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Udit difensoeAvv.A•torub teLe b ceef2 5954/1 5 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ALFREDO TERESI Dott. VITO DI NICOLA Dott. ALDO ACETO Dott. VINCENZO PEZZELLA Dott. ALESSIO SCARCELLA ha pronunciato la seguente UDIENZA CAMERA DI CONSIGLIO DEL 15/01/2015 - Presidente - SENTENZA N. 87/2015 - Consigliere - - Consigliere - i tr REGISTRO GE NERALE - Rel. Consigliere - - Consigliere - SENTENZA sul ricorso proposto da: CHIACCHIARO ANTONIO RAFFAELE N. IL 23/07/1970 avverso l'ordinanza n. 124/2014 TRIB. LIBERTA' di SALERNO, del 30/05/2014 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA; 4ette/sentite le conclusioni del PG Dott. Pc4-Que ,43 2_,,,,,, t la,,,ii be. GaZabvo ces/Q. cceb i , (Qua

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Udit difensoeAvv.A•torub teLe b ceef2

5954/1 5

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ALFREDO TERESI Dott. VITO DI NICOLA Dott. ALDO ACETO Dott. VINCENZO PEZZELLA Dott. ALESSIO SCARCELLA

ha pronunciato la seguente

UDIENZA CAMERA DI CONSIGLIO DEL 15/01/2015

- Presidente - SENTENZA N. 87/2015

- Consigliere -

- Consigliere - itr REGISTRO GENERALE

- Rel. Consigliere -

- Consigliere -

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CHIACCHIARO ANTONIO RAFFAELE N. IL 23/07/1970

avverso l'ordinanza n. 124/2014 TRIB. LIBERTA' di SALERNO, del 30/05/2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA; 4ette/sentite le conclusioni del PG Dott. Pc4-Que,432_,,,,,,tla,,,ii be. GaZabvo ces/Q. ccebi ,

(Qua

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, sezione riesame, pronunciando nei confronti

dell'odierno ricorrente CHIACCHIARO ANTONIO RAFFAELE, con ordinanza del

30.5.2014 rigettava l'istanza di riesame e, per l'effetto, confermava l'impugnato

decreto di sequestro preventivo, con condanna al pagamento delle spese proces-

suali di fase.

Il GIP del Tribunale di Salerno, in data 15.5.2014, aveva emesso decreto di

sequestro preventivo in relazione ai seguenti capi d'incolpazione contestati a

Chiacchiaro Antonio Raffaele:

A) reato di cui all'art. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001 perché, in qualità di legale

rappresentante della società "MYTOS di Antonio Raffaele CHIACCHIARO & C.

s.a.s." che gestisce la struttura ricettiva denominata "Ristorante Le Trabe" sita in

località Capodifiume del Comune di Capaccio, in zona dichiarata di notevole inte-

resse pubblico ex art. 136 D.Lgs. 42/2004 con D.M. 7.6.1967, nonché sottoposta

a vincolo di tutela del patrimonio artistico e storico ex art. 10 D.Lgs. 42/2004,

classificata sismica S-6 ai sensi del D.M. 3.6.1981, e rientrante nelle zone di cui

agli artt. 1 e 3 Legge 37/1994 (vincolo archeologico), in assenza dei prescritti ti-

toli, nella parte interrata sita al lato est di un preesistente fabbricato, realizzava

una struttura in cemento armato di circa 175 mq., con altezza interna di circa m.

2,65 interamente piastrellata, munita di tutti gli impianti, all'interno della quale

venivano realizzati due depositi, sei celle frigo, una zona destinata al lavaggio

delle stoviglie, un ufficio e due locali adibiti a spogliatoi e w.c., il tutto diretta-

mente asservito all'attività di ristorazione esercitata dalla struttura recettiva, a

cui si accede attraverso una rampa delimitata da muratura a secco che conduce

al varco di accesso realizzato con strutture portanti in cemento armato;

B) reato di cui all'art. 181 comma 1 bis D.Lgs. 42/2004 perché, nella mede-

sima qualità di cui al capo A) realizzava le opere di cui al capo A) in zona dichia-

rata di notevole interesse pubblico ed in assenza della prescritta autorizzazione,

così alterando e comunque modificando l'originario stato dei luoghi;

C) reato di cui agli artt. 64 e 71 D.P.R. 380/2001 perché, nella medesima

qualità di cui al capo A) realizzava le opere dì cui al capo A) senza la previa re-

dazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico competente;

D) reato di cui agli artt. 65 e 72 D.P.R. 380/2001 perché, nella medesima

qualità di cui al capo A) iniziava la costruzione delle opere di cui al capo A) senza

averne fatto previa denuncia allo Sportello Unico;

E) reato di cui agli artt. 93 e 95 D.P.R. 380/2001 per aver eseguito i lavori

indicati al capo A) in zona sismica, senza darne preavviso scritto allo Sportello

Unico, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest'ultimo Ufficio

ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-descrittivi per le zone sismiche;

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F) reato di cui all'art. 75 D.P.R. 380/2001 perché, nella medesima qualità di

cui al capo A) realizzava le opere di cui al capo A) asservite alla struttura ricetti-

va e di ristorazione, consentendone l'utilizzo a terzi ed in particolare ai propri di-

pendenti, senza che fosse stato rilasciato il prescritto certificato di collaudo

Accertato in Capaccio il 12.3.2014.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo

del proprio difensore di fiducia, Chiaccaro Antonio Raffaele, deducendo i motivi di

seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come di-

sposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

e. Violazione di legge art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all'art.

321 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente ricostruisce brevemente il fatto, lamentando l'errore del tribu-

nale, che avrebbe portato a ritenere il periculum in mora.

Sarebbero stati assunti a livello di prova, dei semplici luoghi comuni, la cui

valutazione, discostatasi dalla realtà, deborderebbe in errore logico.

Sarebbe stato ipotizzato un oggettivo aggravio su opere collettive quali la

viabilità, la rete idrica e fognaria, le condutture elettriche del gas.

Nella realtà, invece, il locale sarebbe privo di allacciamento del gas, la con-

dotta elettrica godrebbe di una parte di energia autoprodotta, il maggior consu-

mo di acqua potabile e l'aumento di acqua immessa nelle fognature sarebbero

escluse in quanto tali consumi sarebbero collegati all'afflusso della clientela, col-

legato alla ricettività del ristorante, che sarebbe assolutamente immutata.

In relazione alla viabilità, invece, l'ingresso nel ristorante sarebbe garantito

da una stradina privata.

Pertanto le valutazioni operate sul perículum locale sarebbero state affidate

a clausole di stile.

Le stesse considerazioni varrebbero anche per il reato di cui al capo B).

Ancora sarebbe dubbio ritenere che la tutela prevista dalla legge della misu-

ra cautelare per le violazioni delle norme a tutela dell'urbanistica possa esten-

dersi automaticamente a situazioni di fatto che andrebbero inserite in un com-

plesso sistematico ambientale.

L'elemento pregnante della valutazione operata per l'applicazione della mi-

sura, sarebbe l'attentato all'ecosistema, che sarebbe insito in qualunque inter-

vento umano, nel caso di specie riguardante il sottosuolo senza considerare

l'incidenza sul carico urbanistico.

Tale tesi comporterebbe che la totalità degli interventi umani potrebbero es-

sere lesivi dell'ecosistema.

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Il tribunale salernitano, in riferimento alle imputazioni di cui ai capi C), D),

E) ed F), avrebbe rifiutato di considerare e valutare la documentazione prodotta

dalla difesa, allegata alla memoria difensiva riguardante il collaudo, sia per quan-

to attiene al c.a. che per quanto riguarda l'aspetto urbanistico.

L'assunto del tribunale avrebbe violato il principio del favor rei e il principio

di economia processuale, ritenendo ininfluente sull'astratta ipotizzabilità delle

contravvenzioni contestate, la documentazione che esclude ogni sussistenza dei

reati o ne elide in radice gli effetti.

Il giudice del riesame avrebbe comunque dovuto tener conto della documen-

tazione prodotta che non avrebbe comportato alcun esercizio poteri istruttori in

quanto essi promanerebbero dalla difesa.

Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con ogni effetto

sul decreto di sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il proposto ricorso è manifestamente infondato e ne va pertanto dichia-

rata l'inammissibilità.

2. Va ricordato, in premessa, che l'art. 325 cod. proc. pen. prevede con-

tro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cas-

sazione Per sola violazione di legge.

E' vero, tuttavia, che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a

Sezioni Unite, ha più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi

sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione

così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provve-

dimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, comple-

tezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logi-

co seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv.

239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093). E che ancora

più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro

ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per

violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del

tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per

rendere comprensibile la vicenda contestata e Inter" logico seguito dal giudice

nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv.

254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento

impugnato che, in ordine a contestazioni per ì reati previsti dagli artt. 416, 323,

476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazio-

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ne e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate,

ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quan-

to prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che

si fosse trattato di mere irregolarità amministrative).

Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso

l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a manca-

re un elemento essenziale dell'atto.

Nel caso in esame, tuttavia, la motivazione da parte del Tribunale del Rie-

same di Salerno c'è e non paiono sussistenti vizi motivazionali tanto intensi da

configurare una violazione di legge. Peraltro i proposti motivi di ricorso sono as-

solutamente generici e hanno natura esclusivamente fattuale.

3. I giudici salernitani ritengono -ed evidenziano nella motivazione del

provvedimento impugnato che appare congrua e logica- che, pur tenendo conto

del collaudo statico, nonché dell'autorizzazione dei lavori in sanatoria e dell'auto-

rizzazione sismica in sanatoria depositati dalla difesa (atti che dunque sono stati

esaminati, a differenza di quanto si sostiene in ricorso), sussista il fumus degli

ipotizzati reati di cui agli artt. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001 e 181 comma 1 bis

D.Lgs. 42/2004 di cui ai capì A) e B) della rubrica. Ciò in quanto, come emerge

dall'informativa di P.G. in data 1.4.2014, nonché dagli allegati rilievi planimetrici

e fotografici, il Chiacchiaro aveva realizzato, nella parte interrata sita al lato est

di un preesistente fabbricato, in assenza dei prescritti titoli abilitativi in zona di-

chiarata di notevole interesse pubblico, nonché sottoposta a vincolo di tutela del

patrimonio artistico storico ed archeologico, le opere edilizie di cui al capo A) del-

la rubrica (e cioè una struttura in cemento armato di circa 175 mq., con altezza

interna di circa m. 2,65 interamente piastrellata, munita di tutti gli impianti,

all'interno della quale venivano realizzati due depositi, sei celle frigo, una zona

destinata al lavaggio delle stoviglie, un ufficio e due locali adibiti a spogliatoi e

w.c., il tutto direttamente asservito all'attività di ristorazione esercitata dalla

struttura recettiva, a cui si accede attraverso una rampa delimitata da muratura

a secco che conduce al varco di accesso realizzato con strutture portanti in ce-

mento armato).

Si tratta di opere - si legge ancora nella motivazione del provvedimento

impugnato- che, come correttamente evidenziato dal G.I.P., hanno comportato

un'integrale ristrutturazione della preesistente caverna, attuata mediante un in-

vasivo intervento strutturale tale da determinare la creazione di un organismo

edilizio del tutto diverso con modifica, quanto meno, della destinazione d'uso.

Sul punto - va qui evidenziato- il Tribunale di Salerno appare fare assolu-

to buon governo della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio

condivide e che va qui riaffermata, secondo cui a nulla rileva il fatto che si tratti

di opere realizzate nel sottosuolo, in quanto il reato di cui all'art. 181, comma 1

bis D.Igs. n. 4212004, che si pone come tipica ipotesi di reato di pericolo, si con-

figura anche in caso di lavori realizzati, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo

di zone sottoposte a determinati vincoli paesaggistici in quanto la norma in paro-

la vieta l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici, doven-

dosi ritenere realizzata anche in tali casi una modificazione, anche se non imme-

diatamente visibile, dell'assetto del territorio.

La ratio della norma incriminatrice è, infatti, la tutela massima del pae-

saggio, dovendosi escludere il reato solo nella residuale ipotesi che, nemmeno in

via astratta, l'opera realizzata o in corso di esecuzione sia idonea a pregiudicare

il bene paesaggistico protetto dalla norma (viene richiamata sul punto la pronun-

cia 21842 del 17.2.2011, Iacono, non massim. di questa sez. 3). (Cass. Sez. 3A

16.1.2007 n. 7292, Armenise ed altro, Rv. 236080).

Corretto appare anche il richiamo alla giurisprudenza del Consiglio di Sta-

to, laddove si ricorda che i giudici amministrativi hanno affermato che non appa-

re dubbio che, alla luce dell'individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli

artt. 136 e segg. del D.Igs. n. 42 del 2004, con il termine paesaggio il legislato-

re abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue ca-

ratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole

di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o

immediatamente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'as-

setto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rila-

scio della prescritta autorizzazione. E perciò, da tale nozione ampia di paesaggio,

deriva che il vincolo ambientale-paesaggistico sia operante anche con riferimento

alle opere realizzate nel sottosuolo, in quanto anche queste ultime implicano una

utilizzazione del territorio idonea a modificarne l'assetto, specie quando si tratti

di opere di rilevante entità (così la ricordata pronuncia del Consiglio di Stato,

sez. 6„ 5.8.2013 n. 4079).

Già in precedenza, peraltro, si era affermato, in relazione ad un caso in

cui erano stati realizzati dei garage interrati, che in tema di tutela del paesaggio,

il reato dì cui all'art. 181 D.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42 si configura anche relati-

vamente ad opere realizzate, in difetto di autorizzazione, nel sottosuolo di zone

sottoposte a vincolo, atteso che il citato art. 181 vieta l'esecuzione di lavori

di qualunque genere su beni paesaggistici e che anche per tali opere si realiz-

za una modificazione, anche se non immediatamente visibile, dell'assetto del ter-

ritorio (così questa sez. 3, n. 7292 del 16.1.2007, Armenise ed altro, rv.

236080). E in altra pronuncia si era anche ancora precisato che nessun rilievo

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può avere la natura pertinenziale dell'opera che si va a realizzare (sez. 3, n.

11128 del 16.2.2006, Silvestri, rv. 233675).

4. Nel caso che ci occupa, come detto, il vincolo cautelare reale è stato

imposto sia in relazione al reato edilizio di cui all'art. 44 lett. c) che in relazione

alla violazione paesaggistica sanzionata ex art. 181 co1bis. D.Ivo 42/2004.

Pertanto, in relazione al profilo del periculum in mora, quanto al primo,

andava valutato se si prospettasse l'esigenza di impedire le conseguenze del rea-

to, consistenti in un aggravamento del c.d. carico urbanistico, derivante dalla uti-

lizzazione degli immobili anche dopo il loro completamento, quanto al secondo

nell'eventuale permanere della lesione del bene paesaggistico determinata dalla

realizzazione dell'edificio senza la previa autorizzazione della autorità competen-

te (cfr. sul punto questa sez. 3, n. 1262 del 25.9.2012, dep. il 10.1.2013, Righi

ed altri, rv. 254145).

Ebbene, nel provvedimento impugnato, diversamente da quanto si sostie-

ne nell'odierno ricorso, si offre anche una motivazione logica e congrua in ordine

al perículum in mora.

Per quanto riguarda quest'ultimo i giudici salernitani ricordano essere pa-

cifico che, in ordine alla sequestrabilità di manufatti realizzati abusivamente in

zona non vincolata paesaggisticamente, il pericolo, attinente alla libera disponibi-

lità del bene, debba presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità e che

spetti al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere un'attenta valu-

tazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito pena-

le (così le richiamate Sez. Un. n. 12878 del 2003).

Va aggiunto che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza

12878/2003 hanno definitivamente risolto la questione della applicabilità del se-

questro preventivo all'immobile ultimato riconoscendo la validità dell'orientamen-

to che ne riteneva l'ammissibilità.

In tale decisione, che il Collegio tuttora condivide, si afferma che il giudice

di merito deve valutare attentamente e, conseguentemente, motivare, la sussi-

stenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene pertinente al rea-

to, considerando, in particolare, la reale compromissione degli interessi riguar-

danti il territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e

la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa compor-

tare un' effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale

disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della of-

fensività. A titolo di esempio, con specifico riferimento all'incidenza sul carico ur-

banistico, si aggiunge che la delibazione, in fatto, sotto tale profilo deve essere

effettuata considerando la consistenza reale e l'intensità del pregiudizio temuto,

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tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione della misura.

Corretto, dunque, è anche il richiamo che i giudici salernitani operano alla

giurisprudenza successiva, nettamente prevalente, di questa Corte di legittimità,

che ha costantemente ribadito che il sequestro preventivo di cose pertinenti la

reato può essere adottato anche su un'opera ultimata, se la libera disponibilità

di essa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del

territorio ed incidere sul carico urbanistico, il pregiudizio del quale va valutato

avendo riguardo agli indici di consistenza dell'insediamento edilizio, del numero

dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, non-

ché della domanda di strutture e di opere collettive (vengono ricordate le pro-

nunce di questa sez. 3 n. 6599 del 24.11.2011 dep. il 17.2.2012, Susinno, rv.

252016, ed in precedenza sez. 3 n. 19761 del 25.2.2003, sez. 4 n. 15821 del

31.1.2007, sez. 3 n. 4745 del 12.12.2007, sez. 2 n. 17170 del 23.4.2010, DE

Monaco, rv. 246854).

Quanto alla nozione di carico urbanistico, peraltro, la giurisprudenza di

questa Suprema Corte ha fornito puntuali indicazioni, osservando, che la nozione

de quo deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un

elemento c. d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di

servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature,

elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere

proporzionato all'insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati

ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte.

Pertanto, s'intende per carico urbanistico l'effetto che viene prodotto

dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dì-

pendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si

tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concre-

to preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: 1) negli standards

urbanistici di cui al D.M 2/4/1968 n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella for-

mazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abi-

tante a seconda delle varie zone; 2) nella sottoposizione a concessione e, quindi,

a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili

degli edifici., in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci dì produr-

re nuovo insediamento; 3) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere

che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le

opere soggette ad autorizzazione; 4) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò

da ogni contributo per le opere interne (art. 26 L. N 47/1985 e art. 4 comma 7

1. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superfici utili, ferma re-

stando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle

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opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 L. n.

47/1985 e art. 4 L. 493/1993).

L'aggravamento del carico urbanistico è stato da questa Corte Suprema

riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne

comportanti il mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio (così

questa sez. 3 n. 22866/2007; conf. sez. 4.n. 34976/2010).

In alcune pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di inciden-

za dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il conte-

nuto dell'articolo 41sexies Legge 17 agosto 1942, n. 1150 come modificato dalle

leggi 122/89 e 246\05 che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le

aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per par-

cheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di

costruzione (sez. 3 n. 28479/2009, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in

termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (sez. 3

n.22866/07, cit.); l'ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in rela-

zione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona

urbanistica interessata (sez. 3 n. 34142/2005).

Ribadendo tali prìncipi si è stabilito, inoltre, che l'incidenza di un interven-

to edilizio sul carico urbanistico deve essere considerata con riferimento all'a-

spetto strutturale e funzionale dell'opera ed è rilevabile anche nel caso di una

concreta alterazione della originaria consistenza sostanziale di un manufatto in

relazione alla volumetria, alla destinazione o alla effettiva utilizzazione, tale da

determinare un mutamento dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in

sede di pianificazione con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. n.

1444 del 1968 (così, ex plurimis, sez. 3, n. 36104/2011 e n. 6599/2012 richia-

mate anche dalla più recente sez. 3 n. 42363/2013).

Tale giurisprudenza, che il Collegio condivide e che va ribadita, ha dunque

chiaramente individuato entro quale ambito possa procedersi ad una corretta va-

lutazione dei presupposti per l'applicazione del sequestro preventivo nei reati

edilizi con riferimento all'aggravio del carico urbanistico.

5. Nella fattispecie, la verifica di cui si è detto appare essere stata corret-

tamente operata dai giudici salernitani, í quali hanno adeguatamente considerato

la consistenza delle opere eseguite e la concreta rilevanza delle stesse.

Corretta è l'affermazione secondo cui i principi di diritto sopra ricordati

debbano essere ritenuti applicabili anche ad opere realizzate in zone sottoposte a

vincolo paesaggistico, rientrando, nella finalità del sequestro preventivo, ai sensi

dell'art. 321 c.p.p., che il pericolo debba essere effettivo e concreto (sez. 3, n.

4745, 30 gennaio 2008; conf. sez. 6, n. 21734, 29 maggio 2008; sez. 2, n.

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17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l'abuso va considerato unita-

riamente (sez. 3, n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. 3, n. 18899, 9 maggio 2008).

Tuttavia, guanto al seauestro preventivo per reati paesaggistici, questo

Collegio ritiene di dover ribadire il principio assolutamente preponderante nella

giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui la sola esistenza di una

struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemen-

te dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al terri-

torio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e

dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utiliz-

zazione della costruzione ultimata. (così, in ultimo, questa sez. 3, n. 42363 del

18.9.2013, Colicchio, rv. 42363, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il

sequestro di un manufatto costituente ampliamento dì un edificio già abitato dal

medesimo nucleo familiare; conf. sez. 3, n. 24539 del 20.3.2013, Chiantone, rv.

255560; sez. 2, n. 23681 del 14.5.2008, Cristallo, rv. 240621; sez. 3, n. 30932

del 19.5.2009, Tortora, rv. 245207).

Già in altra pronuncia, più risalente, si era peraltro evidenziato come qua-

lunque lavoro eseguito senza autorizzazione, in una zona sottoposta a vincolo

paesaggistico, possa costituire un'offesa al bene giuridico protetto rappresentato

dall'armonia paesaggistica e come, di fronte ad un'opera ultimata, vi fosse il re-

quisito della concretezza e dell'attualità cautelare, che sussiste proprio perché

l'offesa al territorio è destinata in tal modo a perdurare ed a consolidarsi. (così

questa sez. 3, n. 43880 del 30.9.2004, Macino, rv. 230184).

Nella fattispecie in esame i giudici salernitani hanno ritenuto di aderire ad

un'interpretazione più favorevole all'imputato, sul presupposto che non possa es-

serci una sorta di "automatismo" tra detto uso e l'alterazione dell'ecosistema tu-

telato dal vincolo.

Tuttavia, a ben leggere la motivazione del provvedimento impugnato, ap-

pare evidente che gli stessi non si discostano di molto dal principio di diritto oggi

riaffermato da questa Corte.

Il tribunale del riesame di Salerno, infatti, ritiene che, se "anche l'uso

dell'immobile, realizzato in violazione di vincoli, si palesa idoneo ad aggravare le

conseguenze dannose prodotte dall'opera abusiva sull'ecosistema protetto da

vincolo paesaggistico o di altra natura e giustifica l'applicazione della misura cau-

telare diretta ad impedire la protrazione e l'aggravamento delle conseguenze

dannose del reato", sia altresì indubitabile che "la valutazione sul punto ha ad

oggetto l'incidenza negativa della condotta su un più delicato equilibrio rispetto a

quello riguardante genericamente il carico urbanistico sul territorio, sicché la

esclusione della idoneità dell'uso della cosa a deteriorare ulteriormente l'ecosi-

stema protetto dal vincolo deve formare oggetto di un esame particolarmente

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approfondito" (in tal senso, richiama, tra le altre, questa sez. 3, n. 40486 del

27.10.2010, Petrina e altro, rv. 248701).

L'ulteriore lesione del bene protetto -viene ancora ricordato- deve, però,

essere esclusa soltanto ove si accerti la assoluta compatibilità di tale uso con gli

interessi tutelati dal vincolo, tenendosi conto della natura di quest'ultimo e della

situazione preesistente alla realizzazione dell'opera.

Ebbene, sulla base di tali principi, i giudici salernitani ritengono sussisten-

te anche il periculum di cui all'art. 321 comma 1 c.p.p., - e ritengono di integrare

sul punto la motivazione del provvedimento impugnato - evidenziando come

dall'informativa di P.G. in data 1.4.2014 e dagli allegati rilievi fotografici emerga

chiaramente che i lavori realizzati per conto dell'indagato, benché ultimati, han-

no comportato un evidente deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo

ed un evidente aumento del carico urbanistico attraverso la realizzazione di ope-

re, così come descritte al capo A) della rubrica, ontologicamente suscettibili di

determinare un consistente aumento del numero dei frequentatori dell'immobile

ed un oggettivo aggravio su opere collettive (quali ad esempio viabilità, rete idri-

ca e fognaria, condutture elettriche e del gas).

Viene ritenuto, come visto, che si sia realizzato un invasivo intervento

strutturale tale da determinare la creazione di un organismo edilizio del tutto di-

verso con modifica, quanto meno, della destinazione d'uso.

Da qui la ritenuta necessità di evitare la protrazione della condotta illecita

e l'aggravamento del reato, impedendo il paventato aumento del carico urbani-

stico e il godimento dell'opera abusiva al di fuori di ogni controllo prescritto in

funzione della tutela degli interessi pubblici coinvolti.

A fronte di una motivazione siffatta, pare evidente che non possa ritenersi

che siamo di fronte ad una violazione di legge.

Va peraltro rilevato, quanto alla questione oggi introdotta secondo cui i

depositi interrati non avessero un allacciamento proprio alla rete del gas e fosse-

ro in parte autoalimentati in quanto a corrente elettrica, che la circostanza pare

ininfluente, in quanto pare evidente che, come correttamente motivano i giudici

salernitani, vi sia differenza per l'ecosistema se, laddove prima c'era una caver-

na, ora ci sono 175 mq interamente piastrellati, muniti di tutti gli impianti, di sei

celle frigo, di un ufficio, spogliatoi, wc e zona per il lavaggio delle stoviglie.

Si tratta di una valutazione che il Tribunale ha effettuato, con coerenza e

logica, sulla base di dati fattuali acquisiti al fascicolo processuale al quale questa

Corte di legittimità non ha accesso e che non possono essere oggetto di nuova o

diversa valutazione in questa sede, così come le deduzioni difensive, pure artico-

late in fatto, concernenti la immutata ricettività della struttura di ristorazione.

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Va ribadito, infine, che ciò che in ogni caso assume rilievo determinante

(e non è stato oggetto di particolare menzione da parte del ricorrente), è la cir-

costanza della ubicazione dell'intervento edilizio abusivo in area sottoposta a vin-

colo paesaggistico, in quanto tale evenienza, in base ai principi in precedenza

riaffermati, rende ad avviso di questa Corte di per sé legittima la misura reale

applicata indipendentemente dall'effettivo aggravio del carico urbanistico, stante

la persistente incidenza sull'assetto del territorio vincolato determinata dall'esi-

stenza stessa dell'opera abusiva e dalla sua utilizzazione.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen,

non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di

inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della

ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al

pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle

Ammende

Così deciso in Roma il 15 gennaio 2015

Il C sigliere es sore Il Presid t

cenzo P Ila Alfredo si

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