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1. L’antefatto: lo script e la tossicodipendenza 1.1. Storie infrante L’ occasione per pensare agli script familiari (Byng-Hall, 1995, 1998) come lente per guardare alle storie di individui e famiglie è nata nel lavoro cli- nico in due strutture terapeutiche residenziali per coppie tossicodipendenti (Giuliani, 2002), nella consulenza e nella supervisione agli operatori di quel- le e di altre strutture e nella condivisione di idee con colleghe e colleghi che lavoravano nello stesso ambito. Le storie familiari spesso tormentate e problematiche mi suggerivano di dotarmi di uno strumento che rendesse conto delle relazioni intergenerazio- nali; la storia e le premesse dell’istituzione mi richiedevano di confrontarmi non soltanto con i pattern relazionali, ma anche con il mondo interno degli utenti; infine, nelle frequenti drammatiche ricorrenze tra la storia che quei giovani raccontavano sui propri genitori e la storia che raccontavano di sé, trovai una conferma dell’utilità di leggere le storie di tossicodipendenza come esiti drammatici di un copione ripetitivo di tentate soluzioni, non di rado ereditato dalle generazioni precedenti. Trovai così un buon punto di partenza nel modello dei family script, elaborato da John Byng-Hall nel suo 63 CONNESSIONI Massimo Giuliani * *MASSIMO GIULIANI: Psicologo, psicoterapeuta sistemico, lavora come libero professio- nista nel suo studio di Manerbio [BS]. Consulente e supervisore di strutture operative e comu- nità terapeutiche. e-mail: [email protected] Lo script infranto Dal copione familiare al copione conversazionale “La mia vita è tutta a pezzi, come uno specchio… ecco, ha presente uno specchietto dopo che ci è passato sopra un camion? Non ho voglia di parlarne…” (Irene)

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1. L’antefatto: lo script e la tossicodipendenza

1.1. Storie infrante

L’occasioneperpensareagli script familiari (Byng-Hall,1995,1998)comelenteperguardarealle storiedi individui e famiglie è natanel lavorocli-

nico in duestruttureterapeutiche residenziali per coppie tossicodipendenti(Giuliani, 2002),nellaconsulenzaenellasupervisioneagli operatori di quel-le e di altre strutturee nellacondivisionedi idee concolleghee colleghichelavoravanonellostessoambito.

Le storiefamiliari spessotormentatee problematichemi suggerivano didotarmidi unostrumentocherendessecontodelle relazioni intergenerazio-nali; la storia e le premessedell’i stituzionemi richiedevanodi confrontarminonsoltanto con i pattern relazionali, maanchecon il mondointerno degliutenti; infine, nelle frequenti drammatichericorrenzetra la storia chequeigiovani raccontavanosui propri genitori e la storiacheraccontavanodi sé,trovai una conferma dell’uti lit à di leggerele storie di tossicodipendenzacomeesiti drammaticidi un copione ripetitivo di tentate soluzioni, non dirado ereditato dalle generazioni precedenti.Trovai così un buon punto dipartenzanelmodello dei family script, elaboratodaJohnByng-Hall nel suo

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CONNESSIONI

Massimo Giuliani *

*MASSIMO GIULIANI : Psicologo, psicoterapeuta sistemico, lavora come libero professio-nista nel suo studio di Manerbio [BS]. Consulente e supervisore di strutture operative e comu-nità terapeutiche. e-mail: [email protected]

Lo script infrantoDal copione familiare al copioneconversazionale

“La mia vita è tutta a pezzi,come uno specchio…ecco, ha presente unospecchiettodopo che ci è passato sopraun camion?Non ho voglia di parlarne…”

(Irene)

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lavoro con le famiglie alla Tavistock Clinic, che vedegli individui come“ interpreti” di unarappresentazione,scritturati in undato copionedallafami-glia d’origine: nella vita quotidianaessi“replicano”queicopioni,o li correg-gono,o neimprovvisanodi nuovi.

Nel mio lavoro con persone tossicodipendenti ho constatatoche lametafora dello “specchio infranto” che lo psicoanalista ClaudeOlievensteinutilizza in un celebresaggio(1981),si dimostraparticolarmenteappropriata.Per Olievenstein il bambinotra i sei e i diciotto mesi,attraversoil riflettersiin uno specchio [reale o simbolico], si scopre “altro”, ponendofine cosìall ’esistenzafusionalevissutaassiemealla madre. Nell’impossibilità di rea-lizzarepienamentelo “stadiodello specchio”, l’eroina giungerebbea “salda-re” le fratture di quello specchio, dandoal tossicodipendentel’illus ione dicontinuitàdel sensodi sé.

Trovavo chetalemetaforarendessecontodelle peculiarità dellenarrazio-ni di questipazienti,a volte caratterizzatedacadutenella competenzaauto-biografica [comed’altra parte spessosi riferisce in un’ampialetteraturasullatossicodipendenza],da storiedisorganizzate e prive di nessi plausibili, altrevoltedaracconti standardizzati, lineari edi glaciale coerenza.

È noto cheOlievenstein è debitoredellametaforadel “ rispecchiamento”aWinnicottmasoprattuttoaJacquesLacanealla suainterpretazionedel nar-cisismo primario. PerLacanil bambinotra i sei e i diciottomesi, più preco-cementeche il cucciolodi un altro animale, è in grado di riconoscersinel-l’ immagineriflessa allo specchio. Il bambino,dice Lacannel suo celebrescritto sullo “stadiodello specchio”(1974),attraverso dei gesti mettea con-fronto il propriomovimento conquello della realtà rispecchiata. Questigestimanifesterebberoil sorgere di un’identitàcorporea,di unaformaprimordialedell’ io, maanchedelladistinzionetra il propriocorpoe le persone,gli ogget-ti chepopolanolo spaziocircostante.

Dunqueil bambinoricaverebbeil suoprimosensodi identitàdallo sguar-do della madree, allo scopodi salvaguardare tale relazione,si identifica neldesideriomaterno.

Lo stadio dello specchiolacanianoèunasituazioneessenzialmentediadi-ca: quandoparliamo dello script familiare ci riferiamo invece a un’attribu-zione di significati alla cui stabilità tutti partecipano.Tutti i membri dellafamiglia contribuisconoa co-creareun copionecheè ugualmentenecessarioa tutti i personaggicoinvolti.

Come il rispecchiarsinello sguardodellamadre, così il riconoscersinelcopionecondiviso della famiglia è necessario all’individuo per attribuireunsensoallapropriavita e, in sostanza,per“esistere”.

Ho trovato inevitabile considerarequestemetaforeun elementoimpre-scindibile del contestonel qualelavoravo. La storia dell’isti tuzioneerafor-

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temente impregnatadel pensiero psicodinamicoe l’articolo di Olievensteinintroducenelle conversazionisulla tossicodipendenza una metafora [lo“specchio infranto”] che è diventata eredità, più o menoconsapevole, diuna gran quantitàdi operatori che si prendono cura di personetossicodi-pendenti.

Spessol’in teressedei terapeuti si è rivolto versoquelle situazioni in cuitra più narrazioni, o tra la narrazione“dominante” e ciò che invecesi pre-sentaagli occhi degli individui, c’è unadiscrepanza, unadissonanzacogni-tiva cui nonè possibile sottrarsi, accompagnata daun’ingiunzione implicitache ordina di non rendersiconto dell’in coerenza1. Perquantomi concerne,incuriosivanole “fratture” e le incongruenze nei copioni inter e intragenera-zionali del tossicodipendentee della sua famiglia. Ipotizzai cheattraversol’esamedelle conseguenze relazionali dell’uso della sostanza e della “sco-perta” da parte dei congiunti fosse possibile ricostruire i contorni di unoscript familiare di soluzione del conflitto che, per qualche ragione legataalla suaincoerenzainterna,avevaesito nella tossicodipendenza (Giuliani,op. cit.).

Da tutto ciò emergevaunacornicechesembrava connettereil linguaggiodella lettura intrapsichicacon quello delle ipotesi relazionali, ed entrambicon quello dell’esperienzadi vita degli utenti tossicodipendenti checi aiuta-vano a costruire le nostre/loro storie. E, infine, tutti questi con la premessapedagogico-pragmaticadella comunità,cheesorta gli utenti a liberarsi daivincoli imposti dalla storiavissuta[e dallapesanteinfluenzacheessaesercitasul presente],per recuperare la responsabilità sulla propriavita e la perdutacapacitàdi gestirsi,progettare,amare.

Nel lavorodiagnostico con questipazienti, peraltro,la “ lente” dei familyscript tenevacontodegli ambiti concentrici in cui lo script è inserito e chegli attribuisconosignificato: nonsolononpretendedi essereimmuneda fat-tori culturali,maanzicala i pattern di comportamentoindividuali e familiarinel contestodellepremesseculturali dacui essi traggonosenso.Uno script èincorporatoin sistemi di significatipiù ampicondivisi conla famiglia estesa,lacomunità,la cultura.

Dunqueho utilizzato il modellodei family script comeuna lenteper lavalutazione diagnosticacheconsiderassele variabili culturali non già comeun “terzo incomodo” che interferiscenella descrizionedella realtà, ma anzicomeunelementointegrantedella narrazionechenerisulta.

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1. Cirillo e coll. (1996)parlano,proprioa propositodei genitoridi tossicodipendenti, di “sofferen-zanegata”, nascosta,misconosciuta.E si pensia concetti comeil “mito” (Ferreira, 1978) o l’ ”i mbro-glio” (Selvini Palazzolie coll., 1988).Lo stesso“doppio legame”batesoniano(Bateson, 1972) costi-tuisce un esempio di dissonanzache generasofferenzae confusioneperchécreauna frattura nella“coerenza” del sensodi sédellepersoneenelleloro narrazioni.

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1.2. Una storia “coerente”

Nellaprospettivanarrativa(Bruner, 1988,1991,1992), gli individui organiz-zanola propria esperienzasotto formadi storie. Attraversotali storieauto-

biograficheessi costruisconola propriacoerenzaedannosensoalla realtà.JohnByng-Hall (1999)affrontala questionedal puntodi vistadella teo-

ria bowlbiana,riflettendosucomela coerenzae l’incoerenzadellenarrazionifamiliari siano legateai diversi stili di attaccamento. Il suomodello poggiasulle solidespalle del lavorodi Bowlby (1989)e sulle ricerchesui legami diattaccamento,per indagarela relazionetra narrazioni familiari incongruenti,stili di attaccamento degli individui emodochequestihannodi vedersi e rac-contarsi.

Il modello degli script familiari, dunque, appariva unabuona“metasto-ria”, un’utile tracciasucomeco-costruiredieci, cento,mille storiesingolari.

Procedendonel nostropensiero, si è fatta stradal’ipotesi di un’analogiatra lo “specchioinfranto” e lo “script infranto” comefrattura nel modellooperativorelazionalecheil bambinocostruiscedi séa partiredallerelazioniprecoci. Forseai pazienticheho incontratoeracapitatodi radodi sentirpar-laredi loro i genitorio di scambiareconi familiari ricordi e storie sulla fami-glia. Forsesi trattavadi famigliesenzaspaziper il racconto,senzaunoscriptsulla trasmissionedellamemoria.

Nei raccontidi questipazienti tossicomanitrovavo talvolta delle storieparticolarmente rigogliose di dettagli, seppure sconnessidal punto di vistatemporalecomedaquellologico,un fecondodisordinedi eventiedi emozio-ni. Talaltra ritrovavo un’avvilentemancanzadi “storie” e, quandoc’erano,esseapparivano desolatamente standardizzate, ossessiviscenari “tipici ”ricorrenti, tramandatie reiterati comeper assegnaree confermareruoli ecopioni: “Quandoerosenza i miei genitori, piangevosempre!” [v. la storia diCiro in Giuliani, op. cit.]. Per di più, anchequandoeranosommamenteinve-rosimil i e incredibili, difficilmente esseeranooggettodi critica e per lo piùvenivanoriferite comeuna realtà storicae “certa”. Tale limitazione dellacapacità di “pensareil pensiero” parevaal servizio dell’integritàdello “spec-chio” e dello script: unospecchioa suomodointegroe coerente,mail prez-zo di taleintegritàeraunanarrazioneappiattita,standardizzatae impoverita.

1.3. Scientificitàe narrativa nel modello dei family script

Byng-Hall non rinunciaa dareal suomodello il sostegnodi basi teoricherigorosee scientifiche.Bowlby (1989), in fondo,rivendicava alla psicoa-

nalisi una natura scientifica,anzi ne auspicava l’ingressonel campodellescienzenaturali e giudicavaunasciaguraogni tentativo di annoverarla tra le

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discipline ermeneutiche. Ancora,come terapeuta della famiglia, Byng-Halldichiara un’affinità con Salvador Minuchin: una caratteristicacomunecheemerge sia dall’orientamento strutturale chedaquello della Tavistockè chela terapiatendea ricollocareruoli, autorità, compiti di curatra i componentidella famiglia, con un forte accento sui “confini” generazionalie similimetaforespazialie organizzazionali, oltre che sulla necessitàdi restituire“autorità” ai genitori laddovequestasiaminata dacoalizioni intergenerazio-nali (cfr. Minuchin e Fishman,1982).È evidenteche, seguardiamole cosesotto il profilo dell’alternativa“scientificità o ermeneutica”, Byng-Hall haappoggiato la suateoriasulla “basesicura” dei dati sperimentali e oggettivi.E noi gli siamo grati perché,così facendo,ci hamessoa disposizione dellebuonestorie,solideecoerenti,sucomele famiglie “funzionano”.

D’altro canto credo di aver coltivato quella cheBoscolo e Bertrando(1996e 1997)hannochiamato“posizioneermeneutica”del terapeuta,quellavisione“soggettiva”chesi contrapponeall’ “oggettività” della visione“scien-tifica”. È statosoprattuttoJeromeBruner(cit.) adapprofondirela distinzionetra questidiversi tipi di pensiero[il pensieroparadigmatico e il pensieronar-rativo], complementariseppureirriducibili l’uno all’altro. Certol’opposizio-ne tra i duetipi di pensieronon può essereritenutacosì radicale:seè veroche il pensieronarrativo nonattribuiscetanta importanzaalla dimostrabilitàdei “mondi” chegenera,è pur verocheunastoria chenonsi curi della pro-pria plausibilitàèunapessimastoria.

Mettiamola così: credodi aver utilizzato il modello di JohnByng-Hallallo scopodi costruirmiunatraccia,unoschemanarrativoper scriveredellebuonestorie su come le personecercanocoerenzanel proprio sistemadisignificati e sucomel’eroinatalvolta può essere il “collante” chetieneinsie-me storie che altrimenti “non stannoinsieme”. Uno “schemanarrativo” èquel sistemadi regolein base alle quali ricercaree selezionarei dati del rac-conto: nel nostro caso,ad esempio, i “ruoli” all’in ternodella famiglia e ilmodo in cui si realizzavano,l’inizio della tossicodipendenza, la suascopertada partedella famiglia, i mutamenti intervenuti nellerelazioni familiari dopoquesteo altrecircostanze.

Mentreprocedevonell’ideacheraccontaregli scriptpotessegeneraresto-rie sulla tossicodipendenzae ideesul cambiamentopossibile,diventavaevi-dente chestavo operando una speciedi “tradimento” ai danni del modellooriginale.Mi parevautile pensare che lo script cheemergevadalle nostreconversazioninoneraunatestimonianzacheriaffioravadal passato:piuttostonascevanell’intersezionetra il mio interlocutore,le mie premessee la “mito-logiaculturale” dell’istituzione.Potevovedere, insomma,lo script e la stessastoria della tossicodipendenzacomecostruzionisociali inveceche come“cose” conun’origine, delle causeedegli effetti.

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O meglio: per quantomi riguarda, cercodi “credere” nelle storie cheemergonodal mio incontro con i pazienti tossicodipendenti; di sentire unautenticocoinvolgimentonella“realtà” cheemergedalnostro sforzodi scrive-re storie più o meno coerenti:d’altra parte,cheefficacia avrebberole “veritànarrative” che costruiamo, se non le prendessimoper “vere” (Battacchi,1997)?Nello stessotempo,cercodi mantenerneil cautodistaccochemi con-sentedi ricordarechele nostrestorienonsono “cose”chescopriamo, edi trat-tarle,in fin deiconti, comeinvenzionichenascononella nostraconversazione.

Non trovo contraddizionetra questidueatteggiamenti: credoche dallaloro complementaritàemergauna “doppia descrizione”(Bateson,1976).Ladoppiadescrizioneper la qualeogni storia è veraa un certo livello e inventa-ta a un altro livello: cosicchéogni storiasui rapporti familiari o sul mondointernodiventa unapossibilità, al pari delle storie narrate dal tossicodipen-dente e di quelle pedagogiche dello staff degli operatori; quella “doppiadescrizione”cherichiedel’“ironia essenziale”(Pearce, 1998,pag.200)utilead esserecontemporaneamente “dentro” e “fuori” unanarrazione,coinvoltiin unanarrazionelocale eallo stesso tempoin unpiù ampiosistemadi narra-zioni 2. Il coinvolgimentoprofondo nelle proprie narrazionie nel propriopuntodi vistaèessenzialealla nascita “sociale” di un individuo,edènormal-mentericonosciuto comeunavirtù socialmenteaccettabilee dunquedacolti-vare; la sospensionedel coinvolgimentoe la consapevolezzadella relativitàdi ogni narrazione,al contrario,essendoattività il cui esercizioporta soventea sperimentareunacerta“estraneità” verso le storiee le pratiche condivisedalpropriogrupposociale,possonoessereassaipiù impegnative.

1.4. Lo script infranto

Spessochi entra in unacomunitàterapeuticain cerca di unavia d’uscitadal circolo vizioso della tossicodipendenzamancadi storie utili, di idee,

di “storie al congiuntivo”, in definitivadi possibilità. La vita nella tossicodi-pendenzaproduceuna tragicacontrazione delle possibili tà di scelta,fino ache la vita da tossicodipendente resta fatalmente l’unica via aperta,l’unico“mondopossibile”.

È possibile usarelinguaggicheapranopossibilità, dovealtri linguaggileriducono. Sappiamo che il linguaggio,d’altra parte, non è statocreato perdesignareoggetti che esistonoa priori : esso piuttosto creaoggetti,selezionarealtà emondi possibili. Un linguaggiochecomprendanuovepossibili tà aiuta

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2. Se parliamo di clinica, l’idea richiamadavicino la cecchiniana“irriv erenza”(Cecchin e coll.,1993),o la raccomandazionedellaScuoladi Milano (BoscoloeBertrando,1996)di “ fli rtare” conleipotesi e le teorie “senzasposarle”.

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a crearne, più di un linguaggiodeterministicoe vincolante.Ho consideratoutile e vantaggioso ritenerei problemi, le soluzioni, i significati, in buonasostanzageneratiin undominiolinguistico (AndersoneGoolishian,1988).

È suggestivoil fatto chelo stadio dello specchio(Lacan,op. cit.) siacon-quista e perdita,giubilo e dramma,riconoscimento e frattura insieme.Il“flash” della scopertadell’immagine di sési accompagnaa “vere e proprieondatedi choc” (Olievenstein,op.cit.).

Mi parevautile servirmi di unacornicedi pensieroentro la quale fossepossibilecostruirenarrazionidecentrate,polifoniche e multivocali, e nellaquale la “frattura” nello script divenissegeneratrice di “nuovi possibili”,fontedi sofferenzae incoerenza,maanchescaturiginedi nuove narrazionienuovi significati.

Anchela relazionetrame,gli utentie l’istituzione ha le caratteristichediunoscript frammentato:essasi svolgeall’interno di unoscenario cheèquel-lo costituito dall’insiemedelleattività di accoglienzaedi curaprevistein unacomunità terapeutica residenziale.La premessadi questa culturaprevede,tral’altro, chei problemidel presentetrovinosoluzionenel ripercorrerea ritrosocarenze e incidenti occorsiin qualchemomentopassato della vita affettiva,principalmentenell’ambito familiare; chele personepiù soggetteal pericolodi svilupparecomportamentia rischiodevonoessere aiutate attraversosolidepraticheeducative a guadagnare “autonomia” [qualunquecosacon ciò sivoglia intendere]dall’ambientefamiliare oltre che“responsabilità” sulla pro-pria vita; checonnotarenegativamentequantoattienealla vita trascorsanellatossicodipendenza sia essenziale per prendernefinalmentee definitivamentedistanza; chechi è solito procurarsiquellaparticolare formadi intorpidimen-to chederivadall’uso di droghepesantidovrebbe,attraversola praticaquoti-dianadella comunicazioneverbalee non verbalecon delle figure d’aiuto econ i propri pari, riuscirea far emergere il suo“vero” sé:quelloche,per defi-nizione,nonhabisognodi additivi chimici persentire,amare,realizzarsie, indefinitiva,goderedi un’esistenzaappagante.

Le mie premessesonomeno“realistiche”: credocheunpercorso terapeu-tico [quale chesia] “costruisca”narrazioni[più chescoprire“ realtà”] sul séesul passato;che“autonomia” e “responsabilità”sianoqualitàdella relazionepiù che“dati” a priori ; che,infine, la “connotazionepositiva” (Selvini Palaz-zoli e coll., 1978;Penn,1985)possaaiutareunsistematerapeuticoaevolvereversonuovesoluzioni.

In mezzo ci sono le premessedei pazienti.Essichiedonospesso un rap-porto di forte dipendenza;altre volte semplicementedi essere aiutati adapprendere unmestiere; taluni hannounpassato gravosodi cui liberarsi, altrial contrariochiedonodi non esserecostretti a ripensarea un passatoa cuinonhannopiù alcunavogliadi pensare.

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Non è tutto: molte volte i pazienti hanno unastoria chesi svolgeattra-verso servizi sociali e sanitari di vario genere.Non di rado arrivano incomunitàconunadiagnosidi struttura,di tipo psichiatrico o intrapsichico:“psicopatico”, “personalitàdipendente”, “borderline”, “disadattato”, “anti-sociale”.

La cosapiù ovvia chepossaaccadere,in questaretedi premesseedi pre-giudizi, è chesi cerchidi scoprire“chi ha ragione”,qualesia il pregiudiziopiù “vero” (Cecchine coll., 1997).Gli interlocutori possonoritrovarsi ingag-giati nella ricercadi una“norma” superioreda invocarechemettad’accordotutti: la teoria psicologicapiù convincente,il buonsenso, unprincipiomoraleindiscutibile…

Barbetta(2001) proponeun utile confronto tra lo script e il graffitometropolitano,modernaforma espressiva che vive in un provvisorio “qui eora”. La cifra di tale forma d’espressione è l’ evanescenza, al di là dell a“profondità” o del presunto“spessore” artistico: infatti il graffito, nella suaformaautentica,trovala suacaratteristicasignificativanel fatto chedev’esse-revietato.

Il graffi to rupestredev’essereconservatoal pari di unareliquia,perpetua-to e tramandato;il graffito metropolitano, al contrario, vive dellasuaprovvi-sorietà, segnoirriverente,sberleffo,insurrezionedei codici.

Questo script è “il risultato di unaprogettualità inesistente” (Barbetta,2001,pag.64), chenon superamai la “soglia del passato”: non è un l ifescript, un progetto a priori chepossaessere rintracciato nell’intenzionalitàdell’ individuo o nella negoziazionetra i membri del nucleo,bensìesiste evive nel linguaggio,in un presente evanescentee fuggente. Con Cecchin ecoll. (1997), rispetto all’idea chele personesi ammalino,o faccianocosechele qualificanocome folli, per conseguireunasortadi “vantaggio secondario”o per accrescereil proprio potere relazionale, Barbettaprivilegia l’idea chegli individui interagiscanoed entrino in relazioneper “dare un senso” allapropria realtà. In questacornice è difficile pensareallo script comeallamessain scenadi un copioneesistentea priori, o comel’attuazionedi unastrategiarappresentazionale3.

Barbetta introducedunqueuno script postmoderno,derridianamentedecostruzionista(v. Derrida, 1975),essenzialmentetestuale. Comeil sénonpuò essererintracciato in un’essenzapreesistente,“svelato” attraversounaricercaarcheologica (Apolloni e Bozzetto,1997),allo stessomodol’esisten-zadi unoscriptnonpuòprescinderedallafunzionecreatricedel linguaggioe

3. Lynn Hoffman(1990)usail paragoneconquantoè avvenutonella critica letteraria all ’avventodel decostruzionismo,chesi è oppostoall’idea tipicadel “new criticism” cheun testo possedesseuna“struttura nascosta”,un’“architetturasimbolica” per rintracciarela qualeil critico (a differenza del-l’autoree,ancoradi più, del lettore)avevai titoli e le abilitànecessarie.

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dellaconversazione. Il graffito rupestredev’essere riportatoalla luceattraver-sounaricercascrupolosa; il graffito metropolitano è un rapido,fugace dileg-gio allanormaealla convenzione.

Quello che propongo,allora, è un esercizio di curiosità (Cecchin, 1988)chevedanel copioneinfranto,in quantoinsubordinazioneaunoscript condi-viso,non tantounacondizionepatologicabensìunafonte di possibilitàe dinovità, l’iniz io di un cambiamentoe di nuove narrazioni. Ogni fratturadello“specchio”diventavia d’accessoaunmondopossibile,inizio di nuove storieedi nuoveattribuzioni di senso.

2. Dal testoall ’i pertesto

2.1. L’ ipertesto

I l termine “ ipertesto”venneconiatonegli anni 60 da TheodoreH. Nelson,filosofoe sociologo cheavevaideatoun ambiziosoprogetto di realizzazione

di unastrutturadi testi, immaginiealtre informazioni, chepermettessediversipercorsivirtuali al proprio interno:essocoincideva conunareteglobale,unasortadi bibliotecauniversale di documentimultimediali 4. Oggi, cheancorailsognodi Nelsonè lontanodal realizzarsi [maparzialmente ha trovato attua-zionenelworld wideweb], conquestaparola intendiamoun insiemedi testie immagini collegati tra loro, attraverso i quali è possibilespostarsipermezzo di collegamentiipertestuali,seguendoun percorsoscelto di volta involtadall’utente.

Doveil testotradizionalesegueunordinelogico-sequenziale,l’ipertestoècaratterizzato da un ordine non sequenziale, non linearee non definitivo.Nessunodeinumerosi testicollegatiprevalesugli altri.

Seil testosi attualizza in una lettura, il passaggio all’ ipertestoequivaleauna virtualizzazione (Lévy, 1997): il testoattualediventauna delle figurepossibili di uncampo testualemobilee riconfigurabile apiacimento dal lettore,persinoper essere a suavolta collegato ad altri corpi ipertestuali. L’i pertestomoltiplica le occasioni di produzionedi senso:un numeroimprecisatodi let-tori dàvitaaunnumero indefinito di collegamentiipertestuali.

Scegliendoun proprio personalepercorsoall’ internodell’ipertesto, sele-zionandodei collegamentie privilegiandonealcunisugli altri, ciascunalettu-radiventacosìunattodi scritturae il lettorediventaasuavoltaautore5.

4. Fonte:EnciclopediaMicrosoftEncarta2002.5. “Più cheessere interessatoa cosaabbiapensatounautoreintrovabile,chiedoal testo di far pen-

sareme, qui eora.La virtualitàdel testoalimentala mia intelligenzain atto” (Lévy, op.cit., pag. 40).

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2.2. I molteplici autori delle narrazioni diagnostiche

Lo script infrantogeneraun tessuto di storiee di narrazioni. Talvolta il col-legamentotra questenarrazioni è chiaro,altrevolte richiedepercorsiiper-

testualipiù complessi.Il clinico selezionacollegamenti,costruisceun percorso,diventaautore

della storiadel paziente.Quest’ultimo diventa lettore/autoredi quellanuovastoria, selezionando a propria volta nuovi collegamenti ipertestualie nuovipercorsi.

Indubbiamentele storiechecostruiamoattorno a quel tavolo mi inclu-dono.Sono immerso fino al collo nella realtà cheosservo, e in essasonoimmersele mie stessepremesse.Mi capita di riconoscere, nelle domandechemi pongoquandopartecipoalla costruzionedelle storie cheemergonotra me e gli utenti tossicodipendentiche incontro, traccedegli script sullanascita,sulla morte,sulle relazioni intergenerazionali, sulla malattia, sullaperdita, persinosulla cura e sui farmaci, ai quali io stessoho partecipatoecontribuito.

Perquantomi concerne, la ricercadella coerenzaè unafaccendachemiappartiene, dai tempi in cui cercavodi ricostruire le informazioni che mimancavanosu avvenimenti, nascite, morti che avevano precedutola miavenutaal mondoe che,per quanto mi riguardava,non eranosoltantostoriapassata.

AffermaElkaïm:

“…io costruiscociò che dico di una famiglia mentre quest’ultima, nelcorso dello stessoprocesso,a sua volta costruisce me […] Unapsicoterapia riuscita nonsignificacheil terapeuta abbia ragione,machela costruzione cheha edificatocon i membri del sistematerapeutico èoperativamentefunzionale.”(1992, pagg.81-82).

Dunquenon c’è più [non ha sensodi esserci] un territorio da conoscere,unacoincidenza tra unamappae quel territorio, una patologia da scoprire.Ciò cheemergenel rapporto terapeuta-paziente[i vari sé]nonè veroo falso,masolouna realtàemergentechepuòesserepiù o menooperativamentefun-zionalein confrontoallealtre realtàpossibili.

Al centrodel nostro interessec’è un reticolo di storie e di premessecheappartengonoall’ist ituzione,al pazientee al terapeuta-osservatore;c’è unsistematerapeuticochesi costruisceintornoaunarisonanzadi narrazioni.

2.3. Il sécomeipertesto

Nascimbenee Vento (2000; v. ancheNascimbene, 2003) si sono inter-rogati sui modi in cui l ’uomo dei tempi di Internetsperimentail

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tempo, lo spazioe il sé. Essi prendono in considerazione l’ip ertesto,“romanzopolifonico e multivocale non costruito da un’unica coscienza,ma formatodall’interazionedi molte”. Alt rovespiegaNascimbene (2003)chel’ipertestoè unagalassiamultivocaledi significanti anzichéunastrut-turadi significati; nonpossiedeinizio né fine, ma circolarità; è reversibilee hadiversevie d’accesso,ugualmenteimportanti. La suavelocemultivo-cità

“potrebbein lineadi principio stimolareancheun fruitore attivo, chenonassorbema elaboracon sensocritico e partecipa dinamicamenteall’evento sociale,diventando‘scrittore’. Internet,come nuova formadellinguaggio, puòpromuoveredei processidi pensieroastratto,dellenuoverealtà,organizzando in un modo innovativo il pensiero umano”.(NascimbeneeVento,op.cit.).

La mia ideaè quella di immaginare unanarrazionediagnostica che,pro-prio comeil sédell’individuo postmoderno, abbiaunastruttura ipertestuale:ogni “frattura” apreuncollegamento[un link] verso unaltro testo,in unaretedi testi chenonhaun puntod’accessoprivilegiato [un testo prioritario]. Pro-prio comenell’i pertesto, insomma,la logicità argomentativa vienesostituitadall’imprevedibilità del pensierolateralee dalla convivenzadi saperilocali,la tendenzaalla staticità/essenzialità dalladinamicità/interattività,la tendenzaalla chiusuradel sensodalla convivenzadi infinite letture locali, consideratedi pari valore (v. Nascimbene,op.cit.).

Lo script infrantodivienecosìla cif ra di una“coerenza” chenonpoggiasulla logicità argomentativabensìsul pensierolaterale, sull’interattività, sullacoesistenzadi punti di vistaedi “verità” provvisoriee locali.

Di uno script diagnostico sigillato c’è bisognoal fine di unaricognizioneanamnesticaaffidabile, dell’identificazione di un patterndisfunzionale,del-l’indiv iduazionedi un “sé essenziale”, di unastrutturadi personalità, di unastrutturafamiliare, di un copioneripetitivo da ricostruire; al contrariounoscript diagnostico“debole”, aperto,permette l’ingressodi nuovi fl ussinarrativi (Barbetta,2001e 2003) e la connessionea nuovi domini lingui-stici.

Bruner (1992)illustraconchiarezzacosaaccadenellamaggiorpartedelleinterviste.In tali contestici si attendechele personerispondanoalle doman-de nella forma categorica propria dei dialoghi di tipo formaleanzichénellaformanarrativa che è propriadella conversazionenaturale:l’introduzionediunastoria, o di unastoriachenonrientri nelle categorieprevistedallo scriptconvenzionale,è trattatacomeun’insubordinazione.L’intervistatorepuòdun-queinterromperel’intervistato,richiamarloallo script conversazionaleoppu-re non codificare la storia cheemerge(v. ancheBarbetta, 2001).Ciò rendeartificiali i diversi“sé” prodottidaquestepratiche.

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Nelle “conversazionispeciali”, contrariamente alle “conversazioniordinarie” (Bercelli, Leonardi e Viaro, 1998), le regoledell’interazioneattribuisconoruoli differenti a ciascunodei partecipanti. L’inizia tiva circala sceltadell’argomento di conversazione,il ruolo di esperto, competonoa uno solo di loro: a lui, solitamente,spettaancheil fare domandee ilritenerepertinenteo menoun flussonarrativointrodottodall’alt ro. Rien-tra in questacategoriala conversazioneche si svolgetra un consulente eun cliente,tra un medicoe un paziente, tra un terapeutae un individuo ounafamiglia cherichiedeaiuto: le pratichediscorsivee collaborativetipi-che della conversazioneordinariasono trattatealla streguadi interferen-ze, disturbi, rumori di fondo. In fin dei conti scopodella conversazioneordinariaè lo scambio verbalesenzaaltri fini, mentrescopodella conver-sazionespecialeè un “resoconto affidabile” : nel nostrocasouna“diagno-si esatta”.

In un esamecritico della disparitàdi potere/sapere che la conversazionespeciale recaconsé,Barbetta(2001)afferma:

“la sfida delle pratichesociali critiche consiste nel costruire forme diconversazionespecialein cui il dialogo e la polifonia emergentedallibero afflussodelle narrazioni possadarevita a nuovestorie e a nuovedifferenze”(pag.75).

D’altra partela consapevolezzadel fatto cheorganizziamoil nostropre-sente,il passato e ancheil futuro in forma di storie, di tramee di sviluppi,cheacquisiamolanostra identitàattraversostrutturenarrative,chein definiti-va viviamonel flussodellenostrestorie, imponedi metterein discussioneglistrumenti e le pratiche tradizionalidi conoscenzadel sée la stessaconcezio-neoccidentaledi unséstaticoe immutabile.

L’i pertesto si offre comenuovo paradigma di un sédiffuso, mutevole ecomplesso, unanarrazionescritta apiù mani,costruitae riassemblatadi voltain voltadapiù lettori/autori.

Se spostiamo l’attenzionedalla ricercadi un testo,di un life script dariportarealla lucecomeungraffito inc,isonellabiografia, eguardiamoinvecea tuttaquestafaccendanellaprospettiva dell’ipertesto,la domandanonèpiù:cosac’è sotto?Quali pattern disfunzionali,quali copioniambigui,quali gio-chi familiari, quali esperienze dolorose stanno all’origine del sintomo, delproblema, della storiadi tossicodipendenza?, bensì: versoquali altri testi ilsintomo,il problema,puòcostituireun link?

Il problema,la fratturadello specchiodiventanocosìil collegamentoiper-testualeversoaltre storie ealtrepossibilità daesplorare,nessunadelle quali ègerarchicamente superiore perchéciascunaoperasullealtreunaforzaconte-stualereciprocae ricorsiva(Cronenecoll., 1985).

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3. Una proposta: la conversazione diagnostica comepratica di comunicazionecosmopolita

3.1. I racconti dello “straniero”

I l passaggiodall’interesseversogli script familiari all’attenzione per gliscript conversazionaliè coinciso anchecon i miei crescenti dubbicirca l’u-

tilit à di servirmi di uno script diagnosticorelativamente “sigillato” e inva-riante nell’avvicinarmi alle storiedi pazienti tossicodipendenti.Esso pregiu-dicavala mia curiosità, seppureripagandomi con il conforto di una certaconoscenzaa priori. Ho provato cosìa metteretra parentesi i miei criteri dicoerenzae ad accettareancora più radicalmentele conseguenze del fatto chela realtàche costruivamo non poteva essere disgiunta dal momentodellanostraconversazione6.

Personalmentenon mi è mai capitato di svilupparedipendenzeversosostanzepsicotrope- nonquelle il cui usononsiaconvenzionalmentetollera-to, intendo- né sono mai stato costretto a commetterereati o a dormireall’addiaccio perprocurarmene. Pertantoè inevitabile chemi accostialle sto-rie del tossicodipendentecomeci si accostaalla storiadi unostraniero.Con-tinuanoa sorprendermie a incuriosirmi ogni volta la determinazionee latemerarietàdi un giovanecheè costrettoadaffrontarequotidianamenteguaiinenarrabilie a sfidarela morteperprocurarsialcuni grammi di un farmaco.Ammetto che tutto ciò mi colpiscee, sebbene[per essere chiari] lo ritengatutt’altro chedesiderabile, mi suscitaquantomenocuriositàe rispetto.

Le storiecheascolto sfidanole mie premessesulla patologia.Assaispessole storiedei tossicodipendenti comincianocon“ho iniziatoa farmi pervia delleamicizie che frequentavo”,o magari“per ribellarmi allo stile di vita dellamiafamiglia”. Nel momento in cui ci si siedeunodi fronteall’altro [lo psicologoeil tossicodipendente] inizia il confronto tra dueculture, tra duediversi sistemidi premesse, tra dueepistemologie.Non basta:c’incontriamo in un paese“terzo” [l’istituz ione committente], chenon è il mio e non è il loro, e checostruiscei propri significatiinmanieraspessoassolutamentediversa.

Talvolta, dentroall’apparente“accordo” intornoa un semplice interventoqualepuòessereun colloquio psicologicoconoscitivo, possonoconvivereinrealtà intenzioniaffatto distanti: gli operatori,magari, ripongononel clinicola speranzacheriesca, con le suesperimentate arti magiche,a motivarel’u-tenteadaccettarei loro tentativi di aiutarlo;il clinico speradi trovare confer-maalleproprieipotesi ealleproprieteorie preferite;l’utente, infine,potrebbe

6. D’altra parte anchele trasformazionicui assistevonelle caratteristichedell’utenza, rif lesso deimutamentinelmercatodelledrogheedell’avvicendarsidi nuovi tipi di consumatori, rendevanosem-prepiù tenuela fiducianellapossibilitàdi servirmidi unastoriaapriori.

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speraredi riuscire,attraverso l’ adesioneriverentealle tediose propostedicostoro[compresol’ennesimo“psicoqualcosa”che incontra in quindici ovent’anni di rapporticoatti con servizi e istituzioni di vario genere], di otte-nerela benevolenzadi giudici, assistenti sociali e altre figure di controllo.Quello checi troviamoa costruiree interpretare è spessounoscript conver-sazionalefortementeframmentatoe ben difficilmente riconducibilea unaqualchecoerenza.

“La curaè ascoltarei raccontidello straniero”(Pontalti,1998,pag.105):accettarele suepunteggiature, le sueincoerenze,i vuoti delle suestorievuoldire essereaperti al mistero,alla possibilitàdi incuriosirsi e di esseresorpresidal nuovo,di dovermettere tra parentesile proprieipotesi o di vederledelu-se. La cosaimportantenonè chea quellepunteggiaturesi credao no, che lesi prendaper buoneo meno:ciò cheimportaè prenderlee metterle accantoalle altre, usandole comepreziosachiaved’accesso all’epistemologiadelpaziente,dello “straniero”;cercandodi comporrela “mappa”dellasuastoria,e poi un’altra mappa e un’altra ancora;accettandodi possedere nient’altroche mappe,metaforeprovvisorie e precariecomegraffiti urbani. Più neabbiamo, più sarà ricca la nostraesperienza della “realtà”. Ma ciò che “lìfuori” c’è “veramente” èdestinatoa restarenel mistero.

Bruner, nel sostenereil progetto di una “psicologia culturale” (1992),afferma lanecessità di pensareaunsé“concettuale”emolteplice in alternati-va al sé “reale” ereditàdella psicoanalisie del suoessenzialismo;le neuro-scienze e le scienzecognitive(Lakoff, 1996)propongonoun concettodi per-sona solo in parte coincidente con la concezioneoccidentaletradizionale,rifiutandola separazionetramentee corpocosì comela separazione tra per-sonae ambiente,dal momentochela primanonpuòesseredefinitaindipen-dentementedal secondo.La personaneurocognitiva è unapersonacomples-sa, nondefinibileattraversounaserie di attributi: anzipossiederealtàmolte-plici e un sistemaconcettuale complessoche riesce a tollerarevarie visionidelmondoedi sé.

Quandoparliamo di costruire storie “coerenti” , non si intendesostituireuna“narrazionesul Sé” finalmentecoerentea un’altra checerca, senzariu-scire, di garantire coerenza;si tratta,semmai, di trovare coerenza a un altrolivello logico: valea dire suun pianodovele storiepossanocoesistere, anzi-chéessereridotte a una.In quest’ottica la “coerenza” narrativanonpuò rea-lizzarsi chenel gioco infinito della molteplicitàdi punti di vista e di spiega-zioni narrative. Seil sési realizzacomerisultatodellarelazionalità,cambiareforma e contenutodell’auto-narrazione,passandoda una relazione all’a ltra,dauncontestoaunaltro, equivalealla consapevolezzadelle variemodalitàdirelazionein cui ci si trova coinvolti, della molteplicità e della discontinuitàdei rapporti chedannoformaall’esperienzaumana(GergeneKaye,1998).

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La fratturadello specchio, in quest’ottica, unavolta persointeresseper laricercadi una storia “coerente”, diventa una via d’accesso al mondo delpaziente,allesuecostruzionidi significato,ai suoisistemi di premesse.

3.2. La “va lutazionedella personalità” comecomunicazionemonoculturale o etnocentrica

Pearce(op. cit.), in una chiave socio-costruzionista,ci indica comeunadelle funzioni della comunicazionestessa sia proprio la realizzazione

della coerenza: le personecomunicano tra loro per costruirecoerenza nellestoriecheraccontanodi sée del propriomondo,perrealizzarecoordinamen-to tra le proprieazionie le azionialtrui e per conoscereil mistero di ciò chesi trova al di là delle storieche possonoraccontare.Ogni tipo di comunica-zione,ogni narrazione[anchequelledi caratterepsicologico] realizzaamodopropriocoerenza,coordinamento emistero.

Ancora,Pearce(op. cit.) proponeunatassonomiadelle formedi comunica-zione basatasui modi in cui i comunicanti si trattanoreciprocamentee suimodi in cui le “storie” cheproducono includonooppureescludonole rispettivepremesseculturali, le credenze,le cornici di riferimento[le “r isorse”] deiparte-cipanti all’interazione. Nella comunicazionesi puòconsiderarel’altro comeun“nativo”: valutarecioèquellochefa echedicein baseai propripresuppostieaipropri criteri interpretativi e alle proprie regoledi attribuzionedi significato,supponendochesiano pertinenti ancheper lui, e ritenendoimplicitamente checiò chefa o dicesignifichi per lui ciò chesignificapernoi. Al contrario,si puòritenere l’altro un “non nativo”, e considerare la possibilità che le suerisorsesianodiverse. La comunicazionepuòsfidarele risorsedel comunicante, il suosistemadi premesseedi convinzioni o, al contrario,salvaguardarnele risorse.

In basealla combinazionedi questi criteri Pearce distinguequattroformedi comunicazione.

Nella prima, la comunicazionemonoculturale, l’altro è trattatocomeunnativo: in definitiva si comunicacomeseesistesseunasolacultura [la pro-pria]. Le risorse, pertanto,nonsonomai messea rischio.

La secondaformaè quella chedefinisceetnocentrica. Anchequi le risorsenon sonomai a rischio,sebbene l’altro possaesseretrattatodanativoo danonnativo: talvolta, adesempio,si puòpresupporre che la suacultura sia “inferio-re” allapropria, o cheil proprio puntodi vistasiaperdefinizionepiù veritiero.

La comunicazionemodernista è caratteristica delle istituzioni e dellepra-tiche della società[appunto] moderna. Essa richiedeunacontinuamessa arischio delle risorse: anzi i propri criteri di giudizio vengonocontinuamente“sospesi”, in favoredi unacompleta disponibilitàad apprezzare l’altro e diunareciproca rassicurazionecircail “valore”dei comunicanti.

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Della comunicazionemodernistaPearceidentificaunavariante,per cosìdire,postmoderna,cheè il risultatodell’inevitabile disillusionedi chi è total-menteimmersoe coinvolto nel modernismo:è quella chePearcedefiniscecosmopolita. Gli altri sonodefiniti tutti “simili”, tutti “nativi”: non perchécondividano le stesse risorse, ma perchéciascunoparimenti formato dallapropriacultura,ciascunodiversodachiunquealtro e titolaredi risorseechia-vi di lettura della realtà assolutamenteuniche. Le risorsenonsonoa rischio,dalmomentocheincludonola possibilità di storiealternative.

Tornandoa quanto ci sta a cuore,ho l’impressioneche l’insieme dellepratichechedefiniamo“psicodiagnosi”, “valutazionepsicologica”o “valuta-zionedi personalità” abbia spessole prerogative dellacomunicazionemono-culturaleo della comunicazioneetnocentrica, nel senso cheassomigliaa unincontro fra dueculturenel qualele regole di attribuzionedi significatosonoproprietàdi uno solo dei duepartecipanti.La suacultura le ha prodotteemantenute, e le storie che emergonodalla relazionesono prevalentementerisultato di quelle regole.In questestorie le premessecirca il “bene” e il“male”, la “salute” e la “malattia”, il “problema”e la “soluzione” apparten-gono soprattuttoa uno dei due partecipanti, il qualepuò ritenere che, infondo,nonc’è ragioneper cui l’altro [perlomenoseè un individuo ragione-vole] non debba condividerle; oppure il suo profondo coinvolgimento inquellerisorsepuòindurloa ritenerleindiscutibilmentemigliori, o più sane, opiù attendibili eobiettivedi quelleprodottedall’a ltro.

Bergeret(1984,pag.7), nellasuasistematizzazionedelle categoriepsico-patologichestrutturalichiarisce cheil termine“struttura” di personalitàrap-presenta“l’ organizzazionepermanentepiù profondadell’individuo, a partiredallaqualesi organizzanosiale sistemazionifunzionali dette ‘normali’, sialevicendepatologiche”;e circa il concetto di “normalità” il lustra poco piùavanticosaintende:

“veramente ‘sano’ non è semplicementecolui che si dichiara tale, nétantomeno un malatoche si ignora cometale, bensì un soggettocheconservain séle fissazioniconflittuali dellamaggior partedella gente,echenon haancoraincontratosulla suastradadiffi coltà interneo esternesuperiori al suo bagaglioaffettivo ereditario o acquisito,alle sue facoltàpersonali difensive o adattive; che si permetteun gioco abbastanzaelasticodei suoi bisogni pulsionali,dei processiprimario e secondario,sia sul piano personaleche su quello sociale, tenendoin giustaconsiderazione la realtàe riservandosiil diritto di comportarsi in modoapparentementeaberrante in circostanzeeccezionalmente‘anormali’”(ivi, pag.13).

In questomodo,sebbenesaggiamentesepariil concetto di “struttura” daquello di “normalità” e tratti quest’ultimo comerelativo perché soggetto a

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questionicheriguardanol’ambiente e le circostanzedi vita, tuttaviachiariscecheil puntodi vista privilegiato su ciò cheè “sano”e “normale”appartieneal clinico ealla suacompetenza.È solo unesempiodi narrazionediagnosticachepresumeil primatodell’osservatoree la suaseparatezza dall’oggettodiosservazione.E [per non far torto a nessuno] molti settoridella terapia dellafamiglia nonsonomenopervasi daquestavogliadi oggettività.

In una diversaprospettivasi ponePearce,quandoafferma, in un’otticapostmodernaecosmopolita:

“Non c’è modo di entrare ‘dentro la mente’ di un’altra persona. Nonabbiamo nessunaccessodiretto ai significati o alle intenzioni di altrepersone,ma solo alle loro pratiche. Quando inferiamo ciò che esseintendonoa partire da ciò che dicono, ci impegniamoin congetture.Normalmentepresupponiamochegli altri sianomolto simili a noi e chenoi ‘conosciamo’le loro risorse: esse sonole stesseche noi abbiamotratto dalla nostra cultura […] Poichési tratta di personediversecon lapropria personalità, ci aspettiamo che sianodiversi da noi, ma ciaspettiamoanchechequestedifferenzesianointerpretabili attraversoinostri standard”(Pearce,op.cit., pag.54).

Quellochesuggeriscoè dunquela possibilità di immaginare un processodivalutazionediagnosticacomecomunicazionecosmopolitache,realizzandocoor-dinamentoecoerenza,salvaguardiil misterodell’i ncontro tra “n onnativi” 7.

Cronen (1991)ha spiegatocomea unapazienteanoressica diff icilmentesi riconoscalo statutodi “agentemorale”[“moral agent”] nei confrontidelleproprieazioni:è la malattia, èunagenteesternoa lei chenegovernagli atti ele scelte. Dunqueil padre, il terapeuta, le figure di curadebbonoassumerequell’autoritàe quellaresponsabilità di sceltachele sono[temporaneamente]precluse.Allo stessomodoè facile pensareche il tossicodipendente [ancor-chéastinente,magarida mesi] agiscasotto il condizionamentodel propriodesiderio di usaredroghe,dellapropria impulsivitànonaddomesticata, dellapropriaincompetenza, della propriapatologiae infine di unacronica, irridu-cibile tendenzaamentireo quantomenoa “evitare la relazione”. Sebbenel’i -

7 Un incidenteregistratoqualcheannofà in un serviziopubblicodovrebbeillustrare meglio cosaintendo.È un casobizzarroe iperbolico,mafino achepunto,poi?Le coseandaronopiù o menocosì(nonnesonostatotestimonediretto,maho ragionedi fidarmi dellaveridicitàdell’ aneddoto): unapsi-cologacheavevain caricounamadrenell’ambitodi un progettodi recuperodi una famiglia “multi-problematica” tentava di spiegarealla signoraconmodi urbanie benevoli, e con tono materno maprofessionale,chela poverinaerauna“borderline”. La signorasi alzò in piedi e ribatté piccata chenessunopotevadarledella“bordellara”epassarlaliscia.L’altercoebbeancheunchiassosofinale nel-l’uffic io del dirigentedel servizio.Potrebbebendefinirsi un problemadi comunicazionenato dall ’er-ratopresupposto monoculturaledi comunicaretra “nativi”, oppuredallo scontrotra due“non nativi ”in un copioneetnocentrico…

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deadello script familiare contribuissea “esternalizzare” il problema(WhiteeEpston,1990;White, 1992)e a evitare la sanzionemoralenei confronti deltossicodipendente,ho avvertito il rischio che, nel colloquiodiagnostico, unoscript conversazionale“sigillato” invadesseil margine di responsabilitàdel-l’individuo sulleproprienarrazioni 8.

3.3. Conversazionediagnostica e comunicazionecosmopoli ta

Cosa vuol dire dunquegarantirecoordinamento, coerenzae mistero inquella peculiare forma di comunicazionecheè la costruzione di storie

diagnostiche?Il momento del mio incontro con il tossicodipendentein comunitàè l’in -

controdi tre culture,di tre sistemidi premesse:quellodell’istituzione,quellodelpazientee il mio.

L’istituzione ha una tradizione religiosa,sebbene non si caratterizzi perunalineaconfessionalee anziadottiun atteggiamentoragionevolmentelaiconei confronti delleconvinzionifilosofichedi ciascuno.Nelle premessedell’i -stituzione la drogaè un additivo checolmasentimenti di disperazione e diinsoddisfazione;quest’ultimaè considerataun epifenomenodellasocietàdelbenessereedell’allentamentodei rapporti,particolarmentedi quelli familiari.La comunitàsi pone,in un certo senso,comeun laboratorio di rapporti frapari e congli adulti [gli operatori] che,attraversotappesuccessive checom-portanoprogressivi margini di autonomia emaggiori spazidi responsabilità,ha lo scopodi “ricostruire” la personasu basi più solideche le permettanounavita da adulto responsabilee autonomo.Nella struttura si apprendeadassumersidegli impegni,a rispettaregli orari di lavoroe le mansioninecessa-rie alla gestionedella vita quotidianadella comunità. I momenti“formativi”sono numerosie frequenti, e vertonoprevalentemente sulla rielaborazionedellapropriastoriaedel mododi vivere le relazioni,tracui quelladi coppiaequellaconi propri figli. Dunque,mentre si “lavora” sullapropriastoriaauto-biograficae sulle “carenze”cheappaionoconnessealla tossicodipendenza,siaffronta un allenamentoall’assunzionedi responsabilità. A questoscopol’operatorehaunafunzionedi guida,di personaaffidabilechepuòaiutareatrovare strade e soluzioni: il successodi un programmaterapeutico è datoanchedallacapacità dell’utentedi fidarsi del propriooperatoree di affidar-si a lui.

Il pazientepuòaverele aspettativepiù diverse. Talvoltagiungein comu-nità conl’ ideacheil suopassatocontengadelle“ ferite” dacurare; altrevolte

8. Per incisomi chiedosenonsiadi ineludibileserietàl’ammonimentodi IsabelleStengers (1998)che nessun sapereumanodovrebbeesserecostituitoescludendole classichene dovrebbero essere“oggetto”.

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rifiuta le insistenzesul “passato”e si aspettadi essereaiutato nel qui e oradellasuasituazionedi disoccupatoedescluso.Molti parlanodegli “altri” [glioperatori, lo psicologo e in definitiva quelli chenon appartengonoal mondodei tossicodipendenti]comedei “normali”. Spessoaspiranoaentrare tra quei“normali”, manel contemponutronoun forte terroreper unavita fatta anchedi stabilità, appartenenze,vincoli.

Talvolta l’aspirazione è più forte delle paure;altre volte è più forte laminacciadi sanzioni restrittive della libertà o della potestà genitoriale: inquesticasila motivazionealla terapiaè un decretodel Tribunale per i Mino-rennio il rischiodi unacarcerazione.Alcuni si aspettano di esserecontenuticondecisionee chiedonolunghi percorsi terapeutici; altri sentonocomeunalimitazionegravelaprospettivadi affrontareparecchi mesidi programma.

Non sempre hannoideeprecisesulla propria tossicodipendenza: talvoltapossonoattribuirla a un bisognodi “evadere”e consolarsi, oppurea causeesternee fortuite.

E poi ci sonolemiepremesse.Esseriguardano il disagio,la suanaturarela-zionalee le sueconnessioniconl’ambiente,masoprattuttola suanaturadi feno-menocheesistenel linguaggioe nelle storie chele personenarrano,oltre chenei tentativi di soluzione che lo perpetuano.Un’altra categoriadi premesseriguardale soluzioni e le strategie:adesempiocredoche la “competenza”nonsiauna“qualità” chesi conquistadopoun logorantetirocinio, bensìunacaratte-risticadelle relazioni, echepertantosi costruiscasoprattutto“r iconoscendola”.

Capitache,adesempio, sul temadella“responsabilità” ci troviamoadavere,io e l’i stituzione,premesseesistemi di storie incommensurabili [nella terminolo-giadi Pearce,op. cit.), nel sensocheattribuiamovalorediversoproprio alla rile-vanzaealla centralitàdi unasortadi “addestramentoalla responsabilità”.

Quandolavoroper unastruttura committentecheaccoglie pazienti tossi-codipendenti,diversamentedaquandolavorocometerapeutaprivato per mioconto, il lavorodi valutazionenonpuòprescinderedallapresenzadell’istitu-zione: in quel caso la mia valutazioneha lo scopodi costruiresignificati checonnettano le parti in comunicazioneechefavoriscanoun ingaggioreciprocoin unprogettoterapeutico.

La comunicazione monoculturale, la comunicazione etnocentricae lacomunicazionemodernistaprivilegiano la coerenzarispettoal coordinamen-to: ma sappiamoquanto in un contestoistituzionale il coordinamentofra leparti in comunicazionesiavitale.Pearce (op.cit.) definisce“eloquenzasocia-le” quell ’insiemedi pratichecomunicative cheassumonochele realtà socialichesi confrontano sianocomparabiliseppureincommensurabili: essefavori-sconoil coordinamento,anchesenzaun accordo tra i partecipanti. Questipiuttosto si coordinano attraversola comparazione delle proprie storie, purrimanendoprofondamentecoinvolti in esse.

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globalizzazionecultura

postmodernità

Seil pazienteci dicechela suatossicodipendenzaè la rispostaaun siste-madi valori autoritario e inaccettabile9, anulla varrà il tentativodi convincer-lo cheesisteunastoria “migliore”, senona riproporreil copionedel conflittocon l’“autori tà”. Uno sforzo di eloquenza retorica potrebbecerto dimostrarela plausibilità “scientifica” e la verosimiglianzadi unastoriasulmondointer-no o sui patterndelle relazioni familiari; mail nostroscopoèquellodi costrui-reunaconversazionechegenerispaziperla competenzadelpazientesullapro-pria vitaenella qualeogni storia[le nostrecomequelledel paziente]siatratta-tacome“provvisoria” e“parziale” enonpiù “necessaria” o “esclusiva”.

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9 Si potrebbevariamente interpretarecomeun qualchemeccanismodi difesa,e dentro un’altracornicequestainterpretazionesarebbeperfetta,oltre chemolto utile. Nel nostrocontesto si tratta dideciderequanto possaessereoperativamentefunzionale.

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Nella terza parte della rivista ci sono due articoli che sicimentano con l’analisi critica delle pratiche e delletecniche diagnostiche e di valutazione sociale.AdrianaValle e Marco Rho indagano su uno strumentospecifico di valutazione del funzionamento cognitivo [ilLeiter-R] che dovrebbe essere cultural free, il saggio è digrande interesse perché tocca un argomento chiave,quello della difficoltà, di fronte alla differenza culturale, diuscire dalle categorie diagnostiche.Nella stessa direzione si muove il saggio di IginoBozzetto, che sta conducendo, presso il Forum sullematrici culturali della diagnosi ( www.unibg.it/sde/matrici-culturali ) una ricerca sulle pratiche di affido dei bambinistranieri. Bozzetto, in questo saggio, propone l’analisi diun caso attraverso una griglia di lettura basata sulmetodo della pièce teatrale, diviso in atti e scene.Atti escene di un delicato processo di riconoscimentoidentitario da parte di un bambino ghanese.