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Il Mulino - Rivisteweb Stefano Agosta Il risveglio (dopo una lunga anestesia) delle Province nella prospettiva di riordino del livello di area vasta (doi: 10.1443/92163) Le Regioni (ISSN 0391-7576) Fascicolo 3, maggio-giugno 2018 Ente di afferenza: Universitatale di Milano (unimi) Copyright c by Societ` a editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it Licenza d’uso L’articolo ` e messo a disposizione dell’utente in licenza per uso esclusivamente privato e personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Salvo quanto espressamente previsto dalla licenza d’uso Rivisteweb, ` e fatto divieto di riprodurre, trasmettere, distribuire o altrimenti utilizzare l’articolo, per qualsiasi scopo o fine. Tutti i diritti sono riservati.

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Stefano Agosta

Il risveglio (dopo una lunga anestesia) delleProvince nella prospettiva di riordino del livello diarea vasta(doi: 10.1443/92163)

Le Regioni (ISSN 0391-7576)Fascicolo 3, maggio-giugno 2018

Ente di afferenza:Universitatale di Milano (unimi)

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Il risveglio (dopo una lunga anestesia) delle Province nella prospettiva di riordino del livello di area vasta

di Stefano agoSta

Sommario: Sezione i: La Lunga anestesia deLLe Province - 1. La «struttura a clessidra» del livello di area vasta nella riforma Delrio. - 2. (segue): la progressiva contrazione del livello provinciale. - 3. (segue): la corrispondente espansione del livello metropolitano ed inter-comunale. - 4. La giurisprudenza costituzionale sulla legge Delrio. - 5. Il livello interme-dio di governo nella prospettiva di riforma della parte II della Costituzione: ordinamento degli enti locali e forme associative fra Comuni. - 6. (segue): enti di area vasta e Città metropolitane. - Sezione ii: iL bruSco risveglio e Le ProSPettive di riordino deL LiveLLo di area vaSta - 7. L’incompiuto mosaico della legge Delrio (all’indomani della consultazione referendaria). - 8. (segue): ed i suoi non sempre lineari esiti nell’esperienza successiva. - 9. Un livello di governo più che mai bisognoso non già di una nuova nascita (giacché mai scomparso) bensì di nuova linfa: sul piano economico-finanziario. - 10. (segue): e su quello giuridico (a patto di una duplice svolta nel metodo e nel merito di riordino).

Sezione primaLa Lunga anestesia deLLe province

1. La «struttura a clessidra» del livello di area vasta nella riforma Delrio

Recante Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni, sul piano del metodo la l. 56/2014 ha evi-dentemente inteso delineare una sorta di architettura a clessidra del sistema delle autonomie italiano1. Da trait d’union tra il livello di go-

1 Cfr., ex multis, i contributi in Il nuovo governo dell’area vasta. Commento alla legge 7 aprile 2014 n. 56, a cura di A. Sterpa, Napoli 2014; La riforma delle autono-mie territoriali nella legge Delrio, a cura di F. Fabrizzi, g.m. SaLerno, Napoli 2014; L. vandeLLi, Città metropolitane, Province, unioni e fusioni di Comuni. La legge Del-rio, 7 aprile 2014, n. 56 commentata comma per comma, Santarcangelo di Romagna (RN) 2014; F. pizzetti, La riforma degli enti territoriali, Città metropolitane, nuove Province e unioni di Comuni, Milano 2015.

le regioni / a. XLVI, n. 3, giugno 2018ISSN 0391-7576

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verno comunale e quello regionale (entrambi direttamente e imme-diatamente rappresentativi delle rispettive comunità) doveva perciò fare lo stretto collo d’imbuto costituito dal livello intermedio di se-condo grado di area vasta2: precipuo scopo del quale ultimo sarebbe dovuto essere quindi (non già la rappresentanza diretta della comu-nità ad esso relativa bensì appunto) quello di garantire un’organiz-zazione razionale e coerente dell’attività amministrativa delle singole municipalità.

Suddivisibile grossomodo in due asimmetriche porzioni di di-sciplina, il testo in commento per la major pars puntava perciò alla valorizzazione ed al potenziamento del territorio comunale pur non rinunziando  –  con una non secondaria normativa di contorno  –  ad una riduzione della classe politica e dei costi ad essa inevitabilmente connessi (contestualmente sforzandosi di non diminuire la capacità delle istituzioni locali di dare risposte adeguate e coerenti alle ne-cessità pure insistentemente esibite dai livelli territoriali)3. Che l’i-spirazione complessivamente sottesa al disegno di riforma in esame fosse in effetti quella di enfatizzare il livello comunale, d’altro canto, non si faceva poi neppure molta fatica ad intravederlo, a partire dal profilo funzionale. In relazione ad esso, la prevista riduzione delle competenze provinciali mirava difatti ad assicurare ai Comuni sia le competenze che le connesse risorse al fine di aumentarne sensibil-mente le potenzialità operative. Oltre a liberare risorse importanti, la normativa in epigrafe in particolare implicava il trasferimento di non poche attribuzioni proprio in capo al livello comunale, con la conse-guenza di accentuare il ruolo svolto da questi enti nei confini esterni alle Città metropolitane4.

2 Così, ex plurimis, m.g. cuSmano, La prospettiva dell’area-vasta. Gli insedia-menti nello scenario del dopo-crescita, in Città e insediamenti. Dalla prospettiva dell’a-rea vasta alla costruzione dello statuto dei luoghi, a cura di m.g. cuSmano, Milano 2002, 19 ss.; e. marone, Area vasta e governo del territorio, nuovi strumenti giu-ridici, economici ed urbanistici, Firenze 2006; Province e territorio: riforme ammini-strative e pianificazione di area vasta in Italia e Spagna, a cura di o. neLLo, g. tru-piano, Napoli 2013; a. Longo, L. cicireLLo, Città metropolitane e pianificazione di area vasta. Prospettive di governo territoriale per la gestione delle metamorfosi urbane, Milano 2015, part. cap. 2; g. caia, I nuovi enti locali di area vasta, in www.treccani.it (2016).

3 In tal senso, la relazione di maggioranza ad A.C. n. 1542, Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni, in www.camera.it (20 agosto 2013), 4.

4 Sul punto, la relazione di maggioranza cit., 7.

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Dal differente punto di vista politico-istituzionale, non si può non rimarcare poi come la «nuova» Provincia e la Città metropoli-tana  –  quali enti di secondo livello pur tra loro diversamente confe-zionati in funzione di differenti missioni sul territorio  –  non casual-mente rinvenissero proprio nei Sindaci la loro dirigenza politica di punta: era perciò naturale che la governance metropolitana  –  oltre appunto al Sindaco del Comune capoluogo che assumeva anche le funzioni di Sindaco metropolitano – dovesse essere costituita da Sin-daci o, qualora gli Statuti metropolitani lo avessero disposto, anche dai consiglieri5. Considerata l’endemica crisi della rappresentanza che affligge il sistema italiano nel suo complesso e quello delle autono-mie in particolare, un problema talmente delicato e complesso come quello del deteriorato rapporto di fiducia tra cittadini e classe poli-tica avrebbe tuttavia meritato forse uno sforzo in più della sempli-cistica e riduttiva eliminazione dell’elezione diretta degli organi me-tropolitani e provinciali in favore di elezioni di secondo livello (ad esempio contestualmente tentandosi di rafforzare gli istituti della de-mocrazia diretta e partecipata locale)6.

Se quello accennato è stato a grandi linee l’approccio di metodo, sul diverso piano del merito, la valorizzazione comunale di cui si è appena discorso veniva dal testo in oggetto implementata tanto ri-spetto alle preesistenti Province (all’epoca in procinto di essere de-finitivamente cancellate dalla lavagna costituzionale) quanto, e so-prattutto, con la futura rivitalizzazione di enti, rispettivamente, a carattere associativo (quali appunto le Unioni di Comuni) ovvero i cui organi fossero volutamente rappresentati da Sindaci e Presidenti di Unione (come doveva essere proprio per le Città metropolitane). Non si può peraltro trascurare come sulle direttrici fondamentali di tale ampio quadro non avesse pesantemente influito la stessa giuri-sprudenza costituzionale. Chiamata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale di alcune previsioni circa il riordino degli enti locali ri-spettivamente contenute nei dd.ll. 201/2011 (Disposizioni urgenti per

5 In oggetto, la relazione di maggioranza cit., 4. 6 Cfr. Creatività e crisi della comunità locale. Nuovi paradigmi di sviluppo socio-

culturale nei territori mediani, a cura di m.c. Federici, r. garzi, e. moroni, Mi-lano 2011; m. deLLa morte, Rappresentanza vs. Partecipazione? L’equilibrio costitu-zionale e la sua crisi, Milano 2012, 143 ss.; Rappresentanza e globalizzazione, a cura di c. baSSu, g.g. carboni, Torino 2016; d.g. bianchi, F. ranioLo, Introduzione. Le sfide alla rappresentanza nella democrazia contemporanea, in Limiti e sfide della rappresentanza politica, a cura degli stessi D.g. bianchi, F. ranioLo, Milano 2017, 3 ss.

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la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici)7 e 95/2012, (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con inva-rianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimo-niale delle imprese del settore bancario), con sent. 220/2013 la Corte costituzionale aveva difatti annullato  –  com’è noto  –  gli artt. 23 (commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20) e 23 (comma 20-bis) del primo decreto nonché gli artt. 17 e 18 del secondo giacché incidenti su ma-terie ritenute riservate alla sola legge8.

Tale repentino (seppur, bisogna ammettere, ampiamente preve-dibile...) mutamento delle iniziali condizioni di fatto aveva così in-dotto, in una manciata di mesi, il Parlamento precipitosamente ad approvare la disciplina in questione col primario compito di dettare nuove regole destinate al livello provinciale. Se il Presidente del Consiglio dei Ministri del tempo  –  nel suo discorso programmatico alle Camere –  aveva già segnalato la necessità di un superamento di un modello provinciale ritenuto ormai obsoleto, era quindi all’indo-mani della pronunzia della Consulta cit. che il governo infine rite-neva non più procrastinabile un riordino delle Province quali enti di area vasta allo scopo di consentirne l’immediata revisione. Ciò dichiaratamente nella ferma convinzione che  –  in assenza di cali-brati provvedimenti normativi che evitassero il prossimo rinnovo degli organi provinciali secondo le consuete modalità fissate nel d.lgs. 267/2000, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali  –  la decisione della Corte avrebbe potuto determinare «una situazione nella quale (...) tutto il nostro sistema di autonomie locali sarebbe [stato] costretto a fare un clamoroso passo indietro rispetto alle ambizioni di questi anni»9.

Per ovvie ragioni non potendo seccamente eradicare dalla Costi-tuzione il livello di governo in commento, la c.d. legge Delrio finiva così per rientrare in una più ampia catena di riforma della quale non avrebbe rappresentato che il primo di tre (logicamente e cronologi-camente) connessi anelli. La l. n. 56 cit. (primo step) mirava perciò

7 Convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 214/2011.8 Così, tra gli altri, r. dickmann, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo

d’uso del decreto-legge, in Consulta Online 2013, 1 ss.; a. Severini, La riforma delle Province, con decreto legge, «non s’ha da fare», in www.osservatorioaic.it (luglio 2013); a. Saitta, Basta legalità! Interpretiamo lo spirito del tempo e liberiamo lo svi-luppo! e m. maSSa, Come non si devono riformare le Province, entrambi in Forum di Quad. cost. (rispettivamente, 23 settembre e dicembre 2013) nonché g. di coSimo, Come non si deve usare il decreto legge, in questa Rivista 2013, 1163 ss.

9 In tal senso, la relazione di maggioranza cit., 5.

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ad anticipare (e, per certi versi, preparare) quella prospettiva di abo-lizione delle Province inequivocabilmente assunta dal d.d.l. costitu-zionale recante Disposizioni per il superamento del bicameralismo pa-ritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione10 (secondo step) la quale, poi, sarebbe dovuta infine culminare nella prevista legge (terzo step) che  –  entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta revisione costituzionale  –  avrebbe successivamente definito le modalità e le forme di esercizio delle funzioni originariamente spettanti all’abolito ente provinciale.

2. (segue): la progressiva contrazione del livello provinciale

Malgrado i non pochi ostacoli che sembravano già pararsi sul percorso previamente tracciato, la strategia evolutiva della democra-zia locale italiana pareva insomma chiaramente «orientata alla sem-plificazione dei livelli e all’individuazione di forme di raccordo e di programmazione coerenti dell’attività dei Comuni nell’ambito delle loro competenze»11. Collocate al crocevia di quel disegno a cles-sidra cui pocanzi si faceva riferimento, era alle nuove Province che sarebbe dunque dovuto spettare quel ruolo di naturale collegamento fra la prospettiva propria del singolo Comune appartenente ai terri-tori estranei alle aree metropolitane (verso il basso) e quella di un territorio rispettivamente organizzato dalla Regione e dallo Stato (verso l’alto).

Per adeguatamente attendere a tale rinnovato compito di area vasta il nuovo modello legislativo provinciale veniva così allineato a quanto invero già assunto con l’esperienza, rispettivamente, del d.l. n. 95 cit. nonché del d.d.l. di revisione costituzionale cit. Se dal punto di vista politico-istituzionale, si è già visto come esso non

10 Con riferimento ai peculiari aspetti in esame, ad esempio, d. granara, Il principio autonomistico nella Costituzione, Torino 2013, 49 ss.; n. LaudiSio, Le ele-zioni amministrative negli enti locali, Santarcangelo di Romagna (RN) 2014, 34 ss.; t. amoroSi, p. cinque, Le Province: nuovo ordinamento ed organi-funzioni, in Guida normativa per l’amministrazione locale, a vura di F. narducci, I, Gli ordinamenti delle autonomie in Italia ed in Europa, Santarcangelo di Romagna (RN) 2015, 320 ss.; g.F. Ferrari, Le Province: il quadro generale e le funzioni, in Nuove Province e Città metropolitane, a cura dello stesso g.F. Ferrari, Torino 2016, 37 ss.

11 Sul punto, relazione di maggioranza cit., 3.

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si configurava più quale espressione diretta del voto delle rispettive comunità bensì come forma di democrazia di secondo grado nella quale chiamati a partecipare alle scelte d’indirizzo dei nuovi enti sa-rebbero stati i Sindaci dei territori direttamente interessati12, sotto il diverso profilo funzionale  –  sebbene privo di poteri gestionali e corredato di ancor minori compiti di quanti non ne fossero origi-nariamente contemplati dall’art. 17, d.l. n. 95 cit.  –  in capo all’ente provinciale sarebbe dovuto comunque rimanere un pungo di essen-ziali funzioni d’indirizzo e coordinamento. Il resto delle competenze precedentemente provinciali nelle materie statali sarebbe invece mi-grato in capo ai Comuni mentre le Regioni  –  nei campi loro spet-tanti  –  avrebbero infine deciso come le funzioni provinciali avreb-bero dovuto essere attribuite.

Venendo ai provvedimenti adottati in relazione al futuro assetto di Città metropolitane ed Unioni di Comuni, vi è da dire che a fon-damento di tali misure sin dal principio emergeva una marcata li-nea di tendenza che non era solo quella  –  invero più appariscente e sbandierata  –  del necessario rilancio del complessivo sistema eco-nomico-produttivo del paese mediante il potenziamento del sistema locale nella sua interezza13 ma, pure, la (neanche poi tanto celata) propensione alla valorizzazione del personalismo della classe politica dirigente14: come si anticipava, invero non poco enfatizzato dalle peculiari figure-chiave, rispettivamente, dei Sindaci e dei Presidenti delle Unioni di Comuni (al livello di governo locale come anche del sistema democratico delle autonomie complessivamente considerato). Quali figure di spicco della base politica territoriale, nella visione del legislatore di riforma questi ultimi sarebbero stati in particolare chia-

12 Per le nuove Province  –  seppur rette da organi direttamente espressivi, ri-spettivamente, dei Sindaci e dei Presidenti delle Unioni di Comuni  –  la legge non-dimeno prevedeva la possibilità di optare, con opportuna modifica statutaria, per un modello che contemplasse l’opportunità che il Consiglio potesse essere eletto dall’Assemblea dei Sindaci unitamente al Presidente dell’Unione comunale in alter-nativa a quello del Consiglio provinciale composto tutto di membri di diritto (sul punto comunque si sta per tornare, infra, al par. 3).

13 In oggetto, relazione di maggioranza cit., 6. 14 A parte i tradizionali studi sul punto  –  ex multis, m. d’addio, Luigi Sturzo

e i partiti politici, in aa.vv., Luigi Sturzo nella storia d’Italia, Roma 1973, spec. 154 ss.  –  cfr. ad esempio c. coStaLLi, Prefazione, in aa.vv., La politica buona, a cura di m. penniSi, g. Lavanco, Milano 2016, 6 ss.; c. moroni, Le storie della politica. Perché lo storytelling politico può funzionare, Milano 2017; c. boSna, Prospettive «social» della comunicazione politica, in Crisi e trasformazione della «democrazia dei partiti», a cura di m. Serio, Soveria Mannelli 2018, 91 ss.

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mati a costituire ben più del semplice tessuto connettivo della demo-crazia locale per assurgere al più ampio ruolo di nuova classe politica dirigente dell’intera Repubblica delle autonomie15.

A motivo della loro naturale vocazione ad esprimere la base delle singole comunità locali, i Sindaci dei Comuni di maggior peso demo-grafico ed i Presidenti delle Unioni venivano insomma ritenuti idonei a gestire l’amministrazione comunale in senso proprio così come la complessiva organizzazione territoriale di area vasta oltre che l’istitu-zionalizzazione di un ente di governo metropolitano16. Ed era da tale comune background politico e culturale che sembravano perciò pren-dersi le mosse per dare rispettivamente avvio al nuovo corso appunto delle Città metropolitane e delle Unioni comunali.

Fatto segno di un tortuoso e non poco altalenante iter politico-istituzionale  –  che dall’originaria previsione di cui alla l. 142/1990, Ordinamento delle autonomie locali, nell’arco di un decennio lo ha condotto, prima, alla ricezione nel d.lgs. n. 267 cit. e, poi, alla de-finitiva consacrazione in Costituzione con la novella del 2001 agli artt. 114 e 117, comma 2, lettera p)  –  nella prospettiva strategica di sviluppo assunta nel 2014 l’ente metropolitano appariva agli occhi del governo dell’epoca e della maggioranza parlamentare che lo so-steneva il livello di governance senz’altro più promettente: non solo per dare finalmente al paese un più flessibile strumento di governo delle aree metropolitane ma pure (soprattutto grazie alla dotazione di competenze di coordinamento e di programmazione di cui si mo-strava attrezzato) per essere fondamentale crocevia di sviluppo per il sistema economico-produttivo unitariamente considerato17.

Premesso che dal punto di vista quantitativo più della metà della popolazione italiana viveva nelle Città metropolitane e che più della metà del prodotto interno lordo annuale proveniva da suddette aree  –  e che, da quello qualitativo, i maggiori centri di ricerca, gli Atenei più avanzati, le strutture finanziarie principali del paese as-sieme alle sedi delle imprese più rilevanti e delle multinazionali più

15 Cfr. relazione di maggioranza cit., 4.16 (...) «proprio perché nessuno meglio di essi [avrebbe potuto] conoscere i

problemi dell’area, fare sintesi, operare in una prospettiva capace di guardare al fu-turo più che al presente e pensare in grande più che avere a cuore la peraltro legit-tima difesa delle comunità minori»: così relazione di maggioranza cit., 6.

17 In tal senso, W. tortoreLLa, m. aLuLLi, Città metropolitane. La lunga at-tesa, Venezia 2014; L. vandeLLi, Città metropolitane, Province, unioni e fusioni di Comuni cit.; a. Longo, L. cicireLLo, Città metropolitane e pianificazione di area vasta cit.; g. mobiLio, Le Città metropolitane. Dimensione costituzionale e attuazione statutaria, Torino 2017.

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prestigiose insistevano naturalmente su tali territori  –  era dunque sul livello metropolitano quale asse portante non solo del sistema nazionale di servizi ma, pure, della rete dei trasporti (terrestri, ma-rittimi e aerei) nonché delle attività maggiormente innovative che il Parlamento intendeva evidentemente scommettere18. Così, all’in-domani della sent. n. 220 cit. (che, come si ricordava, ha cassato la regolamentazione di Province e Città metropolitane contenuta negli artt. 23, d.l. n. 201 cit., 17 e 18, d.l. n. 95 cit.), la disciplina in com-mento  –  oltre a dare finalmente attuazione ad un livello di governo istituzionalizzato da più di un ventennio ma ancora complessiva-mente silente  –  si sforzava soprattutto di recuperare il tempo per-duto dall’iniziale istituzione dell’ente considerato, ad esso assegnando la special mission «di porsi alla testa della ripresa dello sviluppo e del rilancio del nostro sistema economico e produttivo»19.

Se sotto il profilo fisico-spaziale il territorio della Città doveva in-tegralmente coincidere con quello della Provincia originariamente preesistente (finendo del tutto col rimpiazzarlo), dalla diversa prospet-tiva funzionale il livello metropolitano non si sarebbe dovuto limitare ad ereditare tutte le iniziali funzioni provinciali ma veniva dalla legge in particolare munito di ulteriori essenziali competenze fondamen-tali in grado di assicurare all’ente un più efficiente governo dell’area di riferimento20. Dal punto di vista della governance istituzionale, in-fine, alla obbligatoria coincidenza fra Sindaco del Comune capoluogo e primo cittadino metropolitano il modello legislativo base decideva di affiancare il coinvolgimento di diritto dei Sindaci provenienti da Comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti e dei Pre-sidenti delle Unioni comunali21 nel peculiare consesso rappresentato dal Consiglio metropolitano (mentre alla Conferenza metropolitana sarebbe spettato di garantire il raccordo coi Sindaci quali rappresen-tanti delle singole realtà municipali). Era d’altro canto allo scopo di non lasciare troppo sguarnite le nuove Province e le Città di un luogo fisico – prima ancora che giuridico – nel quale potessero direttamente

18 Sul punto, relazione di maggioranza cit., 6.19 In oggetto, relazione di maggioranza, ibidem.20 Cfr. F. bartaLetti, Le aree metropolitane in Italia e nel mondo: il quadro

teorico e i riflessi territoriali, Torino 2009; m. baSta, e. morchio, S. Sanguineti, Aree metropolitane in Italia. Indagine empirica alla luce del Censimento 2001, Firenze 2009; e. maStropietro, Città e aree metropolitane europee: fra trasformazioni urbane e progetti per la sostenibilità, Sesto San Giovanni (MI) 2012.

21 Ciò sarebbe avvenuto (...) indiscriminatamente per tutte le Unioni di Co-muni, nel primo triennio, per poi circoscrivere la partecipazione ai Presidenti delle sole Unioni di almeno diecimila abitanti.

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interloquire i Sindaci di tutti i Comuni compresi nel territorio, che il legislatore di riforma si era premurato di istituire con le medesime fun-zioni lo stesso organo (il quale ultimo, nelle prime, prendeva il nome di Assemblea dei Sindaci e, nelle seconde, appunto di Conferenza)22.

3. (segue): la corrispondente espansione del livello metropolitano ed intercomunale

A parziale flessibilizzazione del quadro così tratteggiato si ri-servava, peraltro, allo Statuto metropolitano la possibilità di vi-rare  –  sempre con elettorato attivo e passivo riservato ai soli Sindaci e Consiglieri comunali e senza modifica della figura del Sindaco me-tropolitano (che doveva perciò rimanere quello del Comune capo-luogo)  –  verso un modello elettivo di secondo grado del suddetto Consiglio23. Ciò evidentemente perché un certo margine di discre-zionalità statutaria nella disciplina delle relazioni tra gli organi diret-tivi metropolitani, delle modalità di organizzazione e funzionamento nonché dei rapporti coi Comuni e le altre realtà territoriali minori veniva dalla legge ritenuto coessenziale alla precipua capacità confor-mativa del territorio e delle esigenze da esso peculiarmente emergenti (siccome delle forme di raccordo con gli altri livelli di governo da parte dell’ente metropolitano)24.

Ai preminenti fini sin qui succintamente delineati la normativa in epigrafe delineava infine una sorta di cronoprogramma destinato a traghettare la complessiva condizione delle autonomie locali dall’o-riginario al nuovo assetto nella maniera meno sofferta ed invasiva possibile. Così  –  dopo una prima fase di immediato subentro della nuova Città metropolitana alla vecchia Provincia alla prefissata data del 10 luglio 201425  –  sarebbe dovuta seguire una seconda (della

22 Così, relazione di maggioranza cit., 4.23 Un’ulteriore, possibile, evoluzione verso forme di elezione a suffragio univer-

sale veniva quindi contemplata solo a partire dal 2017 e ad esclusiva condizione che fosse varata la legge elettorale statale.

24 In tal senso, g.L. conti, Le dimensioni costituzionali del governo del terri-torio, Milano 2007, spec. 169 ss.; p. Lombardi, Il governo del territorio tra politica e amministrazione, Milano 2012, part. 186 ss.; n. pignateLLi, Il «governo del ter-ritorio» nella giurisprudenza costituzionale: la recessività della materia, Torino 2012, spec. 201 ss.; aa.vv., Diritto del governo del territorio, a cura di M.A. Cabiddu, To-rino 2014, spec. 1 ss.

25 Allorquando, cioè, fossero venuti meno tutti gli organi vigenti nelle Province interessate ovvero i rispettivi commissari (i cui poteri, per questa ragione, venivano

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durata di un solo semestre) in cui gli organi metropolitani prov-visori sarebbero stati chiamati al duplice compito, per un verso, di predisporre le nuove Carte statutarie e, per un altro, di succedere il più velocemente possibile nei territori provinciali su cui essi insi-stevano26. Il dichiarato obiettivo di accelerare i tempi di entrata in vigore della presente riforma veniva così perseguito ab origine defi-nendo, rispettivamente, una data certa di subentro delle Città metro-politane alle Province (assumendone le relative funzioni e le connesse risorse umane, finanziarie e strumentali) nonché una successiva fase transitoria. Scelta, quest’ultima, invero tutt’altro che eccentrica per un sistema autonomistico  –  come appunto quello italiano  –  il quale già a partire dal lontano biennio 1970-1972 aveva, com’è risaputo, mostrato invece le neonate Regioni, pur già istituzionalmente formate ed al completo di tutte le componenti essenziali, impegnate nella sola elaborazione del proprio Statuto e nella costituzione degli uffici es-senziali per il loro funzionamento interno27.

Passando al contiguo versante delle Unioni di Comuni, pro passato la nuova disciplina organica mirava innanzitutto a chiarificare (e, dove possibile, riorganizzare) un istituto che, col trascorrere degli anni, in effetti era profondamente mutato rispetto all’original intent legisla-tivo  –  fino a ricomprendere nel suo seno figure e modalità organizza-torie pure obiettivamente assai distanti tra loro  –  per dare finalmente a quest’ultimo una coerente e strutturata finalità28. Pro futuro essa tut-tavia non si accontentava solo di valorizzare tale strumento associativo affinché le singole componenti comunali potessero esercitare le pro-prie competenze in maniera più efficace ed efficiente anche ben oltre i propri confini funzionali e territoriali ma aspirava, in particolare, ad ottenere dai Sindaci degli stessi Comuni associati una forte investitura politica di colui che avrebbe presieduto l’Unione stessa (in quanto isti-tuzionalmente chiamato a fare, ad un più elevato livello territoriale, la sintesi politica fra le singole e frammentate visioni municipali)29.

prorogati solo fino alla data indicata) e fossero entrati contestualmente in carica tutti i nuovi Sindaci eletti nella tornata elettorale del maggio-giugno 2014.

26 Dal momento che i relativi organi elettivi  –  ovvero i commissari straordinari chiamati a governarli – fossero scaduti per la fine dei rispettivi mandati.

27 Sul punto, relazione di maggioranza cit., 6.28 In oggetto, L’unione di Comuni. Teoria economica ed esperienze concrete,

a cura di F. FioriLLo, L. robotti, Milano 2007; F.r. Frieri, L. gaLLo, m. mor-denti, Le unioni di Comuni, Santarcangelo di Romagna (RN) 2012, spec. 167 ss.; L. vandeLLi, Città metropolitane cit.

29 Sarebbe, d’altro canto, per tale precipua ragione che  –  tanto per gli organi metropolitani quanto per quelli delle Province quali nuovi enti di area vasta  –  il

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Seppure il segno distintivo di quel complessivo irrobustimento dell’associazionismo comunale fosse nitidamente dato  –  come supra, peraltro, si anticipava  –  da un Presidente forte e direttamente rap-presentativo di organizzazioni di significativo peso demografico (oltre che saldamente strutturate sul territorio), non bisogna tuttavia trascu-rare il ruolo di supporto e collaborazione a tale dirigistica figura che, nell’intentio legislativa, avrebbe dovuto giocare un organo assai «più concentrato» come l’Assemblea in quanto collegio che riuniva tutti i Sindaci (la quale, a differenza dell’ente provinciale e di quello metro-politano, nelle Unioni di Comuni prendeva appunto il nome di Co-mitato dei Sindaci)30. Diversamente dal Consiglio dell’Unione  –  che, in quanto assemblea maggiormente rappresentativa, era titolare delle funzioni d’indirizzo politico e di adozione dello Statuto, oltre che dei regolamenti e degli atti di indirizzo – era proprio tra i componenti di quest’ultimo Comitato che il Presidente poteva individuare il proprio vicario nonché assegnare eventuali deleghe.

Da corollario al doppio binario Città metropolitana-Unione di Co-muni sin qui brevemente illustrato faceva, infine, una riscrittura del connesso istituto della fusione di Comuni. Fino ad allora disciplinato dagli artt. 15 e 32, TUEL cit., dall’art. 14, d.l. 78/2010, Misure ur-genti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività econo-mica, dall’art. 16, comma 1, d.l. 138/2011, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, nonché dall’art. 19, d.l. n. 95 cit., tale strumento usciva adesso profondamente rivisitato dalla normativa in esame allo scopo di agevolare l’accorpamento tra più real tà comunali in vista del raggiungimento di maggiormente accetta-bili e coerenti dimensioni del livello comunale31.

Quasi inutile a questo punto evidenziare come nel corso dei mesi il destino della l. n. 56 cit. avesse più volte intersecato la contestuale vicenda del d.d.l. di riforma della parte II della Costituzione, già a partire dalla presentazione di quest’ultimo (l’8 aprile 2014, cioè il giorno appena successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del

ruolo assegnato ai Presidenti delle Unioni di Comuni veniva ope legis equiparato sempre a quello rivestito dai Sindaci: cfr. relazione di maggioranza cit., 4.

30 Così, relazione di maggioranza cit., 7.31 In tal senso, S. Luigino, L’unione e la fusione di Comuni, Tricase (LE) 2015;

Territori, aree vaste, competitività. La nuova configurazione economica e strategica di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, a cura del Centro Studi Sintesi, Milano 2016, part. 33 ss.; b. SuSio, e. barbagaLLo, d. rumpianeSi, Da molti a uno. La fusione di Comuni, Cernusco sul Navglio (MI) 2016; Aa.vv., L’associazionismo municipale. Esperienze nazionali e europee a confronto, a cura di W. gaSparri, Torino 2017.

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testo in commento). Peccato che ad appena un paio di mesi di di-stanza dalla sua emanazione, con quattro distinti ricorsi, le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia com’è noto decidevano di impugnare l’art. 1, l. n. 56 cit. (per un totale complessivo di ben cin-quantotto commi) per presunto contrasto con una sfilza di parametri costituzionali congiuntamente o disgiuntamente evocati32. Con sent. 50/2015 nondimeno –  ad un anno esatto dalla loro proposizione (ed una manciata di giorni dopo che fosse stato approvato, in prima de-liberazione alla Camera, il d.d.l. di revisione costituzionale cit.)  –  la Corte costituzionale respingeva tutte le diciotto censure sollevate, di-chiarandone non fondate sedici e rilevando la cessazione della mate-ria del contendere per le restanti due33.

Senza potersi diffondere su una decisione che meriterebbe ben più spazio di quanto non sia adesso possibile, ai fini del pre-sente lavoro basterà semplicemente ricordare come la Consulta si fosse pronunziata sulle sostanziali questioni afferenti alla disciplina dell’istitui to ente metropolitano34, rispettivamente relative alla pre-sunta violazione dell’art. 117, comma 2, lett. p), Cost. nonché dei principi costituzionali della rappresentanza politica democratica e della sovranità popolare (in quanto tali suscettibili di essere derogati soltanto con legge costituzionale di cui all’art. 138 Cost. e non già col comune strumento ordinario).

32 Sul punto, in particolare, gli artt. 1, 2, 3, 5, 48, 97, 114, 117, commi 2, lett. p), 3 e 4, 118, 119, 120, 123, comma 1, 133, comma 1 e 2, 136 e 138 Cost. (oltreché l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 3 e 9, Carta europea dell’autono-mia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata e resa esecutiva con l. 439/1989, Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea dell’autonomia locale).

33 In oggetto, g.m. SaLerno, La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni effi-cientistiche o neo-centralismo repubblicano di impronta statalistica?; m. barbero, e. vigato, Il sindaco di diritto e l’elezione a suffragio universale e diretto nelle Città metropolitane; a. LucareLLi, La sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015. Considerazioni in merito all’istituzione delle Città metropolitane; a. Sterpa, Un «giu-dizio in movimento»: la Corte costituzionale tra attuazione dell’oggetto e variazione del parametro del giudizio. Nota a margine della sentenza n. 50 del 2015, tutti, in Federalismi, n. 7/2015; L. vandeLLi, La legge «Delrio» all’esame della Corte: ma non meritava una motivazione più accurata? e d. mone, La sentenza della Corte costi-tuzionale n. 50/2015 e la Carta europea dell’autonomia locale: l’obbligo di elezione diretta tra principi e disposizioni costituzionali, entrambi in Forum di Quad. Cost. (ri-spettivamente, 30 aprile e 11 luglio 2015); nonché a. Spadaro, La sentenza cost. n. 50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un optional, in Rivista AIC, n. 2/2015, 1 ss. e g. mobiLio, Le Città metropolitane non si toccano: la Corte costitu-zionale si pronuncia sulla legge «Delrio», in Osserv. sulle fonti, n. 2/2015, 1 ss.

34 Per ciò che atteneva i commi da 5 a 19 nonché 21, 22, 25, 42 e 48, art. 1 cit.

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4. La giurisprudenza costituzionale sulla legge Delrio

Con riferimento al preliminare (ed invero potenzialmente assor-bente) rilievo che l’istituzione e normativa del livello metropolitano esorbitasse da ciascuno dei tre ambiti di competenza legislativa sta-tale tassativamente individuati dall’art. 117, comma 2, lett. p) cit., il Tribunale costituzionale non aveva ritenuto in effetti rilevante il formale argomento della mancata espressa previsione di tale «istitu-zione» nella competenza esclusivamente riservata allo Stato per pri-vilegiare  –  per la verità non sempre linearmente  –  ragioni di natura squisitamente sistemico-ordinamentale35. Perciò proprio dal novellato art. 114 Cost. sarebbe disceso l’obbligo in capo alla Repubblica di dare concreta (ma assai tardiva...) consistenza al nuovo ente territo-riale36. Considerato che l’architettura costituzionale delle autonomie presupponeva un’uniformità  –  e non già una diversificazione da Re-gione a Regione  –  di disciplina e struttura degli aspetti essenziali di ogni livello di governance era dunque fisiologico che quelli contenuti nel testo censurato integrassero principi di grande riforma economica e sociale, come tali estendibili (ai sensi dell’art. 1, comma 5, ult. pe-riodo cit.) pure alle Regioni a Statuto speciale37.

Se così non fosse stato, d’altro canto, non solo le neoistituite Città metropolitane non avrebbero potuto integralmente subentrare alle omonime Province esistenti (la cui istituzione era di competenza statale) ma, soprattutto, alle singole Regioni sarebbe stato dalla Co-stituzione concesso  –  per paradossale che potesse apparire  –  di fare

35 Per le considerazioni che seguono, sent. n. 50 cit. (punto 3.4.1. cons. in dir.).36 Cfr. già b. caravita, Lineamenti di diritto costituzionale federale e regionale,

Torino 2009, 74 s.; S. gambino, L’architettura del nuovo ordinamento regionale, aa.vv., Diritto regionale, a cura dello stesso S. gambino, Milano 2009, 1 ss.; g. marchetti, Il sistema di governo regionale integrato. Alla ricerca di un equilibrio tra esigenze di riordino territoriale, razionalizzazione della spesa pubblica e garanzia dei diritti, Milano 2012, 13 ss. nonché m. bertoLiSSi, g. bergonzini, Province. Deca-pitate e risorte, Torino 2017, spec. 71 s.; g. mobiLio, Le Città metropolitane cit., 55.

37 In quanto recante una disciplina «a carattere innegabilmente generale» – che, nell’istituire le Città metropolitane, «individua[va] non una sola, ma tutte le Pro-vince in relazione alle quali è stata, al momento, ritenuta opportuna la trasforma-zione in Città metropolitane»  –  si decideva così di rigettare altresì quella censura regionale che aveva considerato invece il testo impugnato una sorta di legge-prov-vedimento. Ciò a motivo del fatto che (in luogo di un procedimento generale per l’istituzione del livello metropolitano) esso sembrava aver prescelto un’inammissibile individuazione specifica delle nove Province da trasformare (in presunta violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di proporzionalità e di imparzialità di cui agli artt. 3 e 97 Cost.).

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ciò che lo stesso Stato non avrebbe potuto: ciò in un campo che non poteva verosimilmente considerarsi di competenza esclusiva regionale quale, appunto, quello attinente alla costituzione della Città metro-politana (che era ente di rilevanza non solo nazionale ma, pure, so-vranazionale ai fini dell’accesso a specifici fondi comunitari)38.

Venendo alla pretesa violazione degli artt. 1, 5, 48, 114 e 117, comma 1, Cost.  –  quest’ultimo in relazione al parametro interpo-sto di cui all’art. 3, comma 2, della Carta europea cit.  –  da parte dei commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42 dell’art. 1 cit. laddove imponevano al nuovo ente metropolitano un modello di governo di secondo grado (interamente caratterizzato, cioè, da organi elettivi indiretti), anche su tale versante il giudice delle leggi era parso agevolmente supe-rare le obiezioni pure eccepite dalle difese regionali39. Richiamandosi alla sua pregressa giurisprudenza40, la Corte innanzitutto dimostrava di preferire un’accezione sostanziale della sovranità popolare di cui all’art. 1, comma 2, Cost.41: in quanto tale non formalmente limitata, cioè, agli istituti di democrazia diretta ed al sistema rappresentativo che si esprimeva anche nella (diretta) partecipazione popolare nei diversi enti territoriali ma fisiologicamente ricomprendente pure il meccanismo elettivo di secondo grado42. Nel verso ora indicato sem-brava peraltro deporre la stessa natura polisemantica dell’espressione «legislazione elettorale» impiegata proprio dall’art. 117, comma 2,

38 «E ciò a maggior ragione ove si consider[asse] che con riguardo al nuovo ente territoriale, le Regioni non avrebbero [avuto] le competenze, che l’evocato art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., riserva[va] in via esclusiva allo Stato, nella materia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali”».

39 Per le considerazioni che seguono, sent. n. 50 cit. (punto 3.4.3. cons. in dir.).40 Così, già sent. 365/2007.41 A parte i tradizionali studi sul punto  –  come, ad esempio, a. pubuSa, So-

vranità popolare e autonomie locali nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano 1983 –  in tal senso, L. maccarrone, Profili di riforma e di controriforma nell’attuale assetto delle funzioni amministrative locali, Torino 2013, spec. 115 ss.; r. carpino, Testo unico degli enti locali commentato, Santarcangelo di Romagna (RN) 2015, 130 ss.; c. di marco, Sovranità popolare, partecipazione e metodo democratico fra utopia e illusioni costituzionali. Dalla deriva dei partiti agli scenari del XXI secolo, Torino 2016, part. 117 ss.; F. migLiareSe caputi, Diritto degli enti locali. Dall’autarchia alla sussidiarietà, Torino 2016, 37 ss.; F. pinto, Diritto degli enti locali, Torino 2016, spec. 75 ss.

42 Il quale ultimo non avrebbe perciò contrastato né col principio democratico né, tantomeno, con quello autonomistico. Escludendo che il carattere rappresen-tativo ed elettivo degli organi di governo del territorio ven[isse] meno in caso di elezioni di secondo grado, già la sent. 96/1968 aveva invero rammentato come que-ste ultime fossero «prevedute dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello Stato» (punto 3 cons. in dir.).

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lett. p) cit. La quale ultima  –  lungi dal riferirsi «specificamente ed esclusivamente ad un procedimento di elezione diretta»  –  sarebbe stata «come tale riferibile ad entrambi i modelli di “legislazione elet-torale”».

Se ciò che quindi contava era che un’esigenza di effettiva rappre-sentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate fosse real-mente appagata, allora anche l’introduzione di un’elezione indiretta non avrebbe certo ridotto il tasso complessivo di democraticità del sistema delle autonomie locali fintantoché fossero stati parallelamente «previsti meccanismi alternativi che comunque [avrebbero permesso] di assicurare una reale partecipazione dei soggetti portatori degli interessi coinvolti». Sussistendo nella l. n. 56 cit. tali congegni, per così dire, compensatori  –  quale, ad esempio, l’automatico rimpiazzo di quanti fossero componenti ratione muneris dell’organo indiretta-mente eletto (qualora fosse appunto venuto meno il munus43) – ecco che la denunziata incompatibilità della normativa impugnata con l’art. 3, comma 2, Carta europea cit. (invocata, come si ricordava, dalle ricorrenti come parametro interposto ai fini della violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.) non sarebbe stata più dirimente.

Parimenti rifacendosi a suoi noti (e mai veramente rimessi criti-camente in discussione) precedenti44, la Consulta non mancava poi di ribadire che  –  pur «costitutivi della Repubblica», ai sensi dell’art. 114 Cost., ed espressivi del valore autonomistico su di essi impresso dall’art. 5 Cost. –  i diversi livelli di governo territoriale costituzional-mente previsti non fossero del tutto equiparabili45. Dal che legittima pareva, insomma, la possibilità di diversificare i modelli di rappre-sentanza politica tra i vari livelli proprio in ossequio ai principi (nei ricorsi in esame più volte evocati) di adeguatezza e differenziazione.

43 Sul punto, art. 1, comma 25, per gli organi della Città metropolitane, e commi 65 e 69, per quelli delle Province.

44 In oggetto, part. dec. nn. 274/2003, 365/2007 e 144/2009.45 Sulla sent. n. 274 cit., cfr. part. a. ruggeri, La questione dei vizi delle leggi

regionali e l’oscillante soluzione ad essa data da una sentenza che dice e... non dice e r. SaLomone, Nessun dubbio sulla collocazione del lavoro pubblico regionale ri-spetto al riparto di competenze delineato dal nuovo 117 Cost.?, entrambi in Forum di Quad. cost. (21 agosto e 6 ottobre 2003); F. drago, Il soddisfacimento delle istanze unitarie giustifica la vecchia giurisprudenza in merito ai vizi delle leggi regionali e r. dickmann, Spetta allo Stato la responsabilità di garantire il pieno soddisfacimento delle «istanze unitarie» previste dalla Costituzione, entrambi in Federalismi (rispetti-vamente, nn. 8 e 9/2003) nonché d. beSSi, L’interesse a ricorrere nel giudizio in via principale nel Titolo V novellato: verso una conferma della giurisprudenza antiregiona-listica della Corte Costituzionale?, in questa Rivista, n. 6/2004, 219 ss.

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In tale articolato quadro, non deve poi trascurarsi come la natura del modello indiretto prescelto fosse tutt’altro che irreversibile giacché l’art. 1, comma 22 cit. espressamente contemplava, come visto, l’in-troduzione dell’elezione diretta di Sindaco e Consiglio metropolitano per via statutaria.

Tutto sommato agevolmente oltrepassati gli scogli del vaglio di legittimità costituzionale, la traversata del testo di revisione delle au-tonomie locali in commento poteva così alacremente proseguire per tutto il 2015 e, nel corso di esso, ricevere progressivamente attua-zione da parte di tutti i legislatori regionali46.

46 Tra il più solerte [quello toscano con l.r. n. 22 (3 marzo 2015), Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni). Modifiche alle leggi regionali 32/2002, 67/2003, 41/2005, 68/2011, 65/2014] e quello più lento [il legislatore sardo con l.r. n. 2 (4 febbraio 2016), Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna] l’anno 2015 vedeva così tutte le Regioni allinearsi alle direttive espresse del nuovo riordino statale: cfr., in particolare, l.r. Umbria n. 10 (2 aprile 2015), Riordino delle funzioni amministrative regionali, di area vasta, delle forme as-sociative di Comuni e comunali – Conseguenti modificazioni normative; l.r. Marche n. 13 (3 aprile 2015), Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative esercitate dalle Province; l.r. Liguria n. 15 (10 aprile 2015), Disposizioni di riordino delle fun-zioni conferite alle Province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni); l.r. Cala-bria n. 14 (22 giugno 2015), Disposizioni urgenti per l’attuazione del processo di rior-dino delle funzioni a seguito della legge 7 aprile 2014, n. 56; l.r. Lombardia n. 19 (8 luglio 2015), Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fu-sioni di Comuni); l.r. Emilia-Romagna n. 13 (30 luglio 2015), Riforma del sistema di governo regionale e locale e disposizioni su Città metropolitana di Bologna, Province, Comuni e loro Unioni; l.r. Sicilia n. 15 (4 agosto 2015), Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane; l.r. Abruzzo n. 32 (20 ottobre 2015), Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative delle Province in attuazione della legge 56/2014; l.r. Piemonte n. 23 (29 ottobre 2015), Riordino delle funzioni amministrative conferite alle Province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Co-muni); l.r. Veneto n. 19 (29 ottobre 2015), Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative provinciali; l.r. Puglia n. 31 (30 ottobre 2015), Riforma del sistema di governo regionale e territoriale; l.r. Basilicata n. 49 (6 novembre 2015), Disposi-zioni per il riordino delle funzioni provinciali in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 s.m.i.; l.r. Campania n. 14 (9 novembre 2015), Disposizioni sul riordino delle funzioni amministrative non fondamentali delle Province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 e della legge 23 dicembre 2014, n. 190; l.r. Molise n. 18 (10 di-cembre 2015), Disposizioni di riordino delle funzioni esercitate dalle Province in at-tuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni); ll.rr. Friuli Venezia Giulia nn. 2 (14 feb-

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Approvato in prima lettura al Senato dopo appena quattro mesi dalla sua presentazione, nel frattempo anche il d.d.l. costituzionale cit. com’è noto parallelamente proseguiva il previsto iter di forma-zione per tutto il 2015 sino a pervenire alla sua fisiologica conclu-sione nella primavera del 201647. Nelle dichiarate intenzioni dei suoi autori, l’intervento di riforma sottoposto al successivo giudizio dell’elettorato (con la pronunzia referendaria del 4 dicembre del 2016) –  lungi dal comprimere gli spazi di autonomia degli enti terri-toriali  – avrebbe dovuto incrementare invece il grado di complessiva democraticità dell’ordinamento. Ciò sarebbe dovuto in particolare avvenire mediante una nuova declinazione, sul piano istituzionale, del principio del pluralismo e, su quello funzionale, del principio auto-nomistico48.

5. Il livello intermedio di governo nella prospettiva di riforma della parte II della Costituzione: ordinamento degli enti locali e forme associative fra Comuni

Nella logica di un più ampio ripensamento dell’intero quadro dei criteri di riparto delle attribuzioni tra Stato e Regioni, l’art. 26, comma 2, lett. g), d.d.l. cit. provvedeva in particolare a riformulare il precedente art. 117, comma 2, lett. p), Cost. ascrivendo alla pote-stà legislativa esclusiva statale la materia dell’«ordinamento, organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comprese le loro forme associative, e delle Città metropolitane non-

braio 2014), Disciplina delle elezioni provinciali e modifica all’articolo 4 della legge regionale 3/2012 concernente le centrali di committenza, e 26 (12 dicembre 2014), Ri-ordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative; l.r. Lazio n. 17 (31 dicembre 2015), Legge di stabilità regionale 2016 (part. artt. 7, 8 e 9).

47 Così, p. caretti, g. tarLi barbieri, Diritto regionale, Torino 2016, spec. 39 ss.; v. cocozza, Percorsi ricostruttivi per la lettura della Costituzione italiana, Torino 2016, 289 ss.; a. LucareLLi, Il progetto politico della «grande» riforma renziana, in Aa.vv., La riforma costituzionale Renzi-Boschi. Quali scenari?, a cura di a. Luca-reLLi e F. zammartino, Torino 2016, 3 ss.; g. picciriLLi, in Aa.vv., Referendum co-stituzionale: uno sguardo d’insieme sulla riforma Renzi-Boschi, a cura di p. coStanzo, Milanofiori Assago (MI) 2016, 9 ss.

48 In tal senso, relazione ad AS n. 1429, Disposizioni per il superamento del bi-cameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione, in www.senato.it (8 aprile 2014), 4.

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ché l’ordinamento degli enti di area vasta». Nell’ambito della com-petenza statale in tema di Comuni e Città metropolitane veniva così, in primo luogo, esplicitata anche quella in materia di ordinamento di tali enti locali. Ciò, verosimilmente, a rimorchio di quella giuri-sprudenza costituzionale49 che già attribuiva al legislatore statale il compito di disciplinare appunto i profili organizzativi concernenti l’ordinamento degli enti locali nelle Regioni ordinarie (in ossequio all’art. 117, comma 2, lett. p) cit.)50.

In tal modo sarebbe dovuto quantomeno accadere per tutti que-gli enti locali che fossero stati in qualche misura costituzionalizzati, se sol si consideri che l’enumerazione di cui all’art. 117 ora cit.  –  li-mitata ai soli Comuni, Province e Città metropolitane  –  è da rite-nersi, come noto, tassativa51. Con la precipua conseguenza che alla competenza residuale regionale sarebbe rimasta la normativa delle comunità montane e delle forme associative degli enti locali e fatte ovviamente salve le ricadute della legislazione statale ad altro titolo disposta (spec. di coordinamento finanziario)52. Al fine del conteni-mento della spesa pubblica, d’altro canto, a Regioni ed enti locali potevano all’epoca (come possono oggi) essere come si sa imposti vincoli alle politiche di bilancio da parte dello Stato, pure laddove essi dovessero inevitabilmente convertirsi in qualche forma di limita-zione indiretta all’autonomia di spesa degli enti territoriali. Da ciò la non illegittimità costituzionale di quelle disposizioni statali che – po-nendo l’obiettivo di fondo richiamato  –  non prevedevano in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il suo perseguimento né, tanto meno, introducevano limiti puntuali a singole voci di spesa degli enti locali53.

49 Sul punto, ex multis, sentt. 159/2008 e 229/2013.50 In oggetto, Servizio Studi deLLa camera, Schede di lettura n. 216 su Supera-

mento del bicameralismo paritario e revisione del Titolo V della Parte seconda della Co-stituzione. D.d.l. Cost. A.C. 2613 e abb. (10 settembre 2014), 189, in www.camera.it.

51 Cfr., ex plurimis, sentt. 244-456/2005, 397/2006, 237/2009.52 Nella sterminata letteratura sul tema, di recente v. almeno m. beLLetti,

Corte costituzionale e spesa pubblica. Le dinamiche del coordinamento finanziario ai tempi dell’equilibrio di bilancio, Torino 2016; a. brancaSi, Il coordinamento della fi-nanza pubblica al tempo della crisi, in Giur. cost., n. 4/2016, 1541 ss.; m. deneS, La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 e i possibili riflessi sul coordina-mento della finanza pubblica, in Forum di Quad. cost. (21 marzo 2017); F. gaLLo, Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giuri-sprudenza della Corte costituzionale, in Rivista AIC, n. 2/2017, 1 ss.

53 Così, fra le tante, sentt. 128-207/2010, 182/2011, 236/2013.

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In quanto dotate di potestà legislativa primaria in materia di or-dinamento degli enti locali, anche la riforma lasciava invece impre-giudicata  –  fatte ovviamente salve le leggi statali espressive del va-lore di unità-indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.  –  la competenza in materia delle Regioni a Statuto speciale. Pure qui in ossequio a quel consolidato diritto vivente che aveva ricondotto al-l’«ordinamento degli enti locali» non solo la configurazione degli or-gani di governo degli enti locali ed i precipui rapporti fra gli stessi ma, pure, le modalità di formazione degli organi (ivi comprese le modalità di elezione degli organi rappresentativi, la loro durata in carica ed i casi di scioglimento anticipato)54: «anche se, come è evi-dente, diversi e diversamente intensi possono essere i vincoli per il legislatore regionale derivanti dall’esigenza di rispettare i principi co-stituzionali e dell’ordinamento giuridico, quando l’intervento legisla-tivo tocca i delicati meccanismi della democrazia locale»55.

Venendo a quella che sarebbe potuta divenire la nuova potestà in materia di disposizioni di principio sulle forme associative dei Co-muni, anche qui la novella costituzionale in commento non faceva che prendere evidentemente atto dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto. Con particolare riferimento alle comunità montane56, di-fatti, in un primo momento la Corte costituzionale aveva com’è noto ritenuto in tale ambito inconferente il richiamo alla compe-tenza statale di cui all’art. 117 cit. per ricondurre invece tale attribu-zione a quella legislativa residuale regionale. Ciò a motivo del fatto che  –  sebbene fossero qualificate dal relativo testo unico come enti locali  –  le suddette comunità non risultavano espressamente costi-tuzionalizzate né dall’art. 114 Cost. né, tantomeno, dall’art. 117 cit. Pur non modificando il titolo competenziale di riferimento, tuttavia, la giurisprudenza degli anni successivi non aveva invero incontrato poi neppure troppo intralci nel legittimare interventi statali (di na-tura non di rado anche ordinamentale) espressivi di principi fonda-

54 In tal senso, ad esempio, sent. 48/2003.55 Sul punto, Servizio Studi deL Senato, Dossier n. 133 su AS n. 1429, Di-

sposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la sop-pressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione (aprile 2014), 142 in www.senato.it.

56 (...) considerate «un caso speciale di unioni di Comuni, “create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei Comuni montani”, “funzioni proprie”, “funzioni conferite“ e “funzioni comunali”»: in oggetto, sent. n. 244 cit., punto 4.1. cons. dir. che espressamente richiama la sent. 229/2001.

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mentali di coordinamento della finanza pubblica qualora, nell’eserci-zio della relativa potestà statale concorrente, fossero stati indirizzati ad obiettivi di riduzione della spesa pubblica57.

«Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree mon-tane», vi è da notare come la norma finale di cui all’art. 39, comma 4, primo per., d.d.l. cit. prevedesse  –  «fatti salvi i profili ordinamen-tali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato»  –  che «le ulteriori disposizioni in materia [fossero] adottate con legge regionale». Premesso che, in quanto «destinata ad incidere in maniera permanente sul riparto di competenze tra Stato e Re-gioni», tale previsione dal punto di vista del metodo avrebbe trovato più felice collocazione sistematica nell’ambito della novella all’art. 117 Cost. (anziché in una disposizione conclusiva come questa in esame)58, da quello del merito non si poteva non rilevare come con legge di revisione costituzionale fosse stato introdotto  –  con imme-diata applicazione peraltro al momento dell’eventuale entrata in vi-gore della stessa  –  un genus territoriale prima formalmente ignoto all’architettura costituzionale della Repubblica (come, appunto, quello di area vasta).

Al di là dell’espressa istituzione, null’altro veniva tuttavia detto sugli esatti contorni di tale nuovo livello territoriale. Cosicché  –  a meno di non voler ritenere quest’ultimo una mera scatola drammati-camente vuota – indispensabile si sarebbe rivelato il soccorso dell’art. 1, commi 2 e 3, l. n. 56 cit. che, istituendo le Città metropolitane e riordinando le Province, definiva «enti territoriali di area vasta» tanto le prime (che restavano enti costituzionalmente necessari) che le seconde. Di certa, pertanto, sembrava esservi soltanto l’individua-zione nella legge, rispettivamente, statale e regionale delle corrispon-denti fonti di riferimento, a seconda se si fosse inteso regolare i pro-fili ordinamentali ovvero di dettaglio.

57 Cfr. sentt. 237/2009, 27-326/2010, 91/2011, 151/2012. Giacché finalistica-mente orientate al contenimento della spesa pubblica, sono state ad esempio graziate dalle sentt. 22-44/2014 normative statali in materia di Unioni di Comuni pur disci-plinanti aspetti chiaramente ordinamentali di esse (quali, sopra tutti, gli organi, lo statuto e le funzioni).

58 «Si ricorda in proposito che il testo originario del disegno di legge governa-tivo (AS 1429) attribuiva alla competenza esclusiva statale la materia ordinamento degli enti di area vasta (inserendola nell’art. 117, secondo comma, lettera p)). La previsione è stata spostata tra le norme finali nel corso dell’esame in sede referente e successivamente modificata dall’Assemblea del Senato»: così, Servizio Studi deLLa camera, Schede di lettura n. 216 cit., 190.

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Quanto alla natura della fonte statale abilitata ad intervenire, pe-raltro, la giurisprudenza costituzionale59 aveva già avuto occasione ampiamente di chiarire come «la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, pre-visto e garantito dalla Costituzione»  –  a proposito delle Province  – fosse «incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato co-stituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema» certo non nascente, «nella sua interezza e complessità, da un caso straordinario di necessità e d’urgenza». Così stando le cose, non si vedeva perciò come tale assunto non dovesse estendersi pure all’assegnazione statale di funzioni ai nuovi livelli in commento (senza peraltro che esso portasse pure con sé «alla conclusione che sull’ordinamento degli enti locali si po[tesse] intervenire solo con legge costituzionale»).

6. (segue): enti di area vasta e Città metropolitane

Venendo meno come livello territoriale costituzionalmente neces-sario, era evidente che un’eventuale normativa de iure condendo delle Province quale livello di area vasta non sarebbe più stata per il legi-slatore statale obbligatoria ma meramente facoltativa (con la possibi-lità di accedere, cioè, a diverse determinazioni territoriali); né, de iure condito, tale eliminazione avrebbe potuto rappresentare un «ostacolo di rango costituzionale alla prosecuzione delle attività eventualmente affidate dalla legislazione ordinaria già vigente ad enti territoriali in-termedi con tale denominazione»60.

Premesso che il processo di riforma delle Province e di riordino delle loro competenze  –  già avviato con l. n. 56 cit.  –  si sarebbe ne-cessariamente riverberato sulle connesse dotazioni organiche era al-tresì chiaro che avrebbero dovuto essere assicurate adeguate garanzie per i dipendenti all’epoca in servizio (ad es., mediante la rialloca-zione del personale nelle pubbliche amministrazioni centrali, regio-nali o comunali). Non dissimilmente, la soppressione del riferimento costituzionale alla Provincia avrebbe pure evidenziato la necessità di definire meccanismi legislativi di trasferimento allo Stato dei beni in-clusi nel demanio e nel patrimonio di quest’ultima, con particolare riferimento per esempio a quelli storico-artistici.

59 Per le seguenti citazioni testuali cfr. sent. n. 220 cit. (punto 12.1 cons. in dir.).60 In tal senso, ancora Servizio Studi deL Senato, Dossier cit., 104.

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Non essendo stata espressamente prevista alcuna disposizione attuativa che potesse invece in qualche modo prefigurare la futura redistribuzione ai nuovi «enti di area vasta» delle funzioni fonda-mentali originariamente spettanti alla Provincia, il nuovo assetto fun-zionale di questi ultimi sarebbe stato quindi inevitabilmente rimesso dalla revisione in epigrafe ai futuri sviluppi legislativi, coi molteplici nodi da sciogliere ad esso inestricabilmente connessi61. Si pensi, so-pra tutti, alla questione se la nuova disciplina costituzionale avesse inteso escludere l’attribuzione di funzioni proprie o fondamentali ad enti locali diversi da quelli costituzionalmente richiamati (come ap-punto Comuni e Città metropolitane)62.

Sempre la citata disposizione finale di cui all’art. 39, comma 4, d.d.l. cit. (stavolta al suo secondo periodo) prevedeva, infine, che «il mu tamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane [fosse] sta-bilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione»  –  quale naturale conseguenza della contestuale soppres-sione ex art. 37, comma 13, d.d.l. cit. dell’art. 133, comma 1, Cost. (relativo all’istituzione di nuove Province e al mutamento delle stesse circoscrizioni provinciali)  –  nella più ampia prospettiva di espun-zione dal testo costituzionale di qualsiasi riferimento alle Province.

Se dal punto di vista del metodo era anche in questa occasione possibile rilevare la non opportunità di inserire la normativa a regime per il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane in una clausola finale – anziché nella sede naturale di cui ad esempio all’ori-ginario art. 133, comma 1, Cost.63 – da quello del merito era comun-

61 Si consideri, peraltro, che il 4 giugno 2014 la Commissione Affari costitu-zionali del Senato in sede referente aveva approvato in tema di abolizione dell’ente provinciale il d.d.l. AS n. 131-A il quale  –  oltre alla soppressione di tutti i richiami testuali alle Province nel vigente testo costituzionale  –  disponeva altresì in via tran-sitoria (art. 4) la cessazione delle Province da ogni funzione entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, rimettendo ad una legge ordinaria, da approvare entro il predetto termine, la disciplina dell’attribu-zione delle funzioni e del trasferimento dei beni patrimoniali e delle risorse umane e finanziarie delle Province soppresse: cfr. Servizio Studi deLLa camera, Schede di lettura n. 216 cit., 142.

62 Interrogativo questo cui sembrava nondimeno potersi dare già all’epoca ri-sposta positiva alla luce delle novelle di cui agli artt. 118 e 117, comma 2, lett. p) cit.

63 Sul quale – oltre ai risalenti studi di m. bertoLiSSi, Art. 133 Cost., Commen-tario breve alla Costituzione, a cura di v. criSaFuLLi, L. paLadin, Padova 1990, 770; e. roteLLi, Art. 133 Cost., in Commentario della Costituzione, Le Regioni, le Pro-vince, i Comuni, III, a cura di G. branca, a. pizzoruSSo, Bologna-Roma 1990, 24 ss.  –  cfr. almeno t.F. giupponi, Le «popolazioni interessate» e i referendum per le variazioni territoriali, ex artt. 132 e 133 Cost.: territorio che vai, interesse che trovi,

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que interessante notare una (parziale) reviviscenza della previsione di cui all’articolo ora citato e pure in procinto di essere abrogato64: la soppressione cit. rischiando di determinare insomma un singolare di-sallineamento nel rango della procedura da osservare tra istituzione dell’ente metropolitano e mutamento delle sue circoscrizioni interne. Così, mentre per la prima sembrava sufficiente il procedimento ordi-nario di approvazione della legge – senza, cioè, iniziativa dei Comuni e parere obbligatorio della Regione  –  non altrettanto (e paradossal-mente...) poteva dirsi invece per la seconda. La quale ultima avrebbe piuttosto richiesto, come supra appena visto, il rispetto di una proce-dura rafforzata in tutto e per tutto identica a quella originariamente imposta per il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istitu-zione di nuove Province nell’ambito d’una Regione65.

A favore della necessità di riprodurre per la modifica delle Città metropolitane il procedimento originariamente disposto per le Pro-vince avrebbero d’altro canto militato sia ragioni di fatto che di di-ritto. Innanzitutto per l’ovvia ragione che ogni mutamento del terri-torio metropolitano avrebbe inevitabilmente implicato una variazione territoriale della Provincia o delle Province limitrofe. In secondo luogo perché la stessa l. n. 56 cit., che come si è visto aveva istituito le Città metropolitane e riordinato le Province, richiamava per le modifiche territoriali del livello metropolitano proprio l’art. 133, comma  1, Cost.: rispetto a tale rinvio, peraltro, la stessa legge c.d. Delrio richiedeva, in caso di parere negativo della Regione, un’intesa tra quest’ultima ed i Comuni interessati –  il mancato raggiungimento della quale risultava peraltro superabile da una delibera del Consiglio dei Ministri  –  così attribuendo alla Regione un ruolo comunque rin-forzato rispetto alla scarna previsione costituzionale.

Premesso che il territorio metropolitano dovesse necessariamente coincidere con quello della Provincia omonima66, ferma restava difatti

in questa Rivista 2005, 417 ss.; e. FerioLi, Art. 133 Cost., in Commentario alla Co-stituzione, III, a cura di R. biFuLco, a. ceLotto, m. oLivetti, Torino 2006, 2548 ss.; c. mainardiS, Art. 133 Cost., Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. bartoLe, r. bin, Padova 2008, 1144; d. trabucco, È possibile derogare all’art. 133, comma 1, della Costituzione in caso di riordino complessivo delle Province, in www.dirittiregionali.org (30 luglio 2012); c. paduLa, Quale futuro per le Province? Rifles-sioni sui vincoli costituzionali in materia di Province, in questa Rivista 2013, 261 ss.

64 Così, Servizio Studi deLLa camera, Schede di lettura n. 216 cit., 241.65 Il quale procedimento, a conti fatti, risultava perciò assai più coerente (pre-

vedendo la medesima procedura tanto per l’istituzione che per la modifica dello stesso livello territoriale di governo).

66 In tal senso, art. 1, comma 6, l. n. 56 cit.

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l’iniziativa dei Comuni (ivi compresi quelli capoluogo delle Province limitrofe) per la modifica delle circoscrizioni provinciali e la con-testuale adesione alla Città metropolitana ex art. 133, comma 1, cit. Qualora la Regione interessata  –  entro trenta giorni dalla richiesta di cui alla procedura costituzionalmente imposta cit.  –  avesse espresso parere (in tutto o in parte) contrario alle proposte formulate dai Co-muni, sarebbe quindi spettato al Governo l’onere di promuovere un’intesa (da definire entro novanta giorni dalla data di espressione del parere) tra le parti dissenzienti. Sentiti rispettivamente la relazione del Ministro per gli affari regionali e del Ministro dell’interno nonché il parere del Presidente della Regione, in caso di mancato raggiungi-mento dell’intesa entro il predetto termine sarebbe stato comunque il Consiglio dei Ministri a decidere in via definitiva dell’approvazione e successiva presentazione al Parlamento del disegno di legge recante le modifiche territoriali di Province e di Città metropolitane.

Vi è d’altro canto da dire che – pure se fosse entrata in vigore la proposta riforma del sistema bicamerale  –  l’incertezza circa l’esatta individuazione del procedimento applicabile all’approvazione della legge di modifica del territorio metropolitano sarebbe nondimeno ab initio rimasta67. Se in assenza di un’indicazione espressa appariva di-fatti applicabile, per un verso, il procedimento monocamerale ordi-nario  –  con un ruolo eventuale non rinforzato del Senato ex art.  70, comma 3, d.d.l. cit. ovvero eventuale e rinforzato ai sensi dell’art. 70, comma 4 cit.68  –  per un altro, tuttavia, poteva apparire più idoneo allo scopo quello bicamerale: non solo per la banale ragione che il territorio era (ed è) elemento costitutivo della Città metropoli-tana ma, pure, perché tale procedimento era già estendibile all’or-dinamento delle Città metropolitane ai sensi del novellato art. 117, comma 2, lett. p), per come richiamato dall’art. 70, comma 1 cit.

Infine vi è comunque da rilevare che dall’applicazione delle di-sposizioni sin qui brevemente illustrate  –  tutte contenute nel capo IV, Modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione  –  l’art. 38, comma 11, d.d.l. cit. faceva salve tanto le Regioni ad autonomia spe-ciale quanto le Province autonome di Trento e di Bolzano (almeno fino all’adeguamento dei rispettivi Statuti sulla base di intese con le medesime). Pur avendo introdotto un ulteriore aggravamento nel procedimento medesimo di modifica delle Carte statutarie speciali

67 Sul punto, Servizio Studi deLLa camera, Schede di lettura n. 216 cit., 240 s.68 Laddove tale norma richiamava l’art. 132, comma 2, Cost. in tema di passag-

gio di Comuni da una Regione all’altra.

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(richiedendo appunto l’intesa con la Regione interessata69) tale previ-sione lasciava dunque intatta la competenza legislativa esclusiva delle Regioni speciali  –  secondo quanto disposto da ciascuno Statuto e le relative norme di attuazione  –  in materia di ordinamento, circoscri-zioni territoriali e finanza degli enti locali.

Quale sia stato poi il destino dell’articolato fin qui solo breve-mente richiamato in parte de qua è a tutti noto. Fortemente caratte-rizzato dalla precipua visione del Governo di allora – e coerente con il discorso programmatico del Presidente del Consiglio del tempo nella presentazione del programma di governo alle Camere  –  esso rappresentava con ogni evidenza un progetto di riforma certo assai ambizioso che, purtuttavia, dovette infine fare i conti (recte, dura-mente scontrarsi) col severo esito negativo della consultazione refe-rendaria del 4 dicembre 201670.

Sezione SecondaiL bruSco risveglio e Le proSpettive di riordino

deL LiveLLo di area vaSta

7. L’incompiuto mosaico della legge Delrio (all’indomani della consul-tazione referendaria)

Da tempo il sistema delle autonomie territoriali, nel suo com-plesso, e le aree c.d. di disagio sociale (come tradizionalmente il me-ridione d’Italia e le periferie), nello specifico, esprimono una pres-sante domanda di pluralismo politico e poliarchia istituzionale an-che, se non soprattutto, a motivo della perdurante crisi economica che attanaglia sempre più saldamente il paese71. Da piatto erogatore di servizi alla cittadinanza che doveva essere una volta, ad oggi è il

69 In oggetto, S. baronceLLi, Il disegno di riforma costituzionale Renzi-Boschi e i suoi riflessi sulle autonomie speciali fra tendenze centralistiche, clausola di maggior favore e principio dell’intesa, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2015, 1 ss.

70 Cfr. m. mandato, La riforma che verrà. Conseguenze, criticità e auspici all’in-domani del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Brevi considerazioni a par-tire da alcuni Volumi riguardanti il d.d.l. di revisione costituzionale Renzi-Boschi, in Nomos, n. 3/2016, 1 ss.; g. di coSimo, Le riforme istituzionali dopo il referendum, in Costituzionalismo.it, n. 1/2017, 11 ss.

71 Per le considerazioni che seguono, ad esempio, m. maccianteLLi, Le Pro-vince tra «non più» e «non ancora»: un bilancio della riforma Delrio, in https://arti-colo1mdp.it (28 agosto 2017).

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Comune ad aspirare ad esempio a diventare centro nevralgico di organizzazione delle comunità locali. In un’economia sociale di co-munità nella quale il bilancio comunale non rappresenta tuttavia che una parte (non più il tutto) di un complessivo federalismo contabile che tende progressivamente ad aumentare la pressione fiscale a li-vello locale, l’esigenza è perciò insistentemente diventata quella, per un verso, di contrastare gli innumerevoli sprechi e, per un altro, di riqualificare drasticamente le spese (facendo di più pur possedendo meno). Come naturale contraltare a tale stato di cose, è andato nel frattempo rafforzandosi il bisogno di un livello regionale inteso so-prattutto come espressivo di istanze di regolazione sussidiaria: dal quale ci si aspetta, cioè, che affidi sempre più la gestione ammini-strativa al sistema delle autonomie locali sulla base di un governo di prossimità.

A questa impellente richiesta la complessiva architettura delinea ta per così dire in tandem dalla legislazione ordinaria, prima, e dal d.d.l. costituzionale, dopo, si era in qualche modo sforzata di dare risposta ma, stroncata all’esame referendario, essa non ha mai potuto davvero confrontarsi nella sua interezza con le complesse necessità adesso prospettate. Lasciato perciò sul campo solo il disegno larga-mente incompleto e frammentario della l. n. 56 cit., intorno ad esso s’impone una seppur breve riflessione tanto sul piano politico-istitu-zionale che più prettamente strutturale e funzionale.

Dal primo punto di vista, mentre il declassamento delle Province in  enti di secondo livello  –  disponendo l’abolizione dell’elezione di-retta – ex se poteva già dimostrare la scarsa fiducia del legislatore di riforma nei confronti delle scelte di comunità locali invece bisognose di maggiore rappresentatività, non si può dire che il corrispondente potenziamento di Sindaco metropolitano e Presidente dell’Unione di Comuni  –  cui tanto fiduciosamente aveva guardato pure la comples-siva novella costituzionale (e la riforma Delrio che di essa costituiva anticipatamente pendant)  –  abbia fin qui riscosso il successo spe-rato, né promette obiettivamente di farlo per il futuro. Al contrario, col nuovo ruolo ad essi assegnato tali due organi da figura-cardine dell’intera revisione si sono ben presto convertiti in una specie di peccato originale della stessa.

Con riferimento in particolare al primo cittadino metropolitano, ad un’obiettiva espansione delle sue attribuzioni su tutto il perime-tro dell’ex Provincia –  essendo chiamato ad attendere alla cura delle funzioni c.d. di area vasta (dalla viabilità di montagna alla manuten-zione degli istituti scolastici superiori)  –  ha in particolare fatto da contrappunto una corrispondente contrazione della sua legittimazione

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politica, inevitabilmente spingendo tale organo ad attingere al bacino elettorale rappresentato dal solo Comune capoluogo72.

Ciò rischia quindi di determinare una duplice, forse prevedibile, ricaduta: da un lato quella più immediata e tangibile per la quale il Sindaco avrebbe l’interesse (e, soprattutto, il tempo) di impegnarsi a realizzare solo gli interventi amministrativi direttamente incidenti appunto sul capoluogo (dai residenti del quale, del resto, attende il voto); dall’altro, quella più ampia e di lungo periodo in ragione di cui  –  come mera dilatazione territoriale del potere dei Comuni  –  fi-nirebbe per essere imposta agli ex territori provinciali (dove, com’è noto, vivono, lavorano ed abitano sempre molte più persone di quelle residenti nel capoluogo) la sola visione politica della Città me-tropolitana. Con la conseguenza che i voti espressi da una sola mino-ranza dell’elettorato sarebbero quindi determinanti ai fini dell’orien-tamento politico dell’intero territorio dell’ex Provincia: nell’indiffe-renza per le indicazioni espresse dalla maggioranza dei non residenti nel capoluogo, perciò, i problemi emergenti nel municipio periferico dovrebbero inevitabilmente lasciare il passo a quelli di un sempre più ingombrante livello metropolitano.

Passando al diverso piano strutturale, orfana della novella costitu-zionale in preparazione della quale era stata espressamente pensata, la struttura essenziale imbastita dalla l. n. 56 cit. sembra essere andata in-contro ad una singolare eterogenesi dei fini73. Concepita per semplifi-care la geografia istituzionale del paese e ridurre i costi della pubblica amministrazione ad essa drammaticamente connessi  –  sullo sfondo di una galassia mobile e composita di 7.998 Comuni italiani (dopo le ul-time fusioni comunali del 2016) – col concorso dei legislatori regionali essa ha inopinatamente finito per imbarbarire quella situazione che avrebbe dovuto invece acquietare: intessendo, cioè, una complessa trama ricomprendente non solo 84 Province e ben 14 Città metropo-litane (cui vanno peraltro aggiunti i sei Liberi consorzi comunali di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani, istituiti ex l.r. 15/2015, in luogo delle originarie Province) ma pure, e più grave-mente, una costellazione di circa 350 enti c.d. intermedi tra consorzi di bonifica, autorità di bacino, società partecipate, stazioni appaltanti ed ambiti territoriali ottimali (i c.d. ATO) di rifiuti ed idrici.

72 Così, L. oLiveri, Il disastro della riforma Delrio ora è sotto gli occhi di tutti, in https://luigioliveri.blogspot.com (22 gennaio 2017).

73 Per riprendere la nota espressione Heterogonie der Zwecke di W. Wundt, System der Philosophie, Leipzig 1889, I, 326; II, 221 cit. in m. pancaLdi, m. trom-bino, m. viLLani, Atlante della filosofia, Milano 2006, 445.

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Oltre ad aver determinato effetti opposti rispetto agli obiettivi che si erano in origine prefissati  –  vale a dire quell’obiettiva compli-cazione territoriale cui pocanzi si faceva riferimento – com’è facile in-tuire ciò ha rapidamente portato soprattutto ad un sistema talmente squilibrato ed inefficiente da aver fatto esponenzialmente aumentare i costi senza un corrispondente innalzamento della qualità dei ser-vizi essenziali resi alla cittadinanza. Così per esempio, a fronte di un effettivo depotenziamento provinciale, nelle Regioni ad autonomia differenziata si è registrato un corrispondente aumento di Unioni co-munali ed enti intermedi tra Regione e Comuni che ha complessiva-mente incrementato il numero dei livelli infraregionali di area vasta. Con riferimento alle Unioni, così è accaduto in Friuli Venezia Giulia dove sono subito state istituite 18 nuove Unioni (ciascuna chiamata a fronteggiare, solo per gli stipendi dei revisori contabili, una spesa pari a 26 mila euro annui)74 ovvero in Sardegna dove le vigenti 42 Unioni di Comuni hanno consumato circa 20 milioni di euro all’anno per spese di funzionamento e servizi75.

Se vi è ad ogni modo un dato che sembra accomunare le Regioni a Statuto speciale quello è, senz’altro, l’inopinato dilagare dei citati organismi intermedi. In barba alla stessa l. n. 56 cit.  –  che invece ne prevedeva la drastica riduzione fino ad un massimo di novanta circa, accorpandone le relative funzioni in capo alla Provincia  –  gli enti in commento hanno piuttosto beffardamente tracimato fin quasi a sfio-rare la soglia delle cinquecento unità sull’intero territorio nazionale e facendo corrispondentemente lievitare di decine di milioni di euro le spese per funzionamento e stipendi (di dipendenti e revisori contabili).

Venendo infine al piano funzionale  –  sebbene con notevole ri-tardo rispetto all’iniziale cronoprogramma che la riforma aveva as-segnato  –  ad ormai quattro anni dal formale avvio mentre l’assetto delle funzioni di area vasta può ritenersi complessivamente compiuto sia sotto il profilo della distribuzione che della titolarità non egual-mente può dirsi con riferimento a quello dell’adeguato esercizio. Con riferimento al primo, tendenzialmente a due possono in particolare ricondursi i principali modi di attuazione della legge Delrio almeno

74 Per i seguenti dati, a. FraSchiLLa, Province in lotta per la sopravvivenza ma è boom degli enti intermedi, in www.repubblica.it (16 luglio 2017).

75 Ciò in una Regione che  –  dopo averne raddoppiato il numero un decennio fa (da quattro ad otto)  –  in applicazione della Delrio ha ridotto le Province a cin-que (smembrando tuttavia quella di Cagliari, rispettivamente, in Città metropolitana e Provincia Sud Sardegna).

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nelle quindici Regioni a Statuto ordinario76. Così, ad esempio, per otto Regioni è stato possibile registrare una più o meno ampia riap-propriazione delle funzioni di area vasta: maggiore in Basilicata, Ca-labria e Marche (ad esempio nel settore sociale e culturale); minore in Abruzzo, Lazio, Lombardia, Toscana e Umbria (dove essa è stata mitigata dal trasferimento agli enti locali di talaltre importanti compe-tenze). Stretti tra il perdurante deficit finanziario che li affliggeva, da una parte, e la complessità di talune discipline nazionali (part. in tema di mobilità del personale), dall’altra, taluni legislatori regionali si sono insomma limitati a regolamentare l’esercizio delle funzioni provinciali non fondamentali disponendone la loro riassegnazione al centro, pur specificando la transitorietà di tali scelte (motivate soprattutto con l’e-vidente impreparazione dei territori ad attendere adeguatamente all’e-sercizio di tali funzioni).

8. (segue): ed i suoi non sempre lineari esiti nell’esperienza successiva

Diversamente da quanto appena visto sembrano essere andate in-vece le cose nelle restanti sette Regioni coinvolte: di queste ultime, sei in particolare (Veneto, Molise, Piemonte, Liguria, Puglia e Cam-pania) anziché limitarsi a trasferire ad altri livelli territoriali le fun-zioni delle Province si sono piuttosto contraddistinte  –  seppur nella fisiologica diversità di impostazione metodica  –  per l’avvio di un vero e proprio processo di riorganizzazione territoriale delle funzioni su larga scala nell’ottica di un complessivo innalzamento del livello dei servizi resi alla cittadinanza. Per una vera e propria multilevel go-vernance ha infine optato la settima (l’Emilia Romagna), distribuendo a ciascun livello di governo specifici compiti: alla Regione, l’attività di programmazione, indirizzo e controllo; la programmazione ed il coordinamento nel proprio ambito di competenza alle Province; le funzioni amministrative di gestione, infine, ai Comuni.

Con riferimento a tale ultimo profilo, premesso che la disciplina statale di settore da tempo sospingeva a favore della gestione associata delle funzioni comunali77, l’impianto della l. n. 56 cit. aveva in parti-colare disposto proprio il graduale irrobustimento del livello comples-

76 In tal senso, uFFicio vaLutazione impatto deL Senato, Focus su Ex Pro-vince. Come funziona il riordino degli enti di area vasta a tre anni dalla riforma? (lu-glio 2017), in www.senato.it, 2.

77 Sul punto, part. d.l. n. 78 cit. e l. n. 56 cit. nonché l. n. 124/2015, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

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sivo di associazionismo tra Comuni: inizialmente fissando all’aprile del 2015 (ad un anno, cioè, dall’emanazione della normativa richiamata) il termine ultimo entro il quale le Regioni avrebbero dovuto adeguare le rispettive legislazioni al fine di ricollocare ampie porzioni di fun-zioni provinciali non fondamentali. Già prorogata alla successiva data del 31 dicembre 2016, tuttavia, la scadenza dell’obbligo di associa-zione per i Comuni sotto i 5 mila abitanti veniva ulteriormente posti-cipata di un anno (al 31 dicembre 2017) dall’art. 5, comma 6, d.l. n. 244/2016 (c.d. milleproroghe). Alla fine del 2016, d’altro canto, solo a 29 ammontavano le fusioni di Comuni effettivamente realizzate men-tre le 538 Unioni comunali  –  pur essendo aumentate di 73 unità ri-spetto ai sei mesi precedenti – vedevano coinvolti solo 3.104 Comuni sui 5.585 obbligati ex d.l. n. 78 cit.78.

Passando alla titolarità delle funzioni fondamentali, la l. n. 56 cit. prevedeva che essa fosse com’è noto spartita tra le dieci Città metropolitane79 (poi passate a quattordici con l’istituzione di quelle in Sicilia e Sardegna)80 e le rimanenti 76 Province81 (risultando l’i-stituzione delle prime dalla conversione di altrettante ex Province, il numero complessivo degli enti infraregionali è perciò rimasto sostanzialmente immutato). Oltre la difesa del territorio, la tu-tela e valorizzazione dell’ambiente e talune altre funzioni «di con-torno»  –  quali il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e la promozione delle pari opportunità sul territo-rio provinciale  –  la major pars di tali competenze ricomprendeva, soprattutto, le materie dell’edilizia scolastica, dei trasporti e delle strade appunto provinciali. Nel dettaglio, si trattava della gestione e manutenzione della nervatura carrozzabile del paese (ammontante a circa 135 mila chilometri di strade ivi compresi 30 mila tra ponti, viadotti e gallerie) nonché di 5.179 edifici scolastici ospitanti 3.226

78 In oggetto, c. buongiovanni, Dal referendum costituzionale alle Unioni dei Comuni: chi ha incastrato la riforma Delrio?, in www.forumpa.it (19 gennaio 2017).

79 Si tratta, cioè, di Torino, Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

80 Vale a dire Palermo, Catania, Messina e Cagliari.81 Di quelle rimaste, in cinque si è in particolare votato nel 2015 ed in ven-

tisette tra settembre e dicembre 2016. All’indomani della bocciatura referendaria, trentotto Province l’8 gennaio 2017 hanno quindi rinnovato i rispettivi Consigli (in sedici casi eleggendo pure i nuovi Presidenti) mentre altri sei Consigli provinciali sono stati votati tra il 9 ed il 29 gennaio 2017 (con un complessivo rinnovo degli or-gani di 71 su 76 Province, per un totale di 842 Consiglieri provinciali più i 16 Presi-denti citati ed un’affluenza media alle urne del 78%): cfr. Come è andata a finire con le Province, in www.ilpost.it (6 gennaio 2017).

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scuole superiori (quotidianamente frequentate da circa 2 milioni e 600 mila studenti)82.

A fronte di attribuzioni così importanti non ha fatto tuttavia da contraltare uno stanziamento statale in termini di risorse necessarie per il loro effettivo ed adeguato esercizio. Mentre anche il collocamento del personale degli enti di area vasta può ritenersi tutto sommato com-pletato (alle date in cui si scrive, solo quarantaquattro dipendenti non avrebbero ancora preso servizio presso la nuova amministrazione di destinazione), non altrettanto può dirsi infatti in termini di equa re-distribuzione dei fondi (ai fini della continuità e del miglioramento dell’esercizio la l. n. 56 cit. ne fissava la scadenza per l’assegnazione al dicembre del 2014). Ad un quadriennio dalla riforma che ne avrebbe dovuto rilanciare le potenzialità, le spese scoperte dell’area vasta per il solo 2017 hanno finito per ammontare a quasi 900 milioni di euro: dei quali 203 milioni a carico delle Città metropolitane  –  quelle che, nell’intenzione del legislatore, come si è visto supra avrebbero dovuto rappresentare invece il volano strategico di sviluppo dell’intera riscrit-tura normativa – e ben 650 milioni sulle spalle delle Province83.

Nonostante tale macroscopico buco di bilancio, nella prospettiva di revisione non ancora completata si è quindi assistito all’unidirezio-nale deflusso di investimenti dalle realtà locali più minute e periferi-che alle città più popolose e centrali. Con l’ente metropolitano che ha così visto progressivamente aumentare gli stanziamenti (fino ad oltre due miliardi di euro all’anno) e quello provinciale che ha piuttosto as-sistito impotente ad una profonda sforbiciata dei fondi per la spesa (dagli 8,4 miliardi del 2011 ai 4,7 del 2016)84. Al cospetto degli esi-gui risparmi accumulati nel breve periodo – scaturenti dal taglio delle indennità degli amministratori e la mancata erogazione dei gettoni ai consiglieri  –  a far data dal 2010 i bilanci e l’attività delle Province si sono perciò ritrovati pesantemente condizionati, col picco negativo raggiunto con le leggi di stabilità, rispettivamente, 201585 e 2016.

82 Di essi, ben il 70% non risultava possedere certificazioni antincendio, a fronte del 41,2% che si trovava in zone a rischio sismico ed il 9,8% in località a ri-schio idrogeologico: così, m. pariS, Dalle ceneri del referendum ai fondi in manovra, la seconda vita delle Province, in www.ilsole24ore.com (20 ottobre 2017).

83 In tal senso, SOSE (la società del Ministero dell’Economia che fa i conti sui fabbisogni standard degli enti locali) cit. in g. trovati, Incognita da 900 milioni su Province e Città, in www.ilsole24ore.com (10 aprile 2017).

84 Sul punto, g.m. de FranceSco, Legge Delrio, l’ennesima riforma incompiuta che lascia gli enti a secco e senza un’identità, in www.ilgiornale.it (1o aprile 2017).

85 La quale aveva, ad esempio, imposto di riservare alle casse statali oneri dal 2017 ammontanti a tre miliardi di euro annui.

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Era in particolare a queste due ultime manovre che doveva come si sa addebitarsi  –  a Costituzione ancora invariata  –  quella progressiva e meticolosa opera di svuotamento dall’interno del livello provinciale: all’indomani della bocciatura referendaria, tuttavia, tale immutato stato di fatto ha infine condotto in un breve lasso di tempo al grave paradosso per cui le Province hanno continuato ad esercitare anche le funzioni non fondamentali nella più profonda penuria di risorse86.

Nella materiale impossibilità di approvare il proprio bilancio, perciò non desta più di tanta meraviglia che le Province abbiano così progressivamente cominciato a ritirarsi dall’erogazione di una serie di servizi essenziali alla comunità legati, in particolare, alla gestione e messa in sicurezza di strade, scuole superiori e ambiente. Emblema-tico, in tal senso, proprio il caso della viabilità stradale (part. quella dei Comuni di montagna in zone scarsamente popolate ed isolate) ben presto trasformatasi in una sorta di Far West dove le singole real tà municipali sono a malapena riuscite ad attendere al solo terri-torio di competenza87.

9. Un livello di governo più che mai bisognoso non già di una nuova nascita (giacché mai scomparso) bensì di nuova linfa: sul piano economico-finanziario

A fronte di una condizione complessiva tanto fortemente com-promessa, l’esigenza più pressante era perciò quella non già di fare rinascere le Province  –  per la naturalistica ragione che non poteva tecnicamente rivivere ciò che in effetti non era mai morto  –  quanto, piuttosto, di risignificarne il contenuto dopo un interminabile pe-riodo di progressivo decadimento identitario, finanziario, democra-tico e funzionale88. Già di per sé complessa, tale operazione è sem-brata ad oggi perfino più ardua se sol si pensi che il livello provin-ciale di fatto non è mai uscito dall’agone costituzionale come ente costitutivo della Repubblica ma si è trovato a dover fare ad ogni modo suo malgrado i conti con un orizzonte istituzionale attual-mente assai più ingombro che mai (a motivo della consistente com-

86 Così non stupisce che anche l’ultima valutazione del citato SOSE abbia sti-mato in 651 milioni di euro il complessivo squilibrio esistente tra entrate e spese provinciali nel 2017: cfr. m. pariS, Dalle ceneri del referendum cit.

87 In oggetto, L. oLiveri, Il disastro della riforma Delrio cit.88 Per le considerazioni che seguono, m. maccianteLLi, Le Province tra «non

più» e «non ancora» cit.

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presenza delle richiamate Città metropolitane e della crescente diffu-sione delle Unioni di Comuni).

Nondimeno, nessuna seria rimodulazione di una portata talmente ampia può, in verità, nutrire la ben che minima speranza di essere portata realisticamente a compimento innanzitutto senza essere ade-guatamente sostenuta sul piano economico-finanziario da un congruo stanziamento di fondi. Da questo cruciale punto di vista, negli ultimi scampoli del 2017 si è tuttavia assistito da un robusto cambio di rotta a livello di governo centrale. Pur non riuscendo di fatto ad azzerare il disavanzo pregresso, vi è da dire che già dal lontano 2015 lo Stato si è sforzato di introdurre a favore delle Province tanto misure a carattere finanziario che contabile (si pensi, tra le prime, all’erogazione di finan-ziamenti specifici e, tra le seconde, ad interventi come l’approvazione del solo bilancio annuale, l’utilizzo degli avanzi di amministrazione per raggiungere l’equilibrio di bilancio nonché la rinegoziazione dei mu-tui con la Cassa depositi e prestiti)89. A ciò devono poi aggiungersi le manovre, per così dire, di «dirottamento» di risorse  –  ogni anno che è passato, invero, sempre più esigue (le ultime sarebbero più o meno ammontate a soli duecento milioni di euro)  –  in favore del livello di area vasta quali quelle provenienti dall’ANAS, per la manutenzione delle strade, ovvero quelle ministeriali, per l’edilizia scolastica90.

Con riferimento al disavanzo delle Città metropolitane  –  più grave in talune città (come Torino, Milano e Roma91) e meno in ta-laltre (quali Bari, Genova e Venezia)  –  preclusa la possibilità di in-tervenire con nuove entrate né sulle uscite92, in attesa di un vero e proprio rilancio strutturale una sorta di «rattoppo» è stato, per così dire, applicato riproponendo le misure straordinarie degli ultimi anni (come l’applicazione degli avanzi alla parte corrente ovvero la rine-goziazione dei mutui pocanzi citati). Se un primo, seppur incerto e malfermo, passo nella direzione della ripresa è stato di recente fatto, com’è noto, esso si deve soprattutto ascrivere all’ultima manovra fi-nanziaria93, la quale ha finalmente azzerato il taglio delle risorse de-

89 Cfr. m. pariS, Dalle ceneri del referendum cit.90 Così, g. trovati, Incognita da 900 milioni cit. (anche per i dati che se-

guono).91 Rispettivamente di 67, 64 e 57 milioni di euro.92 In ragione del fatto che un terzo di esse è rappresentato dal contributo alla

finanza pubblica e il resto è assorbito in larga parte dai costi fissi di funzionamento e personale.

93 Per le cifre di seguito richiamate, Province, arrivano i fondi della manovra. Le quote ente per ente, in www.legautonomie.it (senza data).

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stinate ai servizi per il 2018, prevedendo per l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’art. 1, l. n. 56 cit. un contributo di com-plessivi 428 milioni di euro94 oltre ad un ulteriore stanziamento ad hoc per il solo livello provinciale di 110 milioni di euro annui (per il biennio 2019-2020) incrementabile fino a 180 dal 202195. Per le Province i cui bilanci non hanno invece retto a tagli insostenibili96, si è poi ulteriormente prevista la misura di sostegno dell’attribuzione di un contributo di trenta milioni di euro annui (per ciascuno degli anni del triennio 2018-2020)97.

Non dubbi dovrebbero così risultare i vantaggi immediatamente percepibili a livello di area vasta da tale sostanzioso revirement finan-ziario. A parte la generale riaffermazione, nel metodo, dell’autonomia economico-finanziaria delle Province  –  formalmente iscritta in Co-stituzione e, nondimeno, sostanzialmente svilita da anni di continue sforbiciate  –  nel merito, il cumulo dei 317 milioni assegnati per la

94 Dei quali 317 destinati alle Province e 111 alle Città metropolitane delle Re-gioni a Statuto ordinario.

95 Ripartite con decreto del Ministro dell’Interno (di concerto con quello dell’Economia), tali risorse dovranno in particolare corrispondere ai criteri ed im-porti definiti –  su proposta dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e dell’Unione delle Province d’Italia (UPI)  –  previa intesa in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Qualora nessuna proposta fosse stata presentata ovvero nessuna intesa raggiunta, il decreto citato sarebbe stato comunque adottato: ripartendo, cioè, il contributo in proporzione alla differenza per ciascuno degli enti interessati, ove positiva, tra l’ammontare della riduzione della spesa corrente  –  indi-cato nella tabella 1 allegata al d.l. n. 50/2017, Disposizioni urgenti in materia finan-ziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo, convertito con modificazioni da l. 96/2017 [al netto della riduzione della spesa di personale di cui all’art. 1, comma 421, l. 190/2014, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)]  –  e quello dei contributi di cui all’art. 20 nonché del con-tributo annuale di cui alle tabelle n. 3 del d.l. n. 50 cit. e nn. F e G allegate al d.P.C.M. 10 marzo 2017.

96 Quelle Province che, cioè, alla data del 30 novembre 2017 avessero, rispet-tivamente, deliberato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale (o ne avessero conseguito l’approva-zione) ovvero fossero risultate in dissesto.

97 Distribuito con decreto del Ministro dell’Interno (di concerto col Ministro dell’Economia) anche in questa circostanza il suddetto contributo avrebbe dovuto corrispondere ai criteri ed importi definiti  –  su proposta dell’UPI – previa intesa in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Qualora nessuna proposta fosse stata presentata, ovvero alcuna intesa raggiunta, il decreto cit. sarebbe stato comun-que adottato (in particolare ripartendo il contributo stesso in proporzione alla spesa corrente per viabilità e scuole, come desunta dall’ultimo rendiconto approvato dalla Provincia interessata).

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spesa corrente dei servizi essenziali con le risorse stanziate dalle ma-novre precedenti dovrebbe consentire di colmare i tagli imposti sin dal 2015 e (pur non riuscendo a finanziare ancora pienamente il co-sto dei servizi a fabbisogni standard) comunque permettere all’ente provinciale di tornare a delineare programmi pluriennali d’inter-vento. Sempre nella direzione del rilancio economico, si sono infine aggiunte l’avvenuta cancellazione del blocco che impediva il cor-retto esercizio dell’autonomia organizzativa sui dipendenti delle Pro-vince  –  le quali, sempre nella logica di sostenibilità finanziaria, po-tranno così ricominciare ad assumere in via prioritaria quel personale tecnico-amministrativo necessario alla progettazione ed esecuzione di opere pubbliche – nonché l’istituzione strategica di un fondo plu-riennale (pari a un miliardo e 620 milioni di euro) destinato a poten-ziare gli investimenti locali in materia di viabilità provinciale e metro-politana98.

Passando al profilo più strettamente giuridico, nell’attuale con-giuntura più che in passato è inevitabile che forte si faccia sentire la necessità  –  dopo l’indispensabile passaggio del rafforzamento eco-nomico-finanziario  –  di una duplice svolta tanto nel metodo che nel merito riformatore. Prendendo innanzitutto le mosse dal primo de-gli aspetti illustrati, l’esperienza degli anni recenti di poco meditate revisioni ha già drammaticamente dimostrato, per un verso, quanto fallimentari possano rivelarsi interventi sul territorio elaborati solo in vitro rispetto a quelli per il territorio sviluppati nel vivo delle singole realtà locali. Se l’indicazione metodica fin qui seguita è stata perciò quella, per così dire, formale-istituzionale (in virtù della quale sa-rebbe bastato cambiare il nome alla cosa per cambiare la cosa stessa), la logica ispiratrice dei prossimi interventi in materia dovrebbe piut-tosto ispirarsi ad una, diametralmente opposta, di carattere sostan-ziale-sociale. Per la quale cioè  –  così come non basta formalmente dichiarare la «Città metropolitana» perché essa lo sia anche sostan-zialmente  –  bisogna ormai prendere atto che talune aree urbane del paese esibiscono una società (e, specularmente, un’economia) già come tale metropolitana (a prescindere dal nomen iuris ad esse for-malmente assegnato dalla legge).

98 In tal senso, Legge di Bilancio 2018, Province: «Ripartono gli investimenti lo-cali: scuole e strade priorità del Paese», in www.lagazzettadeglientilocali.it (27 dicem-bre 2017).

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10. (segue): e su quello giuridico (a patto di una duplice svolta nel metodo e nel merito di riordino)

Sul piano di lavoro supra richiamato, è ovvio che il solo pro-filo quantitativo (sia infrastrutturale che demografico) possa invero pesare fino ad un certo punto se non adeguatamente coniugato a quello qualitativo di un disegno che delinei una sorta di nuova forma urbis nella quale istituzioni, comunità e territorio risultino inscindi-bilmente connessi99. Lungi dal riduttivamente rappresentare solo in-granaggi del più ampio e complesso marchingegno della polis  –  da scomporre per poi provare a rimontare in maniera diversa in un in-terminabile puzzle  –  in questo quadro le istituzioni, a qualunque li-vello territoriale esse si dispongano, tendono piuttosto a rappresen-tare entità poi non molto lontane da vere e proprie cellule compo-nenti di un più esteso organismo vivente: se non proprio dotate di un proprio DNA, cioè, come tali quantomeno caratterizzate da un loro caratterizzante ethos.

Nella futura prospettiva di riassetto territoriale, il solco di metodo nel quale dovrebbe sempre più avviarsi il prossimo legislatore  –  già invero tracciato pure dall’art. 114, comma 1 cit.  –  dovrebbe così es-sere quello di aprire le autonomie territoriali ad una logica maggior-mente inclusiva100, al contempo sgravandosi della zavorra di diffuse interpretazioni di tipo aziendalistico ed efficientistico (per le quali la politica sul territorio finisce per svilirsi nel meccanico incastro di ruoli apicali). Connotate da una specie di omologante smania di uni-formazione anziché ottimizzare la prestazione di servizi fondamentali ai cittadini, difatti, tali impostazioni non hanno che irrigidito il com-plessivo sistema delle autonomie locali (di fatto impedendo di valo-rizzare le differenze tra territorio e territorio).

Quanta parte di questo pre-orientamento metodico possa poi effettivamente tradursi sul corrispondente piano del merito politico-istituzionale e funzionale non è  –  a chiusura delle presenti nota-zioni – difficile a dirsi. A partire dal primo profilo, è importante che da sfondo ad ogni sparsa proposta di migliore implementazione del dato esistente faccia lo sforzo di un maggiore coinvolgimento demo-cratico (della cittadinanza) e territoriale (delle periferie). Perdurare nella prospettiva di decisioni di riordino solo autoritativamente calate

99 Per le considerazioni che seguono, m. maccianteLLi, Le Province tra «non più» e «non ancora» cit.

100 Sul punto si sta per tornare, infra.

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dall’alto – che, in altre parole, disconoscano le aspettative di una cit-tadinanza la quale, come pure macroscopicamente dimostrato dall’ul-tima tornata elettorale, prepotentemente avanza istanze di maggiore partecipazione101 – da questo punto di vista appare altamente sconsi-gliabile: ad esse dovendosi preferire piuttosto processi decisionali in-clusivi delle molteplici e variegate istanze emergenti dal basso (magari orientati da opportuni monitoraggi in itinere espressivi del voto dei territori, ad esempio con lo strumento dei referendum).

In una fase  –  come l’attuale  –  drammaticamente segnata dal di-lagante contagio dell’astensionismo, l’avere puntato tutto (o quasi) sul metodo verticista monocratico per ridurre i costi della politica non può difatti dirsi certo rispettoso dell’esigenza di coinvolgere di più l’elettorato nelle decisioni più importanti. Per l’elaborazione ed attuazione delle scelte d’area vasta, come pure di quelle relative alle politiche locali in generale, un rinnovamento nell’esercizio della so-vranità democratica da questa prospettiva consentirebbe forse di co-niugare meglio il globalismo della rete con l’identitarismo locale.

Affinché il livello intermedio possa aspirare ad essere realmente considerato un nuovo assetto  –  e non già mera espansione quantita-tiva di quello vecchio – essenziale diventa poi un progetto di rifonda-zione da cima a fondo della periferia del paese che ne faccia il bari-centro di una più ampia rete civica, plurale e territoriale. Solo così si può in effetti sperare di rovesciare la tradizionale logica che vede nelle sole aree metropolitane i luoghi privilegiati di innovazione a di-scapito dell’immobilismo delle periferie: le quali andrebbero, piutto-sto, convertite in altrettanti centri di sviluppo economico (molte già competono invero con i grandi centri europei producendo buona parte del PIL del paese) nonché di coesione sociale (intesa come di-mensione non solo del risiedere ma pure, se non soprattutto, del vi-vere e del relazionarsi reciproco)102.

In luogo di ulteriori (e, non di rado, non adeguatamente ponde-rati...) interventi a carattere innovativo direttamente sul testo costitu-zionale, con riferimento all’aspetto funzionale la presente congiuntura parrebbe consigliare piuttosto provvedimenti di natura conservativa (o, diciamo pure, manutentiva) su quanto di buono già esistente ed a disposizione, con particolare riferimento alla più volte cit. l. n. 56: in questo senso richiedente insomma, come si usa coloritamente dire, un

101 Emblematica, in tal senso, l’esperienza degli ultimi cinque anni di riforme degli enti locali in Sicilia (...).

102 In oggetto, a. variati, La Legge di bilancio 2017 non affossi attuazione Legge Delrio su enti di area vasta, in www.upinet.it (13 ottobre 2016).

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«tagliando» nella sua attuazione tanto sul versante metropolitano che provinciale103. A tali fini, guardare alla realtà comunale italiana per ciò che crudamente è (non già per quello che vagheggeremmo che fosse) potrebbe rappresentare una feconda premessa: non si può nello spe-cifico disconoscere, cioè, che ben più della metà degli attuali 7.954 Comuni italiani non sfiora nemmeno la soglia dei 3.000 abitanti104 (e che, di questi ultimi, circa 750 hanno una popolazione inferiore ai 500 abitanti).

Solo a partire da tale preliminare dato dimensionale, può per-ciò iniziare a considerarsi un ripensamento nella distribuzione delle funzioni tra i cinque livelli di governo costituzionalmente previsti (considerato che anche la riforma dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato di cui alla l. n. 124 cit. tarda ancora ad essere compiutamente attuata): a partire dal rinnovato status che l’art. 8, l. n. 124 cit. ha ad esempio assegnato alle Prefetture ed agli stessi Prefetti. Con le prime che da semplici uffici territoriali di governo dovranno, com’è noto, progressivamente assumere il più impegna-tivo ruolo di uffici territoriali dello Stato (in quanto tali incaricati, cioè, del coordinamento e della direzione di tutti gli uffici statali); e coi secondi ad oggi individuati come responsabili del livello dei servizi prestati appunto al cittadino sul territorio105. Passando al di-verso piano del citato associazionismo comunale –  seppure la nuova dorsale istituzionale dovrebbe innanzitutto essere rappresentata da livelli di governo di area vasta (provinciali e metropolitani) sulla base di organismi di secondo grado  –  una riconsiderazione del fu-turo assetto di enti preposti alla rappresentanza di significative por-zioni di territorio (in quanto caratterizzati da un certo dimensiona-mento demografico) come le Unioni dei Comuni pro futuro ancora

103 Seppure i previsti cumuli delle cariche ad oggi esistenti  –  ad esempio tra Sindaco metropolitano e quello necessariamente del Comune capoluogo, tra Sindaco di un Comune e Presidente della Provincia, nonché tra amministratori di un Co-mune e consiglieri o assessori provinciali e metropolitani  –  se non ad una definitiva paralisi, con la sovrapposizione dei rispettivi ruoli ad essi inevitabilmente sottesa ri-schiano già di condurre nei fatti ad un rallentamento del processo decisionale assai costoso in termini di snellezza e semplificazione delle dinamiche decisionali.

104 Numero peraltro sceso dalle iniziali 7.960 unità del 1o gennaio 2018 a mo-tivo della recente soppressione o unione di taluni Comuni: cfr. iStat, Codici statistici delle unità amministrative territoriali. Riepilogo delle novità per l’anno 2018, in www.istat.it (31 marzo 2018).

105 Così, c. buongiovanni, Dal referendum costituzionale alle Unioni dei Co-muni: chi ha incastrato la riforma Delrio?, in www.forumpa.it (19 gennaio 2017).

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IL rISveglIo (Dopo UnA LUngA aneSteSIa) DeLLe proVInCe 451

si impone106: soprattutto a motivo del fatto che l’Unione non rap-presenta che il primo step di un graduale processo che dovrebbe infine portare alla conclusiva fusione come misura idonea contem-poraneamente a garantire semplificazione amministrativa e migliori prestazioni.

Tra le tante ricette possibili, in conclusione, solo un maggiore coinvolgimento a monte ed una migliore redistribuzione delle fun-zioni a valle in un’ottica concreta, organica e di medio-lungo periodo possono sinergicamente puntare, direttamente, ad un reale migliora-mento della qualità dei servizi essenziali offerti dall’amministrazione locale alla cittadinanza; e, indirettamente (e, dunque, per il tramite di essi), ad un maggiore appagamento della coppia assiologica fon-damentale di cui ai principi di libertà ed eguaglianza (e, per ciò solo, della dignità stessa) di cui ciascun cittadino è portatore107.

Stefano Agosta, Waking up after deep anesthesia: The Italian Provinces during multi-level governance reorganisation

Methodically the first part of the present research confirms the hour-glass structure of new Area vasta level – between Regional and Comunal Level – chosen by l. n. 56/2014 (Rules on Metropolitan Areas, Provinces, Communes Unions and Fusions). After it especially marks the difference between Provinces Regulation and Metropolitan Areas one: gradually ton-ing down Provinces until future constitutional abrogation; clearly betting on Metropolitan Authority as economic-productive development incentive. After all the reform under consideration, as is well know, was free of consti-tutional scrutiny (by Constitutional Italian Court, Judg. n. 50/2015) and her destiny inevitably in time ended up intertwining in a common destiny with constitutional draft law of 5 July 2013 about Moving on equal bicameral sys-tem, cutting Parliamentarians number, cutting Institutions operating costs, ab-rogating CNEL and reviewing Title five, Constitution part two: in particular,

106 In tal senso, m. maccianteLLi, Le Province tra «non più» e «non ancora» cit.

107 Da plurimi punti di vista ne ha più volte discorso – solo per citare gli scritti più recenti  –  part. a. ruggeri nei suoi Corte di giustizia e Corte costituzionale alla ricerca di un nuovo, seppur precario, equilibrio: i punti (relativamente) fermi, le que-stioni aperte e un paio di proposte per un ragionevole compromesso, in Freedom, Se-curity & Justice: European Legal Studies, n. 1/2018, 1 ss.; La Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea e le tecniche decisorie idonee ad assicurarne la efficacia ed effettività, in Ordine internazionale e diritti umani 2018, 15 ss.; La «federalizzazione» dei diritti fondamentali, all’incrocio tra etica, scienza e diritto, in Riv. dir. dei media, n. 2/2018, 5.

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it sought to strengthen pluralism, from institutional perspective, and auton-omy, from functional one.

Keywords: Provinces; multi-level governance; Metropolitan Areas; consti-tutional abrogation; Constitutional Italian Court; constitutional draft law; equal bicameral system; politic pluralism; popular referendum; functions distribution; local authorities, local citizenship.

Stefano Agosta, Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Giuri-sprudenza, Piazza S. Pugliatti 1, 98122 Messina, [email protected]