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Il Mulino - Rivisteweb Claudia Tubertini L’attuazione regionale della legge 56/2014: verso un nuovo assetto delle funzioni amministrative (doi: 10.1443/83668) Le Regioni (ISSN 0391-7576) Fascicolo 1, gennaio-febbraio 2016 Ente di afferenza: Universit` a statale di Milano (unimi) Copyright c by Societ` a editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it Licenza d’uso L’articolo ` e messo a disposizione dell’utente in licenza per uso esclusivamente privato e personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Salvo quanto espressamente previsto dalla licenza d’uso Rivisteweb, ` e fatto divieto di riprodurre, trasmettere, distribuire o altrimenti utilizzare l’articolo, per qualsiasi scopo o fine. Tutti i diritti sono riservati.

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Claudia Tubertini

L’attuazione regionale della legge 56/2014: versoun nuovo assetto delle funzioni amministrative(doi: 10.1443/83668)

Le Regioni (ISSN 0391-7576)Fascicolo 1, gennaio-febbraio 2016

Ente di afferenza:Universita statale di Milano (unimi)

Copyright c© by Societa editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati.Per altre informazioni si veda https://www.rivisteweb.it

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Sommario: 1. Il significato del riordino delle funzioni amministrative nel contesto della legge 56 del 2014.  - 2. I limiti e le criticità del processo.  - 3. Le principali linee di ten-denza della legislazione regionale.  - 3.1. Ripartizione delle competenze e modelli orga-nizzativi.  - 3.2. Ruolo assegnato ai diversi livelli di governo.  - 3.3. Riordino funzionale e riordino territoriale. - 4. Verso un nuovo ordinamento amministrativo regionale e locale.

1. Il significato del riordino delle funzioni amministrative nel contesto della legge 56 del 2014

Affrontare oggi il tema del riordino delle funzioni amministrative locali è  –  per usare una ben nota metafora  –  come fotografare un treno in corsa. Si tratta, infatti, di un processo che è senz’altro ormai partito, ma che è ben lungi dall’essere approdato ad una conclusione finale ed ad un assetto stabile e consolidato, e che appare difficile da inquadrare, essendo appunto in movimento.

Certo, l’immagine del treno in corsa1 può apparire ardita, se si considerano una serie di circostanze che a tutto fanno pensare, piut-tosto che alla velocità. Per accelerare il percorso il legislatore statale è dovuto ricorrere alla minaccia di pesanti conseguenze finanziarie a carico delle Regioni ancora prive di una propria legge regionale di attuazione della l. 56/20142; ciononostante, la maggior parte delle leggi regionali è stata adottata nei quindici giorni precedenti la sca-

1 L’immagine è utilizzata anche da F. Pizzetti con riferimento all’intero pro-cesso di attuazione della l. 56/2014 (La legge Delrio: una grande riforma in un can-tiere aperto. Il diverso ruolo e l’opposto destino delle Città metropolitane e delle Pro-vince, in Rivista AIC, n. 3/2015).

2 Il riferimento è all’art. 7, comma 9-quinquies, del d.-l. 78/2015, come conver-tito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125.

L’attuazione regionale della legge 56/2014: verso un nuovo assetto delle funzioni amministrative

di Claudia TuberTini

le regioni / a. XLIV, n. 1, febbraio 2016

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denza dell’ultimo termine concordato, quello del 31 dicembre 20153; mancano, un po’ ovunque, una serie di provvedimenti attuativi, tanto che per vigilare sulla loro effettiva adozione il legislatore statale ha previsto (anche se per ora non attuato) l’intervento sostitutivo di un Commissario straordinario4.

Eppure, a fronte di questi segnali di rallentamento o di vera e propria difficoltà, ve ne sono altri che mostrano, invece, un sistema amministrativo regionale e locale ormai coinvolto in tutte le sue com-ponenti in un processo di trasformazione molto rapido, a tratti con-vulso, e che presenta aspetti del tutto inediti.

I nuovi organi di Province e Città metropolitane si sono ormai ovunque insediati, e operano a regime; procede anche, sia pure a di-verse velocità, il processo di consolidamento ed ulteriore diffusione delle Unioni di Comuni; continuano a moltiplicarsi, in alcune aree del paese, le iniziative di fusioni tra Comuni; molte Regioni hanno già assunto nella propria organizzazione parte del personale provin-ciale; l’adozione delle leggi regionali di riordino ha, in molti casi, de-terminato il rifiorire dell’iniziativa legislativa regionale, in molti cru-ciali settori; comincia, infine, ad intravvedersi la reale fisionomia dei nuovi enti metropolitani.

Vi sono quindi molte ragioni per analizzare questa prima tornata di legislazione regionale di attuazione della l. 56/2014, pur nella con-sapevolezza del suo carattere ancora incompleto, a tratti incompiuto o transitorio.

3 Le leggi regionali sinora adottate, sono, in sequenza, le seguenti: Toscana, l.r. 3 marzo 2015, n. 22; Umbria, l.r. 2 aprile 2015, n. 10; Marche, l.r. 3 aprile 2015, n. 13; Liguria, l.r. 10 aprile 2015, n. 15; Calabria, l.r. 22 giugno 2015, n. 14; Lombardia, l.r. 8 luglio 2015, n. 19 e 12 ottobre 2015, n. 32; Emilia-Romagna, l.r. 30 luglio 2015, n. 13; Abruzzo, l.r. 20 ottobre 2015, n. 32; Piemonte, l.r. 29 ottobre 2015, n. 23; Veneto, l.r. 29 ottobre 2015, n. 19; Puglia, l.r. 30 ottobre 2015, n. 31; Basilicata, l.r. 6 novembre 2015, n. 49; Campania, l.r. 9 novembre 2015, n. 14; Molise, l.r. 29 dicembre 2015, n. 20; Lazio, l.r. 31 dicembre 2015, n. 17, art. 7. Quasi tutte le leggi menzionate sono già state oggetto di modifiche ed integrazioni ad opera di leggi successive.

4 Cfr. art. 1, commi 765-767 della l. 208/2015 (legge di stabilità 2016), che ha fissato il termine del 30 giugno 2016 per il completamento degli adempimenti neces-sari a rendere effettivo trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie relative alle funzioni non fondamentali delle Province e delle Città metropolitane, in attuazione della riforma di cui alla citata l. n. 56 del 2014. La stessa legge ha stabi-lito che, in assenza di disposizioni legislative regionali e fatta salva la loro successiva adozione, sono attribuite alla Regione le funzioni non fondamentali delle Province e delle Città metropolitane. Per le Regioni che hanno adottato in via definitiva la legge attuativa ma non hanno completato il trasferimento delle risorse, si prevede che il Commissario operi d’intesa con il Presidente della Regione.

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Prima di addentrarsi nell’analisi, può essere tuttavia utile chie-dersi quale significato assuma il riordino delle funzioni amministra-tive nel contesto della riforma.

Anche se può apparire non scontato, il nostro legislatore ha pun-tato sul riordino funzionale sin dai primi provvedimenti adottati nell’ambito della c.d. legislazione della crisi (2010-2014): la sovrap-posizione di competenze, ruoli e funzioni tra i diversi soggetti ope-ranti a livello sub-statuale è sempre stata considerata uno dei fattori principali di criticità su cui intervenire. Del resto, tra i problemi de-rivanti dal decentramento amministrativo operato alla fine degli anni Novanta da tempo era stato segnalato quello della sostanziale disap-plicazione delle disposizioni delle leggi di riforma che imponevano il contestuale smantellamento o ridimensionamento delle strutture sta-tali già titolari delle funzioni, delle attività e dei servizi conferiti a Re-gioni ed enti locali e la parallela riallocazione delle risorse finanziarie e umane dedicate al loro svolgimento; di qui, la necessità di ripren-dere la strada interrotta di una razionale redistribuzione delle funzioni tra le diverse istituzioni e le diverse amministrazioni, applicando i principi generali del nuovo articolo 118 della Costituzione5.

Non a caso, dunque, il d.-l. n. 201 del 2011 aveva esordito con una previsione relativa al nuovo assetto funzionale delle Province (art. 23, comma 14), cui era legata una nuova disciplina degli or-gani (commi 15-17), per chiudere, poi, con la fissazione del primo termine (30 aprile 2012) per il trasferimento delle ex funzioni pro-vinciali in via preferenziale ai Comuni, e, in via subordinata, alle Re-gioni.

Sempre al riordino funzionale erano, in primis, dedicate anche le disposizioni dettate dal d.-l. n. 95 del 20126 che  –  nel garantire, sia pure in via transitoria, alle Province la conservazione di un im-portante nucleo di funzioni fondamentali – ribadivano la necessità di operare un trasferimento delle loro restanti competenze ai Comuni, in attuazione del principio di sussidiarietà.

Infine, la stessa l. n. 56 del 2014, pur essendo considerata, a giusto titolo, la legge che ha dato origine, soprattutto, alla nuova forma di go-verno provinciale ed alle nuove istituzioni metropolitane, ha dedicato ampio spazio al riordino funzionale, addentrandosi nell’indicazione det-

5 Così F. Bassanini, Dieci anni dopo la legge 59 del 1997: un bilancio delle ri-forme amministrative degli anni Novanta, in www.Astrid.eu; G. D’alessio, F. Di lascio (a cura di), Il sistema amministrativo a dieci anni dalla «Riforma Bassanini», Torino, Giappichelli, 2009.

6 Art. 17 (intitolato «Riordino delle Province e delle loro funzioni»), commi 6 e 10.

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tagliata al legislatore regionale e statale di una serie di principi e criteri direttivi alla luce di quali orientare la riallocazione delle funzioni ammi-nistrative provinciali agli altri livelli di governo (art. 1, commi 89-96).

Il riordino funzionale non può dunque intendersi come una mera conseguenza della scelta della soppressione delle Province (scelta che, peraltro, non è ancora definitiva: sul punto si tornerà oltre), né come un effetto secondario della riforma, derivante esclusivamente dalla trasformazione della Provincia da ente territoriale direttamente rappresentativo ad ente di secondo grado, con organi composti da rappresentanti dei Comuni: va considerato, al contrario, un obiettivo primario di politica legislativa, al quale anche la trasformazione degli organi provinciali appare preordinato.

Si intende dire, con ciò, che la riorganizzazione delle competenze provinciali secondo criteri di sussidiarietà, differenziazione e non so-vrapposizione non costituisce semplicemente una conseguenza dell’av-venuta individuazione delle funzioni fondamentali (posto che, peral-tro, appare pacifico che le Province, in quanto enti territoriali titolari di funzioni proprie e conferite, possano mantenere anche funzioni non fondamentali), né deriva solo dalla necessità di riattribuire ad al-tri livelli di governo le funzioni provinciali divenute incompatibili con il nuovo carattere di secondo grado dei loro organi, ma è essa stessa un obiettivo fondamentale a cui tendere, facilitato, senz’altro, dalla perdita di rappresentatività diretta degli organi provinciali, ma non mera conseguenza di quest’ultima. Anzi, la ratio della modificazione degli organi non può considerarsi limitata alla sola riduzione dei c.d. costi della politica, ma obiettivo funzionale ad uno più stretto rac-cordo e coordinamento tra funzioni comunali e provinciali.

2. I limiti e le criticità del processo

D’altro canto, occorre però ammettere che il riordino delle fun-zioni è stato concepito in primis dallo stesso legislatore come par-ziale, in quanto riferito  –  almeno, in modo espresso  –  alle sole fun-zioni provinciali ed orientato soprattutto nel senso di un ridimensio-namento complessivo delle competenze dislocate ai livelli territoriali inferiori7. Il riassetto è stato dunque configurato secondo una netta

7 Sottolinea il cambio di direzione rispetto alla stagione delle riforme Bassanini anche G. GarDini, Crisi e nuove forme di governo territoriale, in Astrid Rassegna, n. 1/2016, 7.

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dinamica ascensionale, evidentemente funzionale ad un controllo della spesa sempre più stringente ed ormai dominante tutte le scelte di politica legislativa statale. Inoltre, le disposizioni procedurali sul riordino funzionale rappresentano forse la parte meno riuscita, per non chiarezza e macchinosità, dell’intero testo8.

Queste giuste osservazioni non attenuano, tuttavia, l’importanza dell’operazione avviata dalla l. 56/2014 nell’ottica di una complessiva riorganizzazione delle amministrazioni locali, considerato il peso e la rilevanza assunti dalle funzioni provinciali nella legislazione, sia sta-tale che regionale, successiva al c.d. terzo decentramento delle fun-zioni amministrative.

A parziale giustificazione di questo limitato perimetro conside-rato dal legislatore, vanno ricordati alcuni limiti derivanti dallo stesso quadro costituzionale: come il necessario rispetto delle «funzioni fon-damentali» (art. 117, comma 2, lett. p) Cost.) delle Province, intese come funzioni che non possono essere né soppresse né conferite ad altro livello amministrativo e per le quali, dunque, il riordino è in via di principio escluso; e, più in generale, il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, che impedisce al legislatore statale di intervenire direttamente sul contenuto delle funzioni provinciali, se non attraverso la previsione di un intervento sostitutivo in caso di inerzia del legislatore regionale.

La rilevanza di quest’ultimo limite, in particolare, è palese, se solo si considera che la quasi totalità delle funzioni amministrative provinciali ricade nelle materie di competenza delle Regioni. Del re-sto, le stesse Regioni, sin dall’inizio, hanno rivendicato la possibilità di operare una valutazione complessiva delle funzioni medesime, in modo da conseguire un nuovo disegno razionale delle competenze amministrative sul proprio territorio, anche tenendo conto del le-game inscindibile che in molti casi lega alcune funzioni fondamentali e non fondamentali.

Questi fattori di rigidità, che potevano apparire insormontabili, sono in realtà stati attenuati dalla lettura che la Corte Costituzio-nale ha dato delle disposizioni della l. 56/2014 dedicate al riordino, tutte improntate all’obiettivo di garantirne la realizzazione concreta. Nel respingere tutte le obiezioni di legittimità sollevate contro di esse (sent. 50/2015), la Corte ha sottolineato come le funzioni fondamen-tali rientranti in materie di competenza regionale siano, di fatto, già

8 G. VesPerini, La legge «Delrio»: il riordino del governo locale, in Giornale di diritto amministrativo 2014, 786 ss.

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differenziate nel contenuto e quindi possano anche essere oggetto di definizione e riordino, poiché declinate concretamente nella legisla-zione regionale. Sempre secondo la Corte, se è vero che lo Stato può e deve provvedere al riordino delle sole funzioni provinciali rien-tranti nelle materie di sua competenza esclusiva, è però anche dovere delle Regioni provvedere al riordino di tutte le altre9.

A queste conclusioni la Corte costituzionale è pervenuta soprat-tutto valorizzando i contenuti dell’accordo stipulato in seno alla Conferenza Unificata dell’11 settembre 2014, che, in effetti, ha rico-nosciuto alle Regioni uno spazio di autonomia molto più ampio di quello previsto dalla legge nell’individuazione del contenuto concreto delle funzioni provinciali, comprese quelle fondamentali, e nelle mo-dalità per il riordino delle restanti funzioni amministrative. Infatti, se la l. 56/2014 (come gli interventi legislativi precedenti) formalmente si riferisce all’esigenza di «riallocare» le funzioni provinciali, senza porsi preliminarmente il problema della loro eventuale soppressione, semplificazione o rimodulazione di contenuto, proprio alla luce della nuova configurazione dell’area vasta, l’accordo in Conferenza Unifi-cata dell’11 settembre 2014 ha impegnato invece le Regioni anche in questa direzione10.

Si può dunque affermare che il riordino costituisce una opera-zione che deve investire tutti i livelli di governo, in quanto, una volta che si interviene su un ambito, la conseguenza è che anche tutti gli altri soggetti istituzionali ne risultano necessariamente toccati; e che anche la diversa qualificazione delle funzioni (fondamentali, proprie, delegate) non impedisce la messa in discussione di tutto l’assetto delle competenze, a qualsiasi titolo esercitate.

Accanto ai limiti «strutturali» dell’operazione di riordino funzio-nale, vanno considerate anche altre criticità che hanno segnato il per-corso di attuazione della legge.

Basti pensare, in primo luogo, proprio all’accordo dell’11 settem-bre, in molti punti superato dalla disciplina introdotta dalla legge di stabilità per il 2015 (l. n. 190 del 23 dicembre 2014). Quest’ultima,

9 Sull’impatto di questa sentenza sul processo di attuazione della legge mi sia consentito il rinvio a c. tuBertini, La riforma degli enti locali dopo il giudizio di legittimità costituzionale, in Giornale di diritto amministrativo, 2015, spec. 494 ss. Sui limiti della pronuncia, si v. anche l. VanDelli, La legge Delrio all’esame della Corte: ma non meritava una motivazione più accurata?, in Quad. cost. 2015, 393 ss.

10 Sui contenuti dell’accordo e sul suo influsso sul processo di attuazione regionale v. anche F. Palazzi, Legge Delrio e riordino delle funzioni amministrative: un primo bilancio delle leggi regionali di attuazione, in Astrid Rassegna, n. 19/2015, 2 ss.

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infatti, ha imposto una riduzione della dotazione organica delle Pro-vince in modo che la spesa del personale di ruolo alla data di en-trata in vigore della l. n. 56/2014 fosse ridotta del 50%, avviando contestualmente per il personale in esubero una apposita procedura di mobilità verso altre amministrazioni (in primis, le Regioni e i Co-muni; poi, gli uffici periferici statali), da completarsi entro due anni. L’applicazione di questa previsione, corredata dalla minaccia di in-terventi sostitutivi, ha determinato un’inversione del processo deli-neato dall’Accordo, che prevedeva la previa individuazione da parte delle Regioni delle funzioni oggetto di riordino e la conseguente ri-allocazione del personale e delle risorse. Di fatto, le Regioni sono state chiamate a selezionare le funzioni provinciali da «scorporare» (per usare il linguaggio usato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza 50/2015) in base a criteri imposti dal legislatore statale (la consistenza numerica del personale assegnato a ciascuna funzione; la possibilità, per le Province, di far fronte alla relativa spesa; la consi-derazione della capacità assunzionale degli enti riceventi; ecc.), ed a riorganizzare il relativo organico rispettando la quota ex lege di per-sonale c.d. sovrannumerario, individuato in modo uniforme per tutte le Province, prima ed a prescindere dalla quantità e rilevanza delle funzioni stesse11.

L’altra rilevante criticità è consistita nella difficile ricognizione delle funzioni amministrative oggetto di riordino. Subito dopo l’en-trata in vigore della legge, è apparso immediatamente chiaro che, sotto la generica formulazione delle competenze provinciali con-tenuta nel testo unico degli enti locali, vi erano in realtà situazioni assai diversificate sul territorio: effetto di una legislazione regionale che  –  dopo la stagione di attuazione delle leggi c.d. Bassanini  –  ha, quasi sempre, proceduto secondo dinamiche settoriali, spesso modi-ficando nel tempo, anche più volte, la ripartizione delle competenze tra le amministrazioni locali, rendendo così difficile, se non impossi-bile, un riassetto funzionale governato dal centro.

Per questi motivi, in base al citato Accordo, la definizione dell’e-satto perimetro delle funzioni oggetto di riordino è stata affidata ad appositi Osservatori, istituiti da ciascuna Regione con il necessario coinvolgimento dei rappresentanti delle autonomie locali, coordinati da un Osservatorio nazionale. Tali Osservatori hanno proceduto, con

11 Il cambio di prospettiva derivante dalla legge di stabilità, anche per effetto degli ulteriori drastici tagli imposti alle risorse provinciali, è riconosciuto anche nella del. 17/2015 della Corte dei conti, Sez. autonomie, Il riordino delle Province: aspetti ordinamentali e riflessi finanziari.

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differenti velocità, al completamento della ricognizione, premessa ne-cessaria per la legislazione di riordino e per la corrispondente indivi-duazione dei beni, del personale e delle risorse collegate alle funzioni da riordinare. Si è trattato di un compito particolarmente complesso non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista de-gli equilibri tra istituzioni, territori, personale coinvolto dal riordino e rispettive rappresentanze sindacali: come dimostrano i numerosi documenti di natura compromissoria (protocolli d’intesa, accordi, patti) che hanno, in molte regioni, accompagnato il percorso di ri-cognizione e successiva riallocazione di funzioni, personale e risorse; e come dimostrano, altresì, le numerose disposizioni che nelle leggi regionali di riordino alludono a possibili modifiche all’assetto appena delineato dalle stesse leggi, proprio sulla base di atti di natura patti-zia; o che prevedono modelli organizzativi dichiaratamente sperimen-tali, transitori, soggetti a verifica ed eventuale modifica concordata.

Le leggi regionali sinora approvate sono, del resto, classifica-bili in due modelli: quelle che provvedono ad un riordino tenden-zialmente completo, salvo adeguamento della disciplina regionale; e quelle che contengono, invece, ampi rinvii a successivi interventi del legislatore regionale, adottando una disciplina dichiaratamente transi-toria12.

In alcuni casi, peraltro, la stessa legge fissa un termine (di chiara natura sollecitatoria) per il completamento del processo di adegua-mento della legislazione regionale (a volte anche di più di un anno); in altri, in rinvio è invece più generico.

Il riordino, quindi, in molti casi è sub condicione. Del resto, va ricordato come, in coerenza con il principio di continuità delle fun-zioni amministrative e con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, la legge ha stabilito che le funzioni continuino ad essere esercitate dagli enti originariamente titolari fino a completa conclu-sione del processo di trasferimento delle corrispondenti risorse fi-nanziarie, umane e strumentali13. Il riordino funzionale, quindi, non è comunque, in molti casi, ancora operativo, nonostante l’avvenuta approvazione della legge regionale di riordino.

Nel frattempo, tuttavia, le amministrazioni provinciali o ex pro-vinciali (Città metropolitane) sono state sottoposte ad un taglio di ri-sorse così drastico da mettere a repentaglio proprio l’effettività del

12 La transitorietà risulta particolarmente evidente nelle leggi regionali della Calabria e del Molise.

13 Art. 1, comma 89.

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principio di continuità delle funzioni amministrative, rendendo ancor più urgente il completamento del processo.

Nell’elenco delle criticità, il capitolo delle risorse rappresenta senz’altro quello principale. Una riforma ispirata a logiche di ra-zionalizzazione della spesa, nella quale ai soggetti subentranti viene espressamente riconosciuta solo la quota delle risorse finanziarie già destinate alle funzioni oggetto di trasferimento, detratte quelle neces-sarie per l’esercizio delle funzioni fondamentali14, poneva di per sé già qualche dubbio di sostenibilità. Ma la formidabile erosione delle risorse provinciali realizzata dalle successive manovre finanziarie, solo da ultimo lievemente attenuata15, ha confermato ed ulteriormente ag-gravato il problema. Come si vedrà tra poco, il tema delle risorse ha senz’altro rappresentato un importante fattore di condizionamento anche delle scelte legislative regionali.

3. Le principali linee di tendenza della legislazione regionale

3.1. Ripartizione delle competenze e modelli organizzativi

La ricostruzione delle principali linee di tendenza delle leggi re-gionali sinora approvate non può che partire dal loro principale og-getto, ovvero, dal riassetto delle competenze amministrative tra i di-versi livelli di governo.

Come si è anticipato, la necessità di rispettare gli obblighi relativi alla riduzione della dotazione organica provinciale, unita alla drastica riduzione delle risorse finanziarie utilizzabili per la copertura delle funzioni, ha influenzato in maniera netta le scelte regionali in mate-ria. L’evidente sfavore manifestato nella legislazione finanziaria sta-tale per il mantenimento in capo alle Province di funzioni ulteriori rispetto a quelle fondamentali strettamente intese, anche laddove giu-stificabile in ragione della dimensione degli interessi da tutelare, ha fatto il resto.

È così avvenuto che molte funzioni provinciali siano state rial-locate al livello regionale  –  l’unico in grado, sia pur con difficoltà, di assorbire rapidamente il personale provinciale e di assicurarne la copertura finanziaria  –  secondo un processo di selezione delle fun-

14 Art. 1, comma 97, l. 56/2014.15 Il riferimento è nuovamente al d.-l. 78/2015 ed alla legge di stabilità per il

2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208).

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zioni da trasferire inverso a quello inizialmente ideato, che partiva dalla loro natura e non dal loro costo16. Una plastica dimostrazione di quanto detto è data dalla quantità di norme dedicate, in ciascuna legge regionale, all’individuazione del personale da riassegnare, al suo trattamento economico, alla sua collocazione ed alla riorganizza-zione delle sue mansioni.

Il riaccentramento a livello regionale è particolarmente evidente nelle materie come agricoltura, caccia, pesca, formazione profes-sionale, ma anche (sia pure in misura differenziata) nelle materie dell’ambiente e della difesa del suolo, tutti settori nei quali le prece-denti fasi di decentramento amministrativo avevano invece operato in una direzione del tutto inversa.

Questa tendenza, presente in tutte le leggi regionali sinora appro-vate, appare, tuttavia, a seconda dei differenti contesti regionali, più o meno decisa17: in alcune Regioni, infatti, la scelta è di mantenere, comunque, in capo alle Province un certo nucleo di funzioni anche non fondamentali18, o addirittura l’esercizio di nuove funzioni dele-gate19.

Non mancano, peraltro, Regioni che, almeno dichiaratamente, sembrano voler confermare il più possibile l’assetto funzionale ed or-ganizzativo preesistente, limitandosi a prevedere l’assegnazione alla Re-gione di una quota del personale provinciale attualmente in servizio20.

Quel che è certo è che l’ipotesi di un totale assorbimento delle funzioni provinciali non fondamentali da parte delle Regioni o dei

16 Sulla necessità di costruire (o mantenere) gli enti locali in rapporto alle funzioni affidate, e non viceversa, ex multis, F. Merloni, Semplificare il governo locale? Partiamo dalle funzioni, in S. ManGiaMeli (a cura di), Le autonomie della Repubblica: la realizzazione concreta, Milano 2013, 112 ss.

17 Lo spostamento verso la Regione di funzioni provinciali sembra particolar-mente evidente nella l.r. Toscana, ma anche nella l.r. Liguria, nella l.r. Abruzzo, l.r. Lombardia e in quella delle Marche, che rinvia, però, a deliberazioni della Giunta regionale la puntuale individuazione delle funzioni oggetto di trasferimento. Il tra-sferimento di tutte le funzioni provinciali non fondamentali alla Regione (ad ecce-zione di quelle in materia di polizia provinciale e servizi per l’impiego) è previsto dalla l.r. Calabria in via transitoria, nelle more dell’adozione in forma partecipata di una nuova legge regionale di riordino. Anche la Regione Puglia assegna alla Regione tutte le precedenti funzioni provinciali non fondamentali (ad eccezione delle politi-che attive del lavoro) prevedendo tuttavia la possibilità di una successiva riassegna-zione alle Province, alla Città metropolitana o ai Comuni sulla base di previa intesa interistituzionale da raggiungere nell’ambito dell’Osservatorio regionale.

18 Cfr. ad es. l.r. Emilia Romagna; l.r. Umbria; l.r. Campania.19 L.r. Lombardia; l.r. Basilicata.20 È il caso della l.r. Veneto.

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Comuni è stata generalmente scartata, mentre generale è stata la pre-occupazione (o almeno il tentativo) di garantire la continuità nell’e-sercizio delle funzioni amministrative, per evitare un impatto nega-tivo sui cittadini, ove possibile, anche con trasferimenti finanziari ap-positi, e di garantire continuità di trattamento al personale in servizio presso le amministrazioni provinciali.

Sarebbe tuttavia riduttivo considerare questa tendenza al riaccen-tramento come un mero effetto del quadro finanziario. Al contrario, non si può escludere che in molti casi la scelta di affermare un ruolo centrale della Regione nell’amministrazione, in particolare, con rife-rimento alle funzioni relative all’assetto del territorio, sia stata con-sapevole e voluta: anche in risposta alle richieste, provenienti dalle istituzioni comunitarie, di limitare al massimo la dispersione delle re-sponsabilità nella gestione dei fondi comunitari e la frammentarietà dei programmi approvati e delle azioni svolte; o, più semplicemente, per superare ritardi ed inefficienze mostrate dalle amministrazioni provinciali nell’esercizio di funzioni dal contenuto tecnico complesso (si pensi alla materia dell’ambiente), le quali, spesso, venivano di fatto già svolte con il supporto istruttorio dell’amministrazione regio-nale.

Si è parlato, al riguardo, di centralismo regionale21: una etichetta forse eccessiva, soprattutto se si considera l’approccio «federativo» e «integrato» nell’esercizio delle rispettive competenze amministrative regionali e locali che ispira molte leggi di riordino. In risposta alle obiezioni di eccessivo rafforzamento della Regione come ente di am-ministrazione, si istituiscono infatti, un po’ ovunque, nuove sedi per-manenti di concertazione, generale o settoriale22; si moltiplicano le fasi consultive23; si richiama insistentemente il principio di leale collabora-

21 Così ad esempio il dossier di leGautonoMie, L’attuazione della Legge Delrio e la riallocazione delle funzioni delle Province, luglio 2015 (www.legautonomie.it).

22 Si vedano, ad esempio, la Conferenza Interistituzionale per l’integrazione ter-ritoriale prevista dall’art. 10 della l.r. Emilia-Romagna quale nuova sede generale di confronto, cui si accompagnano specifiche conferenze settoriali in materia di agri-coltura e servizi sanitari e sociali e nuovi organi di indirizzo delle agenzie regionali, integrati da rappresentanti delle Province e della Città metropolitana di Bologna. Si vedano anche, nella l.r. Lombardia, i Tavoli istituzionali di confronto sugli am-biti territoriali ottimali e omogenei e per la promozione della specificità dei territori montani previsti dall’art. 7.

23 Cfr. ad es. l.r. Piemonte, art. 8, che affida alla Giunta la definizione delle mo-dalità di partecipazione degli enti locali alla formazione dei programmi di intervento relativi alle funzioni oggetto di trasferimento alla Regione. Parimenti, è prevista l’ac-quisizione del parere delle Province e della Città metropolitana sugli atti di indirizzo

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zione ed i relativi istituti24. Il riaccentramento, quindi, non sempre cor-risponde ad un esercizio unilaterale e verticistico delle competenze da parte della Regione, ma, piuttosto, ad una titolarità che non esclude un concorso degli altri livelli di governo nell’elaborazione degli indirizzi di fondo cui orientare l’esercizio delle nuove competenze regionali.

Lo stesso criterio è stato adottato anche nella ripartizione delle competenze tra Regione e Città metropolitana. Sotto questo profilo, le leggi regionali hanno dovuto scontare, accanto alle problematiche del riordino delle funzioni provinciali ed all’incertezza del quadro fi-nanziario, anche le difficoltà derivanti dalla non chiara formulazione legislativa del contenuto delle nuove funzioni «metropolitane», che lo stesso legislatore regionale non è stato generalmente in grado di identificare subito in maniera puntuale, rinviando la questione a suc-cessivi interventi legislativi, quasi sempre accompagnati da una previa fase di concertazione con la stessa Città metropolitana.

In questo caso, tuttavia, l’attivismo dei nuovi enti, dimostrato anche dall’approvazione, tutto sommato, rapida degli statuti metro-politani25, e dall’inserimento al loro interno di disposizioni volte ad interpretarne in senso estensivo ruolo e funzioni26, hanno spinto il le-gislatore regionale a riconoscere ed a valorizzare il ruolo della Città metropolitana anzitutto quale interlocutore nelle scelte strategiche relative allo sviluppo del territorio regionale. Ne rappresentano un chiaro riflesso la previsione della partecipazione delle Città metropo-litane ai provvedimenti di adozione dei principali atti di programma-zione regionale (piano regionale di sviluppo, piano territoriale regio-nale), nonché la creazione di sedi e momenti di concertazione bila-terale Regione-Città metropolitana (Intese generali quadro27, Confe-

e di programmazione strategica regionale in materia di istruzione, formazione pro-fessionale e politiche attive del lavoro.

24 Cfr. l.r. Toscana, art. 3, comma 1, ai sensi della quale la Regione, a seguito del trasferimento, esercita le funzioni garantendo la partecipazione delle comunità locali alla formazione dei programmi di intervento. Fino alla riforma della legisla-zione di settore, viene affidata alla Giunta regionale la definizione delle modalità di partecipazione dei sindaci, anche in forma aggregata per bacini provinciali, subpro-vinciali o interprovinciali.

25 Al momento manca all’appello solo Reggio Calabria (dove il processo statuta-rio dovrebbe aprirsi a seguito della scadenza naturale degli attuali organi provinciali, nel mese di giugno 2016).

26 Cfr. l. VanDelli, L’innovazione del governo locale alla prova: uno sguardo comparato agli statuti delle Città metropolitane, in Istituzioni del federalismo 2014, numero speciale, in particolare 226 ss.

27 L.r. Emilia-Romagna, art. 5 comma 2.

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renze Regione-Città metropolitana28), oltre che la valorizzazione delle Città metropolitane nella definizione dei principi e criteri cui orien-tare la puntuale individuazione delle sue funzioni29.

La reale efficacia di queste nuove sedi e meccanismi di coopera-zione  –  che molto spesso si aggiungono, senza sostituirle, alle pree-sistenti  –  resta, naturalmente, tutta da testare, anche alla luce delle modificazioni, spesso solo annunciate, che investiranno il contenuto delle funzioni medesime. Sotto questo profilo, alcune leggi regionali esprimono in modo deciso la volontà di pervenire ad una impor-tante rivisitazione di tutte le discipline regionali settoriali30 anche al fine di adeguare il contenuto delle funzioni confermate in capo alle Province alla loro nuova natura di secondo grado: il riassetto delle competenze viene quindi visto solo come un primo tassello di una più complessiva ed ambiziosa riforma del sistema regionale e locale. In altre, invece, prevale l’aspetto del mero adempimento alla legge statale, e l’oggetto della legge viene espressamente circoscritto al rias setto delle competenze provinciali. La differenza è di non poco momento, posto che, nelle regioni appartenenti al primo gruppo, la legge di riordino ha già prodotto una accelerazione dell’iniziativa legislativa, rimettendo in modo un meccanismo (quello della produ-zione legislativa) da tempo in crisi.

Del resto, la vera sfida della riforma è un riordino delle funzioni che affianchi all’individuazione dell’ente subentrante anche un ri-pensamento delle modalità di esercizio delle funzioni stesse secondo criteri di efficienza, economicità, non sovrapposizione31. Questa pro-spettiva è colta in più di una legge regionale, dove si esplicita il nesso funzionale tra riordino e miglioramento delle prestazioni, semplifica-zione, efficienza dei processi decisionali, organizzativi e gestionali32. Non sembrano andare in questa direzione, tuttavia, le varie ipotesi in cui la legge regionale muta la titolarità delle funzioni, ma continua ad affidarne l’esercizio, sia pure in via transitoria, alle stesse strutture

28 L.r. Toscana, art. 5, comma 2; L.r. Lombardia 33/2015, art. 1.29 L.r. Piemonte, art. 4.30 Come la l.r. Emilia-Romagna, ma anche Toscana ed Umbria.31 In questo senso già l. VanDelli, La riorganizzazione delle Province, in Libro

dell’anno del diritto 2013, Roma, Treccani, 2013, 224.32 Cfr. Ad es. l.r. Toscana, art. 1, comma 2; l.r. Abruzzo, art. 1 comma 6; l.r.

Liguria, art. 2, comma 2.

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provinciali33, ovvero autorizza, facendone un modello utilizzabile an-che in via permanente, la delega o l’avvalimento delle Province34.

A fianco di queste leggi, che potremmo qualificare come a basso impatto organizzativo, altre, invece, puntano decisamente al rafforza-mento o alla creazione di una nuova ed articolata amministrazione re-gionale periferica, diretta35 o indiretta (agenzie36). Anche sul versante dell’organizzazione, dunque, il maggiore o minore accentramento delle funzioni porta, in parallelo, ad un corrispondente irrobustimento più o meno accentuato della macchina amministrativa regionale, solo in al-cuni casi accompagnato da specifiche previsioni volte a promuovere37, o addirittura imporre, alle Province una corrispondente razionalizza-zione della propria amministrazione, diretta38 o indiretta39.

33 Cfr. ad es. l.r. Toscana 22/2015, art. 8, ai sensi del quale il personale tra-sferito alla Regione continua a operare nella sede dell’ente di provenienza con la dotazione strumentale in esercizio, fino alla definizione dei rapporti tra l’ente e la Regione in merito al trasferimento dei beni e delle risorse strumentali. Solo in una fase successiva si prevede il completamento dell’organizzazione degli «uffici territo-riali della regione», istituiti in ciascuna Provincia e nella Città metropolitana di Fi-renze. Una soluzione simile è prevista nella l.r. Lombardia 19/2015, art. 9, che rin-via anch’essa all’istituzione di appositi uffici territoriali ed enti infraregionali, pre-vedendo, per il momento, la permanenza presso la sede di provenienza. Funzioni trasferite alla Regione che continuano ad essere svolte presso l’amministrazione pro-vinciale in via transitoria sono previste anche dalla l.r. Calabria 22/2015 (cfr. art. 2).

34 Cfr. ad es. l.r. Basilicata, artt. 2 e 4, comma 5; l.r. Campania, art. 5.35 Cfr. ad es. il riferimento alla costituzione di «strutture organizzative di de-

centramento amministrativo dislocate nel territorio» nella l.r. Marche, art. 3; a uffici territoriali della Regione, costituiti in ogni Provincia e nella Città metropolitana di Firenze, nella l.r. Toscana, art. 8; agli uffici territoriali ed agli enti regionali ed al loro utilizzo ai fine di assicurare la diffusione dei servizi sul territorio, allude anche la l.r. Lombardia (art. 2).

36 Cfr. l.r. Emilia-Romagna 13/2015, art. 3, comma 4, che per assicurare il maggior grado di efficienza nella gestione delle funzioni amministrative di elevata complessità individua quale modello organizzativo più idoneo quello dell’Agenzia regionale. V. anche il riferimento alle agenzie nelle ll.rr. di Liguria, Lombardia, Basilicata.

37 A specifiche misure premiali per la razionalizzazione delle partecipazioni societarie provinciali fa riferimento la l.r. Puglia, art. 10.

38 Cfr. l.r. Piemonte, art. 14, che prevede che le Province predispongano un piano di razionalizzazione e successiva risoluzione dei contratti di locazione e di-smissione degli immobili.

39 Cfr. l.r. Umbria, art. 5, che disciplina il procedimento di ricognizione e suc-cessivo riordino delle partecipazioni societarie provinciali; così anche l.r. Piemonte, art. 17; l.r. Veneto, art. 6, che prevede un possibile intervento legislativo della Re-gione volto a disciplinare, in via sostitutiva, le modalità e i tempi di soppressione di società, enti strumentali ed agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale, che, in

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Se nel riparto di competenze tra Regione, Province e Città me-tropolitane si registrano, come si è detto, scelte differenziate, sia pure in un quadro di tendenziale riaccentramento, sul versante comunale, invece, il decentramento è generalmente limitato, e comunque circo-scritto a funzioni «di prossimità», all’ambito dei servizi alla persona (attività culturali, servizi sociali, sport, terzo settore) e dello sviluppo economico (turismo)40. In alcuni casi, il trasferimento delle funzioni ai Comuni o alle loro unioni viene accompagnato dalla previsione di necessari momenti di consultazione e confronto a livello sovracomu-nale o di area vasta41.

La maggiore difficoltà di distribuire il personale e le risorse tra la pluralità delle amministrazioni comunali ha certamente avuto un peso rilevante nella scelta. Anche in questo caso, tuttavia, non minore peso hanno avuto ragioni di natura sostanziale, legate alla perdurante ina-deguatezza dimensionale dei Comuni, specie in alcune realtà regionali, ed alla conseguente preoccupazione delle Regioni di evitare l’eccessiva frantumazione delle funzioni. Lo dimostrano le ricorrenti disposizioni volte a riaffermare la potestà regionale di individuazione degli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni amministrative; che sottolineano l’impegno regionale alla promozione dell’associazionismo e delle fusioni; che valorizzano delle Unioni di Comuni come soggetti destinatari di nuovi e futuri conferimenti di funzioni.

Il decentramento, in molti casi, non viene quindi escluso a priori, ma rinviato al raggiungimento effettivo della soglia di adeguatezza attraverso processi di aggregazione sovracomunale, che la Regione si impegna a sostenere ed incoraggiare, in linea con quanto suggerito dalla stessa l. 56/2014.

3.2. Ruolo assegnato ai diversi livelli di governo

Dal variegato quadro che si è appena rappresentato, e tenendo conto della natura transitoria ed ancora per molti versi incompiuta del riassetto organizzativo e funzionale sopra descritto, si tenterà ora di formulare qualche considerazione relativa al rispettivo ruolo asse-

base alla normativa regionale, esercitino funzioni di competenza provinciale ovvero funzioni di organizzazione di servizi di rilevanza economica.

40 Un’eccezione è costituita dalla Regione Umbria, che assegna ai Comuni e alle loro forme associative anche una serie di funzioni in materia di agricoltura.

41 Cfr. l.r. Toscana, in riferimento alle funzioni trasferite ai Comuni in materia di turismo.

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gnato dalla legislazione regionale ai diversi livelli di governo ed alla sua coerenza rispetto al profilo delineato per essi dalla l. 56/2014.

Partendo dal livello provinciale, può dirsi che la stessa ambiva-lenza che si registra, sul versante nazionale, nel qualificare la Provin-cia  –  da un lato, ente territoriale, destinatario di funzioni proprie, con compiti normalmente attribuiti ad enti titolari di un proprio ed autonomo indirizzo politico-amministrativo; dall’altro, ente di «area vasta», espressione e sintesi delle realtà comunali, svolgente funzioni di coordinamento «orizzontale» o «intercomunale» e di collabora-zione ed assistenza ai Comuni42  –  si ritrova anche nella legislazione regionale; che generalmente si occupa soprattutto delle funzioni del primo tipo, ma che include anche le seconde.

Anche sotto questo profilo, si registrano diverse intensità nel configurare e nell’incoraggiare questo specifico nuovo ruolo provin-ciale, che dovrebbe invece costituire il proprium di un ente di se-condo livello: con leggi regionali che non vi fanno alcuna menzione, e leggi regionali che invece le valorizzano e si impegnano a promuo-verle43, indicando anche le specifiche attività di servizio che le Pro-vince sono chiamate a svolgere per conto dei Comuni44.

Una specifica funzione di sostegno ed incentivazione della ge-stione associata sovracomunale viene, infine, assegnata alle Province da alcune leggi regionali, come quella della Lombardia, dove si fa riferimento a zone omogenee eventualmente individuate dagli sta-tuti provinciali quali ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento in forma associata, da parte dei Comuni ricompresi negli stessi ambiti, di specifiche funzioni e servizi comunali45. Si tratta di una prospet-tiva  –  quella del ruolo provinciale nella promozione dell’associazioni-smo  –  che è stata, peraltro, avanzata di recente in sede istituzionale46 ed appoggiata a livello dottrinale47, nonostante il quadro normativo

42 Sul punto mi sia consentito rinviare a c. tuBertini, Le Regioni e le politiche di riordino territoriale locale: Province e Città Metropolitane, in Astrid Rassegna, n. 19/2015, 11.

43 Cfr. l.r. Umbria, art. 1 comma 4; l.r. Abruzzo, art. 1, comma 4; l.r. Emilia-Romagna, art. 7.

44 L.r. Abruzzo, art. 1, comma 4; l.r. Liguria, che prevede che i Comuni esercitino le funzioni conferite di norma in forma associata o tramite convenzioni con le Province e con la Città metropolitana per l’utilizzo del relativo personale, i cui costi sono posti a carico degli enti richiedenti (art. 6).

45 Art. 7.46 Il riferimento è all’UPI.47 c. Pinelli, Gli enti di area vasta e la riforma del livello intermedio di governo

locale, in Istituzioni del federalismo 2015, 569 ss.

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attuale affidi, in realtà, alla regione il potere/dovere di individuare gli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni comunali e il sostegno e incentivazione della cooperazione sovracomunale.

In questo contesto, si segnala, per originalità, la soluzione, propo-sta dalla Regione Emilia-Romagna (la quale, non a caso, aveva a suo tempo elaborato anche una proposta di accorpamento delle Province), di individuare «aree vaste interprovinciali» per l’esercizio associato delle funzioni da parte delle Province48; soluzione simile è prevista anche in Piemonte49, dove la legge individua direttamente gli ambiti ottimali per necessario esercizio associato delle funzioni provinciali; e un riferimento alla gestione associata delle funzioni provinciali è con-tenuto anche nelle leggi dell’Abruzzo (art. 2) e della Puglia (art. 1, comma 5). Si tratta di previsioni che appaiono chiaramente orientate alla razionalizzazione delle risorse, ma non solo. La cooperazione tra Province potrebbe infatti costituire un primo passaggio in vista di una riorganizzazione su scala più ampia delle funzioni «di area vasta», che potrebbe portare  –  una volta venuto meno, per effetto della riforma costituzionale in itinere50, ogni vincolo alla revisione degli ambiti terri-toriali provinciali – alla costituzione di nuovi soggetti istituzionali, ope-ranti nei nuovi e più vasti confini interprovinciali già sperimentati.

Il richiamo alla riforma costituzionale in itinere rende ancor più evidente come ogni considerazione in merito al ruolo assegnato alle Province dalle leggi regionali non possa che essere provvisoria. Non è ancora stato sciolto, infatti, l’importante nodo interpretativo legato all’assegnazione allo Stato della definizione dei «profili istituzionali

48 Cfr. art. 6, che prevede che, su iniziativa delle Province, le funzioni loro attri-buite dalla legislazione statale vigente, nonché quelle loro confermate dalla Regione, possano essere esercitate in forma associata, previa convenzione, in ambiti territoriali di area vasta definiti con provvedimenti della Giunta regionale adottati, previo pa-rere della competente commissione assembleare, d’intesa con le Province medesime e sentito il sindaco della Città metropolitana di Bologna. Sul punto, si veda anche quanto previsto dal d.-l. 78/2015, art. 4, comma 4-ter, ai sensi del quale ove le re-gioni prevedano, con propria legge, ambiti territoriali comprensivi di due o più enti di area vasta per l’esercizio ottimale in forma associata tra loro di funzioni conferite alle Province, gli enti interessati possono, tramite accordi e d’intesa con la regione, definire le modalità di detto esercizio anche tramite organi comuni.

49 Cfr. art. 3: per le Province (salvo Cuneo) le funzioni sono esercitate obbliga-toriamente in forma associata, previa specifica intesa quadro con cui la Regione e le Province definiscono criteri generali e modalità, negli ambiti ottimali interprovinciali individuati dalla stessa legge.

50 Il riferimento è al disegno di legge C2613-B già approvato da entrambe le Camere a maggioranza assoluta in seconda deliberazione e pubblicato nella G.U. del 15 aprile 2016.

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generali» degli «enti di area vasta», secondo la previsione contenuta nell’art. 40, comma 4, del disegno di legge costituzionale. In altre pa-role: tali enti dovranno comunque essere costituiti in tutto il terri-torio nazionale? Dovranno rispondere a determinati requisiti dimen-sionali ed istituzionali? Oppure coincideranno, in via transitoria, con le attuali Province, fino a diversa e libera disciplina regionale? E, in ogni caso, resta esclusa la loro reviviscenza come enti direttamente rappresentativi, venendo meno la loro natura di enti costitutivi della Repubblica? Si tratta di domande cruciali, per le quali sono possibili, al momento, differenti risposte51.

Molto meno incerta appare la futura disciplina costituzionale delle Città metropolitane, che il disegno di legge di riforma con-ferma quali enti costitutivi della Repubblica, affidandone in maniera espressa al legislatore statale anche l’istituzione e la relativa peri-metrazione. Forse anche per questo motivo tutte le leggi regionali contengono, come si è anticipato, disposizioni volte a riconoscere il ruolo istituzionale differenziato delle rispettive Città metropolitane. Tuttavia, se dalle affermazioni di principio si passa all’analisi delle scelte di riordino effettuate nei vari settori, si nota che spesso la rial-locazione delle funzioni viene operata in modo simmetrico per Pro-vince e Città metropolitane. Si differenziano, sotto questo profilo, alcune chiare opzioni, già manifestate in alcune leggi regionali, di at-tribuzione alle Città metropolitane di un ruolo differenziato in mate-ria di governo del territorio (Emilia-Romagna), servizi (Lombardia), sviluppo economico. Come si è detto, la puntuale definizione delle funzioni oggetto di trasferimento alle Città metropolitane è spesso rinviato a leggi, atti amministrativi o accordi successivi. Per le città che hanno optato per l’elezione diretta dei propri organi (Roma, Mi-lano e Napoli), sarà, inoltre, necessaria anche una nuova valutazione dell’assetto funzionale, quando e se tale opzione diverrà operativa. Già queste poche osservazioni mostrano come il processo, per così dire incrementale, di spostamento di funzioni amministrative verso le nuove Città metropolitane determinerà un profondo cambiamento nelle relazioni tra queste ultime, la Regione e gli altri enti locali; un cambiamento che, tuttavia, allo stato attuale appare per molti versi solo potenziale. Solo il tempo potrà dire se, al di là delle enuncia-zioni di principio, questo processo determinerà nuovi equilibri, e

51 Sui riflessi della riforma costituzionale sulle Province, si vedano, in partico-lare, le osservazioni di e. carloni, Le Province dopo la «abolizione delle Province», in A. sterPa (a cura di), Il nuovo governo dell’area vasta, Napoli 2014, 65 ss.

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porterà a differenziazioni più o meno marcate tra i diversi «enti di area vasta»52. Del resto, la differenziazione costituisce proprio uno dei leit motiv della riforma53.

Qualche considerazione, infine, in merito al ruolo assegnato ai Comuni e alle loro forme associative dalle leggi regionali di riordino.

Come si è già anticipato, l’impatto limitato delle funzioni oggetto di attribuzione ai Comuni fa sì che il loro ruolo e quello delle loro forme associative venga a riflettere, nelle diverse leggi regionali, l’im-postazione che già in passato aveva contraddistinto ciascuna Regione in ordine al maggiore o minor favore verso i Comuni e, soprattutto, al maggiore o minore favore rispetto alle gestioni associate sovraco-munali54. Così, nelle regioni con esperienze di gestione associata più diffusa, si ritrova un più preciso riferimento alle forme associative so-vracomunali come «enti di presidio del territorio»55; in particolare, alle unioni di Comuni è riconosciuto un «ruolo istituzionale di go-verno di prossimità», vengono definiti «enti di governo dell’ambito territoriale ottimale nel quale sono costituite», e ancora «il perno dell’organizzazione dei servizi di prossimità al cittadino a presidio del territorio»56; tanto da essere riconosciute, in alcuni casi, come desti-natarie dirette di conferimenti di funzioni57. Altre leggi si limitano ad enunciare l’impegno regionale al sostegno della gestione associata58, delle Unioni e delle fusioni59, dettandone anche alcuni nuovi criteri e modalità60; altrove manca addirittura qualsiasi riferimento specifico alle Unioni, salvo qualche generico richiamo al criterio di valorizza-zione delle realtà montane e di promozione della cooperazione tra gli enti locali. La sensazione è che, su questo versante, ancora molto resti da fare per creare quella rete stabile e strutturata di forme asso-

52 Di rischio «sindrome dell’arto fantasma» per le Città metropolitane che, giorno dopo giorno, rischiano di chiudersi nell’orizzonte dell’antica Provincia, parla F. Pizzetti, Le città metropolitane per lo sviluppo strategico del territorio: tra livello locale e livello sovranazionale, in federalismi.it, n. 12/2015, 17.

53 e. carloni, Differenziazione e centralismo nel nuovo ordinamento delle auto-nomie locali: note a margine della sentenza n. 50 del 2015, in Dir. Pubbl. 2015, 145.

54 Per un bilancio complessivo di questa legislazione cfr. M. De Donno, Le Regioni e le politiche di riordino territoriale locale: Unioni, Fusioni e altre forme associative tra comuni, in Astrid Rassegna, n. 19/2015.

55 Art. 2, comma 1, l.r. Liguria 10 aprile 2015, n. 15.56 L.r. Emilia-Romagna, art. 8; l.r. Puglia, art. 1, comma 7.57 Cfr. l.r. Toscana, art. 12; l.r. Umbria, art. 12; l.r. Piemonte, art. 6.58 L.r. Umbria, art. 2, comma 1.59 L.r. Abruzzo, art. 1; l.r. Campania, art. 6.60 Cfr. ad es. le azioni strategiche previste nella l.r. Piemonte, art. 18.

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ciative sovracomunali, premessa indispensabile per un reale migliora-mento della qualità dei servizi resi ai cittadini e per il conferimento ai Comuni di nuove ed ulteriori competenze.

3.3. Riordino funzionale e riordino territoriale

Un capitolo rimasto insoluto è rappresentato dal c.d. riordino ter-ritoriale, ovvero, dalla revisione della geografia amministrativa locale, a partire da quella delle Province. Dopo l’improvvisa fine anticipata della legislatura, che impedì la conversione in legge del d.-l. 188/2012, il quale avrebbe dovuto attuare, sulla base delle proposte nel frat-tempo formulate dalle Regioni61 o sulla base delle determinazioni so-stitutive del Governo, l’effettivo il riordino territoriale delle Province, il legislatore non è più tornato sul riordino dei confini provinciali. Si è trattata di una vera e propria occasione mancata, considerato che l’a-deguamento della mappa provinciale è ormai da tempo una necessità derivante dalla modificazione dei sistemi di trasporto e di relazione tra le comunità territoriali, dal progresso tecnologico e dalla conseguente maggiore facilità dei sistemi di comunicazione a distanza, e, infine, dalla progressiva estensione dei bacini ottimali di gestione dei servizi pubblici economici, oltre che degli ambiti ottimali per lo svolgimento di molte funzioni amministrative caratterizzate da elevata complessità tecnica62. In questa direzione, del resto, si erano orientate le iniziative di alcune Regioni, che, seppure vanificate dall’arresto del processo di conversione del d.-l. 188/2012, hanno rappresentato lo spunto per la successiva elaborazione delle già citate soluzioni innovative di integra-zione tra bacini territoriali provinciali nello svolgimento delle funzioni di area vasta, che hanno trovato poi concretizzazione nella fase legisla-tiva apertasi in attuazione della l. 56/2014.

In pratica, laddove la Regione ha saputo svolgere una efficace azione di coordinamento e mediazione tra gli interessi delle comunità provinciali, la revisione dei confini territoriali avrebbe potuto essere realizzata; e se ciò non è avvenuto, è stato soprattutto per i vincoli

61 Avevano presentato proposte tutte le Regioni a statuto ordinario, ad ecce-zione di Lazio e Calabria, per le quali il Governo aveva individuato in via sostitutiva una nuova articolazione provinciale.

62 Sui vantaggi di un possibile riordino territoriale provinciale, si v. le prime propo-ste di astriD, Semplificare l’Italia. Stato, Regioni ed enti locali, a cura di F. Bassanini e L. castelli, Firenze 2008, spec. 73 ss., poi riprese nella proposta di riforma del sistema delle amministrazioni territoriali elaborata nel gennaio-febbraio del 2012 da un gruppo di parlamentari di vari partiti e da un gruppo di esperti della Fondazione Astrid.

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di ordine costituzionale, che hanno impedito il superamento della necessaria fase di iniziativa da parte dei Comuni. La questione po-trà, anzi dovrà certamente essere ripresa, qualora dovesse allontanarsi nel tempo, o addirittura non realizzarsi, la definitiva abolizione delle Province; l’abrogazione dell’art. 133 Cost. e, con esso, del procedi-mento di revisione dei confini provinciali lascerebbe infatti, come detto, aperta  –  e salva restando la potestà legislativa statale in ma-teria di «disposizioni ordinamentali generali»  –  la possibilità di una revisione «a guida regionale» dei confini territoriali delle attuali Pro-vince, ormai definitivamente trasformate in enti «di area vasta»63.

Anche per le Città metropolitane, del resto, è auspicabile una ri-presa delle iniziative, per il momento sopite, volte ad adeguare alle concrete esigenze dei territori i confini di questi enti, così frettolosa-mente fatti coincidere con quelli provinciali dalla l. 56/2014: a mag-gior ragione dopo la sentenza della Corte Costituzionale, essendo ora venuti meno i dubbi di legittimità sollevati nei confronti della pro-cedura di revisione dei confini metropolitani e della titolarità della relativa competenza in capo allo Stato.

Quanto, infine, al riordino della mappa amministrativa locale, non può che formularsi l’auspicio che i processi di fusione volontaria innescati dagli incentivi statali, accompagnati da alcune, importanti, politiche regionali di sostegno, trovino più ampia diffusione. I divari tra Regioni che tuttora si registrano sul punto devono essere supe-rati non attraverso l’intervento diretto dello Stato, né tantomeno af-fidando alle Province l’improbabile ruolo di sostegno ai processi di fusione, bensì importando in tutte le regioni i modelli di sostegno e incentivazione già sperimentati con successo in varie realtà regionali. Sotto questo profilo, le previsioni contenute nelle leggi di riordino devono trovare concreto sviluppo in specifiche misure di intervento.

4. Verso un nuovo ordinamento amministrativo regionale e locale

La l. 56/2014 ha innescato un processo di adeguamento del com-plessivo assetto delle funzioni amministrative sul territorio in larga parte affidato proprio ai legislatori regionali64.

63 Su questa prospettiva, e sugli altri possibili scenari di riordino territoriale, si v. le proposte di F. Merloni, Riordino degli enti territoriali e riordino dei territori regionali: spunti per il dibattito, in Astrid Rassegna, n. 20/2015, 8.

64 Sulla fase di grande rilancio delle Regioni, e sulle loro difficoltà ad interpretarlo, anche F. Pizzetti, Il bisogno di Regioni più forti, in questa Rivista 2015, 564.

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A questi ultimi, ed alla loro capacità di coniugare gli obiettivi della riforma con la sua sostenibilità economica e giuridica, è stata rimessa, in sostanza, la definizione del contenuto concreto delle fun-zioni delle Città metropolitane; la definizione del peso e ruolo da conservare alle Province, sia in questa fase che nell’eventualità di una loro derubricazione ad enti costituzionalmente non necessari; l’indi-viduazione degli ambiti entro i quali organizzare l’esercizio associato delle funzioni comunali, ed in cui promuovere i processi di fusione.

Le prime leggi regionali di riordino rappresentano solo un punto di partenza, e non un punto di arrivo di un nuovo ordinamento am-ministrativo regionale e locale, che per essere completato richiede il forte impegno di tutti i livelli di governo65 e, in primis dello stesso legislatore statale. È a quest’ultimo, infatti, che spetta (se confermata, dall’ormai inevitabile referendum confermativo) l’attuazione della ri-forma costituzionale e l’individuazione dei tratti essenziali degli enti di area vasta, nonché l’investimento, anche in termini economici, sulle nuove Città metropolitane. D’altra parte, le Regioni devono ac-compagnare il riassetto delle competenze con un coerente processo di revisione ed ammodernamento dei contenuti delle funzioni stesse: uno sforzo di produzione legislativa, che si accompagna, in molte parti del territorio, ad un nuovo rilevante carico di funzioni ammi-nistrative, prima allocate a livello provinciale. Una prova molto im-pegnativa, chiesta alle Regioni in un momento di difficile transizione e mutamento delle stesse fondamenta costituzionali delle loro com-petenze, ma dalla quale dipende il reale assetto che il nostro sistema amministrativo assumerà nei prossimi anni66.

Secondo l’opinione prevalente, l’obiettivo del legislatore statale, manifestatosi nella legge 56 era, in sostanza, quello di ripensare del tutto il policentrismo autonomistico, sostituendolo con un modello ad autonomia «temperata»67 (qualcuno l’ha definita «sostenibile»68), condita da forti dosi di Stato accentrato69, in cui a salvarsi doveva essere, anzitutto, il principio di «preferenza» per il livello comunale

65 Sul carattere della legge n. 56 come legge «ad attuazione condivisa», F. Pizzetti, La riforma degli enti territoriali, città metropolitane, nuove province e unioni di comuni, Milano 2015, Prefazione, XXIX.

66 Sull’importanza del ruolo regionale nell’attuazione della riforma, G. GarDini, ult. op. cit., p. 28.

67 l. VanDelli, Sovranità e federalismo interno: l’autonomia territoriale all’epoca della crisi, in questa Rivista 2012, 845 ss.

68 G. PiPerata, I poteri locali: da sistema autonomo a modello razionale e sostenibile?, in IdF 2012, 503 ss.

69 e. carloni, Differenziazione e centralismo cit.

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non solo nella distribuzione delle funzioni amministrative, ma nella rappresentanza degli interessi delle collettività amministrate (tanto da fare anche delle Province l’espressione dei Comuni).

La lettura di questa prima tornata di leggi regionali ha mostrato un quadro assai variegato, ma con alcune tendenze di fondo che non sembrano andare del tutto in questa direzione. Se si tratti di ten-denze transitorie, o destinate a consolidarsi, non appare chiaro. Ciò vale, in particolare, per il rafforzamento del profilo amministrativo delle Regioni, a scapito dei Comuni e degli enti di area vasta: è do-vuto all’impatto transitorio della trasformazione del livello provin-ciale (da un lato) e dell’effetto non immediato delle politiche di in-tercomunalità (per cui i Comuni non sono ancora, allo stato attuale, in grado di esercitare adeguatamente quasi nessuna delle funzioni prima svolte dalle Province), oppure è una tendenza destinata al con-solidamento?

La riforma costituzionale in itinere, pur non intervenendo for-malmente sui principi relativi al riparto delle funzioni amministrative, potrebbe ulteriormente rafforzare questa tendenza. È dunque possi-bile affermare che, nel nostro sistema amministrativo, l’applicazione del principio di adeguatezza porta come conseguenza –  in assenza di una revisione dei confini amministrativi dei Comuni – che le funzioni debbano essere spostate verso l’alto? Ma non è, questa, una com-pressione eccessiva del principio di sussidiarietà? Trovare il punto di equilibrio tra questi diversi principi è il fondamentale obiettivo a cui tendere.

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