Sicomoro di Marzo 2011
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Queste parole, con cui si esprime
l’ignoto autore del libro tramandato
con il nome di Qoelet (o Ecclesiaste),
sono il riflesso di un’epoca di profon-
da crisi della sapienza (tra la fine del
IV e l’inizio del III secolo a.C.) nel
Vicino Oriente e, quindi, anche in
Israele: crisi che venne profonda-
mente aggravata dall’incontro dell’u-
niverso semitico e biblico con quello
greco-ellenistico. La distanza tra
questi due mondi non può essere
calcolata semplicemente sulla base
di una troppo generica contrapposi-
zione tra la fede ebraica in quanto
monoteista e la fede greca in quanto
politeista – anche perché non tutto il
mondo greco può dirsi “politeista”
secondo l’accezione (religiosa) co-
mune del termine, almeno al livello di
pensatori del calibro di Platone e di
Aristotele. Vero è, tuttavia, che tutto
il mondo greco, “figlio” di Platone,
ebbe una concezione del cosmo ef-
fettivamente molto lontana da quella
biblica: il cosmo dei greci si presen-
tava come un tutto ben ordinato, frut-
to di una “necessaria” processione
da un Principio primo (il Bene), che,
pur essendo di per sé autosufficien-
te, dava, proprio in quell’universo,
attuazione a tutte le possibilità
dell’essere (le idee) in sé racchiuse,
non potendo essere invidioso di al-
cunché a motivo della sua inegua-
gliabile ed indicibile perfezione. Ed il
male? In questo tutto ordinato e pie-
no, il male era un “accidente”, inevi-
tabile conseguenza del progressivo
degradare di tutto ciò che partecipa-
va di questa pienezza iperurania ver-
so gradi di essere sempre meno per-
fetti quanto più il modello sul quale le
cose erano ricalcate veniva a mesco-
larsi con la materia bruta (a tutti era
evidente che una pietra fosse meno
di un uomo e che questi fosse, a sua
volta, meno di un essere spirituale
privo di corpo!). In un tale sistema,
evidentemente, non c’era spazio per
la novità: tutto doveva essere identi-
co e statico nel tempo. Pensare che
qualcosa di nuovo dovesse o, me-
glio, semplicemente potesse accade-
re, significava, infatti, credere che
questo cosmo nel quale noi “viviamo,
ci muoviamo e siamo” (come dirà Paolo
proprio ai greci di Atene nel corso del
suo primo fallimentare discorso mis-
sionario riportato in At 17) avesse
conosciuto un “prima” nel quale la
mancanza di qualcosa aveva richie-
sto un “poi”, come condizione perché
quel qualcosa finalmente potesse
darsi. Ciò, evidentemente, era un
assurdo, giacché comprometteva la
perfezione eterna dell’opera realizza-
ta da quel sommo Bene! E la rivela-
zione biblica? Anche la Scrittura in-
segnava che il mondo è l’opera di un
Dio – “In principio Dio creò…” (Gen 1,1)
–, ma non in quanto frutto di una ne-
cessità intrinseca, di un necessario
traboccamento di pienezza che sa-
rebbe diminuito dal non fare ciò che,
di fatto, fa. Il Dio biblico è un Dio che
crea nella libertà e per amore e crea
esseri capaci di quella stessa libertà
e di quello stesso amore. In questo
universo, per quanto pensato ordina-
tamente da Dio – come ci suggerisce
soprattutto il racconto sacerdotale
della creazione (strutturata come una
grande liturgia in sette giorni, secon-
do il racconto di Gen1,1-2,4a) –, il
disordine, il male, la morte, vi entra-
no non come una realtà necessaria
e, quindi, razionalmente giustificabi-
le: essi costituiscono il grande
“enigma” dell’universo, un enigma
che, tuttavia, non determina l’uomo,
chiamato a fare nella libertà la pro-
pria scelta pro o contro Dio. La sto-
ria, nella quale si consuma la possi-
bilità di un CONTINUA A PAG. 5
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“Non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qo 1,6)
Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario
di Gianpiero Tavolaro
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 2
I l “Cantico delle creature” di San
Francesco è un inno di gioia all’am-
biente e al suo custode, l’uomo. S.
Francesco non sapeva
nulla di ciò che oggi
sappiamo, eppure il
suo Cantico è nel
nostro tempo quanto
mai attuale. Il suo
accorato e lirico can-
tico dice e ripete
“laudato sii mi Signo-
re”, in una preghiera
che è permeata di
gratitudine e di una
visione positiva della
natura. Francesco era al tempo stesso
meravigliato e grato dell’esistenza di
sora Acqua, di frate Focu, di matre Ter-
ra e frate Vento. Se il Cantico
è attuale, è anche perché gli
scienziati oggi, all’unanimità,
affermano che l’uomo, per
vivere senza drammi, deve
rimettere ordine agli elementi.
L’uomo ha fatto passi enormi
in campo tecnologico, ma pa-
rallelamente ha posto madre
Terra sotto torchio, rimodel-
lando e sfruttando tutto ciò che
la natura ha messo a disposi-
zione. Purtroppo oggi nessuno
di noi è considerato “custode del
c r e a t o ” , m a p i u t t o s t o
“consumatore del creato”; siamo in un’e-
poca in cui il capitalismo è l’unica possi-
bilità socio-economica, e lo dimostra il
sociologo Zygmunt Bauman, il quale
afferma che la nostra identità passa dal
nostro ruolo di consumatori, praticamen-
te custodi dello shopping. Ma quanto ci
costa questo finto benessere? Purtroppo
tanto, in termini ambientali, a tal punto
che, ad esempio, buona parte del disastro
ambientale, in Campania, ha finito per
sostenere una sub-economia, il cui peso
sta finendo per danneggiare irreversibil-
mente l’ambiente e la salute dei cittadini.
Come afferma lo storico Salvatore Settis,
CONTINUA A PAG. 8
Scienza e fede: un binomio davvero
esplosivo che porta alla mente lo stereo-
tipo di una Chiesa bigotta ed oscuranti-
sta in opposizione ad una scienza
“rivoluzionaria” con la chi-
mera di cambiare il mondo.
Per me il passaggio mentale
al suono di questo contra-
stante binomio è istantaneo:
Galileo Galilei, Giordano
Bruno, evoluzionisti contro
creazionisti, illumini-
smo...Ma è davvero tutto
qui? Faccio una breve ricer-
ca sul web e come chiunque
può verificare il tema è
scottante ed ampiamente
dibattuto in siti, blog, forum
e quant’altro. Per ciò che mi
riguarda, ancora una volta, non vorrei
soffermarmi su una trattazione troppo
tecnica: ci sarà di certo qualcun altro più
bravo e più preparato di me a farlo;
quanto piuttosto vorrei raccontare la mia
esperienza in quest’ambito. Faccio rife-
rimento ad un episodio della mia vita
successo diversi anni fa quando ero an-
cora studente e preparavo l’esame di
biochimica. La biochimica è quella
scienza che studia la struttura dei com-
ponenti delle cellule (proteine, carboi-
drati, lipidi, acidi nucleici e altre biomo-
lecole) e l’insieme dei processi che av-
vengono negli organismi viventi...per
uno studente una bella sfida, ma anche
un affascinante incontro/scontro con la
complessità della vita dal punto di vista
di ciò che riguarda
l’”infinitamente piccolo”.
Più andavo a fondo nello
studio più la materia mi
affascinava; anzi la sua
complessità ed eleganza
mi poneva costantemente
di fronte ad interrogativi
sull’origine della vita, sul
suo mistero. Ogni organi-
smo vivente, dal più sem-
plice al più complesso, è
davvero come un minu-
scolo universo all’interno
del quale avvengono pro-
cessi incredibili: reazioni chimiche da
cui è possibile ricavare energia, o vice-
versa, trasformazioni che consentono di
accumulare energia sotto forma di mole-
cole. Particelle che si spostano lungo un
organismo modulandone emozioni, pen-
sieri, umore. Il DNA, questa magnifica
doppia elica in grado di trasmettere tutte
le informazioni vitali e fondamentali di
un individuo da una cellula all’altra, e da
un genitore ad un figlio…Più andavo
avanti e più sentivo crescere lo stupore
al cospetto di questo “ordigno” incredi-
bile e degli straordinari meccanismi di
regolazione del suo funzionamento. La
biochimica non è semplicemente affasci-
nate o, per gli studenti, drammaticamen-
te complessa: essa è piuttosto di una
sottile eleganza ed estetica che non può
non far trattenere il fiato! Nel mio inti-
mo sentivo allora sorgere forte una mo-
zione: non era possibile che tutto questo,
che il mistero della vita nella sua straor-
dinaria complessità e bellezza fosse solo
frutto del “caso”. Non era credibile che
poche specie di atomi combinandosi a
caso nel brodo primordiale potessero
portare a tanta complessità ed organizza-
zione [n.d.r. Secondo la Teoria di Stan-
ley Miller, la vita si sarebbe originata
sulla Terra a partire da una miscela di
metano, idrogeno, ammoniaca e vapore
acqueo - detta brodo organico primor-
diale - in presenza di una fonte di ener-
gia]; che dal combinarsi casuale delle
specie chimiche si potesse per pura
“fortuna” arrivare a me, che studiando
mi stupivo! Per me era più che evidente
quanto piuttosto “necessario” che il mi-
racolo della vita fosse stato voluto
CONTINUA A PAG. 6
Scienza e Fede La mia esperienza...
di Claudio Campagnuolo
di Giovanni D’Errico È ormai tempo che vi svegliate dal sonno
Non più custodi, ma consumatori del creato
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 3
Chi sono, cosa pensano e cosa fanno quelli del Sicomoro.
Q uando l’anno scorso mi fu
chiesto di far parte della reda-
zione del Sicomoro accettai
con piacere l’incarico, confidando non
tanto nella mia capacità di saper scrivere
(che non è di certo tra le mie doti miglio-
ri!) bensì nella smisurata voglia di condi-
videre, che da sempre mi appartiene e
che attraverso la scrittura poteva trovare
un nuovo modo per esprimersi. Sapevo
che nel rendere un servizio alla mia Co-
munità avrei potuto trovare nuove occa-
sioni per conoscere meglio le tante per-
sone che ne fanno parte….quindi eccomi
qua. Sono una persona estremamente
razionale, qualsiasi informazione venga
dall’esterno, qualsiasi fatto accada intor-
no a me tendo istintivamente a farlo pas-
sare prima per il cervello, analizzandolo
più e più volte e cercando di osservarlo
da mille punti di vista diversi!
All’inizio posso sembrare timido; quando
conosco una persona o mi trovo per la
prima volta in un nuovo contesto, non
sono molto rapido e bravo a “rompere il
ghiaccio”: penso sempre (a volte troppo)
a cosa sta pensando la persona che mi è
d’innanzi, e quando, superato l’imbaraz-
zo iniziale, si entra più in confidenza,
cerco il modo migliore per dire (quasi!)
tutto quello che mi passa per la testa,
risultando pungente e “precisino”; l’ordine
è infatti un’altra delle mie caratteristiche,
ma più nelle cose. Sono un instancabile
mediatore, cerco sempre di analizzare
motivazioni e cause quando ci sono dei
conflitti, e sono altrettanto instancabile
nell’essere ottimista e fiducioso nei con-
fronti delle persone, anche dopo una
“cattiva condotta” (i miei amici mi dicono
infatti di essere troppo diplomatico!!).
Uso molto il computer e la rete, due stru-
menti che mi hanno da sempre affascina-
to, pur essendo ben consapevole dei
rischi e pericoli ad esso associati.
Cinque anni fa, infatti, due mesi dopo
aver conosciuto il Gruppo Esperienza e
aver scoperto in esso in volto concreto e
tangibile dell’amore cristiano (con la par-
tecipazione alla 32^ Esperienza), ho su-
bito offerto il mio aiuto per il GruGionli-
ne, il nostro sito, che proprio in quel pe-
riodo un lungimirante Davide Basile sta-
va mettendo in piedi; oggi continuo a
credere in questo progetto, persino nelle
sue potenzialità evangeliche (confermate
dalla crescente attenzione del Papa e
della Chiesa tutta al web), insieme a Ric-
cardo Romagnuolo e Luca Ferrini.
Amo cantare, è la mia più grande passio-
ne da quando sono nato; non l’ho mai
coltivata come studio ma, essendo i miei
genitori cattolici, l’ho fin da piccolo conci-
liata con la partecipazione alla liturgia
domenicale; ho fatto parte del coro dei
ragazzi nella mia vecchia parrocchia
(prima abitavo in via S. Rosa) fino all’età
di 10 anni, quando poi ci siamo trasferiti
in via
Nicolardi,
e da allo-
ra (ormai
quasi 13
anni) so-
no nel
“ C o r o
delle 10”,
che nel
mio picco-
lo, cerco
addirittura
di dirigere
da quan-
do, nel
settembre
2009, mio padre ha “passato il testimo-
ne” a me e ad un’altra ragazza.
Mi sono diplomato al liceo scientifico nel
2006, e da allora dopo alcuni tentativi
universitari mal riusciti, cerco altre strade
per gettare nuove basi per un progetto di
vita futura. Faccio poi parte del gruppo
Missione e del W.I.P. (l’Oratorio parroc-
chiale) e in passato ho accompagnato,
per la prima volta da catechista, alcuni
ragazzi al Sacramento della Conferma-
zione (la Cresima). Questo sono io e
queste sono le prime cose che ho sentito
di voler condividere con voi. Per qualsiasi
consiglio, richiesta o proposta di articolo,
non esitate a contattarmi…a vostra com-
pleta disposizione!!
di Marco Ironico Il Sicomoro si racconta...
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,
ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo
e gradito a Dio; è questo il vostro culto spiritua-
le. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo,
ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per
poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a
lui gradito e perfetto (Rm 12, 1-2). In questi verset-
ti è racchiuso il messaggio ricevuto al ritiro su
“La Signoria di Cristo”. Al ritiro ciascuno di
noi due aveva delle attese nel proprio cuore:
Sara, che attraversa un periodo di discernimen-
to del proprio cammino, era in cerca di risposte
riguardo al progetto di Dio nella sua vita; An-
drea, invece, non aveva attese ma provava sete
per una Parola per troppo tempo rifiutata, con
la consapevolezza di volerla accogliere nella
sua vita. La Signoria di Cristo è un cammino di
rinnovamen-
to spirituale
della propria
Fede, che ha
come punto
d’arrivo una
svolta. La
nostra perso-
nale svolta
ha avuto
inizio nella
prima celebrazione Eucaristica, durante la qua-
le, con immenso stupore, il Signore ha messo il
Suo Corpo tra le nostre mani. Come diceva
Marinella durante un’oasi: ”uno squarcio di
cielo è sceso in terra per mettersi tra le nostre
mani”, mani sporche di tanti peccati, mani che
mai come in quel momento non si sentivano
degne di un compito cosi grande. Terminata la
Messa, entrambi siamo stati colti da un vortice
di emozioni: l’affetto immediato e caloroso dei
fratelli, il totale affidamento a Dio
CONTINUA A PAG. 6
Una Comunità in Ritiro
La Signoria di Cristo
di Sara Galloppa & Andrea Agata
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 4
Il matrimonio tra scienza e fede. E’ il
titolo di un convegno tenutosi recente-mente a Napoli durante il quale si so-no susseguite numerose relazioni di specialisti ed accesi dibattiti sul tema. La premessa del convegno è stata la pubblicazione di alcuni dati ISTAT sull’andamento dei matrimoni in Italia. Nel 1972 in Italia c’erano 54 milioni di abitanti, furono celebrati circa 420.000 matrimoni con una età media degli sposi di 27,4 anni per l’uomo e 24 per la donna. Nel 2008, con una popola-zione di circa 59 milioni di abitanti, i matrimoni celebrati sono scesi a circa 246.000, con età media dello sposo di 33 anni e della sposa di 30 anni. I ma-trimoni religiosi risultano in picchiata mentre i contratti civili sono in costante crescita, tanto che, nel 2008, questi ultimi hanno superato la soglia di un matrimonio su tre. I motivi alla base di questo enorme calo sono tanti ma il loro peso relativo è stato oggetto di accesissimi dibat-titi fra gli studiosi e gli esperti del set-tore.
Nessuno ha tra-scurato l’aspetto economico ed il Ricardi, noto sag-gista, ha associato la scelta delle cop-pie che vanno a convivere con il costo sempre più elevato degli addii al nubilato e nello specifico degli streap-man che escono dalle torte giganti. Chi va solo a convivere può quindi già contare su un risparmio no-tevole senza contare che, in caso di sospetto tradimento del partner, non è necessario assumere nessun investi-gatore privato per acquisire prove da esibire in tribunale. I convenuti hanno apprezzato la tesi del Ricardi il quale, a conclusione del suo intervento, ha esplicitato, per giustificare l’aumento delle convivenze, un infallibile teorema economico. Questo assioma, valido però nel solo caso di crisi convivenzia-li, è detto Teorema del minimo costo generalizzato, ovvero: “Se non va be-ne torna da mammà e ritenta, che sa-rai più fortunato”.
La corrente dei matrimoni civili, capita-nata dall’esperto Dandi dei conti di Oprandi, era stretta tra due fuochi: gli agguerriti assertori delle convivenze e
gli strenui difensori del rito religioso. Il Dandi, molto noto nel territorio senese dove 4/5 dei matrimoni sono civili, per dissentire sulle tesi dei convivenzialisti ha puntato molto sull’aspetto legalisti-co del fenomeno, affermando la ne-cessità del cognome certo e della con-dizione per i figli di vivere in una istitu-zione come la famiglia irrobustita da un contratto garantito dalle Leggi dello Stato. Il Dandi, favorito anche dal Ri-cardi, ha poi dimostrato che il matrimo-nio civile, rispetto a quello religioso, consente di acquistare un televisore LCD di almeno 20 pollici in più rispetto ad una coppia che, a parità di condi-zioni, decide di sposarsi in Chiesa. Questa asserzione l’ha dimostrata con il Teorema economico del “tempo per-so” il cui enunciato è il seguente: “Una coppia impegnata in un corso cattolico prematrimoniale è soggetta ad un per-dita di salario nominale pari al numero di ore del corso moltiplicato per due, oltre le spese di carburante e parcheg-
gio”. Applican-do il risultato ai listini dei grandi distributori di elettrodomestici si è notato che questo è pari alla differenza fra un LCD 46” ed un Plasma 3D a 60” con due occhiali in omaggio (ogni occhiale è equi-valente a 3 pollici di televi-
sore). L’appassionato dibattito ha rag-giunto quasi livelli di pathos allorquan-do è stato diffuso il risultato di un son-daggio somministrato a persone non sposate sulle condizioni senza le quali avrebbero potuto anche differire il ma-trimonio o, in casi estremi, non sposar-si affatto. Gli intervistati hanno indicato al quinto posto la disponibilità di una cucina con top in quarzo ad alto conte-nuto siliceo. Al quarto posto, grazie al decisivo apporto dei residenti in aree fortemente urbanizzate, è risultata l’esigenza di possedere nella futura famiglia due auto con parcheggio co-perto ed uno scooter. Al terzo posto la certezza di poter disporre per i primi vent’anni di matrimonio di un abbona-mento full ad una TV satellitare. Al secondo posto la necessità di poter effettuare un viaggio di nozze, della durata limitata anche alle tre sole setti-
mane, ma con isola del Pacifico inclu-sa nel tour. Al primo posto è risultata l’esigenza indifferibile di essersi alme-no laureato, di aver effettuato un ma-ster di specializzazione ed uno stage in azienda. Alcuni dei convenuti hanno in parte smentito i risultati asserendo che al quinto posto, quale motivo di differimento dell’unione, non vi è la condizione sulla tipologia di cucina ma la scarsa disponibilità di castelli per tenere il ricevimento. Scarso rilievo ha destato l’intervento del Dott. Blecich, il quale asseriva che negli anni ’70 ci si sposava anche senza un lavoro certo, senza una casa di proprietà, senza ricevimento, solo con torta e brindisi con coppette di acciaio. Ancora minore consenso ha riscosso il suo enunciato scientifico a favore del matrimonio religioso che, sarebbe lungo e prospe-roso nell’ipotesi che la coppia vada a messa tutte le domeniche e almeno una volta l’anno al santuario mariano più vicino. Tutti hanno contestato le tesi del Blecich, supportati dalle stati-stiche secondo le quali, indipendente-mente dal rito, nel 2008 per dieci ma-trimoni celebrati se ne contavano pa-rallelamente altri sei che sfociavano in separazioni o divorzi. Con queste pre-messe, nello stilare un documento comune di fine convegno le difficoltà non sono mancate: i convivenzialisti volevano indicare quel tipo di unione come il modello più rispondente alle esigente della modernità, modello ideale perché scientificamente ed eco-nomicamente perfetto. I legalisti del matrimonio civile volevano indicare quest’ultimo quale contratto ideale come garanzia di solidità economica e di stabilità nei rapporti con i figli. I so-stenitori del matrimonio religioso non volevano sottostare alla deriva laicista e caldeggiavano una formula che con-tenesse esplicitamente la promozione del matrimonio religioso come tradizio-ne storica.
Ad un certo punto ha preso la parola una vecchietta del pubblico che assi-
steva al dibattito chiedendo: «State
parlando di soldi, di contratti e di tradi-zioni religiose; ma il matrimonio nella fede, che significa donarsi indissolubil-mente all’altro nell’amore di Dio, che legame ha con tutta la scienza che state mostrando con statistiche e teo-
remi?».
«Il mio Teorema» - sentenziò la vec-
chietta - «dice: “Fra una convivenza e
un rito civile che vanno, ed una vuota tradizione religiosa che viene, per un matrimonio nella Fede non
c’è scienza che tiene”»!!!
Ma nove per nove farà ottantuno?
...ovvero il matrimonio è una scienza esatta?
di Gino Pagliara
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 5
ARTICOLO DI GIANPIERO TAVOLARO
CONTINUA DA PAG 1
continuo allontanamento da Dio, di-
viene, allora, “linearmente” lo spazio
di una possibilità di vita radicalmente
“nuova” donata da Dio all’uomo.
Si capisce, pertanto, come l’incontro
con il mondo greco costituì un vero
terremoto per le implicazioni che la
fede biblica comportava nell’umano
sforzo di pensare l’universo e quel
suo singolare abitante che è l’uomo:
eppure proprio a contatto con quel
mondo quella fede sentì il fascino
esercitato da una ragione che si pro-
poneva di comprendere tutto, almeno
nell’ordine delle realtà finite. Ne è
una testimonianza proprio il libro del
Qoelet, espressione di una sapienza
ben più “mondana” di quella custodi-
ta in altri testi biblici; ne è testimo-
nianza lo sviluppo che la teologia
cristiana ebbe per secoli (almeno fino
al XIX) proprio a partire da quell’ap-
parato di concetti e di termini di pro-
venienza greca di cui pur dovette
servirsi nel tentare di rendere ragione
della propria speranza (cfr. 1Pt 3,15)
in un mondo che parlava e pensava
greco!
E così il Dio cristiano assunse spes-
so il carattere (quasi impersonale)
dell’ente necessario e perfettissimo
da cui tutte le cose provengono se-
condo un ordine che rende questo
mondo il “migliore dei mondi possibi-
li”! Con ciò si vuol dire che la difficol-
tà che la teologia cristiana ha mo-
strato per secoli nell’accettare ipotesi
evoluzionistiche in relazione non solo
all’universo nel suo complesso, ma
anche in relazione alle singole specie
viventi (tra cui, in particolare, la spe-
cie umana) è in realtà una resistenza
che di per sé è di matrice più greca
che cristiana ed è uno dei tanti prezzi
che il cristianesimo ha dovuto pagare
al mondo classico in cambio dei
mezzi che quest’ultimo era in grado
di offrire ad una fede che chiedeva di
auto-comprendersi non contro ma
“attraverso la” e “al di là della” ragio-
ne stessa.
In realtà, non si può fare appello alla
creazione come il baluardo del cri-
stianesimo contro l’evoluzionismo: la
fede in un Dio creatore di per sé af-
ferma solo che all’origine del mondo
(e dell’uomo) non vi è una necessità
e nemmeno un caso, ma una volontà
libera ed amante che ha pensato il
tutto come un riflesso della propria
bontà: “vide che era cosa buo-
na” (ripete con insistenza l’autore del
racconto sacerdotale della creazio-
ne). Nulla, però, in questa dottrina ci
autorizza a pensare ad un “come”
tutto questo sia avvenuto.
Benedetto XVI, che ha più volte toc-
cato la questione dell’evoluzione,
nell’omelia della messa inaugurale
del suo pontificato, il 24 aprile 2005,
ha affermato che
“non siamo il prodotto
casuale e senza senso
dell‟evoluzione. Ciascu-
no di noi è il frutto di un
pensiero di Dio. Cia-
scuno di noi è voluto,
ciascuno è amato, cia-
scuno è necessario”. E
il 6 aprile 2006,
parlando ai giovani
riuniti in piazza San
Pietro in prepara-
zione alla Giornata
Mondiale della Gio-
ventù, è tornato sul
tema precisando
che “la scienza suppo-
ne la struttura affidabi-
le, intelligente della materia, il „disegno‟ della
creazione”.
Il “fatto” dell’evoluzione, quindi, non è
in linea di principio, inconciliabile con
la fede nel Dio biblico: paradossal-
mente, fatta salva la libertà dell’atto
creatore, concepire la vita del cosmo
in termini evoluzionistici è ben più
“conveniente” alla visione biblica
dell’universo e dell’uomo di quanto
non lo sia la visione di un mondo in
cui tutto è già dato sin dalle origini;
questo perché l’evoluzionismo aiuta
a non rinchiudere tutto ciò che è in
una prigione (quella dell’eterno ed
immutabile pensiero di Dio che è
all’origine di tutto) dalla quale non è
dato uscire, ma proietta tutto ciò che
è in un futuro che è reale dispiega-
mento di potenzialità che l’oggi non
può esplicare ed esaurire mai del
tutto e che è Dio stesso ad aver im-
messo in tutto quanto ha fatto.
“Una fede rettamente compresa nella crea-
zione e un insegnamento rettamente inteso
della evoluzione non creano ostacoli. [...]
L‟evoluzione suppone la creazione, anzi la
creazione si pone nella luce dell'evoluzione
come un avvenimento che si estende nel
tempo, come una „creatio‟ conti-
nua” (Giovanni Paolo II nel suo discor-
so al simposio su “Fede cristiana e
teoria dell'evoluzione”, nel 1985).
Ci vengono in aiuto le parole sinteti-
che, ma efficaci del Catechismo della
Chiesa Cattolica: “la creazione non è
uscita dalle mani del
Creatore interamen-
te compiuta” (n.
302). Dio ha
creato, quindi,
un mondo non
perfetto, ma “in
stato di via verso la
sua perfezione ulti-
ma. Questo divenire
nel disegno di Dio
comporta con la
comparsa di certi
esseri la scomparsa
di altri, con il più
perfetto anche il
meno perfetto, con
le costruzioni della
natura, anche le
distruzioni” (n. 310).
È innegabile: il mondo così come ci
chiede di vederlo la Bibbia è un mon-
do assai meno “logico” di quello che
la nostra ragione, animata da un’ine-
sauribile sete di verità e di assoluto,
ci fa sperare di poter conoscere; un
mondo in cui non di tutto ci è dato
cogliere il senso. Nondimeno è un
mondo nel quale proprio il contingen-
te, in quanto non-necessario, ma
pure non-casuale, viene a costituire
lo spazio nel quale si incontrano due
libertà (quella di Dio e quella dell’uo-
mo), per fare alleanza e costruire
insieme, sia pure in maniera non
simmetrica, quell’unica grande storia,
che è la storia della salvezza.
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 6
N on sono mai stato un uomo di
scienza. Molto più incline ad
un’astratta ricerca del bello,
nelle lettere ed in ogni altra arte. L’ap-
proccio scientifico, il metodo applicato
alla realtà mi affascina ma non mi appar-
tiene. Nella mia vita ho sempre cercato
l’equilibrio; ho cercato il senso delle co-
se. Una vita alla ricerca della razionalità.
Dio è entrato prepotentemente nella mia
storia, nella mia razionalità. L’incontro
con Dio, la vita nella fede nel mio Salva-
tore, ha posto in me una serie di questio-
ni: «Come coesistono il fascino che le
scienze hanno su di me e la preponde-
ranza di un approccio razionale alla vita,
con la fede?» e «Come convivono queste
mie “anime” differenti tra di loro?» Questi
sette anni di cammino spirituale non so-
no stati sufficienti a dare una risposta
definitiva a queste domande (e mi chiedo
se sarò mai in grado, da vivo, di darne
una). La fede è molto pervasiva: è Parola
che viene a vivere in me, che scrive una
strada, un percorso e lo mette davanti a
me (nella mia libertà scelgo di seguirlo o,
proditoriamente, di negarmi a quella op-
zione). La fede è fraternità, spazi di vita
messi in comune con i fratelli e le sorelle
che il Signore mi ha donato. Dono enor-
me e contemporaneamente grande eser-
cizio di condivisione, che non è per forza
una cosa bella: spesso costa fatica, co-
sta abbassamento, costa sacrificio; l’ac-
cettazione dell’altro non è per niente
semplice. La fede è Eucarestia, incontro
settimanale (quanto meno!) con la carne
del mio Dio, carne che si fa cibo per do-
narmi l’eternità. In tutto questo che c’en-
trano le scienze? Le domande che mi
pongo da quando ho l’età della ragione
(Chi sono? Dove vado? Da dove vengo?)
non hanno risposte. Guardare il cosmo
non aiuta. Guardare oltre i confini dello
spazio non aiuta. Guardare oltre i confini
dell’uomo poi mi mette addirittura in crisi.
L’uomo ha dei limiti. Questo mi insegna
la fede (ma anche la dimostrazione empi-
rica, direi). Il superamento di questi limiti
sembra essere diventata una questione
cruciale nella nostra storia. E se si am-
mette che l’uomo, con il proprio progres-
so, con la propria capacità di superare i
propri limiti, possa andare oltre, allora
come non accettare tutto? Allora l’uomo
può davvero tutto? Senza limiti? La fede
mi fa dire di no. Il Libro della Genesi lo
dice chiaramente: la vita è un rapporto
allo stesso tempo verticale ed orizzonta-
le. Il legame con Dio, quello che ci con-
sente di riconoscere il nostro essere
creature è la fonte di ogni altra relazione
orizzontale (con l’altro, con la natura).
Reciso il legame con il Signore della
nostra vita, andiamo alla ricerca di un
altro Dio (noi stessi, il denaro, il potere,
forse anche la scienza): alcuni di questi
sono solo surrogati dell’essenza della
vita, che discende dalla fonte, ma che noi
preferiamo chiudere in un libro da tenere
su un comodino.
Senza scendere nel campo della morale,
io credo che senza questo limite è inutile
ogni approccio alla questione tra fede e
scienza. Se la scienza nega Dio, non ci
può essere confronto. Altrettanto accade
se la fede nega il progresso scientifico. Il
limite è possibile solo nell’adesione a
Cristo. È questa la vera questione. E va
posta tra i cristiani. Va posta a coloro che
hanno incontrato il Vivente. Andando
oltre i nostri preconcetti, frutto di obsoleti
piani di lettura della fede. Al di fuori della
cristianità dobbiamo confrontarci con un
mondo che non crede e che pertanto
mette l’uomo al centro dell’universo
(piuttosto che Dio). Se l’uomo è il centro,
niente gli è precluso. È l’approccio che
mi fa paura, non quanto ne consegue.
Troppo spesso, noi cristiani, dimentichia-
mo di essere figli del Signore della Vita e
ci facciamo signori delle nostre stesse
vite. Allora tutto è possibile, tutto è lecito,
che male c’è… questo è l’origine del
peccato: farsi Dio della propria vita, della
propria storia, cancellando o fingendo di
dimenticare il Dio creatore.
Il cielo è pieno? O il cielo è vuoto?
Il cielo è meraviglioso…
Dio al centro dell’universo! O l’uomo?
Un approccio razionale alle nostre più comuni
domande
di Riccardo Romagnuolo
ARTICOLO DI CLAU-
DIO CAMPAGNUOLO
CONTINUA DA PAG 2
e architettato sin nel
minimo dettaglio.
Doveva per forza
esserci un Dio che
avesse realizzato
ogni cosa, che per
amore o per volontà
o per tutte e due le
cose avesse dato vita
a quella melma di
atomi per trasformar-
li in creature meravi-
gliose. Ben lontano
dall’essere stato un
incontro forte e diret-
to come quello vissu-
to nei giorni dell’E-
sperienza, penso che
il Signore si sia in
qualche modo voluto
lasciar intravedere da
me nella complessità
e nella freddezza di
un libro di studio,
quasi come se avesse
fatto di tanto in tanto
capolino tra una pa-
gina e l’altra. Giusto
per farmi intuire
qualcosa che con la
mia ragione non riu-
scirò mai a spiegare
per intero e che for-
se, quando il mio
tempo sarà compiuto,
potrò comprendere.
In conclusione una
piccola nota di rifles-
sione: ci tengo a sot-
tolineare come su
una cosa di certo la
Scienza (quella delle
grandi scoperte e
delle innovazioni del
progresso), e la Chie-
sa (quella vera, quel-
la della Parola e non
quella delle troppe
parole), siano d’ac-
cordo: buonismo,
bigottismo e banaliz-
zazione sono mali
per l’uomo ed en-
trambe da questi ci
invitano a guardarci!
ARTICOLO DI
SARA&ANDREA
CONTINUA DA PAG 3
e la consapevolezza che questo è
solo il preludio della svolta attesa.
Intanto, le meditazioni di Fabrizio
davano spazio a interrogativi che
però non trovavano immediate
risposte in noi. Durante la medita-
zione intitolata “Non regni più il
peccato nel vostro corpo – La
liberazione dal peccato” arrivano
le tanto attese risposte: il Signore
ci ha fatto dono dello Spirito,
dono che può essere accolto total-
mente solo con la liberazione dal
peccato. In quel preciso istante
eravamo chiamati a consegnare il
corpo del nostro peccato al Signo-
re, consegna dura e difficile! Al
peccato da cui ci dobbiamo libera-
re siamo spesso affezionati o
addirittura ne siamo innamorati. È
proprio partendo da questo amore
per il peccato che il primo passo si
fa difficile: riconoscerlo e volerse-
ne liberare, nonostante l’amore.
Le difficoltà sono meno amare
quando si arriva alla consapevo-
lezza che lo svuotarsi di quel
peccato altro non è che accogliere
Gesù Cristo nella vita, riempirsi di
Lui, così da non vivere più per noi
stessi ma per Lui, Signore della
nostra vita! Questa è la meditazio-
ne che ha dato inizio alla nostra
scelta: prendere il corpo del nostro
peccato e gettarlo tra le braccia di
Gesù Cristo, così come Lui ha
messo il Suo corpo tra le nostre
mani! Oggi perciò decidiamo con
forza di mettere i nostri corpi tra
le sue mani, per vivere davvero la
vita nella Signoria di Cristo.
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 7
Q uando, nel novembre del 1989,
mi iscrissi all’università di Na-
poli per conseguire la laurea in
Fisica, avevo già alle spalle diversi anni
di vita parrocchiale e di lì a poco avrei
anche partecipato alla III Esperienza
Giovani. Sin dai primi mesi di corso, ebbi
modo di osservare che la facoltà di Fisica
era frequentata per lo più da studenti e
insegnanti atei o agnostici, politicamente
schierati a sinistra. Da credente mi senti-
vo un po’ distante da certi discorsi
“filosofici” che udivo dentro e fuori le aule
ed ebbi non poche difficoltà ad integrarmi
con le amicizie universitarie, che non
riuscii mai a frequentare assiduamente.
Tuttavia, procedendo negli studi, mi resi
conto che più cresceva la mia conoscen-
za matematica e delle leggi della natura
e più mi diventava chiaro il motivo per
cui, nell’ambito della scienza, ci si possa
convincere che non ci sia alcuna neces-
sità di un Dio Creatore. La Fisica, grazie
al lavoro di studio e sperimentazione di
tanti grandi uomini e donne, ci ha donato
alcune teorie che, per eleganza matema-
tica e corrispondenza alla realtà, non
sono solo belle ed affascinanti, ma per-
mettono di descrivere e prevedere molti
importanti fenomeni osservati e, soprat-
tutto, fanno presupporre che un giorno si
potranno avere tutte le risposte alle do-
mande fondamentali dell’Uomo, grazie al
solo apporto della sua intelligenza e del
progresso scientifico. Lo dico avendo
sperimentato sulla mia pelle questa stes-
sa sensazione quando incontrai per la
prima volta la teoria della Meccanica
Quantistica, per cui arrivai a chiedermi:
«Perché credere in un Dio, se la Fisica e
la Matematica mi forniscono tutti gli stru-
menti per entrare nei segreti più profondi
della realtà?».
Non mi soffermerò a descrivere tutte le
complesse riflessioni che da allora mi
hanno accompagnato nel mio percorso di
studi che mi ha portato ad acquisire la
laurea in Fisica con indirizzo Astrofisico e
a lavorare per alcuni anni come ricerca-
tore presso l’Osservatorio Astronomico.
Certo, oggi so che quell’ ”impasto” di
fede e di attività di osservazione del cielo
e di studio dell’universo e delle sue origi-
ni, mi ha permesso di immergermi nella
bellezza del Creato e comprendere che
quella domanda era priva di senso.
Scienza e Fede per me sono e restano
su due piani distinti, ma l’una non può
realmente prescindere dall’altra. Come
espresso dal Concilio Vaticano II nella
costituzione Gaudium et Spes (n. 36):
“La ricerca metodica di ogni disciplina, se
procede in maniera veramente scientifica
e secondo le norme morali, non sarà mai
in reale contrasto con la fede, perché le
realtà profane e le realtà della fede han-
no origine nel medesimo Dio. Anzi, chi si
sforza con umiltà e con perseveranza di
scandagliare i segreti della realtà, anche
senza che lo avverta, viene come con-
dotto dalla mano di Dio, il quale, mante-
nendo in esistenza tutte le cose, fa che
siano quelle che sono”.
Ai molteplici scienziati che si professano
atei, agnostici, anticristiani o anticattolici,
soprattutto oggi che hanno grande riso-
nanza mass-mediatica, si contrappone
una più silenziosa realtà costituita da
eminenti uomini e donne di scienza, che
nell’ambito della loro quotidiana attività di
ricerca esprimono fortemente la loro fede
e riconducono a Dio tutte le bellezze
delle proprie scoperte e conoscenze.
Tra questi - grazie alla nostra sorella
Paola, che dirige egregiamente que-
sto mensile - sono venuto a cono-
scenza del Fisico Prof. ENRICO MEDI
(http://www.enricomedi.it/) illustre scien-
ziato italiano, morto nel 1974, per il quale
è in corso la causa di beatificazione, gra-
zie alla sua vita di fede e di dono. Am-
metto che non conoscevo il suo nome,
ma quando sono andato a leggere la sua
biografia ho scoperto che era compagno
di studi del più noto Enrico Fermi, insie-
me al quale si laureò in Fisica nel 1932.
Eppure non sono i suoi studi di geofisica
(fu direttore dell’Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia) o fisica dell’at-
mosfera, né tantomeno la sua dedizione
all’attività politica (fu consigliere comuna-
le a Roma) che spiccano nella sua bio-
grafia, quanto piuttosto il suo appassio-
nato impegno per comunicare, da scien-
ziato, la necessità della fede.
Egli rivolse la sua opera soprattutto ai
giovani, visti nella luce di un modello
superiore: Gesù il Cristo. Chi era il Prof.
Enrico Medi lo spiega bene Mons. Odo
Fusi-Pecci nell’Omelia per l’introduzione
della causa di beatificazione e canoniz-
zazione: “Egli è stato un esempio vivente
e propugnatore chiarissimo dell’armonia
che regna tra la scienza e la fede, un’ar-
monia che diventa in lui testimonianza di
carità e di servizio, intelligente, compe-
tente, generoso, trasparente alla comuni-
tà ecclesiale e civile”. Ed è proprio quello
che si percepisce ascoltando i suoi di-
scorsi o leggendo i suoi testi, quale ad
esempio “Il Mondo come lo vedo
io” (che sembra parafrasare il celebre
“Come io vedo il mondo” di A. Einstein).
CONTINUA A PAG. 8
Ci sono uccelli notturni, come il gufo e la civetta, il
cui occhio è fatto per vederci di notte al buio, non
di giorno. La luce del sole li accecherebbe. Questi
uccelli sanno tutto e si muovono a loro agio nel
mondo notturno, ma non sanno nulla del mondo
diurno. Adottiamo per un momento il genere delle
favole, dove gli animali parlano tra di loro. Suppo-
niamo che un‟aquila faccia amicizia con una fami-
glia di civette e parli loro del sole: di come esso
illumina tutto, di come, senza di lui, tutto piombe-
rebbe nel buio e nel gelo, come il loro stesso
mondo notturno non esisterebbe senza il sole.
Cosa risponderebbe la civetta se non: «Tu rac-
conti fandonie! Mai visto il vostro sole. Noi ci
muoviamo benissimo e ci procuriamo il cibo senza
di esso; il vostro sole è un‟ipotesi inutile e dunque
non esiste».
È esattamente quello che fa lo scienziato ateo
quando dice: “Dio non esiste”. Egli giudica un
mondo che non conosce, applica le sue leggi a un
oggetto che è fuori della sua portata.
Per vedere Dio occorre aprire un occhio diverso,
occorre avventurarsi fuori della notte. In questo
senso, è ancora valida l‟antica affermazione del
salmista: «Lo stolto dice: Dio non esiste».
(Padre Raniero Cantalamessa)
Quando la Scienza conduce alla Fede
O galassie dei cieli immensi, laudate il mio Signore...
di Luca Ferrini
Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 8
ARTICOLO DI LUCA FERRINI
CONTINUA DA PAG 7
A me non resta che ringraziare il Signore
per l’opera e l’esempio di questi illustri
colleghi e lasciar concludere lo stesso
Prof. Medi con le sue parole, tratte da un
intervento al Congresso catechistico in-
ternazionale di Roma nel 1971: “Quando
dico a un giovane: guarda, là c'è una
stella nuova, una galassia, una stella di
neutroni, a 100 milioni di anni luce di
lontananza. Eppure i protoni, gli elettroni,
i neutroni, i mesoni che sono là sono
identici a quelli che stanno in que-
sto microfono... L'identità esclude
la probabilità. Ciò che è identico
non è probabile... Quindi c'è una
causa, fuori dello spazio, fuori del
tempo, padrona dell'esse-
re, che all'essere ha dato
di essere così. E questo è
Dio...L'essere, parlo scien-
tificamente, che ha dato la
causa alle cose di essere
identiche a un miliardo di
anni luce di distanza, esiste. E di
particelle identiche nell'universo
ne abbiamo 10 elevato alla 85sima po-
tenza... Vogliamo allora accogliere il can-
to delle galassie? Se fossi Francesco
d'Assisi, direi: «O galassie dei cieli im-
mensi, laudate il mio Signore, perché è
onnipotente e buono. O atomi, o protoni,
o elettroni, o canti degli uccelli, o spirare
delle foglie e dell'aria, nelle mani dell'uo-
mo, come preghiera, cantate l'inno che
ritorna a Dio!»"
ARTICOLO DI GIOVANNI D’ERRICO
CONTINUA DA PAG 2
il degrado di cui stiamo parlando non
riguarda solo la forma del paesaggio e
dell'ambiente, e nemmeno solo gli inqui-
namenti, i veleni, le sofferenze che ne
nascono e ci affliggono; il degrado è
invece una forma di declino complessivo
delle regole del vivere comune, reso pos-
sibile da indifferenza, leggi contradditto-
rie - aggirate con disinvoltura -, malco-
stume diffuso e monetizzazione di ogni
valore. Ma come ci poniamo come cri-
stiani di fronte a tutto questo? Nel Cate-
chismo della Chiesa Cattolica la custodia
del creato riveste particolare rilevanza,
perché «la creazione è l‟inizio e il fondamen-
to di tutte le opere di Dio». Oggi tuttavia
l’uomo non vede più nella Terra un dono
finalizzato alla vita. Come possiamo
partecipare dunque noi cristiani al risana-
mento del rapporto con il creato? Come
ritornare ad una relazione di responsabi-
lità e cura del creato? Come si può torna-
re a celebrare quello che il poverello di
Assisi chiamava matre Terra?
Come cristiani siamo obbligati a com-
prendere che la dimensione ecologica è
componente essenziale della vocazione
umana, la questione ecologica non deve
essere affrontata solo per le agghiaccianti
prospettive che il degrado ambientale profila:
essa deve tradursi, soprattutto, in una forte
motivazione per un'autentica solidarietà a
dimensione mondiale.
Dobbiamo, dunque, riscoprire il tema
della nostra creaturalità e porre in essere
una conversione, un effettivo cambia-
mento di mentalità che ci induca ad adot-
tare nuovi stili di vita. É necessario risco-
prire la natura nella sua dimensione di
creatura, stabilendo con essa un rapporto
comunicativo, cogliendo il suo significa-
to evocativo e simbolico.
La responsabilità di custodi del creato
non è solo un’esigenza dell’oggi ma,
come afferma Paolo VI nella sua encicli-
ca Populorum progressio, la nostra re-
sponsabilità pesa soprattutto sul futuro:
«Eredi delle generazioni passate e beneficiari
del lavoro dei nostri contemporanei, noi ab-
biamo degli obblighi verso tutti, e non possia-
mo disinteressarci di coloro che verranno
dopo di noi ad ingrandire la cerchia della
famiglia umana. La solidarietà universale,
ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì
un dovere ». Quindi non si può far finta di
nulla relegando il cambiamento ad una
mera questione tecnico-politica; bisogna
adottare nuovi stili di vita, riportando la
problematica ambientale sul piano della
quotidianità. Risulta necessario perciò
riscoprire ciò che è veramente dotato di
valore, risvegliando in noi la gratitudine,
il senso della bellezza, la gioia di una
rinnovata relazionalità. Il cambiamento
deve venire dal basso, dai nuovi stili di
vita: solo così sarà possibile cambiare
anche le istituzioni.
È oramai tempo di smetterla di lamentar-
si solamente! Come afferma San Paolo
nella lettera ai Romani “è ormai tempo
che vi svegliate dal sonno” (Rm 13, 11).
...et semina rerum appellare suemus
et haec eadem usurpare corpora prima,
quod ex illis sunt omnia primis.
(tratto dal De rerum natura - Lucrezio )
...e li denominiamo semi delle cose,
e inoltre li designamo corpi primi,
perché tutto da essi primamente ha esistenza.
Ti dispiace evolvere un
po’ più lentamente?