Sicomoro di Marzo 2011

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Periodico del Gruppo Esperienza Anno 15 - Marzo 2011 Queste parole, con cui si esprime l’ignoto autore del libro tramandato con il nome di Qoelet (o Ecclesiaste), sono il riflesso di un’epoca di profon- da crisi della sapienza (tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.) nel Vicino Oriente e, quindi, anche in Israele: crisi che venne profonda- mente aggravata dall’incontro dell’u- niverso semitico e biblico con quello greco-ellenistico. La distanza tra questi due mondi non può essere calcolata semplicemente sulla base di una troppo generica contrapposi- zione tra la fede ebraica in quanto monoteista e la fede greca in quanto politeista anche perché non tutto il mondo greco può dirsi “politeista” secondo l’accezione (religiosa) co- mune del termine, almeno al livello di pensatori del calibro di Platone e di Aristotele. Vero è, tuttavia, che tutto il mondo greco, “figlio” di Platone, ebbe una concezione del cosmo ef- fettivamente molto lontana da quella biblica: il cosmo dei greci si presen- tava come un tutto ben ordinato, frut- to di una “necessaria” processione da un Principio primo (il Bene), che, pur essendo di per sé autosufficien- te, dava, proprio in quell’universo, attuazione a tutte le possibilità dell’essere (le idee) in sé racchiuse, non potendo essere invidioso di al- cunché a motivo della sua inegua- gliabile ed indicibile perfezione. Ed il male? In questo tutto ordinato e pie- no, il male era un “accidente”, inevi- tabile conseguenza del progressivo degradare di tutto ciò che partecipa- va di questa pienezza iperurania ver- so gradi di essere sempre meno per- fetti quanto più il modello sul quale le cose erano ricalcate veniva a mesco- larsi con la materia bruta (a tutti era evidente che una pietra fosse meno di un uomo e che questi fosse, a sua volta, meno di un essere spirituale privo di corpo!). In un tale sistema, evidentemente, non c’era spazio per la novità: tutto doveva essere identi- co e statico nel tempo. Pensare che qualcosa di nuovo dovesse o, me- glio, semplicemente potesse accade- re, significava, infatti, credere che questo cosmo nel quale noi “viviamo, ci muoviamo e siamo” (come dirà Paolo proprio ai greci di Atene nel corso del suo primo fallimentare discorso mis- sionario riportato in At 17) avesse conosciuto un “prima” nel quale la mancanza di qualcosa aveva richie- sto un “poi”, come condizione perché quel qualcosa finalmente potesse darsi. Ciò, evidentemente, era un assurdo, giacché comprometteva la perfezione eterna dell’opera realizza- ta da quel sommo Bene! E la rivela- zione biblica? Anche la Scrittura in- segnava che il mondo è l’opera di un Dio In principio Dio creò…” (Gen 1,1) , ma non in quanto frutto di una ne- cessità intrinseca, di un necessario traboccamento di pienezza che sa- rebbe diminuito dal non fare ciò che, di fatto, fa. Il Dio biblico è un Dio che crea nella libertà e per amore e crea esseri capaci di quella stessa libertà e di quello stesso amore. In questo universo, per quanto pensato ordina- tamente da Dio come ci suggerisce soprattutto il racconto sacerdotale della creazione (strutturata come una grande liturgia in sette giorni, secon- do il racconto di Gen1,1-2,4a) , il disordine, il male, la morte, vi entra- no non come una realtà necessaria e, quindi, razionalmente giustificabi- le: essi costituiscono il grande “enigma” dell’universo, un enigma che, tuttavia, non determina l’uomo, chiamato a fare nella libertà la pro- pria scelta pro o contro Dio. La sto- ria, nella quale si consuma la possi- bilità di un CONTINUA A PAG. 5 Parrocchia S. Teresa di Gesù Bambino Via Nicolardi - Napoli Non c’è niente di nuovo sotto il sole(Qo 1,6) Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario di Gianpiero Tavolaro

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Scienza e Fede

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Page 1: Sicomoro di Marzo 2011

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Queste parole, con cui si esprime

l’ignoto autore del libro tramandato

con il nome di Qoelet (o Ecclesiaste),

sono il riflesso di un’epoca di profon-

da crisi della sapienza (tra la fine del

IV e l’inizio del III secolo a.C.) nel

Vicino Oriente e, quindi, anche in

Israele: crisi che venne profonda-

mente aggravata dall’incontro dell’u-

niverso semitico e biblico con quello

greco-ellenistico. La distanza tra

questi due mondi non può essere

calcolata semplicemente sulla base

di una troppo generica contrapposi-

zione tra la fede ebraica in quanto

monoteista e la fede greca in quanto

politeista – anche perché non tutto il

mondo greco può dirsi “politeista”

secondo l’accezione (religiosa) co-

mune del termine, almeno al livello di

pensatori del calibro di Platone e di

Aristotele. Vero è, tuttavia, che tutto

il mondo greco, “figlio” di Platone,

ebbe una concezione del cosmo ef-

fettivamente molto lontana da quella

biblica: il cosmo dei greci si presen-

tava come un tutto ben ordinato, frut-

to di una “necessaria” processione

da un Principio primo (il Bene), che,

pur essendo di per sé autosufficien-

te, dava, proprio in quell’universo,

attuazione a tutte le possibilità

dell’essere (le idee) in sé racchiuse,

non potendo essere invidioso di al-

cunché a motivo della sua inegua-

gliabile ed indicibile perfezione. Ed il

male? In questo tutto ordinato e pie-

no, il male era un “accidente”, inevi-

tabile conseguenza del progressivo

degradare di tutto ciò che partecipa-

va di questa pienezza iperurania ver-

so gradi di essere sempre meno per-

fetti quanto più il modello sul quale le

cose erano ricalcate veniva a mesco-

larsi con la materia bruta (a tutti era

evidente che una pietra fosse meno

di un uomo e che questi fosse, a sua

volta, meno di un essere spirituale

privo di corpo!). In un tale sistema,

evidentemente, non c’era spazio per

la novità: tutto doveva essere identi-

co e statico nel tempo. Pensare che

qualcosa di nuovo dovesse o, me-

glio, semplicemente potesse accade-

re, significava, infatti, credere che

questo cosmo nel quale noi “viviamo,

ci muoviamo e siamo” (come dirà Paolo

proprio ai greci di Atene nel corso del

suo primo fallimentare discorso mis-

sionario riportato in At 17) avesse

conosciuto un “prima” nel quale la

mancanza di qualcosa aveva richie-

sto un “poi”, come condizione perché

quel qualcosa finalmente potesse

darsi. Ciò, evidentemente, era un

assurdo, giacché comprometteva la

perfezione eterna dell’opera realizza-

ta da quel sommo Bene! E la rivela-

zione biblica? Anche la Scrittura in-

segnava che il mondo è l’opera di un

Dio – “In principio Dio creò…” (Gen 1,1)

–, ma non in quanto frutto di una ne-

cessità intrinseca, di un necessario

traboccamento di pienezza che sa-

rebbe diminuito dal non fare ciò che,

di fatto, fa. Il Dio biblico è un Dio che

crea nella libertà e per amore e crea

esseri capaci di quella stessa libertà

e di quello stesso amore. In questo

universo, per quanto pensato ordina-

tamente da Dio – come ci suggerisce

soprattutto il racconto sacerdotale

della creazione (strutturata come una

grande liturgia in sette giorni, secon-

do il racconto di Gen1,1-2,4a) –, il

disordine, il male, la morte, vi entra-

no non come una realtà necessaria

e, quindi, razionalmente giustificabi-

le: essi costituiscono il grande

“enigma” dell’universo, un enigma

che, tuttavia, non determina l’uomo,

chiamato a fare nella libertà la pro-

pria scelta pro o contro Dio. La sto-

ria, nella quale si consuma la possi-

bilità di un CONTINUA A PAG. 5

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“Non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qo 1,6)

Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario

di Gianpiero Tavolaro

Page 2: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 2

I l “Cantico delle creature” di San

Francesco è un inno di gioia all’am-

biente e al suo custode, l’uomo. S.

Francesco non sapeva

nulla di ciò che oggi

sappiamo, eppure il

suo Cantico è nel

nostro tempo quanto

mai attuale. Il suo

accorato e lirico can-

tico dice e ripete

“laudato sii mi Signo-

re”, in una preghiera

che è permeata di

gratitudine e di una

visione positiva della

natura. Francesco era al tempo stesso

meravigliato e grato dell’esistenza di

sora Acqua, di frate Focu, di matre Ter-

ra e frate Vento. Se il Cantico

è attuale, è anche perché gli

scienziati oggi, all’unanimità,

affermano che l’uomo, per

vivere senza drammi, deve

rimettere ordine agli elementi.

L’uomo ha fatto passi enormi

in campo tecnologico, ma pa-

rallelamente ha posto madre

Terra sotto torchio, rimodel-

lando e sfruttando tutto ciò che

la natura ha messo a disposi-

zione. Purtroppo oggi nessuno

di noi è considerato “custode del

c r e a t o ” , m a p i u t t o s t o

“consumatore del creato”; siamo in un’e-

poca in cui il capitalismo è l’unica possi-

bilità socio-economica, e lo dimostra il

sociologo Zygmunt Bauman, il quale

afferma che la nostra identità passa dal

nostro ruolo di consumatori, praticamen-

te custodi dello shopping. Ma quanto ci

costa questo finto benessere? Purtroppo

tanto, in termini ambientali, a tal punto

che, ad esempio, buona parte del disastro

ambientale, in Campania, ha finito per

sostenere una sub-economia, il cui peso

sta finendo per danneggiare irreversibil-

mente l’ambiente e la salute dei cittadini.

Come afferma lo storico Salvatore Settis,

CONTINUA A PAG. 8

Scienza e fede: un binomio davvero

esplosivo che porta alla mente lo stereo-

tipo di una Chiesa bigotta ed oscuranti-

sta in opposizione ad una scienza

“rivoluzionaria” con la chi-

mera di cambiare il mondo.

Per me il passaggio mentale

al suono di questo contra-

stante binomio è istantaneo:

Galileo Galilei, Giordano

Bruno, evoluzionisti contro

creazionisti, illumini-

smo...Ma è davvero tutto

qui? Faccio una breve ricer-

ca sul web e come chiunque

può verificare il tema è

scottante ed ampiamente

dibattuto in siti, blog, forum

e quant’altro. Per ciò che mi

riguarda, ancora una volta, non vorrei

soffermarmi su una trattazione troppo

tecnica: ci sarà di certo qualcun altro più

bravo e più preparato di me a farlo;

quanto piuttosto vorrei raccontare la mia

esperienza in quest’ambito. Faccio rife-

rimento ad un episodio della mia vita

successo diversi anni fa quando ero an-

cora studente e preparavo l’esame di

biochimica. La biochimica è quella

scienza che studia la struttura dei com-

ponenti delle cellule (proteine, carboi-

drati, lipidi, acidi nucleici e altre biomo-

lecole) e l’insieme dei processi che av-

vengono negli organismi viventi...per

uno studente una bella sfida, ma anche

un affascinante incontro/scontro con la

complessità della vita dal punto di vista

di ciò che riguarda

l’”infinitamente piccolo”.

Più andavo a fondo nello

studio più la materia mi

affascinava; anzi la sua

complessità ed eleganza

mi poneva costantemente

di fronte ad interrogativi

sull’origine della vita, sul

suo mistero. Ogni organi-

smo vivente, dal più sem-

plice al più complesso, è

davvero come un minu-

scolo universo all’interno

del quale avvengono pro-

cessi incredibili: reazioni chimiche da

cui è possibile ricavare energia, o vice-

versa, trasformazioni che consentono di

accumulare energia sotto forma di mole-

cole. Particelle che si spostano lungo un

organismo modulandone emozioni, pen-

sieri, umore. Il DNA, questa magnifica

doppia elica in grado di trasmettere tutte

le informazioni vitali e fondamentali di

un individuo da una cellula all’altra, e da

un genitore ad un figlio…Più andavo

avanti e più sentivo crescere lo stupore

al cospetto di questo “ordigno” incredi-

bile e degli straordinari meccanismi di

regolazione del suo funzionamento. La

biochimica non è semplicemente affasci-

nate o, per gli studenti, drammaticamen-

te complessa: essa è piuttosto di una

sottile eleganza ed estetica che non può

non far trattenere il fiato! Nel mio inti-

mo sentivo allora sorgere forte una mo-

zione: non era possibile che tutto questo,

che il mistero della vita nella sua straor-

dinaria complessità e bellezza fosse solo

frutto del “caso”. Non era credibile che

poche specie di atomi combinandosi a

caso nel brodo primordiale potessero

portare a tanta complessità ed organizza-

zione [n.d.r. Secondo la Teoria di Stan-

ley Miller, la vita si sarebbe originata

sulla Terra a partire da una miscela di

metano, idrogeno, ammoniaca e vapore

acqueo - detta brodo organico primor-

diale - in presenza di una fonte di ener-

gia]; che dal combinarsi casuale delle

specie chimiche si potesse per pura

“fortuna” arrivare a me, che studiando

mi stupivo! Per me era più che evidente

quanto piuttosto “necessario” che il mi-

racolo della vita fosse stato voluto

CONTINUA A PAG. 6

Scienza e Fede La mia esperienza...

di Claudio Campagnuolo

di Giovanni D’Errico È ormai tempo che vi svegliate dal sonno

Non più custodi, ma consumatori del creato

Page 3: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 3

Chi sono, cosa pensano e cosa fanno quelli del Sicomoro.

Q uando l’anno scorso mi fu

chiesto di far parte della reda-

zione del Sicomoro accettai

con piacere l’incarico, confidando non

tanto nella mia capacità di saper scrivere

(che non è di certo tra le mie doti miglio-

ri!) bensì nella smisurata voglia di condi-

videre, che da sempre mi appartiene e

che attraverso la scrittura poteva trovare

un nuovo modo per esprimersi. Sapevo

che nel rendere un servizio alla mia Co-

munità avrei potuto trovare nuove occa-

sioni per conoscere meglio le tante per-

sone che ne fanno parte….quindi eccomi

qua. Sono una persona estremamente

razionale, qualsiasi informazione venga

dall’esterno, qualsiasi fatto accada intor-

no a me tendo istintivamente a farlo pas-

sare prima per il cervello, analizzandolo

più e più volte e cercando di osservarlo

da mille punti di vista diversi!

All’inizio posso sembrare timido; quando

conosco una persona o mi trovo per la

prima volta in un nuovo contesto, non

sono molto rapido e bravo a “rompere il

ghiaccio”: penso sempre (a volte troppo)

a cosa sta pensando la persona che mi è

d’innanzi, e quando, superato l’imbaraz-

zo iniziale, si entra più in confidenza,

cerco il modo migliore per dire (quasi!)

tutto quello che mi passa per la testa,

risultando pungente e “precisino”; l’ordine

è infatti un’altra delle mie caratteristiche,

ma più nelle cose. Sono un instancabile

mediatore, cerco sempre di analizzare

motivazioni e cause quando ci sono dei

conflitti, e sono altrettanto instancabile

nell’essere ottimista e fiducioso nei con-

fronti delle persone, anche dopo una

“cattiva condotta” (i miei amici mi dicono

infatti di essere troppo diplomatico!!).

Uso molto il computer e la rete, due stru-

menti che mi hanno da sempre affascina-

to, pur essendo ben consapevole dei

rischi e pericoli ad esso associati.

Cinque anni fa, infatti, due mesi dopo

aver conosciuto il Gruppo Esperienza e

aver scoperto in esso in volto concreto e

tangibile dell’amore cristiano (con la par-

tecipazione alla 32^ Esperienza), ho su-

bito offerto il mio aiuto per il GruGionli-

ne, il nostro sito, che proprio in quel pe-

riodo un lungimirante Davide Basile sta-

va mettendo in piedi; oggi continuo a

credere in questo progetto, persino nelle

sue potenzialità evangeliche (confermate

dalla crescente attenzione del Papa e

della Chiesa tutta al web), insieme a Ric-

cardo Romagnuolo e Luca Ferrini.

Amo cantare, è la mia più grande passio-

ne da quando sono nato; non l’ho mai

coltivata come studio ma, essendo i miei

genitori cattolici, l’ho fin da piccolo conci-

liata con la partecipazione alla liturgia

domenicale; ho fatto parte del coro dei

ragazzi nella mia vecchia parrocchia

(prima abitavo in via S. Rosa) fino all’età

di 10 anni, quando poi ci siamo trasferiti

in via

Nicolardi,

e da allo-

ra (ormai

quasi 13

anni) so-

no nel

“ C o r o

delle 10”,

che nel

mio picco-

lo, cerco

addirittura

di dirigere

da quan-

do, nel

settembre

2009, mio padre ha “passato il testimo-

ne” a me e ad un’altra ragazza.

Mi sono diplomato al liceo scientifico nel

2006, e da allora dopo alcuni tentativi

universitari mal riusciti, cerco altre strade

per gettare nuove basi per un progetto di

vita futura. Faccio poi parte del gruppo

Missione e del W.I.P. (l’Oratorio parroc-

chiale) e in passato ho accompagnato,

per la prima volta da catechista, alcuni

ragazzi al Sacramento della Conferma-

zione (la Cresima). Questo sono io e

queste sono le prime cose che ho sentito

di voler condividere con voi. Per qualsiasi

consiglio, richiesta o proposta di articolo,

non esitate a contattarmi…a vostra com-

pleta disposizione!!

di Marco Ironico Il Sicomoro si racconta...

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,

ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo

e gradito a Dio; è questo il vostro culto spiritua-

le. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo,

ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per

poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a

lui gradito e perfetto (Rm 12, 1-2). In questi verset-

ti è racchiuso il messaggio ricevuto al ritiro su

“La Signoria di Cristo”. Al ritiro ciascuno di

noi due aveva delle attese nel proprio cuore:

Sara, che attraversa un periodo di discernimen-

to del proprio cammino, era in cerca di risposte

riguardo al progetto di Dio nella sua vita; An-

drea, invece, non aveva attese ma provava sete

per una Parola per troppo tempo rifiutata, con

la consapevolezza di volerla accogliere nella

sua vita. La Signoria di Cristo è un cammino di

rinnovamen-

to spirituale

della propria

Fede, che ha

come punto

d’arrivo una

svolta. La

nostra perso-

nale svolta

ha avuto

inizio nella

prima celebrazione Eucaristica, durante la qua-

le, con immenso stupore, il Signore ha messo il

Suo Corpo tra le nostre mani. Come diceva

Marinella durante un’oasi: ”uno squarcio di

cielo è sceso in terra per mettersi tra le nostre

mani”, mani sporche di tanti peccati, mani che

mai come in quel momento non si sentivano

degne di un compito cosi grande. Terminata la

Messa, entrambi siamo stati colti da un vortice

di emozioni: l’affetto immediato e caloroso dei

fratelli, il totale affidamento a Dio

CONTINUA A PAG. 6

Una Comunità in Ritiro

La Signoria di Cristo

di Sara Galloppa & Andrea Agata

Page 4: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 4

Il matrimonio tra scienza e fede. E’ il

titolo di un convegno tenutosi recente-mente a Napoli durante il quale si so-no susseguite numerose relazioni di specialisti ed accesi dibattiti sul tema. La premessa del convegno è stata la pubblicazione di alcuni dati ISTAT sull’andamento dei matrimoni in Italia. Nel 1972 in Italia c’erano 54 milioni di abitanti, furono celebrati circa 420.000 matrimoni con una età media degli sposi di 27,4 anni per l’uomo e 24 per la donna. Nel 2008, con una popola-zione di circa 59 milioni di abitanti, i matrimoni celebrati sono scesi a circa 246.000, con età media dello sposo di 33 anni e della sposa di 30 anni. I ma-trimoni religiosi risultano in picchiata mentre i contratti civili sono in costante crescita, tanto che, nel 2008, questi ultimi hanno superato la soglia di un matrimonio su tre. I motivi alla base di questo enorme calo sono tanti ma il loro peso relativo è stato oggetto di accesissimi dibat-titi fra gli studiosi e gli esperti del set-tore.

Nessuno ha tra-scurato l’aspetto economico ed il Ricardi, noto sag-gista, ha associato la scelta delle cop-pie che vanno a convivere con il costo sempre più elevato degli addii al nubilato e nello specifico degli streap-man che escono dalle torte giganti. Chi va solo a convivere può quindi già contare su un risparmio no-tevole senza contare che, in caso di sospetto tradimento del partner, non è necessario assumere nessun investi-gatore privato per acquisire prove da esibire in tribunale. I convenuti hanno apprezzato la tesi del Ricardi il quale, a conclusione del suo intervento, ha esplicitato, per giustificare l’aumento delle convivenze, un infallibile teorema economico. Questo assioma, valido però nel solo caso di crisi convivenzia-li, è detto Teorema del minimo costo generalizzato, ovvero: “Se non va be-ne torna da mammà e ritenta, che sa-rai più fortunato”.

La corrente dei matrimoni civili, capita-nata dall’esperto Dandi dei conti di Oprandi, era stretta tra due fuochi: gli agguerriti assertori delle convivenze e

gli strenui difensori del rito religioso. Il Dandi, molto noto nel territorio senese dove 4/5 dei matrimoni sono civili, per dissentire sulle tesi dei convivenzialisti ha puntato molto sull’aspetto legalisti-co del fenomeno, affermando la ne-cessità del cognome certo e della con-dizione per i figli di vivere in una istitu-zione come la famiglia irrobustita da un contratto garantito dalle Leggi dello Stato. Il Dandi, favorito anche dal Ri-cardi, ha poi dimostrato che il matrimo-nio civile, rispetto a quello religioso, consente di acquistare un televisore LCD di almeno 20 pollici in più rispetto ad una coppia che, a parità di condi-zioni, decide di sposarsi in Chiesa. Questa asserzione l’ha dimostrata con il Teorema economico del “tempo per-so” il cui enunciato è il seguente: “Una coppia impegnata in un corso cattolico prematrimoniale è soggetta ad un per-dita di salario nominale pari al numero di ore del corso moltiplicato per due, oltre le spese di carburante e parcheg-

gio”. Applican-do il risultato ai listini dei grandi distributori di elettrodomestici si è notato che questo è pari alla differenza fra un LCD 46” ed un Plasma 3D a 60” con due occhiali in omaggio (ogni occhiale è equi-valente a 3 pollici di televi-

sore). L’appassionato dibattito ha rag-giunto quasi livelli di pathos allorquan-do è stato diffuso il risultato di un son-daggio somministrato a persone non sposate sulle condizioni senza le quali avrebbero potuto anche differire il ma-trimonio o, in casi estremi, non sposar-si affatto. Gli intervistati hanno indicato al quinto posto la disponibilità di una cucina con top in quarzo ad alto conte-nuto siliceo. Al quarto posto, grazie al decisivo apporto dei residenti in aree fortemente urbanizzate, è risultata l’esigenza di possedere nella futura famiglia due auto con parcheggio co-perto ed uno scooter. Al terzo posto la certezza di poter disporre per i primi vent’anni di matrimonio di un abbona-mento full ad una TV satellitare. Al secondo posto la necessità di poter effettuare un viaggio di nozze, della durata limitata anche alle tre sole setti-

mane, ma con isola del Pacifico inclu-sa nel tour. Al primo posto è risultata l’esigenza indifferibile di essersi alme-no laureato, di aver effettuato un ma-ster di specializzazione ed uno stage in azienda. Alcuni dei convenuti hanno in parte smentito i risultati asserendo che al quinto posto, quale motivo di differimento dell’unione, non vi è la condizione sulla tipologia di cucina ma la scarsa disponibilità di castelli per tenere il ricevimento. Scarso rilievo ha destato l’intervento del Dott. Blecich, il quale asseriva che negli anni ’70 ci si sposava anche senza un lavoro certo, senza una casa di proprietà, senza ricevimento, solo con torta e brindisi con coppette di acciaio. Ancora minore consenso ha riscosso il suo enunciato scientifico a favore del matrimonio religioso che, sarebbe lungo e prospe-roso nell’ipotesi che la coppia vada a messa tutte le domeniche e almeno una volta l’anno al santuario mariano più vicino. Tutti hanno contestato le tesi del Blecich, supportati dalle stati-stiche secondo le quali, indipendente-mente dal rito, nel 2008 per dieci ma-trimoni celebrati se ne contavano pa-rallelamente altri sei che sfociavano in separazioni o divorzi. Con queste pre-messe, nello stilare un documento comune di fine convegno le difficoltà non sono mancate: i convivenzialisti volevano indicare quel tipo di unione come il modello più rispondente alle esigente della modernità, modello ideale perché scientificamente ed eco-nomicamente perfetto. I legalisti del matrimonio civile volevano indicare quest’ultimo quale contratto ideale come garanzia di solidità economica e di stabilità nei rapporti con i figli. I so-stenitori del matrimonio religioso non volevano sottostare alla deriva laicista e caldeggiavano una formula che con-tenesse esplicitamente la promozione del matrimonio religioso come tradizio-ne storica.

Ad un certo punto ha preso la parola una vecchietta del pubblico che assi-

steva al dibattito chiedendo: «State

parlando di soldi, di contratti e di tradi-zioni religiose; ma il matrimonio nella fede, che significa donarsi indissolubil-mente all’altro nell’amore di Dio, che legame ha con tutta la scienza che state mostrando con statistiche e teo-

remi?».

«Il mio Teorema» - sentenziò la vec-

chietta - «dice: “Fra una convivenza e

un rito civile che vanno, ed una vuota tradizione religiosa che viene, per un matrimonio nella Fede non

c’è scienza che tiene”»!!!

Ma nove per nove farà ottantuno?

...ovvero il matrimonio è una scienza esatta?

di Gino Pagliara

Page 5: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 5

ARTICOLO DI GIANPIERO TAVOLARO

CONTINUA DA PAG 1

continuo allontanamento da Dio, di-

viene, allora, “linearmente” lo spazio

di una possibilità di vita radicalmente

“nuova” donata da Dio all’uomo.

Si capisce, pertanto, come l’incontro

con il mondo greco costituì un vero

terremoto per le implicazioni che la

fede biblica comportava nell’umano

sforzo di pensare l’universo e quel

suo singolare abitante che è l’uomo:

eppure proprio a contatto con quel

mondo quella fede sentì il fascino

esercitato da una ragione che si pro-

poneva di comprendere tutto, almeno

nell’ordine delle realtà finite. Ne è

una testimonianza proprio il libro del

Qoelet, espressione di una sapienza

ben più “mondana” di quella custodi-

ta in altri testi biblici; ne è testimo-

nianza lo sviluppo che la teologia

cristiana ebbe per secoli (almeno fino

al XIX) proprio a partire da quell’ap-

parato di concetti e di termini di pro-

venienza greca di cui pur dovette

servirsi nel tentare di rendere ragione

della propria speranza (cfr. 1Pt 3,15)

in un mondo che parlava e pensava

greco!

E così il Dio cristiano assunse spes-

so il carattere (quasi impersonale)

dell’ente necessario e perfettissimo

da cui tutte le cose provengono se-

condo un ordine che rende questo

mondo il “migliore dei mondi possibi-

li”! Con ciò si vuol dire che la difficol-

tà che la teologia cristiana ha mo-

strato per secoli nell’accettare ipotesi

evoluzionistiche in relazione non solo

all’universo nel suo complesso, ma

anche in relazione alle singole specie

viventi (tra cui, in particolare, la spe-

cie umana) è in realtà una resistenza

che di per sé è di matrice più greca

che cristiana ed è uno dei tanti prezzi

che il cristianesimo ha dovuto pagare

al mondo classico in cambio dei

mezzi che quest’ultimo era in grado

di offrire ad una fede che chiedeva di

auto-comprendersi non contro ma

“attraverso la” e “al di là della” ragio-

ne stessa.

In realtà, non si può fare appello alla

creazione come il baluardo del cri-

stianesimo contro l’evoluzionismo: la

fede in un Dio creatore di per sé af-

ferma solo che all’origine del mondo

(e dell’uomo) non vi è una necessità

e nemmeno un caso, ma una volontà

libera ed amante che ha pensato il

tutto come un riflesso della propria

bontà: “vide che era cosa buo-

na” (ripete con insistenza l’autore del

racconto sacerdotale della creazio-

ne). Nulla, però, in questa dottrina ci

autorizza a pensare ad un “come”

tutto questo sia avvenuto.

Benedetto XVI, che ha più volte toc-

cato la questione dell’evoluzione,

nell’omelia della messa inaugurale

del suo pontificato, il 24 aprile 2005,

ha affermato che

“non siamo il prodotto

casuale e senza senso

dell‟evoluzione. Ciascu-

no di noi è il frutto di un

pensiero di Dio. Cia-

scuno di noi è voluto,

ciascuno è amato, cia-

scuno è necessario”. E

il 6 aprile 2006,

parlando ai giovani

riuniti in piazza San

Pietro in prepara-

zione alla Giornata

Mondiale della Gio-

ventù, è tornato sul

tema precisando

che “la scienza suppo-

ne la struttura affidabi-

le, intelligente della materia, il „disegno‟ della

creazione”.

Il “fatto” dell’evoluzione, quindi, non è

in linea di principio, inconciliabile con

la fede nel Dio biblico: paradossal-

mente, fatta salva la libertà dell’atto

creatore, concepire la vita del cosmo

in termini evoluzionistici è ben più

“conveniente” alla visione biblica

dell’universo e dell’uomo di quanto

non lo sia la visione di un mondo in

cui tutto è già dato sin dalle origini;

questo perché l’evoluzionismo aiuta

a non rinchiudere tutto ciò che è in

una prigione (quella dell’eterno ed

immutabile pensiero di Dio che è

all’origine di tutto) dalla quale non è

dato uscire, ma proietta tutto ciò che

è in un futuro che è reale dispiega-

mento di potenzialità che l’oggi non

può esplicare ed esaurire mai del

tutto e che è Dio stesso ad aver im-

messo in tutto quanto ha fatto.

“Una fede rettamente compresa nella crea-

zione e un insegnamento rettamente inteso

della evoluzione non creano ostacoli. [...]

L‟evoluzione suppone la creazione, anzi la

creazione si pone nella luce dell'evoluzione

come un avvenimento che si estende nel

tempo, come una „creatio‟ conti-

nua” (Giovanni Paolo II nel suo discor-

so al simposio su “Fede cristiana e

teoria dell'evoluzione”, nel 1985).

Ci vengono in aiuto le parole sinteti-

che, ma efficaci del Catechismo della

Chiesa Cattolica: “la creazione non è

uscita dalle mani del

Creatore interamen-

te compiuta” (n.

302). Dio ha

creato, quindi,

un mondo non

perfetto, ma “in

stato di via verso la

sua perfezione ulti-

ma. Questo divenire

nel disegno di Dio

comporta con la

comparsa di certi

esseri la scomparsa

di altri, con il più

perfetto anche il

meno perfetto, con

le costruzioni della

natura, anche le

distruzioni” (n. 310).

È innegabile: il mondo così come ci

chiede di vederlo la Bibbia è un mon-

do assai meno “logico” di quello che

la nostra ragione, animata da un’ine-

sauribile sete di verità e di assoluto,

ci fa sperare di poter conoscere; un

mondo in cui non di tutto ci è dato

cogliere il senso. Nondimeno è un

mondo nel quale proprio il contingen-

te, in quanto non-necessario, ma

pure non-casuale, viene a costituire

lo spazio nel quale si incontrano due

libertà (quella di Dio e quella dell’uo-

mo), per fare alleanza e costruire

insieme, sia pure in maniera non

simmetrica, quell’unica grande storia,

che è la storia della salvezza.

Page 6: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 6

N on sono mai stato un uomo di

scienza. Molto più incline ad

un’astratta ricerca del bello,

nelle lettere ed in ogni altra arte. L’ap-

proccio scientifico, il metodo applicato

alla realtà mi affascina ma non mi appar-

tiene. Nella mia vita ho sempre cercato

l’equilibrio; ho cercato il senso delle co-

se. Una vita alla ricerca della razionalità.

Dio è entrato prepotentemente nella mia

storia, nella mia razionalità. L’incontro

con Dio, la vita nella fede nel mio Salva-

tore, ha posto in me una serie di questio-

ni: «Come coesistono il fascino che le

scienze hanno su di me e la preponde-

ranza di un approccio razionale alla vita,

con la fede?» e «Come convivono queste

mie “anime” differenti tra di loro?» Questi

sette anni di cammino spirituale non so-

no stati sufficienti a dare una risposta

definitiva a queste domande (e mi chiedo

se sarò mai in grado, da vivo, di darne

una). La fede è molto pervasiva: è Parola

che viene a vivere in me, che scrive una

strada, un percorso e lo mette davanti a

me (nella mia libertà scelgo di seguirlo o,

proditoriamente, di negarmi a quella op-

zione). La fede è fraternità, spazi di vita

messi in comune con i fratelli e le sorelle

che il Signore mi ha donato. Dono enor-

me e contemporaneamente grande eser-

cizio di condivisione, che non è per forza

una cosa bella: spesso costa fatica, co-

sta abbassamento, costa sacrificio; l’ac-

cettazione dell’altro non è per niente

semplice. La fede è Eucarestia, incontro

settimanale (quanto meno!) con la carne

del mio Dio, carne che si fa cibo per do-

narmi l’eternità. In tutto questo che c’en-

trano le scienze? Le domande che mi

pongo da quando ho l’età della ragione

(Chi sono? Dove vado? Da dove vengo?)

non hanno risposte. Guardare il cosmo

non aiuta. Guardare oltre i confini dello

spazio non aiuta. Guardare oltre i confini

dell’uomo poi mi mette addirittura in crisi.

L’uomo ha dei limiti. Questo mi insegna

la fede (ma anche la dimostrazione empi-

rica, direi). Il superamento di questi limiti

sembra essere diventata una questione

cruciale nella nostra storia. E se si am-

mette che l’uomo, con il proprio progres-

so, con la propria capacità di superare i

propri limiti, possa andare oltre, allora

come non accettare tutto? Allora l’uomo

può davvero tutto? Senza limiti? La fede

mi fa dire di no. Il Libro della Genesi lo

dice chiaramente: la vita è un rapporto

allo stesso tempo verticale ed orizzonta-

le. Il legame con Dio, quello che ci con-

sente di riconoscere il nostro essere

creature è la fonte di ogni altra relazione

orizzontale (con l’altro, con la natura).

Reciso il legame con il Signore della

nostra vita, andiamo alla ricerca di un

altro Dio (noi stessi, il denaro, il potere,

forse anche la scienza): alcuni di questi

sono solo surrogati dell’essenza della

vita, che discende dalla fonte, ma che noi

preferiamo chiudere in un libro da tenere

su un comodino.

Senza scendere nel campo della morale,

io credo che senza questo limite è inutile

ogni approccio alla questione tra fede e

scienza. Se la scienza nega Dio, non ci

può essere confronto. Altrettanto accade

se la fede nega il progresso scientifico. Il

limite è possibile solo nell’adesione a

Cristo. È questa la vera questione. E va

posta tra i cristiani. Va posta a coloro che

hanno incontrato il Vivente. Andando

oltre i nostri preconcetti, frutto di obsoleti

piani di lettura della fede. Al di fuori della

cristianità dobbiamo confrontarci con un

mondo che non crede e che pertanto

mette l’uomo al centro dell’universo

(piuttosto che Dio). Se l’uomo è il centro,

niente gli è precluso. È l’approccio che

mi fa paura, non quanto ne consegue.

Troppo spesso, noi cristiani, dimentichia-

mo di essere figli del Signore della Vita e

ci facciamo signori delle nostre stesse

vite. Allora tutto è possibile, tutto è lecito,

che male c’è… questo è l’origine del

peccato: farsi Dio della propria vita, della

propria storia, cancellando o fingendo di

dimenticare il Dio creatore.

Il cielo è pieno? O il cielo è vuoto?

Il cielo è meraviglioso…

Dio al centro dell’universo! O l’uomo?

Un approccio razionale alle nostre più comuni

domande

di Riccardo Romagnuolo

ARTICOLO DI CLAU-

DIO CAMPAGNUOLO

CONTINUA DA PAG 2

e architettato sin nel

minimo dettaglio.

Doveva per forza

esserci un Dio che

avesse realizzato

ogni cosa, che per

amore o per volontà

o per tutte e due le

cose avesse dato vita

a quella melma di

atomi per trasformar-

li in creature meravi-

gliose. Ben lontano

dall’essere stato un

incontro forte e diret-

to come quello vissu-

to nei giorni dell’E-

sperienza, penso che

il Signore si sia in

qualche modo voluto

lasciar intravedere da

me nella complessità

e nella freddezza di

un libro di studio,

quasi come se avesse

fatto di tanto in tanto

capolino tra una pa-

gina e l’altra. Giusto

per farmi intuire

qualcosa che con la

mia ragione non riu-

scirò mai a spiegare

per intero e che for-

se, quando il mio

tempo sarà compiuto,

potrò comprendere.

In conclusione una

piccola nota di rifles-

sione: ci tengo a sot-

tolineare come su

una cosa di certo la

Scienza (quella delle

grandi scoperte e

delle innovazioni del

progresso), e la Chie-

sa (quella vera, quel-

la della Parola e non

quella delle troppe

parole), siano d’ac-

cordo: buonismo,

bigottismo e banaliz-

zazione sono mali

per l’uomo ed en-

trambe da questi ci

invitano a guardarci!

ARTICOLO DI

SARA&ANDREA

CONTINUA DA PAG 3

e la consapevolezza che questo è

solo il preludio della svolta attesa.

Intanto, le meditazioni di Fabrizio

davano spazio a interrogativi che

però non trovavano immediate

risposte in noi. Durante la medita-

zione intitolata “Non regni più il

peccato nel vostro corpo – La

liberazione dal peccato” arrivano

le tanto attese risposte: il Signore

ci ha fatto dono dello Spirito,

dono che può essere accolto total-

mente solo con la liberazione dal

peccato. In quel preciso istante

eravamo chiamati a consegnare il

corpo del nostro peccato al Signo-

re, consegna dura e difficile! Al

peccato da cui ci dobbiamo libera-

re siamo spesso affezionati o

addirittura ne siamo innamorati. È

proprio partendo da questo amore

per il peccato che il primo passo si

fa difficile: riconoscerlo e volerse-

ne liberare, nonostante l’amore.

Le difficoltà sono meno amare

quando si arriva alla consapevo-

lezza che lo svuotarsi di quel

peccato altro non è che accogliere

Gesù Cristo nella vita, riempirsi di

Lui, così da non vivere più per noi

stessi ma per Lui, Signore della

nostra vita! Questa è la meditazio-

ne che ha dato inizio alla nostra

scelta: prendere il corpo del nostro

peccato e gettarlo tra le braccia di

Gesù Cristo, così come Lui ha

messo il Suo corpo tra le nostre

mani! Oggi perciò decidiamo con

forza di mettere i nostri corpi tra

le sue mani, per vivere davvero la

vita nella Signoria di Cristo.

Page 7: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 7

Q uando, nel novembre del 1989,

mi iscrissi all’università di Na-

poli per conseguire la laurea in

Fisica, avevo già alle spalle diversi anni

di vita parrocchiale e di lì a poco avrei

anche partecipato alla III Esperienza

Giovani. Sin dai primi mesi di corso, ebbi

modo di osservare che la facoltà di Fisica

era frequentata per lo più da studenti e

insegnanti atei o agnostici, politicamente

schierati a sinistra. Da credente mi senti-

vo un po’ distante da certi discorsi

“filosofici” che udivo dentro e fuori le aule

ed ebbi non poche difficoltà ad integrarmi

con le amicizie universitarie, che non

riuscii mai a frequentare assiduamente.

Tuttavia, procedendo negli studi, mi resi

conto che più cresceva la mia conoscen-

za matematica e delle leggi della natura

e più mi diventava chiaro il motivo per

cui, nell’ambito della scienza, ci si possa

convincere che non ci sia alcuna neces-

sità di un Dio Creatore. La Fisica, grazie

al lavoro di studio e sperimentazione di

tanti grandi uomini e donne, ci ha donato

alcune teorie che, per eleganza matema-

tica e corrispondenza alla realtà, non

sono solo belle ed affascinanti, ma per-

mettono di descrivere e prevedere molti

importanti fenomeni osservati e, soprat-

tutto, fanno presupporre che un giorno si

potranno avere tutte le risposte alle do-

mande fondamentali dell’Uomo, grazie al

solo apporto della sua intelligenza e del

progresso scientifico. Lo dico avendo

sperimentato sulla mia pelle questa stes-

sa sensazione quando incontrai per la

prima volta la teoria della Meccanica

Quantistica, per cui arrivai a chiedermi:

«Perché credere in un Dio, se la Fisica e

la Matematica mi forniscono tutti gli stru-

menti per entrare nei segreti più profondi

della realtà?».

Non mi soffermerò a descrivere tutte le

complesse riflessioni che da allora mi

hanno accompagnato nel mio percorso di

studi che mi ha portato ad acquisire la

laurea in Fisica con indirizzo Astrofisico e

a lavorare per alcuni anni come ricerca-

tore presso l’Osservatorio Astronomico.

Certo, oggi so che quell’ ”impasto” di

fede e di attività di osservazione del cielo

e di studio dell’universo e delle sue origi-

ni, mi ha permesso di immergermi nella

bellezza del Creato e comprendere che

quella domanda era priva di senso.

Scienza e Fede per me sono e restano

su due piani distinti, ma l’una non può

realmente prescindere dall’altra. Come

espresso dal Concilio Vaticano II nella

costituzione Gaudium et Spes (n. 36):

“La ricerca metodica di ogni disciplina, se

procede in maniera veramente scientifica

e secondo le norme morali, non sarà mai

in reale contrasto con la fede, perché le

realtà profane e le realtà della fede han-

no origine nel medesimo Dio. Anzi, chi si

sforza con umiltà e con perseveranza di

scandagliare i segreti della realtà, anche

senza che lo avverta, viene come con-

dotto dalla mano di Dio, il quale, mante-

nendo in esistenza tutte le cose, fa che

siano quelle che sono”.

Ai molteplici scienziati che si professano

atei, agnostici, anticristiani o anticattolici,

soprattutto oggi che hanno grande riso-

nanza mass-mediatica, si contrappone

una più silenziosa realtà costituita da

eminenti uomini e donne di scienza, che

nell’ambito della loro quotidiana attività di

ricerca esprimono fortemente la loro fede

e riconducono a Dio tutte le bellezze

delle proprie scoperte e conoscenze.

Tra questi - grazie alla nostra sorella

Paola, che dirige egregiamente que-

sto mensile - sono venuto a cono-

scenza del Fisico Prof. ENRICO MEDI

(http://www.enricomedi.it/) illustre scien-

ziato italiano, morto nel 1974, per il quale

è in corso la causa di beatificazione, gra-

zie alla sua vita di fede e di dono. Am-

metto che non conoscevo il suo nome,

ma quando sono andato a leggere la sua

biografia ho scoperto che era compagno

di studi del più noto Enrico Fermi, insie-

me al quale si laureò in Fisica nel 1932.

Eppure non sono i suoi studi di geofisica

(fu direttore dell’Istituto Nazionale di

Geofisica e Vulcanologia) o fisica dell’at-

mosfera, né tantomeno la sua dedizione

all’attività politica (fu consigliere comuna-

le a Roma) che spiccano nella sua bio-

grafia, quanto piuttosto il suo appassio-

nato impegno per comunicare, da scien-

ziato, la necessità della fede.

Egli rivolse la sua opera soprattutto ai

giovani, visti nella luce di un modello

superiore: Gesù il Cristo. Chi era il Prof.

Enrico Medi lo spiega bene Mons. Odo

Fusi-Pecci nell’Omelia per l’introduzione

della causa di beatificazione e canoniz-

zazione: “Egli è stato un esempio vivente

e propugnatore chiarissimo dell’armonia

che regna tra la scienza e la fede, un’ar-

monia che diventa in lui testimonianza di

carità e di servizio, intelligente, compe-

tente, generoso, trasparente alla comuni-

tà ecclesiale e civile”. Ed è proprio quello

che si percepisce ascoltando i suoi di-

scorsi o leggendo i suoi testi, quale ad

esempio “Il Mondo come lo vedo

io” (che sembra parafrasare il celebre

“Come io vedo il mondo” di A. Einstein).

CONTINUA A PAG. 8

Ci sono uccelli notturni, come il gufo e la civetta, il

cui occhio è fatto per vederci di notte al buio, non

di giorno. La luce del sole li accecherebbe. Questi

uccelli sanno tutto e si muovono a loro agio nel

mondo notturno, ma non sanno nulla del mondo

diurno. Adottiamo per un momento il genere delle

favole, dove gli animali parlano tra di loro. Suppo-

niamo che un‟aquila faccia amicizia con una fami-

glia di civette e parli loro del sole: di come esso

illumina tutto, di come, senza di lui, tutto piombe-

rebbe nel buio e nel gelo, come il loro stesso

mondo notturno non esisterebbe senza il sole.

Cosa risponderebbe la civetta se non: «Tu rac-

conti fandonie! Mai visto il vostro sole. Noi ci

muoviamo benissimo e ci procuriamo il cibo senza

di esso; il vostro sole è un‟ipotesi inutile e dunque

non esiste».

È esattamente quello che fa lo scienziato ateo

quando dice: “Dio non esiste”. Egli giudica un

mondo che non conosce, applica le sue leggi a un

oggetto che è fuori della sua portata.

Per vedere Dio occorre aprire un occhio diverso,

occorre avventurarsi fuori della notte. In questo

senso, è ancora valida l‟antica affermazione del

salmista: «Lo stolto dice: Dio non esiste».

(Padre Raniero Cantalamessa)

Quando la Scienza conduce alla Fede

O galassie dei cieli immensi, laudate il mio Signore...

di Luca Ferrini

Page 8: Sicomoro di Marzo 2011

Il Sicomoro - Marzo 2011 Pag. 8

ARTICOLO DI LUCA FERRINI

CONTINUA DA PAG 7

A me non resta che ringraziare il Signore

per l’opera e l’esempio di questi illustri

colleghi e lasciar concludere lo stesso

Prof. Medi con le sue parole, tratte da un

intervento al Congresso catechistico in-

ternazionale di Roma nel 1971: “Quando

dico a un giovane: guarda, là c'è una

stella nuova, una galassia, una stella di

neutroni, a 100 milioni di anni luce di

lontananza. Eppure i protoni, gli elettroni,

i neutroni, i mesoni che sono là sono

identici a quelli che stanno in que-

sto microfono... L'identità esclude

la probabilità. Ciò che è identico

non è probabile... Quindi c'è una

causa, fuori dello spazio, fuori del

tempo, padrona dell'esse-

re, che all'essere ha dato

di essere così. E questo è

Dio...L'essere, parlo scien-

tificamente, che ha dato la

causa alle cose di essere

identiche a un miliardo di

anni luce di distanza, esiste. E di

particelle identiche nell'universo

ne abbiamo 10 elevato alla 85sima po-

tenza... Vogliamo allora accogliere il can-

to delle galassie? Se fossi Francesco

d'Assisi, direi: «O galassie dei cieli im-

mensi, laudate il mio Signore, perché è

onnipotente e buono. O atomi, o protoni,

o elettroni, o canti degli uccelli, o spirare

delle foglie e dell'aria, nelle mani dell'uo-

mo, come preghiera, cantate l'inno che

ritorna a Dio!»"

ARTICOLO DI GIOVANNI D’ERRICO

CONTINUA DA PAG 2

il degrado di cui stiamo parlando non

riguarda solo la forma del paesaggio e

dell'ambiente, e nemmeno solo gli inqui-

namenti, i veleni, le sofferenze che ne

nascono e ci affliggono; il degrado è

invece una forma di declino complessivo

delle regole del vivere comune, reso pos-

sibile da indifferenza, leggi contradditto-

rie - aggirate con disinvoltura -, malco-

stume diffuso e monetizzazione di ogni

valore. Ma come ci poniamo come cri-

stiani di fronte a tutto questo? Nel Cate-

chismo della Chiesa Cattolica la custodia

del creato riveste particolare rilevanza,

perché «la creazione è l‟inizio e il fondamen-

to di tutte le opere di Dio». Oggi tuttavia

l’uomo non vede più nella Terra un dono

finalizzato alla vita. Come possiamo

partecipare dunque noi cristiani al risana-

mento del rapporto con il creato? Come

ritornare ad una relazione di responsabi-

lità e cura del creato? Come si può torna-

re a celebrare quello che il poverello di

Assisi chiamava matre Terra?

Come cristiani siamo obbligati a com-

prendere che la dimensione ecologica è

componente essenziale della vocazione

umana, la questione ecologica non deve

essere affrontata solo per le agghiaccianti

prospettive che il degrado ambientale profila:

essa deve tradursi, soprattutto, in una forte

motivazione per un'autentica solidarietà a

dimensione mondiale.

Dobbiamo, dunque, riscoprire il tema

della nostra creaturalità e porre in essere

una conversione, un effettivo cambia-

mento di mentalità che ci induca ad adot-

tare nuovi stili di vita. É necessario risco-

prire la natura nella sua dimensione di

creatura, stabilendo con essa un rapporto

comunicativo, cogliendo il suo significa-

to evocativo e simbolico.

La responsabilità di custodi del creato

non è solo un’esigenza dell’oggi ma,

come afferma Paolo VI nella sua encicli-

ca Populorum progressio, la nostra re-

sponsabilità pesa soprattutto sul futuro:

«Eredi delle generazioni passate e beneficiari

del lavoro dei nostri contemporanei, noi ab-

biamo degli obblighi verso tutti, e non possia-

mo disinteressarci di coloro che verranno

dopo di noi ad ingrandire la cerchia della

famiglia umana. La solidarietà universale,

ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì

un dovere ». Quindi non si può far finta di

nulla relegando il cambiamento ad una

mera questione tecnico-politica; bisogna

adottare nuovi stili di vita, riportando la

problematica ambientale sul piano della

quotidianità. Risulta necessario perciò

riscoprire ciò che è veramente dotato di

valore, risvegliando in noi la gratitudine,

il senso della bellezza, la gioia di una

rinnovata relazionalità. Il cambiamento

deve venire dal basso, dai nuovi stili di

vita: solo così sarà possibile cambiare

anche le istituzioni.

È oramai tempo di smetterla di lamentar-

si solamente! Come afferma San Paolo

nella lettera ai Romani “è ormai tempo

che vi svegliate dal sonno” (Rm 13, 11).

...et semina rerum appellare suemus

et haec eadem usurpare corpora prima,

quod ex illis sunt omnia primis.

(tratto dal De rerum natura - Lucrezio )

...e li denominiamo semi delle cose,

e inoltre li designamo corpi primi,

perché tutto da essi primamente ha esistenza.

Ti dispiace evolvere un

po’ più lentamente?