Specchio Infranto

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    SPECCHIO INFRANTOLa scrittrice catalana pisignificativa ma anche pienigmatica del Novecento.

    Corriere della Sera

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    Institut dEstudis Catalansby arrangement with Casanovas & Lynch Agencia LiterariaTitolo originale:Mirall trencat

    2013 laNuovafrontieravia Pietro Giannone, 1000195 Roma

    Isbn 978-88-8373-232-4

    Progetto graco di Flavio DionisiIn copertina: Joven decadente (despus del baile)di Ramn Casas, 1889

    Questopera stata pubblicata grazie al contributo di

    www.lanuovarontiera.it

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    Merc Rodoreda

    Specchio inrantoTraduzione dal catalano di Giuseppe Tavani

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    Un roman: cest un miroir quon se promnele long du chemin.

    Saint-Ral

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    Prologo

    Un romanzo si a con molte intuizioni, una certa dose diimponderabilit, con agonie e risurrezioni dellanima, esal-tazioni, delusioni, riserve di memoria involontaria tuttaunalchimia. Se non ho provato alcuna emozione davanti a untramonto, come posso descrivere, o meglio, suggerire la magiadi un tramonto? Le strade sono sempre state per me motivodispirazione, come qualche brano di un buon lm, un parco

    nel pieno ulgore della primavera o gelato e ischeletrito in in-verno, la buona musica ascoltata in un preciso momento, il visodi persone del tutto sconosciute che incroci allimprovviso,che ti attirano e che non vedrai mai pi. Per questo ti lascianoun rammarico dicile da spiegare a parole. Una mano, in unquadro, ti pu svelare tutto un personaggio. Uno sguardo puimpressionarti pi della bellezza degli occhi. Un sorriso enig-

    matico, che a volte pu essere solo la contrazione di nervi ac-ciali, ti ruba il cuore e senti il bisogno di arlo perdurare. Pensi:se potessi descrivere questo movimento quasi impercettibileche cambia completamente unespressione Stendhal diceva:i particolari sono ci che di pi importante v in un romanzo.E Checov: si deve tentare limpossibile per dire le cose comenon le ha mai dette nessuno. Fare un romanzo dicile. Lastruttura, i personaggi, lo scenario questa operazione di scel-ta esaltante, perch ti costringe a vincere le dicolt. Ci sonoromanzi che si impongono, altri devi estrarli pian piano da un

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    pozzo senza ondo. Un romanzo parole. Vorrei ar vedere glispasimi lentissimi di una gemma quando spunta da un ramo,la violenza con cui la pianta espelle il seme, la selvaggia immo-bilit dei cavalli di Paolo Uccello, lestrema espressivit dei sor-risi androgini delle Vergini di Leonardo da Vinci, o lo sguardoprovocante, lo sguardo pi provocante del mondo, di una damadi Cranach, senza sopracciglia, senza ciglia, con il cappello, lepiume di struzzo, i seni uori dal corsetto. Non sono arrivata atanto. Scrivere bene costa. Con scrivere bene intendo scrivere

    con la massima semplicit le cose essenziali. Non sempre ci siriesce. Dare rilievo a ogni parola; le pi anodine possono brilla-re accecanti se le collochi al posto giusto. Quando mi viene uo-ri una rase con un giro diverso, ho una piccola sensazione divittoria. Tutta la bellezza dello scrivere sta nel centrare il mezzoespressivo, lo stile. Ci sono scrittori che lo trovano subito, altriche tardano a lungo, altri che non lo trovano mai.

    Dopo anni in cui non potei scrivere nulla tranne qualcheracconto perch scrivere richiede un notevole sorzo e ioavevo cose pi importanti da are, ad esempio sopravvivere,mi si impose, potrei dire, Giardino sul mare. Come nel raccon-to Pomeriggio al cinema della raccolta Ventidue racconti,adottai la narrazione in prima persona, il monologo interiore.

    Io che amo i ori, senza ori per anni e anni, sentii la necessitdi parlare di ori e che il mio protagonista osse un giardinie-re. Un giardiniere una persona diversa dalle altre, e questoci viene dalloccuparci dei ori. Giardino sul mare, lultimopubblicato dei miei romanzi, cronologicamente il primo cheho scritto dopo il grande marasma, ed per me importanteperch apre il cammino agli altri. Desiderio di superamento,piacere di scrivere, voglia di credere che un po sapevo ancoraarlo, che potevo andare pi lontano, che le mie aspirazioni diadolescente non erano morte.

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    Una amiglia, una casa abbandonata, un giardino desolato,lidea pura del giardino di tutti i giardini avevo voglia discrivere un romanzo in cui ci osse tutto questo. Mi piacevaimmaginare che la amiglia osse ricca, con una signora nondello stesso ceto. Di un livello diverso, di origini modeste. Ilpersonaggio ideale lo scoprii in Teresa Goday, che quandoprese orma nella mia mente non si chiamava Teresa e nep-pure Goday. Non aveva nome. Una bellezza che aiutava la

    madre a vendere il pesce, ma pronta interiormente a elevar-si di grado con quella acilit che spesso si riscontra in unapersona, soprattutto una donna, strappata dal destino al suoambiente. Naturalmente, sentivo che il romanzo sarebbe statocomplicato, che avrebbe richiesto molti personaggi, che sa-rebbe stato irto di dicolt. Intanto, si andava insinuando inme, di soppiatto, come se chiedesse scusa di intromettersi, un

    altro romanzo, di struttura semplice, con un ballo, un matri-monio, un terrazzo stipato di colombi. Lo vedevo come unromanzo dove avrebbe dominato lassurdo pi disperato, incui i colombi, per il loro moltiplicarsi, avrebbero acquistatola dimensione di un incubo. Procedeva, lentamente,La piaz-za del Diamante. E scelsi di scriverlo prima del romanzo diuna amiglia. Mentre lavoravo al matrimonio di Colombetta,

    orse perch da tempo desideravo scrivere un racconto conla veglia unebre di un personaggio, nacque, carico di miste-ro, Eladi Farriols a cadavere esposto; come era nata Teresa,quando non si chiamava ancora Teresa, cos Eladi a cadavereesposto non si chiamava Eladi Farriols e non lo vegliava unacuoca che si sarebbe chiamata Armanda n un imbianchino dinome Jess Masdu. Eladi Farriols, morto e disteso al centrodella biblioteca di una casa signorile, mi oriva nel modo piimpensato il primo capitolo diSpecchio infranto, che sarebbediventato il diciannovesimo della seconda parte. Lo stile era

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    diverso da quello di La piazza del Diamante. Il romanzo diuna amiglia doveva essere pi ampio, pi aperto. Non pote-vo ar raccontare il romanzo a un solo personaggio Dove-vo sostituire il monologo con lo stile narrativo. Misi da parteEladi Farriols a cadavere esposto. La piazza del Diamantemi trascinava altrove; in primo piano Colombetta, candida,che avrebbe arontato la vita senza un briciolo di sentimen-talismo: come laronta la gente del popolo, sana. La piazzadel Diamante un romanzo che va molto al di l di quel che

    abitualmente deniamo romanzo. In apparenza quello che losembra di pi; in realt, quello che lo di meno.

    InLa piazza del Diamante, il ballo della esta del santo pa-trono ha in me radici proonde. Figlia unica, avevo avuto tuttii vantaggi e tutti gli svantaggi di una situazione del genere.In breve: avevo voglia di ballare e a casa mia non volevano.

    Una ragazza per bene non deve ballare. Ballano solo le ragaz-ze poco serie. Io morivo dalla voglia di arlo. Una sera, per laesta grande di Grcia, andai con i miei genitori a passeggiareper le strade addobbate a esta, e a vedere i tendoni a piazzadel Sole e a piazza del Diamante, dove si ballava. Ricordo, lhoricordato in varie occasioni, che passavo per le strade pienedi musica come unanima in pena, tanta era la tristezza che

    mi assaliva. Dovevo avere dodici o tredici anni. Anni dopo,in modo inatteso, come per incantesimo, mi venne lidea diambientare in uno di questi tendoni il primo capitolo di Lapiazza del Diamante, che non ricordavo comera n per qualistrade ci si arrivasse. Qualcuno, quando usc il romanzo, sicu-ro di s e della sua intelligenza, e convinto di avere scopertouna grande verit, mi chiese se Colombetta ero io. Tutti i mieipersonaggi hanno caratteristiche mie, ma nessuno sono io.Daltro canto, il mio tempo mi interessa relativamente. Lhovissuto troppo. InLa piazza del Diamante lo uso senza esser-

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    mi proposta di usarlo. Un romanzo anche un atto di magia.Rifette quello che lautore porta dentro di s, senza neppuresapere di essere carico di tanta zavorra. Se avessi voluto parla-re deliberatamente del mio tempo, avrei scritto una cronaca.Ce ne sono di molto belle. Ma non sono nata per limitarmi aparlare di atti concreti.

    Quando volli scrivere un altro romanzo non mi sentivo conorze sucienti ad arontare un romanzo con molti perso-naggi. Dovevo trovare una struttura come quella diLa piazza

    del Diamante. Caddi in una trappola. Ero a tal punto entratanella pelle del mio personaggio, mi era tanto vicina Colom-betta, che non riuscivo a staccarmene. Sapevo solo parlarecon lei. Dovevo trovare qualcuno del tutto opposto. E cos nata, lievemente patetica, lievemente desolata, Ceclia C. diVia delle Camelie.

    Un autore non Dio. Non pu sapere che succede dentro le

    sue creature. Io non posso dire, senza che suoni also: Colom-betta era disperata perch non ce la aceva pi a pulire i colom-bi. Non posso neanche arle dire direttamente ero disperataperch non ce la acevo pi a pulire i colombi. Debbo trovareuna ormula pi ricca, pi espressiva, pi dettagliata; non deb-bo dire al lettore che Colombetta disperata, ma argli sentireche lo . E perch il lettore veda la disperazione di Colombet-

    ta, mi vedo costretta a scrivere: Fu quel giorno che mi dissibasta. Basta con i colombi. Colombi, veccia, abbeveratoi, cova-toi, colombaia e scala da muratore, via tutto!. Sparto, pallinedi zolo, occhietti rossi e zampe rosse, via tutto! La sottadella terrazza solo per me, la botola tappata, le sedie in sotta,le evoluzioni dei colombi bloccate, il cesto della biancheria interrazza, la biancheria stesa in terrazza. Gli occhi rotondi e ibecchi appuntiti, i rifessi color malva e quelli verde mela, viatutto!. Non posso dire di Ceclia che La prima volta chesal sul terrazzo vide una stella molto grande dalla parte delle

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    montagne, perch non posso sapere se ha visto una stella mol-to grande salendo in terrazza. Ma posso arle dire La primavolta che salii sulla terrazza, vidi una stella molto grande. Inaltre parole, il personaggio di un romanzo pu sapere che cosavede e che cosa gli succede, lautore no. In tal modo il lettorepercepisce una verit o, se si vuole, pi verit. Ogni romanzoobbedisce a certe convenzioni. Il bello sta nel are che non losembri. Non ho mai scritto niente di cos lambiccato come Lapiazza del Diamante. Niente di meno reale, di pi ricercato. La

    sensazione di qualcosa di vivo data dalla naturalezza, dallalimpidezza dello stile. Un romanzo parole.

    Lloren Villalonga, dopo aver scritto un articolo encomia-stico alluscita di La piazza del Diamante, ne scrisse un altroquando usc Via delle Camelie, intitolato Uguale ma diver-so. Per scrivere Via delle Camelie mi ci vollero due anni.La

    piazza del Diamante mi aveva snito e la stanchezza perdura-va. Nel rattempo scrivevo racconti, un genere che non richie-de grandi sorzi. Sarebbe diventata la raccoltaLa mia Cristina,un libro dicile da mettere assieme, molto elaborato. La an-ciullezza di Ceclia, non so perch, mi ispir un altro capitolodel romanzo di una amiglia, in cui il giardino prese vita: Ibambini. Avevo gi due capitoli di Specchio infranto, che si

    andava costruendo senza che quasi me ne accorgessi. E in unostile che non era il mio.

    Dopo aver scritto Via delle Camelie rieciAloma, un roman-zo giovanile. Migliorare un testo impreciso, renderlo pi tersoe concreto, conservandone la reschezza di una cosa appenanita di scrivere, non acile. Mi riposai per qualche tempo.Avevo campo libero per dedicarmi senza intralci al romanzo diuna amiglia. Mi serviva un titolo, anche se non sapevo esatta-mente cosa sarebbe successo nel romanzo.La casa abbandonata,Storia di una famiglia, Tempi passati, Tre generazioni. Erano tutti

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    inespressivi. Non riesco a ricordarmi quali urono i capitoli cheseguirono i primi due. Scrivevo lentamente, io che scrivo digetto, senza prendere appunti, senza progettare situazioni. Dalmio regno dautore, raccontavo i miei personaggi, sapevo quel-lo che pensavano, li acevo parlare con la mia voce.

    Il domino le strusciava per terra. Spalanc le braccia.Devo sembrare un aquilotto. Si chin a raccogliere la stoae ad alzarla perch ci incespicava. Prese lo specchio a manodella signorina Soa, con la cornice di rose dargento. Fin di

    ripercorrere la casa con il braccio teso, lo specchio puntato inalto come se reggesse una torcia. Dal primo piano al vestiboloscese le scale con lo specchio diretto allindietro: ci vedevapezzi di sotto, pezzi di balaustra, disegni e ghirlande deltappeto che copriva i gradini, tutto vivo e socato, nch ar-rivata allultimo gradino cadde distesa avvolta in una serie dipieghe violette. Lo specchio si era rotto. I rammenti si tene-

    vano saldi nella cornice, tranne alcuni che erano saltati uori.Li andava man mano raccogliendo e inlando nei vuoti dovele sembrava che si adattassero meglio. I pezzi dello specchio,uori asse, rifettevano le cose cos comerano? E di colpo, inogni rammento dello specchio vide anni della sua vita vissutain quella casa. Aascinata, raggomitolata per terra, non ca-piva. Tutto succedeva, si ermava, scompariva. Il suo mondo

    prendeva vita l dentro, con tutti i suoi colori, con tutta la suaorza. La casa, il parco, le sale, la gente; i giovani, i pi vecchi,il cadavere esposto, le ammelle dei ceri, i bambini. I vestiti,le scollature con dentro le teste ridenti o tristi, i colletti ina-midati, le cravatte con i nodi peretti, le scarpe appena luci-date che camminavano sui tappeti o sulla sabbia del giardino.Unorgia di tempo passato, lontano, lontano Quanto eralontano tutto Si alz sconvolta, con lo specchio in mano.Sent degli spari. Come ogni notte. Era arrivato il momentodello champagne. Lo stile diSpecchio infranto cos.

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    La Perla del Lago un ristorante in riva al Lemano. Chiusodinverno, destate un posto incantevole. Sulla terrazza pren-dono il t signore e signori ginevrini elici di essere nati in Sviz-zera, paradiso dEuropa. Tra un sorso e laltro di t vedi lacquasolcata da sciatori nautici, da lance a motore, da barchette avela, dai vaporetti bianchi con il umaiolo nero e giallo che an-no la traversata del lago. Il ristorante circondato da giardini,cedri e tigli centenari, una ollia di ori, distese di prati, senza

    uno spazio che non sia verde smeraldo. Una sera, al tramonto,una signora gi anziana scese da una Rolls, si avvicin al muric-ciolo lungo il lago e rimase l tanto immobile da non sembrarevera. Portava dei gioielli, cosa rara per una ginevrina: un enor-me braccialetto di brillanti e zari. Dopo un bel po, and via.Che avr pensato mentre guardava le barche, lacqua che rifet-teva sole e cielo sbriciolati, il vaporetto che passava suonando

    allegramente la sirena? Pensava a se stessa? Rivedeva la propriagiovinezza? Vedeva qualcosa o non vedeva niente, persa nelproondo dei suoi ricordi? Pi tardi, quando, senza ar nullaper pensarci ci pensai, non sapevo se aveva i capelli biondi oneri, non lo so. Ricordavo i suoi occhi che, per un attimo, ave-vano incrociato i miei; occhi di colore indenito nei quali si eraaccumulata tutta una vita. Unimmagine di ranatezza, un po

    uori dal mondo, diversa da tutto il resto. Nel creare Teresa Go-day de Valldaura, le ho dato gli occhi della dama del Lemano.

    Il secolo scorso era stato allinsegna deifeuilleton. Almenocos limmaginavo io. Con signori e signore circondati da glinaturali, gli che i genitori tenevano lontani dalle loro viterispettabili. Un secolo di amori proibiti. Carico di segreti diamiglia. Faulkner a dire ad alcuni dei personaggi del suoromanzoSartoris:

    I tuoi Arlen e i tuoi Sabatini parlano molto, e nessuno haavuto tante cose da dire come il vecchio Dreiser.

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    Ma hanno dei segreti, chiar lui. Shakespeare non hasegreti. Dice tutto.

    Capisco; gli mancava il senso della sumatura, il dono dellareticenza. In altri termini, non era un gentleman insinu lei.

    proprio quello che voglio dire.Sicch, per essere un gentleman occorre avere dei segre-

    ti?Oh, mi hai stancatoNon so se i personaggi diSpecchio infranto abbiano abba-

    stanza consistenza. Quel che veramente mi interessava di loroera che mi permettessero di creare quel peso della nostalgiache si prova per tutto ci che si vissuto intensamente e che nito. Non sono n buoni n cattivi: come chi ci passa accantoogni giorno della settimana. E hanno i loro segreti. Specchioinfranto un romanzo dove ciascuno si innamora di chi nondovrebbe e chi non ha lamore cerca di averlo a tutti i costi:

    nello spazio di unora o nello spazio di un minuto.

    Da ragazza, Teresa aveva aiutato sua madre a vendere il pe-sce. Sinnamora di un lampionaio, un angelo cencioso, comeavrebbe potuto innamorarsi di un muratore. Da lui ha un glio.Il lampionaio sposato. Dovevo trovare il modo di ar uscireTeresa da una situazione cos deplorevole. Il vecchio Nicolau

    Rovira, nanziere, vedendola passare mentre sta prendendo ilca sulla terrazza del Liceu, se ne innamora, e la sposa. Ilsignor Nicolau Rovira chiese a Teresa se voleva sposarlo: tuttoquel che poteva orirle era la sua ortuna; sapeva bene di esserevecchio e che nessuna ragazza poteva innamorarsi di lui. Teresaa in modo che il lampionaio si agli il bambino. Lei gli ar damadrina. Cos ora abbiamo una persona con un segreto peren-ne. Rovira muore presto e allora introduco nella vita di Teresaun nuovo personaggio. Salvador Valldaura incontra in lei unadonna ormai ricca, ben educata, elegante. A Salvador Valldaura,

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    prima di innamorarsi di Teresa, attribuisco un amore tragicoche lo perseguiter per tutta la vita: una giovane violinista, vien-nese, che si suicida, e la cui morte, sentimentalmente, lo segnerper sempre. Teresa uta questa vita interiore del marito, ma puricusarne lamarezza innamorandosi a sua volta. Ed ecco cheentra in scena Amadeu Riera. Amadeu Riera lo immaginai conla testa di Delacroix giovane, un giorno che accompagnai degliamici a casa di un notaio che aveva sul tavolo un vasetto di cri-stallo e argento con dentro una rosa rossa. Ci disse che laveva

    portata personalmente da Cadaqus, dalla sua campagna. Eraun pomeriggio di vento e pioggia, grigio come il piombo, ani-mato dai analini rossi delle macchine che passavano per la stra-da. Tornando a casa, cominciai a pensare a Rovira come amantedi Teresa Goday. Lo avrei atto distinto, magro, con una testaromantica. Lo avrei atto notaio. Avrebbe avuto sul tavolo unvasetto di cristallo e argento con dentro una rosa rossa. Lo avrei

    presentato ormai senza amore, anziano, con un ricordo damo-re. Uno di quegli amori iridati dal tempo.

    In via Santal, in uno dei miei soggiorni a Barcellona, vidiuna donna vecchia, vestita con cura, molto pulita, con unasporta piena di provviste. Sopra le pesche e le mele cera unmazzetto di garoanini lilla, con una corona color melograno

    nel cuore dei petali. Zoppicava un po. La seguiva un cagno-lino bianco pezzato di castano chiaro. Negli occhi di quelladonna cera una sorta di tristezza, in tutta la sua persona unagrande dignit. Aveva ancora qualche illusione: il mazzetto digaroanini. In quel momento nacque Armanda, la cuoca deiValldaura. Lavrei presa giovinetta. Fedele ai suoi padroni.

    A Teresa Valldaura avrei dato una glia che non le asso-migliasse. Soa Valldaura mi ha permesso di giocare con uncuore arido, a me, che avevo sempre giocato con cuori teneri.Fredda, si diende accettando, dellaccettare a la sua orza,

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    e le sue accettazioni divengono larma contro i suoi nemici.Contro un solo nemico: Eladi Farriols, suo marito, glio e ni-pote di bottegai e di abbricanti di tessuti.

    Tutta questa ragnatela che andavo tessendo mi imprigio-nava. Esausta, persi ogni capacit di comunicare con le miecreature. Mi suggivano tra le dita. Dovetti dimenticarle perritrovarle. Avevo quasi pronta la prima parte, qualche capito-lo della seconda e lultimo, quando Armanda esce nel parcoin cerca di talee di rose. Ma tutto era poco elaborato, come

    sospeso in aria. Il romanzo, daltro canto, mi si andava popo-lando di gente. Mi ci perdevo. Fui costretta a armi uno sche-dario, il che mi contrari perch pensavo che mi avrebbe toltospontaneit. Non riuscivo a riprendere il lavoro. Mi respinge-va.Specchio infranto si era trasormato in una montagna inac-cessibile. Non lavrei mai nito. Avevo perso ogni interesse.

    I titoli che mi ero proposta mancavano di mordente. Un

    romanzo uno specchio. Che cos uno specchio? Lacqua uno specchio. Narciso lo sapeva. Lo sa la luna e lo sa il salice.Tutto il mare uno specchio. Il cielo lo sa. Gli occhi sono lospecchio dellanima. E del mondo. C lo specchio della veritdegli egizi che rifetteva tutte le passioni; le nobili come le vili.Ci sono specchi magici. Specchi diabolici. Specchi deorman-ti. Ci sono specchietti per cacciare le allodole. C lo specchio

    quotidiano che ci rende estranei a noi stessi. Dietro lo spec-chio c il sogno; senza rompere lo specchio, tutti vorremmoattingere il sogno, che la nostra pi proonda realt. Sen-za sogni, ci sentiamo ratelli diLtrangerdi Camus: Lever,tramway, quatre heures de bureau ou dusine, repos, sommeilet lundi, mardi, mecredi, jeudi, vendredi, samedi sur le mmerythme*. Ma se crediamo quanto stato detto e ripetuto

    * Alzarsi, tram, quattro ore di ucio o di abbrica, riposo, sonno e luned, marted, merco-led, gioved, venerd, sabato allo stesso ritmo[N.d.T.]

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    a saziet, che il romanzo uno specchio che lautore porta aspasso lungo una strada, questo specchio rifette la vita. Io, intutto quel che avevo scritto del romanzo di una amiglia, nerifettevo solo dei rammenti. Il mio specchio lungo la stradaera dunque, uno specchio inranto. Trovato il titolo, ripresi inmano il romanzo. Era passato molto tempo.

    Teresa Valldaura, Salvador Valldaura, Soa, Eladi Farriols,Armanda, sono personaggi importanti. Ma ce ne sono altri,apparentemente di secondo piano, che lo sono ancora di pi:

    quelli che mi hanno realmente ornito lintreccio del roman-zo. Ramon e Jaume, gli di Soa e di Eladi Farriols. E soprat-tutto Maria, glia naturale di Eladi Farriols e di Pilar Segura,canzonettista. Lassassinio del piccolo Jaume da parte dei suoiratelli (gelosie inantili intrecciate alle gelosie dei grandi) una delle chiavi la chiave del romanzo. Il complesso dicolpa di Maria suicidio e di Ramon allimento si riper-

    cuote indirettamente sugli altri: Eladi, Soa, ecc.

    InSpecchio infranto muore tanta gente. Otto o nove perso-ne, mi sembra. Tutte sono morte perch io lho voluto, perchio sono stata il loro destino. Per questo, vive o morte, le hoqui accanto a me. Le osservo, e loro osservano me. A pocoa poco hanno acquistato rilievo, sono diventate persone in

    carne e ossa, del tutto amiliari. Il notaio Riera lo vedo mol-to spesso; passeggia tra i boschi di Romany, allombra dellequerce, dove ho nito Specchio infranto. Insieme guardiamoi tramonti pi purpurei del mondo e i pi perlacei sorger diluna. Teresa, Soa, Armanda, anche loro vengono. Tutte di-pendono da me e io dalle loro azioni. Forse me li ritrover incielo o allinerno. Il notaio Riera, che ora tace, mi rimpro-verer: Perch mi ha dato una vecchiaia ridicola? E io glirisponder: Perch non mi ringrazia dei momenti di gloriache le ho regalato e delle tante intermittenze di cuore? Verr

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    Teresa e orse, anche se alla ne lavr ridotta cos male, miringrazier di averla circondata di tanti ori e di tanti brillantie di averne atto, da giovane, una donna cos bella. Armanda,so che sar contenta della sua vecchiaia tranquilla, solo conun po di dolori ai piedi. Ramon Farriols, amareggiato dentrono alla ne, non mi guarder neppure perch troppi soldiguastano le persone. Eladi Farriols si vergogner. Me li ritro-ver tutti. Anche Colombetta. Mi dir: Mi hai dato dolori,erano i dolori di molti, qualche gioia, ma alla ne del tuo libro

    ti ho dato una lezione: anche se tutto triste, un po di gioiaal mondo c sempre: quella di alcuni uccelli che si bagnanoin una pozza dacqua. Contenti E mi ritrover con Ceclia.Io non volevo dormire con questo e con quello. Volevo sape-re chi era stato mio padre. Volevo sapere comera quello chemi aveva dato la vita, che me lo avessi lasciato vedere, anchesolo per un momento. Non volevo niente con altrettanta e-

    rocia. Perch, perch mi hai negato mio padre? E io le dir:Ti ho atto con gli occhi tristi che sono gli occhi pi belli delmondo e ti ho dato una vita, io e solo io, buona o cattiva, mauna vita. E questo meglio di niente. E allora verr il giar-diniere di Giardino sul mare, e mi dir passeggiando per lestrade del cielo: Ai piedi del muro pi alto, che vuole che lepianti, buganville o glicini? E io gli dir: Non sia tanto inge-

    nuo non vede che al muro pi alto lunica cosa che ci si pupiantare sono campi di nuvole e di stelle? Se mi incontro conil marinaio della Mia Cristina so che non mi dir niente. Mivolter le spalle, urioso perch lho atto vivere per molti anniin coppia con una balena. La povera Salamandra mi guarderseminascosta dietro dei li derba. Il signore di Il signore ela luna mi chieder umilmente un ponte pi vero per potercisalire senza delusione nale. Verranno tutti. Ce ne sono dinuovi che gi si avvicinano e ancora non so come saranno.Me ne sento responsabile? Hanno atto tutto quel che io ho

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    voluto, o qualche volta sono andati dove volevano loro? Nonlo so. Con tutta la mia slealt ho cercato di nasconderli. Nonsono; sono stati.

    La villa, il tetto, luccelliera, larmadio giapponese, il bic-chierino di cristallo che Teresa d al piccolo Jaume perchbeva vino come lei, riportato da Vienna da Salvador Valldaura,con il piede verde e la parte alta color rosa, le piume di pavonecon un occhio blu in cima, il signore senza testa della casa

    delle bambole che Ramon Farriols si porta via quando uggedi casa, e la testa del signore della casa delle bambole che Ar-manda raccoglie e conserva in un cassetto per poterla spazzo-lare ogni tanto, sono alcuni, tra i molti, elementi di una certaimportanza inSpecchio infranto. E naturalmente, lalloro.

    Dietro casa, quando ero piccola, quella che ora via Balmes,

    era il torrente di Sant Gervasi de Cassoles. Dallaltra parte deltorrente cera il parco abbandonato del marchese di Can Bru-si. Dalla sala da pranzo lo si vedeva olto di alberi centenari.Pieno di usignoli nelle sere destate. Andava da piazza Molinano allAteneu di Sant Gervasi, proprio accanto a quello cheora il Mitre. Al tramonto, si sentivano le grida dei pavoni.Questo parco, idealizzato, il parco della villa dei Valldaura.

    Il giardino di tutti i giardini.

    Vorrei parlare brevemente di due temi che compaiono conuna certa requenza nei miei romanzi: il tema dellangelo e iltema della metamorosi. Ne trascriver alcuni passi. Forse po-tranno servire a qualche studioso che si interessi di letteraturacatalana. A Madame Louise Bertrand, di Nizza, che sta acen-do una tesi suLa piazza del Diamante, alla signorina Eva Bitt-ner, di Amburgo, che ne prepara una sulla mia opera, e anchea Carme Arnau, di Barcellona, che ne prepara unaltra.

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    A tre o quattro anni, mio nonno mi disse che io avevo mio,tutto mio, un angelo custode. Mentre passeggiavo in giardino,ci pensavo. Gli angeli avevano ali, erano biondi e, incastonatisotto la ronte, due occhi azzurri. Erano scalzi. Lavevo vistonei santini. Non ce nera neppure uno con le scarpe. Passeg-giavo lentamente con il mio angelo a anco: non lo sentivorespirare, ma sentivo che mi voleva bene; in modo diverso dal

    mio, perch lui poteva vedere me e io non potevo vedere lui.Sapevo comera ma non potevo toccarlo. Il mio angelo invisi-bile non mi lasciava mai perch doveva custodirmi. Senza sen-tire che mi tenesse per mano, sapevo che a volte mi guidavatenendomi per mano. Quel soo di vento tra le oglie, pensa-vo, lo anno le ali dellangelo. Una presenza. Mi ammalai. Dinostalgia. Per armi passare la nostalgia mi portavano a vedere

    acqua corrente. Aprivano i rubinetti: Guarda lacqua. Met-tevano in unzione lo zampillo della ontana: Guarda lac-qua. Gialla come un cero, non mangiavo e dormivo poco.Mi ero innamorata dellangelo. A letto mi coprivo la testa e gliparlavo sottovoce: Ti voglio bene Avrei voluto abbracciarloe non era in nessun luogo. Forse come conseguenza di questoricordo, nei miei romanzi, non me ne sono accorta no ad

    ora, ci sono degli angeli. InAloma. InLa piazza del Diamante.In Via delle Camelie. InSpecchio infranto. In un racconto inti-tolato Sembrava di seta.

    Aloma (capitolo XIV):Che anno gli angeli?Si mascherano da stelle.

    La piazza del Diamante (capitolo XXXV):E al di sopra delle voci che venivano da lontano e non si

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    capiva che dicevano, si lev un canto di angeli, ma un cantodi angeli arrabbiati che rimproveravano la gente e le dicevanoche stava davanti alle anime di tutti i soldati morti in guerra,e il canto diceva che guardassero il male che era stato attoperch tutti pregassero per mettere ne al male.

    Via delle Camelie (capitolo XLII):Gli soai dentro i buchi del naso e gli dissi che era il mio

    angelo.

    Ceclia, innamorata di Esteve, gli dice che lui il suo an-gelo. Qualche tempo dopo, quando ha gi per amico Mart,Ceclia comincia a comprare angeli. Il ricordo dellangelo cheper lei era stato Esteve, la porta inconsciamente a riempirsi lacamera da letto di angeli di legno.*

    (Capitolo XLVIII):

    Un giorno, da un antiquario di Plaa del Rei vidi un an-gelo di legno, alto come un uomo, che mi piacque. Andaiparecchie volte a guardarmelo e me lo comprai per il mioonomastico. Quando lo ebbi in casa, lo sistemai ai piedi delletto, molto vicino, e di accia alla testiera. Langelo mi guar-dava come chi avesse soerto molto; portava una tunica dorocon una ascia rossa in ondo alla veste e intorno al collo; le

    pieghe del vestito di legno gli coprivano i piedi ed era senzamani. Mi piaceva toccare il bordorasposo dei polsi, l dovegli erano state tagliate le mani. Era la prima cosa che vedevoquando aprivo gli occhi, e ben presto me ne comprai un altropi piccolo. Quello senza mani me lo portai al villino e a Martdissi che lavevo cambiato con quello pi piccolo. Andai a

    * Questa, diversamente dalle altre (che pure non sempre sono citazioni letterali), non unacitazione dal romanzo indicato: sembra piuttosto un appunto riassuntivo di un passo che neltesto narrativo ha una estensione molto maggiore: lo conerma anche luso qui, a dierenzadel romanzo, della terza persona. [N.d.T.]

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    comprare altri angeli e li acevo portare al villino. Ne avevo dialti e di bassi, con i riccioli e con i capelli lisci, con una coppain mano, con una palma, con un grappolo duva. Mi piacevaentrare al buio nella mia camera da letto, alla luce delle stelleche entrava dalla nestra, e mi mettevano un po di soggezio-ne che per mi era di compagnia. Come se stessero dicendosottovoce il mio nome. Ma invece tacevano, dritti e tarlati esenza poter volare.

    Sembrava di seta (racconto inedito):Sulla tomba non cera traccia di crisantemi, ma in terra,ben incastrata nella pietra, una cosa nera, lunga e sottile comeun coltello da pane, brillava laccata: era una piuma. Non osa-vo toccarla bench ne avessi una voglia da morire, perch misembrava strano che osse tanto grossa. Quale ala o quale codadi uccello aveva potuto sorreggere una piuma come quella?

    Trattenendo il respiro mi chinai e di a rimirarla, nch nonresistetti pi e ci passai sopra varie volte un dito: sembrava diseta. Come sarai bella dentro un vaso, le dissi. E nel mo-mento in cui stavo per prenderla e portarmela a casa, unoschiocco dali e una grande ventata mi scaraventarono contrololivo. E tutto cambi. LAngelo era l, alto e nero sulla tom-ba. I rami, le oglie, il cielo con tre stelle, appartenevano gi

    a un altro mondo. Langelo, per quanto era immobile, nonsembrava vero; nch si pieg da un lato, sul punto di cadere,e molto dolcemente per intorpidirmi? prese a dondolarsida un lato allaltro e quando ormai pensavo che non avreb-be mai smesso di arlo, come un gemito ugg in alto, orandolaria per lasciarsi cadere a terra vaporoso. Quando lo ebbi aun palmo di distanza, gambe in spalla! Correvo spiritata schi-vando tombe, inciampando in cespugli, trattenendo la vogliadi urlare. Convinta che langelo mi avesse perso, mi ermaicon le mani sul cuore perch non scappasse via. Ges mio!, lo

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    avevo davanti, pi alto della notte, atto tutto di nuvola, conle ali che tremolavano, grandi come vele. Io lo guardavo e luimi guardava e passammo un momento, oh! quanto lungo, aguardarci incantati. Senza smettere di guardarlo allungai unbraccio e con un colpo dala me lo ece ritirare. Vattene,sentii dire una voce che non sapevo pi se era la mia. E allun-gai di nuovo il braccio. Colpo dala! Come se ossi diventatapazza, mi misi a gridare: Vattene, vattene, vattene! La terzavolta che allungai il braccio andai a sbattere contro unagave.

    In retta e non so come, mi ci acquattai dietro, sicura che lan-gelo non mi aveva visto. Il pezzo di luna che era gi arrivato inmezzo al cielo, sputava uoco dai due lati.

    Strisciavo per terra come un verme: sui gomiti, sul ventre,aggrappandomi dovunque, strappandomi il vestito su non soche spine, con il desiderio di restarmene a dormire per sempresulle oglie che rusciavano, senza sapere dove sarei andata a

    nire n se avrei mai potuto uscire dal cimitero. Dopo moltigiri, arrivai sul viale dei cipressi; un odore amaro di ore dimandarino caldo di sole, da dove veniva?, mi dava la nauseae con gli occhi chiusi per uccidere langelo, e scostando ramo-scelli che mi graavano, mi ermai ai piedi del cipresso pivicino. Il braccio, per i colpi dala, mi aceva male, mi uscivasangue da un taglio che una spina di oglia dagave mi ave-

    va atto sulla guancia. Dallaltro lato del viale quieto come lamorte, avvolto da un chiarore di stelle, langelo mi sorvegliava.Non mi mossi pi. La stanchezza u pi orte della paura.

    Era mezzanotte o sognavo che era mezzanotte? Quel pove-retto del mio morto piangeva lontano perch non mi si ricor-dava, ma una voce, che usciva da dietro un sole color gesso,diceva che il mio morto era langelo, che dentro la tomba noncera niente: n ossa n ricordo di persona quieta. Non occor-reva che comprassi pi ori, n piccoli n grandi, n dovevoinghiottirmi altre lagrime, dovevo solo ridere e ridere no al

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    momento in cui anche io sarei stato un angelo e io avevovoglia di gridare, perch la voce nascosta mi sentisse, che nonmi piacevano le ali, che non mi piacevano le piume, che nonvolevo essere un angelo ma non riuscivo a gridare. La vocemi ordin di guardare. Una nebbia bassa che si andava esten-dendo sul cimitero come se volesse are da lenzuolo a tutticoloro che vi giacevano con una mano sullaltra, mi colmavadi benessere. Arrivavano altri odori: di miele e di erba checresceva solo al chiarore delle stelle e io non mi trovavo ai

    piedi del cipresso ma in una piazzuola circondata da tombe.Langelo, con le ali distese a terra, sedeva su una panca di legnocome se stesse l ad aspettarmi dalla nascita, e ricordo di averpensato: Se lascia strusciare le ali, in un modo o nellaltro glisi sganceranno delle piume e poi le perder per i cimiteri. Lanebbia, ogni volta pi bianca e pi densa, mi gelava le gambee si andava avanti. Non la nebbia, io. Scivolavo per un pendio

    di ghiaccio. Senza volere, mi stavo avvicinando allangelo chenon smetteva di guardarmi, e quando mi ebbe accanto si alzin tutta la sua altezza con la testa che toccava la luna, e lodoredi erba diventava odore di terra nera e buona che mi stavacoprendo, di quella in cui puoi piantare qualsiasi cosa, perchtutto ci attecchisce. Tra tombe e oglie morte si sentiva rumoredacqua e si vedeva brillare un lo di non so che, e langelo

    apriva e apriva le ali, e quando ebbe rasente, quando sentiila sua dolcezza che si mescolava alla mia non capir maiperch provassi tanto il bisogno di sentirmi protetta. Langelo,che doveva averlo indovinato, mi avvolse con le sue ali, senzastringere, e io, pi morta che viva, le toccai per trovare la setae rimasi l dentro per sempre imprigionata come se nonstessi in nessun luogo

    Specchio infranto (terza parte, capitolo II, Giovent):San Michele arcangelo corazzato doro e con la spada

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    invincibile, in guerra con Satana e con tutta una legione diangeli inuriati, non lavrebbe impressionata di pi.

    (Terza parte, capitolo VI, La villa):Le arrivavano ondate daria, ondate di chiarore di stella,

    ogni stella la casa di un angelo. Al di l del mare, da ogni casalucente, usc un angelo rosso, una squadra di angeli scendevaa salutarla e ne venivano da ogni parte di levante e di ponente,squadre e squadre; con la punta delle ali le soravano il viso

    pi dolci del miele, pi resche di un mazzolino di prezzemo-lo. Rideva rideva rideva presa in una rete di tenerezzainnita. Gli angeli non avevano volto, non avevano piedi, nonavevano corpo. Erano ali con unanima vaporosa come unanebbia in mezzo a tante piume di amore.

    (Seconda parte, capitolo XXI, Sogni):

    Armanda disse con una certa malinconia: Io sogno sem-pre la stessa cosa; ormai lo sa. Anche la notte scorsa. Lan-gelo? Langelo, aerm Armanda. Lei volava in alto,come sempre? No, signora. Stavo nel mio letto e da dentrolombelico cominciava a uscire un umo in orma di me, cheero io e che non ero del tutto io. Lanima?, chiese la signo-ra Teresa tenendo allaltezza della bocca un pasticcino man-

    giato a met. Lanima. E appena aveva attraversato il tetto, siavvicinava lui. La signora Teresa sapeva e Armanda sapevache la signora sapeva che langelo dei suoi sogni aveva la testadi Eladi Farriols. Io, anima, non avevo seni per quanto era-no piccoli Langelo, con le penne delle ali bionde in punta,aveva i capelli che sembravano un sorso di notte. La signoraTeresa la interruppe: Non mi aveva mai detto che avesse icapelli. Le ultime volte, s. E mi ha preso per la vita, con unbraccio solo, come osse una cintura, e con laltro braccio inaria e un dito teso si apriva la strada verso il cielo. Io con i pie-

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    di penzoloni, semisvenuta e semistordita dal battito delle ali,mi lasciavo portar via; volavamo oltre il cielo e ci sedevamosulla luna nch langelo se ne andava dicendo che sarebbetornato. Mi aveva disteso su una montagna di polvere di luna,dura come la roccia e tornava innamorato.

    La mia Cristina e altri racconti(Un petalo di geranio bianco):Una mattina, tempo a, mentre scalpellavo il marmo per

    are i boccoli dellangelo, entr una signora alta, molto ma-

    gra, con il naso lungo e le labbra secche; sui capelli, messomale, portava un cappello con un uccello. Teneva per manoun bambino vestito da marinaio, che si stringeva al petto unatrombetta lucida e dorata, guarnita di nappe e di nastri e dicordoncini rossi. Quella signora veniva a ordinare una lapidedi marmo grigio per la tomba del marito; al di sopra del nomee delle parole che parlavano del morto, ci voleva tre crisante-

    mi di marmo bianco, diritti uno accanto allaltro: il primo unpo pi alto e il terzo pi corto di quello centrale. La volevain retta. Quando se ne urono andati, il mio padrone, chele aveva detto che avrebbe tralasciato langelo e le avrebbeatto subito la sua lapide, ma non con i crisantemi in rilievo,come se li avessero attaccati sul marmo, ma stampati e legatia ormare un mazzetto, mi disse che langelo era urgente, che

    prima di tutto langelo. E io continuai a scalpellarne i boccoli.Ogni sera, quando arrivavo a casa, dicevo a Balbina che ace-vo un angelo tutto da solo, perch il mio padrone una voltale aveva detto che ero un cattivo marmista e che non potevaadarmi una gura intera.

    metamorfosineimieilibri

    C Ovidio. C il meravigliosoAsino doro. C Kaka. Ho

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    utilizzato il tema della metamorosi come una via di uga, unaliberazione dei miei personaggi. E mia. E poi, la metamorosi una cosa naturale. La larva diventa crisalide, la crisalide ar-alla, il girino rana. Non posso aermare di aver mai assistitoalla metamorosi di una persona, della parte materiale di unapersona, ma ho visto invece la metamorosi dellanima: che poi la vera persona.

    Un cambiamento di nome equivale a una metamorosi:Il vero nome di Aloma ngela.

    Il vero nome di Colombetta Natlia.

    La piazza del Diamante (capitolo XXXV):E io su, su, su, Colombetta, vola. Colombetta... Con la

    accia come una macchia bianca sul nero del lutto... su, Co-lombetta, che dietro di te c tutta la pena del mondo, liberatidella pena del mondo, Colombetta. Corri, in retta. Corri pi

    in retta, che le palline di sangue non ermino i tuoi passi, chenon ti acchiappino, vola su, su per le scale, su no in terrazza,no alla tua colombaia... vola, Colombetta. Vola, vola con gliocchietti rotondi e il becco con in cima i orellini per naso...

    La mia Cristina e altri racconti(Il ume e la barca):Il mio respiro era corto e dicile. Mi sembr che gli occhi

    mi si gonassero e che non potevo chiuderli. Me li toccai ederano rotondi. Nel paesaggio, tutto ombre, palpitava unattesacome sul punto di una nascita. Tentai ancora di remare, perpuro istinto, e la barca avanz un po. Ma io soocavo ed era ilmio aanno quello che mi spingeva. Aprivo la bocca per arcipassare un lo daria, ma laria si era ispessita e la bocca mi silacerava ai lati. E quando non potei pi respirare e sentii chetutto il mio corpo si annodava ricorsi alla soluzione estrema,e con i piedi bucai la barca che sembrava diventata di ango.Sentivo una pressione tremenda ai due lati del collo, e la barca

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    mi si scioglieva e io ero solo con quella morte che mi crescevadentro, rapida, come unerbaccia velenosa. Una specie di ver-tigine mi pieg in avanti e caddi di piatto sullacqua come lapiuma bianca e con le gambe incollate. Mi erano spuntati dueventagli spinosi ai lati del petto, e in mezzo un pettorale disquame. Provai a nuotare con le braccia ma non mi ricordavodove le avevo. Allora sentii che da cima a ondo della schiena,dolorosamente, si alz una pinna membranacea e che un muli-nello dacqua mi risucchiava. Tutto era resco e acile. Divino.

    Ero diventato un pesce. E lo restai per molti anni.La salamandra:

    Allora mi successe una cosa che mi ece stringere i denti:le braccia e le gambe mi si stavano accorciando come le cornadi una lumaca che una volta avevo toccato con il dito, e, sottola testa, l dove il collo si congiunge alle spalle, sentivo qual-

    cosa che si stirava e pungeva. E il uoco crepitava e la resinaribolliva Vidi che qualcuno di quelli che stavano guardan-do alzava le braccia e che altri correvano e urtavano controquelli che ancora stavano ermi, e tutto un lato del rogo crolltra un grande schizzare di scintille, e quando il uoco riprese abruciare la legna rovesciata in terra, mi sembr che qualcunodicesse: una salamandra. E mi misi a camminare sulle braci,

    molto lentamente, perch la coda mi pesava.

    sullinnocenzadeimieipersonaggi

    Prima di terminare, vorrei aggiungere qualcosa sullinno-cenza dei miei personaggi.

    Se dovessi presentarmi come corieo di una immaginariatragedia antica, mi avvicinerei al pubblico e comincerei cosil mio recitativo: Dinanzi al sole, alle nuvole e alle esteles

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    cos chiama le stelle Bernat Metge (quantes esteles ha en locel) posso assicurare che i miei genitori mi hanno atto inno-cente. Ma sono una persona come le altre, dotata di molteplicipersonalit, e orse la pi marcata una sorta di innocenza chemi a sentire a mio agio nel mondo in cui mi toccato vivere.Per il desiderio di scrivere con determinate caratteristiche, hocoltivato ormai da molti anni e questo innocenza unasorta di purezza che in ondo deve signicare la stessa cosa ,con il minimo di alsicazioni possibile. Ho coltivato loblio di

    tutto quel che mi parso nocivo per la mia anima e ho coltivatolammirazione per le cose che mi anno star bene: per il calmopotere dei ori che mi procurano momenti ineabili, per lalenta pazienza delle pietre preziose, purezza massima della ter-ra, per i grandi abissi di questo cielo cos vicino e al tempo stes-so cos lontano, dove brillano e palpitano tutte le costellazioni.Questo a s che io abbia passato tempi duri e gravezze di ogni

    genere, senza che tutto ci mi abbia segnato proondamente.Non voglio dire che la malvagit e la perversit mi accorino;sottoscrivo la celebre rase: Nulla di quel che umano mi estraneo. Ma linnocenza, perch si addice a una parte im-portante del mio temperamento, mi disarma e mi innamora. Ipersonaggi letterari innocenti suscitano tutta la mia tenerezza,mi sento bene accanto a loro, sono i miei grandi amici. Gli

    eroi di alcuni racconti di Hemingway, i servi negri dei romanzidi Faulkner, la ragazza diLight in Augustche attraversa metdel Nord America a piedi o a bordo di camion alla ricerca delbracciante agricolo che lha messa incinta, che ama e che nonsa dove si trovi.

    Colombetta, Ceclia, il giardiniere, Armanda, Eladi Far-riols, Valldaura, sono, ciascuno a suo modo, personaggi in-nocenti. E che siano innocenti mi basta. SeLa piazza del Dia-mante, se Via delle Camelie sono piaciuti, seSpecchio infrantopiacer, non accamper pretese di merito. Vorrei cominciare,

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    nuovo come la luce del giorno e non sar aatto acile ilmio prossimo romanzo. Scrivo perch mi piace scrivere. Senon sembrasse esagerato, direi che scrivo per ar piacere a mestessa. Se di rimbalzo quel che scrivo piace agli altri, meglio.Forse per c qualcosa di pi proondo. Forse scrivo per a-ermarmi. Per sentire che esisto E nisco. Ho parlato di mee di cose essenziali della mia vita, con una certa mancanza dimisura. E la dismisura mi ha sempre atto molta paura.

    M. R.