che aumentavano del 10 % le retribuzioni dei maestri; la Legge Coppino (1877),che vedremo più avanti in dettaglio, due leggi del 1878, una delle quali concedevaagevolazioni ai comuni per la costruzione di edifici scolastici, l’altra istituiva il Montepensioni dei maestri. Sempre nel 1878 si introduceva l’insegnamento della ginnasticae un decreto del 1885 disciplinava i poteri dei comuni in materia di nomina e dilicenziamento dei maestri nel tentativo di limitare l’eccessiva discrezionalità degliamministratori locali; furono infine gettate le base per i patronati scolastici (1895),destinati ad assistere gli scolari più poveri.

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La Legge Coppino (1877)

Prende il nome dal Ministro che la portò all’approvazione, Michele Coppino, durante ilperiodo del governo della Sinistra storica, con a capo Agostino Depretis.

La Legge Coppino costituisce uno dei provvedimenti legislativi di maggiore rilievo della nuovastagione politica.

Prioritariamente, la Legge mirava

• in primo luogo a rendere effettivo l’obbligo scolastico per «i fanciulli e le fanciulle cheabbiano compiuto l’età di 6 anni» e riguardava il «corso elementare inferiore, il quale dura diregola fino ai 9 anni» (art. 2). Il corso inferiore diventa, quindi, triennale e l’intero percorsoelementare viene portato a 5 anni (3+2). Al termine del terzo anno c’è l’esame diproscioglimento.

• in secondo luogo veniva istituita una sorta di anagrafe scolastica, cioè un «elenco dei fanciulliper ragioni di età obbligati» alla frequenza del corso elementare inferiore; «questo elencoriscontrato poscia col registro dei fanciulli iscritti nelle scuole servirà a constatare i mancanti»(art. 3)

• inoltre la Legge definiva norme minuziose per scoraggiare l’evasione dell’obbligo scolastico,che veniva punita con una serie di misure: l’ammonizione, il divieto di ricevere sussidi ostipendi pubblici e di ottenere il porto d’armi, fino all’ammenda da 50 centesimi a 10 lire, neicasi di «continuata renitenza».

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Della Legge Coppino è apprezzabile l’attenzione per l’istruzione elementare, tuttaviala volontà di contrastare l’obbligo scolastico non produsse gli effetti sperati: troppiostacoli si sovrapponevano, sia di ordine politico che sociale. I genitori costretti alrinunciare al lavoro dei figli continuavano a sentire come un’imposizione questarichiesta da parte dello Stato. Erano previsti, tra l’altro, motivi di esonero dall’obbligoche il genitore doveva certificare: la povertà assoluta, la malattia, la distanza dascuola, la difficoltà delle strade. In definitiva, in concomitanza con i lavori agricoli siverificavano assenze di massa e l’evasione dall’obbligo scolastico rimaneva frequentetra le classi più disagiate.

La Legge, inoltre, non prevedeva alcun contributo per i comuni che dovevano istituirenumerose scuole e retribuire i maestri; rimaneva il problema della mancanza diinsegnanti.

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•Un aspetto di grande innovazione: la Legge Coppino non comprendeval’insegnamento della religione cattolica, che doveva essere sostituita, nel corsoelementare inferiore, dalle «prime nozioni di doveri dell’uomo e del cittadino».

La Legge Casati aveva previsto l’insegnamento religioso da parte del maestro, conesame finale del parroco, il cui voto era vincolante per la promozione. La famigliapoteva comunque richiedere l’esonero.

Si tratta, questo dell’insegnamento della religione cattolica, di un problema che haaccompagnato la storia della nostra scuola dalle sue origini e fino ad oggi, condivisione profonde e lacerazioni. In Italia poi, com’è comprensibile, il problemaassumeva e assume una dimensione particolare: qui una tradizione plurisecolareaveva determinato una presenza forte e pervasiva della Chiesa in tutti i rami della vitasociale, culturale e politica.

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I programmi Gabelli (1888)

All’introduzione di nuove leggi da parte della sinistra storica non seguì subitol’introduzione di nuovi programmi d’insegnamento. Per la scuola elementare questiarrivarono solo nel 1888. Si trattava dei programmi elaborati da Aristide Gabelli, distampo positivista.

In breve: educazione intellettuale, fisica, morale e sociale; «formare lo strumentotesta», secondo le parole di Gabelli. È inoltre importante il riferimento all’esperienza,al concreto: la lezione oggettiva osserva le «cose in mezzo alle quali gli uominivivono» (forma, colore, origine, uso, fino ai campi della natura e dell’industria ai qualiappartengono). Il contrario, quindi, della lezione verbale-espositiva che dà importanzaalle parole e poca alle idee e alle cose.

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Questi i punti salienti dei programmi:

•Valorizzare il metodo dell’insegnamento primario piuttosto che incrementare icontenuti.

•Polemica contro il nozionismo e il dogmatismo.

•L’importanza che l’insegnamento si tramuti, nei limiti del possibile, in un esercizio diosservazione che stimola la curiosità dell’alunno.

•La necessità di collegare la scuola alla vita: puntare, cioè, sulla formazione di unmetodo di pensiero che sulla semplice trasmissione di saperi, abituare gli alunni alragionamento, a risolvere i problemi, a confrontarsi con la realtà in modo critico.

•Il legame fra l’educazione intellettuale e quella morale e civica.

Si trattò, com’è evidente, di programmi di grande portata innovativa ancor oggiriconosciuti dalla storiografia storico-educativa.

All’atto pratico, va considerato che la concezione positivista portò più a constatare e adescrivere che a ricostruire storicamente e teoricamente i concetti. Inoltre la praticascolastica trasformò presto la «lezione oggettiva» in lezione sugli oggetti: i maestri nonsempre erano preparati ad attuare correttamente questi programmi.

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Pedagogia e pedagogie

•Il positivismo pedagogico: erede culturale dell’Illuminismo, si diffonde in questi anniin tutta Europa attraverso una rinnovata fiducia nella scienza, nei suoi risultati e nelsuo metodo d’indagine che si identificava con la filosofia positiva, contrappostaall’idealismo e alle filosofie spiritualistiche. Tra i nomi illustri del positivismo italianoricordiamo Pasquale Villari (1827-1917), Roberto Ardigò (1828-1920), Aristide Gabelli(1830-1981), quest’ultimo è considerato il più lucido ed equilibrato esponentepedagogico italiano per la sua fiducia nell’educazione, considerata la molla percontribuire all’emancipazione degli uomini nella società.

•La pedagogia socialista: si sviluppa negli stessi anni all’interno di un più vastomovimento europeo. In Italia è rappresentata da figure molto diverse tra loro, comeAntonio Labriola (1843-1904), voce della pedagogia marxista nel nostro paese,Edmondo De Amicis (1846-1908), animato da un socialismo umanitario e filantropico,Gaetano Salvemini (1873-1957), interprete di una laicità più intransigente. Liaccomunava una visione critica del capitalismo ottocentesco, la sollecitudine perl’emancipazione delle classi popolari e la fede nell’importanza dell’istruzione perdebellare povertà e ignoranza.

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•La pedagogia cattolica: si pensi a Don Giovanni Bosco (1815-1888), che avvia lagrande opera degli Istituti Salesiani, nel tentativo di coniugare all’intervento a favoredei poveri un impegno in direzione della formazione professionale. Si registra, negliultimi decenni del secolo, anche il lavoro delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi,impegnate nella costruzione di una scuola materna che fosse in continuità conl’ambiente famigliare del bambino.

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Nel 1894 furono introdotti nuovi programmi per la scuola elementare, che purmantenendo le istruzioni elaborate da Gabelli pochi anni prima, ne modificarono nonpoco l’impianto: esaltazione della disciplina, sottolineatura dell’importanzadell’istruzione religiosa, insistenza su un forte sentimento nazionale e patriottico.

Con il nuovo secolo si assiste al tramonto della figura di Francesco Crispi,rappresentante di un fronte conservatore nella politica e nella società italiana, e ilsorgere di quella di Giovanni Giolitti, espressione di una classe dirigente più aperta espregiudicata.

Nella scuola elementare questo nuovo clima comportò alcuni cambiamenti, come peresempio il Testo Unico del 1903 che raccoglieva le norme relative allo stato giuridico eal trattamento economico di maestri e direttori e che consentì di riportare un po’ diordine in un settore normativo piuttosto accidentato sul quale emergeva l’attenzionedelle nascenti organizzazioni magistrali.

La novità più importante fu la Legge Orlando (1904).

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Legge Orlando (1904), «Provvedimenti per la scuola e pei maestri elementari»

•Innalzamento dell’obbligo scolastico a 12 anni (si trattava al solito di un’affermazionedi principio più che di una norma destinata produrre effetti reali);

•Formazioni di classi miste, laddove le esigenze organizzative lo rendessero necessario;

•Avvio di corsi serali e festivi rivolti agli adulti per la lotta all’analfabetismo;

•Abolizione della differenza retributiva tra insegnanti del corso elementare inferiore einsegnanti del corso elementare superiore;

•Non ammetteva eccezioni all’obbligo scolastico degli alunni, nel caso che i comuniavessero istituito le scuole. Per i casi di povertà, si introduceva ufficialmente per laprima volta in una legge l’assistenza scolastica, autorizzando i comuni a stanziareappositi fondi per refezione scolastica e libri di testo.

•Istruzione del corso popolare: al termine della quarta classe, gli alunni intenzionati aproseguire negli studi dovevano superare un esame che li avviava verso l’istruzionesecondaria, mentre gli altri potevano proseguire la scuola elementare frequentandouna quinta e una sesta classe, al termine delle quali ricevevano la licenza di scuolaprimaria. Ciò consentiva di frequentare la scuola sino ai 12 anni; in conseguenza diciò, la scelta della carriera scolastica doveva essere compiuta a 10 anni.

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Il corso popolare, composto da sole 3 ore giornaliere di lezione, consentiva alpomeriggio di lavorare. Era stato fortemente voluto dai socialisti come scuola delpopolo, per coloro che non avrebbero continuato a studiare, ma di fatto separavaancora una volta con una scuola specifica chi non avrebbe continuato gli studi: dinuovo una scuola per il popolo, minore, senza sbocchi ulteriori.

Di fatto, l’introduzione del corso popolare non dette buoni risultati e anzi contribuì asegnalare la mancanza di una scuola media. Inoltre fu istituito solo nei capoluoghi diprovincia, mentre le scuole serali e festive furono istituite nel numero di 3000 neicomuni a più alta percentuale di analfabetismo.

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Obbligo scolastico e lavoro infantile

Come si è più volte ricordato, il problema dell’effettiva frequenza scolastica vacollegato al gravissimo problema del lavoro infantile.

I bambini venivano, infatti, regolarmente utilizzati nelle attività estrattive,nell’agricoltura, nell’industria, nel commercio, non solo perché la maggiore agilità e leminori dimensioni permettevano loro di svolgere più agevolmente alcune attività, maanche e soprattutto perché venivano pagati assai meno dei corrispondenti lavoratoriadulti, a parità, quasi, di rendimento.

Di conseguenza far rispettare l’obbligo scolastico e sviluppare un’istruzione popolaresignificava – o avrebbe dovuto significare – non solo impegnare lo Stato e leamministrazioni locali da cui dipendevano le scuole elementari alla costruzione discuole, alla formazione dei maestri e al pagamento dei loro stipendi, ma anchesottrarre i bambini al lavoro, cioè togliere forza lavoro supersfruttata a basso prezzodai proprietari di industrie o di terreni (e togliere alle famiglie del proletariato urbanoe contadino una parte di entrate indispensabili, per quanto ridotte).

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La prima legge per la tutela del lavoro infantile nelle fabbriche è del 1866. Nonriguardava, dunque, i lavori agricoli e commerciali. Essa vietava il lavoro minorilenell’industria fino ai 9 anni e nelle miniere fino ai 10. Tra i 9 e i 10 anni stabiliva ladurata massima del lavoro in 8 ore.

Il controllo sull’applicazione della legge era affidato a ispettori dipendenti daiproprietari. L’applicazione della legge fu praticamente simbolica: i libretti di lavoro nonvenivano rilasciati, i certificati medici erano rilasciati anche a bambini inferiori agli 8anni o a quelli deboli o malati, le 8 ore mai rispettate.

Sono di questo periodo le inchieste e le denunce sia di parte illuminata borghese, siadi parte socialista.

Nel 1902 l’età minima per l’assunzione fu portata a 12 anni (e a 13 per i lavorisotterranei. Si stabilivano – contraddittoriamente – 8 ore i bambini al di sotto dei 12anni, 11 ore tra i 12 e i 15, 12 ore al massimo per gli altri. In un rapporto del Ministerodell’Agricoltura si legge che «la legge sul lavoro dei fanciulli è osservata nelle miniere,visitate una volta l’anno dagli ispettori, elusa negli stabilimenti, addirittura ignorata neisettori agricoli e artigianali».

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La Legge Orlando del 1904 raccordava l’età dell’obbligo scolastico con l’età minimaper il lavoro.

Il testo unico del 1907 poneva il limite di 12 anni per il lavoro nelle industrie, di 13nelle miniere, di 14 nei lavori pericolosi; confermava il libretto di lavoro (salute,adempimento dell’obbligo scolastico).

Si consideri che nell’anno scolastico 1907/8, su circa 4 milioni di alunni obbligati, gliinadempienti erano stati 946.973. Da indagini ministeriali si ricava che a unadiminuzione di bambini impegnati nel lavoro industriale corrisponde un aumento delnumero delle bambine per le quali la scuola era considerata meno necessaria.

Nel 1910 il ministro Credaro permetterà il compimento dell’obbligo per i bambini giàoccupati sia raggiunto anche con la frequenza di scuole serali e festive. Ciò significavache il tempo da dedicare all’istruzione non poteva essere calcolato sull’orario di lavoro(10 ore giornaliere), ma sul riposo, aggiungendo a una fatica estenuante un’altragravosa fatica (Cfr. D. Bertoni Jovine, L’alienazione dell’infanzia, Roma, Editori Riuniti,1963). Altri provvedimenti, sino all’inizio della Prima Guerra Mondiale, sisusseguirono, tuttavia l’età in cui compiere l’obbligo scolastico e l’età minima diassunzione al lavoro divaricavano di nuovo.

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Visione del video Il lavoro minorile nell’Ottocento, Rai Storia

https://www.youtube.com/watch?v=nkEZKETbB-s

Letture in aula tratte da

G. Genovesi, Gli alunni e le loro condizioni di vita a casa e a scuola, in Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008.

S. Ulivieri, Il secolo delle bambine, in S. Ulivieri (a cura di), Le bambine nella storia dell’educazione, Roma-Bari, Laterza, 1999.

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Il passaggio della scuola elementare allo Stato (Avocazione scuola pubblica allo Stato)

I molteplici problemi dell’istruzione elementare (analfabetismo, obbligo scolastico, lavoroinfantile, quantità e qualità degli edifici scolastici, retribuzioni e condizioni dei maestri)sembravano far capo alla questione della conduzione della scuola elementare, che eracompito comunale senza tuttavia che i comuni, almeno fino al 1904, avessero unasovvenzione statale in loro favore.

Spesso i comuni non disponevano di bilanci sufficienti ad affrontare i problemi di cuivenivano gravati, al punto che, come rileva l’inchiesta Corradini del 1908, i sindaci, che perlegge avevano il dovere di controllare l’adempimento dell’obbligo scolastico, finivanospesso per diminuire o annullare la sorveglianza per non trovarsi con un aumento dellapopolazione scolastica e con un conseguente aumento di spesa e di impegnoamministrativo.

Inoltre, la persistente necessità di ‘fare gli italiani’ non poteva essere ostacolata daun’espansione lenta e squilibrata di quella scuola che dovrebbe assicurare a tutti leconoscenze essenziali: l’uso della lingua nazionale, la condivisione degli ideali e dei valoriche sono alla base della comune identità, l’acquisizione delle abilità minime necessarieallo sviluppo economico e sociale.

Di fronte a questi problemi prese corpo la proposta di avocare le scuole elementari alloStato, cioè di far assumere allo Stato la gestione diretta.

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Favorevoli all’avocazione (‘fronte avocazionista’)

- l’Unione Magistrale Italiana, la più numerosa e combattiva associazione di maestrielementari, che vedeva nell’avocazione la soluzione a molti problemi relativi allecondizioni di lavoro della categoria;

- le forze parlamentari liberal-democratiche e i socialisti di Filippo Turati, che, fin dal1906, avevano presentato un ordine del giorno per l’avocazione dell’istruzioneelementare allo Stato quale «sicuro affidamento che l’istruzione stessa assumal’importanza che le spetta e si informi alle esigenze e ai principi della scuola modernae del suo carattere laico»; esponenti laici e di quell’anticlericalismo che vedeva ilpassaggio dell’educazione elementare allo Stato l’occasione per accentuare ilcarattere laico dell’istruzione;

- i piccoli comuni (per evidenti motivi di bilancio e di alleggerimento amministrativo)e gli ambienti giolittiani.

Tra gli avocazionisti vi era anche il filosofo neoidealista Giovanni Gentile.

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Contrari all’avocazione

- i grandi Comuni (anche, ma non solo, per motivi di prestigio), i reazionari e i clericaliche perdevano di perdere strumenti locali di politica e di controllo sociale.

- studiosi e uomini politici progressisti, che temevano che l’avocazione della scuolaallo Stato colpisse i principi dell’autonomia, la specificità della scuola e rafforzasse ilruolo accentratore dello Stato (così, ad esempio, pensavano Salvemini e Labriola).

Come si nota, i due schieramenti furono politicamente e culturalmente compositi.

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La Legge Daneo-Credaro (1911)

- avocava le scuola elementari allo Stato, istituendo i consigli scolastici provinciali (concompiti decisionali) e le Deputazioni scolastiche provinciali (con compiti esecutivi).Entrambi gli organi erano presieduti dal Provveditore, la cui figura trova, con questalegge, una sua propria definizione e valorizzazione. Restavano al Prefetto, tramite ladelegazione governativa, compiti di supervisione finanziaria;

- escludeva dall’avocazione i Comuni capoluogo di Provincia e di circondario (a menodi una loro richiesta in senso contrario). Era anche prevista la richiesta di amministrarele scuole da parte dei Comuni che di norma ne erano esclusi, purché avanzata neiprimi tre anni di applicazione della legge;

- chiedeva ai Comuni esclusi dalla gestione di versare annualmente allo Stato una cifracorrispondente a quella stanziata nell’ultimo anno di gestione e di provvedere a lorocarico ai locali, riscaldamento, illuminazione, alloggio gratuito per gli insegnanti ecc.

- disciplinava l’obbligo scolastico in modo più rigoroso;

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- riconosceva il Patronato scolastico ente morale, ne prevedeva l’istituzione in ogniComune, amministrato da un consiglio composto da rappresentanti comunali,scolastici e dai soci;

- aumentava lo stipendio agli insegnanti elementari e ai direttori; stabiliva nuovi criteriper il reclutamento, ritoccava lo stato giuridico.

Anche se la Legge trovò applicazione incerta e stentata, va considerato che:

a. si trattava di una Legge ampia che riorganizzava tutto il settore;

b. era stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento;

c. se vi furono opinioni diverse sulle forme di avocazione , rimase sempre al centro,unanimemente sentito, il problema dell’estensione e dell’efficacia dell’educazionepopolare;

d. essa poggiava su una concezione attiva e di intervento dello Stato verso l’istruzione.

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La Riforma Gentile (1923-1945)

Il quadro storico e sociale

Nel primo dopoguerra, caratterizzato da un aspro scontro sociale fra il movimentooperaio e contadino e le organizzazioni padronali, lo scenario politico conobbe unaserie di cambiamenti sempre più veloci: alle elezioni del novembre del 1919, il Partitofascista ottenne una quantità trascurabile di voti, ma l’affermazione del Partitosocialista e del neonato Partito popolare di Don Sturzo contribuirono ad accrescere ledifficoltà dei diversi gruppi dirigenti liberarli che fino a quel momento si eranoalternati alla guida del Paese. Lo stesso Giolitti tornò per l’ultima volta a presiedere unbreve governo (giugno 1920-giugno 1921). Nel 1921 fu fondato il Partito nazionalefascista; nel 1922 si formò il governo Mussolini. Il Partito fascista si presentava comeuna formazione politica composita: vi erano piccoli e grandi capi, squadristi locali piùo meno potenti (i gerarchi), mossi da suggestioni nazionaliste e repubblicane, nemicidello Stato liberale, di Giolitti, del socialismo e del movimento operaio, dell’ideastessa di democrazia.

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Il Partito fascista doveva:

- accreditarsi come elemento di stabilità e di ritrovata pace sociale in grado dicostruire un nuovo ordine;

- radicarsi nell’intera società italiana;

- gli intellettuali – e anche gli insegnanti di ogni ordine e grado – avrebbero dovutocontribuire alla costruzione di un consenso di massa. Molti uomini di cultura, comeBenedetto Croce, si sottrassero a questa sorta di arruolamento; molti altri viaderirono per convinzione, per opportunismo, o per necessità.

Tra i primi atti del governo vi è la riforma della scuola, approvata nel 1923. Si tratta diun’operazione articolata, con la quale il governo Mussolini cerca di cogliere piùrisultati:

1. portare alla collaborazione con il nuovo ordine una schiera di intellettuali prestigiosi(si pensi a Giovanni Gentile);

2. acquisire il favore degli insegnanti, che hanno una importanza strategicanell’orientare il consenso di vari strati sociali;

3. proseguire l’opera di avvicinamento dello Stato alla Chiesa, sempre per motivi diconsenso.

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Un passo indietro… prima della Riforma Gentile

Con la prima guerra mondiale la scuola era passata in secondo piano. In assenza dinuove leggi, tuttavia, maturavano importanti novità:

- cresceva la domanda di istruzione da parte della popolazione: dal 1911 al 1921l’analfabetismo era sceso dal 37,9 al 27,3% con il solito squilibrio a danno delMezzogiorno; gli alunni delle scuole elementari erano cresciuti del 30%, del 45% glistudenti del liceo classico e dell’80% quelli delle scuole e degli istituti tecnici; gliiscritti all’università raddoppiarono;

- cresceva l’interesse di intellettuali e insegnanti rispetto alla necessità di una riformadella scuola; le associazioni degli insegnanti erano sempre più forti (nel 1919 ilministro Baccelli aveva aumentato gli stipendi, ma ancora in maniera insufficiente); vifurono i primi scioperi degli insegnanti e l’UMN fondò il Sindacato magistrale italiano;

- si notava il dinamismo di nuovi soggetti culturali (l’idealismo di Croce e Gentile) opolitici (il partito cattolico) che nella scuola individuavano un importante terreno diconfronto.

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Nella FNISM (Federazione Nazionale Insegnanti) la situazione era in movimento,soprattutto per il dinamismo della corrente idealista; guidata da Giovanni Gentile,annoverava figure come Ernesto Codignola e Giuseppe Lombardo Radice. La svolta siebbe nel Congresso di Pisa del 1919, nel quale i rappresentanti socialisti, democraticie anticlericali sconfissero la corrente idealista e liberale, i cui esponenti fondarono ilFascio di educazione nazionale, con l’appoggio di Giovanni Gentile, Benedetto Croce,Piero Gobetti e altri personaggi di primo piano. Nessuno di loro aveva rapporti con ilmovimento fascista, che negli stessi mesi si organizzava nei Fasci di combattimento,mentre alcune adesioni testimoniano piuttosto un avvicinamento fra liberali e cattolicisulle questioni della politica scolastica.

Qual è la concezione della scuola del gruppo idealista?

Il progetto muove da una concezione etica dello Stato, nel quale l’individuo siriconosce per una consonanza spirituale e ideale: lo Stato è molto più della sommadei cittadini, è piuttosto il rappresentante della coscienza della nazione e con lanazione si pone come valore universale al quale il soggetto deve tendere per superarei propri limiti e per realizzare compiutamente la propria umanità.

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La scuola secondo la concezione idealista deve essere rigorosa sul piano degliorientamenti e selettiva negli ordinamenti. Su quest’ultimo punto, agli occhi degliidealisti si realizzava così una più compiuta forma di democrazia scolastica, tesa a darea ciascun individuo, a ciascun gruppo sociale, la sua propria scuola: il liceo classico aquanti erano destinati a diventare classe dirigente, l’istruzione tecnica a chi eradestinato alle professioni intermedie, l’istruzione elementare per il popolo, secondoun’impostazione tutt’altro che nuova nella pedagogia postunitaria. Era quindi inutile edannoso che ciascuno pretendesse di scegliersi un percorso formativo sulla base delleproprie personali preferenze; era necessario, piuttosto, che ognuno fosse indotto aseguire gli studi più confacenti alla propria estrazione sociale e al proprio destinolavorativo.

Secondo Gentile, occorrevano «poche scuole, ma buone» ed era poco importanteche fossero gestite dallo Stato o da una congregazione religiosa; anzi, la concorrenzatra pubblico e provato avrebbe giovato ad entrambi.

Occorreva una maggiore serietà negli studi, una più accurata formazione degliinsegnanti, un’attenta selezione degli studenti, programmi più severi. Si rivalutaval’educazione religiosa come prima forma di filosofia: secondo molti idealisti, lareligione rappresentava uno dei fondamenti dell’ethos nazionale su cui fondare laconcezione di Stato.

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La necessità, per i pedagogisti e i riformatori idealisti, di diminuire il numero deglistudenti e al tempo stesso di non disperdere le energie culturali della scuola privata,oltre al recupero di un rapporto positivo con il mondo cattolico sul terrenofondamentale della scuola, concorreva a determinare un’altra novità: l’esame di Stato.Si trattava di una rivendicazione propria dei cattolici di Don Sturzo; anche unimportante esponente idealista come Lucio Lombardo Radice riteneva che l’esame diStato fosse uno strumento utile per dare maggiore serietà agli studi, verificare lapreparazione degli studenti e l’operato degli insegnanti, oltre che quello delle scuoleprivate. Con lui erano d’accordo Gentile, Croce, Codignola ed altri intellettuali.

Altra rivendicazione dei cattolici del Partito popolare italiano era quella della libertà diinsegnamento, con la quale Don Sturzo intendeva la «libertà dal controllo statale dellescuole tenute dal clero e diritto della Chiesa cattolica di forgiare le anime dellagioventù in conformità dei suoi dogmi». La Stato, secondo tale impostazione, non ha ildiritto di insegnare perché non è depositario della verità, ma ha solo l’obbligo diprovvedere all’insegnamento.

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Ministro della pubblica istruzione nell’ultimo governo Giolitti (giugno 1920-giugno1921) fu Benedetto Croce: tra i suoi primi impegni figurava l’esame di Stato, tuttaviadurante il suo mandato non vi furono provvedimenti scolastici di rilievo.

Nell’ottobre 1922, Mussolini, ex maestro elementare ed ex dirigente del Partitosocialista, divenne primo ministro di un governo di coalizione, con frange di liberali econ l’appoggio dei popolari. Gentile andava al Ministero della pubblica istruzione,appoggiato dal Fascio di educazione nazionale che raccoglieva le migliori intelligenzedella pedagogia idealista e che qualche mese prima si era trasformato nel Gruppo dicompetenza per la scuola del Partito fascista.

Letture sulla pedagogia idealista da

F. Cambi, Storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 444-454.

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La Riforma Gentile (1923)

La Riforma Gentile è costituita da un insieme di regi decreti adottati lungo tutto il1923, in forza di una delega legislativa attribuita al governo; anche in questo caso,come per le Leggi Boncompagni e Casati, non vi fu discussione parlamentare.

Con questi provvedimenti:

- si supera la legislazione scolastica dei decenni precedenti e le diverse ‘filosofie’ chel’avevano ispirata, con uno speciale accanimento verso il positivismo pedagogico e lasua ispirazione laica;

- si costruisce un sistema scolastico che, salvando quanto di buono c’era nella LeggeCasati, fosse rispondente alla filosofia dell’idealismo, in particolare gentiliano: furidefinita l’organizzazione e l’articolazione dell’istruzione, nei suoi diversi ordini egradi, ma anche e soprattutto la finalità della scuola e il suo ruolo nella societàsecondo una visione classista, autoritaria e gerarchica, ma non fascista.

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Innanzitutto la Riforma Gentile smantella progressivamente e sistematicamente tuttigli organismi che erano stati istituiti dopo la Legge Casati: dal Consiglio superiore perla pubblica istruzione sino ai provveditorati provinciali, ai consigli, alle deputazioniscolastiche, nell’ottica di:

1. abolire le rappresentanze elettive, sostituite da componenti di nomina regia oministeriale;

2. avocare al Ministero i poteri decisionali dei diversi organismi.

I provveditori, i presidi, i capi d’istituto e i direttori didattici videro aumentare i loropoteri sul personale docente, rafforzando un ordinamento gerarchico e centralisticoben più forte di quello della Legge Casati.

In poco più di un anno Gentile licenziò 2158 persone tra dipendentidell’amministrazione scolastica e insegnanti e dirigenti adducendo motivi di salute, dietà, di scarso rendimento, molto spesso colpendo avversari politici. Nella scuola, iposti realmente soppressi furono 700.

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La scuola elementare della Riforma Gentile

Con la Legge Orlando (1904) era stata portata a quattro anni più due di corsopopolare, l’obbligo scolastico era stato portato a 12 anni.

Con la Riforma Gentile la scuola elementare venne divisa in tre gradi:

1. Preparatorio: di durata triennale, corrispondente all’incirca alla nostra scuoladell’infanzia; lo Stato non se ne faceva carico in prima persona ma lasciava l’iniziativanelle mani dei Comuni e dei privati, che erano soprattutto cattolici;

2. Inferiore: dalla I alla III elementare;

3. superiore: IV e V elementare.

In sostanza, la scuola elementare veniva portata a 5 anni; ciascun anno si concludevacon un esame svolto sotto la guida dell’insegnante e di un esaminatore nominato daldirettore tra i docenti delle classi superiori; al termine della III e della V, invece,l’esame prevedeva una commissione di tre membri, compreso l’insegnante di classe.

[Cfr. S. Santamaita, Storia della scuola, Milano, Bruno Mondadori, 2010; G. Genovesi, Storia dellascuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2004; D. Ragazzini, Storia della scuola italiana,Firenze, Le Monnier, 1990]