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MAGAZINE Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità distribuzione gratuita LO SPECCHIO www.specchiomagazine.it • [email protected] N. 7 - luglio 2013 - ANNO III foto di Federica De Stefani l in it i e del on o o OCCHI DI DONNA, POESIA DEL MONDO Photo contest 2013 de Lo Specchio Magazine: “Donne allo specchio”

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LO SPECCHIOwww.specchiomagazine.it • [email protected]

N. 7 - luglio 2013 - ANNO III

foto di Federica De Stefani (la vincitrice del concorso)

OCCHI DI DONNA, POESIA DEL MONDOPhoto contest 2013 de Lo Specchio Magazine:

“Donne allo specchio”

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Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità.Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC)Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: [email protected] editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: [email protected] Aurora Foglia - e-mail: [email protected] Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: [email protected] redazione: Cristina Castellani - [email protected] Eleonora Tiseni - [email protected]à: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] gratuita Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca - Vanni Semplici - Janula Malizia - Massimo Morroni - Marco Moroni - Giancarlo Liuti - Anna Petrozzi - Annunziata Brandoni - Mario Mancinelli - Luciano Bruno Venusto - Grazia Bravetti Magnoni - Alfredo Pirchio - Eleonora Stortoni - Paolo Onofri - Eleonora Tiseni - Gabriella Paoletti - Luciana Interlenghi - Vincenzo Oliveri - Anna Ragaini - Gianluca Guastaferro - Luca Pantanetti - Aurora FogliaVignetta di Giorgio CorvattaChiuso in redazione il 25 luglio 2013

STORIAIL “PASSAR DELLA FALCE CHE PAREGGIA TUTTE L’ERBE DEL PRATO” - Lino Palanca 5LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA CHE VINCE IL MONDO - Janula Malizia 8TESTIMONE DI DIO AI CONFINI DEL MONDO - “I Santesi weblog” (Paolo Onofri) 13NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE - Massimo Morroni 14STORIE ADRIATICHEDAL GRAN RIFIUTO (NON PER VILTÀ) A VESCOVO DI RECANATI - Marco Moroni 17INFORMAZIONEAIUTO, LA STAMPA! - Giancarlo Liuti 21SALUTENUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA: L’OZONO - Anna Petrozzi 24EDUCAZIONEVIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO - Annunziata Brandoni 26SCUOLALIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE - Mario Mancinelli 28LAVOROSO MARENARE E TIRO ‘A REZZA … - Luciano Bruno Venusto 31REGIONE MARCHE - ATTIVITA’ PRODUTTIVE - PESCALA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO 34MANGIA BENE, CRESCI SANO COME UN PESCE! 35LA NOSTRA TERRASFIDA IN CUCINA - Grazia Bravetti Magnoni 36VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO .. - Alfredo Pirchio 38AMBIENTE E TERRITORIOIL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIA - Eleonora Stortoni 41PERSONAGGIL’IMPEGNO CIVILE OLTRE L’IMMAGINE - Paolo Onofri 43CRONACA TRISTE“UN PEZZO DI PARADISO SU QUESTA TERRA” - Eleonora Tiseni 47FOLK‘FFÀCCETE DAL BALCONE O BELLA BIMBA … - Lo Specchio folk 51POESIAGABRIELLA PAOLETTI, ADDIO DEL PASSATO 54«CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 57RECENSIONIA CHE COSA SERVE LEGGERE? ANCHE A CAMBIARE LA VITA - Lo Specchio Libri 58CAPOLAVORI APPENA DIETRO L’ANGOLO. CHI SE NE È ACCORTO? - Vincenzo Oliveri 59NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS … - Anna Maria Ragaini 60SPORTARANCIONI, LEGGENDA CHE NON TRAMONTA - Gianluca Guastaferro 62ATTIVITA’ LO SPECCHIOLA MUSICA SENZA ETÀ ALLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL 2013 - Vanni Semplici 67ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE CON GLI APERITIVI DELLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL - Luca Pantanetti 70“DONNE ALLO SPECCHIO” IL NOSTRO CONCORSO - Aurora Foglia 71LANDSCAPE - ARTE DELLA LUCE 73

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STORIA

IL “PASSAR DELLA FALCECHE PAREGGIA

TUTTE L’ERBE DEL PRATO”di Lino Palanca

foto messe a disposizione da Fabrizio Carbonetti

I LUPI FEROCI AZZANNANO E UCCIDONO. NON FANNO PRIGIONIERI, NON HANNO PIETÀ. COME I NAZIFASCISTI MASSACRATORI DEI GIOVANI PARTIGIANI DI MONTALTO MARCHE. IL CARTELLO VALE PER LORO: ACHTUNG, BANDITEN!

Truppe americane sbarcano ad Anzio - foto Wikipedia

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STORIA

Operazione shingle, ciottolo di spiag-gia. Il 22 gennaio 1944 la VI armata alleata sbarcò ad Anzio. Il suo com-pito: aprirsi rapidamente un varco

verso Roma. Al comando della spedizione il maggior generale John Porter Lucas, america-no, che si trastullò a rafforzare la testa di sbar-co invece di puntare subito sulla città eterna. Scelta sorprendente anche per i tedeschi, quasi increduli di fronte a un tale colpo di fortuna. Il primo a rimettersene fu il maresciallo Kessel-ring, comandante in capo della Wehrmacht in Italia, che radunò in fretta un paio di divisioni e con quelle inchiodò gli americani sulla spiaggia laziale per quattro mesi durante i quali i passi appenninici divennero vitali per i rifornimenti al suo esercito. Di grande rilevanza strategica era la zona di Cessapalombo perché da lì si control-lava il passo di Colfiorito, dove transitavano le truppe di rinforzo e i materiali per le panzerdi-visionen impegnate sul fronte di Anzio 1.

Nella località di Montalto (comune di Ces-sapalombo) il dinamismo partigiano appariva notevole. Lì si erano ritrovati molti giovani, pro-venienti da varie località della provincia di Ma-cerata, saliti in montagna anche per non doversi arruolare nell’esercito di Salò. La loro attività di gruppo partigiano non comunista, agli ordini del tenente Achille Barilatti, procurava fastidi reali ai convogli tedeschi. I partigiani di Porto Recanati erano in contatto con il gruppo di Montalto, che visitavano spesso per portare rifornimenti di va-rio genere. Lassù c’era un gruppo di una ventina di giovani portolotti, acquartierati in un casolare poco lontano dal comando Barilatti. Nella serata del 21 marzo ’44 costoro furono felici di salutare un ospite:

Marzo, 21. Mon-talto. In serata i nostri ricevono una visita. È Bebi Patrizi, recanate-se, giovane staffetta del gruppo Barilatti, com-pagno di banco di Lui-gi Feliciotti, che insiste perché l’amico passi la notte con lui. Ma Pa-trizi dice di dover ri-entrare al comando e vuole approfittare del-la notte e della giorna-

ta inclemente. Nevischio, nebbia. E parte, incon-tro alla morte 2.

Marzo 22. Montalto. All’alba, spari nel-le vicinanze del campo dei portorecanatesi. Si vedono correre dei contadini: gridano qualche

cosa, impauriti. Le truppe tedesche e fasciste, in un’azione di rastrellamento ben programmata, hanno sorpreso il gruppo Barilatti, uccidendo la sentinella prima che potesse dare l’allarme. Trenta giovani sorpresi nel sonno non fanno in tempo ad imbracciare le armi; portati ai margi-ni di un vicino viottolo (nella tarda mattinata del 22, n.d.a), a gruppi di cinque, vengono massa-crati …3.

Tra i morti c’era anche Patrizi, diciannove anni. La notizia giunse subito a Recanati, portata dai superstiti, compresi i portorecanatesi, subito allontanatisi dalla zona della strage 4.

Nell’Archivio storico del comune di Recanati c’è un documento toccante; è un invito scritto a mano, che recita così:

Sabato 1° Aprile nella chiesa di S. Filippo alle ore 8.30 sarà celebrato un ufficio funebre in suf-fragio della carissima anima del defunto

Adalberto Patrizi.La mamma, gli zii, la nonna, il fratello, la

sorella, i parenti e gli amici tutti,ringraziano quanti vorranno partecipare.

Recanati, 30 marzo 1944. 5

La pietà e il dolore dei famigliari, però, non avevano fatto i conti con il cinismo fascista. Il giorno dopo il commissario prefettizio del co-mune scrisse all’ispettore della polizia munici-pale: Per disposizioni del Capo della Provincia, si prega codesto Ufficio voler diffidare il Rettore della Chiesa di S. Filippo a celebrare la messa in suffragio di Adalberto Patrizi alle ore 6 del mat-tino con l’intervento dei soli congiunti, quindi senza partecipazione del pubblico, e con esclu-sione di addobbi sia interni che esterni, di ma-nifesti.

Non bastò, ché lo stesso commissario allertò pure il locale distaccamento della Guardia Re-pubblicana: Domattina, alle ore 6, nella chiesa di S. Filippo, avrà luogo una messa in suffra-gio di Adalberto Patrizi. Per ordine del Capo della Provincia deve essere vietato ai cittadini, all’infuori delle persone di famiglia del defunto, di partecipare alla funzione. Si prega disporre per il servizio d’ordine affinché tale ordine sia scrupolosamente osservato e impedito qualsiasi tentativo di manifestazioni 6.

L’ispettore della polizia municipale eseguì tutto quanto gli era stato chiesto e quindi inviò il suo verbale:

Io qui sottoscritto ……………, Ispettore di-rigente l’Ufficio di Polizia del Comune di Reca-nati, in esecuzione alla nota in pari data del Commissario Prefettizio indirizzata allo stesso

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STORIA

Dopo il passaggio del fronte (luglio ’44), fu giocato un torneo di calcio intitolato a Bebi, appunto la Coppa Patrizi. Vi parteciparono le squadre del circondario Portorecanati, Recanate-se, Portocivitanova, Osimana ed altre, con l’ag-giunta di una squadra della Raf, una di polacchi e un’altra mista anglo-irlandese. Le quali tutte non fecero grande onore al Caduto per la li-bertà. Infatti più che di un torneo si trattò di un rodeo sostanziato da solenni scazzottate tra le tifoserie italiane, con la generosa collaborazione delle équipes straniere. Un caos. Tanto che an-cora oggi nessuno sa dire con certezza chi vinse la Coppa, rimasta nella bacheca della Recanate-se, dove penso si trovi ancora 8.

ufficio, rendo noto a chi di regola quanto segue:invitato il Rettore della Chiesa di S. Filippo

Don ………………, gli ho dato conoscenza della disposizione impartita dal Capo della Provincia con cui è detto che in merito alla funzione fune-bre in suffragio del defunto Patrizi Aldebrando (?), è consentito procedere alla funzione alle ore 6 del mattino con l’intervento dei soli famigliari, con esclusione di addobbi sia interni che esterni e senza manifesti…7.

La morte di Patrizi ebbe qualche risvolto nel-la scuola frequentata dal ragazzo, il liceo clas-sico di Recanati. Un giorno, poco dopo la sua morte, il preside e una professoressa fecero il giro delle classi per notificare agli alunni la ne-cessità di aderire alla Repubblica Sociale di Salò. Donatella Donati e Graziella Fortuna si alzarono in piedi e dissero che mai avrebbero detto sì a chi aveva assassinato un loro compagno di scuola. Ebbero sette in condotta, più minacce varie, tra le quali l’espulsione “da tutte le scuole del Regno” (chissà di quale regno; non eravamo nella RSI ?); la madre di Donati si trovò anche schedata come vero tipo di massone.

Il preside, che durante la guerra diresse come reggente il Centro Nazionale di Studi Le-opardiani, fu epurato a Liberazione avvenuta e cacciato dal liceo dove venne a sostituirlo Gio-vanni Trepin, uno spalatino che viveva a Ma-cerata. È singolare come, qualche anno dopo, quando, ormai adulte, le due ex liceali anda-rono a ricercare i documenti di quel fatto, non trovassero più assolutamente nulla nell’archivio della scuola.

La salma di Bebi Patrizi fu portata a Recana-ti nell’agosto del ’44, dopo solenni onoranze a Tolentino, nella grande cerimonia in memoria dei martiri di Montalto, e tumulata nel civico ci-mitero, questa volta dopo la messa con addobbi interni ed esterni, manifesti, e tutta Recanati al seguito della bara.

1 Su Anzio: Winston S. Churchill, La seconda guerra mondiale, vol. X, Da Teheran a Roma, Milano, Mondatori, 1970, pp. 186-204.2 Luigi Feliciotti era figlio di Lucidio, membro comunista del CLN di Porto Recanati.3 L. Palanca - A. Biagetti, A Marcello non piacciono le fave, Recanati, Bieffe Grafiche, 1999, p. 48. Una documentazione specifica e molto dettagliata sui fatti di Montalto si può trovare nel volume Noi c’eravamo, a cura di Enzo Calcaterra, Istituto Editoriale Europeo, Tolentino 1989.4 Mi ha riferito Fabrizio Carbonetti, a lungo presidente dell’ANPI di Recanati, direttore responsabile de Il cittadino di Recanati.it, che Patrizi era una grande promessa della corsa veloce, 100 e 200 metri, tanto da essere inserito nei “papabili” olimpionici. Per questo, in un primo momento, a Recanati si era creduto che fosse riuscito a fuggire grazie alle sue doti atletiche.5 Le citazioni relative alla messa in suffragio di Patrizi sono tratte dall’Archivio storico c.le di Recanati, titolo VIII, anno 1944 (ringrazio, per avermene favorito la ricerca, le signore Savoretti, Rotini e Cutini)6 Il capo della provincia era Ferruccio Ferrazzani o Vincenzo Carusi; siamo nei giorni del passaggio di consegne tra i due. 7 Il documento mi è giunto già con gli spazi bianchi segnalati dai puntini.8 v. Lino Palanca, Con il cuore si vince. Storie arancioni 1919-2009, Recanati, Bieffe, 2009, pp. 22-23.

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STORIA

LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA

CHE VINCE IL MONDO

QUESTO MOTTO, INCISO IN LATINO SU UN CIMELIO MOLTO PARTICOLARE, ACCOMPAGNÒ IN TANTE BATTAGLIE IL SOLDATO MYLES KEOGH. FINO ALLA MORTE. LA STORIA DI UNA MEDAGLIA CHE SEGUÌ IL DESTINO DI UN UOMO, DAL CUORE DELLA VECCHIA EUROPA FINO IN AMERICA. IL MISTERO DI UN CIMELIO, FATTO CONIARE DA PIO IX E RINVENUTO NEL NORD OVEST AMERICANO, SUL PETTO DI TATANKA IYOTAKE, IL GRANDE GUERRIERO INDIANO PASSATO ALLA STORIA COME TORO SEDUTO.

di Janula Malizia

Dipinto di C. Bossoli, La battaglia di Castelfidardo, Museo del Risorgimento, Torino

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STORIA

LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA

CHE VINCE IL MONDOCi sono due scenari

lontani miglia e mi-glia tra loro, con un oceano in mezzo,

che poco hanno in comune se non che furono entrambi teatro di epiche battaglie, combattu-te a distanza di tre lustri l’una dall’altra nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Due sono anche i corsi d’acqua che ancora oggi segnano que-ste vallate: il Little Bighorn che scorre snello e impetuoso nel Montana americano e il Musone che scorre placido e lento nelle nostre Marche. Oltre ad essere entrambi piccoli fiumi, poco al-tro hanno in comune, se non che nei pressi delle loro rive si avvicendarono uomini valorosi con appresso i loro cavalli e si combatterono grandi battaglie che passarono alla Storia.La verde vallata del nord ovest americano, teatro dell’epica battaglia del Little Bighorn, oggi non è altro che un vasto cimitero che custodisce disordi-natamente le spoglie degli uo-mini del 7° cavalleggeri dell’e-sercito degli Stati Uniti d’A-merica, ognuno seppellito sul posto, nel luogo preciso dove fu ritrovato. Possiamo solo im-maginare il caos che imperò per 25 lunghissimi minuti, il tempo del combattimento che vide il trionfo di Toro Seduto e la sconfitta del generale Custer, “lunghi capelli” per gli Indiani.I nativi americani comprende-vano ben poco dell’uomo bian-co, della sua bramosia d’oro, scovato nei luoghi sacri. E di quelle terre sacre le truppe dei bianchi volevano a tutti i costi impossessarsi, incuranti degli accordi firmati con i capi tribù e siglati dalle autorità gover-

native. Sotto la guida di Toro Seduto, per una volta almeno nella loro storia, i nativi ame-ricani riuscirono a coalizzare le forze delle numerose tribù e, almeno in quell’occasione, ad avere la meglio. Soltanto un trombettiere di origine italiana di nome John Martin (Giovan-ni Martini) sopravvisse: egli fu infatti mandato da Custer, non appena questi si rese conto di essere in forte svantaggio nu-merico, a chiedere rinforzi. L’u-nico altro reduce della battaglia fu il cavallo Comanche del ca-pitano irlandese Myles Keogh, conservato imbalsamato in una Università del Kansans. I corpi dei nemici, come consuetudine indiana, dopo la battaglia furo-no martoriati, spogliati e privati dello scalpo. Possiamo immaginare, nei mo-menti successivi la battaglia, il grande Toro Seduto che si ag-gira in una distesa di corpi stra-ziati nell’agone, tra la polvere e l’odore acre del sangue. Davan-ti ai suoi occhi, il compimento di una visione avuta durante la danza degli spiriti, pochi giorni prima: soldati caduti. Il grande guerriero improvvisamente do-vette arrestarsi, perché qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Dal petto del reduce irlandese della battaglia di Castelfidardo, il capitano Myles Keogh di cui Toro Seduto non sapeva nulla, se non che si era difeso con valore, giungeva un bagliore metallico. Il capitano che ave-va combattuto tre guerre in due continenti diversi, aveva addos-so un sorta di talismano. Toro Seduto non poteva sapere che l’irlandese, anni e anni prima, aveva fatto parte del valoroso Battaglione di San Patrizio a di-

fesa dello Stato Pontificio, per il quale aveva combattuto tan-to valorosamente da ricevere una medaglia. Il capo indiano raccolse quel pezzo di metallo così particolare, diverso dagli altri, di cui non conosceva la storia, e lo conservò gelosa-mente credendolo un potente amuleto. Quel cimelio fu rin-venuto ancora fisso al petto di Toro Seduto il giorno della sua morte nel 1890. Il condottiero coraggioso, l’abile politico con grandi doti tattiche che un gior-no lontano durante una danza propiziatrice ebbe la profeti-ca visione che spinse ad unire tutte le tribù Sioux contro l’uo-mo bianco, il capo che riuscì a sconfiggere Custer nella storica battaglia di Little Bighorn, era ormai invecchiato. Ma fu tenu-to in grande considerazione dai suoi e temuto dalle truppe dei bianchi finché, il 15.12.1890, esalò l’ultimo respiro, mentre si preparava a partecipare ad un’altra grande danza degli spi-riti per scacciare l’uomo bianco. Aveva con sé l’amuleto da cui non si separava mai, prelevato dal corpo senza vita del valo-roso soldato irlandese morto a Little Bighorn tanti anni prima,

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STORIA

mentre in quella mattina brumosa di dicembre veniva trascinato via dai governativi americani. Ironia della sorte, morì in un conflitto a fuoco per mano di un poliziotto della sua stessa gente, un Dakota. Torniamo indietro nel tempo a più di quindici anni prima, ripercorriamo le praterie, le monta-gne e le colline e salpiamo a ritroso l’oceano At-lantico. Siamo di nuovo nel vecchio continente, nelle Marche; il Nostro irlandese appena venten-ne non ha ancora ricevuto nessun riconoscimen-to e milita nelle file di quei drappelli di volontari stranieri che accorsero a rinforzare le difese di Papa Pio IX e dello Stato pontificio, minacciato dal progetto unitario dei Savoia. I campi erano già stati arati, in quello scorcio di estate morente nella vallata del fiume Musone. 18 Settembre 1860. I volontari erano lì, attirati dal soldo ma i più dal mito romantico di un’ul-tima crociata. Si ritrovarono a Loreto la sera pri-ma, presero i sacramenti all’alba e andarono in combattimento digiuni. Nel 1860 soldati pontifici combatterono stre-nuamente nelle Marche e in Umbria, ma furono sconfitti. I volontari del papa erano quasi tutti giovani di età compresa tra i 17 e i 25 anni e persero la vita, al pari dei bersaglieri piemon-tesi, lontano da casa. Quello di Castelfidardo fu il momento decisivo di un conflitto che aveva assunto caratteristiche nuove, possiamo definirle moderne. Erano infatti entrati in gioco i nascenti servizi segreti, le armi moderne come i cannoni e i fucili rigati, i telegrafi portatili, il ruolo psico-logico giocato da giornali, decreti e ordinanze, punti di forza per i Piemontesi.La battaglia di Castelfidardo risultò decisiva per le sorti risorgimentali che portarono poi alla breccia di Porta Pia e all’Unità d’Italia.

Due furono gli schieramenti che si contrappose-ro nella battaglia, svoltasi tra la valle del Musone e la parte collinare ai confini della cittadina. Da una parte le truppe del generale Cialdini per i piemontesi, dall’altra le truppe pontificie, gui-date dal comandante in capo, il generale fran-cese Cristoforo De Lamoricière e dal Generale marchese De Pimodan. Quest’ultimo in parti-colare guidava la colonna di sinistra coinvolta nell’attacco finale, di cui faceva parte anche la compagnia di S. Patrizio, in cui militava il nostro soldato Irlandese. Un paragone calcistico molto efficace è stato usato per rendere l’idea dei fattori che pesarono sulle sorti di questa battaglia, così decisiva per il risorgimento italiano. Il generale Cialdini era in svantaggio alla fine del primo tempo, poi gli errori grossolani dei comandanti avversari “che non chiudevano la partita” gli permisero di ribal-tare la situazione e di vincere alla fine l’incontro, impedendo agli 8.000 pontifici di raggiungere Ancona e rinchiudervisi.Il sacrario che si trova presso la selva di Castel-fidardo, sui luoghi in cui si svolse la battaglia, raccoglie le ossa dei soldati che combatterono a Castelfidardo, custodite in avelli separati se-condo gli schieramenti nella stanza sottostante al monumento. Ma non contiene le ossa del sol-dato irlandese di nome Myles Keogh, che era-no destinate a finire inaspettatamente lontano. Quante probabilità ci potevano essere per un soldato nato in Irlanda il 25.03.1840, che com-batté tra le fila delle truppe pontificie nella bat-taglia di Castelfidardo il 18 settembre 1860, di trovarsi dall’altra parte del mondo e più precisa-mente accerchiato dagli indiani a Little Bighorn, in pieno nord ovest americano, il 25 giugno del 1875? Seguiamo con una rapida prospettiva l’incredibi-le storia dell’irlandese e della sua medaglia. Pio IX con l’ Ordine nr. 484 dell’8 dicembre 1860 del Ministero delle Armi, donò a Myles Keogh del Battaglione di San Patrizio la medaglia comme-morativa in bronzo con una croce capovolta (in ricordo del martirio di apostoli come San Pietro) in quanto “aveva preso parte alla campagna del 1860 contro l’esercito sardo invasore”. Con essa al petto egli prestò servizio nell’esercito papale fino al 1862, dopodiché emigrò in America. Lì, il 1° aprile 1862, combatté nella guerra Civile

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STORIA

americana diventando capita-no e tenente colonnello. Infine entrò nel 7° cavalleria del ge-nerale Custer, e cadde con lui sulla collina del Little Bighorn. La medaglia commemorativa di Castelfidardo venne prele-vata dal suo corpo esamine nel campo di battaglia di Lit-tle Bighorn da Toro Seduto in persona, il quale lo ritenne un potente amuleto e non se ne separò mai. Fu rinvenuta su di lui al momento della morte, nel 1890. Una copia della medaglia commemorativa della battaglia è custodita nel Museo Risorgi-mentale di Castelfidardo.Questo tipo di medaglia venne concessa a tutti coloro che ave-vano partecipato, con le trup-pe pontificie, allo contro con l’esercito del Regno di Sarde-gna. Pio IX la fece coniare per premiare i soldati che si erano battuti in suo nome contro l’e-sercito piemontese durante l’in-vasione dello stato pontificio

Terzo da sinistra Papalguard - foto profiles.google.com

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STORIA

del 1860. Vi erano alcune diffe-renziazioni nelle medaglie, che variavano a seconda del bene-ficiario:

• Medaglia d’oro smalta-ta in blu per gli ufficiali generali

• Medaglia d’oro per gli ufficiali superiori

• Medaglia d’argento per gli ufficiali inferiori

• Medaglia in metallo bianco per i sottufficiali e la truppa.

Solo pochi esemplari di questa medaglia vennero realizzati. Le dimensioni erano fuori della norma medaglistica, più gran-di del solito, così che i romani la poterono soprannominare familiarmente la “ciambella”. Riportava attaccato un nastro bianco giallo e rosso su cui venivano fissate delle fascette a seconda delle battaglie alle

quali si era partecipato: Viterbo, Pesaro, Fano, Sant’Angelo, Ca-stelfidardo e Ancona. Era com-posta di un cerchio riportante circolarmente sul diritto il mot-to “VICTORIA QUAE VINCIT MUNDUM FIDES NOSTRA”, mentre sul retro era riportata la scritta “PRO PETRI SEDE PIO IX P.M.A.XV”. Il cerchio aveva in centro una croce capovolta (simbolo non blasfemo come a prima vista potrebbe sembrare a chi ne ignora la storia, bensì del martirio di San Pietro, pri-mo pontefice, il quale venne crocifisso a testa in giù per non eguagliare l’esempio di Cri-sto, condannato al medesimo martirio). Su questa croce era raffigurato un serpente che si mordeva la coda, simbolo del peccato mortale che attanaglia-va quanti osassero attaccare la chiesa.

Medaglia Castelfidardo Museo del Risorgimento di Castelfidardo

foto Museo del Risorgimento di Castelfidardo

Medaglia originale - foto portale italiano militaria

Fonti bibliografiche e ringraziamenti:Massimo Coltrinari, Lo scontro di Ca-stelfidardo del 18 settembre 1860, Roma, Nuova Cultura, 2010Lucio Martino, L’11 settembre della Chiesa, Genova, Eidon, 2010Chiara Giglio, La quarta Compagnia nella Battaglia di Castelfidardo, Osi-mo, Brillarelli, 2004Il Museo del Risorgimento di Castelfi-dardo, a cura di Italia Nostra e Fon-dazione Ferretti.

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STORIA

Potenza Picena può vantare tra i suoi figli più illustri Giuseppe Maria Bravi, Vescovo di Tipasa e primo

Vicario Apostolico europeo di Colombo, Ceylon, nello Sri Lanka.Giuseppe Maria Bravi nasce infatti a Monte Santo, l’attuale Potenza Picena, il 6/12/1813 da Giovanni Battista e Serafina Belletti. Il padre si era trasferito da Monterosso di Sassoferrato a Monte Santo per seguire la sua professione di amministratore delle proprietà terriere della famiglia del conte Carradori Flamini. Dopo aver frequentato le scuole a Monte Santo, prosegue gli studi classici a Recanati. A 16 anni entra nell’ordine Silvestrino di Fabriano. Dopo la sua professione solenne avvenuta nel 1831 nella Chiesa di S. Benedetto di Fabriano, fu assegnato al Monastero di S. Maria Nuova di Matelica. Per gli studi filosofici si recò a Perugia e Fabriano, nel Monastero di S. Benedetto, mentre per lo studio della teologia scelse il Monastero di S. Silvestro di Osimo. Ricevette il suddiaconato dal Vescovo di Fabriano e Matelica Mons. Pietro Balducci il 4/4/1835. Il diaconato e sacerdozio gli vennero conferiti rispettivamente il 9/12/1835 ed il 19/6/1836 da Mons. Alessandro Bernetti, Vescovo di Recanati e Loreto, nella sua Cappella privata di Loreto.Il Capitolo Generale dell’Ordine del 1837 assegna il Bravi al Monastero di S. Silvestro di Osimo, come lettore di teologia dogmatica e morale. Ricopre questo compito fino al 1844,

quando decide di dedicarsi alla vita missionaria. Il giorno 14 marzo 1845 padre Giuseppe Maria Bravi salpa dal porto di Civitavecchia per l’isola di Ceylon, nelle Indie Orientali. Proprio in questo paese inizia la sua vita missionaria e gli viene assegnata la Chiesa di S. Filippo Neri di Colombo. Il 15 gennaio 1850 il Papa marchigiano Pio IX, per le sue qualità, lo nomina Vescovo di Tipasa e assistente del Vicario Apostolico di Colombo Mons. Gaetano Antonio. In seguito viene nominato Vicario Apostolico di Colombo, primo Vescovo europeo. Nel corso di una traversata in mare a bordo del vapore “Nubia” per ritornare in Italia per curarsi da una grave malattia, al largo del Mar Rosso, il giorno 15/8/1860 Giuseppe Maria Bravi muore e viene seppellito nel Cimitero Cattolico di Suez. Nel 1863 la salma, a cura dei missionari silvestrini, viene esumata dal predetto Cimitero e portata nella città di Colombo, Ceylon, e deposta nella Chiesa di S. Filippo Neri, dove si trova attualmente. Il palazzo Bravi a Potenza Picena era quello attualmente occupato dalla famiglia Piani, in via G. Marconi, che lo ha ristrutturato nel 1936 (questa via era intitolata alla famiglia Bravi, successivamente modificata in Via XX Settembre dopo l’Unità d’Italia).Uno dei discendenti del Vescovo Giuseppe Maria Bravi è stato Fulvio Bravi (Potenza Picena 1/10/1892 -9/2/1966), nipote del fratello Dott. Silvestro Bravi e della contessa Giovanna Zocchi di Tolentino.

Presso la Collegiata di S. Stefano di Potenza Picena è presente un dipinto del Vescovo, un olio su tela, che avrebbe bisogno di un adeguato restauro, per onorare degnamente questo grande personaggio santese.

(Notizie tratte dal libro “Giuseppe Maria Bravi 1813-1860” primo Vicario Apostolico Europeo di Colombo, a cura di Beda Barchetta, Fabriano - Monastero di S. Silvestro Abate 1994)

- Al puntuale intervento del blog I Santesi, dell’amico Paolo Onofri, aggiungo che il vescovo Bravi ebbe un segretario portolotto. Si tratta di padre Filippo Scocco, silvestrino anche lui, buon musico, che seguì il vescovo a Ceylon dove morì di febbre tifoidea – l.p.

TESTIMONE DI DIOAI CONFINI DEL MONDO

NEL DUECENTESIMO ANNO DALLA SUA NASCITA, POTENZA PICENA RICORDA GIUSEPPE MARIA BRAVI, DOCENTE DI TEOLOGIA DOGMATICA E VESCOVO MISSIONARIO DI COLOMBO NELL’ISOLA DI CEYLON. UNA VITA SPESA NELL’ANNUNCIO DEL MESSAGGIO EVANGELICO.

per gentile concessione de “I Santesi weblog” (Paolo Onofri)

Giuseppe Maria Bravi

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STORIA

NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE

LA GUERRA SANTA CONTRO LA SUPPOSTA BARBARIE TURCA PER LA CONQUISTA DELLA LIBIA, “GEMMA AFRICANA E PERLA DEL MEDITERRANEO” PER ALCUNI, “SCATOLONE DI SABBIA” PER ALTRI, TROVÒ NEL NOSTRO TERRITORIO SOSTENITORI E AVVERSARI. TRA I SECONDI, “LA SENTINELLA DELLE MARCHE” DI OSIMO, FOGLIO DELLA DEMOCRAZIA RADICAL-REPUBBLICANA. UNA VOCE CONTRO LE FOLLE ACCLAMANTI LA RICONQUISTA DEL MARE NOSTRUM.

Cartolina celebrativa della conquista della Libia

di Massimo Morroni - *** le foto sono tratte da giornali dell’epoca

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STORIA

NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE Il 15 ottobre 1877 uscì il primo numero del set-timanale “La Sentinella del Musone” ad opera

di repubblicani, radicali, libe-rali di vecchia data e anticle-ricali. Ne assunse la direzione l’avvocato Giuseppe Magnoni, collaborando con Vincenzo Rossi, Pasquale Frampolli ed altri, tutti liberali appartenenti alla borghesia colta. E’ anche da ricordare l’avvocato Augusto Santini, simbolo della Sinistra osimana. L’interesse del giorna-le fu soprattutto locale, civico e politico, avversario dell’aristo-crazia terriera, della quale de-nunciò i privilegi, i monopoli e l’immobilità, e della Chiesa. Nel decennio successivo il set-timanale divenne filosocialista. Nel 1884 cambiò testata, chia-mandosi solo “La Sentinella” e si aprì a tutta la provincia di Ancona; l’anno seguente ag-giunse il sottotitolo “Gazzetta delle Marche”. Si chiamò poi “La Sentinella delle Marche”. Con il professor Cesare Romiti fu socialista (1912-1915), quindi divenne nazionalista e fascista. Cessò nel 1923.

Nel periodo 1911-1912, nel quale si svolse la guerra di Li-bia, la “Sentinella” affermò ri-petutamente di considerare lo stato di guerra “come uno stato selvaggio dell’umanità” e auspi-cò il giorno in cui “gli uomini delle loro spade fabbricheranno zappe e delle loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione e non impareranno più la guer-ra”. Essa credeva che il suo pa-trimonio ideale fosse destinato a diventare condizione di fatto dell’umanità, e lavorava per in-staurare effettivamente la pace. Per questo approvò i tentativi nobili dei pacifisti. Dissentì in-vece sui loro metodi, perché ri-teneva ingenuo poter attuare lo

stato di pace solo mediante l’a-zione delle idee. Infatti le cau-se della guerra sono immanen-ti nella realtà economica della società borghese: dove esistono disuguaglianze sociali, la guer-ra è inevitabile, e dove esistono Stati armati che si contendono i mercati mondiali, sussistono le cause permanenti della guerra. Per questo la propaganda pa-cifista va unita all’azione delle forze proletarie intente a fabbri-care una società basata su di-verse fondamenta economiche: “quanto più il proletariato sarà forte ed organizzato e quindi in gran parte signore dei mezzi di produzione e dello stato, tanto meno sarà facile lo scoppio del-la guerra”.

E’ da sottolineare che “La Sentinella” iniziò a gennaio 1911, con una media poi di tre articoli mensili, a far conosce-re estesamente le sue posizioni antimilitariste e anticolonialiste, mentre cominciò ad occuparsi della guerra italo-turca fin dalla dichiarazione della stessa. Nu-merosi sono gli attacchi rivolti ai nazionalisti, ai capricci dei capitalisti, ai conservatori che sollecitano la corsa agli arma-menti, al governo che sciupa

denaro nelle spese militari (in Europa otto volte superiori a quelle per l’assistenza sociale), alle categorie (banchieri, indu-striali, fornitori) che trarrebbero vantaggi dal conflitto, ai cleri-cali che difendono i ricchi e gli sfruttatori, al papa che ostacola il Congresso internazionale per la pace.

La colonizzazione viene in-terpretata anche come un’azio-ne immorale violenta e di rapi-na. A guerra iniziata, prosegue la pubblicazione di articoli con-trari, contenenti considerazioni applicate alla realtà dell’impre-sa africana, che si protrarranno per tutta la durata dell’impresa.

A fine ottobre 1911 appare una sintesi tratta da un giorna-le di Reggio Emilia, nella qua-le si elencano alcuni “perché” di avversione, e questi motivi si ritroveranno poi spesso sul-la “Sentinella”: la violazione di principi ideali e morali del sano patriottismo, le infatuazioni mi-litariste, il diversivo politico alle riforme, il miraggio della cucca-gna africana, l’abbandono del problema meridionale, l’onore nazionale che vuol coprire i peggiori istinti anticivili.

Anche la voce di un generale

Cartolina celebrativa dello sbarco dei marinai italiani a Bengasi

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STORIA

viene ospitata: “Le colonie ottenute con la forza brutale e avvivate col dominio politico non in-gagliardiscono la madre-patria; sono le colonie sorte naturalmente coll’emigrazione in lontane regioni, e i commerci attirati liberamente , quelli che risolvono il doppio problema dell’esuberanza di una generazione e della formazione di nuova ricchezza”. Segue una lunga citazione di Achille Loria: “(...) Le imprese di conquista e di sfrutta-mento coloniale rendono fatalmente necessario il prevalere del potere esecutivo sugli altri organi della vita pubblica e portano di necessità la ri-surrezione di un’autocrazia propria di epoche da secoli tramontate”.

Il principe romano Gaetani, dopo una bre-ve disamina del bilancio della guerra, conclude: “Un giorno si dovrà confessare che la spedizione di Tripoli più che alla Turchia, ha nociuto alla causa della democrazia d’Italia”.

Ferma e dura è anche l’opposizione del Con-siglio nazionale della Confederazione del Lavo-ro, che auspica la pace, ponendo fine al “sacrifi-cio di sangue e di denaro”.

Si fanno pure confronti con il bilancio della colonia Eritrea, la cui esperienza insegna che, da molti punti di vista, colonizzare comporta sola-mente perdite e passività. Già Andrea Costa non vedeva la bandiera della patria nelle imprese africane, ma sui campi di battaglia per l’indipen-

denza e nelle imprese “che fanno risalire sem-pre più la nazione verso le altezze dell’ideale” e riguardo alle imprese coloniali disse: “La demo-crazia non deve dare né un uomo né un soldo”.

Il giudizio di Emile de Laveye è drastico e ben motivato: la madre-patria non guadagna un commercio fiorente dal possesso delle colonie, perché la violazione della libertà produce solo frutti amari e non c’è colonia che non costi agli abitanti della madre-patria più di quello che non renda. Il possesso delle colonie è divenuto un anacronismo per gli Stati moderni, dopo il rico-noscimento dell’uguaglianza delle diverse razze; inoltre, il possesso delle colonie moltiplica le cause di conflitto tra i popoli e, per questo, l’In-ghilterra le sta cedendo. Finalmente, se un Pae-se ha del denaro, colonizzi le sue terre incolte, “in Italia la Sardegna o la Campagna Romana e tante altre parti del Mezzogiorno”.

La “Sentinella”, da par suo, aggiungeva: “Ora è questo il momento opportuno per l’Italia per una politica di espansione? siamo noi così ricchi in casa nostra da poterci permettere il lusso di portare una parte delle nostre ricchezze in casa degli altri?”. Nei giorni della dichiarazione della guerra, negli articoli di fondo si metteva sempre in evidenza la mancanza di risorse finanziarie per sostenere l’impresa, ricordando il disastro delle passate avventure coloniali.

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STORIE ADRIATICHE

Nel febbraio scorso ha destato grande scalpore la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI, presentata dal-la stampa come una novità assoluta

nella storia della Chiesa. In realtà non è affatto così: esiste almeno un altro papa dimissionario ed è sepolto nella cattedrale di Recanati. A lui è dedicata questa storia che può essere definita “adriatica” perché il protagonista, Angelo Cor-rer, nasce a Venezia poco prima della metà del Trecento (probabilmente intorno agli anni 1340-1345) da una influente famiglia di nobili vene-ziani. Formatosi presso la Facoltà teologica di Bologna, fin dal 1377 Angelo Correr ottenne il decanato della chiesa di Corone, una importan-te base commerciale veneziana nella penisola del Peloponneso, in Grecia. Nel 1380, a meno di quarant’anni fu nominato vescovo di Castello, una diocesi del vasto dominio della Repubblica di San Marco nell’alto Adriatico; dieci anni dopo, nel 1390, grazie all’eccezionale peso economico di Venezia nel Mediterraneo orientale, ottenne la ben più importante nomina a patriarca latino di Costantinopoli, mantenendo l’amministrazio-ne della chiesa di Corone, alla quale poi si ag-giungerà quella di Negroponte, nell’isola greca di Eubea.

Nonostante questi numerosi incarichi nel Le-vante, gli storici ritengono che Angelo Correr non si sia mai spostato dall’Italia o lo abbia fatto solo temporaneamente, perché fin dal 1389 risul-ta già attivo a Roma, nella Curia pontificia. I suoi rapporti con la nostra regione risalgono al 1405, quando viene nominato rettore (oggi diremmo “governatore”) della Marca di Ancona; di lì a poco ottiene la nomina a cardinale con il titolo

DAL GRAN RIFIUTO (NON PER VILTÀ)

A VESCOVO DI RECANATI

COME RATZINGER AI NOSTRI GIORNI E CELESTINO V SETTE SECOLI PRIMA, ANCHE ANGELO CORRER LASCIÒ IL PAPATO PER SUA SCELTA. PERCHÉ I PONTEFICI NON SI LASCIANO CACCIARE; QUANDO CAPISCONO DI ESSERE DI TROPPO, SE NE VANNO DA SOLI.

di Marco Moroni

Gregorio XII, Angelo Correr - foto Wikipedia.

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STORIE ADRIATICHE

di San Marco. La sua carriera si svolse quindi negli anni del co-siddetto “scisma d’Occidente”, così chiamato per distinguerlo dallo “scisma d’Oriente” che aveva portato alla separazione della Chiesa di Costantinopo-li da quella di Roma. Erano gli anni in cui la Chiesa cattolica era divisa tra due pontefici di due diverse obbedienze, dopo che i cardinali “romani” aveva-no eletto papa Urbano VI e i cardinali “avignonesi” gli ave-vano contrapposto Clemente VII.

Quando nel 1406 era mor-to Innocenzo VII, il conclave subito apertosi a Roma aveva eletto proprio il cardinale di San Marco, Angelo Correr. Alla sua nomina, come scrive Gre-gorio Ortalli, “avevano certa-mente contribuito la devozione sincera, la conoscenza delle sacre scritture, la preoccupa-zione mostrata in passato per il superamento dello scisma e una condotta di vita di tutto ri-spetto”. Gli fu di aiuto anche il fatto di essere molto vecchio: il Collegio cardinalizio era alla ri-cerca di un candidato disposto appena possibile a farsi da par-te “nell’interesse superiore della Chiesa”; Angelo si era impe-gnato a farlo ma, se non avesse rispettato l’impegno, ci avrebbe pensato la natura dal momento che, come dicevano alcuni, il cardinale di San Marco “aveva già un piede nella fossa”. Quan-do nel dicembre 1406 Angelo Correr fu eletto ed assunse il nome di Gregorio XII, vi furo-no grandi festeggiamenti nelle Marche, visto l’incarico di ret-tore ricoperto negli anni prece-denti; ancora maggiori furono,

ovviamente, i festeggiamenti nella sua patria: era infatti il pri-mo cittadino veneziano a salire al soglio pontificio.

Come si erano impegnati a fare tutti i cardinali all’apertura del conclave, Gregorio XII si mosse subito per trovare un ac-cordo con l’antipapa Benedetto XIII, ma le divisioni sembrava-no insuperabili. A dividere la Chiesa da quasi trent’anni non era soltanto uno scontro religio-so, ma anche uno scontro poli-tico: dietro i due papi vi erano tutti i principali sovrani euro-pei. Un nuovo tentativo di por-re fine allo scisma fu compiuto nel 1409, ma il conclave riuni-tosi a Pisa, anziché trovare una soluzione, sembrò aggravare le divisioni. I padri conciliari deci-sero infatti di deporre entrambi i pontefici (sia Benedetto XIII che Gregorio XII) e di elegger-ne un terzo, il colto cardinale Pietro Filargis, già arcivescovo di Milano, che assunse il nome di Alessandro V.

Quando di lì a poco Alessan-dro V morì, al suo posto fu elet-to il cardinale Baldassarre Cos-sa, che prese il nome di Gio-vanni XXIII. Poiché i primi due pontefici non avevano accetta-to la deposizione decisa al con-clave di Pisa, la Chiesa si trovò ad avere ben tre pontefici. Era uno scandalo non più soppor-tabile e proprio per questo au-mentarono le pressioni perché si giungesse a un accordo.

Finalmente a Costanza, con il consenso dei cardinali che aderivano alle tre obbedienze, si aprì il concilio che nel 1415 portò alla deposizione dei tre pontefici e all’elezione di un nuovo papa. Anche a Costan-

za si giunse vicini alla rottura, ma l’accordo fu trovato quando Gregorio XII fece giungere ai cardinali riuniti in conclave, per mano del suo procuratore Car-lo Malatesta, le proprie dimis-sioni. Benedetto XIII non rico-nobbe le decisioni del concilio di Costanza, ma venne scomu-nicato e fu ben presto abban-donato dai suoi sostenitori. A quel punto anche per Giovanni XXIII diventò impossibile op-porsi a quanto deliberato dal conclave.

Intanto il concilio, oltre a nominare il dimissionario An-gelo Correr cardinale di primo rango dopo il papa, gli attribuì altri due incarichi: la nomina vi-talizia di legato della Marca e l’amministrazione perpetua del-le diocesi riunite di Recanati e Macerata. Gregorio XII, perciò, fin dal luglio 1415, avendo ri-cevuto la notizia di essere stato deposto, si spogliò dei simboli del potere papale e rivestì l’a-bito cardinalizio. Nell’ottobre 1415, da Recanati, il cardinale ringraziò il concilio delle “prov-videnze adottate” nei suoi con-fronti e ratificò la sua rinuncia al papato. Nel 1417 fu così pos-sibile eleggere il nuovo pontefi-ce: la scelta cadde sul cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V. Era la fine dello scisma. Stabilitosi a Recanati, come scrive Monal-do Leopardi, il cardinale Ange-lo governò le due Chiese che gli erano state affidate ”in pace fino alla morte”. Ormai ultra-settantenne, morì nell’ottobre 1417; il suo corpo fu deposto in un sepolcro in pietra anco-ra oggi collocato nel corridoio di collegamento tra la chiesa e

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STORIE ADRIATICHE

la sacrestia, proprio nei pressi della cappella dove si conser-vano molte delle reliquie che egli aveva donato alla cattedra-le.

Spesso ci si chiede perché Gregorio XII abbia accettato (e probabilmente chiesto) la no-mina a vescovo di Recanati. La risposta è forse più semplice di quanto non appaia. Monaldo Leopardi in una nota dei suoi Annali recanatesi suggerisce due motivazioni. La prima, pur essendo suggestiva, appare la più debole: ”era stato patriarca di Costantinopoli e successore in qualche modo di San Fla-viano”, al quale era ed è dedi-cata la cattedrale di Recanati. Più valida risulta invece la se-conda motivazione: “Gregorio XII prima di venire assunto al pontificato era stato legato pon-tificio nella Marca negli anni 1405 e 1406”. Insomma l’ulti-mo incarico ricoperto dal car-dinale Angelo prima dell’ele-vazione al soglio pontificio era

stato proprio quello di rettore della Marca di Ancona. Infine un dato che spesso viene tra-scurato da chi non conosce la storia dell’Adriatico: l’intensità dei contatti che si avevano tra Venezia e Recanati.

I rapporti commerciali si era-no intensificati tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattro-cento, quando a Recanati pren-de avvio una importante fiera che richiama mercanti non solo dalle principali città dello Stato della Chiesa, ma anche dall’a-rea padana e da gran parte delle regioni adriatiche. E’ una fiera che, come quelle di Rimi-ni, Pesaro, Fermo e Lanciano, si rafforza grazie al sostegno di Venezia che, preoccupata dello sviluppo commerciale di Anco-na, chiaramente la protegge in funzione antianconitana. Pro-prio negli anni in cui è vesco-vo della città il cardinale Ange-lo, le navi di Ancona avevano preso a disturbare i mercanti (molti dei quali provenienti da

Venezia e dai territori della Re-pubblica di San Marco) che si recavano alla fiera di Recanati; su richiesta dei recanatesi era allora intervenuto il doge Tom-maso Mocenigo il quale nel maggio 1416 aveva avvisato le autorità del porto dorico che i veneziani non avrebbero tolle-rato altre molestie e avrebbero risposto con la forza a ulteriori attacchi di Ancona. Quando la flotta veneziana si affacciò nel-la acque antistanti il porto dori-co, immediatamente gli attacchi degli anconitani cessarono.

La lettera del doge Moceni-go, inviata sia alle autorità di Ancona che a quelle di Recana-ti, è conservata presso l’archivio storico del Comune di Recanati; così pure molti dei doni lasciati alla città dal papa dimissiona-rio Gregorio XII si conserva-no ancora nella cappella delle reliquie della cattedrale di San Flaviano, di recente restaurata e riportata all’antico splendore.

La tomba di Gregorio XII nella Cattedrale di San Flaviano, a Recanatifoto Cronache Maceratesi

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INFORMAZIONE

AIUTO, LA STAMPA!

IL PIATTO SERVITO GIORNALMENTE AGLI ITALIANI DA BUONA PARTE DELL’INFORMAZIONE NAZIONALE DÀ L’IDEA DI UN SOSTANZIOSO FUMO DI ARROSTO, CON LA FAZIOSITÀ PER AROMA PRINCIPALE. E LA TENDENZA A MANCARE DI RISPETTO ALL’INTELLIGENZA DELLA GENTE. UN’INSIEME DI PRESUNZIONE E SPREZZO DEL VERO, COCKTAIL IDEALE PER LA PRODUZIONE DEL NULLA. VA COSÌ ANCHE IN PROVINCIA? FORSE NO, MA DICIAMOLO PIANO.

di Giancarlo Liuti

Indifferenza - foto blogsicilia.it

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INFORMAZIONE

Prima di occuparsi dell’informazione che nei vari media si produce a livel-lo provinciale bisogna chiedersi quanta e quale sia, sul piano qualitativo, l’in-

fluenza che su di essa esercita l’informazione nazionale. E a questo proposito, parafrasando un famoso motto latino, mi viene da dire che “in media non stat virtus”, perché da almeno vent’anni una considerevole parte dei soggetti che su carta, in televisione e ora anche in rete praticano il mestiere di rappresentare la realtà quotidiana è venuta meno all’aureo principio di rispettare la verità sostanziale dei fatti e tenere distinti i fatti dalle opinioni. Quando va bene, insomma, i fatti sono mescolati con le opinioni e quando va male sono oscurati o mistificati dal-le opinioni, il che accade per scelte ideologiche, o di mera opportunità politica, o di pressanti interessi economici. Ecco allora un giornalismo sempre meno “imparziale” e sempre più “mi-litante”, finalizzato non già ad informare ma a convincere, a fare proseliti. Non sarà anche per questo che i media italiani figurano al cinquan-tasettesimo posto su scala planetaria? Qualche esempio. Un fatto: a Milano diventa sindaco Pisapia e a Napoli De Magistris. Ebbe-ne, “Libero” (destra) lo riduce a opinione spa-rando questo gran titolo in prima pagina: “Ora godetevi i comunisti”. Un altro fatto: a Torino muore don Gallo e con accesa partecipazione popolare se ne svolgono i funerali. Solita storia, giacché il “Giornale” (destra) spara, sempre in prima pagina, questo titolo-opinione: “Il pollaio di don Gallo”. Un altro fatto: il capo dello Stato incarica Enrico Letta di formare il governo. Ed ecco il titolo, squillante e in prima pagina, del “Fatto quotidiano” (sinistra): “Napolitano affida l’incarico al nipote di Gianni Letta”, per signifi-care che, frutto di un deplorevole “inciucio”, il vero nome del futuro premier non è neanche degno di essere citato. Ancora una volta, perciò, un’opinione che ha il sopravvento su un fatto. Non si parli poi dell’informazione televisiva, sia nei telegiornali, dove la “militanza” emerge dalla collocazione delle notizie e dall’enfasi che se ne dà, sia nei “talk show”, dove è evidente da che parte stanno i registi e i conduttori (avrete nota-to che mentre parla uno degli ospiti va in onda la faccia nauseata di un suo avversario, come a significare che quello sta dicendo sciocchezze o

falsità). E si tenga conto che per ragioni legate alla crisi economica, al calo dei profitti aziendali e alla concorrenza di Internet, l’informazione su carta è in crisi (negli ultimi tempi i più im-portanti quotidiani nazionali hanno perso oltre mezzo milione di copie al giorno), e la televi-sione rimane il “medium” che più d’ogni altro condiziona gli orientamenti del corpo elettorale (circa al 70 o 80 per cento, secondo attendibili stime delle agenzie demoscopiche). E vengo all’informazione locale, quella che ha sede in provincia. Purtroppo non dispongo di dati se non approssimativi sulla diffusione dei quotidiani cartacei – dati tenuti segreti dal di-stributore che oltretutto sta a Pescara – ma un confronto qualitativo con l’informazione nazio-nale è possibile farlo e mi pare di poter dire – sorpresa? - che tale confronto depone a favore dei giornalisti (39 professionisti e 292 pubblici-sti, non di rado precari o malpagati) che ope-rano nel nostro territorio. E questo, intendia-moci, non accade perché essi siano “più bravi” dei loro colleghi nazionali, ma per una serie di motivi che attengono, nel caso dei quotidiani su carta, a una maggiore autonomia loro concessa dai direttori delle testate nazionali di riferimento e negli altri casi (radio, televisione, quotidiani on line) alla circostanza che i proprietari delle loro testate – non di rado sono gli stessi giorna-listi - non hanno da difendere grandi interessi né economici né politici. Vero è, comunque, che nell’informazione locale i fatti hanno una netta prevalenza sulle opinioni. E questo, a mio avvi-so, consente un giornalismo di buona qualità. Quanto all’informazione su carta, il primato va al “Resto del Carlino”, con 19 pagine di cro-naca locale (8 su Macerata, 2 sulla provincia, 3 su Civitanova, 2 su Recanati e Porto Recana-ti, 4 riservate allo sport) e una diffusione che dovrebbe aggirarsi intorno alle quattromila co-pie al giorno. Per lunghi anni la concorrenza col quotidiano bolognese è stata fatta anzitutto dal “Messaggero” di Roma, che però, in conse-guenza del passaggio all’editore Caltagirone cui appartiene anche il “Corriere Adriatico” di An-cona, ha soppresso la redazione maceratese e l’ha spostata nella città dorica. Adesso il “Mes-saggero” va in edicola in due vesti diverse: o da solo, come “Messaggero Marche” (corposa parte nazionale più varie pagine sulle province

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INFORMAZIONE

della regione, ma solo due per Macerata e Civitanova) oppu-re in abbinamento al “Corrie-re Adriatico”, la cui redazione maceratese produce 8 pagine, 3 per Macerata, 2 per Civitanova, 2 per Recanati e Porto Recanati, una per Camerino e Tolentino. La diffusione in provincia del “Corriere Adriatico” dovreb-be essere di circa 1.500 copie e quella del “Messaggero”, da solo, non dovrebbe superare le 600, con un totale che potrebbe non essere tanto superiore alla diffusione, in loco, dei quoti-diani nazionali come il “Corrie-re della Sera” e “Repubblica”. Per ciò che riguarda le emit-tenti radiofoniche ( Multiradio di Tolentino, Radiolinea di Civi-tanova, Radio Erre di Recanati, Radio Nuova di Macerata, Ra-dio C1 di Camerino, Radio Cuo-re di Recanati, e mi scuso se in-volontariamente ne dimentico qualcuna di minore rilievo) va considerato, come ho già detto, che esse non fanno capo ad as-setti proprietari di ingenti risor-se e interessi finanziari, la qual cosa, se per un verso ne limita la potenzialità, per l’altro ne favorisce l’autonomia, e questo lo si evince dall’obiettività dei loro notiziari giornalistici, che non sono frequentissimi – per ragioni di ascolto prevalgono i programmi musicali – ma ci sono, e vengono trasmessi più volte nelle ventiquattr’ore. E le opinioni? Non mancano, in primis quelle espresse dagli ascoltatori che intervengono in diretta. Però libere, spontanee, non in rigorosa sintonia con una predeterminata “linea” o

“tendenza” editoriale. Diverso, purtroppo, è il discor-so sulle televisioni locali, non per la qualità ma per il nume-ro. Un numero che con la crisi di Tvrs di Recanati (annuncio di duri tagli nel personale tec-nico e giornalistico, rischio che essa emigri, con altre vesti, in altri lidi) minaccia di ridursi a uno, e mi riferisco a Video To-lentino, assai seguita nell’Alto Maceratese, ben diretta e con validi spazi informativi. Un tempo c’era anche Telemacera-ta, che poi passò a un gruppo tosco-emiliano e adesso si oc-cupa pure della realtà regionale e provinciale col nome “èTv” (fra l’altro ha ottenuto l’esclu-siva delle riprese in diretta del

Consiglio comunale della città capoluogo).Venendo infine all’emergente settore dei quotidiani on line, va detto che Macerata ha un primato, e sta nel premio nazio-nale di “visibilità” ottenuto da “Cronache Maceratesi”, le cui “visite uniche”, quelle dei non ripetuti contatti individuali, si avvicinano a venticinquemila al giorno, e sono più di cinquemi-la coloro che, essendosi iscritti, possono intervenire commen-tando gli articoli di cronaca e le inchieste sulla politica e sulla pubblica amministrazione. Opi-nioni? Molte, soprattutto da par-te dei “commentatori”. Ma l’au-tonomia proprietaria, gestiona-le e direzionale è assoluta.

Giornali in esposizione - foto genio.virgilio.it

mariobochicchio.blogspot.com

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SALUTE

Sarà la Medicina del Ter-zo Millennio. Ne sono convinti gli oltre 3.000 medici associati SIOOT

(Società Scientifica di Ossige-no Ozono Terapia) che dopo trent’anni di ricerca si affaccia-no al grande pubblico con una campagna di informazione sul-la prevenzione e la cura di ma-lattie, anche le più debilitanti, grazie all’ossigeno-ozono tera-pia.Parte da un assunto di per sé molto semplice il professor Ma-rianno Franzini, medico chirur-go, specializzato in flebologia, docente all’Università di Medi-cina degli Studi di Pavia e pre-sidente della SIOOT, per intro-durre il cuore dei suoi studi: “In medicina siamo concettual-mente costretti in protocolli di cura che prevedono esami stru-mentali, farmaci e interven-ti chirurgici, ma stranamente non prendono praticamente mai in considerazione tra ele-menti fondamentali del nostro corpo: ossigeno, acqua e ozo-no”.Qualsiasi delle nostre funzioni vitali, a partire da quella più

immediata che è respirare, av-viene grazie all’ossigeno. Di O2 si nutrono le nostre cellu-le e tutti gli scambi metabolici avvengono tramite questo indi-spensabile elemento che lega l’essere umano a tutto ciò che lo circonda.Sperimentazioni relativamen-te recenti condotte negli Stati Uniti hanno portato il professor

Arthur Guyton, uno dei più fa-mosi fisiologi americani, ad af-fermare che “qualsiasi dolore, sofferenza o malattia è causato da un’insufficiente ossigena-zione a livello cellulare”. La mancanza di ossigeno sa-rebbe quindi all’origine di quei processi degenerativi che, assi-milati a differenti concause, ge-nerano malattie invalidanti oggi

NUOVE FRONTIEREDELLA MEDICINA: L’OZONO

di Anna Petrozzi

ANCHE NEL NOSTRO TERRITORIO CRESCE L’INTERESSE PER L’OZONO TERAPIA, GRANDE STERMINATRICE DI BATTERI, FORTE OSTACOLO A COLESTEROLO, ARTERIOSCLEROSI E INFARTI. ESAGERATO? DATE UN’OCCHIATA QUA.

foto courtesy of Acquain s.r.l.

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SALUTE

sempre più aggressive le cui origini e soprattutto cure con-tinuano ad essere sconosciute.Come possiamo dunque aiutare il nostro corpo?Innanzitutto abbandonare gli stili di vita che riducono il giu-sto apporto di ossigeno, come la sedentarietà, l’assunzione in grandi quantità di cibi grassi e acidi (carni, formaggi, fritti, caffè, cioccolato, alcool..), lo stress, la mancanza di sonno, il fumo… Adottare pratiche salutari di senso completamente opposto vuol già dire offrire al nostro sistema immunitario un im-portante supporto per resistere all’aggressione non secondaria di inquinamento, pesticidi e conservanti nei cibi che con-corrono in maniera rilevante alla moltiplicazione degli ormai famigerati radicali liberi, i re-sponsabili di un nostro invec-chiamento precoce.Il gesto più semplice che ognu-no di noi può compiere per la sua straordinaria utilità è bere acqua. In quale quantità? I me-dici SIOOT sul punto fornisco-no indicazioni precise: il peso del proprio corpo, moltiplicato per tre e diviso cento. Vale a dire se una persona pesa 50 kg dovrà fare un semplice calco-lo: 50 x 3 =150 : 100 = 1,5 e bere un litro e mezzo di acqua al giorno.Ed è veramente di vitale im-portanza, nel senso più stretto del termine, che questa abitu-dine sia insegnata ai bimbi ma soprattutto consigliata agli an-ziani. Invecchiando infatti av-vertiamo sempre meno il senso della sete, bere acqua invece, oltre a svolgere una funzio-ne depurativa, ridona forza ed energia. In una parola, restitui-sce ossigeno.Sarebbe appropriato a questo punto aprire una parentesi sul-la qualità dell’acqua da bere,

ma è tema bisognoso del giu-sto approfondimento. Ci ba-sti sottolineare in questa sede che è bene, se si beve acqua in bottiglia, fare attenzione al re-siduo fisso indicato obbligato-riamente sull’etichetta e limitare al minimo il consumo di acqua in bottiglie di plastica che spes-so trasportate o immagazzinate sotto il sole possono rilasciare tossine. L’ideale sarebbe bere acqua dal rubinetto di casa, a patto però che possiate con-trollarne la concentrazione di metalli pesanti che il cloro non può abbattere. Sofisticati e ormai molto diffusi sistemi di depurazione ci garantiscono un’ottima acqua pura e sicu-ra, ma il dibattito in merito è a tutt’oggi molto aperto e merita davvero uno spazio apposito per sviscerare pro e contro.Arriviamo così all’elemento più sconosciuto dei tre citati dal professor Franzini: l’ozono.Non ne abbiamo percezione diretta nella nostra quotidianità tranne che dopo un bel tem-porale: quel piacevole senso di pulito che avvertiamo subito dopo è proprio merito dell’o-zono, frutto dell’incontro tra il fuoco prodotto dal fulmine e l’aria. Essendo un gas instabile se ne va in brevissimo tempo restituendoci però un’aria arric-chita di ossigeno.Quali sono le sue principali ca-pacità e perché è così utile per la nostra salute?Per prima cosa l’ozono è un potentissimo antibatterico, 120 volte più potente del cloro. Non c’è batterio, virus, fungo o spo-ra in grado di resistergli, nem-meno nelle formazioni più osti-nate e pericolose come quelle che causano la legionella.Se immesso nel nostro corpo può sconfiggere più di 400 tipi di batteri anaerobi (che vivono in assenza di ossigeno) annida-ti nel nostro intestino e venire

in soccorso alla flora batterica positiva il cui funzionamento è, come tutti sappiamo, fonda-mentale per il nostro stato di salute. Ma può anche debellare in modo rapido ed efficace il temutissimo Helicobacter Pylo-ri, causa di gastriti e mal di sto-maco che affligge un numero altissimo di persone.Le vie di somministrazione e le applicazioni cliniche dell’Ossi-geno-Ozono Terapia sono mol-teplici proprio perché la combi-nazione di questi tre elementi è in grado, quando applicata se-guendo il giusto consiglio degli ozono-terapeuti specializzati, di coadiuvare persino le terapie chemioterapiche.In ogni caso – assicurano i me-dici SIOOT – i benefici sono tantissimi e vanno dalla più im-mediata disinfezione del cavo orale fino alla ben più fonda-mentale rivitalizzazione del mi-crocircolo sanguigno. Lo straor-dinario apporto di ossigeno che entra in circolo grazie all’ossi-geno-ozono terapia raggiunge tutti i distretti venosi, anche i più remoti, riattivandone la vi-talità. Pensiamo a quale vantag-gio per i malati di arterioscle-rosi o di colesterolo o chi è a rischio di infarto. Insomma siamo di fronte ad una nuova frontiera della me-dicina. E per esplorarne tutti gli aspetti il prossimo settembre si terrà a Roma un convegno in-ternazionale di esperti proprio con la finalità di rendere questo tipo di cura presto disponibile a più utenti possibile.E siatene certi, ne sentiremo parlare a lungo.

Anna Petrozzi, giornalista e scrittri-ce, è una professionista del settore Editoria e dal 2000 capo redattrice della rivista Antimafia Duemila.

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EDUCAZIONE

di Annunziata Brandoni *

VIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO

PREADOLESCENZA, ETÀ A RISCHIO VIOLENZA NELLA NOSTRA REALTÀ? STIAMO ANCORA SOGNANDO DI ESSERE UN’ISOLA FELICE O VOGLIAMO DECIDERCI A PRENDERE ATTO DI AVER PRESTATO POCA ATTENZIONE ALLE MANIFESTAZIONI DI UN BULLISMO ADOLESCENZIALE CHE SI RAFFORZA ANCHE NELLE NOSTRE CITTÀ? E QUANTE CHANCES ABBIAMO DI VENIRNE FUORI?

L’età che va dagli undici ai tredici-quattordici anni non è un’ età facile per i nostri figli, che non sono più bambini, ma non possono esse-re ancora definiti adolescenti. Il corpo inizia

gradualmente a trasformarsi: le gambe si allungano, alle femmine compaiono i primi segni del seno… ma il pensiero è ancora quello tipico dell’infanzia e affettivamente i preadolescenti sono ancora dipen-denti dai genitori, anche se vorrebbero essere già au-tonomi. Le bambine generalmente sono più precoci rispetto ai coetanei di sesso maschile, quindi questo periodo per loro può confondersi con quello succes-sivo, ma solo a livello fisico, perché psicologicamen-te sono ancora immature. Un animo ancora bambino in un corpo quasi adulto! Caratteristica, questa, che a volte viene accentuata da un abbigliamento e un comportamento da giovane donna : un trucco pesan-te e un fare spavaldo che nascondono le incertezze dell’età! Accanto a queste bambine cresciute troppo in fretta troviamo, sui banchi di scuola, ragazzine per le quali, invece, il tempo sembra essersi fermato. An-che fra i maschi si possono rilevare le stesse diffe-

renze, pur se i casi di precocità nello sviluppo non sono numerosi.Queste diversità, che con il tempo sono destinate a scomparire, causano non pochi problemi ai pre-adolescenti perché, in questa fase della loro vita, essi sono molto attenti alle relazioni con i coetanei e temono il loro giudizio. E questo si ripercuote sul loro comportamento. Molti fenomeni di violenza (vandalismo, teppismo, bullismo…) affondano le loro radici nel sentimento di inadeguatezza che si insinua nell’animo di questi ragazzini che vorrebbero essere “grandi”, sicuri di sé, ammirati come i più i “fighi” della scuola. Rinnegano così il loro essere an-cora bambini e assumono atteggiamenti adulti, sen-za però poter esercitare alcun controllo sul proprio comportamento dominato dall’impulsività, dato che la corteccia frontale, destinata a svolgere tale ruo-lo, completa la sua maturazione solo tra i 18 e i 21 anni. Il gruppo diventa il loro rifugio; in esso trovano quell’identità che ancora non sono riusciti a costru-ire. E commettono atti che, da soli, non avrebbero mai neanche pensato! Ma l’importante ora è apparire,

foto: sito west-info.eu

foto: sito zuuly.com

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EDUCAZIONE

avere la considerazione e l’ammirazione dei compa-gni. Non importa se, per ottenerle, si diventa delin-quenti in erba!Il salto di ”qualità” si ha con il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, quando appunto que-sti fenomeni esplodono, soprattutto nei casi in cui si erano già manifestati sintomi di devianza non per-cepiti da noi adulti. Possiamo infatti notare, già dai primi mesi di frequenza, il formarsi di gruppetti di alunni che prendono le distanze dal resto della clas-se. Generalmente è presente in ogni raggruppamen-to un leader negativo, che detta le regole agli altri, e prende le decisioni. In pratica decide chi e cosa prendere di mira: persone o cose. Nel primo caso siamo di fronte al fenomeno del bullismo di casa no-stra, che miete vittime fra i compagni di scuola che si comportano correttamente, sono educati, studiosi e rispettosi dei professori. Nel secondo caso si tratta di vandalismo, di violenza gratuita generalmente eser-citata contro quelli che vengono considerati i simboli del mondo adulto: cassonetti, portoni, aiuole, fonta-ne e anche i balneari nei paesi che si affacciano sul mare. Su questi sfogano una rabbia che spesso non ha ragion d’essere perché, a meno che non si tratti di figli di immigrati non ben integrati nel territorio, essi non vivono situazioni di disagio sociale, non abitano in periferie di grandi città segnate dal degrado, non hanno problemi in famiglia, o a scuola.È solo una rabbia di carattere imitativo, copiata da quanto vedono in TV, o dai videogiochi che fanno della violenza il loro trampolino di lancio fra ragaz-zetti che non sono ancora né carne né pesce. E quan-do, colti sul fatto, sono costretti a soffermare l’atten-zione sui risultati delle loro prodezze e a rispondere ai “perché” che gli rivolgono gli adulti, genitori in primis, sembrano cadere dalle nuvole. Ti guardano come se tu fossi un marziano e rispondono: “Per-ché, cosa ho fatto?”. E magari hanno pestato a san-gue un compagno. O ne hanno messo alla berlina un altro. Il bullismo infatti oggi si esercita anche in forme di violenza meno esplicite del pestaggio, ma non meno pericolose. Sono violenze di tipo psicolo-gico, di questi tempi con effetti più devastanti per le vittime perché potenziati dall’uso indiscriminato dei social network. La sociologia parla in questo caso di cyberbullismo, che è più frequente di quanto non si pensi. Anche dalle nostre parti! E che rivela l’incapa-cità dei nostri ragazzi di mettersi nei panni degli altri. In pratica la mancanza di empatia.In molte delle scuole medie dei nostri paesi, solo alcuni anni fa considerati oasi di tranquillità, luo-ghi ideali in cui crescere i figli, possiamo contare numerose piccole vittime di questa nuova subdola violenza. La subiscono tutti quei preadolescenti che vengono chiamati dai compagni “sfigati”. O “froci”. E questo vale anche nella versione femminile, anche

se un po’ più rara.Da noi queste violenze subite quotidianamente non sono ancora sfociate in casi di suicidio. Per fortuna! Ma non per questo sono meno gravi. Non dobbiamo aspettare che ci sia il morto per allarmarci e iniziare a cercare soluzioni! Quando lo sfigato di turno si get-ta dalla finestra della scuola perché stanco di essere continuamente umiliato dai compagni, è troppo tardi per intervenire. E anche in questo caso i bulli non si spiegano la sofferenza della vittima. “ Era solo uno scherzo! - esclamano con lo sguardo innocente- non volevamo offenderlo!”.Frequente é anche il vandalismo, esercitato attra-verso calci o con l’uso di bastoni e catene. Quando passano i novelli “barbari” del terzo millennio, nul-la si salva: un tornado non riuscirebbe a fare tanti danni! Sono “imprese” compiute a cuor leggero da una generazione che non riesce a prevedere le con-seguenze delle proprie azioni, non ha il senso della comunità, non ha regole di comportamento e, so-prattutto, non ha rispetto per nessuno! E, con i nostri ragazzi, non ci sono giustificazioni che tengano. Non possiamo dire che è colpa del disagio sociale, della famiglia che non c’è. I genitori di casa nostra non fanno mancare nulla ai loro figli. Neanche in questo tempo di crisi. Come si suol dire, si tolgono il pane di bocca per dare loro tutto quello di cui hanno bi-sogno e anche il superfluo. E allora perché crescono all’insegna della violenza? In che cosa abbiamo sba-gliato nell’educarli?Penso che la risposta vada cercata proprio nel benes-sere che, fino a ieri, ha baciato la nostra zona. Lavoro in abbondanza per noi adulti e soldi in tasca per i figli. Soldi che non si sono guadagnati con il sudore della fronte. Per questo pensano che tutto sia loro dovuto! E, con la giornata tutta presa dal lavoro, non abbiamo avuto il tempo di educarli alle emozioni e ai sentimenti. Come faranno quando, tra qualche anno, dovran-no guadagnarsi il pane quotidiano e faticheranno a trovare lavoro se questa crisi, come sembra, non si risolverà in tempi brevi? Come potranno rimandare la soddisfazione di quei bisogni, indotti dalla cultura del consumismo, e rinunciare al possesso dei suoi oggetti-culto, se nessuno li avrà abituati a farlo?Spero che la crisi che stiamo attraversando ci possa servire per riflettere sul nostro modo di vivere ed educare le nuove generazioni. Per riscoprire i valori forti che abbiamo seppellito sotto l’altare del dio de-naro. E così, forse, cresceremo dei giovani migliori, che avranno saputo attraversare senza problemi l’età difficile della preadolescenza.

* Annunziata Brandoni, già dirigente scolastica, è una pedagogista

VIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO

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SCUOLA

1950, la scuola di Montarice e il maestro Antonio Barchetti con i suoi alunni

di Mario Mancinelli - foto di proprietà di Antonio Mancinelli

LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE

A PIEDI, CALZANDO ZOCCOLI CHIODATI, SOTTO IL SOLE O LA NEVE. E PURE I BOMBARDAMENTI. LA SCUOLA RURALE DEL BURCHIO ERA UN LUOGO DI CRESCITA E DI SOCIALIZZAZIONE DOV’ERA BELLO RITROVARSI LA MATTINA ANCHE SE PER SENTIRSI GRATIFICARE DAL MAESTRO COME TESTE DURE PIÙ DELLE PIETRE DI MARMO.

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SCUOLA

La scuola che frequentai durante la mia infanzia si trovava a Montarice ed era conosciuta come

la Scuola del Burchio. In quei tempi, in campagna, era la mi-seria a farla da padrona e così non tutti i miei compagni po-tevano permettersi il lusso di frequentarla, figuriamoci di an-darci con il grembiule ed avere a disposizione libri per studiare e quaderni per scrivere. Non c’erano i mezzi di trasporto che conosciamo oggi e così ogni mattina camminavo per più di un’ora per raggiungere la scuo-la. Passeggiare in campagna mi piaceva e mi piace ancora. In primavera il verde delle nostre valli e gli alberi in fiore danno la sensazione di trovarsi in un immenso giardino. Forte era l’emozione di arrivare in cima alla Costa dei Mandorli per am-mirare il panorama a 360 gradi: ad est il cielo che confina con il mare, a nord il promontorio del Conero, a sud il litorale fino al porto di Civitanova e ad Ovest la cornice dei Monti Sibilli-ni. I paesi sono delle gemme di antica bellezza, arroccati in cima alle colline che svettano in un’immensa vallata. La luce radiosa dell’estate fa splendere le case dei borghi e dei paesi. Sessant’anni fa, però, quando arrivava l’inverno, il terreno diventava fangoso, pesante, molte volte la strada veniva ri-coperta dalla neve e le scarpe, in quel periodo, consistevano in un paio di pesanti e rumoro-si zoccoli chiodati per non far consumare il legno.Quella scuola, la ricordo anco-ra chiaramente, per noi ragazzi

era un punto di ritrovo per gio-care a bocce e a calcio dopo le lezioni; a volte era anche il campo di battaglia per vere e proprie sassaiole tra noi della pianura, del Basso Montarice, e quelli delle colline, Alto Mon-tarice. Le aule erano piccole e spoglie, arredate solamente dai banchi di legno, dalla cattedra e dai ritratti di Vittorio Emanuele III e di Mussolini verso i quali era d’obbligo rivolgere il saluto romano. Prima di iniziare la lezione giornaliera ci si alzava in pie-di e si salutava l’insegnante, al suo ingresso in aula, con molto rispetto; durante lo svolgimen-to delle lezioni, il maestro ci insegnava la storia, le poesie, la matematica e a disegnare le forme geometriche come linee rette, triangoli, quadrati e cer-chi che, fatti a mano libera, da-vano sempre come unico risul-tato quello di sentirgli dire che avevamo le teste dure come le pietre di marmo. Per scrivere, invece, usavamo il pennino che veniva bagnato con l’inchiostro contenuto nel calamaio. Non era di facile utilizzo come le moderne penne a sfera, infatti i quaderni e gli abiti erano sem-pre macchiati di inchiostro e questo faceva arrabbiare anche i genitori a casa, che ci promet-tevano sempre che o si miglio-rava o si andava a lavorare nei campi e nelle stalle.Per la mia generazione, però, il periodo scolastico non rap-presentò solo spensieratezza e giochi. Presto arrivò la guerra anche da noi ed invece di scap-pare dai compiti si scappava verso il rifugio più vicino per

evitare di trovarsi all’aperto du-rante un bombardamento aereo oppure durante un attacco del-le navi che, nottetempo, si avvi-cinavano alla costa per colpire il fronte. Ricordo che dal paese giungevano sempre più sfollati verso la campagna e nonostan-te la povertà non ci si rifiutava di aiutare chi era in difficoltà. Noi ragazzi imparammo anche che bisognava sempre guardare se c’erano ripari nelle vicinanze quando si camminava per stra-da, perché lo spostamento del fronte verso nord era sempre accompagnato dai raid dei cac-cia inglesi che bersagliavano la colonna di autocarri in ritirata. Passati gli anni bui della guer-ra, noi ragazzi, ormai cresciu-ti, prendemmo, ciascuno, una strada diversa, fino a perderci di vista, finché un giorno di qualche anno fa, mio fratello Antonio mi mostrò una foto che aveva ritrovato in un vec-chio cassetto. Era l’immagine delle classi miste, seconda e quarta, della Scuola Elementa-re del Burchio di Montarice e tra loro c’ero anche io con lui. L’idea di riunire tutti entrò pre-potentemente nella mia testa e così con diversi amici abbiamo organizzato una rimpatriata dei vecchi scolari della Scuola del Burchio. L’incontro ci ha per-messo di rispolverare i bei ri-cordi dei tempi trascorsi insie-me. Ormai del vecchio edificio non rimane che un rudere ab-bandonato, abbandonato alla forza devastatrice del tempo. Anche oggi, nella mia mente vivono i bei ricordi di quei lon-tani giorni di scuola.

LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE

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LAVORO

Malgrado la stima e il rispetto che ho sempre avuto per le personalità del mondo culturale che si apprezzano per l’impegno profuso alla crescita

di tutta la collettività, prima di accettare l’invito a svolgere questo tema sui pescatori dei motope-scherecci, ho avuto un momento di perplessità. Questo perché ho scritto e fatto tanto a riguardo e potrei ripetermi. Ma il mio amore per la pe-sca, il ruolo svolto per quasi tutti gli anni ottanta come responsabile dall’Associazione Produttori Pesca, essendo socio fondatore del Centro Stu-di Porto Recanatesi, mi hanno spinto a superare ogni indugio. Tuttavia per non cadere nella trap-pola di riproporre cose già dette, mi trovo ob-bligato a parlare soltanto di alcuni episodi non documentati nelle mie pubblicazioni, ma che ho avuto modo di esporre verbalmente in più occa-sioni in assemblee e incontri avuti con i respon-sabili del settore. Intorno al 1976, per l’inaugurazione della Fie-ra della Pesca di Ancona, venne il Sottosegre-tario della Marina Mercantile con delega alla pesca. Nel suo saluto ai convenuti disse tra le altre cose: “E’ finita l’epoca della vacche gras-se. Adesso ci saranno soltanto periodi di vacche secche…” Siccome molto spesso, negli incontri sulla pesca a tutti i livelli, sentivo ripetere questa metafora che presagiva ristrettezze economiche per tutti, nel dibattito che seguì presi la parola anch’io. (Vorrei precisare che i pescatori, e non solo quelli di Porto Recanati, non intervengono

Domenico Pandolfi - foto Cronache Maceratesi

SO MARENAREE TIRO ‘A REZZA …

QUANDO SI PARLA DI PESCA, I PROBLEMI POSTI SUL TAPPETO DAL PALAZZO SONO SEMPRE I PORTI, LA NAFTA, LA PRODUZIONE, I MOTOPESCHERECCI … TUTTA MATERIA DI PRIMA IMPORTANZA, D’ACCORDO,MA PER MARE CI VANNO PURE I PESCATORI. LO SANNO?

di Luciano Bruno Venusto

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LAVORO

mai nei dibattiti, ma lasciano questo compito ai loro rappresentanti che, molto elegantemente e in modi forbiti, elencano tutti i pregi e le virtù dei loro assistiti, pur non avendo molto di loro mai visto una barca da pesca. Io a tal riguardo sono stato - e sono - una vera eccezione. Ma questa è un’altra storia).Quando salii sul palco della Presidenza e rag-giunsi il microfono mi sono presentato ed ho detto queste cose: “ Ella Sig. Sottosegretario, cer-tamente si riferisce al famoso sogno del Farao-ne d’Egitto che soltanto Giuseppe l’ebreo riuscì a decifrare, salvando così quel popolo dalla ca-restia… (naturalmente mi dilungai ad esporre in tutti i particolari la notissima storia biblica)”. Poi aggiunsi: “Onorevole, mia moglie ha paren-ti contadini e molto spesso le domeniche andia-mo in campagna con tutta la famiglia. In quelle circostanze, da buon osservatore, mi interesso molto dello svolgersi dei lavori sui campi e della suddivisione dei compiti tra tutti i membri della grande famiglia. Tutto ciò mi ha molto colpito e mi ha fatto assai riflettere vedere i contadini la sera, che prima di tutto riportano i buoi nel-la stalla per ben custodirli e, solamente dopo, rincasavano per la cena. Non vorrei sbagliarmi ma le donne dicevano: stanno a “governare” gli animali. Tutta questa attenzione verso i buoi era dovuta al solo fatto che l’indomani sarebbero dovuti tornare a lavoro. Noi pescatori dei mo-topescherecci non siamo “vacche” né grasse né tanto meno magre, ma siamo i “buoi”. Voi che guidate le sorti dell’umanità dovreste fare come i contadini, pensare prima a noi e poi a voi’ dato che ogni giorno noi ci occupiamo di portare a terra tante casse di pesce fresco; noi produciamo alimenti; noi produciamo ricchezza. Ci vorreb-be dunque una più attenta razionalità a conce-derci o a negarci “alimenti” per vivere. Ad onor del vero, rispetto ad altri importanti settori del-la nostra economia, la pesca ha sempre avuto “abbondanza di favori celesti”. Insomma ci sono tanti soldi, tanti contributi e tante agevolazio-

ni d’ogni genere. Ma si continua pubblicamente quasi ad invocare un periodo di “magra”. Negli incontri settoriali, infatti, riservati ai soli “ad-detti ai lavori”, questi trattamenti di favore sono evidenziati da tutti i Presidenti e Direttori delle Cooperative, i quali, per ammorbidire armatori troppo esigenti, gli dicono: “Avevate le pezze nel sedere, adesso avete tutti le ville”; oppure “parla liberamente non siamo gli ispettori delle tasse”; e ancora “ siete egoisti non vi basta mai”, ecc… Molte volte le ho sentite dire e sono stanco di tutte queste ipocrisie”. Perciò aggiunsi, rivolgendomi a tutti: “ Se continuate così ci farete fare la fine di quel pastorello burlone che si divertiva a spese dei suoi amici, gridando “al lupo, al lupo” quando il lupo non c’era. E quando gli altri pastori ac-correvano per aiutarlo, lui li derideva. Ma un bel giorno il lupo arrivò veramente e distrusse tutto il gregge. Allora il pastorello urlò disperatamente “al lupo, al lupo”, ma nessuno intervenne. Non gli credevano più. Oggi possiamo dire: “Come vo-levasi dimostrare”. Infatti per il nostro settore il lupo è arrivato veramente, distrugge la pesca, ma non ci crede più nessuno. Alla fine salutai l’O-norevole, le autorità al tavolo della presidenza, tutti i pescatori e me ne tornai al mio posto.

“L’immenso volume d’acqua scaraventato a prua dall’ultimo colpo di mare aveva sfondato l’uscio di sottovento del castello di prua” (“Il Ne-gro del Narciso” - Joseph Conrad).Questo significa andare per mare. Il grande Conrad parla dei naviganti, “i marinai” dei basti-menti a vela. Io ho sempre parlato dei pescatori dei motopescherecci discendenti dei “marinaró” delle lancette a vela. A bordo dei “motori” noi non possiamo dare “le spalle alla fatica” come facevano gli “sciabicotti” quando mangiavano. La fatica - il mare - noi “marinà” c’è l’abbiamo sempre di fronte. Senza nulla togliere alla storia della “sciabica”, e a tutti coloro che oggi vengo-no definiti “pescatori”, vorrei precisare che andar per mare, staccare i piedi da terra e metterli sulla

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LAVORO

coperta di uno scafo, sparire nell’azzurro oriz-zonte è tutt’altra cosa che pescare sulla spiaggia. Ed anche se a volte oggi il valore delle persone e delle cose è dato solo a seconda di certe con-venienze, bisogna precisare che la ricerca storica serve soprattutto per meglio definire l’immagi-ne dell’uomo e il suo bagaglio socio-culturale. Quindi non bisogna seguire le mode , ma atte-nersi al concreto.Quanti colpi di mare, quanta fatica e quanti sa-crifici hanno fatto i nostri antenati delle lancette a vela e quelli dei primi rudimentali ed inaffi-dabili motopescherecci? E quale grande ruolo è stato quello delle donne?. Io lo so! Si lavorava giorno e notte dal lunedì al sabato e a volte si sa-crificava anche la domenica. Sono arrivato a Por-to Recanati nel 1953 per imbarcarmi sul motope-schereccio “Dessiè” e conoscere così il suo equi-paggio. Come ho conosciuto quelli del Mareb, dell’Addis Abeba, del A Nessun secondi, dello Sparviero, del Neghelli, del Gondar, ecc… Ho conosciuto e lavorato con molti pescatori pros-simi alla pensione e tanti già pensionati; ed io ero solo un adolescente. Notavo che quei anzia-ni pescatori avevano tutti un dolce sorriso sulle loro labbra e i loro volti sereni erano illuminati da un’aureola di bontà e di benevolenza. Emana-vano una dolcezza interiore che non ho mai più visto in vita mia. Erano teneramente predisposti verso i giovani e noi ragazzi rispettavamo di più i vecchi. Non parlo di eroi, ma di uomini umili che hanno dedicato la loro intera esistenza alla famiglia, al lavoro e alle loro barche. Sono stati i veri protagonisti della nostra storia. Tutto questo ed altro ancora erano i nostri antenati uomini di mare. Il bene e il male sono parte integranti del genere umano. Ma quando la cattiveria aumenta in modo esponenziale a discapito della bontà, a rimetterci siamo un po’ tutti perché, come risul-ta da ricerche sociologiche e da manifestazioni di evidente spregevolezza di molte fasce delle nuove generazioni, la nostra società è diventata opulenta ed obesa; simile a quella obesità intel-

lettiva e culturale di chi non ha talento. Ritengo di poter concludere queste brevi riflessioni sulla pesca rilevando che anche se molto è stato fatto, la storia della nostra marineria è ancora incom-pleta. Io ho già dato. Lascio perciò a studiosi e ricercatori più qualificati di me il completarla. Mi preme, però, suggerire alcuni indirizzi di ricerca. Conosciamo tutti i motopescherecci, ma dobbia-mo ancora conoscere bene tutti i nomi dei nostri antenati pescatori i quali sono stati capaci di cre-are una grande marineria, i “caratisti”, anche in mancanza di un porto rifugio e unica nella sua composizione sociale. A parte pochissime ecce-zioni, infatti, nessun pescatore era dipendente ed ognuno era padrone di se stesso, disponeva di una certa quantità di “carati”, di quote del ca-pitale. Efficienza e umanità, un connubio tanto teorizzato dai grandi filosofi, assai difficile da realizzarsi, ma che i nostri pescatori hanno co-struito. Ci sono riusciti. Anche per questo, però, dobbiamo ben capire per quale motivo questa nostra marineria, la cui peculiarità poteva e do-veva consentirle di superare le crisi settoriali me-glio delle altre, è invece fallita prima di tutte? Nel 1900 a Parigi in un grande incontro scientifi-co il famosissimo matematico David Hilbert dis-se: “risolti questi 20 teoremi la matematica dice tutto”. Subito dopo il logico Kurt Godel dimostrò :“l’indicibilità matematica”: non sarà mai possi-bile, neanche alla matematica, dire tutto. Cosa voglio dire con questo esempio? Ecco: risolti i pochi quesiti che ho posto, avremo dato molto di più all’attività della pesca, ma mai detto tutto sull’uomo.

Tre piccoli versi, per concludere. Sono miei:I pescatori di oggi guardano il mare da terra e parlano sempre. I “marinari” di ieri guardavano la terra dal mare e non parlavano mai. Adesso da noi ci sono tanti pescatori, ma sono spariti i “marinà”.

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REGIONE MARCHE / ATTIVITA’ PRODUTTIVE

LA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE

LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO

Sono stati destinati ulteriori tre milioni di euro al Fondo di garanzia gestito dalla Società regionale di garanzia Marche, alimentato da Regione, Provincie, Camere di commercio e alcuni comuni, nato in ri-

sposta alla crisi finanziaria del 2008 e strumento essenziale nel sostegno all’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese, soprattutto in questo difficile contesto di liquidità. “Destiniamo ulteriori tre milioni di euro al Fon-do, arrivando complessivamente a una massa di oltre 31,2 milioni. In poco più di quattro anni di operatività sono state effettuate oltre 17mila operazioni per oltre 730 mi-lioni di euro di finanziamenti garantiti alle imprese, specie di piccole dimensioni. L’esperienza è un buon esempio di collaborazione interistituzionale a favore dell’economia reale e di come, unendo le forze, si possano dare rispo-ste più forti alla difficile congiuntura economica in atto.” Sara Giannini, assessore regionale alle Attività produttive, commenta così lo stanziamento approvato dalla Giunta regionale che va a rimpinguare il Fondo che agevola l’ac-cesso al credito per le imprese. Il Fondo garantisce ulte-riormente un nuovo finanziamento richiesto dalle imprese e garantito dai Confidi per allungare la scadenza di debiti da breve a medio termine. In pratica i finanziamenti alle imprese beneficiano di un doppio paracadute, utile in si-tuazioni di particolare tensione finanziaria, con rischi di ri-flessi occupazionali. Si potenzia così la capacità di accesso al credito delle piccole imprese, si fronteggiano i problemi di liquidità e razionamento finanziario, si riduce il costo della provvista, si contrasta il pericolo di trasmissione all’e-conomia reale di crisi di origine finanziaria. Beneficiari sono le piccole e medie imprese di tutti i settori eco-nomici e dell’intero territorio regionale. Le operazioni di finanziamento possono avere durata tra 18 mesi e cinque anni (il Fondo opera fino a cinque anni, ma sono ammessi finanziamenti anche di durata superiore) un importo per ogni singola impresa fino ad un massimo di 500mila euro (un milione, se in cogaranzia con due o più Confidi) ed essere attivate attraverso l’intervento di un Confidi. Oltre alla Regione Marche, che contribuisce per il 73 per cento al Fondo, hanno finanziato lo strumento di sostegno alle imprese tutte le Provincie e le Camere di commercio delle Marche e i comuni di Loreto, Numana, Folignano e Jesi, mentre altri comuni hanno manifestato interesse all’ade-sione.

FINANZIAMENTI ALLE AZIENDE DEL COMPARTO CULTURALE REGIONALE: PERCHE’ LA CULTURA CREA RICCHEZZA.Sono stati approvati i criteri per l’accesso ai finanzia-menti agevolati per le imprese del comparto cultura-le della Regione Marche a valere sul Fondo regiona-le di ingegneria finanziaria alimentato con risorse del POR FESR Marche 2007/2013. E’ quindi possibile pre-sentare le richieste di agevolazione attraverso il sito del MedioCredito Centrale che è gestore dell’operazione. Il Fondo rappresenta un’iniziativa particolarmen-te innovativa sia per la tipologia di imprese a cui si ri-volge che per la forte sinergia rispetto al program-

ma regionale di sviluppo del Distretto Culturale Evo-luto recentemente avviato dalla Regione Marche. Con una dotazione di circa 2 milioni di euro, il Fondo è stato infatti progettato per finanziare sia operazioni di sviluppo che operazioni di riequilibrio delle aziende ap-partenenti alla famiglia dei codici ATECO della cultura e della creatività, selezionate anche sulla base delle ri-levazioni effettuate da Symbola in collaborazione con Unioncamere nell’ambito del Rapporto annuale 2012. Possono accedere al Fondo per entrambe le tipologie di attività le aziende con codici ATECO indicati nell’Avvi-so, mentre l’accesso può avvenire senza limitazioni, ma per le sole operazioni di sviluppo, a condizione che le aziende richiedenti facciano parte di gruppi di partena-riato di progetti di interesse regionale presentati a vale-re sull’avviso pubblico del Distretto Culturale Evoluto. Le aziende potranno ottenere finanziamenti agevolati da un minimo di 50.000,00 ad un massimo di 150.000,00 euro al tasso agevolato dell’1%. La durata di ammortamento del finanziamento sarà di 60 mesi, oltre ad un periodo di pre-ammortamento tecnico.‘L’iniziativa è stata concepita in stretta complementarietà con l’avvio del programma regionale per il Distretto Cul-turale Evoluto’ spiega l’Assessore alla Cultura Pietro Mar-colini ‘per consentire alle aziende partecipanti una mag-giore accessibilità al credito. Il programma per il Distretto Culturale Evoluto andrà a sostenere progetti a carattere intersettoriale di innovazione tecnologica, caratterizzati da un forte contenuto di creatività, capaci di auto sostener-si nel tempo e innescare economie locali. In questa fase di crisi e di difficoltà di accesso alle risorse ci è sembra-to determinante introdurre uno strumento di supporto al programma. L’iniziativa è nata di concerto con il settore dell’Industria, con il quale sono ormai numerose le azioni comuni finalizzate a dare spinta ad una platea di aziende innovative che fanno della cultura e della creatività il loro principale fattore competitivo’. ‘La individuazione di misure specifiche rivolte alle imprese della cultura e della creatività’ aggiunge l’Assessore Sara Giannini ‘apre un ambito di sperimentazione interessante, e l’avvio del Fondo, insieme ad altri interventi quali il sostegno alla digitalizzazione delle emittenti televisive e delle sale cinematografiche, contribuisce a creare un set di strumenti utili allo sviluppo di un segmento produttivo im-portante per le Marche, come la stessa ricerca della Fonda-zione Symbola ha dimostrato nel Rapporto 2012. Anche in un recente bando per il sostegno alle PMI di produzione del Made in Italy si è voluto attribuire un valore premiale a quelle aziende che nello sviluppo di prodotto o nelle politiche di marketing si avvalgono della collaborazione di enti culturali’.Il bando è accessibile sui siti regionali www.cultura.mar-che.it, www.europa.marche.it e www.regione.marche.it. Sul sito di MedioCredito Centrale http://www.incentivi.mcc.it/incentivi_regionali/marche/marche.html è disponi-bile la modulistica per presentare richiesta di agevolazio-ne.

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REGIONE MARCHE / PESCA

LA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE

LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO

MANGIA BENE,CRESCI SANO COME UN PESCE!

Favorire la diffusione del pe-sce del territorio e insegnare ai ragazzi a mangiare sano. E’ quanto si prefigge “Mangia

bene cresci sano come un pesce”, la campagna informativa ed educativa promossa dall’Assessorato alla Pesca della Regione Marche dedicata agli alunni della scuola dell’infanzia, pri-maria, secondaria e alle loro famiglie. Il progetto punta a introdurre nell’a-limentazione scolastica, in modo agevolato ed in via sperimentale, il prodotto ittico locale allo stato fresco refrigerato, con priorità per l’utilizzo di prodotti a marchio QM – Quali-tà garantita dalle Marche. L’obietti-vo è incrementare la propensione al consumo del prodotto ittico, specie “made in Marche”, contribuendo alla formazione nei giovani di uno stile di vita sano e di un corretto rapporto con il cibo.“Abbiamo deciso di avviare una cam-pagna promozionale che centri due importanti obiettivi – sottolinea l’as-sessore Sara Giannini - ossia diffonde-re il consumo di pesce regionale aiu-tando l’economia ittica del territorio e aumentare la consapevolezza nelle giovani generazioni dell’importanza di un’alimentazione sana ed equilibrata. Per questo, attraverso uno specifico avviso pubblico, avvieremo un’inizia-tiva finanziata dall’Unione europea e finalizzata all’introduzione nelle men-se scolastiche pubbliche del prodotto ittico regionale. Vogliamo così prose-guire nel progetto avviato lo scorso anno con la campagna promozionale dedicata al pesce azzurro (Sappia-mo sempre che pesci prendere, Sara Giannini e Massimiliano Ossini nella foto in alto a destra, ndr), mettendo a frutto la positiva esperienza maturata attraverso tutto il territorio regionale in collaborazione con enti locali e as-sociazioni di categoria.

La nostra strategia a favore dell’indu-stria ittica si basa su azioni diverse: sostegno diretto tramite bandi e fi-nanziamenti alle imprese e azioni di sostegno indiretto che mirano ad ac-crescere la domanda di prodotto da parte dei consumatori”.

foto: fonte Regione Marche

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LA NOSTRA TERRA

SFIDA IN CUCINA

La rivista “Lo Specchio” mi permette di riprendere un discorso appena accen-nato durante la presentazione del mio libro “Radici” tenuta la sera del 26 Apri-

le scorso nella Sala Biagetti della Biblioteca di Porto Recanati organizzata dalla citata Rivista insieme all’Associazione AGRI-ART con il pa-trocinio dell’Assessorato alla Cultura. “Radici” segue precedenti studi e ricerche sul mondo rurale di appena ieri posto lungo le zone al di qua e al di là della Via Emilia, dal riminese al forlivese. Nella Sala Biagetti ci fu l’occasione d’accennare ad alcuni dei possibili accostamenti e contrasti tra la campagna di Ro-magna e quella delle Marche. Il discorso sareb-be lungo e variato, dagli aspetti della campagna e della sua geografia alla architettura delle case, dai “lavori” alla cucina.E proprio qui il primo urto tra pane e “piadina”. Nella cucina marchigiana dominava il pane. In Romagna accanto al pane c’era la “piada”, che oggi si può perfino comprare al supermercato. Tipica della campagna ogni “arzdora” la prepa-rava in pochissimo tempo, che bastava un po’ di farina, acqua e un pizzico di sale, un taglie-re, un matterello, una teglia da appoggiare sul

UN LIBRO CHE CI FA RIASSAPORARE GUSTI E PROFUMI DELLA CUCINA D’ANTAN IN UNA SINGOLARE DISFIDA TRA PANE E PIADA, TORTELLINI E VINCISGRASSI DOVE SI AFFRONTANO I FIGLI DEI PICENI E QUELLI DEI CELTI. E DOVE, ALLA LUNGA, I PRIMI VINCONO. MA NON DITELO AI ROMAGNOLI.

da sinistra a destra - Antonio Bartolo, Elio Camilletti, Grazia Bravetti, il Direttore, Franco Magnoni

L’assessore Fabbracci durante il suo intervento

di Grazia Bravetti Magnoni - foto di Francesca Magnoni

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LA NOSTRA TERRA

fuoco non troppo ardente. Con la piada non si temeva se non c’era il pane, che lei era sempre una possibilità di salvezza, il che non aveva la “vergara”. Lei, invece, dalla fine d’Autunno all’i-nizio della Primavera, faceva la polenta, che la si cuoceva spesso anche due volte al giorno, per colazione e poi per cena, un’ora continua di la-voro, e anche più, che se non la si girava conti-nuamente sarebbero venuti fuori i “pallotti”. La polenta era odiata in tutta la Romagna, ma pia-ceva nelle Marche e la “vergara” era bravissima a modificarne sapori e gusti. Basta citarne alcune come la polenta “strascinata” con le “foje”, che potevano essere rapa, verza, cavolo. Più sapo-rosa era la polenta “sfrigolata”, con un bel sof-fritto di cotiche e salsiccia. La si poteva fare con le patate “in potacchio”, meglio ancora con “la sapa”, mosto bollito e strabollito. A pranzo il 24 Dicembre ci doveva essere il “polentone della Vigilia”, sodo, e “nerto”, di notevole spessore. Naturalmente le polente impegnavano non solo la “vergara” ma almeno un’altra delle donne del-la famiglia, figlia o sorella o nuora, che altrimenti le braccia non reggevano. Al lettore decidere s’era meglio la piadina o la polenta! Se poi per una sfida culinaria tra Mar-che e Romagna si passa ai “primi piatti” è evi-dente che a vincere sarebbe la Romagna. Solo citarli già gli italiani si leccano i baffi. A parte tagliatelle, tagliolini e pappardelle, tutti troppo conosciuti, la tradizione romagnola prepara tor-tellini in brodo, cappelletti ripieni di carni varie, e mentre asciutti ci sono i tortelloni con ricotta e spinaci, i passatelli sono solo in brodo. Gli strozzapreti si facevano senza le uova e se si poteva come sugo si affogavano nel ragù. Era-no tutti piatti della festa, ma per Natale o per l’Anno erano privilegiate le “lasagne” che, poi, sono tipiche anche nelle Marche ma si chiamano “vincisgrassi” e, rispetto alle lasagne romagnole, non vi è la besciamella ma il formaggio molle. Per secondo le Marche potrebbero rifarsi con la

particolare e straordinaria “papera in potacchio”. Per la trebbiatura si voleva come primo i mac-cheroni, che si diceva “Se magna i maccarò col sugo de’ la papera”, ed erano due portate gusto-sissime cui la Romagna poteva contrastare solo con l’ inespressiva “grigliata”.Per i dolci la Romagna ha da offrire solo un uni-co dolce, la “ciambella”, mandata a cuocere dal fornaio insieme al pane. Poi…basta! Per i dolci, invece, nelle Marche non si sa da dove iniziare. Rifacendosi alle stagioni, durante la vendemmia croccanti da sgranocchiare erano i “biscotti col mosto”, ed accanto morbidissimi i “sughetti”, d’accostarsi entrambi al fantastico “vin cotto”. Sempre in Autunno si faceva il “salame di fichi”, zeppo non di maiale ma dei frutti della stagio-ne. Ricchi dei frutti invernali ed adatti alle feste erano la “rocciata” ed il “crostingo”, dai nomi strani ma ben sostanziosi e gustosi. Ceci e fave fritte erano adatti alle veglie serali se la “verga-ra” aveva figlie da maritare. Per il Carnevale la campagna si sbizzarriva con le più varie golo-sità, dagli “scroccafusi fritti” a quelli “al forno”, dalle “pastarelle al forno”, agli “scroccafusi di polenta”, per finire con la regale “cicerchiata”. Poi, rigorosi ed austeri per la Quaresima, ci si preparava alla Pasqua con la “crescia” o “pizza di Pasqua”, che, piena di pezzi di formaggio, un po’ salata e pepata, non ha niente di dolce se non la bontà. Arrivata l’Estate non si sapeva se pesassero più i lavori o la fatica, e per rifarsi c’erano sempre la “ciambella” o il “ciambellot-to” che li si portava nel campo dentro un cesto, più le bottiglie dell’acqua e del vino. E se non bastasse, la campagna marchigiana, priva di pia-nura, era ricca di alberi da frutta di tante varietà e qualità, coi nomi più strani. A questo punto chi potrebbe vincere la sfida se non le Marche?! Ma, si sa, i romagnoli non vogliono perdere, e per questo dicono che a loro non piacciono le “cose dolci”, mentre godono con il salato, primi piatti e la solita grigliata.

SFIDA IN CUCINA

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LA NOSTRA TERRA

VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO ..

di Alfredo Pirchio - foto fornite dall’autore

CHI BEVE SOLO ACQUA HA UN SEGRETO DA NASCONDERE (BAUDELAIRE) LA VITA È TROPPO BREVE PER BERE VINI MEDIOCRI (GOETHE)

I calanchi

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LA NOSTRA TERRA

VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO ..

Piove copiosamente mentre guido la mac-china, le gocce schiaf-feggiano il parabrez-

za come se ce l’avessero con lui. Strana primavera quella di quest’anno, il sole sembra aver da fare altro e le nuvole ogni giorno come un lenzuolo plum-beo, si appoggiano stanche sul-le colline, bagnando senza ri-poso, piante campi e vigne.Sono diretto a Spinetoli, una ridente cittadina (non ho mai capito perché si dica così), in provincia di Ascoli Piceno; qui il paesaggio si apre, e mentre salgo su stradine tortuose noto come i contadini siano riusciti a rendere vitati dei fazzoletti di terra abbarbicati a calanchi che sprofondano in dirupi preci-piti; a dire il vero la terra non è nemmeno terra ma, come in Francia nel “Graves”, piccoli e grandi ciottoli di breccia bianca impastata d’argilla. Non senza difficoltà trovo la

cantina che cercavo: “Cantina Campo di Maggio” in via Roc-cabrignola; è qui che mi aspet-ta il buon Marco Corradetti, un ragazzo sulla trentacinquina che mi saluta con una vigorosa stretta di mano. L’azienda nasce dietro la necessità di convertire una produzione lattaio-casea-ria, settore zootecnico in crisi, in una intuizione che Marco in-sieme alla sua famiglia ha reso tangibile: quattro ettari di terra coltivati a Passarina, pecorino e cabernet sauvignon. Il posto è splendido e la passione con la quale Marco mi parla delle sue vigne è il giusto connubio per la creazione di quell’opera d’ar-te che lui chiama vino. Tra tutte le bottiglie assaggiate ve ne se-gnalo due squisite: la passerina 2012 ed il pecorino dello stes-so anno. La passerina è di una delicatezza toccante, il naso si perde in campi di fiori bianchi e pomacee croccanti, il sorso è seducente e già me lo immagi-

navo gustato con una “tartare” di tonno con mentuccia, timo ed una spruzzata di lime. Ma ciò che vi invito obbligatoriamente a bere è il pecorino “Campo di Maggio” vendemmia 2012: ri-empiendo il bicchiere, abbracci di virgole dorate si mescolano a riflessi di verde freschezza, cu-rioso, accosto il naso al calice e le sostanze odorigene che spri-giona sono un caleidoscopio di emozioni; erbe di montagna, tiglio e santoreggia formano un tappetino dove si dipanano sentieri di ginestre….. toccante! In bocca il liquido occupa mili-tarmente ogni papilla gustativa ed i profumi percepiti al naso si possono ora schiacciare al palato ….. onirico! E’ ottimo già da solo, ma con un rombo chiodato e olive taggiasche cot-te al forno non lo vedo male male male.www.cantinacampodimaggio.it

Marco Corradetti e Alfredo Pirchio

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Gioca con Villa InCanto e diventa protagonista dell’OperaIl giorno prima delle rappresentazioni dalle 17,30 laboratori per bambini dai 4 ai 10 anni

Iscriviti all’ISIS di Osimo e realizza i costumi per la nuova stagione di Villa InCanto (www.isisosimo.it)

Recanati

Sede degli spettacoli e prenotazioni Performance location and booking

Villa Colloredo Mels - Via Gregorio XII - Recanati (MC)Tel. 071 7570410 / +39 340 5962992 - www.villaincanto.eu

Per informazioni / Information Ufficio Recanati Turismo - Tel. +39 071 981471

www.recanatiturismo.it - [email protected]

Il prezzo del biglietto include aperitivo in terrazza, opera e visita al museo.Essendo i posti limitati è obbligatoria la prenotazione.

Biglietti / TicketsBiglietto intero

Ticket

€ 35,00

Ridotto (0-10 anni)Reduction (from 0 to 10)

€ 20,00

Abbonamento per 5 serateSeason ticket for 5 shows

€ 185,00

Direttore Artistico: Riccardo SerenelliConcerto in omaggio di

Beniamino GigliSabato 6 luglio, ore 21,00

(ingresso gratuito) Aula Magna Comune di Recanati

Aida Giuseppe Verdi

Domenica 7 luglio, ore 21,00 Domenica 4 agosto, ore 21,00

Costumi a cura di Elena Radcenco

Il Barbiere di Siviglia Gioachino Rossini

Domenica 14 luglio, ore 21,00 Domenica 25 agosto, ore 21,00Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo

La Traviata Giuseppe Verdi

Domenica 21 luglio, ore 21,00 Domenica 11 agosto, ore 21,00

Costumi a cura di Elena Radcenco

L’Elisir D’Amore Gaetano Donizetti

Domenica 28 luglio, ore 21,00Costumi a cura di Elena Radcenco

Rigoletto Giuseppe Verdi

Mercoledì 31 luglio, ore 21,00Domenica 18 agosto, ore 21,00

Costumi a cura della sartoria teatrale ISIS, Osimo

Carmen Georges Bizet

Mercoledì 7 agosto, ore 21,00Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo

La Serva Padrona Giovan Battista Pergolesi

Mercoledì 14 agosto, ore 21,00

PROGRAMMA

Comune di Recanati

Con il patrocinio di

In collaborazione con

Provinciadi Macerata

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AMBIENTE E TERRITORIO

L’economista belga Gunter Pauli, ideatore della blue economy, suggerisce nuove strategie per superare la crisi

finanziaria, condanna la ‘cultura del consumo’ che maltratta la natura sen-za risparmiare i due principali siste-mi economici degli ultimi anni: la red economy e la green economy. Innan-zitutto, potrebbe spiegarci in pillole qual è la differenza tra i tre sistemi e se è d’accordo o no su quanto mes-so in luce dall’economista? In origine era la Red Economy, caratterizzata da consumi di massa a basso costo, con prodotti che non tengono con-to delle risorse del futuro e del loro spreco, con enormi danni all’ambien-te. La green economy, l’economia dei prodotti ecologici d’élite, costosi e inaccessibili, sta per lasciare il po-

sto alla blue economy, sostenibile e redditizia che si basa su un modello di business competitivo ispirato alla natura, sistema produttivo perfetto ed efficiente. La blue economy suggeri-sce di risollevare le sorti dell’ambiente e dell’economia mondiale prendendo spunto dalla natura. Il suo obiettivo è fare business a impatto zero. La gre-en economy è l’innovazione anche se a volte si perde di vista l’obietti-vo, per risparmiare da una parte si spende dall’altra. Penso che non ha senso mettere i pannelli fotovoltaici nei terreni ad uso agricolo, bisogna salvaguardare le realtà dei fatti. Il punto non è produrre più energia ma consumarne di meno. Per esempio per un risparmio energetico si posso-no recuperare gli edifici. Ad esempio quelli del centro storico? Si. O case nelle periferie di 20-30 anni, metten-do dei cappotti isolanti, si otterrebbe un risparmio energetico e farebbe ri-partire l’edilizia. Dalla partnership tra il Gruppo Loccioni e la Samsung na-sce un progetto per l’integrazione e la commercializzazione di sistemi di accumulo energetico che ottimizzano l’autoconsumo, rendendo disponibile l’energia all’occorrenza, garantiscono

continuità della fornitura elettrica in caso di interruzioni della rete e stabi-lizzano la rete, smorzando i picchi di produzione e indisponibilità.

C’è la possibilità di fare business nel settore della blue economy? Assolu-tamente si. Si deve recuperare. Ten-diamo troppo a disperdere. L’esempio chiave ce lo abbiamo nel caffè, se ne usa una piccola parte e il resto viene buttato. Dobbiamo cercare di produr-re meno packaging e questo possia-mo farlo attraverso strumenti molto interessanti. Per esempio il Gruppo Gabrielli si sta avviando verso un’au-tosufficienza energetica. Utilizza i di-spenser per i detersivi o gli alimenti come pasta e caffè. Cerca di incenti-vare il recupero dell’alluminio e del-la plastica; al cliente che li restituisce verrà consegnato un buono spesa. La green economy ha dei limiti: il busi-ness viene dato a pochi, come quello dei pannelli fotovoltaici, e purtroppo coloro che non se lo possono per-mettere è perché c’è chi ci ha lucrato sopra. Mentre per la blue economy ognuno, in base al suo virtuosismo, fa funzionare la cosa. Ognuno nel suo piccolo può crearsi qualcosa.

IL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIAIntervista all’assessore all’ambiente e all’ecologia del comune di Loreto.

Tema: la blue economy

di Eleonora Stortoni - foto tratte dal sito http://www.blueeconomy.de/

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AMBIENTE E TERRITORIO

Come si sta comportando il comune di Loreto? Quali sono le politiche che sta attuando e che ha attuato negli ul-timi mesi in relazione alla sostenibilità ambientale, allo sviluppo di queste nuove forme di economia e energia? Sta cercando di rispettare i limiti della raccolta differenziata, di ridurre i co-sti dei servizi in generale. Purtroppo però mancano le infrastrutture da par-te della Regione Marche, mancano gli stessi costi tra i paesi limitrofi. Le cen-trali a biomassa non sono sufficienti per parlare di energia pulita. Bisogna incentivare i pannelli fotovoltaici, svincolare, abbandonare la rete elet-trica creando una “non rete” fatta da centrali di produzione di energia in loco, ad impatto zero sull’ambiente.

Quali sono le città più virtuose che stanno mettendo in campo buone pratiche da prendere a modello? Lore-to si può considerare una città model-lo? Il sistema a Capannoli (in provin-cia di Pisa). E’ un modello che è stato ripreso anche negli Stati Uniti. E’ un ciclo integrato di rifiuti e Loreto cer-cherà di carpirne le informazioni mi-gliori magari tramite una visita. Fino ad adesso abbiamo raggiunto il 65% della raccolta differenziata. E noi sia-mo molto soddisfatti di questo risul-tato. Alcuni comuni hanno raggiunto l’85% ma attraverso una ‘costrizione’, ossia i cittadini sanno che il lunedì devono mettere fuori il giallo, il mer-coledì la carta. Ciò non è nell’essere umano, l’evoluzione avviene quando l’essere umano lo fa in modo natura-le. Abbiamo scelto i vecchi cassonet-ti, abbiamo iniziato un progetto con la Pro.Loco attraverso un percorso all’interno delle famiglie. Le famiglie sono libere di gettare i propri rifiuti in qualsiasi momento e non aspetta-re il giovedì dopo. Con i cassonetti i

costi sono minori, c’è un solo opera-tore che preleva i rifiuti e poi li divide nelle microisole. Il nostro obiettivo è stato ed è volto all’educazione, abbia-mo voluto educare le persone no per il comune ma per loro stessi e per il loro futuro. Puntiamo anche molto sulla scuola, l’educazione deve inizia-re da lì. C’è una persona che stimo molto, il professor Ziarelli Luciano, il quale diceva sempre: ”La scuola deve assolutamente insegnare a vivere. Quindici anni di scuola sono suffi-cienti per educare le persone”.

La partecipazione dei cittadini è sem-pre un elemento importante per la ri-uscita delle politiche urbane. La città di Loreto ha cercato di sperimentare strumenti particolari per il loro coin-volgimento o se cercherà di farlo? Noi nella raccolta differenziata con tanti ragazzi abbiamo suonato tanti campa-nelli, a tappeto per il quartiere provvi-sti di stand informativo. L’importante è stato spiegare come funzionava il servizio, che quando terminano i sac-chetti possono andare alla Pro.Loco e tante altre informazioni. All’epoca si iniziò la raccolta porta a porta proprio per fa si che tutti differenziassero cor-rettamente, che ci fosse un monito-raggio continuo -anche se poi capita di vedere gente che butta i pannolini nell’umido o altro-. Succede anche da noi. E’ per questo che abbiamo introdotto delle figure ambientali che educano, ma dove occorre sanziona-no anche. Con l’avvento della Tares, il costo del servizio è a carico dei cittadini, dipende dalla suddivisione della tipologia di attività. Una pizze-ria ovvio che produce più rifiuti di un avvocato che al massimo getta carta che poi è riciclabile. Chi conferisce di meno, verrà premiato. Il costo viene pesato. Dovremmo cercare di evitare

la confezione con troppi imballaggi, come abbiamo detto prima la scelta migliore sarebbe quello della distribu-zione tramite i dispenser. E per quan-to riguardo i prodotti alimentari co-siddetti a km 0? A volte si vedono nei supermercati i kiwi del Chile quando c’è una grande produzione a San Fir-mano. Noi siamo i primi produttori di kiwi al mondo, è che a volte per avere i banconi pieni si preferiscono quelli di altrove. Bisogna incentivare i prodotti a filiera corta, nel super-mercato dobbiamo trovare prodotti locali. L’Amministratore delegato del Gruppo Gabrielli ha appunto iniziato un rapporto con le aziende locali. Noi potremmo creare un protocollo: chi compra i prodotti locali otterrà uno sgravo fiscale. Prima mi ha parlato del suo disaccordo nel mettere i pannelli fotovoltaici nei terreni, ma non crede che uno lo faccia per occupare a vol-te un terreno che non viene più col-tivato, perché ci sono pochi giovani che continuano quello che facevano i loro nonni o padri. Bisogna pensare ad una nuova agricoltura. Noi dobbia-mo anche ringraziare le Opere Laiche che stanno concedendo le loro terre perché vengano coltivate dai giovani. Dobbiamo accorciare la catena, chi coltiva la propria terra deve ottenere il giusto guadagno. Attraverso delle strutture nei territori. Si deve stabilire da subito quanto costeranno i prodot-ti e quale sarà il loro effettivo introito.

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PERSONAGGI

di Paolo Onofri - foto fornite dall’autore

Bruno Grandinetti è stato un grande fotografo, testimo-ne della nostra comunità dal 1950, anno in cui ini-

ziò la sua attività a Potenza Picena, dove era nato il 10 Marzo del 1930. Luoghi, personaggi ed avvenimen-ti sono stati immortalati dalla sua macchina fotografica e conserva-ti con certosina pazienza e saggez-za, costituendo oggi materiale in-dispensabile per ricostruire la sto-ria civile e sociale della nostra co-munità degli ultimi cinquant’anni. Bruno Grandinetti ha inoltre docu-mentato tutte le opere d’arte, i mo-numenti, le Chiese, le istituzioni di

L’IMPEGNO CIVILE OLTRE L’IMMAGINE

DIECI ANNI FA MORIVA BRUNO GRANDINETTI, GRANDE FOTOGRAFO, TESTIMONE DELLA COMUNITÀ MONTESANTESE, INTELLETTUALE DI ESTRAZIONE POPOLARE, ESEMPIO DI IMPEGNO CIVILE A FAVORE DELLA STORIA, TRADIZIONE, CULTURA E PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE DI POTENZA PICENA.

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PERSONAGGI

Potenza Picena. Non è stato solo un grande fotografo do-cumentarista ed artista della macchina fotografica; era an-che un intellettuale di estrazione popolare, profondo co-noscitore della nostra tradizione, cultura ed arte, esempio di militante dell’impegno civile a favore della comunità. Ho conosciuto Bruno Grandinetti durante una del-le più belle “battaglie” di impegno civile e culturale che si sono svolte a Potenza Picena nel 1982. In quel periodo si era costituito un comitato che si propone-va l’obiettivo di far riaprire il Teatro Comunale “Bruno Mugellini”, chiuso dal dicembre 1970 per inagibilità. Bruno faceva parte all’epoca dell’associazione ambientali-sta “Potenza Picena Città e Territorio”, che insieme al Cir-colo Culturale “Luigi Petetti” al Centro Culturale “Teorema” e alla Sezione “F. Margaritini” del PCI di Potenza Picena avevano raccolto tra i cittadini 1604 firme a sostegno della proposta di riapertura del Teatro. Questa grande “battaglia” di impegno civile e culturale si è conclusa nel 1990, con la

riapertura del Teatro, riconsegnato alla città dopo un lun-go restauro. In questa iniziativa Bruno si spese in prima persona, sia raccogliendo le firme, ma in particolare met-tendo a disposizione il suo archivio fotografico riguardante il Teatro, per sensibilizzare maggiormente la cittadinanza. Aveva iniziato ad occuparsi della salvaguardia e della va-lorizzazione del nostro patrimonio storico ed artistico mol-to tempo prima, promuovendo insieme ad altri, la nascita dell’Associazione culturale ADOAP (Associazione Difesa Opere d’Arte Potentine), che organizzò nel 1971, in occa-sione del centenario della nascita del musicista potentino Bruno Mugellini, presso i locali dell’asilo nell’ex Monastero delle Benedettine, una grande mostra fotografica sulle ope-re d’arte, i monumenti e le Chiese di Potenza Picena, espo-nendo in prevalenza materiale del suo archivio. Questa As-sociazione ha svolto per diversi anni un ruolo importante di sensibilizzazione, in particolare tra i giovani del luogo, che hanno imparato a conoscere la propria realtà e ad amarla.

Ho avuto modo di conoscere più direttamente Bruno Grandinetti solo nel 1996, frequentando il suo studio foto-grafico, scoprendo le sue qualità, la sua grande umanità, la sua cultura, il suo coraggio civile nella difesa del nostro patrimonio storico ed artistico. In quel periodo, dopo l’e-lezione a Sindaco di Potenza Picena di Mario Morgoni, avvenuta nel mese di maggio del 1995, si sono create le condizioni per affrontare nodi storici della realtà di Po-tenza Picena, trascurati per molti anni, come il recupero e la valorizzazione dei sotterranei di S. Francesco, della Chiesa di S. Caterina e di quella di S. Agostino, con il suo straordinario organo da “sala”, della porta di Galizia-no, dell’antico sipario del Teatro Comunale “B. Mugellini” e delle antiche fonti, in particolare quella di Galiziano. Tutte queste tematiche hanno visto Bruno Grandinetti in prima fila, anche se non più giovanissimo, lottare insieme agli amministratori e ai tanti volontari che si sono impe-gnati per dare concretezza a questi recuperi. Bruno ha aiutato a ripulire materialmente i sotterranei di S. Fran-cesco, documentando fotograficamente tutto il contenuto (in questa circostanza sono stati ritrovati dei veri e propri “gioielli” antichi, come il carrettino dei pompieri degli ini-zi dell’Ottocento, l’antico orologio della Torre Comuna-le, un Sommaruga risalente al 1887, l’antica porta vetrata di accesso alla platea del Teatro Comunale “B. Mugelli-ni” risalente al 1862, la targa del Touring (TCI) degli inizi del Novecento). Parte di questi “gioielli” successivamen-te è stata anche restaurata. Lo stesso impegno ha messo quando si è trattato di liberare sia la chiesa di S. Caterina che quella di S. Agostino, dove ha fatto apprezzare l’im-portante organo da “sala” che era abbandonato in que-sta struttura, successivamente individuato dagli studiosi Paolo Peretti e Fabio Quarchioni come opera di Giovan-ni Fedeli di Rocchetta di Camerino, costruito nel 1757. Durante la pulizia della cantoria, sotto l’organo, Bruno ha ritrovato anche un’antica daga, arma bianca in do-tazione alla locale Guardia Nazionale fino al 1876. Per quanto riguarda S. Agostino lui, insieme ad altri, è sta-to tra i promotori di un Comitato che chiedeva il recu-pero e la valorizzazione di questa importante struttura. Non si tirava mai indietro, e se molte di queste bat-taglie di impegno civile si sono concluse con dei suc-

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PERSONAGGI

cessi, molto si deve proprio alla sua coerenza e al suo impegno. Le sue foto sono state sempre utilizzate per sensibilizzare l’opinione pubblica di Potenza Picena sul-la necessità di questi recuperi. Ho avuto il piacere e l’onore di organizzare o curare le tre mostre persona-li fotografiche che Bruno ha fatto a Potenza Picena. La prima, organizzata dal 14/12/1996 al 6/1/1997, in col-laborazione con la Biblioteca Comunale (curatore Roberto Marconi, allestimento scenico Stefania Giorgetti e Luca Ca-restia), ospitata nei corridoi della struttura, dal significativo titolo “Ignoti sulla bocca di tutti”, una carrellata di perso-naggi del luogo, trattati con grande umanità e sensibilità dall’obiettivo di Bruno Grandinetti ha riscosso un grande successo di pubblico, con oltre 1200 visitatori (sono sta-te esposte 71 foto). In quella occasione Bruno, il giorno dell’inaugurazione, volle far dono al Comune di Potenza Picena, per la sua Biblioteca, di una rara pubblicazione sul metodo teorico-pratico per lo studio del pianoforte di Bruno Mugellini, che lui aveva acquistato a Firenze du-rante il suo soggiorno in terra toscana, per seguire i corsi di fotografia presso l’Istituto Statale d’Arte “Porta Roma-na”. Bruno era fatto così, non chiedeva mai niente per sé, lui dava sempre qualche cosa alla nostra comunità. Questa mostra di personaggi, visto il grande successo, ebbe un seguito nel 1997 (dal 9 al 31 agosto) con la se-conda edizione ampliata con altre 44 foto, portando il to-tale a 115, a cui hanno collaborato Gianfranco Morgoni, Natale Fratta e Edmondo Carestia, tenutasi questa volta, per espressa volontà di Bruno, nei locali dei sotterranei della Chiesa di S. Francesco, che erano stati da poco ri-puliti ma non restaurati, e dove addirittura non vi erano il pavimento e l’impianto elettrico. Era il segnale che questa struttura antica poteva essere recuperata e utilizzata come sala mostre e riunioni, cosa che è avvenuta successiva-mente nel 1999, intitolandola al Prof. Umberto Boccabian-ca, grande pedagogista, figura riscoperta grazie a Bruno. Anche in questa circostanza volle farsi promotore nell’am-bito della mostra, che ha riscosso un grande successo di pubblico, della raccolta di fondi per il restauro di un quadro molto caro alla nostra comunità, il S. Emidio di Benedetto Biancolini, in occasione del bicentenario della morte del pittore a cui successivamente è stata intitolata la Pinacoteca, che si trovava in pessime condizioni e dove è presente il putto che sorregge Monte Santo in una raffi-gurazione della fine del Settecento. Grazie anche a questa iniziativa, sono stati raccolti 2.000.000 delle vecchie lire, il quadro e la cornice sono stati successivamente restaurati, e oggi il dipinto è esposto nella Sala “Antonio Carestia” della Giunta Comunale nel Palazzo Municipale. L’ultima mostra di Bruno Grandinetti che ho curato è stata quella del 2002, dal 27 Aprile al 19 Maggio, una anno prima che morisse (è morto il 12 Luglio 2003), dal significativo titolo “Nel passato il nostro futuro – alla ricerca di una identi-tà”, allestita nei locali ristrutturati del Palazzo Comunale. Sono state esposte 155 foto, tra le più significative del suo archivio, e grande è stato il successo di pubblico, con oltre 1000 visitatori, compresi molti ragazzi delle Scuole Elementari e Medie di Potenza Picena. Anche in questa circostanza Bruno colse l’occasione per lanciare alcuni messaggi importanti alla cittadinanza, come la necessità di recuperare la Fonte di Galiziano, che è stato il logo della

mostra, la salvaguardia degli affreschi Settecenteschi del Teatro Aurora, che rischiavano di essere distrutti; inoltre, promosse nell’ambito della mostra una raccolta di fondi per il restauro della pompa antincendio R. Czermack in dotazione al corpo municipale dei pompieri di Potenza Picena, risalente agli inizi dell’Ottocento, raccogliendo 774,70 €. Anche questi obiettivi sono stati raggiunti grazie a lui: il carrettino dei pompieri, con i soldi raccolti durante la mostra è stato restaurato, gli affreschi del teatro Aurora sono stati vincolati dalla Soprintendenza di Urbino, e il Comune di Potenza Picena ha programmato il restauro e la valorizzazione della Fonte di Galiziano, insieme a quel-la della Concia. Questo è stato Bruno Grandinetti, non solo un grande fotografo ma un grande uomo, un esempio di impegno civile da imitare.Il 6 luglio 2007 è stata inaugurata la Fototeca Comuna-le, intitolata a Bruno Grandinetti, ospitata nei locali della Chiesa di S. Caterina d’Alessandria.

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CRONACA TRISTE

Negli ottantotto anni in cui la Congre-gazione salesiana, chiamata nel 1924

dai Conti Lucangeli, ha guida-to l’oratorio e la Parrocchia del Preziosissimo Sangue di Porto Recanati, ha promosso la for-mazione di “buoni cristiani e onesti cittadini” – secondo l’in-segnamento di San Giovanni Bosco – e di una solida comuni-tà capace di affrontare avversità

come quelle che si sono susse-guite nell’ultimo anno. Prima i lunghi mesi di inagibilità della Chiesa a causa delle precarie condizioni del tetto; poi, nel giugno 2012, il fulmine a ciel sereno della decisione presa dalle alte sfere di lasciare Por-to Recanati e, ultimo ma non ultimo, il mattino del 13 mag-gio scorso, l’evento più triste che avrebbe potuto essere una vera tragedia: il crollo del tetto

del Cinema Teatro Adriatico. La vista delle macerie dall’interno è stata straziante per chi vi ha vissuto gli anni dell’infanzia e l’adolescenza, come se solo ora ne segnassero davvero la fine. Il pensiero è volato alle parole condivise con lo Specchio Ma-gazine da Camillo Casali, che chi scrive ha incontrato per rac-coglierne la testimonianza ne-cessaria alla scrittura di questo articolo. Camillo all’oratorio ci

di Eleonora Tiseni

“UN PEZZO DI PARADISO SU QUESTA TERRA”

I SALESIANI HANNO LASCIATO PORTO RECANATI DOPO 88 ANNI DI PRESENZA IN CITTÀ. L’ABBIAMO GIÀ LAMENTATO, MA TORNIAMO SULL’ARGOMENTO PERCHÉ SOLLECITATI DAI GIOVANI DI IERI E DI OGGI, NON ANCORA RASSEGNATI DI FRONTE A UNA SCELTA CHE NON È PIACIUTA A NESSUNO. E QUESTO, AI SALESIANI, BISOGNA PUR DIRLO.

Anni ‘30 salesiani e oratoriani

intorno al vescovo di Recanati-Loreto, Aluigi Cossio.

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CRONACA TRISTE

è praticamente nato. Aveva un anno, infatti, quando nel 1928 vi fu portato per la prima volta da suo zio, l’indimenticato Don Antonio Fanesi, un giovanotto non ancora diventato sacerdote. Camillo ha raccontato che tra le attività preferite dai ragazzi c’e-ra il teatro, con le rappresen-tazioni di filodrammatica e le operette: “Ci divertivamo tan-tissimo, più degli spettatori. Non c’era ancora il cinema, e face-vamo una recita ogni quindici giorni, preparavamo drammi, riviste e commedie, eravamo 5 o 6 a seconda dei personaggi, mentre per le operette arrivava-mo anche ad essere una trenti-na e partecipavano anche le ra-gazze nonostante l’oratorio fos-se ancora solamente maschile. Si preparavano dalle suore poi ci raggiungevano e studiavamo canto e musica insieme a Don Giulio Pifferi, che suonava il piano ed era un bravo maestro e musicista.” Questo succedeva

prima della guerra, poi ci fu la stagione degli anni Cinquanta e Sessanta, quando i ragazzi, ormai uomini, misero a dispo-sizione dell’oratorio tempo e braccia per migliorarne le strut-ture: “Dove oggi c’è il campo di pallavolo, prima c’era un orto curato dai sacerdoti; il pavi-mento invece – continua Casali – l’abbiamo spianato noi ragaz-zi, la sera. Eravamo io, i fratelli Torregiani, Marconi, Cittadini, Cingolani, Flamini, Mitillo. Per quanto riguarda il teatro, ab-biamo costruito le scene, il si-pario e le quinte, con i chiodi e le bollette che raddrizzavamo noi perché i soldi non c’erano. Le scene le realizzammo con la carta dei giornali e con quella dei sacchi della Cementi che at-taccavamo con la colla. Abbia-mo usato questi sacchi e la colla anche per creare gli stivali ne-cessari alla messa in scena de “I tre moschettieri”, ma poiché si aprivano ad ogni movimento

urlavamo: “Romolo (Cingolani, ndr), ci servono le mollette!” I soldi all’oratorio sono arriva-ti dopo, grazie alla generosità delle donne dei pescherecci e di quelle che vendevano le tele, le cosiddette “telarole”. Con il Concilio Vaticano II, sono ar-rivate anche le ragazze. Una delle prime fu Maria Teresa Zaccari, con sua sorella Rosina, Giovanna Matassini e Marilisa Giri. Direttore dell’oratorio di allora era don Giancarlo Manie-ri, arrivato a Porto Recanati an-cora molto giovane e con idee “rivoluzionarie”. “Giocavamo a basket con le allieve dell’A-driatica femminile – racconta Maria Teresa -, poi nel 1965 nacque il Gruppo Scout, ma non vi ho aderito subito perché facevo parte di quello formato dal direttore, Nuova Genera-zione, con altri ragazzi e ra-gazze tra i tredici e i quindici anni. La domenica andavamo alla Pia Casa Hermes di Lore-

Il campetto di calcio dei salesianirimesso a nuovo

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CRONACA TRISTE

to, Gaetano Campolo e Paolo Valente suonavano la chitarra e noi tenevamo compagnia agli ospiti. Negli anni poi quel grup-po si è disgregato e c’è stato chi come me è entrato nell’AGESCI e chi, invece, ha fatto altre scel-te.” Don Manieri, durante gli oltre dieci anni di permanenza a Porto Recanati, dimostrò una profonda capacità pedagogica e contribuì a un forte svilup-po dell’oratorio. “Amava molto le nuove tecnologie, che fanno sorridere se messe a confronto con quelle di oggi, racconta Te-resa. Ci ha fatto divertire inse-gnandoci a realizzare il gior-nalino dell’oratorio e dei cam-peggi; noi preparavamo i testi con una macchina da scrivere che non aveva il nastro, lui ci dava i materiali per i disegni, proiettava sul muro le diapositi-ve che poi noi copiavamo e pas-savamo al ciclostile. Qualche anno dopo abbiamo comincia-to ad andare a Loreto da don Maggi che aveva una copiatrice con il pennino simile a un tor-

nio, che copiava, così potevamo scrivere comunicati stampa, avvisi, disegni, libricini, passa-vamo le serate a preparare i fo-gli dei quaderni. Don Manieri, inoltre, aveva raccolto nel suo studio una biblioteca con libri di psicologia per e sugli adole-scenti per affiancarli nella cre-scita, che potevamo consultare con il suo aiuto. Quelle erano le prime volte che si sentiva par-lare di adolescenza e dei pro-blemi legati ad essa, del vivere insieme maschi e femmine, del-la coeducazione: temi davvero moderni per la Porto Recanati di allora, se pensiamo agli in-sulti che venivano rivolti a noi ragazze quando entravamo e uscivamo dai salesiani.” Nelle parole di due giovani donne di oggi, Francesca Grilli ed Elena Vecchi, anche loro oratoriane dalle elementari, c’è il ricordo di esperienze e figure fondamen-tali per la loro formazione spi-rituale e umana. don Giovanni Molinari, don Giorgio Rossi, “il prete di strada, del muretto, che

saliva sul motorino per andare a cercare i ragazzi in difficoltà e che ha trasmesso l’amore per la musica a tantissimi giovani”; don Sidney Stella, “esempio di serenità e amorevolezza”, don Carlo Russo e il mitico don En-nio Borgogna, scomparso lo scorso marzo, “giovane tra i giovani fino all’ultimo istante, ispiratore e sacerdote esemplare con il suo incessante e instan-cabile fare, più che con le paro-le”. Pur diversi nei modi e nella personalità, sono stati tutti por-tatori dello stesso messaggio di fede e di vita, e hanno insegna-to ai giovani a “tenere i piedi per terra ma lo sguardo rivolto verso il cielo”.

Per una storia dei Salesiani a Porto

Recanati,

v. Lino Palanca, “Porto Recanati e

don Bosco”, ed. Cappelletti, Porto Re-

canati 1988

Una delle tante iniziative dell’oratorio salesiano

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FOLK

‘FFÀCCETE DAL BALCONE O BELLA BIMBA …

Lo Specchio folk

GIOSUÈ CARDUCCI PRIVILEGIÒ LE NOTE MALINCONICHE DI UNO STORNELLO A CHIUSURA DELLA SUA RACCOLTA RIME E RITMI (1895): “FIOR TRICOLORE,/ TRAMONTANO LE STELLE IN MEZZO AL MARE,/E SI SPENGONO I CANTI ENTRO IL MIO CORE”. GIACOMO LEOPARDI NE RACCOLSE UNA DECINA NEL SUO ZIBALDONE. E LA CRITICA MODERNA SI ACCORGE CHE LA POESIA POPOLARE PUÒ ESSERE, PAROLA DI BENEDETTO CROCE, “FINISSIMA POESIA D’ARTE”. ALLA BUON’ORA.

Cyrano de Bergérac La scena del balcone in una composizione di Paul-Albert Laurens, 1870-1934

foto: lewebpedagogique

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FOLK

La finestra e il balcone sono tra le presenze più ricorrenti nel corteggia-mento amoroso, che si

tratti di Giulietta Capuleti o del-la ragazza del popolo commos-sa dalla serenata dell’innamo-rato. Lo raccontano anche gli stornelli cantati con lo sguardo rivolto alle persiane schiuse, nell’attesa che la mano di lei accenda la luce, messaggera di un sì lungamente sospirato. Qui offriamo uno scampolo di esempi tratti da una letteratura sterminata, scegliendo gli stor-nelli rimasti più scolpiti nel-la memoria degli anziani, che quelle scene hanno visto da vicino e spesso anche recitato da protagonisti. Ogni stornello è accompagnato da un com-mento. Un avvertimento sul-la lingua di questi versi, quasi tutti raccolti a Porto Recanati: nelle loro performances i nostri vecchi si sforzavano di parlare guzzo, vale a dire che usavano l’italiano come lo conoscevano loro. Ne usciva un dialetto atte-nuato qua e là da forme della lingua nazionale. Molto qua e là.

Me ‘ffàcciu a la fenestra e ‘eggu el maru,tutte le barche le ‘eggu ‘riare,quella de l’amor mia nun vol turnare …

In uno dei Canti del popolo re-canatese, raccolti da Pierfrance-sco Leopardi e stampati a Lo-reto nel 1848, si legge: Levati, bella, da questa finestra, - leva-ti, bella, ch’io voglio passare … (Canto 5). Lo stesso Giacomo aveva segnalato qualche “stor-nello della finestra” nello Zibal-done di pensieri (I, 43 - 1818):

Facciate alla finestra, Luciola, - decco che passa lo ragazzo tua, - e porta un canestrello pieno d’ova - mantato co le pampane de l’uva. Al fascino della fine-stra non si sottrasse Giuseppe Gioacchino Belli la cui Serena-ta, n. 1676 dei Sonetti Romane-schi, inizia: Vièttene a la fine-stra, o ffaccia bbella, / petto de latte, faccia inzuccherata …, con chiara ispirazione alla se-renata in dialetto amatriciano: Affaccete a la fenestra, o fac-cia bella, / naso de neve, bocca inzuccherata, / ch’io te la vojo fà la serenata, / te la vojo sonà la ciaramella. Protagonista del nostro testo è la barca, come in quello, assai simile, dei Canti popolari toscani di Giuseppe Tigri (1856): M’affaccio alla fi-nestra e vedo il mare – tutte le barche le vedo venire – quella dell’amor mio non vuol passa-re. E a Venezia si canta: Tute le barche riva, tute le barche riva – e quela del mio ben no riva mai – Tute le barche mena scarpe e sòccoli – ma quela del mio ben mena garofoli (rac-colto da Manlio Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, 1993). Di finestre che danno sul mare si è occupato anche Giovanni Pascoli, con un incipit dal sapo-re di stornello: M’affaccio alla finestra e vedo il mare: / van-no le stelle, tremolano l’onde … (Mare, Myricae, 1891). Volto lo sguardo in Europa, possiamo scomodare, tra le altre, le ce-lebri scene dal balcone di Sha-kespeare (Romeo and Juliet) e Rostand (Cyrano de Bergérac), e anche una canzone spagno-la molto nota, che fa: Quitate, niña, / de ese balcón, / porque si no te quitas, / ramo de flores, / llamaré a la justicia / que te

aprisione / con las cadenas / de mis amores (Togliti cara / da quel balcone / perché se non lo fai, fiore mio, / mi appellerò alla giustizia / che t’imprigioni / con le catene / del mio amore).

‘ffàccete a la finestra, se ce sai;damme un becchieru d’acqua, se ce l’hai;se nun me lu voi dare, padrona sai …

Anche questo stornello è ricor-dato da Giacomo Leopardi nel-lo Zibaldone, I, 43 - 1818: Nina, una goccia d’acqua se ce l’hai: - se non me la vôi dà padrona sei. Identico contenuto, con lie-vi varianti, si ritrova nei Canti contadineschi osimani di Leo-nello Spada (manoscritto, data imprecisata a cavallo tra il XIX e il XX secolo): Nena,‘na goccia d’acqua si ce l’haj, - si nun me la vôli da’ padrona saj. Con un bel volo nella scala del tempo e dei valori, citiamo pure il sal-tarello monteluponese dove la richiesta del bicchiere d’acqua è singolarmente connessa, con un passaggio illogico, a un pro-blema di denari …: Dammene

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FOLK

un becchiè d’acqua, cara, se ce l’hai, se non me la vò dare, padrona sei, Padrona sei, olà, per in su, per ignó, per in qua, per in là. E se non pigli, non cuci né mpresti, li denari chi te li dà? Se non me la voi dare, cara Ninella, core di mamma, padrona sei (inciso dal gruppo folk “Cantina 90” di Montelupone).

‘ffàccete a la fenestra o ricciulona,dei tua capéj dammene ‘na rama,li metterò a l’urloggiu pe’ catena …

La capigliatura della dama si profila come un al-bero chiomato. Lo stornello è ricordato dal lore-tano Augusto Castellani nelle sue opere: Fàccete a la finèstra, o ricciulóna, /de ssì capéj tua ne vò’ ‘na ràma. Compare anche, a conferma di una si-cura diffusione nel territorio, nel saltarello mon-teluponese: Dei tua capelli ne vorrei na rama pe mette a l’orologio una catena; una catena, olà la rriva la bella, la mamma lo sa. E se la mamma lo coje la fila joppe la ripa la fa caminà. Pe mette a l’orologio, cara Ninella, core di mamma una catena (inciso dal gruppo folk “Cantina 90” di Montelupone).

O bella che te piacene li canti,ffàccete a la fenestra che li senti:ma nun è canti i mia, ènne lamenti.

Stessa versione nei Canti popolari inediti, um-bri, liguri, piceni, piemontesi, latini di Oreste Marcoaldi (1855). In Druso Rondini, Canti po-polari marchigiani (1975), i versi sono quattro, i primi due come nella versione portorecanatese; gli altri due: … non sentirai né toni né lampi, - soltanto sentirai i miei lamenti. Mi piace di più il nostro testo. Rivolgersi all’amata chiamandola non per nome, ma con l’aggettivo bella era vez-zo antico, si veda la Isplendiente / stella d’albore .., di Giacomino Pugliese (XIII sec.): … or ti ri-membri, bella, la dia …; si ricordi altresì il belle amie, amor mio, comune nei poemi medievali di Thomas e Béroul (Tristan et Yseut) o di Marie de France (XII secolo), espressione importata da molti autori in Italia.

‘ffàccete dal balcone o bella bimba,per fa’ l’amore al sole cu’ la tendace vurebbe el mantu de Grulinda …

La Grulinda di cui si evoca il manto è, secon-do alcuni, Grolinda, strega nordica; va ricordato che nell’immaginario popolare il mantello del-le streghe conferiva poteri magici. A me pare, però, che sia più veritiera l’ipotesi che porta su Clorinda, l’eroina della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Lo prova lo stornello toscano raccolto da Giuseppe Tigri: Facciati alla fine-stra o bella bimba – e per pararci il sol ci vuol la tenda – vi ci vorrebbe il manto di Clorinda. Nel libro VI, ottava 82, Tasso fa dire a Erminia, con riferimento a Clorinda: A lei non tarda i passi il lungo manto.

ffaccete a la fenestra, musu neru,te credi de spusà un marinaru?Tu nu’ lu pij, lu digu daeru!

Testo identico, dialetto a parte, a quello di An-tonio Gianadrea nei Canti popolari marchigiani (1875). L’evocazione del marinaru è sicura ope-ra di una ragazza marinara, che ritiene il massi-mo della condizione sociale sposarne uno (non un artieru oppure uno sciabbegottu); le ragazze marinare cantavano: ‘ale più un marinaru in ca-migiòla /ch’un artieru cu’ la giubba d’oru.

ffaccete a la fenestrao musu sfrantu > (piagnucolone, frignone)del bè mia cunosce el sentimentutu pagheme la cenach’iu te amu tantu.

Una versione molto vicina era cantata in teatro da Ettore Petrolini e nelle osterie dal sor Ca-panna; è riportata in Petrolini, Macchiette lazzi colmi e parodie, a cura di Giovanni Antinucci (1994).

(questo articolo è un’anteprima, gentilmente concessa, del volume di Lino Palanca “Le undici di notte e l’aria oscu-ra”, alle stampe)

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POESIA

GABRIELLA PAOLETTI, ADDIO DEL PASSATO

QUESTI VERSI DI GABRIELLA PAOLETTI SONO SGUARDI D’AMORE ALLE PERSONE E AI LUOGHI AMATI, RIVISSUTI COL RIMPIANTO DI NON AVERNE FORSE GODUTO ABBASTANZA. TRE GIOIELLI DA INCASTONARE E CONSERVARE GELOSAMENTE, COME LO STUPENDO DISEGNO DI LUCIANA INTERLENGHI

A MERIGGIA MIA (primo premio “Festival del dialetto” VARANO 2005)

U sole a matina ncò ’mmollo de mare ma porta ‘nnocente e fresca de cuna. Pe tutto u giorno a lassa fa cò je pare e.. gentilomo de sera a lassa ma luna. E’ come n’amica- n’amica… de velo che zitta e lezziera me camina vicina. Ma a lia je piace solo a luce der cielo: e no quella fenta che fa a lampadina. Saluto ‘n cristià pure lia arza u braccio. Se sto a ma piegate è preferita da Dio. Sporvero anche lia a vedi cu straccio. Se sciucca u sudore propio come fo io. Se ccojo ‘na rosa anche lia fa lo stesso. Se ‘cchiappo e farfalle cure in allegria. Se scrivo su muro ca scheja de gesso me rpassa e parole e je dà più poesia. Se ballo cò a scopa o fo l’apparecchio se fo girotonno come ‘na bardasciòla lia me ripete tutto come fa u specchio. Cuscì trasparente e peccato non vola! . Na vo’ ho svortato e spalle a ‘n puretto. Ero stracca acida mango io so perché! Lia s’è staccata facenno ‘n zompetto e ‘ntra saccoccia je c’ha meso ‘n suché. Non è-Signore -che hi scoperto cos’è? Se te ne va dimmelo e sennò pacienza! Vordì che sarà pe sempre quello suché solo ‘n segreto fra meriggia e cuscenza!

NA PUESIA A REVERSA (primo premio “Voci nostre” Ancona 2010)

Su fonno du baule jò a radente ‘ntra u libbretto mia da terza c’ho ttrovato ‘na carta ‘ssorbente cò e parole sciuccate a revèrsa.

Era e prime frasette mia belle scritte a notte che a luna piagnìa. Era ‘lle lagreme sgrizzi de stelle e...... io ‘ncriavo cuscì ‘na puesia.

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POESIA

Ma sarrà.....stata a dettàlla siguro quella pennazza de seta slavata che se mette u tralùme de scuro quanno smòre ‘na bella giornata.

Du o tre versi de rima baciata che me sdingolava come l’onne e me portava ‘ntra l’aria ‘nfatata i stornelli de babbo ‘ntre fronne.

E io ‘mbriaca de ‘lla primavera l’avìo scritta per poté dì ma Dio che ‘llu respiro sua quella sera l’avìamo ‘nteso solo a luna e io!

E.... ecchete allora che me ‘rriava tutto u profumo bono du creato. E come ‘n par d’angioli slalava me parìa da sentì cioffi de fiato.

Quanno ‘na pace è fatta de niente mango cu tempo potrìa jì spersa. Pprofitta pure de ‘na carta ‘ssorbente cò ‘ lla magia de parole a reversa!

Babbo cuccio sotta a ‘n saccocormo de mujche d’annicaminava lento e straccoverso a fine de l’affanni.Allo’ j’ho ditto ‘ncuriositacò putìa pruvà ‘n vecchiettoche guardava arrèto a vitae ha resposto ‘n po’ fiacchettoche u campà è solo ‘na cosa:è rampinasse cò doloresoppe u gammo de ‘na rosa pe ‘rrià a ‘nnasà l’udore.Te scuppèlli te ce sgramite ce sfrigi e u sangue scola.Preghi smoccoli odi e ami.E intanto u tempo vola.E ‘lli spi che pure picca

pare solo ‘na gnuella.Dendro a pella te se ficcama a ferita se sgancella.Nun te staccheresti maida llu ramo de dulore.Po’ de bbotto nun ja fai!Pure Dio c’ha u crescecorea duvé dà ‘lla sbracciatape ‘lluccatte ch’è fenita.Tu te rgiri e vedi a vitapogo più che ‘na slalata.Na gnottita de mago’‘na sbigiata de ‘na goccia‘na sventata su porto’‘na tarpata de saccoccia.E prima anco’ che c’hi capitote se surpa l’infinito.

TE SE SURPA L’INFINITO (primo premio “Il trebbo” A Riolunato Modena 2008)(primo premio “Biagino Casci” Ostra Vetere 2008)

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POESIA

CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA«CITTA’ DI PORTO RECANATI»

XXIVEdizione 2013

Col Patrocinio del Comune di Porto Recanati e la Regione Marche

Art. 1 – Il Poeta invierà una sola poesia a tema libero. L’organizzazione tuttavia consiglia di trattare

tematiche sulla disabilità, sulla solitudine degli anziani, sui “nuovi poveri”, sugli extracomunitari, sugli

eventi climatici ecc., affinché si rifletta sulla condizione esistenziale dell’uomo, ideazione che portò

all’istituzione del Premio «Città di Porto Recanati» quasi 30 anni fa. Comunque sia, il tema vuole essere

solo indicativo. La poesia inviata, che non dovrà superare i 35 vv potrà anche essere stata edita, ma che

non abbia mai vinto il primo premio in altri concorsi. L’originale riporti: Nome e Cognome dell’autore,

indirizzo e indicazione dell’email e la dichiarazione: «Dichiaro d’essere l’autore dell’opera inviata al

concorso».

Art. 2 - La Giuria, composta da quattro elementi, sarà resa nota il giorno della premiazione, stilerà

una graduatoria di tre Vincitori dei premi in denaro e di altri meritevoli sino al 10°. La Giuria, a suo

insindacabile giudizio, deciderà di premiare quei poeti che, con l’impegno culturale e la propria

testimonianza di vita, hanno contribuito a superare una condizione esistenziale difficile, o rendendola

addirittura fonte di ispirazione.

Art. 3 – I Premi in denaro sono:

1° Classificato 500 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.

2° Classificato 300 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.

3° Classificato 200 euro, Targa o Trofeo e Pergamena.

Art. 4 – La poesia dovrà essere spedita entro il 31 luglio 2013 (farà fede il timbro postale di spedizione)

in quattro copie, per posta ordinaria al seguente indirizzo: Prof. Renato Pigliacampo C/o Concorso

Internazionale di Poesia «Città di Porto Recanati», XXIV Edizione 2013 Casella Postale n. 61 - 62017

PORTO RECANATI (Macerata). Solo la copia originale riporterà i dati. La poesia potrà essere inviata

anche per email a Pigliacampo a: [email protected]

Il concorrente è tenuto a versare la quota d’iscrizione di 20 (venti) euro sul conto corrente postale n. 29

68 76 21 intestato a Renato Pigliacampo c/o Casisma, o tramite altra modalità a scelta del partecipante.

La somma è a disposizione del monte-premi.

Informazioni. La data della premiazione, che avverrà a Porto Recanati, è prevista nella seconda decade

di settembre 2013. I Vincitori dei premi in denaro avranno comunicazione scritta del giorno, dell’ora e del

luogo della cerimonia. Le migliori opere saranno (probabilmente) raccolte in un volumetto. Si chiede

la cortesia di diffondere il Premio nei media e tra gli amici interessati. Grazie.

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RECENSIONI

Nascono da casi reali le storie di Leggere per Cambiare, giovane casa editrice marchigia-na, non a pagamento, che pubblica libri per il progresso personale. Sono esempi

di possibilità, cambiamenti, questi scritti, da usare quasi come manuali per procedere nella Vita consa-pevolmente, per superare i limiti di ciò che sembra prestabilito, per vincere i pregiudizi e, soprattutto, per raggiungere l’obiettivo di riconoscere le proprie potenzialità e trasformarle in azione concreta.È Anna Capurso, terapeuta-scrittrice ed editore di Leggere per Cambiare, l’ideatrice di questa nuova li-nea editoriale, intenzionata a rendere fruibile a quan-te più persone possibile la sua lunga esperienza pro-fessionale. A sancire l’efficacia di questo approccio è arrivato il III Congresso Internazionale di Medicina Biointegrata, organizzato dall’IMEB (Istituto di riferi-mento per questo tipo di medicina), che ha invitato la Capurso a relazionare su “La svolta innovativa del-la sinergia libro-rimedio naturale”. I libri di Leggere per Cambiare sono stati riconosciuti, quindi, come un supporto per il benessere di adulti e bambini, anche in associazione con le cure naturali. In particolare, le “Fiabe per guarire”, di cui sono sta-te appena pubblicate le prime due, con il loro stra-ordinario personaggio, l’ondina Aylin, “che aiuta i bambini”. Si tratta di fiabe allegre e divertenti che celano doni inaspettati, come quello di favorire la cooperazione tra genitori e bambini e sollevare da eventuali disagi.Tutto questo senza tensioni, con delicatezza, legge-rezza e, soprattutto, col sorriso.I soggetti di Leggere per Cambiare sono anche pro-getti educativi - adatti per le scuole di ogni grado, comunità e associazioni di recupero - e soggetti ci-nematografici. Ogni libro reca un potente messaggio di guarigione in grado di attivare dolcemente risorse interiori per risolvere conflitti e disagi profondi. La Coccarda della Migliore, ad esempio, romanzo introspettivo, può aiutare a dissolvere il dolore di un passato molto doloroso; Liam, aiuta a trovare un significato anche in una vita “al limite” offrendo una possibile svolta risolutiva; Chiamami Alex dimostra come trasformare i limiti di una disabilità, come la Sindrome di Down di cui è affetto Alex, il protago-nista, in successo nella vita e soprattutto autonomia e giusta integrazione nel sociale; I lovErasmus è il divertimento che accompagna un traguardo di cre-scita, è la leggerezza di un’esperienza indimentica-bile… leggerezza che non è superficialità perché I LovErasmus è l’Amore dei vent’anni che diventa con-sapevolezza. E poi, la Dimensione Spirituale, con gli

scritti di Dino Marabini - Passaggi e I due dell’Oltre, dove il fondatore della Lega del Filo d’Oro, tramite le sue personali esperienze, conduce, con semplicità, nel mondo della Vita oltre la morte e verso un nuovo riconoscimento delle proprie credenze. Per arrivare alla mascotte di Leggere per Cambiare, il libro con cui la Capurso ha inaugurato la sua Leggere per Cambiare, Ali nel Cielo, una raccolta di liriche e meditazioni, un libro spirituale ma non religioso per-ché ogni lettore, qualsiasi sia il nome della sua Fede, riconosca nelle parole il messaggio più vibrante per gioire attraverso la sua Anima e realizzare “la Via del Cuore”. Nel sito della Casa Editrice www.leggerepercambiare.com i dettagli di ogni Opera, le proposte culturali, i progetti, gli appunta-menti e, soprattutto, fresche di stampa, le avventure di Aylin e dei i suoi fantastici personaggi.

A CHE COSA SERVE LEGGERE? ANCHE A CAMBIARE LA VITA

Lo Specchio Libri

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RECENSIONI

L’edizione 2013 del Sa-lone Internazionale del Libro di Torino dello scorso maggio è stata

l’occasione per presentare al pubblico il volume “Il Politti-co di Lorenzo Lotto a Recana-ti”, curato da Vittoria Garibal-di, Marta Paraventi e Giovanni Carlo Federico Villa, edito da Antiga Edizioni. Si tratta di una pubblicazione che cronologica-mente costituisce l’ultima tappa del progetto “Terre di Lotto”, che negli scorsi due anni ha ot-tenuto il coinvolgimento di nu-merosi enti e istituzioni, a ini-ziare dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici delle Mar-che e della Regione, tutti impe-gnati in un ampio programma di attività finalizzato alla tutela, al restauro e alla valorizzazione della produzione artistica riferi-ta a Lorenzo Lotto.

Il volume concentra la sua attenzione sugli interventi per il restauro del Polittico di San Domenico e della Trasfigura-zione di Cristo, opere entrambe custodite a Recanati. E’ possi-bile così conoscere nel detta-glio le tecniche impiegate dai restauratori per restituire tutta l’originalità dei dipinti, portan-done alla luce non solo gli esat-ti contorni e le sfumature, ma pure le innumerevoli partico-larità legate ai procedimenti di realizzazione e ai materiali usati

da Lorenzo Lotto. Non meno ri-levanti i risultati delle indagini riguardanti i precedenti restau-ri, così come gli effetti provo-cati dalle non sempre adegua-te condizioni di conservazione delle opere. Accanto a queste pagine, ricche di informazioni anche sulle tecnologie impiega-te per lo studio delle caratteri-stiche dei due dipinti, il volume di Garibaldi, Paraventi e Villa ripercorre le principali vicende storiche su Lorenzo Lotto (vedi la richiesta, nel 1506, dei dome-nicani di Recanati di un contri-buto da parte del Consiglio dei Priori per un dipinto da desti-nare all’altare maggiore della loro chiesa), cui si unisce un appassionato ricordo di Pietro Zampetti, certamente il più im-portante studioso dell’arte nel-le Marche e in particolare delle opere dell’artista veneziano.

In questa maniera “Il Politti-co di Lorenzo Lotto a Recanati” allarga la propria platea, come sottolinea Pietro Marcolini, as-sessore ai Beni e alle attività culturali della Regione Marche, a “tutti coloro che credono nel coordinamento e integrazione delle attività dello Stato, del-le Regioni, dei Comuni e nei grandi eventi non effimeri e fini a se stessi, ma con ricadute per-manenti sul territorio”. Gli stes-si che non possono mancare una visita al Museo civico Villa

Colloredo Mels di Recanati per ammirare i capolavori di Loren-zo Lotto e non solo.

V. Garibaldi, M. Paraventi e G.C.F. VillaIl polittico di Lorenzo Lotto a RecanatiCrocetta del Montello (TV), Antiga Edizioni, 2013pp. 163, s.p.i.

CAPOLAVORI APPENA DIETRO L’ANGOLO.

CHI SE NE È ACCORTO?di Vincenzo Oliveri

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RECENSIONI

L’orgoglio di Roma, do-minatrice e madre di popoli, e dei suoi figli, che hanno respinto An-

nibale, e mille altri pericoli, in un racconto avvincente in cui i protagonisti veri sono l’amore per il proprio territorio e le pro-prie radici..

Con il suo secondo romanzo, edito da Controvento Editrice, Fiorenzo Bordi si ripropone ai lettori con temi a lui cari e che prendono in considerazione la storia del territorio in cui vive.

Lo scrittore, che risiede a Montecassiano, si è già cimen-tato con il suo libro di esordio, Il Segreto di Melissa, (Ediz. Con-trovento Editrice), in una storia ambientata nella provincia ma-ceratese che prende le mosse dagli anni della seconda guerra mondiale. Questa volta, però, la conoscenza e lo studio che egli ha approfondito dei luo-ghi che descrive ci riportano ad un’epoca lontana e ci immergo-no in un periodo storico in cui la vita e gli ambienti nei quali essa si svolgeva erano molto di-versi da oggi. Tutto è cambiato: la struttura e l’organizzazione sociale, i costumi e le abitudini della gente, la cultura e i punti di riferimento, la sistemazione logistica e ogni altra cosa cui possiamo rivolgere il nostro pensiero.

Basterà riflettere sulle diffi-coltà dei collegamenti e sull’as-senza di una viabilità idonea a favorirli e non soltanto perché di fatto esistevano ben poche e scomode strade, ma anche a causa dei rischi che si correva-no a percorrerle. Non era solo un problema legato a fenome-ni di brigantaggio, ma anche al fatto che nella nostra regione vi erano diverse popolazioni loca-li, spesso in conflitto tra loro, come i Piceni e gli Umbri (che occupavano un territorio ben più esteso dell’attuale Umbria), ed anche provenienti da altre aree geografiche, come i Galli Senoni e i Romani, che si erano stabilmente insediati sul territo-rio.

A questi si aggiungano coloro che vi transitavano, con deside-ri di conquista o anche soltan-to perché di passaggio, come avviene nel romanzo di Bordi, che descrive i movimenti degli eserciti cartaginesi, il cui scopo è la conquista di Roma. Diverse, dunque, le culture che si incon-trano e, se proprio vogliamo cogliere un elemento comune a tutte queste genti, lo potremmo forse trovare soltanto nell’arte della guerra, che costituiva in-dubbiamente un elemento ine-ludibile per tutte e che obbli-gava ogni popolazione, pena la propria sopravvivenza, ad adot-tare regole e discipline tese a

formare dei buoni eserciti, fatti di soldati forti e sprezzanti del pericolo.

Tornando a parlare del ro-manzo di Fiorenzo Bordi ci accorgiamo, però, che ciò che egli ha a cuore di raccontare, e che certamente non riguarda le popolazioni di passaggio, è l’at-taccamento al proprio territorio, alla propria storia e alle proprie radici, valori che si esprimono in modo esemplare attraverso le vicissitudini del protagonista principale. Recine è il più im-portante riferimento territoriale della vicenda.

Si tratta di un antico insedia-mento romano, risalente pro-prio al periodo della seconda guerra punica, sorto verosimil-mente proprio per soddisfare l’esigenza di offrire un compen-so ai veterani della guerra, che

NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS … *

di Anna Maria Ragaini

Fior

enzo

Bor

di

€ 15,00

Alfio Cassio, centurione dell’esercito romano in una piccola guarnigione delle terre picene, conduce la sua personale cac-cia ad Annibale, il condottiero cartaginese sceso dalle Alpi per conquistare Roma. Lo fa dopo la disfatta del Trasimeno, cui è scampato grazie a un vecchio soldato che lo ha raccolto ferito sulle rive del lago.E’ lì che però ha perso la memoria. Il suo passato sembra can-cellato, scomparso, inghiottito dalla nebbia che in quella tra-gica battaglia è stata complice dei cartaginesi. Nei suoi ricordi emerge soltanto un nome: Annibale. Giorno dopo giorno, alla guida degli ausiliari che combattono a fianco dei romani, Alfio Cassio ritorna a far luce sul buio della mente, fino a quando il destino non lo vorrà protagonista sconosciuto di un altro appuntamento decisivo per lui e per la sua gente, questa volta sulle sponde del Metauro. Sarà la bat-taglia che in maniera inaspettata metterà fine alla caccia, per farlo risorgere a un’altra vita fatta di libertà.

Fiorenzo Bordi nasce il 18 giugno 1960 a Montecassiano (Macerata), dove attualmente risiede. Scrivere e cantare sono passioni da sempre presenti nella sua vita. Suona come chitar-rista in vari gruppi musicali, esibendosi in balere e piazze, per poi esprimere stabilmente la sua passione in ambienti cattolici, da cui prenderanno forma alcune opere musicali sulle figure di santi e beati, quali San Leopardo e Papa Giovanni XXIII.Con Controvento Editrice ha già pubblicato “Il Segreto di Melissa” (2012), suo romanzo di esordio.

Fiorenzo Bordi

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RECENSIONI

avevano contribuito ai trionfi di Roma, ai quali venivano offerti beni e terra.

Ma nel caso di Recine, a differenza che in al-tri, l’insediamento era certamente preesistente ed era costituito da una cittadina, probabilmente abitata dai Piceni, già divenuto municipio sot-to la Roma repubblicana e di notevole interesse strategico, stante la sua posizione che lo vede-va al centro di un crocevia tra importanti vie di comunicazione. Di essa sentiamo parlare per la prima volta da Plinio il Vecchio, nel primo seco-lo dopo Cristo.

Le notizie sulla sua origine recano qualche in-certezza sul nome che, quando era già muni-cipio romano sembra essere stato Ricina o Re-cina, prima ancora di diventare Helvia Recina Pertinax, nome attribuitole definitivamente dal console Settimio Severo, in onore del suo prede-cessore Publio Elvio Pertinace, quando nell’anno 205 d.C. le venne riconosciuto il rango di colonia romana. All’autore del romanzo piace supporre che il nome datole dai Romani non si discostas-se troppo da quello che egli immagina, quando ancora la cittadina era picena e indipendente da Roma: Recine. E da qui il titolo del romanzo.

Si tratta di una vicenda dove le notizie sto-ricamente accertate si intersecano con quelle che sono frutto della fantasia e della creatività dell’autore, attraverso il racconto delle vicissitu-dini di coloro che, ancorché sconosciuti, sono gli autentici protagonisti della storia. La trama prende le mosse dalle peripezie di un centurione scampato alla terribile disfatta che, nell’anno 217 a.C., i romani subirono sul Trasimeno. Il prota-gonista ebbe a pagare un duro prezzo in quella battaglia, che gli costò anche la perdita della me-moria. Soltanto dopo un certo tempo egli vedrà a poco a poco riaffiorare dal suo passato ciò che lo porterà ad un desiderio di rivincita per se stes-so, ma anche per tutti i valorosi soldati morti sul Trasimeno. Tutto questo lo condurrà sulle tracce di Annibale, fino ad un epilogo inaspettato, che darà un senso alla sua ricerca e placherà per sempre il suo desiderio di vendetta.

Un racconto avvincente, che si dipana quasi fosse la cronaca descritta e vissuta nello stesso momento in cui avvengono i fatti, in un intrec-cio tanto più verosimile quanto più si fonde con le vicende consacrate dalla manualistica. Ope-razione non certamente facile, che richiede la capacità di muoversi agilmente attraverso un pe-

riodo storico per il quale non esistono resoconti come quelli cui siamo abituati oggi e sul quale, ora come mai in passato, influiscono ricostruzio-ni hollywoodiane.

Un racconto che contribuisce alla riscoperta di luoghi, di itinerari e di città in tanti casi cancella-ti dal tempo, come sicuramente è avvenuto per Recine, almeno per la Recine nella quale sono ambientate le vicende del romanzo. Sul posto, tuttavia, a Villa Potenza di Macerata, è ben vi-sibile ciò che resta dell’antico teatro romano e delle terme, tanto da dare bene l’idea che Helvia Recina Pertinax, fosse una cittadina tutt’altro che secondaria, affacciata com’era sulle rive di un fiume, il Flosis (oggi Potenza) all’epoca naviga-bile.

Tale fatto rende infatti evidente come il centro, fin dall’antichità, abbia potuto assurgere a gran-de importanza, permettendo di favorire i traffici, i commerci e - cosa un tempo certamente non secondaria - i passaggi di truppe militari. Pur-troppo oggi resta ancora molto da scoprire del sito archeologico, i cui scavi non sono mai stati completati e che da molti anni sembra che stia soltanto lì, invano ad aspettare che qualcuno si accorga di come sia ingiusto possedere un pa-trimonio tanto ricco di arte e di storia, che, se giustamente valorizzato, potrebbe dare tanto al territorio, anche in termini di ritorno turistico ed economico.

E’ davvero triste vedere la fila continua di au-tomobilisti, frettolosi e distratti, passare accanto a tanta bellezza e a tanta storia, senza quasi cu-rarsene.

* Nulla tu possa vedere più grande di Roma … (Orazio, Carmen saeculare)

Fiorenzo BordiRecineLoreto, Controvento Editrice, 2013pp. 212, euro 15

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SPORT

La stagione agonistica 2012/2013 lascerà una traccia indelebile negli annali della Società Sportiva Portorecanati. Il team presieduto da Fausto Pigini ha infatti centrato due obiettivi

difficilmente prevedibili alla vigilia: la conquista della Coppa Marche riservata alle squadre che disputano il campionato di promozione e, soprattutto, il ritorno nell’élite del calcio marchigiano, in parole povere, il ritorno nel campionato di eccellenza. Era la stagione agonistica 1980/’81 quando la squadre arancione la-sciava il campionato di promozione regionale, allora non c’era il campionato di eccellenza, per finire in una sorta di torpore dal quale ci si è risvegliati nella

stagione agonistica 2005/2006, quando la squadra guidata in panchina da Claudio Giri, portorecanatese doc, vinse il campionato di seconda categoria e si cominciarono a gettare le basi per una risalita verso il calcio che conta. In questi anni infatti si è assistito non solo a campionati vinti, come quello di prima categoria nell’annata 2009/2010 concluso con nume-ri che ancora resistono nel guiness dei primati, ma anche a promozioni mancate per un soffio e comun-que sempre nel ruolo di protagonisti. Tutto poteva-mo pensare meno che la stagione attuale potesse regalarci delle soddisfazioni così belle, che a raccon-tarle sembra quasi di leggere un libro di fantascienza.

ARANCIONI,LEGGENDA CHE NON TRAMONTA

di Gianluca Guastaferro - foto Società Sportiva Portorecanati

UNA SOCIETÀ CHE NELLA SUA LUNGA STORIA HA ABITUATO I PORTOLOTTI ALLE SORPRESE. PARTITA CON L’IDEA DI FARE UN TRANQUILLO CAMPIONATO DI PROMOZIONE, SI TROVA ORA PROMOSSA IN ECCELLENZA. MA NESSUNO SE NE MERAVIGLI: È IL POSTO CHE SPETTA AGLI ARANCIONI. DA SEMPRE.

Una formazione arancione del 1969 - foto S.S. Portorecanati

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SPORT

Dopo che il presidentissimo Mare-sca, fondamentale il suo ruolo nel ritorno al campionato di promo-zione tre anni or sono, lasciò la poltrona di presidente a Fausto Pigini, fino ad allora responsabile del settore giovanile, rimanendo comunque nella famiglia arancio-ne in qualità di presidente onora-rio, si decise, data anche la con-giuntura economica poco favore-vole, di costruire una squadra con l’obiettivo prioritario di favorire il progressivo inserimento dei giova-ni del vivaio, cercando di ricoprire con giocatori esperti, ma non trop-po, quei ruoli che risultavano sco-perti. Ciò allo scopo di conseguire una salvezza tranquilla e di valo-rizzare i giovani che, comunque, negli anni scorsi non hanno man-cato di dare grandi soddisfazioni. Ci riferiamo in particolare a Davi-de Mordini e Dani Ficola, classe ’96 e ’97, che hanno spiccato il volo verso il Cesena e l’Atalanta. Praticamente smembrata la squa-dra dello scorso anno, sono arriva-ti Fabio Palmieri, portiere classe ’92, il difensore Mattia Giovagnoli, classe 1990, il laterale difensivo Stefano Cento, classe 1984. E poi i graditi ritorni di giocatori cresciuti nel vivaio arancione come Andrea Maruzzella (’91) e Davide Guzzini

(’89), nonché di Roberto Capora-letti e Marco Pantone, che a termi-ne della stagione è risultato capo-cannoniere con 24 reti. Intorno a loro un manipolo di ragazzi di età compresa tra i 17 e i 20 anni, gui-dati in campo da Emanuele Ga-sparini, il fantasista della squadra nonché capitano che per la perso-nalità espressa in campo possiamo senz’altro definire di lungo corso. A guidare dalla panchina questo manipolo di giovani è stato chia-mato un altro giovane, Matteo Possanzini, trentenne, cui già l’an-no scorso era stata affidata la gui-da tecnica della squadra dopo l’e-sonero di Cantatore prima e di Morra poi. Il presidente Pigini, vi-sti gli obiettivi della società, deci-deva di rinnovare la fiducia al gio-vane tecnico lauretano, che ben conosceva fin da quando era alle sue dipendenze nel settore giova-nile. Ad affiancare il giovane mi-ster, in qualità di preparatore atle-tico, viene promosso il coetaneo Cristian Durastanti, in forza tra i giocatori la scorsa stagione e già responsabile delle squadre giova-nili. Subito ad avvio di campiona-to ci si accorge che il Porto non reciterà un ruolo secondario. La prima partita si disputa infatti a Fa-lerone, contro una squadra che

punta decisamente al salto di cate-goria, composta da giocatori esperti provenienti da serie supe-riori. La partita si conclude con un pareggio ma l’ottimo primo tempo disputato fa pensare che questo manipolo di giovani sarà in grado di farci sognare. Passo dopo pas-so, il gioco espresso dai ragazzi di Possanzini, fatto di tocchi di prima e giocate sulle fasce, comincia a dare i suoi frutti tanto che gli aran-cioni riescono a mantenere la testa della classifica per diverse settima-ne. Ma trattasi sempre di una squa-dra la cui età media è di vent’anni e pertanto l’ingenuità tipica dell’e-tà può portare a sorprese spiace-voli. Comunque si riesce a conclu-dere il girone d’andata in zona playoff e a proseguire il cammino nella Coppa Marche. Nel girone di ritorno la freschezza atletica e l’as-similazione degli schemi, rivolti ad un gioco spiccatamente offensivo e spettacolare, fanno del Portore-canati la squadra rilevazione, con una serie di risultati positivi tale da riportarsi sulla scia della capolista Montegiorgio, poi vincitrice del campionato, l’unica a fare bottino pieno contro gli arancioni. Nel frattempo si vince la Coppa Mar-che battendo con un perentorio 4-0 la Falconarese con una presta-

La festa arancione

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SPORT

zione che fa spellare le mani il pubblico accorso. Lo scontro diretto Portorecanati-Montegiorgio trova le due squadre distanziate di quattro punti, complice anche la precedente partita contro la Vis Macerata, dove alcune decisioni arbitrali quantomeno discutibi-li, negano ai nostri ragazzi una vittoria che in quel momento sarebbe stata preziosa. Il Montegiorgio esce vittorioso per due reti a zero, ma gli arancioni non demeritano e subiscono le due reti in azione di contropiede. Al termine della stagione regolare, gli arancioni si piazzano secondi a pari merito con la Folgore Falerone ma il vantaggio negli scontri diretti regala agli uomini di Possanzini la posizione migliore ed evita loro lo spareggio con la quinta classificata in quanto distanziata di dieci punti, mentre il Falerone dovrà incontrare il Trodica, compagine partita con grosse ambizioni, in una partita secca da disputare in casa dei fermani vista la migliore posizione di classi-fica di questi ultimi. Lo scontro diretto vede prevale-re gli ospiti che acquisiscono il diritto a disputare la finale con i nostri al “Monaldi”. Gli arancioni hanno a disposizione due risultati su tre. Infatti se al termine degli eventuali supplementari dovesse prevalere il segno “ics” sarà il Portorecanati ad essere premiato per la migliore posizione di classifica. Ma mr. Possan-zini non è un “catenacciaro” e dichiara alla vigilia che la sua squadra giocherà comunque per vincere. Il giorno della finale, precisamente il 19 maggio, sarà una data che gli sportivi di casa nostra non dimenti-cheranno mai. Già un’ora prima della gara il “Monal-di” presenta un colpo d’occhio favoloso, praticamen-te gremito in ogni ordine di posto. La partita inizia bene per il Porto, che si porta in vantaggio con un colpo di testa del giovane Papa, classe ‘95, prodotto del vivaio arancione. Ma a ricondurci alla realtà ci

pensa il centrocampista ospite Contigiani, che con un magistrale calcio di punizione beffa l’estremo arancione Giaccaglia, chiamato a sostituire l’infortu-nato Palmieri. Il pareggio non demoralizza i giovani arancioni di nuovo in vantaggio dopo sei minuti con Cento, abile a sfruttare un cross dalla destra di Capo-raletti. La ripresa si apre con gli ospiti che si riversa-no in attacco e raccolgono il premio del loro sforzo al 14’ con Iommi, in gol di testa, su corner. La rete subita ha l’effetto del morso di una tarantola per il Portorecanati, che ricomincia a produrre gioco e a creare occasioni non concretizzate per la bravura dell’estremo ospite, grande nel ribattere tre tiri ravvi-cinati, e pure per sfortuna quando il palo dice no ad una conclusione di Pantone. Si va ai supplementari e sale subito un brivido lungo la schiena dei tifosi lo-cali quando un giocatore ospite si trova solo davanti a Giaccaglia pronto, però, a respingere di piede. Il gol del vantaggio arancione arriva pochi minuti più tardi con Cento, che deposita in rete una respinta del palo su punizione di Tartufoli. Il Trodica accusa il colpo e la stanchezza si fa sentire da entrambe le parti. Dopo pochi minuti del secondo tempo supple-mentare arriva il sigillo dei locali con Caporaletti a seguito di una ripartenza. E’ l’apoteosi. Inizia una festa non programmata e quindi ancora più bella. I giocatori vanno sotto la tribuna a ricevere i meritati applausi. Siamo tornati nell’élite del calcio regionale, con pieno merito grazie ad una programmazione so-cietaria lungimirante e grazie ad un tecnico che è stato definito “Stramaccioni dei dilettanti”, capace di produrre, a detta degli esperti, il miglior calcio del campionato. Siamo pronti a scommettere, che di lui, in un futuro non molto lontano, sentiremo molto parlare.

Una testimonianza di amore per gli arancioni, vecchia di quasi mezzo secolo. Ci viene dal giornalista Reolo Rapaccini, cantore tra i massimi delle glorie sportive del Porto Recanati.

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SPORT

Alla notizia della vit-toria contro il Trodi-ca, un pensiero ha attraversato la mente

di chi ha lungo studio e gran-de amore della storia arancio-ne: i nostri sono tornati a casa, là dove compete loro di stare per rango e blasone, tradizio-ne e storia. Sono passati più di trent’anni di dignitosa militan-za e anche di successi trionfali nei campionati inferiori; ora la lunga marcia si è conclusa sotto il traguardo dell’eccellen-za, territorio dov’è più consono vivere agli eredi di una lunga avventura di fasti calcistici e di un patrimonio sportivo di ecce-zione. Sorriderà, lassù, Vincen-zo Monaldi, che di quel patri-monio è stato il primo tesoriere; sorrideranno con lui, e con noi, Luciano Panetti e Beniamino Di Giacomo, Stelvio Attili e Lui-gi Boccolini e tutti gli altri, tan-ti, che hanno portato con loro cuore e passione arancione fin nelle categorie più alte del cal-cio nazionale.La storia della società calcio del Porto si avvia ad essere cente-naria. Fondata nel 1919 grazie agli Scarfiotti, si è rapidamente imposta come vivace e prestigio-sa realtà in campo regionale. Uno dei gioielli preziosi incasto-

nati nel nostro diadema di suc-cessi è la partecipazione a tre campionati di serie C, dal 1945 al 1948. Un paesino di cinque-mila abitanti che disputava pallone su pallone a squadroni come Perugia, Ancona, Asco-li, Macerata, Ravenna, Pesaro giungendo addirittura secondo nel ’45-’46. E che creava, venti anni dopo, i miracoli della se-rie D (dal ’66 al ’68) e anche dell’Adriatica Calcio, juniores tricolorata nel 1964.Cinquemila abitanti. E un ora-torio salesiano dotato di un campetto da sette contro set-te, prima scuola di calcio del-la lunga serie di campioni che hanno fatto di quest’angolo di Adriatico una culla di giganti del pallone.I ragazzi, i tecnici e i dirigenti che oggi hanno onorato il nome della Società Sportiva Portore-canati sono tutti meritevoli del-la nostra ammirazione e stima. E riconoscenza, per averci resti-tuito un orgoglio da tempo vela-

to dal rimpianto, superati come eravamo stati, e di quanto!, da realtà regionali delle quali non avevamo tenuto il passo dopo esserne stati raggiunti.Una volta, con una discreta dote di guasconaggine, da noi si diceva che in certi paesi sen-za la nostra tradizione sporti-va potevamo andare a vincere anche usando solo la gamba sinistra. Non era vero, natural-mente, ma faceva parte di una consapevolezza di sé che non era solo presunzione. Oggi, per mantenere il livello riagguan-tato, occorrerà guardarsi meno allo specchio, far passare prima possibile l’ubriacatura di en-tusiasmo dovuta alla bella im-presa compiuta e condurre con tenacia e umiltà la nave aran-cione su rotte sicure, lontane da presure e scogli.

Il Direttore* (già pubblicato, con leggere va-rianti, ne “Il Resto del Carlino” del 25

maggio 2013, a firma Lino Palanca)

LE MEMORIE NEL PETTO RACCENDI … *

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www.associazionelospecchio.it [email protected]

VENERDI’ 16 AGOSTOORE 18,30 LA VOCE DEL TERRITORIO ORE 21,30 NOTTURNO ITALIANOINGRESSO GRATUITOA SEGUIRE CABARET VOLTAIRE

SABATO 17 AGOSTOORE 18,30 LA NOSTRA TERRAORE 21,30 GIANNI GIUDICI IN CONCERTOA SEGUIRE CABARET VOLTAIRE

DOMENICA 18 AGOSTOORE 18,30 101 STORIE DELLE MARCHE CHE NON TI HANNO MAI RACCONTATOORE 21,30 “HAVONA FEAT. GIANNI GIUDICI” A SEGUIRE CABARET VOLTAIRENO JAZZ DISCO // NO WAVE // POST-PUNK // MUTANT DISCO // JAZZCORE // LIVE SET CON IL DJ SMEGMA

LUNEDI’ 19 AGOSTOORE 18,30 MARCHENOIRORE 21,30 TANGO - CON IL DUO FELICIOLI - RIGANELLIA SEGUIRE CABARET VOLTAIRENOISE PARTY PERFORMANCE

PER INFORMAZIONIsegreteria organizzativa eventi:[email protected] www.associazionelospecchio.it

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COMUNE DI PORTO RECANATI

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

Nel proprio percorso di valorizza-zione delle varie anime della cul-tura musicale, il festival dedica la sua programmazione a quella

musica popolare che, per l’immaginario col-lettivo è uno fra i tratti identitari della scena musicale degli ultimi anni, il pop. In questo immaginifico percorso batte il ‘cuore alchemico e popolare’ del festival che, per esprimersi, recupera ancora una volta uno spazio che abbiamo valorizzato in questi anni: i Giardini Diaz. È una sorta di oasi ricavata nel cuore della città, in cui gli umori della musica d’autore e la qualità delle proposte si fonderanno con la voglia più che mai viva di ritrovare sonorità dimenticate o accantonate e tornare a farle proprie. L’idea è di riproporre il meglio della canzone d’au-tore e della musica pop, senza ideologie filo-logiche, per come è vissuta ancora oggi nei ricordi musicali senza età; e anche di sotto-porla a una rilettura che consenta di riviverla con un approccio rinnovato. È stata quindi ideata così la scena del festi-val, in cui la musica “popolare” delle origini si fa cangiante e assumerà volta per volta i colori del jazz e della musica popolare ita-liana. Un programma che va dalla musica italiana alle serate dal possente portamento ritmico del groove con le mitiche sonorità dell’Hammond e il volo del puro jazz fusion. Questo mentre i ballabili del ‘re del tango’, Astor Piazzolla, saranno al centro dell’ultima serata in cui il jazz incontrerà quella popola-re argentina. Un classico giro di Tango se-condo a nessuno.

LA MUSICA SENZA ETÀ ALLO SPECCHIO

MAGAZINE FESTIVAL 2013di Vanni Semplici

foto: www.webdolomiti.net

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

La ‘Sound machine’ dello

Specchio Magazine Festival proporrà

4 eventi serali

Si parte il 16 agosto (alle 21.30) con il Notturno Italiano, per la gioia degli appassionati, dei collezionisti e dei ‘predatori delle canzoni perdute’, con la voce di Bianca Maria Sempli-ci ad introdurre il notturno e proseguire con la voce senza tempo di Andrea Quarti accom-pagnato dal suo gruppo “Piedi scalzi in quarti”, per scoprire rarità, inediti, copie uniche, ri-trovamenti recuperati dai nostri fondi in via di catalogazione, il tutto restaurato nel laboratorio del sound jazz.A seguire, due concerti che si muovono sul terreno del-le sonorità ritrovate. Ecco al-lora arrivare il 17 agosto (alle ore 21,30) il mitico hammond di Gianni Giudici, considerato uno dei migliori organisti Jazz europei in duo con Enzo Ce-sari. Giudici negli ultimi anni ha suonato e/o registrato con artisti del calibro di: Al Grey, Eddie Davis, Bobby Watson, Benny Baileys, Tony Scott, Va-lery Ponomarev, Ingrid Jensen, Chet Baker,per elencarne alcu-ni e tutti i migliori musicisti Jazz Italiani, fra i quali i prestigiosi “Swing Maniacs” del grande M° Renzo Arbore e gli indimenti-cabili Hengel Gualdi, con cui si è esibito in vari concerti per pianoforte e clarinetto su com-posizioni originali scritte da entrambi appositamente per il loro duo.

Domenica 18 (alle ore 21,30) l’universo musicale degli Ha-vona ammanterà di sixties-se-venties il turgido suono della band. Consapevoli della lezio-ne del gruppo capitanato da Joe Zawinul, attraggono anche le onde sonore di maestri del groove funk come Marcus Mil-ler, Sly Stone, George Clinton, tessendo una rete di assoli sem-pre ben amalgamati nel tessuto musicale, mai fini a sé stessi, dando prova di un’ottima co-noscenza della tradizione afro-americana. Un progetto fresco, ben strutturato e garbatamente originale.Serata finale per il ballo straor-dinariamente popolare anche in terra di marca il tango che vedrà protagonista sul palco dei giardini, che per l’occasio-ne si trasformerà in milonga, il duo Riganelli Felicioli lunedì 19 agosto, ore 21.30.

foto: havona

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

Il 18 agosto a fine concerto un live set con il DJ Smegma con:

NO JAZZ DISCO - NO WAVE - POST-PUNK - MUTANT DISCO - JAZZCORE Dj Smegma è il nome da batta-glia dell’ecclettico Vanni Fabbri. musicista, dj, promoter, il suo nome è di norma associato alle forme d’arte più estreme e bor-derline, comunque raramente concilianti, ciò nonostante è in grado di districarsi anche in contesti più pop e meno distur-banti (Artika Festival, Mukkake Agency). I suoi dj set sono spes-so frutto di maniacali ricerche e possono drasticamente variare in base ai contesti in cui viene collocato. Per il cabaret Voltai-re, salperà dal porto concilian-

te e ammiccante del jazz per approdare in tutt’altro genere di porto. Sarà per il pubblico un’occasione per ascoltare ge-neri poco o per nulla cono-sciuti, oppure per ritrovare una gemma perduta. il tutto sempre in equilibrio tra coerenza filolo-gica e pura follia.

Il 19 agosto NOISE PARTY. Viaggio nell’anima inquieta de-gli anni 80 celebrando il tren-tennale della formazione dei NOISE PARTY. Sarà l’occasione per rileggere il profondo ma-lessere di un artista scomparso tanti anni fa, Ian Curtis, diven-tato mito insieme al suo grup-po, i Joy Division.

Cabaret Voltaire

Ma l’anima del festival ha anche un lato oscuro da scoprire oltre i confini del sentire comune, e si pone l’ambiziosa scommessa di fare proposte esaltando tut-to ciò che è irrazionale e perfi-no privo di senso; frantumare i concetti tradizionali di cultu-ra, di morale e di logica comu-ne, provocando scandalo e al-lora abbiamo riaperto il mitico Cabaret Voltaire. Negli “after-show” video musica foto e live set proseguiranno la program-mazione fino a notte fonda.

Appuntamenti live

foto: Vanni Fabbri

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE CON GLI APERITIVI

DELLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVALdi Luca Pantanetti

Sarà il “locale” il tema portante dell’edizio-ne 2013 dello Specchio Magazine Festi-val. Locale come scoperta delle ricchezze del territorio, delle sue storie nascoste,

delle sue peculiarità culturali e paesaggistiche, che possono trasformarsi in occasioni di crescita per chi lo abita quotidianamente, e elementi di fascino per i turisti che lo visitano.Il Festival offrirà – come già negli anni prece-denti – aperitivi letterari alle ore 18:30 presso il cortile della ex-scuola Diaz a Porto Recana-ti (C.so Matteotti), organizzati in collaborazione con l’agenzia di consulenze editoriali Scriptora-ma. Saranno protagonisti autori che il territorio l’hanno vissuto e raccontato.Si inizia il 16 agosto insieme alla redazione de Lo Specchio Magazine, per “Uscire dall’om-bra del proprio campanile, condividere le esperienze di chi promuove cultura nel no-stro territorio. Non solo un’opportunità, ma un dovere”, un incontro-dibattito per presenta-re il traguardo dei primi due anni di attività della rivista e riflettere sulla sua capacità di raccontare l’attualità. Ma l’incontro sarà soprattutto occasio-ne per offrire nuovi spunti di conversazione e confronto sulle prospettive e sul futuro di que-sto territorio, in particolare per i suoi operatori culturali.Il 17 agosto gli autori presentano l’antologia “La nostra terra”, un volume di racconti e poesie,

nato dal premio letterario omonimo indetto in memoria del reporter Mauro Montali, dall’agen-zia Scriptorama e dalla redazione del giornale online Cronache Maceratesi. Quindici opere di altrettanti autori portano alla luce l’humus dell’i-dentità della provincia attraverso storie e testi-monianze.Il 18 agosto saranno protagonisti Marina Minelli e il suo “101 Storie delle Marche che non ti hanno mai raccontato”. La Minelli, giornalista, blogger e scrittrice, ha composto per la casa edi-trice Newton Compton una guida storico-turisti-ca sulle insospettabili e insolite vicende nasco-ste nella regione. Un viaggio attraverso luoghi, personaggi, date che hanno segnato il territorio, spesso in maniera sotterranea e timida, e che tut-tavia hanno lasciato un segno indelebile nell’i-dentità marchigiana.Il 19 agosto prosegue la caccia ai misteri mar-chigiani con gli autori del collettivo Carboneria Letteraria e il volume antologico “MarcheNoir”. Tra delitti e denuncia sociale, si snodano le storie che portano alla luce il lato nascosto della regio-ne e ciò che si cela sotto il “mito” del territorio dalle belle colline lambite dal mare e dell’ope-rosità e industriosità dei suoi abitanti. Racconti che diventano specchio del reale, della cronaca e della quotidianità, ma anche voci dei dimenti-cati e degli invisibili che sopravvivono ai margini del benessere.

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

di Aurora Foglia

“DONNE ALLO SPECCHIO”IL NOSTRO CONCORSO

Giunto alla seconda edizione, il con-corso fotografico organizzato dalla rivista Lo Specchio Magazine sposta il focus dalle colline marchigiane,

protagoniste dello scorso, fortunato evento, a ben altro soggetto. Assolute protagoniste sono le donne, raccontate con uno strumento di co-municazione tanto diretto ed immediato quanto efficace e profondo.La scelta del tema da parte della redazione de Lo Specchio è tutt’altro che legata alla classicità del soggetto, bensì vincolata al riflesso dei tempi, in un momento in cui è impossibile, per chi fa comunicazione, non raccontare storie pressoché quotidiane di quell’odioso fenomeno che è l’o-micidio di genere.

PER TUTTI QUESTI SECOLI LE DONNE HANNO SVOLTO LA FUNZIONE DI SPECCHI, DOTATI DELLA MAGICA E DELIZIOSA PROPRIETÀ DI RIFLETTERE LA FIGURA DELL’UOMO A GRANDEZZA DOPPIA DEL NATURALE. (Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, 1929)

Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG - Doll woman

Silvia Grungo, Treviso, BG - Come sono e come mi vedo

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ATTIVITA’ LO SPECCHIO

La giuria, composta da Aurora Foglia per la re-dazione de Lo Specchio Magazine, e da Antonio Baleani e Franco Cingolani per il Fotocine Club di Recanati, ha attentamente esaminato gli scatti, pervenuti da ogni parte d’Italia, decretando i tre più meritevoli e i sette degni di segnalazione.

Vincitori:1 Federica De Stefani, Alessandria2 Silvia Grungo, Treviso3 Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG

Menzionati:Elena Bellito, MilanoMarco Frontalini, Osimo, ANCorinna Garuffi, BolognaSara Imbes, Fano, PUDan Masa, RomaCarla Murdeo, Rita Santanatoglia, Loreto, AN

Fragili come crisalidi o forti come rocce, a tinte forti o in sfumature di grigio, di carne lattea o di solo fumo, le Donne allo Specchio sono state ri-tratte da numerosi fotografi amatoriali, con innu-merevoli punti di vista, così come innumerevoli sono le sfaccettature della figura femminile. Al pubblico la possibilità di stabilire se tale molte-plicità è frutto di condizionamenti della società odierna, o se è semplicemente insita della natura della donna.

Amarti di Carla Murdeo

Pensando a te di Elena Bellito

Identità scomposte di Corinna GarufiWoman’s body di Marco Frontalini

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LANDSCAPE

ARTE DELLA LUCE

‘L‘Arte della Luce’ presso il Castello Svevo dall’11 al 22 agosto sarà un’occasione da non perdere per gli amanti

della natura, dei paesaggi e di tutto ciò che ancora è rimasto di intatto intorno a noi. L’oc-chio del Team Dreamer Lan-dscape vuole proporre ancora una volta nuove e forti emo-zioni per quello che riescono a cogliere quando si trovano di fronte a meraviglie naturali. Chi ha avuto la fortuna di vedere la mostra fotografica lo scor-so anno sa che la qualità delle immagini proposte è davvero alta. Sono quelle immagini che ti tolgono il fiato e che ti fanno pensare a immagini da cartoli-ne. Gli espositori sono riusciti ad immortalare scatti bellissimi facendo risaltare le bellezza di un luogo, raccontando un luo-go, uno stato d’animo coglien-do i tratti più nascosti e silen-ziosi. Questo grazie alla loro esperienza. L’apertura della mostra fotogra-fica sarà domenica 11 agosto ore 19 presso la Sala Biagetti, Castello Svevo.

“Io porto la mia macchina fo-tografica ovunque vada. Avere un nuovo rullino da sviluppare mi da una buona ragione per svegliarmi la mattina.” Andy Wahrol

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VOGLIO SOSTENERE LO SPECCHIO MAGAZINELo Specchio Magazine è qualcosa di completamente diverso da un sito di informazione commerciale. È il risultato del lavoro di una co-munità, scritta da volontari con la loro competenza, conoscenza e amore per il territorio. Anche tu fai parte della nostra comunità. E ti invitiamo per chiederti di sostenere il nostro progetto “Lo Specchio Magazine”. Insieme possiamo riuscire a mantenerla gratuita e libera. Possiamo riuscire a farlo vivere in modo che tutti possano usare le informazioni che contiene e far conoscere, in maniera approfondita e libera, il nostro territorio. Possiamo farla continuare a crescere, a farle diffondere informazione e cultura e a mantenerla aperta alla partecipazione di tutti.Vanni Semplici, Presidente Associazione Culturale Lo SpecchioDonazione con bonifico bancarioBANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI RECANATI E COLMURANOIBAN: IT/06/H/08765/69110/000040115617Intestato a: Associazione Culturale Lo Specchio È possibile donare all’Associazione Culturale Lo Specchiotramite Pay Pal, carta di credito, bonifico bancario sul sito www.specchiomagazine.it

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