Sazi da morire Malattie dell'abbondanza e necessità della fatica di Claudio Risé - estratto

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Claudio Risé Malattie dell’abbondanza e necessità della fatica SAZI DA MORIRE

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Piacere, Ricchezza e Immagine: ecco la trinità di questo nuovo millennio venerata dall'uomo occidentale che, chiuso in un ego ipertrofico e disperato, incapace di trasmettere nulla se non la cultura dell'eccesso, è caduto in uno stato di profonda catatonia. Claudio Risé, psicoterapeuta e psicoanalista tra i più noti in Italia, presenta una lettura critica e puntuale della crisi di valori in cui si trova l’intero Occidente, un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire se non si interverrà in tempo. Troppi soldi, troppo cibo, troppi zuccheri, troppi grassi, troppe droghe. Un bisogno di essere riempiti di materie adulterate e avvelenanti, di evitare la fatica fisica consegnandosi così alla sedentarietà. Per salvarsi l'unica possibilità è riscoprire il valore del limite, l'oscenità dell'eccesso, la profondità educativa delle necessità, del riconoscere la realtà, nella sua verità e meraviglia, a partire dalle piccole cose di ogni giorno.

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PSICHE E SOCIETÀ Diretta da Claudio Risé

La nostra civiltà, ricca ma non felice,è devota al culto del troppo:

troppi soldi, troppo cibo, troppi zuccheri,troppi grassi, troppe droghe…

Ma è proprio quando un’intera civiltàsembra destinata alla distruzione,

che può scoprire cosa, invece,sia veramente vita.

CLAUDIO RISÉ, psicoterapeuta e psico-analista, giornalista, già docente di Scien-ze sociali alle Università di Trieste-Gorizia, dell’Insubria (Varese) e della Bicocca (Mi-lano), lavora da oltre trent’anni sulla psico-logia del maschile e sui problemi derivanti dalla crisi della fi gura paterna. Su questo tema ha pubblicato, con San Paolo, Il Pa-dre l’assente inaccettabile (2003), tradotto, come altri suoi testi, in molti paesi europei e in Brasile. Tra i suoi ultimi lavori: Il Pa-dre. Libertà, dono (Ares 2013); Felicità è donarsi (San Paolo 2014); Il maschio sel-vatico/2 (San Paolo 2015); Guarda Tocca Vivi. Ritrovare i sensi per essere felici (San Paolo ebook 2015) e, con M. Paregger, Donne Selvatiche (San Paolo 2015) Il suo sito è: claudio-rise.it. Conduce per Io donna il blog: psiche-lui di Claudio Risé.

Illustrazione di Ale+AleProgetto grafi co di Angelo Zenzalari

La civiltà occidentale di oggi è vittima di una malattia sempre più diffusa:

un continuo oscillare dal delirio di on-nipotenza e dalla volontà di godimento illimitato a una sostanziale impotenza e depressione. Siamo assillati da un biso-gno di essere riempiti di materie adul-terate e avvelenanti. Evitiamo la fatica fi sica, e ci consegniamo così alla seden-tarietà e all’astrazione, senza mai vera-mente camminare con i piedi per terra.Guardiamo invece alla vita come diver-timento, gratifi cazione, rassicurazione permanente e adoriamo la trinità di ini-zio millennio: piacere-ricchezza-imma-gine. Siamo chiusi in un ego ipertrofi co e disperato, dove non si vede più real-mente l’altro.Ma mentre i media ci tempestano col mito del robot che ti porta la colazione a letto, chi ha più senso vitale torna a farsi il pane. Il valore del limite, l’osceni-tà dell’eccesso, la profondità educativa della necessità, del riconoscere la real-tà, nella sua verità e meraviglia, posso-no farci innamorare di nuovo della vita, della voglia e dell’urgenza di essere, e non di consumare.

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Claudio Risé

Sazi da morireMalattie dell’abbondanza

e necessità della fatica

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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2016 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9761-9

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Mangeranno,ma non si sazieranno.

Libro di Osea, 4,10

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INTRODUZIONE DELL’AUTORE ALLA LETTURA

Cari lettori,in questo libro vi racconto la più diffusa malattia

dell’Occidente (quindi, almeno un po’, di tutti noi). Un continuo oscillare dal delirio di onnipotenza e dalla vo-lontà di godimento illimitato a una sostanziale impoten-za e depressione.

Presenterò alcuni aspetti, fisici psichici e simbolici, che caratterizzano questo disagio: il gusto per l’eccesso e la perdita del senso della misura; la rimozione della funzione della fatica (anche dal punto di vista fisico e intellettuale); l’abitudine e il piacere della dipendenza, in particolare verso gli oggetti e la tecnologia ma anche verso cibo e sostanze; l’arroganza verso l’altro, il diver-so che osa guardare al mondo in un altro modo. Soprat-tutto il riferire costantemente tutto a se stessi, con una scarsissima consapevolezza del mondo attorno e degli altri.

Nel primo capitolo presento alcune caratteristiche delle malattie non trasmissibili (NCD), oggi la prima causa di morte nel mondo, particolarmente forte in Eu-ropa e America del nord, dove provocano 9 su 10 dei decessi per malattia. Queste malattie si manifestano in-teramente all’interno della persona (da qui il nome “non

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comunicabili”), le interazioni con gli altri sono poco ri-levanti e stereotipate, e il loro sviluppo è fortemente con-dizionato dal nostro stile di vita. Scarso movimento, se-dentarietà, tensioni psicologiche, consumo come metro di valutazione di sé, rapporti con gli altri chiusi in forme precostituite, assenza di spontaneità, eccessi di cibo, grassi, zuccheri, sostanze (alcol e droghe comprese), di-pendenza sempre più stretta da oggetti e processi tecno-logici. Tutte le NCD – dalle ipertensioni al diabete, dai tumori alle depressioni e ai disturbi psichici – presenta-no questo quadro.

Nel secondo capitolo mostro come, già nelle narra-zioni dell’inconscio collettivo, alcune di queste sfide si siano da sempre proposte all’uomo durante il suo svi-luppo, impegnandolo a riconoscere e rispettare l’altro, la propria creatività personale, l’esistenza di realtà che lo trascendono, al di là del suo ego, e le necessità pro-poste dalla vita e dalle circostanze. L’insieme di queste prove ha sempre segnato il passaggio dalla condizione infantile (con i suoi tipici tratti onnipotenti) a quella adulta. La cultura della tarda modernità occidentale sem-bra però avere rimosso questi passaggi formativi, pro-ponendo un modello di relazione da marketing basata sull’uso dell’altro (sia esso oggetto o persona) per il pro-prio interesse. Contemporaneamente si sono negate ne-cessità e fatica, ineludibili aspetti del limite umano, la-sciando intravedere l’imminenza di un “paese di Ben-godi” o di Cuccagna, dove ogni desiderio-bisogno sa-rebbe stato istantaneamente realizzato.

Nel terzo capitolo vedo questo fenomeno come lega-to alle patologie del desiderio dell’uomo moderno, sem-pre più frequentemente in difficoltà nel valutare la bel-

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lezza del qui ed ora, della semplicità e dell’incontro e catturato nella competizione col divino e con la natura.

Nel quarto e quinto capitolo presento come lo svilup-po tecnologico abbia impegnato sempre più l’uomo nel-la fabbricazione di oggetti e processi con funzioni simi-li a quelle da lui svolte, e quindi in grado di sostituirlo sempre più spesso. Fino alle sperimentazioni genetiche destinate a fabbricare esseri umani al di fuori della ri-produzione naturale.

Documento anche, però, come la fantasia di un pas-saggio ad una situazione postumana venga smentita da-gli stessi studi sugli effetti della tecnologia, mostrando-ne la permanente distanza dall’intelligenza e coscienza umana, e l’indebolimento prodotto dalla tecnologia stes-sa nelle funzionalità fisiche e psichiche di chi ne diven-ta dipendente.

Questo quadro è fortunatamente registrato anche dal-la coscienza e dall’inconscio collettivo, che ormai sem-pre più spesso denunciano, in modi diversi, il vicolo cie-co nel quale sembra essersi cacciato il modello di svi-luppo occidentale. Assai diverso, per questi aspetti, da quello di altre parti del mondo (che naturalmente pre-sentano altre e diverse criticità): anche questo è un aspet-to sovente dimenticato, in un’anacronistica visione eu-rocentrica.

Con la speranza che anche questo lavoro possa aiu-tarci a trovare la strada per guarire da questi aspetti pa-tologici delle nostre abbondanze (e persistenti povertà), vi auguro una buona lettura.

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SVILUPPO, RICCHEZZA, MALATTIE

Pina colada e coca colaNon ne posso più!

Ivano Fossati, Panama

Diventiamo, sembra, sempre più ricchi. Nel mondo, tra una crisi e l’altra, il reddito medio aumenta. Anche se lentamente (oggi lo si vede meglio di qualche anno fa), e malgrado le diseguaglianze (non solo economiche) aumentino ancora di più. Ancora più velocemente, però, aumentano le malattie che accompagnano le nuove ab-bondanze e gli usi che ne facciamo.

Questi disturbi, ormai molto più diffusi e mortali dell’Aids e di tutte le altre malattie infettive messe in-sieme, oggi cominciano a preoccupare i diversi Istituti Nazionali di Sanità e l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS, l’agenzia ONU per la salute).

Soprattutto preoccupano, e molto, i più attenti e sofi-sticati Think tank del mondo occidentale, quelli che han-no nei loro computer tutti i BIG DATA, gli andamenti di tutte le tendenze più significative dei vari campi, e sanno incrociarli per capire cosa sta succedendo. Sono loro che stanno mettendo a tema l’argomento e pubbli-cando i primi studi importanti sulla questione, pur con

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la discrezione richiesta dal carattere esplosivo della ma-teria.

Dai dati raccolti risulta infatti che il nostro tipo di crescita e gli “stili di vita” ad esso connessi, cui gradual-mente aderiscono parti ampie del pianeta, portino con sé una serie di malattie che si diffondono in forma epi-demica, anche se non per contagio diretto, mettendo a rischio l’equilibrio sanitario, psicologico e, in prospet-tiva, anche economico e sociale del pianeta.

Ricchezza: istruzioni per l’uso

L’incremento del reddito e l’abbondanza di oggetti in cui spenderlo, modificando profondamente la vita umana, ha evidentemente aspetti positivi e piacevoli, ma se non viene accompagnato da precise istruzioni per l’u-so può distruggere la salute sia fisica sia psichica.

Con un paragone oggi ab/usato per tutto (e non a ca-so proveniente dal magico mondo del superlusso), le nuove abbondanze possono diventare «come mettere una Ferrari nelle mani di un bambino». Prima di poterne dav-vero godere, senza farsi del male, occorre magari cre-scere ancora un po’, che ti spieghino bene come si usa, e che ti insegnino soprattutto a stare molto attento agli altri, a se stessi e alla potenza dei suoi meccanismi.

Quando ci sono più soldi in tasca e più oggetti a di-sposizione, insomma, diventa necessaria un’attenta edu-cazione, privata e pubblica, che sviluppi l’attenzione ver-so cose di cui prima non c’era né la necessità né la pos-sibilità di occuparsi. Innanzitutto cosa comprare, a co-minciare dalle cose più elementari, come il cibo, e dalle

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loro conseguenze più profonde sulla salute. Il contadino non aveva bisogno di pensarci: le produceva lui. L’oc-cidentale benestante affida il suo corpo a pubblicità, di-stribuzione e sentito dire.

Poi si deve pensare, “scegliere” cosa fare del corpo: stare fermo o muoversi, e come, dove, con chi; quale sessualità avere, se assumere sostanze, e quali. Opzioni relativamente nuove (molte forse inutili e spesso dan-nose). Possibilità che si schiudono quando, dal più au-stero mondo della necessità, si entra nel magico mondo dell’abbondanza.

È allora che diventano indispensabili precise “istru-zioni per l’uso” delle disponibilità che si hanno. Istru-zioni che erano poi quelle fornite dall’educazione: con-tadina, operaia, borghese, ognuna con proprie forti tra-dizioni e sviluppi, diverse fra loro perché diversi erano gli ambienti, anche fisici, e le disponibilità.

Tutte queste forme educative furono poi comunque sbaragliate nel ’900 dall’apparente egualitarismo della società industriale e dal suo sostanziale interesse ad omologare gli individui per controllarli meglio. È così che nacquero i totalitarismi di ieri e di oggi1.

Quando però il sistema tecnoeconomico comincia a macinare i suoi profitti, i suoi capitali e i suoi prodotti, e le “istruzioni per l’uso”, le forme educative che inse-gnino cosa farne mancano, perché così si vende di più, più facilmente, e di tutto, gli individui si ammalano (poi, certo, anche i sistemi più miopi si accorgono che una

1 Sul rapporto tra distruzione delle culture di classe e nascita dei totalita-rismi, vedi E. Lederer, Lo Stato delle masse. La minaccia della società senza classi, Bruno Mondadori, Milano 2007; H. Arendt, Le origini del totalitari-smo, Einaudi, Torino 2009.

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popolazione infiacchita e ammalata costa, ed è poco competitiva, e cominciano a pensarci).

A cosa serve la necessità

Le persone si ammalano perché, nell’ansia di soddi-sfare la pulsione dell’istante, valore dominante nella so-cietà occidentale di massa, viene messo da parte il gran-de, indispensabile regolatore degli istinti, degli appetiti, delle pulsioni dell’uomo. Freud, il fondatore della psi-coanalisi, l’ha chiamato (nel secolo scorso): principio di realtà, quello che corregge e modera le spinte irrefrena-bili del principio del piacere. Cui l’uomo, senza “istru-zioni per l’uso” (educazione), cede volentieri (e vedremo come mai), rischiando di distruggersi.

Nella lunga durata però (più significativa delle “de-finizioni azzeccate” di breve periodo), nei secoli e mil-lenni precedenti al ’900 e alla psicoanalisi, a partire dall’età classica, questo grande regolatore era stato chia-mato necessità: necessitas dai latini, anánkē dai greci, e con concetti equivalenti nelle civiltà extraeuropee.

Leonardo da Vinci nei suoi scritti scientifici parla della necessità come “misura e maestra” della vita umana. È lei, la dea greca del limite, Ananke, che i frammenti orfici dicono nata dall’unione tra la terra e l’acqua, quella che rischiamo di dimenticare più facil-mente con l’aumento del benessere. Quando la neces-sità viene dimenticata compare il suo contrario: l’eso-nero, più o meno forte e pronunciato, dalla fatica fisi-ca. Che non viene più vista come un aspetto fisiologi-co della vita umana, indispensabile per lo sviluppo

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della personalità, ma come una tremenda maledizione. Salvo poi a riscoprirne l’insostituibile funzione, ad esempio sotto forma di costosi consumi di fitness, pe-raltro pressoché indispensabile alla sopravvivenza in vite trascorse dietro alla scrivania (a meno di impe-gnarsi in almeno altrettanto impegnative e faticose at-tività sportive).

L’emergenza di oggi si chiama dunque NCD (Non-Communicable Disease). Sono chiamate malattie non comunicabili perché appunto non si trasmettono da una persona all’altra. È un tema di cui finora non si è parla-to molto, spiegandolo ancora meno, perché tocca enormi interessi (per esempio, quelli delle maggiori multinazio-nali alimentari, di molte aziende farmaceutiche, ma in realtà di tutto il sistema del consumo). Ma non se ne po-trà tacere ancora a lungo.

Le malattie non comunicabili

Delle malattie non comunicabili si comincia infatti a parlare, sia pure in ambiti parecchio selezionati. La task force (gruppo di intervento) di uno dei più auto-revoli Think tank del mondo, l’americano Council of Foreign Relations, ha scritto in suo recente rapporto: «Sempre più persone si ammaleranno, soffriranno più a lungo, avranno bisogno di maggiore assistenza me-dica, e moriranno ancora giovani. Date le dimensioni di queste tendenze, le conseguenze sono destinate a vasta eco».

La questione è resa ancora più drammatica dall’in-sorgenza in età sempre più precoce di queste malattie. I

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bambini ovunque nel mondo manifestano sempre più spesso le malattie croniche degli adulti2.

La sfida è particolarmente forte nei Paesi in via di sviluppo, dove le risorse destinate alle cure sono ancora scarse e dove le “istruzioni per l’uso” delle nuove dispo-nibilità sono particolarmente carenti. Ci si allontana vo-lentieri dalle antiche povertà, ma le pressioni delle mul-tinazionali dei consumi “spazzatura” non aiutano certo a trovare nuovi equilibri.

Le grandi correnti di migrazioni internazionali ren-dono ancora più attuale la questione in ogni Paese, dove l’insieme delle malattie non trasmissibili è comunque la prima causa di morte, con una prevalenza di circa il 70% a livello globale.

Le malattie «che non si possono comunicare» (così le chiama l’Organizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite) comprendono i disturbi cardiovascolari, i tumori, il diabete, le malattie polmonari croniche, com-presa l’asma, e molte altre. Caratteristiche comuni sono la sedentarietà, la bassa attività del sistema di ricambio, la tendenza alla sclerosi. Tra le malattie croniche non trasmissibili delle società ricche o in via di avanzato svi-luppo vanno ricordate le malattie degenerative (Dege-nerative disorders). Tra essi i morbi di Alzheimer3 e di Parkinson, che colpiscono più di 45 milioni di persone

2 Sulla situazione italiana: M. Sorbi, Il boom dei piccini con i problemi degli adulti. Hanno patologie croniche già in tenera età, dal colesterolo all’i-pertensione. In Italia il doppio dei ricoveri rispetto agli Usa, Il Giornale, 2.11.2015.

3 Le ricerche che hanno provato a collegare l’Alzheimer a fattori infetti-vi non sono fino ad oggi arrivate a provarli. Cfr. A. Abbott, Autopsies Reveal Signs of Alzheimer’s in Growth-Hormone Patients, Nature, 9 september 2015; G. Remuzzi, Corriere della Sera, 10 settembre 2015, p. 31.

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nel mondo, ma il cui numero complessivo è in rapidis-sima ascesa.

A differenza della maggior parte delle malattie infetti-ve, che si manifestano rapidamente (tranne Aids, malattie parassitarie, malaria e tubercolosi), le NCD rimangono croniche per anni o decenni, danneggiando intanto grave-mente l’organismo. Esse si impadroniscono della persona poco per volta, a partire dai semplici aspetti della vita quotidiana: ciò che mangia, quanto rimane ferma invece di muoversi, quanta fatica fisica preferisce non fare, quan-te porcherie inala nei polmoni, e tante altre cose.

Come ammettono gli studi che se ne occupano, per queste malattie non ci sono rimedi farmacologici: la bat-taglia si combatte sul piano della prevenzione e degli stili di vita. Oggi provocano la morte molto più frequen-temente di tutte le malattie infettive (anche più gravi e diffuse) messe insieme.

Per questi disturbi muoiono oggi nel mondo circa 60 milioni di persone l’anno, il 70% dei decessi per malat-tia. Ma la loro percentuale sta fortemente aumentando anche tra i più giovani. La questione si configura come una grande sfida per il futuro del pianeta e le sue istitu-zioni sanitarie. Vaccini, antibiotici o altri farmaci qui non funzionano.

Per ridurre lo sviluppo delle NCD, o almeno rallentar-ne la diffusione, sarebbe necessario cambiare strada. Va-le a dire modificare gli stili (e quindi gli obiettivi) di vita che le provocano. Occorre inoltre ridurre il livello di in-quinamento complessivo, compreso quello del cibo4. Di

4 The Emerging Global Health Crisis: Noncommunicable Diseases in Low- and Middle-Income Countries, Council on Foreign Relations, dec. 2014.

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questo, però, si è finora preferito non parlare. Perché occorrerebbe modificare l’intero modello di sviluppo fin qui seguito. Mettere in discussione i valori, o l’assenza di valori, che lo hanno fino adesso ispirato.

Lo sviluppo che ammala

Che le malattie non trasmissibili abbiano a che fare con il modello di sviluppo attuale, nato in Occidente, ce lo conferma l’osservazione che l’esplosione delle NCD è particolarmente drammatica proprio nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta infatti di malattie che si manifestano imperiosamente quando migliorano i livelli di vita, ma non la sua qualità. Come l’osservazione etnologica ave-va già visto nell’ultimo secolo coi popoli tradizionali, prima mai entrati in contatto coi Paesi industrializzati: è quando cominciano a commerciare coi Paesi ricchi e ne assorbono i consumi, che le malattie non comunica-bili si impennano e diventano rapidamente le prime cau-se di morte.

Popoli con scarsa o nulla circolazione di denaro, che vivono di agricoltura o di pesca, quando ottengono de-naro in cambio di lavoro o risorse della terra, comincia-no ad esempio a fare grande uso di sale, che prima ave-vano in scarsissime quantità, e di grassi, ammalandosi in fretta di ipertensione, malattie cardiache e diabete che spesso non conoscevano neppure. Il fumo di tabacco e l’inquinamento delle grandi megalopoli africane, asiati-che o del centro-sud americano (dove le persone si re-cano per vivere abbandonando le campagne) moltipli-cano a tassi altissimi i tumori al polmone e altre forme

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di cancro. La maggiore sedentarietà, il cibo industriale di bassa qualità dei fast food e delle grandi catene ali-mentari fanno il resto.

«Quando cominciai a lavorare tra i guineani, nel 1964, mi sorprendevano per la loro forma fisica: tutti asciutti, muscolosi ed estremamente attivi. Mai un obe-so, o anche semplicemente grasso. Al pronto soccorso della capitale non risultava nessun caso di coronopatia, e solo quattro di ipertensione» ma in persone non autoc-tone. Ma pochi anni dopo, con l’occidentalizzazione, si incontrano già guineani obesi o sovrappeso, e «uno dei maggiori tassi di prevalenza mondiale del diabete (ben il 37%) è proprio fra i wanigela, la prima popolazione della Guinea ad avere subito un processo di occidenta-lizzazione». E nelle zone urbane colpisce l’infarto5.

Con le grandi migrazioni internazionali in atto poi, questo stesso processo si riproduce all’interno dei Paesi più industrializzati e nelle loro grandi megalopoli indu-striali e di raccolta della mano d’opera, dove si riversa-no i migranti. I servizi sanitari di queste città, già in dif-ficoltà ad affrontare le esigenze delle NCD nella popo-lazione locale, rischiano di essere del tutto impari di fronte alla sfida.

Anche perché non si tratta solo di un’emergenza sa-nitaria, ma culturale. Come ogni intervento di preven-zione essa soprattutto richiede il mutamento del model-lo di cultura e di sviluppo, anche spirituale, e coinvolge i valori e i principi che quei modelli ispirano.

Il World Economic Forum prevede che lo sviluppo

5 J. Diamond, Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali?, Einaudi, Torino 2013.

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epidemico delle NCD produrrà nei prossimi vent’anni, per i soli Paesi in via di sviluppo (oltre alla perdita di vite umane) una perdita economica di oltre 21.3 trilioni di dollari: un costo equivalente al prodotto lordo globa-le realizzato da tutti questi Paesi assieme nel 20136. Una fetta importante dell’intera ricchezza del mondo.

Patologie psichiatriche e affluenza economica

Nell’impennata delle malattie non trasmissibili ha una grande rilevanza anche la maggior presenza dei di-sturbi psichiatrici, per i quali ogni anno muoiono nel mondo 8 milioni di persone, ma molte di più si trovano in condizioni di grande sofferenza.

Oggi, una persona su due ha nel corso della vita un episodio psichiatrico.

Negli USA, ancora oggi il pesce pilota delle tenden-ze del mondo occidentale in ogni campo, malattie com-prese, nel 2014 uno ogni 5 adulti ha avuto un episodio psichiatrico già nell’anno precedente (2013)7. Sempre negli USA, le persone psichicamente sofferenti assistite dalle assicurazioni governative per disabilità psichica sono aumentate due volte e mezza in vent’anni, e la per-centuale continua a crescere8. Eppure anche il reddito

6 The Emerging Global Health Crisis: Noncommunicable Diseases in Low- and Middle-Income Countries, cit.

7 Nearly One in Five Adult Americans Experienced Mental Illness in 2013. Press release, U.S. government’s Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA), 20 november 2014.

8 M. Angell, The Epidemic of Mental Illness: Why?, The New York Re-view of Books, 23 june 2011.

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