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i Supplementi di Elementi di analisi e osservazione del sistema salute Sanità nel territorio. Studi ed esperienze di distretto nelle Regioni

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nelle Regioni

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Supplemento al n. 13 di Monitor

Elementi di analisi

e osservazione

del sistema salute

Bimestrale dell’Agenzia

per i servizi sanitari regionali

Anno IV Numero 13 - 2005

Direttore

Laura Pellegrini

Direttore responsabile

Maria Chiara Micali Baratelli

Comitato scientifico

Giovanna Baraldi, Lucio Capurso,

Giovanni Costa, Franco

Cuccurullo, Francesco Di Stanislao,

Gian Franco Gensini, Renato

Guarini, Rocco Mangia, Maurizio

Mauri, Ubaldo Montaguti, Filippo

Palumbo, Bruno Rusticali, Erasmo

Santesso, Irinus Serafin, Federico

Spandonaro,Alberto Spanò

EditoreASSRAgenzia per i Servizi Sanitari RegionaliVia Puglie, 23 - 00187 ROMATel. 06.427491www.assr.it

Coordinamento editoriale e redazionale

IEPITALPROMO ESIS PUBLISHINGVia V. Carpaccio, 1800147 RomaTel. 06.6465031 Fax 06.64650328www.ie-p.it

Stampa

AgenziaD, Roma

Union Printing Srl,Viterbo

Registrazione

presso il Tribunale di Roma

n. 560 del 15.10.2002

Finito di stampare

nel mese di luglio 2005

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PRESENTAZIONE 5di Laura Pellegrini

Il Gruppo di ricerca sui distretti 12

ESPERIENZE GENERALI DI DISTRETTO

Regione Calabria - Definizione del distretto sotto il profilo organizzativo 14a cura di Federico Montesanti

Regione Lombardia - Il governo della domanda:quali informazioni per quali bisogni 24a cura di Mauro Agnello, Cristiano Marchetti

Provincia Autonoma di Trento - I distretti sanitari in Trentino 33a cura di Arrigo Andrenacci, Luciano Pontalti

Regione Calabria - Il distretto in Calabria 49a cura di Maria Gabriella Rizzo

Regione Marche - Leggere il distretto nella Regione Marche 58a cura di Fausto Mannucci, Maria Rita Paolini, Patrizia Balzani

ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA E ASSISTENZA DOMICILIARE

Regione Toscana - Le Società della Salute 64a cura di Cosetta Simonti

Regione Emilia Romagna - I Piani Sociali sperimentali di zona (2002-2004) e l’integrazione socio-sanitaria 72a cura di Anna Rosetti, Clara Curcetti, Graziano Giorgi

Regione Lombardia- Il welfare di fine triennio: buoni e voucher 78a cura di Carla Dotti

Regione Friuli Venezia Giulia - Il percorso del paziente nei 18 Distretti del FVG 84a cura di Paolo Da Col, Gianfranco Napolitano

Regione Siciliana - La nuova programmazione dell’assistenza domiciliare in Sicilia 93a cura di Saverio Ciriminna

Regione Veneto - Valutazione multidimensionale della personain condizioni di fragilità: il modello Veneto 101a cura di Pier Paolo Benetollo, Patrizia Mella, Mauro Saugo

Regione Piemonte - Il nuovo modello organizzativo per le cure domiciliari 112a cura di Franca Lovaldi, Maurizio Salvini, Cinzia Mengani

Sommario

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SANITÀ NEL TERRITORIOSTUDI ED ESPERIENZE DI DISTRETTO NELLE REGIONI

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ESPERIENZE DI ASSISTENZA PRIMARIA

Le Unità Territoriali di Assistenza Primaria (UTAP) 124a cura di Luigi Covolo

Il nuovo contratto dei medici di medicina generale in Inghilterra 128a cura di Alfred Koenig, Beate Auer

Il sistema sanitario inglese: raccordo tra medicina generale e specialistica 131a cura della sezione Organizzazione dei Servizi Sanitari - ASSR

Regione Umbria - Clinical governance ed equipe territoriali in Umbria 138a cura di Carlo Romagnoli, Paola Bellini

Regione Emilia Romagna - Dipartimenti delle cure primarie e le cure domiciliari 145a cura di Clara Curcetti, Maria Rolfini, Maria Lazzarato

Regione Toscana - Le unità di cure primarie in Toscana 151a cura di Cosetta Simonti

Regione Molise - Il progetto Arianna 160a cura di Sergio Florio,Alfredo Quaranta, Gianfranca Testa

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Presentazione

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Nella fase attuale il baricentro delnostro sistema sanitario si va spo-stando sempre più dall’ospedale alterritorio, per offrire una risposta

adeguata a un bisogno di salute in fase di pro-fonda trasformazione. Il quadro epidemiologicosta, infatti, cambiando in modo decisivo, dato ilcrescente aumento delle patologie cronico-sta-bilizzate, di quelle cronico-degenerative (soprat-tutto legate all’invecchiamento della popolazio-ne) e delle patologie di origine sociale dovuteall’aumento delle differenze sociali (immigra-zione, barriere culturali per l’ingresso nel mer-cato del lavoro).È evidente che questo tipo di patologie non puòtrovare una risposta esaustiva nei tradizionali cen-tri sanitari (ospedali e servizi ad alta specializza-zione) ma richiede la costruzione di una rete diservizi socio-sanitari che si prenda carico com-plessivamente dei problemi. È inoltre ben chiaroche le cure secondarie non possono da sole ga-rantire la tutela della salute e che valorizzare l’as-sistenza primaria consente di conciliare esigenzedi equità ed efficacia con un regime di risorse li-mitate; un problema comune ad ogni Paese adelevato sviluppo.La centralità del territorio è dimostrata dai datisul monitoraggio dei livelli essenziali di assisten-za sanitaria, che sono stati periodicamente pre-sentati sulla rivista dell’ASSR Monitor, e che di-mostrano come lentamente, ma costantemente,le risorse si stanno spostando dall’ospedale al ter-ritorio e alla prevenzione.Tuttavia, resta ancoramolto da fare per dare al “sistema territoriale” unassetto preciso e per fare in modo che esso rap-

presenti un reale riferimento per il cittadino.In Italia, il dibattito sul concetto di distretto puòvantare una ricca letteratura che risale a primadell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale,alla Conferenza di Alma-Ata (Urss), organizzatadall’Organizzazione Mondiale della Sanità, svol-tasi nel settembre 1978.In quella sede si affermavano alcuni importantiprincipi: “L’assistenza sanitaria primaria è la chiavedi volta per il raggiungimento dell’obiettivo di dare atutti i popoli del mondo un adeguato livello di salu-te…”, ribadendo altresì che essa rappresenta il pri-mo livello di contatto degli individui, della fami-glia e della comunità con il sistema sanitario inun quadro di effettiva partecipazione.Ricollegandosi a questi principi, il ServizioSanitario Nazionale, che nasceva con la leggen. 833/78, già intravedeva la necessità, da un la-to, di garantire l’unitarietà della gestione e delgoverno dei servizi sanitari nell’Unità SanitariaLocale, dall’altro di portare i servizi il più vicinopossibile al luogo di vita delle persone, con unamedicina primaria diffusa sul territorio e orga-nizzata in modo da essere legata alla comunitàlocale. Da qui comincia il lungo percorso di evo-luzione del concetto di distretto, che parte da po-che righe della legge 833/78, all’art. 10 (“Sullabase dei criteri stabiliti con legge regionale, i Comuni,singoli o associati, o le Comunità montane articolanole unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, qua-li strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei ser-vizi di primo livello e di pronto intervento….”) e hafatto nascere un grande dibattito sulla funzione,sul modello organizzativo del distretto e sul re-lativo livello di autonomia, sulla necessità di pre-

PRESENTAZIONE

di Laura PellegriniDirettore ASSR – Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali

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vedere un coordinatore o piuttosto un responsa-bile del distretto e la formazione specifica che lostesso doveva avere.Malgrado questo interesse, nel primo decenniodi vita del Servizio Sanitario Nazionale, ben po-che Regioni hanno realizzato il processo di di-strettualizzazione delle Unità Sanitarie Locali e,laddove è stato effettuato, il distretto ha svolto li-mitate funzioni di sportello per l’utenza per al-cuni servizi di base, talora garantendo la presen-za di un infermiere, un assistente sociale e di al-cune figure specialistiche in determinati orari. Lafunzione del distretto diviene ben più ampia conla riforma del Servizio Sanitario Nazionale ope-rata negli anni ’90, che risulta fortemente im-prontata dalla ricerca di strumenti di maggiore ef-ficienza e di razionalizzazione della spesa. Il de-creto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 tra-sforma le Unità Sanitarie Locali in aziende, sepa-ra il momento politico da quello tecnico, esclu-dendo così gli enti locali dalla gestione dei servi-zi sanitari. Le Aziende “Unità Sanitarie Locali”assumono, inoltre, un’ampia dimensione, doven-do – di norma – assumere carattere provinciale epassano rapidamente dalle 659 USL del 1990 al-le 228 Aziende USL del 1995 (il processo è con-tinuato nel tempo:nel 1999 si avevano 197 Azien-de USL, nel 2003 184, oggi sono 180). Benchéanche questa riforma dedichi al distretto pocheindicazioni (l’art. 3, comma 5, del Dlgs 502/92,come modificato dal Dlgs 517/93, si limita a pre-vedere laconicamente: “spetta alla Regione discipli-nare le modalità organizzative e di funzionamento del-le aziende USL definendo, tra l’altro, l’articolazionedelle USL in distretti”), è chiaro che la complessi-tà della nascente azienda USL richiede di sposta-re ad altri livelli ben di più che la gestione di al-cuni servizi. Diviene necessario creare un’artico-lazione sul territorio capace di governare una re-te di servizi e una serie di percorsi di cura da ge-stire al di fuori dell’ospedale, capace di guidare eorientare il cittadino nella complessità dei servi-zi e, non ultimo, di ricomporre la separazione tragli elementi sanitari, già tra loro molto separati, e

quelli socio-assistenziali (importanti indicazioni,in questo senso, sono contenute nel Piano sani-tario nazionale 1994-1996).Nascono, dopo questa riforma, esperienze signi-ficative di distretto in diverse Regioni, contrasse-gnate tuttavia da grande eterogeneità nelle fun-zioni e nei modelli organizzativi adottati, ma so-prattutto da una difficoltà di riconoscimento diruolo e risorse rispetto all’ospedale, la cui centra-lità risultava di fatto incontrastata. È solo in epo-ca recente che si operano decisivi passi per unnuovo equilibrio tra ospedale e territorio, indi-spensabili sia per prevenire e per dare risposta acrescenti bisogni complessi di salute, spesso di ti-po socio-sanitario, sia per conciliare le esigenzedi equità e di solidarietà con un quadro di risor-se limitate, che rendono necessario un sistema sa-nitario che valorizzi e riorganizzi la medicina delterritorio e prima di tutto l’assistenza primaria.Così, il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ope-ra un sostanziale passaggio: prevede che al terri-torio vadano dedicate più risorse di quelle previ-ste per l’ospedale e, per rafforzare l’unitarietà de-gli interventi sul territorio, per la prima volta ri-compone tutte le attività territoriali in un unicoLivello Essenziale di Assistenza (LEA distrettua-le), superando la logica del PSR 1994-96 che in-vece prevedeva tre livelli: assistenza sanitaria di ba-se; specialistica semiresidenziale e territoriale; re-sidenziale per non autosufficienti e lungodegen-ti stabilizzati.In coerenza con queste indicazioni, il decreto le-gislativo n. 229/99 si sofferma a lungo sul distretto,fornendo il primo quadro organico di riferimentolegislativo, con una serie di norme (art. 3-quater,art. 3-quinquies e art. 3-sexies) che indicano lefunzioni, il ruolo all’interno dell’azienda USL, ilmodo di operare attraverso la programmazionedei servizi in modo concertato con i Comuni diriferimento (riuniti nel Comitato dei sindaci didistretto) e anche la presenza e le funzioni del Di-rettore di distretto.Un quadro abbastanza dettagliato, nel quale tro-vano un riconoscimento diverse esperienze loca-

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li e regionali effettuate nel decennio precedentee che sicuramente mira a rilanciare la funzionedel distretto, ma che risulta – secondo alcuni –troppo invasivo dell’autonomia delle Regioni edelle stesse aziende sanitarie di delineare i proprimodelli organizzativi interni. Per rispondere aqueste critiche, l’art. 3-sexies chiarisce che si trat-ta di una disciplina non obbligatoria in tutti gliaspetti di dettaglio, ma solo nei principi fonda-mentali. La stessa norma dispone che la norma-tiva ha valore residuale, ossia “ove la Regione nondisponga diversamente, valgono le disposizioni nazio-nali”, a ulteriore testimonianza della necessità diattuare i distretti, rilevata dal legislatore come fon-damentale. Il distretto, in questo disegno, è il si-stema al quale è demandata la responsabilità digovernare la domanda (svolgere un ruolo di tu-tela/committenza; valutare quali servizi per qua-li bisogni) e di garantire l’assistenza primaria, ivicompresa la continuità assistenziale (ruolo di pro-duzione).Nell’attuazione rimangono, tuttavia, comprensi-bili difficoltà, sia intrinseche alla stessa comples-sità di coordinare e integrare professionisti diver-si e attività specifiche e complesse, iniziando dalmedico di medicina generale; sia legate agli stes-si modelli organizzativi che si sono stratificati neltempo sul territorio e che rendono difficile il co-ordinamento e il governo affidato al distretto (co-me i dipartimenti di salute mentale o i SERT).Inoltre, occorre che vi sia una evoluzione del si-stema negli aspetti socio-sanitari, per risponderead un bisogno le cui dimensioni sono senza pre-cedenti.La fase attuale è contrassegnata da un maggiorriconoscimento dell’autonomia regionale e lo-cale, che avviene al livello più alto del nostro or-dinamento, con la riforma del Titolo V della Co-stituzione ad opera della legge costituzionale n.3 del 2001. In quest’ambito la definizione e lescelte sul distretto, come ogni altro aspetto del-l’organizzazione dei servizi sanitari, spettano alleRegioni e l’attenzione si sposta su come garanti-re ai cittadini, dovunque essi si trovino, le presta-

zioni sanitarie e socio-sanitarie territoriali rien-tranti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).Le scelte successive confermano l’importanza delpotenziamento dell’assistenza territoriale. CosìStato e Regioni concordano su nuovi parametritendenziali di riferimento per l’assegnazione del-le risorse del SSN nel triennio 2002-2004, cheprivilegiano un nuovo equilibrio ospedale – ter-ritorio (49,5% Assistenza distrettuale; 45,5% As-sistenza ospedaliera; 5% Prevenzione).Inoltre, il DPCM 29 novembre 2001 si apre conuna “sottoarticolazione” del Livello di “Assisten-za distrettuale” decisamente interessante, in quan-to vi sono inserite tutte le attività che si svolgo-no sul territorio e si mira a distinguere chiara-mente le tipologie di assistenza domiciliare e diassistenza semiresidenziale e residenziale, che pre-sentano diversi modelli sul territorio.Ancora, l’al-legato 1 C fornisce nuove indicazioni sull’incer-ta area dell’assistenza socio-sanitaria individuan-do, per le tipologie di prestazioni nelle quali lacomponente sanitaria non è distinguibile da quel-la sociale, la percentuale di costo che non è attri-buibile al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) eche rimane, pertanto, a carico dell’utente o delComune. Un chiarimento difficile, che pone conurgenza la necessità di individuare specifiche ri-sorse a favore degli Enti locali per rispondere albisogno dei soggetti più fragili.Ancora, il Piano sanitario nazionale 2003-2005indica la necessità di superare definitivamente lacentralità ospedaliera e innovare il sistema di tu-tela della salute sul territorio partendo dal suo nu-cleo fondamentale, il medico di medicina genera-le.Gli obiettivi sono ambiziosi e riguardano la rea-lizzazione di una “rete integrata di servizi sanita-ri e sociali per l’assistenza ai malati cronici, agli an-ziani e ai disabili”, nonché la “promozione del ter-ritorio quale primaria sede di assistenza e di go-verno dei percorsi sanitari e socio-sanitari”.Il Piano richiede, pertanto, di innovare il sistemadistrettuale, partendo dal cittadino. Si rileva la ne-cessità di governare i percorsi di cura del cittadi-no tra i diversi “nodi” della rete, di potenziare e

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diversificare l’offerta in relazione al bisogno.Per sostenere queste scelte, il ministero della Sa-lute, in accordo con le Regioni, inserisce le “cu-re primarie” tra i 5 obiettivi prioritari del PSN2003-05, sostenuti da appositi finanziamenti (aisensi dell’art. 1, comma 34, della legge n. 662/96),cui le Regioni accedono previa presentazione dispecifici progetti. L’accordo 27 luglio 2004, nelfornire indicazioni per la formulazione dei pro-getti da parte delle Regioni, allega un documen-to tecnico con indicazioni orientative sulla defi-nizione delle Unità territoriali di assistenza pri-maria (UTAP). Il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 chiede al sistema la capacità di innovarsi, apartire dalla primary care, termine tradotto come“cure primarie”, ma che mira a cogliere tutta laricchezza del concetto nel mondo anglosassone,che comprende l’integrazione socio-sanitaria e lediverse tipologie di assistenza, da quella domici-liare a quella semiresidenziale e residenziale, e neldelineare le forme più evolute dell’associazioni-smo della medicina generale, dalle équipe terri-toriali ai nuclei o unità di cure primarie fino al-le UTAP, ispirandosi chiaramente al modello delprimary care trust.

IL GRUPPO DI RICERCA SUI DISTRETTICome si è visto, il quadro di riferimento norma-tivo è molto articolato e anche la letteratura è ric-ca e spesso enfatica sul sistema distrettuale, ma an-cora si è alla ricerca di strumenti operativi perspostare l’attenzione dall’ospedale e orientare ilsistema sul cittadino. L’Agenzia per i Servizi Sa-nitari Regionali ha avviato da anni un filone diricerca sullo sviluppo della rete dei servizi sanita-ri e socio-sanitari territoriali, con il duplice obiet-tivo di conoscere meglio le esperienze locali e re-gionali che si stanno moltiplicando in questo am-bito e di condividere, nel rispetto dell’autonomiaregionale sull’organizzazione dei servizi sanitari,principi e strumenti operativi che possano esse-re utili a risolvere i principali elementi critici diquesta complessa rete di servizi.In una prima fase l’ASSR ha curato una ricogni-

zione delle scelte programmatorie regionali suidistretti (anno 2002 – questionario, con relazio-ne finale trasmessa al Coordinamento delle Re-gioni); nell’anno 2003 ha proseguito il lavoro rac-cogliendo la documentazione regionale ed ela-borando un volume conclusivo su “I distretti nel-le Regioni – una prima ricognizione”, che evi-denzia quanti distretti sono presenti in Italia e for-nisce una sintetica descrizione, Regione per Re-gione, su alcuni aspetti quali le principali caratte-ristiche dei modelli socio-sanitari aziendali per-seguiti, le funzioni del distretto, gli sviluppi e lesperimentazioni. Il documento mostra come il di-stretto sia in fase di continua trasformazione e leRegioni siano alla ricerca degli strumenti opera-tivi ottimali per il suo reale funzionamento.Nel novembre 2003, previa intesa del Coordi-namento degli Assessori alla Sanità delle Regio-ni e delle Province Autonome, l’Agenzia ha av-viato una collaborazione con i referenti regio-nali sulla materia, costituendo un Gruppo di la-voro con l’obiettivo di approfondire e condivi-dere una maggiore conoscenza sullo stato di at-tivazione e sul reale funzionamento dei distret-ti nelle realtà locali e sulla capacità del distrettodi assumere la funzione di “tutela” della salutedella popolazione nel territorio di riferimentoe di garantire i livelli di assistenza distrettuali. Inquesti primi due anni di attività, il Gruppo ha,da un lato, elaborato un questionario per il mo-nitoraggio sulle modalità di funzionamento e or-ganizzazione dei distretti nelle aziende sanitarielocali, somministrato – tramite le Regioni – aiDirettori di distretto nei primi mesi dell’anno2005 (attualmente si stanno elaborando i dati).Dall’altro, ha seguito l’approfondimento delleesperienze regionali su alcuni aspetti considera-ti prioritari nella programmazione sanitaria na-zionale e regionale, anche per individuare pos-sibili soluzioni operative per il miglioramentodelle attività.In questo supplemento di Monitor si raccolgonoproprio gli elaborati tratti da studi o da esperien-ze presentate dai referenti regionali, che vengo-

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no suddivisi, per maggiore facilità di lettura, in trearee tematiche generali: esperienze generali di di-stretto, esperienze di integrazione socio-sanitariae di assistenza domiciliare, esperienze di assisten-za primaria.

ESPERIENZE GENERALI DI DISTRETTOIn quest’ambito si sviluppano una serie di tema-tiche di grande interesse, prendendo l’avvio dal-la “Definizione del distretto sotto il profilo orga-nizzativo”, che mira a distinguere le diverse con-figurazioni del distretto sotto l’aspetto organizza-tivo, funzionale e territoriale, per evitare la con-fusione concettuale – spesso presente – tra di-stretto come centro di governo e organizzazionedei servizi; come luogo di coordinamento e de-finizione di strategie; come insieme dei presidi, oluoghi fisici, di erogazione delle prestazioni sani-tarie e socio-sanitarie.È ben nota, inoltre, la necessità dello sviluppo diun sistema informativo sul territorio e su questotema si sviluppa un’interessante sperimentazionesul “Governo della domanda di prestazioni sani-tarie – l’esperienza della Regione Lombardia”,che mira ad integrare, intorno al paziente, le in-formazioni esistenti nelle diverse banche dati diinteresse sanitario. Si pone, così, al centro del si-stema il paziente, aumentando significativamen-te le opportunità di conoscere e governare la do-manda.Vi sono, poi, una serie di contributi sullosviluppo del sistema territoriale in diverse realtà:così l’elaborato sui “Distretti sanitari in Provinciadi Trento”prende spunto dalla peculiarità di un’A-zienda sanitaria unica, di livello provinciale, chegestisce l’insieme dei servizi sanitari ospedalieri eterritoriali e presenta sia un’analisi ragionata del-l’esperienza di distretto come struttura territo-riale per il governo della salute, sia un’interessan-te rassegna dei modelli e strumenti operativi mes-si in campo per la riforma e lo sviluppo strategi-co del distretto.Sullo stesso tema, si pone l’esperienza di “Evolu-zione del distretto in Calabria: verso un centro digoverno e di salute con i cittadini”, che analizza

aspetti forti e critici del modello di distretto adot-tato dal primo Piano Sanitario Regionale 1994-96 e illustra le prospettive di sviluppo delineatenel Piano regionale per la salute 2004-06.“Leggere il distretto nella Regione Marche” in-quadra le scelte sul territorio nell’ambito del pro-cesso di riorganizzazione del sistema sanitario av-viato con la L.R. 13 del 2003, che costituisceun’unica Azienda sanitaria di livello regionale(ASUR) e trasforma le precedenti 13 aziende Uslin Zone Territoriali.

ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA E DI ASSISTENZA DOMICILIAREIn questa sede si presentano esperienze fortementeinnovative, come quella delle “Società della salu-te della Regione Toscana” che crea, a titolo spe-rimentale, una nuova modalità di programmazio-ne unitaria dei servizi sanitari, socio-sanitari e so-cio-assistenziali del distretto tramite la costitu-zione di un consorzio tra l’azienda sanitaria, i Co-muni e gli organismi no-profit.A regime, comeprevisto dal Piano Sanitario Regionale 2005-07,la Società della salute comprenderà anche la ge-stione integrata dei servizi.Altrettanto interessante l’esperienza della Regio-ne Emilia Romagna sui Piani sperimentali di zo-na nel triennio 2002-2004, che mirano ad utiliz-zare questo strumento per creare progetti di sa-lute e di benessere condivisi in sede locale, chericompongano al loro interno la complessa retedei servizi sociali e di quelli sanitari e quindi rea-lizzino forme concrete di integrazione socio-sa-nitaria (con alcune scelte di fondo: distretti checoincidono con le zone sociali; partecipazione al-largata di diversi soggetti istituzionali e sociali condefinizione di un coordinamento politico e diuno tecnico; definizione degli accordi attuativi diprogramma annuali).Ancora, con un’impostazione originale e l’impe-gno di ampliare ulteriormente l’area della tuteladei soggetti fragili, si pone l’esperienza della Re-gione Lombardia sul welfare di fine triennio, che

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mira a valorizzare e sostenere la permanenza del-l’anziano non autosufficiente nel suo ambiente divita, mediante l’attribuzione di “assegni” econo-mici (buoni e voucher socio-sanitari) che posso-no essere utilizzati per l’acquisto, da parte di sog-getti accreditati pubblici e privati, di prestazionidi assistenza domiciliare socio-sanitaria svolte dacaregiver professionali.La Regione Friuli Venezia Giulia presenta il per-corso del paziente nelle cure intermedie nei 18distretti della Regione, con un preciso quadro dianalisi dei propri servizi sanitari distrettuali, chedelinea i punti di forza, i punti di debolezza e isuggerimenti/opportunità. Un lavoro che mettea disposizione elementi di riflessione, strumentied elementi di sviluppo di grande interesse per latutela dei soggetti fragili.La Regione Siciliana illustra alcune scelte di pro-grammazione recenti, volte alla costituzione del“Dipartimento per l’integrazione socio-sanitariae l’assistenza domiciliare: un nuovo modo per af-frontare l’integrazione socio-sanitaria”, fornendoun quadro ragionato degli strumenti che la Re-gione ha messo in campo per migliorare l’orga-nizzazione della sanità territoriale nelle ASL, perfar crescere con omogeneità l’assistenza domici-liare (che è distinta in relazione all’intensità delbisogno assistenziale) e per consentire alla perso-na di rimanere il più a lungo possibile nel suocontesto di vita. L’impegno della Regione Vene-to nella “Valutazione multidimensionale della per-sona in condizioni di fragilità” è ben noto; il con-tributo mira a spiegare il modello regionale, dalruolo dell’Unità di valutazione multidimensio-nale distrettuale (UVMD) come “porta unica diaccesso alla rete dei servizi”, alle modalità di va-lutazione multidimensionale e interdisciplinare,allo strumento utilizzato: la scheda SVAMA (que-st’ultima analizzata nella struttura e nei profili diautonomia identificati, tenendo conto della spe-rimentazione effettuata negli anni 1998-99).Non meno interessante la proposta di “Modelloorganizzativo per le cure domiciliari della Re-gione Piemonte”, che prende avvio dalle linee

guida del maggio 2002 e viene identificata qua-si secondo il modello dell’emergenza-urgenza,considerando la presenza di una centrale opera-tiva socio-sanitaria dove operano congiuntamenteoperatori sanitari e socio-assistenziali che valu-tano la richiesta, attribuiscono alla stessa i “codi-ci colore” sanitario e sociale in relazione ai biso-gni e all’intensità delle cure necessarie e attiva-no i percorsi di cura. Il contributo illustra, poi, ilprogramma SAO-ADI come strumento infor-matico per il calcolo del peso dei “casi di curedomiciliari”.

ESPERIENZE DI ASSISTENZA PRIMARIAAnche in questo ambito vengono presentate espe-rienze di grande rilievo.Aprono la raccolta alcu-ni contributi generali sulle prospettive di svilup-po dell’assistenza primaria, effettuati come pre-messa e stimolo alla riflessione del Gruppo di la-voro. Così la proposta di costituire “Unità terri-toriali di assistenza primaria”, che illustra le lineedi fondo di questo nuovo strumento come “pre-sidio integrato per le cure primarie, formato dall’asso-ciazione di più medici convenzionati del territorio cheoperino in una sede unica garantendo una maggiore tu-tela della popolazione, dalla continuità assistenziale 24ore al giorno e per 7 giorni su 7, fino a modelli di in-tegrazione tra medicina generale e specialistica e tra am-biti sanitari e ambiti sociali”. Una proposta che èstata recentemente assunta nell’Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2004 come “documentotecnico di tipo orientativo”, che le Regioni pos-sono utilizzare nel delineare i propri progetti diattuazione degli obiettivi prioritari del PSN2003-2005.Seguono due contributi sul sistema sanitario in-glese, le cui scelte di fondo riecheggiano nell’i-dea italiana di UTAP, ma anche in altre speri-mentazioni di forme associative evolute di medi-cina generale. Il primo elaborato presenta le scel-te di fondo del Nuovo Accordo dei Medici dimedicina generale del Regno Unito, con uno stu-dio effettuato dalla Provincia Autonoma di Bol-zano, evidenziando la possibilità di modulare at-

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tività e stipendio del General Practitioner (GP)in relazione all’entità dell’impegno che si assumenella tutela della popolazione.L’altro elaborato si sofferma sulle originali sceltedi raccordo tra la medicina generale e l’attivitàspecialistica in ambito territoriale, con uno stu-dio effettuato dall’ASSR che evidenzia i compi-ti del “General Practitioner with special interests(GPwSI)” e anche il fondamentale ruolo del Pri-mary Care Trust, che ha ampio margine di azio-ne per modulare il sistema di cure in relazione albisogno locale della popolazione.Le successive presentazioni si incentrano sullenuove forme di associazionismo della medicinagenerale, promosse dalle Regioni per una mag-giore integrazione della medicina generale nel di-stretto (che a differenza dell’UTAP non richie-dono obbligatoriamente la sede unica). In que-st’ambito si iscrive l’istituzione delle équipe ter-ritoriali nel sistema umbro come strumento digoverno clinico. Le équipe, che hanno un bacinodi popolazione di norma di 10.000-15.000 abi-tanti, sono attualmente distinte per ambiti di as-sistenza:medicina generale; pediatria di libera scel-ta; continuità assistenziale. L’elaborato presentastruttura, funzioni e prospettive di sviluppo delleéquipe che mirano a coinvolgere attivamente imedici del territorio nella programmazione e ne-gli obiettivi di tutela della salute del distretto.Con intenti simili, la Regione Emilia Romagnasceglie di istituire, all’interno di ogni distretto, il“Dipartimento delle cure primarie”, che rappre-senta la rete clinica del distretto e il cui mandatospecifico è di organizzare e gestire tutto il proces-

so di produzione dell’assistenza primaria alla po-polazione nel territorio di riferimento. Il Dipar-timento costituisce anche uno strumento di svi-luppo dell’assistenza domiciliare.L’elemento di ba-se del dipartimento è rappresentato dai Nuclei dicure primarie, che aggregano in aree territorialiomogenee di 10.000-30.000 abitanti i diversi pro-fessionisti del territorio.Anche la Regione Tosca-na si muove in quest’ambito, sperimentando le“Unità di cura primarie”, come nuovo modelloorganizzativo di erogazione dell’assistenza sanita-ria territoriale.L’elaborato presenta il modello del-la sperimentazione, che nasce da indicazioni re-gionali e da progetti presentati dalle singole azien-de sanitarie. Si sono così avviati 28 progetti, conun bacino di circa 450.000 utenti e che coinvol-gono circa 400 medici di assistenza primaria.La Regione Molise presenta un’interessante so-luzione evidence-based sul tema dell’appropria-tezza prescrittiva in medicina generale, denomi-nato “Progetto Arianna”, che consente al medi-co di medicina generale di disporre di informa-zioni precise su determinanti di spesa legandolialla patologia. L’elaborato presenta in modo det-tagliato la strategia del progetto, che si è svoltocon il coinvolgimento diretto dei medici di me-dicina generale, e i suoi risultati che impattano siasull’appropriatezza del percorso di cura del pa-ziente, sia sulla razionalizzazione della spesa far-maceutica.Concludendo, emerge da tutti gli elaborati rac-colti in questo volume un quadro molto ricco earticolato che consentirà sicuramente confrontitra le diverse esperienze regionali.

Presentazione

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SANITÀ NEL TERRITORIO - Studi ed esperienze di distretto nelle Regioni

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GRUPPO RICERCA DISTRETTI

Regioni e Province AutonomeAbruzzo Giuliano ROSSIBasilicata Giuseppe MONTAGANOBolzano Alfred KOENING

Beate AUERCalabria Rosanna MAIDA

Maria Gabriella RIZZOCampania Giuseppe FERRIGNOEmilia Romagna Clara CURCETTI Friuli Venezia Giulia Paolo DA COL

Gianfranco NAPOLITANOLazio Valentino MANTINI Liguria Giuseppe BASSO

Miranda GRANGIALombardia Mauro AGNELLOMarche Fausto MANNUCCI

Maria Rita PAOLINIMolise Gianfranca TESTAPiemonte Elisabetta SILETTO

Maurizio SALVINIFrancesco PEROTTO

Puglia Vincenzo POMOSardegna Francesca ATZEISicilia Saverio CIRIMINNAToscana Cosetta SIMONTI

Massimo FONDITrento Arrigo ANDRENACCI

Luciano PONTALTIUmbria Paola BELLINIValle d’Aosta Morena JUNODVeneto Patrizia MELLA

Coordinamento InterregionaleTeresa MAGLIONE

Ministero della SaluteFrancesco Paolo MARAGLINO

Maria Teresa LORETUCCITeresa DI FIANDRA

Agenzia per i Servizi Sanitari RegionaliMaria Donata BELLENTANI

Elisa GUGLIELMIPierpaolo PADOVANO

Sara CATANIAM. Rosaria PERRINI

N.B. L’elenco dei componenti del Gruppo di Ricerca sui Distretti è aggiornato al 31/12/2004

Composizione:

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ESPERIENZE GENERALIDI DISTRETTO

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di Abitualmente il distretto, fin dalla suaprima apparizione nel mondo del-l’organizzazione sanitaria nell’ambi-to della legge 405/1975 istitutiva dei

consultori familiari, viene individuato come luo-go di gestione e/o come struttura per l’erogazio-ne di prestazioni e servizi territoriali.Tali definizioni sono ambigue o non sembranosufficientemente precise ove si voglia compren-dere e affrontare il complesso percorso della ri-organizzazione dei servizi territoriali, in applica-zione delle indicazioni del DPCM 29 novembre2001 relative alla definizione dei Livelli Essenzialidi Assistenza (LEA), risultando poco comprensi-bili le interrelazioni fra aspetti funzionali e aspet-ti organizzativi relativi alla materia, atteso in par-ticolare che i LEA individuano funzioni assi-stenziali (l’assistenza) e che il distretto costituiscepunto di riferimento per la produzione e l’ero-gazione di determinate tipologie di servizi e pre-stazioni.Applicando, per affrontare tale problematica, iprincipi e criteri della organizzazione, si indivi-duano tre definizioni che pongono in evidenzauna triplice configurazione del distretto:a) articolazione organizzativa: raggruppamento

coordinato di processi e prodotti a specifica fi-nalizzazione;

b)articolazione funzionale: meccanismo/proces-so di coordinamento;

c) articolazione territoriale: area geografica.

Quale raggruppamento coordinato di processi eprodotti a specifica finalizzazione, il distretto in-dividua una organizzazione che, nell’ambito del-la ASL, indica il raggruppamento delle attività sa-nitarie, socio-sanitarie e tecnico-professionali,svolte dai MMG, dai PLS, dai servizi di continui-tà assistenziale e dalle strutture operative distret-tuali, diretto ad assicurare la gestione, la produ-zione e l’erogazione delle prestazioni previste dallivello di assistenza distrettuale.Quale meccanismo/processo di coordinamento,il distretto individua una modalità diretta a:�coordinare le attività, i servizi, le strutture ope-rative del distretto organizzate su base diparti-mentale con quelle dei dipartimenti e serviziaziendali, inclusi i presidi ospedalieri, dei servi-zi specialistici ambulatoriali, delle strutture sani-tarie e socio-sanitarie accreditate;

� inserire le predette attività, servizi e strutture nelprocesso di programmazione aziendale, locale eterritoriale;

� sviluppare e realizzare, in una logica di sistema,integrazioni di attività e servizi su base epide-miologica, fra assistenza sanitaria, servizi socio-assistenziali, tutela dell’ambiente.

Quale area geografica, il distretto indica un am-bito territoriale o luogo individuato per:�esercitare attività comprese nell’assistenza di-strettuale;

� localizzare le strutture operative di apparte-nenza;

Regione Calabria

DEFINIZIONE DEL DISTRETTO SOTTO IL PROFILO ORGANIZZATIVOa cura di Federico MontesantiEsperto in organizzazione e gestione dei servizi sanitari,già Direttore Generale Assessorato alla Sanità della Regione Calabria

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�collocare funzionalmente le articolazioni pro-duttive del DP e del DSM;

�erogare e gestire in modo integrato le presta-zioni sanitarie a rilevanza sociale e quelle socia-li a rilevanza sanitaria.

Tali definizioni, sulla base delle conoscenze e del-le esperienze acquisite in materia di distretti, pon-gono inevitabilmente alcuni interrogativi, neces-sari a comprendere le diversità e le interrelazionifra le diverse definizioni e altresì utilizzabili co-me guida per approfondire quei principi e crite-ri dell’organizzazione in base ai quali sono statesviluppate le suddette definizioni e la triplice con-figurazione.Quali sono, infatti, le attività che identificano iservizi di un distretto?Come si distinguono i servizi di un distretto ri-spetto ai servizi di altre organizzazioni che ope-rano nello stesso ambito o nella stessa strutturapur non appartenendo al distretto?A quale tipologia organizzativa appartengono (di-partimentalizzazione – divisionalizzazione – rete ecc.)?Come si identificano i servizi coordinati con ildistretto?Perché il distretto-raggruppamento di servizi sidistingue dal distretto meccanismo-processo dicoordinamento?Che rapporto esiste fra l’assistenza distrettuale de-finita dai Livelli Essenziali di Assistenza e l’orga-nizzazione distrettuale disciplinata dalle norma-tive statali e regionali?Che rapporto esiste fra offerta e produzione inmateria di assistenza distrettuale?Come il ruolo di committenza assunto dal di-stretto in alcune realtà regionali o la separazionefra committenza e produzione possono risolverei problemi di ambiguità del distretto?

RUOLO ED EFFETTI DEI PRINCIPI E CRITERI DELLA ORGANIZZAZIONEAPPLICATI AI LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZASi definisce organizzazione “una combinazionedi risorse (uomini, tecnologie, lavoro, ecc.) se-

condo processi di lavoro e assetti individuati perraggiungere obiettivi predefiniti”.Applicando tale definizione alla normativa in ma-teria di Livelli Essenziali di Assistenza, cioè alle ti-pologie assistenziali, alle prestazioni e ai serviziprevisti dal DPCM 2001 e alle disposizioni di cuiall’art. 1, comma 6, del Dlgs 229/1999, pare evi-dente che i livelli, da un lato, individuano fun-zioni assistenziali riconducibili ad “aree dell’of-ferta”, dall’altro individuano attività di produzio-ne e di erogazione di servizi e prestazioni, cosiidentificando due distinte organizzazioni:a) aree di offerta definite dai LEA;b) insieme delle attività di produzione ed eroga-

zione dei servizi e delle prestazioni definiti nel-l’offerta dei LEA.

Le aree di offerta definite dai LEA individuanoorganizzazioni delle tipologie assistenziali in cuisi articolano i Livelli Essenziali di Assistenza e,quale complesso delle aree di offerta o funzioniassistenziali costituito e organizzato dalle Regio-ni, indicano i modelli regionali o servizi sanitariregionali in cui si articola il Servizio SanitarioNazionale.Si realizza in tal modo la regionalizzazione deiservizi sanitari quale strumento strategico diret-to ad affrontare il nuovo rapporto bisogni/risor-se e le esigenze di cambiamento dell’organizza-zione sanitaria:� sul piano istituzionale;�ai fini del ridisegno dell’offerta assistenziale;�nella innovazione del modello organizzativo-ge-stionale dei servizi e delle prestazioni.

L’insieme delle produzioni ed erogazioni dei ser-vizi e delle prestazioni definiti nell’offerta deiLEA, organizzato secondo i principi e criteri del-l’organizzazione, determina l’aziendalizzazionedei servizi sanitari quale processo che individual’azienda come mezzo per riorganizzare l’orga-nizzazione produttiva in una logica strumentalerispetto al raggiungimento di finalità economi-che e di tutela e promozione della salute (mo-dalità per organizzare e non fine della organiz-zazione).

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Si realizza, in tal modo, in particolare nel colle-gamento fra organizzazione e sanità, l’azienda sa-nitaria, quale combinazione di persone e beni cheagisce secondo principi di razionalità clinica, or-ganizzativa e gestionale per la promozione, tute-la e recupero della salute della popolazione.Confrontando le aree di offerta definite dai LEAe l’organizzazione produttiva delle prestazioni edei servizi si evidenzia che:a) i livelli di assistenza individuano pluralità di me-

todologie assistenziali e di erogazione;b) l’organizzazione produttiva individua raggrup-

pamenti di processi produttivi secondo criteridi specializzazione delle metodologie e/o del-le modalità erogative;

c) l’organizzazione produttiva, secondo il rappor-to medico-paziente/assistito e in base alla omo-geneità dei processi produttivi e sistemi di ero-gazione, individua due raggruppamenti di pre-stazioni:

1. raggruppamento prestazioni di ricovero o del-le cure intensive;

2. raggruppamento prestazioni territoriali o del-le cure continuative comprendente:�prevenzione e promozione della salute;�cure primarie;�cure specialistiche ambulatoriali;�emergenza sanitaria;�domiciliari;� residenziali;� semiresidenziali.

Orbene, ove si tenga conto che i Livelli Essenzialidi Assistenza comprendono l’assistenza collettiva inambienti di vita e di lavoro, l’assistenza distrettualee l’assistenza ospedaliera, ciò significa che l’orga-nizzazione produttiva non coincide con l’articola-zione dei livelli di assistenza e che, pertanto, consi-derata l’equivalenza tra organizzazione produttivae azienda, l’organizzazione dei LEA quali aree diofferta non si può trasferire automaticamente nel-l’organizzazione aziendale perché non coerente coni principi e criteri dell’organizzazione.In altre parole, articolazione organizzativa del-l’offerta e articolazione organizzativa delle pro-

duzioni non coincidono.Del resto, che organizzazione e offerta non coin-cidano è evidente osservando le definizioni indi-cate dai principi e criteri dell’organizzazione:�offerta: quantità di servizi e/o beni a disposi-zione degli utenti ad un determinato prezzo, inun determinato momento;

�produzione: insieme di attività preposte alla tra-sformazione delle risorse in prodotti.

Inoltre si tenga conto che per offrire bisogna pro-durre. La mancata coincidenza tra offerta e pro-duzione in materia di sanità è di grande rilevan-za per inquadrare tutta la fase di riorganizzazio-ne e sviluppo dell’intero Servizio Sanitario Na-zionale, cominciata a decorrere dall’entrata in vi-gore della normativa del Dlgs 502/1992, con par-ticolare riguardo all’evoluzione delle metodolo-gie e degli strumenti di gestione, di organizza-zione e di amministrazione, al rapporto fra me-dicina ed economia, allo sviluppo delle profes-sionalità, ecc.Si pensi, ad esempio, alle esigenze di corretto po-sizionamento delle metodologie e degli strumen-ti di osservazione nell’ambito del c.d.Progetto Mat-toni del nuovo sistema informativo sanitario (NSIS),per sapere se ciò che si rileva o monitorizza è of-ferta o produzione (finanziamenti o costi? – assi-stenza/funzioni o prestazioni/prodotti? ecc.).Certamente, tale mancata coincidenza deter-mina:a) effetti tra i livelli di assistenza;b)effetti sulla composizione dei livelli;c) necessità di distinzione fra struttura fisica di pro-

duzione e funzione assistenziale;d)effetti sui rapporti fra ospedale e territorio;e) effetti sull’organizzazione del lavoro e sulla qua-

lificazione del personale.Per quanto concerne il livello di assistenza ospedalie-ra, si determinano in tal modo almeno due effetti:1. la coincidenza fra assistenza ospedaliera e pre-

stazioni di ricovero;2. la distinzione fra ospedale quale organizza-

zione produttiva (presidio) e assistenza ospe-daliera.

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Ciò significa che:� l’area di offerta dell’assistenza ospedaliera com-prende le prestazioni di ricovero e non quelleambulatoriali, in coerenza con la logica deiDRG;

� le prestazioni ambulatoriali transitano all’assi-stenza distrettuale, in coerenza con le esigenzedelle cure primarie e dello sviluppo dei serviziterritoriali;

� il presidio ospedaliero è sede di una funzione as-sistenziale e delle prestazioni ambulatoriali in-terne ed esterne in una logica di differenziazio-ne di prodotti;

� l’organizzazione produttiva ospedaliera orga-nizzata in azienda ospedaliera ha carattere di nonordinarietà, a conferma di quanto esplicitamen-te indicato all’art. 4, comma 1, del Dlgs 229/1999(“avvalendosi anche….”).

Per quanto concerne il livello assistenza distret-tuale, va evidenziato preliminarmente che tale areadi offerta comprende prestazioni:�proprie del distretto, a produzione ed erogazio-ne diretta (ass.za domiciliare, ass.za specialisticaambulatoriale interna, ass.za consultoriale, ecc.);

�proprie del distretto, prodotte ed erogate attra-verso soggetti terzi convenzionati o accreditati;(ass.za medicina generale, ass.za farmaceutica,ass.za pediatrica libera scelta, continuità assi-stenziale, ass.za specialistica erogata da struttureaccreditate, ecc.);

�di competenza di altre strutture aziendali (DSM,ecc.) diverse dal distretto ma comprese nel li-vello di assistenza distrettuale.

Il livello di assistenza distrettuale, pertanto, in quan-to area di offerta:1. individua una tipologia di funzione assistenziale;2. individua un’attività specificamente ricondu-

cibile ad una unità organizzativa definita di-stretto;

3. individua un meccanismo/processo di coordi-namento di una pluralità di servizi o soggettiche identifica una organizzazione complessa;

4. non individua un’organizzazione produttiva,perché ogni struttura coinvolta nel livello di as-

sistenza mantiene la propria autonomia pro-duttiva e di erogazione, ivi compreso lo stessodistretto quale unità produttiva.

Sotto il profilo organizzativo, ciò significa che as-sistenza distrettuale e organizzazione produttivadistrettuale non coincidono e che l’assistenza di-strettuale, quale area di offerta, individua il rag-gruppamento formato dai servizi e prestazioni deldistretto e dagli altri servizi e prestazioni prodot-ti ed erogati dalle strutture che operano in coor-dinamento con il distretto.Ulteriore effetto di tale distinzione, tenuto con-to dei raggruppamenti di prestazioni in cui si ar-ticola l’organizzazione produttiva, delle peculia-rità del distretto quale struttura e organizzazioneproduttiva specifica e dei vantaggi della coinci-denza fra organizzazione delle aree di offerta eorganizzazione delle attività di produzione ed ero-gazione, potrebbe essere l’unificazione tra il li-vello di assistenza distrettuale e quello di assistenzasanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavo-ro, considerato che servizi e prestazioni compre-si in tale livello di assistenza comunque devonocoordinarsi con le attività del distretto e delle al-tre strutture che operano nell’ambito dell’assi-stenza distrettuale.Sotto il profilo organizzativo, pertanto, tenendoconto delle metodologie produttive e di eroga-zione e ferma restando la distinzione fra offerta eproduzione, l’organizzazione delle aree di offer-ta e le organizzazioni produttive e di erogazionepotrebbero coincidere, con conseguente riduzio-ne dell’articolazione dei livelli e individuazionedi due sole aree di offerta:�area o livello di assistenza in condizioni di rico-vero;

�area o livello di assistenza territoriale, compren-siva dell’assistenza sanitaria collettiva in ambientedi vita e di lavoro e dell’assistenza distrettuale.

LE CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVA, FUNZIONALE E TERRITORIALE DEL DISTRETTOQuanto osservato in precedenza in merito al rap-

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porto fra offerta e organizzazione produttiva e, inparticolare, fra assistenza distrettuale e organizza-zione produttiva distrettuale, consente di com-prendere le definizioni e la triplice configurazio-ne del distretto esposte in premessa, quale artico-lazione organizzativa dell’azienda o raggruppa-mento coordinato, quale articolazione funziona-le o meccanismo/processo di coordinamento,qua-le area geografica o ambito territoriale.

Il distretto articolazione organizzativaIl distretto, quale articolazione organizzativa, in-dividua:a) una organizzazione che produce ed eroga ser-

vizi e prestazioni propri di una unità organiz-zativa definita distretto;

b)una organizzazione produttiva complessa o rag-gruppamento coordinato di attività per la pro-duzione ed erogazione di prestazioni proprie,a gestione diretta ed erogate attraverso sogget-ti terzi convenzionati o accreditati.

Che sia unità organizzativa o sia raggruppamen-to di attività di produzione e di erogazione, vasottolineato che il distretto è comunque una or-ganizzazione non riconducibile o coincidente conun presidio o centro fisico di esercizio di attività.Tale consapevolezza è necessaria ove non si vo-glia correre il rischio di attribuire al distretto unacondizione di tipo ospedaliero, come se fosse unastruttura alla quale si chiede assistenza, anzichéuna organizzazione che agisce per la promozio-ne, tutela e recupero della salute indipendente-mente dalla sede fisica di esercizio delle attività.In altre parole, va evitato che nel distretto vengapercepita una organizzazione distrettuale e unaextradistrettuale, in analogia a quanto accadutoper l’assistenza ospedaliera.

Il distretto articolazione funzionaleIl distretto, quale articolazione funzionale, indivi-dua un meccanismo (modalità) o processo (insie-me di attività) di coordinamento, identificandonel coordinamento:a. il rapporto tra una organizzazione e gli obiet-

tivi che intende perseguire;b. uno strumento di strategia.In tal senso, il distretto quale articolazione fun-zionale va inteso come strumento della strategiaorganizzativa dell’azienda per realizzare determi-nati obiettivi.Sottolineato che il coordinamento rappresenta lafunzione di maggiore impegno e difficoltà cheaffronta una organizzazione in rapporto alla rea-lizzazione delle finalità e degli obiettivi per cui èprevista, va evidenziato che, quale modalità o mec-canismo di coordinamento, il distretto individua:a) una modalità organizzativa della propria strut-

tura;b)una modalità operativa per l’integrazione in un

ambito territoriale di tutte le componenti or-ganizzative comprese nell’area di offerta o fun-zione assistenziale distrettuale;

c) un meccanismo di coordinamento per l’inte-grazione delle componenti distrettuali con al-tre componenti interne o esterne all’azienda.

Quale modalità organizzativa della propria strut-tura, il distretto individua una combinazione diattività e risorse gestite dal direttore di distretto edal suo staff (ufficio di coordinamento) in una lo-gica di coordinamento fra MMG – PLS – MCAe specialisti, finalizzata alla produzione ed eroga-zione delle prestazioni proprie del distretto e al-l’esercizio dell’autonomia attribuita.In tal senso, pertanto, va concepita l’Unità Terri-toriale di Assistenza Primaria (UTAP), recente-mente oggetto di decisione nelle intese fra Statoe Regioni, evidenziando che va considerata co-me una componente del raggruppamento e che,in quanto elemento dell’organizzazione produt-tiva, più correttamente dovrebbe essere definitaUnità Territoriale di Cure Primarie (UTCP).Quale modalità operativa, il distretto individuauna combinazione di attività e risorse diretta a:- regolare i rapporti fra MMG - PLS e specia-listi;

- raccordare i comportamenti dei MMG e PLScon gli obiettivi dell’azienda;

- raccordare gli interventi sanitari in funzione del-

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l’assistenza globale alla persona in una logica dicontinuità assistenziale;

- raccordare l’erogazione delle prestazioni sanita-rie a rilevanza sociale con le prestazioni socialidi competenza degli EE.LL.;

- realizzare l’integrazione delle attività del distrettocon il Dipartimento di Prevenzione e il Dipar-timento di Salute Mentale.

Quale meccanismo di coordinamento, il distret-to individua due livelli di coordinamento:a) livello interno, coincidente con l’organizzazio-

ne produttiva distrettuale (somma di una uni-tà organizzativa e di un raggruppamento di pro-cessi omogenei fra loro coordinati);

b) livello esterno, corrispondente alle interdipen-denze del distretto con:

- le altre strutture della stessa area di offerta;- le altre strutture aziendali;- strutture di altre aziende o enti.Il livello interno risente dei seguenti vincoli po-sti dalla legislazione statale e/o regionale:1. individuazione del direttore di distretto (diri-

gente sanitario medico o non medico dipen-dente o convenzionato MMG – PLS);

2. istituzione ufficio di coordinamento (obbliga-torietà, rappresentatività componenti, sola pre-senza specialisti ambulatoriali interni);

3. dipartimentalizzazione (scelta non aziendale –rigidità organizzativa).

Il livello esterno individua tre situazioni di coor-dinamento:

1. coordinamento inter-area (distretto organizza-zione produttiva stessa area di offerta);

2. coordinamento intraziendale (distrettoaltre strutture aziendali);

3. coordinamento extraziendale (distrettorealtà esterne:ASL – AO – EE.LL. – Scuola –IZS – ARPA – ecc.).

Il livello esterno si avvale delle seguenti modali-tà operative/organizzative:�Processi:-Piano Attuativo Locale;-Programma Attività Territoriali;-Piani di Zona;

-Sistema Budgetario;-Accordi di Programma;-Convenzioni;-Contratti;- Intese, ecc;

�Organismi:-Collegio di direzione;-Comitati;-Progetti;-Gruppi di Lavoro, ecc.

Riassumendo, in termini di strategia, considera-to quanto indicato a proposito dei due livelli, vaevidenziato che sul piano organizzativo:a) il livello interno realizza una condizione orga-

nizzativa di attribuzione di autonomia secon-do una logica di divisione per prodotto e areageografica;

b) il livello esterno realizza una condizione di at-tribuzione di delega di autorità e di responsa-bilità secondo una logica funzionale al decen-tramento organizzativo;

c) il livello esterno individua la possibilità di rea-lizzare una organizzazione ad hoc, nella formaa matrice (dipendenza per prodotto e dipen-denza funzionale).

Ciò significa che il distretto, in quanto modalità dicoordinamento,evidenzia potenzialità per una evo-luzione in senso aziendale dell’organizzazione pro-duttiva della sanità ed è uno strumento importan-te per sviluppare e realizzare, in una logica di si-stema, integrazioni di attività e servizi su base epi-demiologica e territoriale, fra assistenza sanitaria,servizi socio-assistenziali, tutela dell’ambiente.

Il distretto articolazione territorialeIl distretto quale articolazione territoriale o areageografica pone l’esigenza di considerare preli-minarmente che il territorio costituisce elemen-to di riferimento sia delle aree di offerta dei LEA,sia dell’organizzazione produttiva aziendale.Richiamato pertanto quanto disposto dalle nor-mative dello Stato e delle Regioni, va evidenzia-to che il distretto:a) quale articolazione territoriale delle aree di of-

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ferta è una articolazione territoriale o area geo-grafica del sistema regionale di offerta dell’as-sistenza distrettuale prevista dai LEA;

b)quale articolazione territoriale dell’organizza-zione produttiva è un’area territoriale di ge-stione, produzione ed erogazione del sistemaproduttivo aziendale.

In merito alla territorialità dell’organizzazioneproduttiva, va evidenziato che l’organizzazionedel distretto risente sul piano concettuale di unaimpostazione organizzativa di tipo funzionale, inquanto tende a far coincidere la sede di attivitàcon la funzione distintiva dei servizi che opera-no sul territorio (attività tecniche e attività terri-toriali) ponendo, oltretutto, in relazione elemen-ti disomogenei e non comparabili.Viene attri-buito, infatti, significato tecnico-professionale alterritorio, come se il territorio, anziché essere unambito di riferimento dell’attività di operatori didiversa professionalità, costituisca elemento di in-dividuazione di una professionalità, andando quin-di ad identificare una nuova e specifica professio-ne (l’operatore territoriale).Ciò determina l’esigenza di interpretare la terri-torialità del distretto, collegandola ai principi ecriteri dell’organizzazione (che tengono distintala sede di produzione dell’attività dalla funzioneper la quale l’attività stessa è prevista) anziché al-le funzioni specialistiche dei servizi, anche al fi-ne di evitare il rischio di una sopravvivenza disuddivisioni organizzative o di confini limitatividell’esercizio delle attività e delle professioni.Se non ha più senso parlare di assistenza ospeda-liera ed extraospedaliera, ha senso parlare generi-camente di operatore ospedaliero o di operatoreterritoriale?Pertanto, assumendo il territorio in senso proprio,quale ambito nel quale vengono svolte attività, ildistretto, quale organizzazione produttiva terri-toriale, individua un insieme organizzato delleprestazioni e dei servizi ubicati in un determina-to territorio.Tale interpretazione della territorialità connessacon il perseguimento della finalità dell’azienda (il

distretto in quanto modalità di coordinamento èanche strumento di strategia), determina la ne-cessità di contemperare tale livello di organizza-zione con le finalità e i risultati dell’azienda di ap-partenenza e di cui è articolazione, in termini diobiettivi conseguibili. In tal senso, il distretto puòpertanto assumere un ruolo di committenza co-me “controparte” dell’organizzazione produttiva,svolgendo compiti di garanzia del conseguimen-to degli obiettivi rispetto ai soggetti interni edesterni con i quali si relaziona.

CRITICITÀL’applicazione dei principi e criteri dell’organiz-zazione ai Livelli Essenziali di Assistenza e, in par-ticolare, all’organizzazione distrettuale evidenziamolteplici criticità, in termini di ostacoli e falseconoscenze, che possono essere riassunte nei se-guenti punti:a) incoerenza della normativa nella definizione e

articolazione del livello essenziale di assistenzadistrettuale rispetto ai principi dell’aziendaliz-zazione (confusione fra offerta assistenziale eorganizzazione produttiva);

b) ambiguità del distretto quale strumento di in-tegrazione e coordinamento;

c) ambiguità della territorialità;d) attribuzione alla normativa regionale del com-

pito di individuare oltre all’articolazione ter-ritoriale anche l’organizzazione del distretto,così assorbendo nell’articolazione dell’offertaanche quella dell’organizzazione produttiva;

e) condizione strutturale e di autonomia dellestrutture con le quali il distretto si coordina(DP – DSM);

f) natura non strutturale del coordinamento;g) confusione fra organizzazione del lavoro e or-

ganizzazione dei servizi;h) assunzione del progetto come configurazione

organizzativa anziché come modalità di eser-cizio di attività (il progetto non è una tipolo-gia organizzativa ma una modalità di funzio-namento di un’organizzazione);

i) utilizzo di configurazioni organizzative di tipo

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funzionale (dipartimento) o loro modellamento(funzionale – strutturale, ecc.) per superamen-to di modelli organizzativi di tipo funzionale(i falsi cambiamenti);

j) separazione fra sanità e servizi socio-assisten-ziali sotto il profilo della titolarità della com-petenza e dei processi di pianificazione;

k) esigenza di correlazione e interdipendenza framodificazione dei servizi ospedalieri e modi-ficazione dei servizi territoriali;

l) superamento della distinzione fra assistenzaospedaliera e assistenza extraospedaliera;

m)distinzione fra struttura fisica di produzione efunzione assistenziale;

n) non corretta percezione della distinzione fraSSN (“organizzazione costituita dal comples-so delle funzioni, delle strutture, dei servizi edelle attività destinati alla promozione, al man-tenimento e al recupero della salute fisica e psi-chica di tutta la popolazione”) e Sistema Sani-tario (“insieme che comprende tutte le attivi-tà fra loro correlate e interagenti il cui inten-to principale è di promuovere, restaurare e man-tenere la salute”);

o) carenza di esperienze applicative e di ricercanell’attuazione delle configurazioni aziendalitipiche ed evolutive del mondo economico-produttivo di beni e servizi nel contesto dellasanità;

p) confusione tra dati economici e dati finanzia-ri con la conseguenza che si rilevano costi diproduzione da confrontare con spese di offer-ta di assistenza.

INDICAZIONI PER IL SUPERAMENTODELLE CRITICITÀ E PER LO SVILUPPOLe esperienze di organizzazione e sviluppo deldistretto realizzate in alcuni servizi sanitari re-gionali offrono indicazioni per riflettere sul su-peramento delle criticità rilevate e individuare ul-teriori elementi di collegamento fra principi ecriteri dell’organizzazione e sanità, utilizzabili infunzione dello sviluppo dei servizi territoriali.Osservando i rapporti fra offerta e produzione e,

in particolare, la distinzione fra chi decide, chi ge-stisce, chi organizza e chi produce, si individua-no i seguenti tre assetti organizzativi del distret-to diretti a superare le ambiguità prima rilevatefra le possibili articolazioni:1. dipartimentalizzazione del distretto;2. distrettualizzazione allargata;3. divisionalizzazione del distretto.La prima configurazione, assumendo a riferimentoi raggruppamenti di prestazioni in cui si articolal’organizzazione produttiva, individua una orga-nizzazione che assume la dipartimentalizzazionecome criterio per raggruppare tutta l’attività diproduzione ed erogazione effettuata dalle strut-ture del distretto e da quelle con esso coordinatein una unica organizzazione, attribuendo al di-stretto tutta l’organizzazione produttiva effettua-ta nell’ambito territoriale di competenza.In tal modo il distretto diventa l’organizzazionein cui confluiscono tutte le strutture presenti eche operano nell’area territoriale. Il distretto, cioè,in altre parole, assorbe in forma dipartimentaletutte le attività di produzione ed erogazione dan-do vita ad un’unica organizzazione di tipo fun-zionale che, come un dipartimento, individua lastruttura complessa in cui, in modo coordinato,sono aggregate tutte le strutture che produconoed erogano prestazioni dell’ambito territoriale.La seconda configurazione modifica il funziona-mento dell’organizzazione dipartimentale indivi-duata nella prima configurazione, attribuendo aldistretto un ruolo dominante sulle strutture fa-centi parte del dipartimento. Il distretto, cioè, ol-tre a svolgere le attività di produzione ed eroga-zione dei propri servizi e prestazioni, svolge an-che una funzione di governo della domanda glo-balmente espressa dall’area territoriale assumen-do un ruolo di committenza.Dalla dipartimentalizzazione del distretto carat-teristica della prima ipotesi si passa, pertanto, alladistrettualizzazione di tutte le attività, con un rap-porto di gerarchia fra il distretto e le altre strut-ture operanti nell’ambito territoriale, ivi compresii dipartimenti.

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La terza configurazione modifica l’organizzazio-ne e il funzionamento individuati nella secondaipotesi, assumendo a riferimento la distinzione frale attività di gestione, organizzazione e produ-zione e attribuendo al distretto i soli compiti digoverno dell’offerta. In tal modo l’offerta è sepa-rata dall’organizzazione e produzione e il distret-to svolge le funzioni gestionali in una logica diaccentramento e decentramento simile ad unaconfigurazione divisionale.Si realizza in tal modo il passaggio da una condi-zione di autonomia ad una situazione di poteregestionale rafforzativo dell’autonomia tecnico-ge-stionale ed economico-finanziaria, riconosciutaal distretto, ma con il rischio di:�verticalizzare l’organizzazione aziendale, in con-trasto con le esigenze di orizzontalità tipichedell’organizzazione aziendale (organizzazionec.d. piatta);

�confondere delega e autonomia;�costituire organizzazioni che individuano delle“quasi aziende” all’interno della stessa azienda;

� riproporre l’asimmetria fra acquirenti e pro-duttori.

Le ipotesi di configurazione esaminate e l’esigenzadi evitare i rischi individuati rendono opportunal’attenzione ai principi e ai criteri dell’organizza-zione e in particolare:a) alla distinzione fra gestione e organizzazione

dei fattori produttivi e delle infrastrutture e pro-duzione;

b)al rapporto sistema-organizzazione;c) alla progettazione organizzativa;d)al fatto che, di solito, nelle aziende le configu-

razioni organizzative non corrispondono stret-tamente ai modelli teorici di riferimento pre-scelti in quanto, in sede applicativa, esse ven-gono progressivamente modificate e adattateagli obiettivi e alle strategie perseguite dall’a-zienda.

Le indicazioni che emergono da tali elementi in-dividuano tre ipotesi organizzative:1)configurazione divisionale;2)configurazione per decentramento produttivo

a rete e per processi;3)configurazione per reingegnerizzazione dei pro-

cessi e organizzazione produttiva a rete.La prima configurazione individua una organiz-zazione:�articolata per prodotti, identificati sulla base dicombinazioni produttive specializzate e non piùin base alle funzioni esercitate;

�caratterizzata dalla distribuzione di compiti fraorgani centrali e divisioni, con riconoscimentodi autonomia decisionale a quest’ultime;

�orientata ad un controllo prevalentemente di ef-ficacia.

Tale configurazione, pur se idonea a superare lalogica funzionale di cui è fortemente imbevutotutto il sistema sanitario, ove si tenga conto dellefinalità dell’organizzazione sanitaria e delle esi-genze del territorio in particolare, risulta però in-sufficiente sia per assicurare le esigenze di colla-borazione e integrazione interne ai fini della mi-gliore efficienza organizzativa, sia in funzione delsoddisfacimento delle esigenze della popolazionedestinataria delle prestazioni erogate o fornite (ef-ficacia e qualità).Su tale configurazione, inizialmente necessaria peravviare il processo di aziendalizzazione, si pone per-tanto l’esigenza di operare alcune modificazioni,agendo sull’organizzazione della struttura centra-le e sull’organizzazione delle strutture produttive,al fine di sviluppare i rapporti fra le componentiorganizzativo-produttive e fra l’organizzazione pro-duttiva e i destinatari delle prestazioni.Ciò significa che, una volta realizzata e resa ope-rativa l’organizzazione divisionale, operando pro-gressivamente sui comportamenti anziché sullestrutture, nonché ponendo attenzione ai proces-si, si dovrà procedere ad affievolire la verticaliz-zazione dell’organizzazione produttiva svilup-pando in forma di rete l’organizzazione delle strut-ture produttive sul territorio, alle quali attribuireautorità decisionale e responsabilità operative nel-l’ambito delle direttive ricevute dalla direzionedivisionale.Si sviluppa in tal modo il decentramento pro-

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duttivo a rete e per processi, caratterizzato dallamodificazione dei comportamenti decisionali edei meccanismi di coordinamento tra il livello ge-stionale, il livello organizzativo e il livello pro-duttivo. Infatti, la direzione divisionale da un la-to mantiene intatte le responsabilità e il control-lo del funzionamento delle infrastrutture e del-l’uso dei fattori produttivi impiegati nelle divi-sioni, dall’altro lascia ai responsabili delle unità or-ganizzative il compito della pianificazione orga-nizzativa e del coordinamento delle attività pro-duttive e ai responsabili delle unità produttive ladirezione della produzione.Il decentramento produttivo a rete non può nonprendere in considerazione la logica dei proces-si, atteso che obiettivo finale della strategia orga-nizzativa da adottare deve essere l’adeguamentodell’organizzazione e delle attività alle esigenzedella popolazione (propria clientela) e che la con-figurazione organizzativa per processi rappresen-ta notoriamente il modo migliore per raggiun-gere tale obiettivo.L’attenzione ai processi rafforza l’orizzontalità del-l’organizzazione avviata con il decentramentoproduttivo, compensando la verticalità propriadella divisionalizzazione, e apre la possibilità perl’attuazione di un ulteriore sviluppo dell’orga-nizzazione in funzione della reingegnerizzazionedei processi, caratterizzato dalla:� rivisitazione dei meccanismi organizzativi, con-sistente nella semplificazione e ottimizzazionedelle attività svolte;

� riprogettazione dei processi, consistente nella ri-composizione delle attività in alternativa all’au-mento degli strumenti di coordinamento;

� introduzione di sistemi di controllo delle attivi-tà esercitate e di valutazione e retribuzione delpersonale in rapporto ai risultati conseguiti, as-sumendo a riferimento sia la soddisfazione deidestinatari delle attività, sia i risultati ottenuti;

� riorganizzazione dei meccanismi di coordina-mento, riducendo le necessità di integrazione

fra le componenti gestionali, organizzative e pro-duttive.

Il raggiungimento della configurazione per rein-gegnerizzazione dei processi e organizzazione pro-duttiva a rete prelude alla possibilità di passare aduna gestione a rete, in un quadro di rapporti nonsoltanto intraorganizzativi ma interorganizzativicon altri soggetti non facenti parte dell’organiz-zazione sanitaria.Si apre in tal modo la possibilità di realizzare unaconfigurazione gestionale tipo “holding” e diprocedere in una logica di sistema in cui si in-dividuano:�una organizzazione di governo territoriale;�una organizzazione gestionale, organizzativa eproduttiva territoriale;

�un sistema socio-sanitario e ambientale integratosu base territoriale ed epidemiologica, con for-mazione di macro aree territoriali in cui conflui-scono attività di ASL,Servizi sociali e dell’ARPA.

La realizzazione delle configurazioni e della lorosequenza richiede la progettazione organizzativa,quale strumento di individuazione delle linee ge-nerali e dei profili di sviluppo, con approfondi-mento di tutte le componenti che motivano e ca-ratterizzano l’organizzazione. Si delinea in tal mo-do quello che, in analogia alle persone fisiche, puòessere definito il “codice genetico” dell’organiz-zazione a cui ricondurre tutta la realizzazione del-le configurazioni, dalla fase iniziale fino al rag-giungimento della configurazione finale.Il carattere di progettualità di tali operazioni èfondamentale al fine di evitare che l’innovazionevenga percepita come una sostituzione imperati-va di modelli anziché come un processo gradua-le di integrazione e coesistenza di modelli, ne-cessario per vincere le difficoltà di credere nelcambiamento e di metabolizzare un modo di es-sere così differente rispetto al passato, nonché perpassare a logiche e configurazioni organizzativepiù adatte alle sollecitazioni di sviluppo richiestealla sanità.

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di Il governo della domanda può interessare diver-si soggetti e avere diversi obiettivi.Ad esempiosecondo Cislaghi (Cislaghi C, Il governo della do-manda nei sistemi sanitari, Salute e Territorio, n.

143/2004, pp.118-120) si possono individuare trelivelli di governo della domanda: il primo è quellodel governo clinico e riguarda i problemi dell’ap-propriatezza, il secondo è quello del governo eco-nomico della domanda, infine un terzo livello ri-guarda il governo politico della domanda inteso co-me problema di rappresentanza e di partecipazio-ne.L’obiettivo di Regione Lombardia in questi ul-timi due anni è stato quello di creare un metodoper una valutazione complessiva della domanda,po-nendo al centro del sistema il singolo cittadino.L’intuizione operativa per attuare la suddetta inte-grazione è stata quella di utilizzare le banche datidi tipo amministrativo esistenti.È da tempo ormai,a causa principalmente dell’introduzione del paga-mento a prestazione, che le fonti più complete didati sanitari sono le basi dati amministrative co-struite appunto per misurare in termini economi-ci il consumo di risorse. I principali database oggialimentati (farmaceutica, ricoveri, ambulatoriale)hanno prevalentemente una funzione amministra-tiva per facilitare il controllo del pagamento dei be-ni e dei servizi forniti agli assistiti.Al centro del si-stema è posta l’unità di offerta o l’area territorialeche eroga le prestazioni e il percorso clinico del pa-ziente risulta quindi frazionato in uno o più con-tatti effettuati da strutture diverse. Non è impossi-

bile integrare i diversi interventi sul paziente,unen-do i vari contatti rintracciabili nei diversi databaseamministrativi esistenti, in modo da porre il pa-ziente al centro del sistema e far sì che sia il casoclinico a divenire il vero oggetto di analisi e valu-tazione. Con il paziente al centro del sistema l’ot-tica di lettura si modifica radicalmente e aumenta-no le opportunità per conoscere e governare la do-manda.Lo spostamento concettuale e operativo tra-sforma le ASL in organizzazioni che gestiscono pro-cessi e sono in grado di rilevare la qualità delle pre-stazioni e i costi necessari alla cura del caso clinico.Anche le modalità di valutazione entrano in unadiversa ottica. Sino ad ora l’efficienza è stata ri-cercata con la riduzione degli sprechi e ovviamentela misura per tale indicatore è stata economica.Mada sempre l’obiettivo dichiarato era ed è misura-re l’efficienza non solo come risultato economi-co,ma anche come rapporto tra casi trattati in mo-do appropriato e casi che ricevono cure inade-guate. Il tutto aderendo o sviluppando degli stan-dard (protocolli, percorsi diagnostico terapeutici,ecc.) definiti o approvati dalle società scientifiche.L’efficienza può essere costruita e misurata attor-no al soggetto di cura, riconoscendo la centralitàdel paziente e del caso clinico; su questo cardinesi sviluppa una diversa interrelazione tra chi pro-duce e chi compra.L’integrazione delle banche dati di interesse sanita-rio attraverso una chiave univoca di interazione (tes-sera sanitaria o codice fiscale, ad esempio) consente

Regione Lombardia

IL GOVERNO DELLA DOMANDA:QUALI INFORMAZIONI PER QUALI BISOGNIa cura di Mauro Agnello, Cristiano MarchettiDirezione Generale Sanità – Regione Lombardia

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di monitorare tutti i contatti dei malati con i servi-zi sanitari. L’inclusione degli assistiti in categorie inbase a criteri di individuazione della patologia con-sente di tracciare un quadro sintetico della preva-lenza e del costo delle principali patologie.La map-patura complessiva della popolazione assistita dà lapossibilità di valutare la distribuzione della patolo-gia sul territorio e realizzare confronti spazio-tem-porali per evidenziare scostamenti significativi me-ritevoli di approfondimenti sulle possibili cause e fa-vorire l’introduzione di eventuali rimedi.Ulterioreimportante aspetto è la possibilità di descrivere l’im-patto economico delle principali patologie per ti-pologia,caratteristiche demografiche, territorio,me-dico curante,effettuando benchmarking spazio-tem-porali al fine di evidenziare i percorsi o i compor-tamenti diagnostico-terapeutici più efficienti.La se-de naturale in cui tale integrazione deve essere pri-mariamente ricercata è il distretto,con il coinvolgi-mento dei medici di medicina generale e degli spe-cialisti ospedalieri e di tutte le categorie di operato-ri professionali.Agli operatori del distretto va datala possibilità di avere le informazioni di base fina-lizzate all’organizzazione e alla gestione del proprioambito territoriale.Regione Lombardia sta cercando di rispondere a que-ste nuove esigenze e nei paragrafi successivi sono rap-

presentati il metodo e i primi risultati della speri-mentazione in corso presso le ASL per la costruzio-ne di una Banca Dati centrata sugli Assistiti (BDA).

IL METODO Se l’obiettivo è quello di porre al centro dell’os-servazione il paziente, il punto di partenza è ne-cessariamente quello di costruire l’anagrafe degliassistiti con un set minimo di informazioni tra cuirisulti, oltre ai dati anagrafici, il codice sanitarioindividuale, il codice fiscale, il medico di medici-na generale assegnato. Il database relativo a dispo-sizione di ogni ASL è trasmesso periodicamentedalla Regione ed è aggiornato in continuo da par-te del dipartimento dei servizi sanitari di base del-le Aziende Sanitarie Locali, attraverso il movimentonaturale e migratorio dei Comuni e la scelta/re-voca del medico di medicina generale. I due co-dici individuali (sanitario e fiscale) rappresentanola “chiave”necessaria per collegare le altre banchedati (farmaceutica, ricoveri e ambulatoriale).Tecnicamente si tratta di costruire un tabellone(fig. 1) che ha come base gli assistibili cui sonoaggiunte le relative informazioni di carattere eco-nomico ed epidemiologico.La soluzione adottata ha il vantaggio di consentire ilcostante perfezionamento delle informazioni dispo-

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diFIGURA 1 - Le sezioni e le informazioni di base contenute nel “tabellone”

Sezione anagrafica

Cod ind Cod fisc Cod res … Ricov Spec Farmac … Patologia pat1 pat2 …prevalente

… … … … … … … … … … … … …

Sezione consumi Sezione clinica

Assistiti

0102030405060708091011121314

N esimo

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nibili.Il tabellone può infatti svilupparsi in senso oriz-zontale, se si reperiscono ulteriori informazioni su-gli assistiti (ad esempio: ricoveri in RSA o consumiper protesi o ausili), oppure può essere modificatoverticalmente se si aggiungono nuovi assistiti.Per individuare la patologia cronica prevalente diogni assistito sono state utilizzate più opzioni: l’e-senzione per patologia, i ricoveri ospedalieri, le pre-stazioni specialistiche correlate a specifica patologiacronica (ad esempio radioterapia e dialisi) e il con-sumo di farmaci. L’utilizzo del database relativo aiconsumi farmaceutici ha consentito di individuarele patologie croniche, in quanto è stato postulatoche un soggetto con un consumo farmaceutico co-stante nel tempo è con molta probabilità affetto dal-la patologia per la quale sta assumendo la terapia far-macologica.Per associare il consumo di determina-ti farmaci alle varie patologie è stato utilizzato il si-stema di classificazione ATC e per dare una dimen-sione temporale del consumo di farmaci è stata uti-lizzata la DDD.Si riporta di seguito (fig. 2), a titoloesemplificativo, la modalità con cui sono stati iden-tificati i soggetti affetti da patologia neoplastica (Zoc-chetti C,Agnello M,La valutazione della domanda neisistemi sanitari:proposta di un metodo.XXVII Riunioneannuale della Associazione Italiana di Epidemiolo-gia,Bologna 20-22 ottobre 2003).

In questo modo è stata formulata una classificazio-ne costituita da 15 classi di cui 11 sono riferibili al-la patologia cronico degenerativa (trapiantato, insuf-ficienza renale, Hiv, neoplasia, diabete, cardiopatia,broncopatia,gastropatia,neuropatia,autoimmune edendocrinopatia). Due classi sono ascrivibili ad assi-stiti che non hanno avuto contatti con il servizio sa-nitario regionale, o che non sono identificabili co-me soggetti cronici ma che hanno avuto almeno uncontatto con le strutture sanitarie. Infine, le ultimedue classi identificate sono rappresentate dai sogget-ti deceduti e dalle donne che hanno partorito.La ca-tegoria deceduti è stata definita in seguito alla con-statazione del rilevante assorbimento di risorse es-senziali in concomitanza dell’evento morte a pre-scindere dalla patologia di cui risulta portatore il sog-getto. La semplificazione che riguarda l’identifica-zione della patologia prevalente per singolo assistitosi è resa necessaria in questa fase di studio del meto-do per semplificare la rappresentazione dei dati e ilconfronto tra gli ambiti territoriali.Nel tabellone persingolo soggetto sono comunque individuabili tut-te le patologie di cui il soggetto è affetto.In tale sen-so ha operato la ASL della provincia di Brescia (In-delicato A, Lonati F, Saleri N, Buzzetti R, La bancadati assistito. Brescia:ASL della provincia di Brescia,2004) che ha rappresentato le differenti combina-

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FIGURA 2 - Algoritmo utilizzato per l’identificazione dei pazienti neoplastici

1ESENZIONE

1 2

NEOPLASTICO

3 4

Codice 048* (ed il vecchio 0043)

Un codice ICD9-CM compreso

tra 140* e 208*

inoltre il V10*

ATC a 3 cifre pari a L01 +

Chemioterapia (file F)

Radioterapia (cod. 92.24*)

IF

OR OR OR

IF IF IF

2RICOVERI

3FARMACI

4SPECIAL.AMB.

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zioni possibili. In questo approfondimento si dimo-stra che oltre il 15% sul totale dei soggetti è affettoda forme isolate di patologia, il 5% ha la compre-senza di due forme patologiche e che oltre il 2% neassocia un numero superiore sino ad un massimo di8.Il numero di patologie concomitanti è considera-to un indice di complessità clinica del singolo sog-getto e in questo senso sarà necessario ampliare l’at-tuale classificazione con l’individuazione di ulterio-ri suddivisioni delle classi che tengano in debita con-siderazione l’associazione di più patologie.Il metodo sopra descritto è stato approntato e te-stato presso la ASL della provincia di Pavia nel-l’anno 2002 (Agnello M, Cerra C, Lottaroli S, Ilgoverno della domanda nei sistemi socio sanitari. Pa-via:Azienda Sanitaria Locale della provincia di Pa-via, 2002).Nel 2003 è stato istituito un gruppo dilavoro, promosso dalla Regione Lombardia e co-stituto da cinque ASL (Bergamo, Brescia, Monza,Pavia e Varese), con il compito di rendere unifor-mi i criteri metodologici e avviare in ogni ASL lacostruzione della BDA. Successivamente tutte leASL della Regione hanno provveduto alla costi-tuzione della BDA secondo le indicazioni delgruppo di lavoro e ad inoltrare i dati in Regioneper la formazione di una banca dati centralizzata.Questa modalità, che prevede la condivisione tra levarie ASL dell’esperienza acquisita,è valutata da Zoc-chetti (Zocchetti C,L’impatto della devoluzione in epi-demiologia: ci sarà maggiore attenzione per le realtà locali?,

Tendenze Nuove,3/2004,pp.239-257) come esem-pio di approccio “federalista”per l’utilizzo di dati ditipo epidemiologico.L’esigenza promossa da una ASLdi discutere con il proprio territorio (distretti, me-dici di medicina generale,…) da una parte le carat-teristiche della domanda di prestazioni sanitarie e dal-l’altra le consuetudini prescrittive dei vari attori delSSR ha fatto sì che tutte le risorse disponibili in ter-mini di informazione fossero adeguatamente utiliz-zate attraverso l’implementazione della BDA. Unavolta valutata positivamente, l’esperienza è stata ri-proposta e accettata dalle altre ASL senza un inter-vento coattivo da parte del livello regionale.La Re-gione infatti si è limitata a facilitare gli incontri tragli operatori per la condivisione del metodo.

I PRIMI RISULTATII valori riportati nelle successive tabelle riguardano12 delle 15 ASL in cui è suddivisa la Regione, perun totale della popolazione esaminata pari a circa7.300.000 assistiti,che in percentuale equivale a cir-ca l’80% dell’intera popolazione della Lombardia. Idati riportati nelle tabelle si riferiscono all’anno 2002.In modo schematico si possono rappresentare trelivelli di “sfruttamento” delle informazioni con-tenute nella BDA: programmazione, percorsi dia-gnostico terapeutici e budget di distretto.

ProgrammazioneLa tabella 1 mostra la prevalenza delle patologie

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Cat. % su tot A B C D E F G H I L M Regione assistiti Regione Deceduto 0,5% nd nd nd 0,9% 0,8% 1,0% 0,8% 0,6% 0,7% 1,2% 0,8%Trapiantato 0,05% 0,06% 0,05% 0,05% 0,04% 0,05% 0,05% 0,03% 0,04% 0,06% 0,04% 0,04%Ins_renale 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,3% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2% 0,2%HIV 0,2% 0,2% 0,2% 0,1% 0,2% 0,1% 0,2% 0,1% 0,1% 0,1% 0,2% 0,1%Neoplasia 2,5% 2,8% 2,7% 2,5% 2,5% 2,5% 1,0% 2,5% 2,7% 2,5% 2,5% 2,6%Diabete 3,2% 3,0% 3,1% 3,1% 3,5% 2,6% 2,8% 3,8% 2,6% 3,2% 3,6% 3,1%Cardiovasculopatia 13,0% 10,5% 11,0% 11,1% 14,2% 12,0% 10,3% 14,1% 10,6% 12,4% 13,7% 12,5%Broncopatia 1,3% 1,0% 1,3% 1,2% 1,3% 0,9% 0,9% 1,3% 1,1% 1,2% 1,1% 1,1%Gastropatia 1,5% 1,4% 1,3% 1,2% 1,2% 1,1% 1,2% 1,2% 1,2% 1,1% 1,3% 1,1%Neuropatia 1,1% 1,2% 1,4% 1,3% 1,1% 1,2% 0,4% 0,2% 1,1% 1,1% 0,8% 1,2%Autoimmuni 0,1% 0,1% 0,1% 0,1% 0,1% 0,1% 0,1% 0,2% 0,0% 0,1% 0,1% 0,1%Endocrinopatia 1,2% 1,2% 1,2% 1,2% 1,2% 1,2% 0,8% 0,6% 1,4% 1,4% 1,0% 0,9%Altro Parto 0,8% 0,9% 0,9% 0,8% 0,5% 0,9% 0,7% 0,7% 0,8% 0,6% 0,6% 0,8%Altro non utente 17,5% 17,6% 15,9% 17,6% 17,9% 18,1% 18,7% 15,3% 17,9% 17,5% 17,4% 18,6%Altro 57,1% 59,8% 60,6% 59,6% 55,1% 58,3% 61,6% 59,1% 59,5% 57,7% 56,3% 56,7%

TABELLA 1 - Ricavi e costi per attività di libera professione intramoenia (in euro).

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esaminate complessivamente a livello regionale eper singola ASL.I soggetti affetti da patologia cronica sono circa il24% della popolazione. La classe più rappresen-tata è la cardiovasculopatia con un valore regio-nale di prevalenza stimato del 13% e un’età me-dia di 65 anni. Il confronto tra le varie ASL mo-stra una variabilità compresa tra un valore mini-mo di 10,3% per la ASL F e un valore massimodi 14,2% per la ASL D. Il valore medio regiona-le di prevalenza della patologia diabetica è pari al3,2% dell’intera popolazione, con variazioni trale ASL ricomprese tra un valore massimo di 3,8per la ASL G e un valore minimo di 2,6 per leASL E ed H.La metodologia per identificare le patologiepresenta ovviamente un certo livello di appros-simazione rispetto all’identificazione con cri-teri epidemiologici tradizionali, ma il confron-to con i dati della letteratura effettuato da unaASL(Indelicato A, Lonati F, Saleri N, BuzzettiR, La banca dati assistito. Brescia:ASL della pro-vincia di Brescia, 2004) mostra un accettabilelivello di sovrapposizione. Si sottolinea inoltreche l’utilizzo dei suddetti dati è a fini gestionalie non per effettuare valutazioni di tipo epide-miologico in senso stretto. In questo caso an-che dati stimati o con un adeguato livello di

approssimazione sono preziosi per consentirevalutazioni e confronti finalizzati al migliora-mento complessivo del sistema.Dalle tabelle emerge la distribuzione delle pato-logie di gran parte della Regione e il tipo di con-sumo di risorse che tale distribuzione comporta.Nella tabella 2 sono riportati il numero di assisti-ti rilevati dalle ASL e i consumi medi in euro del-le classi di patologia individuate.Nel dettaglio si può verificare la composizionepercentuale di tale spesa media nelle tre princi-pali fonti di consumo – ricovero ospedaliero, far-maci compreso il file F (farmaci chemioterapici)e prestazioni ambulatoriali e PS – e la percentualedi pazienti che, nell’arco di un anno, accede al-l’utilizzo di queste prestazioni e di questi servizi.La composizione della spesa vede da una parte tregrandi gruppi di pazienti cronici (neoplastici, car-diopatici e diabetici) che assorbono il 50% dellerisorse rappresentando il 15-20% dei pazienti edall’altra un gruppo molto numeroso di pazientinon cronici (55-60% dei pazienti) che assorbonocomunque il 30% delle risorse.Sulle performances nella gestione di questi grup-pi si basa il buon risultato di gestione delle ASLe in definitiva la tenuta stessa del SSR.Da questi dati è possibile ricavare un primo con-fronto tra le ASL della Lombardia (tab.3) alla ri-

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Patologia Numero % su tot età Spesa Spesa % su assistiti assistiti media media complessiva totale

x assistito spesaDeceduto*** 33.166 0,45% 77,2 6.171 204.651.158 4%Trapiantato 3.463 0,05% 48,8 20.670 71.580.592 1%Ins_renale 15.579 0,21% 64,7 14.245 221.921.606 4%HIV 12.090 0,16% 40,1 7.851 94.914.843 2%Neoplasia 187.440 2,55% 62,9 4.096 767.847.722 13%Diabete 232.447 3,16% 65,5 1.974 458.839.950 8%Cardiopatia 956.604 12,99% 64,9 1.615 1.544.647.201 27%Broncopatia 95.620 1,30% 39,9 1.233 117.913.499 2%Gastropatia 106.850 1,45% 52,2 1.452 155.140.777 3%Neuropatia 79.048 1,07% 47,7 1.924 152.069.332 3%Autoimmuni 8.087 0,11% 46,9 1.240 10.024.457 0%Endocrinopatia 86.921 1,18% 51,2 940 81.663.308 1%Altro Parto 55.771 0,76% 31,5 2.107 117.483.940 2%Altro non utente 1.288.774 17,51% 35,5 - - 0%Altro 4.200.142 57,05% 35,6 408 1.713.323.777 30%

7.362.002 100,00% 41,9 776 5.712.022.162 100%

TABELLA 2 - Spesa suddivisa per ricoveri, ambulatoriale, farmaci e file F per categorie regionali (in euro)

*** non riportati da tutte le ASL

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cerca di diversità che – al di là di eventuali diso-mogeneità nella rilevazione – possano rappresen-tare degli esempi di gestione interessanti.Emergono variabilità di spesa in più e in menodella media che diventano oggetto di approfon-dimento sia sotto il profilo del risultato in termi-ni di salute, sia sotto il profilo dell’organizzazio-ne dei servizi dove spesso si nascondono sacchedi inefficienza e inappropriatezza su cui la ASL/di-stretto ha il dovere di agire.

Percorsi diagnostico terapeuticiL’articolazione del “tabellone” e i relativi colle-gamenti consentono di attribuire ad ogni assisti-

to una patologia probabile e registrare i princi-pali contatti avvenuti con le strutture sanitarie. Inquesto modo si potrà rappresentare il percorso delpaziente. Oggi è possibile solo una ricostruzionea posteriori (nel senso che la registrazione deglieventi è successiva a quella di contatto e quindinon sarà possibile intervenire in modo tempesti-vo sui casi aperti), ma il continuo scambio di in-formazioni e confronto tra il distretto e i Medi-ci di Medicina Generale renderà possibile non so-lo i cambiamenti organizzativi da cui è lecito at-tendersi il costante miglioramento della qualitàclinica e di vita del malato, ma anche la loro stan-dardizzazione in un percorso ideale.

Regione Lombardia - Il governo della domanda: quali informazioni per quali bisogni

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Ricovero Ambulatoriale Farmaci File F

169.973.758 83% 65% 14.134.276 7% 80% 17.679.912 9% 82% 2.863.212 1% 4%43.789.032 61% 60% 9.169.451 13% 98% 15.994.388 22% 98% 2.627.722 4% 24%67.567.277 30% 60% 131.918.238 59% 98% 21.445.598 10% 98% 990.492 0% 7%18.556.791 20% 32% 14.240.906 15% 97% 5.852.660 6% 76% 56.264.487 59% 65%

496.864.094 65% 48% 104.752.852 14% 97% 136.206.283 18% 92% 30.024.493 4% 6%244.407.911 53% 26% 63.428.534 14% 92% 149.238.402 33% 97% 1.765.102 0% 1%836.899.312 54% 21% 202.863.256 13% 85% 498.665.661 32% 99% 6.218.972 0% 1%56.685.161 48% 20% 17.422.161 15% 82% 41.812.661 35% 98% 1.993.515 2% 3%64.533.417 42% 21% 31.094.133 20% 90% 52.527.554 34% 93% 6.985.673 5% 2%83.632.727 55% 28% 21.415.083 14% 88% 34.285.049 23% 97% 12.736.473 8% 2%4.992.663 50% 27% 2.514.408 25% 96% 2.153.359 21% 91% 364.026 4% 1%

32.610.807 40% 17% 19.935.061 24% 93% 28.502.449 35% 97% 614.991 1% 1%93.246.894 79% 97% 22.322.154 19% 98% 1.842.569 2% 66% 72.323 0% 1%

- 0% 0% - 0% 0% - 0% 0% - 0% 0%897.067.274 52% 11% 519.318.870 30% 82% 277.809.826 16% 70% 19.127.807 1% 1%

3.110.827.119 54% 13% 1.174.529.383 21% 69% 1.284.016.372 22% 64% 142.649.288 2% 1%

Spesa % % Spesa % % Spesa % % Spesa % % complessiva spesa utenti complessiva spesa utenti complessivaspesa utenti complessiva spesa utenti

Cat. Assistiti % Età Spesa A B C D E F G H I L M Regione media mediaTrapiantato 3.463 0,0% 48,8 20.670 21.569 20.414 18.816 17.608 17.885 19.279 19.423 20.996 20.852 21.911 20.714 Ins_renale 15.579 0,2% 64,7 14.245 13.511 15.892 15.015 11.506 13.974 11.800 15.201 15.633 13.572 16.213 15.130 HIV 12.090 0,2% 40,1 7.851 6.747 7.344 7.633 4.506 7.838 12.002 7.751 7.570 8.765 3.159 10.989 Neoplasia 187.440 2,5% 62,9 4.096 3.837 4.280 3.949 3.472 3.915 8.341 3.843 3.969 4.124 4.479 3.956 Diabete 232.447 3,2% 65,5 1.974 2.065 2.174 1.950 1.982 1.836 2.463 1.838 1.995 1.923 2.006 1.928 Cardiovasculopatia 956.604 13,0% 64,9 1.615 1.695 1.888 1.631 1.687 1.592 1.737 1.611 1.685 1.661 1.787 1.632 Broncopatia 95.620 1,3% 39,9 1.233 1.367 1.574 1.420 1.211 1.323 1.604 1.374 1.367 1.377 1.695 1.501 Gastropatia 106.850 1,5% 52,2 1.452 1.521 1.950 1.577 1.573 1.486 1.976 1.506 1.622 1.693 1.608 1.748 Neuropatia 79.048 1,1% 47,7 1.924 1.836 2.058 1.935 1.670 1.651 2.513 3.110 1.870 1.990 2.129 2.022 Autoimmuni 8.087 0,1% 46,9 1.240 1.135 1.414 1.226 1.224 1.047 1.580 1.159 1.927 1.160 1.550 1.284 Endocrinopatia 86.921 1,2% 51,2 940 957 1.234 981 1.037 872 1.124 1.143 941 844 1.162 883 Altro Parto 55.771 0,8% 31,5 2.107 2.094 2.144 2.171 776 2.128 2.308 2.144 2.222 2.089 2.217 2.198 Altro non utente 1.288.774 17,5% 35,5 - - - - - - - - - - - - Altro 4.200.142 57,1% 35,6 408 402 435 409 518 388 424 384 408 412 452 408

TABELLA 3 - Confronto tra ASL (11/15) della spesa media procapite per categorie regionali.

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Per il Piano Oncologico regionale 2002-2004, adesempio (DGR n.VII 18346/2004 – Interventi incampo oncologico, in attuazione del PSSR 2002-2004 Regione Lombardia), cui si rimanda per undettaglio della trattazione, è stato messo a puntoun percorso tipo del paziente oncologico utiliz-zando le informazioni tratte dalla BDA. La parteprincipale della scheda è strutturata in modo darappresentare la sequenza dei principali contattiche il paziente ha avuto con le strutture sanitarie.La scansione temporale riprodotta è quella an-nuale con la suddivisione mensile in tre decadi. Iprincipali oggetti (eventi sanitari) della rappre-sentazione sono costituiti dai ricoveri, distinti inricoveri ordinari e day hospital (DH) sia di tipomedico che di tipo chirurgico.A parte sono in-dicati i ricoveri effettuati in regime di DH pereseguire la chemioterapia o la radioterapia.Altrieventi riportati nella scheda sono le prestazionidi specialistica ambulatoriale suddivise tra le prin-cipali discipline (laboratorio, radiologia, radiote-rapia, cure palliative, ecc.). Un’ulteriore porzionedella scheda serve per rappresentare il consumodi farmaci e la somministrazione di farmaci che-mioterapici in regime ambulatoriale (file F) e nel-le cure domiciliari. Ogni quadratino della sche-da rappresenta un evento sanitario il cui conca-

tenamento costituisce il percorso effettuato dalpaziente.

Budget di distretto e valutazione MMG e PLSÈ in prospettiva l’ambito che presenta le maggioripossibilità di applicazione rendendo possibile losviluppo di metodi per l’applicazione del Budgetdi distretto.Nell’allegato 2 della DGR VII/19688 del 2004,Determinazioni in ordine alla gestione del servizio so-cio-sanitario regionale per l’esercizio 2005, la Regio-ne Lombardia ribadisce che la Banca Dati Assi-stiti è metodologia già condivisa da tutte le Azien-de Sanitarie Locali e che nel corso del 2005, conil coordinamento della Direzione Generale Sani-tà, dovrà trovare pieno sviluppo e, inoltre, che leinformazioni, adeguatamente elaborate e rappre-sentate, dovranno essere rese disponibili a tutti iMMG e PLS.Secondo la stessa DGR, la BDA troverà utilizzoanche nei rapporti con i soggetti erogatori, chenel 2005 saranno tenuti a partecipare agli incon-tri con i MMG per la definizione delle correttemodalità prescrittive delle prestazioni a maggio-re richiesta o che hanno registrato i maggiori in-crementi.Infine sulla base di dati storici, epidemiologici ed

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FIGURA 3 - Spesa media pro-capite lorda per cardiovasculopatie scostamento % dalla media (Asl di Brescia)

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BRESCIA

Ricoveri ordinariDay hospitalFarmaciSpecialisticaambulatoriale

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economici, contenuti nella BDA e con il coin-volgimento di tutti gli operatori (MMG,PLS, spe-cialisti ospedalieri, erogatori pubblici e privati,ecc.), dovrà essere definito il Budget di Distrettoin cui dovranno essere indicati gli obiettivi da per-seguire e a questi obiettivi dovranno essere lega-te forme di incentivazione di risultato nella dire-zione del miglioramento dell’appropriatezza del-le prestazioni.A titolo esemplificativo, per mettere in evidenzale potenzialità della BDA per la determinazionedegli obiettivi di distretto, si riporta una possibi-le elaborazione (fig.3) (Indelicato A, Lonati F, Sa-leri N, Buzzetti R, La banca dati assistito. Brescia:ASL della provincia di Brescia, 2004) della spesamedia pro-capite lorda per cardiovasculopatie nel-la ASL di Brescia, in cui si evidenzia quanto no-tevole sia – nel confronto tra i distretti – la di-versità nelle modalità di intervento sanitario.Tale variabilità è presente in varie forme in al-tre esperienze di ASL ed è indicativa di variepossibilità di approccio ad uno stesso problema.Nel definire gli obiettivi di distretto è necessa-rio comprendere quanto le diverse modalità diapproccio siano determinanti per la qualità cli-nica dei pazienti e quanto invece influiscano sul-la loro spesa.Lo stesso metodo del confronto utilizzato a livel-lo di Asl e di distretto può essere applicato per ap-prezzare l’impegno dei MMG/PLS. In questo ca-so è necessaria molta cautela ed è importante co-struire le analisi di confronto limitando il camposolo ad alcuni specifici elementi.In effetti, se riportiamo le analisi di ordine gene-rale al livello particolare di ogni singolo medicodi medicina generale, ci accorgiamo che per-mangono categorie patologiche ben rappresen-tate (ad esempio la cardiovasculopatia e il diabe-te) e altre importanti ma di minor impatto (adesempio Hiv e trapianti) che rischiano di non es-sere rappresentate o di modificare in modo de-terminante il profilo di spesa del singolo medico.Per facilitare e rendere maggiormente trasparen-te la valutazione e l’autovalutazione del medico

di medicina generale, è opportuno focalizzare l’at-tenzione sulle patologie con alta prevalenza e perle quali l’intervento assistenziale del medico dimedicina generale sia determinante.Anche in questo caso sono diverse le esperienzeche si stanno sviluppando con diversi modelli direports che sono inviati periodicamente aiMMG/PLS. Il valore aggiunto della BDA è quel-lo di poter offrire i confronti standardizzati e perlivelli assistenziali.E tali confronti sono un’occasione fondamenta-le per mettere a punto uno strumento di valuta-zione e di autovalutazione attraverso il quale ASLe medici di base – liberi da complessi di perse-cuzione ed esenti da impegni di giustificazione –sappiano leggere nella loro storia e rinnovarla.

CONCLUSIONI E OBIETTIVI IN PROSPETTIVA I dati presentati sono il primo frutto di un tenta-tivo omogeneo e condiviso di analisi complessi-va della domanda di una Regione grande e rile-vante come la Lombardia.L’applicazione del metodo può dare frutti a livel-lo programmatorio e strategico. Si possono valu-tare conoscenze sull’evoluzione della domandasanitaria e la grande massa di elementi numericidisponibili permette di sviluppare modelli piùprecisi di previsione della spesa, in particolare alivello distrettuale.Sono dati che mettono in evidenza il numero ele-vato di pazienti cronici e stimolano la voglia diconfronto per verificare gli effetti delle diversemodalità con cui i problemi sono affrontati.È un terreno su cui Regione e ASL – attraversoi distretti – iniziano a muoversi con maggiore si-curezza nella pianificazione a lungo termine e ne-gli investimenti. E questo, anche se avrà valore amedio-lungo termine, è un fatto estremamentepositivo.Ovviamente molti elementi di questo lavoro so-no già sfruttati a livello territoriale da ogni di-stretto per avviare delle negoziazioni di budgetcon medici di base o gruppi di medici di base.

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Una gestione manageriale della quota capitariadei singoli pazienti richiede un controllo che as-sicuri contemporaneamente efficienza ed effica-cia; in questo processo la ASL ha il dovere di tu-telare il medico di medicina generale che sta peravventurarsi fuori dai suoi tradizionali ambiti dilavoro, fornendogli mezzi e metodi per una cor-retta valutazione del proprio impegno.A maggiore ragione, se si restringe l’oggetto dianalisi per dimensione (da una Regione ad unaASL/distretto fino addirittura al gruppo dei 1000-

1500 assistiti di un medico di base), i metodi tra-dizionali di valutazione del “peso” di un pazien-te diventano inapplicabili.Il consumo di risorse, l’impegno professionale ei risultati sono legati alla conoscenza delle pato-logie e alla stima dei relativi bisogni e non soloall’età. E anche gli obiettivi di gestione che unmedico di medicina generale può concordare conla ASL devono prendere le mosse da osservazio-ni sul campo che questo metodo oggi propone eche dovrà essere ulteriormente migliorato.

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Provincia Autonoma di Trento - I distretti sanitari in Trentino

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diIl distretto sanitario viene individuato dalla leg-ge n. 833/1978 come articolazione costituti-va della nuova organizzazione sanitaria e de-finito “struttura tecnico-funzionale per l’ero-

gazione dei servizi di primo livello e di prontointervento”, mentre il decreto legislativo n. 229/99ne precisa la caratteristica di “articolazione fina-lizzata a realizzare un elevato livello di integra-zione tra i servizi”. È poi lo stesso decreto del1999 che demanda alle Regioni la disciplina or-ganizzativa del distretto, segno evidente, per unverso, della incompleta realizzazione o dell’incer-to funzionamento, a quella data, di tale strutturae della necessità, per contro, di conferire al di-stretto una possibile pluralità di fisionomie ade-renti ai diversi contesti regionali.Il caso trentino è dimostrativo della possibile mu-tevole interpretazione nel tempo del distretto sa-nitario in risposta a specifiche contingenti esi-genze locali. In realtà, si è qui in presenza di unprocesso di ricerca di un assetto territoriale del-l’assistenza sanitaria rispettoso delle aspettative edei valori delle comunità e assieme positivamenteincisivo sullo stato di salute delle rispettive po-polazioni. Nel processo evolutivo del distretto sa-nitario nella Provincia autonoma di Trento sonodistinguibili tre fasi temporali: nella prima il di-stretto assume una prevalente connotazione po-litico-istituzionale cui, nella seconda, si assommauna valenza organizzativo-aziendale. Nella terzafase, tuttora in corso, il distretto viene infine pro-spettato come luogo di integrazione e di parte-

cipazione per il governo della salute. E, mentrein tale ultima fase vengono elaborati progetti diriforma, sono nel contempo messi in atto mo-delli e strumenti operativi che intendono prefi-gurare la natura e il funzionamento del “nuovo”distretto.

Il distretto struttura politico-istituzionaleIl territorio trentino è diviso, da nord a sud, dal-la valle del fiume Adige su cui convergono vallilaterali. Esso si estende su una superficie di circa6.200 chilometri quadrati per il 70 per cento dialtitudine superiore ai 1.000 metri: un territoriomontuoso, dunque, più densamente popolato lun-go l’asse centrale del fiume Adige (208.521 abi-tanti pari al 45 per cento della popolazione), macon una distribuzione diffusa, sebbene di minordensità, su tutte le rimanenti più ampie zone pe-riferiche (253.479 abitanti pari al 55 per centodella popolazione).Alla popolazione residente vacomunque aggiunto il notevole carico di presenzeturistiche (in media 4.250.000 arrivi all’anno).L’occupazione estensiva della Regione, attestatada secolari testimonianze di insediamento, è allaradice del forte sentimento identitario delle co-munità di valle, che si manifesta nelle differenzia-zioni linguistiche e culturali e si esprime nelle tra-dizioni di autogoverno. Di converso la suddivi-sione del territorio in zone chiuse virtualmenteautosufficienti è stata quasi ininterrottamente ri-composta entro una stessa cornice politica. Lastretta appartenenza geopolitica del Trentino fi-

Provincia Autonoma di Trento

I DISTRETTI SANITARI IN TRENTINOa cura di Arrigo AndrenacciDirigente del Servizio attività territoriale e domiciliare dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento

a cura di Luciano PontaltiDirigente del Servizio organizzazione e qualità dei servizi sanitari della Provincia Autonoma di Trento

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no al primo ventennio del secolo scorso all’areamitteleuropea lo ha infatti indotto, prima attra-verso la mediazione del principato vescovile e poicon movimenti indipendentistici, a rivendicareun suo carattere unitario e distintivo rispetto al-l’amalgama delle altre province dell’impero asbur-gico. Nella cultura locale, in definitiva, con il sen-so di una storia comune a tutta la Provincia con-vive l’orgoglio particolaristico delle comunità divalle, ciascuna con il suo patrimonio di valori: dalgodimento collettivo di beni demaniali (usi civi-ci) alle singolari forme di associazionismo eco-nomico (movimento cooperativo); dalla mutuaassistenza nelle imprese di volontariato (corpi deivigili del fuoco, associazioni di trasporto infermiecc.) alle iniziative di solidarietà, cui si devono inpassato la fondazione e la costruzione di asili, scuo-le, case di riposo e ospedali. La varietà e la ric-chezza delle espressioni sociali della tradizionefrenano però ogni tentativo di razionalizzazioneistituzionale imposta dai complessi problemi del-la modernità. A fronte di duecentoventitre co-muni, tanti sono i municipi in Trentino, obietti-vo costante del governo provinciale è stato per-ciò il superamento di simile frammentazione am-ministrativa. Con la ripartizione del territorio inComprensori, concepiti in un primo momentocome distretti di pianificazione urbanistica, la Pro-

vincia, richiamandosi all’esperienza dei capitana-ti (Giampaolo Andreatta, Bezirk e Comprensorionel Trentino: storia e prospettive di un’idea, Trento,Saturnia, 1975), provvede a raggruppare in undi-ci enti di secondo grado tutti i comuni (legge pro-vinciale 7 dicembre 1973 n. 62).Ai Comprensori, in parte assimilabili alle comu-nità montane, sono affidati compiti di pianifica-zione urbanistica e di gestione di servizi di inte-resse sovracomunale come l’assistenza scolastica,l’assegnazione di alloggi pubblici e di contributiper l’edilizia abitativa privata, la raccolta dei ri-fiuti, l’organizzazione e l’erogazione delle presta-zioni socio-assistenziali. Sono i Comprensori glienti che assumono in Trentino la veste e le com-petenze delle Unità Sanitarie Locali contempla-te dalla riforma sanitaria del 1978 (Figura 1).Ben presto tuttavia emergono i limiti di una ge-stione dei servizi sanitari in ambiti di ridotta po-polazione sia per le inevitabili lacune nel venta-glio delle possibili offerte di cura, sia per gli in-sostenibili costi dati dalla moltiplicazione di strut-ture gestionali. Di fatto all’unità sanitaria del ca-poluogo, dove ha sede il principale ospedale pro-vinciale, vengono attribuiti compiti di coordina-mento e integrazione per funzioni che le altreunità sanitarie svolgono parzialmente o non pos-sono sostenere.

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FIGURA 1 - Comprensori e unità sanitarie locali fino al 1993.

223 COMUNI

11 COMPRENSORI (Legge provinciale 7 dicembre 1973 n. 62)

11 UNITÀ SANITARIE LOCALI (Legge provinciale 6 dicembre 1980 n. 33)

1 AZIENDA PROVINCIALE PER I SERVIZI SANITARI (Legge provinciale 1 aprile 1993 n. 10)

13 DISTRETTI SANITARI

Valle di Sole Valle di Non

Giudicarie e Rendena

Alto Gardae Ledro

Alto Gardae Ledro

Vallagarina

Alta Valsugana

Ladino di Fassa

Fiemme

Primiero

Bassa Valsugana e Tesino

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Matura così, pur tra molte resistenze, la decisio-ne di creare un unico ente provinciale per la ge-stione dei servizi sanitari.A breve distanza dall’e-manazione del decreto legislativo n. 502/92, laProvincia con la legge di riforma del Servizio sa-nitario provinciale del 1993 (legge provinciale 1aprile 1993 n. 10) istituisce per tutto il territoriol’Azienda provinciale per i servizi sanitari. Con lostesso provvedimento legislativo vengono creatitredici distretti sanitari tutti ricalcati sulle ex Uni-tà Sanitarie Locali comprensoriali, salvo che perdue distretti enucleati dall’ambito della preesi-stente unità sanitaria di Trento. Il distretto è defi-nito dalla legge provinciale come un’articolazio-ne organizzativa fondamentale dell’Azienda sani-taria e sulla carta appare essere una struttura for-te, da cui dipendono non solo i servizi di assi-stenza primaria e alcuni servizi di prevenzione eigiene, ma anche, almeno in cinque distretti, ser-vizi di cura e riabilitazione grazie alla presenza inloco di altrettanti ospedali di zona.Al direttore di distretto viene affiancato un con-siglio dei sanitari, che dovrebbe contribuire al-la programmazione delle attività di assistenza sa-nitaria. Per ogni distretto, infine, è previsto, incorrispondenza dello staff gestionale aziendale,un organo politico: è il Comitato di distrettoformato dai sindaci dei Comuni compresi nel

suo ambito. Il Comitato concorre alla program-mazione sanitaria, formulando osservazioni eproposte per la formazione del piano sanitarioprovinciale (Figura 2).L’architettura dell’insieme in astratto risulta co-erente e ben disegnata, ma non può sfuggire cheil legislatore provinciale, per aver trasferito a un’a-zienda sanitaria unica per tutto il territorio lecompetenze già attribuite alle undici unità sani-tarie, ha voluto in parte risarcire gli amministra-tori locali del potere gestionale loro sottratto,creando distretti coincidenti con le ripartizionicomprensoriali e istituendo degli organismi, i Co-mitati, che dovrebbero garantire ai Comuni lapossibilità di influire sulle decisioni di politica sa-nitaria. La nascita del distretto sanitario originainsomma da una costruzione formale ispirata piùdal tentativo di offrire una soluzione politico isti-tuzionale di bilanciamento tra esigenze di razio-nalizzazione tecnico-gestionale e istanze di coin-volgimento politico, che non da un profondo con-vincimento della decisiva importanza per l’evo-luzione del Servizio sanitario provinciale delle suearticolazioni territoriali.

Il distretto struttura organizzativo-aziendaleNell’impianto dalla legge provinciale di riforma delServizio sanitario provinciale veniva progettata una

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FIGURA 2 - L’assetto istituzionale del servizio sanitario provinciale

CONSIGLIO PROVINCIALE

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA

GIUNTA PROVINCIALE

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

)AZIENDA PROVINCIALEPER I SERVIZI

SANITARI

COMUNI

DISTRETTO SANITARIO

SERVIZI ASSISTENZA OSPEDALIERA

DISTRETTO SANITARIO

DISTRETTO SANITARIO

DISTRETTO SANITARIO

COMITATO DIDISTRETTO

COMITATO DIDISTRETTO

COMITATO DIDISTRETTO

COMITATO DIDISTRETTO

SERVIZI PREVENZIONE

SERVIZI ASSISTENZA DI BASE

DIREZIONE GENERALE

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reciproca influenza, a livello territoriale, tra la fun-zione di programmazione e quella gestionale.Le esi-genze del territorio, indicate dai Comitati di distrettoe recepite da una programmazione aziendale delleattività di assistenza, avrebbero perciò dovuto gui-dare l’azione degli operatori e viceversa le segnala-zioni di disfunzioni rilevate dagli operatori mede-simi avrebbero dovuto consentire la revisione delleattività programmate. Nell’applicazione della leggetuttavia ciò non si concretizza pienamente.Invero, sono stati sollecitamente messi in moto tut-ti gli organismi, le direzioni e il personale neces-sari alla costituzione dei distretti e questi sono en-trati regolarmente in esercizio.Tuttavia, nei primicinque anni di vita, dal 1994 al 1999, la nuova real-tà aziendale è stata caricata del gravoso e impe-gnativo compito di ricondurre a una comune ge-stione i servizi sanitari secondo logiche di mag-giore efficienza.Diviene allora essenziale il raffor-zamento delle strutture gestionali centrali e l’uni-ficazione dei servizi di supporto tecnico, ma an-che assistenziali, che non possono essere sostenu-ti in tutti i distretti.Di conseguenza, le risorse pro-fessionali sono destinate prioritariamente al po-tenziamento delle strutture aziendali di coordina-mento, mentre si mira a omologare le attività neidistretti a modelli procedurali ed erogativi unifor-mi. L’innovazione gestionale è però condotta consuccesso dai vertici aziendali: i distretti sanitariprendono corpo e provvedono con buoni risul-tati alle prestazioni assistenziali di primo livello.Quello che viene meno è il coinvolgimento at-tivo del personale sanitario. Nonostante l’istitu-zione dei consigli sanitari di distretto sia stata re-golamentata e gli stessi siano stati costituiti, ai suoicomponenti mancano formazione e sostanzialipotestà di intervento perché il funzionamento deiconsigli sia da loro stessi voluto e richiesto e il le-gislatore provinciale, constatata la paralisi dei con-sigli sanitari di distretto, nel 2001 ne abroga la nor-ma istitutiva. D’altra parte ogni attenzione è sta-ta dedicata dall’Azienda sanitaria all’edificazionedi una struttura distrettuale efficiente nella ge-stione di attività programmate in alto, laddove cioè

avviene il contatto tra il vertice politico e quellotecnico: una struttura distrettuale che, per ciò stes-so, è priva di spazi di pianificazione locale auto-noma. Nel distretto, articolazione organizzativadell’Azienda, non può dunque verificarsi nem-meno un articolato confronto dialettico tra ope-ratori, associazioni di volontariato, istituzioni so-cio-economiche e amministratori comunali rap-presentati nei Comitati. Il direttore di distrettopartecipa alle riunioni del Comitato e lo infor-ma sulle attività in essere, ma interlocutore uffi-ciale del Comitato è la Giunta provinciale e peressa l’Assessore di merito. Si determina così unadicotomia sul territorio tra piano politico e pia-no operativo-gestionale. Il solco si approfondiscenel momento in cui i Comitati, dopo aver avan-zato richieste di moltiplicazione di strutture e ser-vizi senza farsi carico di una visione complessivae sinergica del Servizio sanitario provinciale, sco-prono che la loro voce sembra rimanere inascol-tata e il loro contributo critico inutilizzato.Le preoccupazioni manifestate dai Comitati nonvertono tanto sulla qualità delle prestazioni di as-sistenza primaria quanto, soprattutto, sulla difesadelle strutture ospedaliere, di cui si teme l’impo-verimento a favore dell’ospedale del capoluogo esulla asserita carenza di strutture di pronto soc-corso periferiche. Sono questi i temi dibattuti adiscapito di una maggiore attenzione che potrebbeessere riservata alle problematiche dell’assistenzadi base sul territorio. Ma quello della funzionali-tà delle strutture ospedaliere è anche il terreno sucui l’Azienda ritiene, non senza fondamento, diessere valutata in via principale e dove riconoscequale unica autorità quella della Giunta provin-ciale, astenendosi dal confronto con la moltepli-cità dei referenti politici locali. Nella percezionedel cittadino, in effetti, l’ospedale occupa ancorala posizione focale: là si risolvono i casi gravi e visi curano le patologie croniche presso i centri spe-cialistici; là si usufruisce della maggior parte del-le visite specialistiche e delle prestazioni diagno-stiche; a esso si accede con la mediazione dei me-dici di famiglia.Viceversa il distretto, in sé, non

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gode di luce propria e, per la generalità della po-polazione, è semplicemente una sede decentratadell’Azienda dove si possono sbrigare incomben-ze amministrative come la scelta del medico o delpediatra o la prenotazione di prestazioni sanitarieo il ritiro di un certificato o di un referto.

Il distretto struttura territoriale per il governo della saluteSul finire del primo quinquennio di vita dell’A-zienda provinciale si apre un periodo di riflessio-ne sugli effetti recati dalla nuova organizzazionesanitaria e sui problemi ancora aperti (Il territoriotra assistenza sanitaria e attività socio assistenziale,Punto Omega – Rivista del Servizio sanitario delTrentino n. 7, 2001). Relativamente ai distretti sa-nitari lo stimolo ad un vaglio critico dell’espe-rienza trentina viene anche dall’approvazione delpiano sanitario nazionale 1998/2000 e del de-creto legislativo n. 229 del 1999, atti nei quali siaccentua il rilievo primario del territorio, luogoelettivo per la pianificazione partecipata degli in-terventi di mantenimento e miglioramento dellasalute e per l’integrazione dei servizi sociali e sa-nitari. Una prima constatazione riguarda, comesi desume anche dalle opinioni registrate dallastampa locale, la collocazione sfumata del distret-to all’interno del sistema sanitario. Esistono con-cezioni assai diverse circa la posizione e le finali-tà del distretto a seconda che lo si veda come strut-tura “decentrata” ovvero “costitutiva” del sistema.Per l’Azienda il termine decentramento può ave-re allora il significato di periferizzazione dei ser-vizi meno complessi, ma idonei a fronteggiare ca-si clinici semplici e a filtrare le complicanze ver-so le strutture sovraordinate; specularmente, alcontrario, per le comunità la territorializzazionedei servizi può voler dire rivendicazione di fun-zioni di cui un centro onnivoro le avrebbe de-private, chiedendo, ad esempio, l’istituzione an-che nel proprio ospedale di zona di specialità giàe proprio perché presenti altrove. Il distretto co-me struttura costitutiva del sistema sanitario lo-cale vuole invece siano mantenute o fondate sul

territorio le funzioni di prevenzione e assistenza,che su di esso non solo più agevolmente e profi-cuamente, ma anche con maggiore appropriatez-za ed efficacia possono essere svolte.Da questo punto di vista, per esempio, ha mino-re rilievo il fatto che la direzione di un ospedaledi zona sia connessa a quella di un unico servizioospedaliero provinciale, anziché essere affidata al-la responsabilità di una direzione distrettuale. Ciòche conta, per il vero, non è la soluzione organiz-zativa individuata per ragioni di ottimizzazionegestionale, quanto invece che siano prestati sul ter-ritorio tutti gli interventi specialistici che posso-no esservi validamente erogati e ragionevolmen-te sostenuti. Simile prospettiva domanda un ap-proccio culturale meno legato a modelli pirami-dali con gerarchie di funzioni superiori e subal-terne e più vicino alla rappresentazione di un si-stema a rete, sui nodi della quale si distribuisconole funzioni in base al principio di sussidiarietà.Unaltro elemento di evidente debolezza dei distrettirisiede nella esiguità demografica di molti di essi,tale da non permettere, in qualche caso, la con-centrazione di risorse umane e materiali necessa-ria per il loro autonomo funzionamento e tale co-munque che non residuano spazi, sia pure margi-nali, di scelta nel loro impiego. L’impossibilità neifatti di determinare nel distretto alcuna diversa al-locazione di risorse, se non già preventivata a li-vello aziendale, limita le possibilità di manovra de-gli operatori e frustra ogni volontà di partecipa-zione alla definizione di programmi di attività.È bene ricordare in proposito che nel 1997 vieneintrodotto, e via via negli anni affinato, il sistemadi gestione per budget con l’assegnazione cioè al-le varie strutture aziendali di specifici obiettivi erelative risorse dedicate con susseguente valuta-zione dei risultati raggiunti. L’Azienda, in lineacon gli obiettivi fissati dalla Provincia, approva unprogramma di attività sulla base del quale si co-struisce il budget delle diverse strutture aziendalifra cui i distretti. Per il distretto il budget è nego-ziato con la direzione aziendale dal suo direttoreche si fa interprete e portavoce delle esigenze nuo-

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ve o in aumento del territorio circa la tutela, laprevenzione e la cura della salute. Il programmadi attività del distretto è pertanto permeabile allevariazioni percepite nella domanda dei servizi sa-nitari.Ma i cambiamenti nella programmazione enell’impiego delle risorse dipendono ora solo dauna lettura unilaterale delle priorità. Difetta unpreventivo, esplicito e pur regolamentato confrontotra istituzioni sanitarie e istituzioni rappresentati-ve della comunità. Se ciò avvenisse, purché in unospazio territoriale abbastanza ampio per permet-tere un dibattito di sufficiente respiro, si perver-rebbe a scelte validate da un informato ampio con-senso. La delimitazione di ambiti distrettuali otti-mali per estensione e popolazione, ottenibile conla riduzione del numero di quelli attuali, è perciòil presupposto di qualunque revisione si voglia in-traprendere in tema di distretti. E che i distrettidebbano essere ripensati è un convincimento chelentamente si fa strada a causa dell’emergere dinuove domande da parte dei cittadini.Indagini condotte su mandato dell’Amministra-zione provinciale (Nadio Delai, a cura di,Azien-da provinciale per i servizi sanitari - Qualità & Sa-lute: utenti, medici e infermieri giudicano il sistema sa-nitario locale, Milano, Franco Angeli, 2003) con-fortano per l’elevato livello di soddisfazione deitrentini nei confronti dell’offerta di servizi e pre-stazioni assicurati dal sistema sanitario locale, maevidenziano nuove tuttora insoddisfatte aspettati-ve di continuità tra i diversi livelli di assistenza,specialmente tra ospedale e territorio, e di acces-so rapido e diretto alle prestazioni diagnostiche eterapeutiche.Gli assistiti e gli operatori fotografa-no così lo stato di impreparazione del sistema afronteggiare pienamente le esigenze assistenzialidelle persone lungodegenti o non autosufficientie dei malati terminali. Le strutture ospedaliere che,con la diminuzione dei posti letto e la riduzionedei tempi di degenza, restringono i propri inter-venti alla cura delle acuzie, sono per contrappas-so sovraccaricate di richieste di prestazioni spe-cialistiche e diagnostiche spesso inutili o superflue.Si riscopre in questo modo che la parte recitata

dal distretto è affatto specifica e da coprotagoni-sta in un sistema sanitario di elevate qualità ed ef-ficacia. In realtà la gestione dei problemi sanitariladdove la gente risiede dovrebbe essere la normae la cura presso le strutture ospedaliere solo even-tuale e per lo stretto tempo di permanenza indi-spensabile. Ciò è possibile se sul territorio si dis-pone del supporto di servizi sociali e sanitari in-tegrati e se si può contare sulla presenza di pro-fessionalità sociali e sanitarie in grado di accom-pagnare costantemente gli assistiti nei percorsi dicura e riabilitazione e prima e dopo l’esecuzionedi interventi a carico di strutture specialistiche.Il successo del distretto però non può essere affi-dato unicamente alla buona organizzazione dei ser-vizi e alla sensibile competenza degli operatori.Occorre che il distretto sia informato a una visio-ne condivisa delle sue finalità di prevenzione e dipromozione non meno che di riparazione e recu-pero della salute; occorre che sia dotato di potestànon virtuali per coinvolgere le istituzioni localipubbliche e private, i professionisti sanitari dipen-denti e convenzionati e la cittadinanza nelle sueespressioni di volontariato (Il volontariato in Trenti-no, pubblicazione della P.A.T.nella collana Infoso-ciale n. 5, 2003), nella pianificazione e attuazionedi programmi di attività mirati agli specifici e pre-valenti bisogni dei cittadini di un determinato am-bito territoriale.Certo un distretto con capacità digoverno della salute sul suo territorio non si edi-fica senza costi politici e organizzativi per chi,Pro-vincia e Azienda, ha comunque l’onere e il dove-re di dare organicità ed equilibrio alle componen-ti del sistema sanitario provinciale. Però al prezzodi qualche allungamento nei tempi di decisione odi qualche soluzione concordata, si possono recu-perare alla luce di un confronto aperto e palese leresistenze latenti o le opposizioni pregiudiziali al-la programmazione sanitaria e si può rendere cre-dibile e perseguibile l’obiettivo di migliorare lo sta-to di salute delle comunità.

PROGETTI DI RIFORMAGli aspetti critici della struttura distrettuale, che

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affiorano dalla valutazione dell’esperienza, ri-guardano in sintesi l’incertezza delle finalità e ilsottodimensionamento del distretto, la scarsa in-tegrazione dei servizi assistenziali sociali e sanita-ri sul territorio, la problematica regolazione del-l’accesso alle prestazioni secondo criteri di ap-propriatezza e urgenza, le interruzioni della con-tinuità assistenziale nei percorsi di cura e riabili-tazione, la debole partnership professionale e so-ciale nell’analisi delle priorità e nella progetta-zione e attuazione degli interventi assistenzialicorrelati.Intanto nel 1998 un provvedimento legislativo didisciplina degli interventi di assistenza sociale (leg-ge provinciale 28 maggio 1998 n. 6) istituisce leresidenze sanitarie assistenziali o per meglio direriconosce alle numerose case di soggiorno per an-ziani il ruolo, che di fatto già svolgono, di ospita-lità per pazienti non autosufficienti stabilizzati mabisognosi di assistenza socio-sanitaria. Istituisceinoltre le unità valutative multidisciplinari: orga-nismi tecnici formati da professionisti esperti incampo sociale e sanitario e insediati nei distretti,cui è commesso l’esame delle domande o delleproposte di interventi di assistenza socio-sanita-ria e la decisione circa le prestazioni appropriateerogabili a domicilio o presso strutture. Funzio-ne e scopo delle unità valutative multidisciplina-ri consistono nell’erogazione di interventi ade-guati e sufficienti al bisogno sulla base di proget-ti assistenziali individualizzati e nella razionaliz-zazione dell’accesso a detti interventi, che avvie-ne unicamente per suo tramite, avuto riguardo al-la gravità e all’urgenza del caso e del luogo di re-sidenza e dello stato familiare del beneficiario.Successivamente al 1998, salvo disposizioni cir-costanziate, non vengono approvate altre leggi diriforma organica. La stagione è, tuttavia, di im-pegno rilevante nella progettazione di possibilicorrezioni all’assetto delle strutture e dei serviziladdove se ne scorgono fragilità e nella speri-mentazione, soprattutto, di nuove soluzioni orga-nizzative e gestionali anticipatrici di una oppor-tuna rivisitazione generale della disciplina del Ser-

vizio sanitario provinciale. Nel 2000 la Giuntaprovinciale approva un disegno di legge di rifor-ma del Servizio sanitario provinciale, con il qua-le si prospettano per il distretto innovazioni strut-turali, organizzative e funzionali, che dovrebberoconsentirne il rilancio. Il disegno di legge, con-trastato da paralleli progetti legislativi, che met-tono in dubbio la scelta di mantenere sul territo-rio provinciale una unica azienda sanitaria, nongiunge comunque alla discussione in aula consi-liare. Ma con l’apertura della nuova legislatura laGiunta provinciale riprende in mano il progettodi riforma, approvando nel 2004 un primo dise-gno di legge recante disposizioni sulla “Parteci-pazione delle istituzioni locali e delle professionisanitarie per la realizzazione delle politiche per lasalute” (disegno di legge di iniziativa della Giun-ta provinciale n. 43/2004).Il disegno di legge, per quanto qui di maggioreinteresse, prevede l’ampliamento dell’estensioneterritoriale dei distretti e la loro riduzione nu-merica: da tredici a sei. Costituisce poi un orga-nismo l’Assemblea dei presidenti dei Comitati didistretto, di raccordo tra l’Amministrazione pro-vinciale e i Comitati stessi rappresentativi di tut-ti i comuni. L’Assemblea è candidata perciò ad es-sere la sede dove la Provincia potrà costantemen-te confrontarsi sulle scelte future di politica sani-taria o socio-sanitaria e sulle scelte per la tuteladella salute e dove le comunità potranno docu-mentare le prevalenti esigenze del territorio e di-battere proposte di intervento. Il disegno di leg-ge, infine, adottando con un mutamento non pu-ramente lessicale la locuzione “politiche per la sa-lute”, allarga l’orizzonte dalle politiche sanitariealla promozione della salute e formalizza un orien-tamento che da tempo rappresenta la direttrice dimarcia. L’Azienda sanitaria, in piena sintonia congli indirizzi della Provincia, approva infatti nel2001 un documento programmatico (Program-ma di sviluppo strategico, pubblicazione dellaA.P.S.S. nella collana Miglioramento continuodella qualità, 2001) in cui si afferma:“... la promozione della salute non è una responsabi-

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lità esclusiva del settore sanitario, ma è invece il risul-tato dell’azione intersettoriale di tutte le componenti diuna comunità; esse devono agire in maniera integrataper aiutare i singoli e la collettività nel suo insieme adacquisire un maggiore controllo sui fattori che determi-nano la salute e a fare scelte che la migliorino. Condi-zioni essenziali perché il processo di promozione dellasalute si svolga correttamente sono la partecipazione eil coinvolgimento attivo delle persone e della comunità... Il distretto è il contesto privilegiato per (le) iniziati-ve di partecipazione e di coinvolgimento”. Nel 2001vengono stipulati gli accordi provinciali integra-tivi con i medici di medicina generale e con i pe-diatri di libera scelta (Accordi provinciali per i medi-ci convenzionati, pubblicazione della P.A.T. nellacollana Infosanità n. 18, 2002). È questa una tap-pa significativa nel processo di miglioramento deiservizi distrettuali.Viene fortemente incentivatol’associazionismo medico in vista del potenzia-mento e della qualificazione dell’assistenza am-bulatoriale e della instaurazione di collaborazio-ni organiche tra i responsabili del distretto e l’in-sieme dei medici convenzionati che vi operano.Anche grazie a questa incentivazione, dal 2000 al2004 la percentuale dei medici di medicina ge-nerale associati nelle varie forme passa dal 18% al50% (Qualità dell’assistenza e forme associative in me-dicina generale, documentazione del seminario or-ganizzato a Trento dalla Scuola di Formazione inmedicina generale, reperibile sul sito: www.scuo-lamgtn.it). È poi richiesta la partecipazione deimedici curanti alle riunioni delle unità valutati-ve multidisciplinari quando sono presi in esamei casi di loro assistiti e viene compensato l’incre-mento di attività di assistenza a domicilio, anchea sostegno del progetto di cure palliative promossodalla Provincia e varato dall’Azienda su base di-strettuale (L’accompagnamento nelle cure di fine vita:dignità della persona e qualità della cura, atti del con-vegno organizzato a Rovereto dalla Fondazionetrentina per il volontariato sociale, 2004).Anco-ra sono resi operativi i cosiddetti “progetti obiet-tivo” per lo studio e la sperimentazione di mo-dalità di miglioramento degli interventi, sia con

riferimento alla loro validità clinica sia con ri-guardo alla loro organizzazione e gestione, comead esempio nel caso del progetto per la regola-zione dell’accesso alle prestazioni diagnostico-te-rapeutiche secondo criteri di priorità e urgenza(Tempi di attesa e priorità cliniche – esperienze a con-fronto, atti del convegno organizzato a Roveretodalla A.P.S.S., Roma, Esseditrice, 2003).In esecuzione delle previsioni dell’accordo pro-vinciale con i medici di medicina generale, infi-ne, la Provincia emana direttive per la riorganiz-zazione dei servizi di continuità assistenziale sulterritorio. Il piano sanitario nazionale 2003-2005ribadisce la “necessità ormai inderogabile di organiz-zare meglio il territorio spostandovi risorse e servizi cheancora oggi sono assorbiti dagli ospedali, in una logicadi sanità ospedalocentrica che oggi non è più sostenibi-le” e asserisce inoltre che “il gradimento dei cittadi-ni verso l’assistenza di base consiglia di recuperare inpieno questa risorsa riportandola al centro della rispo-sta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Ciò inraccordo con le altre presenze nel territorio. Questo do-vrà uniformarsi con un governo unitario della sanità nelterritorio espresso nella partecipazione alle scelte di pro-grammazione”. In provincia di Trento lo sposta-mento delle percentuali della spesa sanitaria a fa-vore degli interventi di assistenza distrettuale te-stimonia la maggiore attenzione dedicata al ter-ritorio. Per l’assistenza distrettuale – compren-dente l’assistenza di base, l’assistenza farmaceuti-ca, l’emergenza, l’assistenza specialistica ambula-toriale, l’assistenza territoriale e semiresidenzialee l’assistenza residenziale sanitaria – la percentua-le sul totale della spesa sanitaria negli anni dal 1999al 2003 cresce dal 47% al 51%.Ma anche la ricerca e il sostegno alla partecipazio-ne sociale ha interessato costantemente la direzio-ne dell’Azienda sanitaria, non da ultimo nella co-struzione della Carta dei servizi (Cleto Corposan-to e Adriano Passerini, a cura di,La costruzione par-tecipata della Carta dei servizi in sanità: l’esperienza del-l’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provin-cia autonoma di Trento,Milano,Franco Angeli,2004).Quando si parla di partecipazione il rischio è quel-

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lo di largheggiare nell’uso di un termine politi-camente corretto e portatore di esteso consenso,ma di non sapere poi dare alla medesima parolasignificato univoco e contenuti operativi. La sa-lute è un bene che le persone, le comunità e glioperatori sanitari sono parimenti interessati a tu-telare, sebbene con azioni e responsabilità non so-vrapponibili. E se la partecipazione alle scelte nonpuò né deve significare confusione di ruoli o com-mistione delle parti, il governo della salute d’al-tra parte non è monopolio di una qualsiasi parti-colare categoria. L’esperienza conferma che l’in-tensità del coinvolgimento di tutti gli attori incampo attorno all’obiettivo salute è correlata inmodo proporzionalmente diretto all’incrementodel patrimonio comune di conoscenza.All’eleva-mento del livello del sapere collettivo guardanole iniziative di comunicazione e di educazione sa-nitaria promosse dalla Provincia e dall’Azienda.La Provincia vara due importanti campagne dicomunicazione sul corretto uso dei farmaci neltriennio 2002/2004 e sul lavoro sicuro nel 2004.Provincia e Azienda inoltre curano attentamentel’educazione a stili di vita e comportamenti cor-retti in ordine ad esempio all’alimentazione, allepratiche sportive e all’uso di sostanze, attraversopubblicazioni, pieghevoli e interventi di espertipresso scuole e altre istituzioni. Ma l’allargamen-to delle conoscenze si avvale anche della crea-zione da parte dell’Azienda, su mandato della Pro-vincia, di un sistema informativo territoriale.

Le informazioni che così possono essere elaborate efornite con tempestività serviranno anche alle co-munità per la comprensione degli eventi e del lorodifferente manifestarsi nei diversi ambiti territoriali.

MODELLI E STRUMENTI OPERATIVI NEL DISTRETTOAlla progettazione normativa per la revisione deldistretto e allo studio dei cambiamenti che pos-sono essere attivati in via amministrativa si affiancala promozione, in un primo tempo sotto formadi sperimentazione, di modelli e strumenti ope-rativi nella direzione di una significativa valoriz-zazione degli operatori e di un progressivo po-tenziamento delle attività sul territorio.

L’associazionismo medicoIn provincia di Trento gli interventi sull’associa-zionismo medico sono stati orientati secondo duedirettrici principali: la prima finalizzata ad unacrescita numerica delle associazioni nella convin-zione che tale modalità organizzativa rappresen-ta il futuro della medicina generale e che pertan-to è strategicamente rilevante creare condizionifavorevoli affinché i medici di medicina genera-le, solitamente professionisti isolati, inizino a con-frontarsi all’interno di équipe. Di fatto questo in-tervento ha portato ad un progressivo aumentodel numero di associazioni, nelle diverse formepreviste dall’Accordo Collettivo Nazionale, co-me evidenziato nella tabella n. 1 che riporta lo

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Distretti Popolazione* Associazione Gruppo ReteN. Assistiti Medici N. Assistiti Medici N. Assistiti Medici

Primiero 9.839 1 4.105 3Fiemme e Fassa 27.762 1 7.514 5Bassa Valsugana 25.694 1 8.115 6Alta Valsugana 46.602 4 17.300 14Trento Valle Laghi 160.948 10 43.492 31 6 27.595 23 5 38.327 28Valle di Non 37.143 2 7.357 6 2 8.350 6Valle di Sole 15.020 2 8.069 6Giudicarie e Rendena 35.647 3 11.798 10 1 5.300 4Alto Garda e Ledro 42.955 1 5.399 4 3 14.980 11 1 7.601 6Vallagarina 81.550 2 8.270 8 5 26.308 19 3 19.848 14Totale 483.196 22 100.014 76 22 103.938 80 9 65.776 48

TABELLA 1 - Stato dell’arte sull’associazionismo medico in provincia di Trento (30.06.2004)

*Annuario statistico Provincia autonoma di Trento a.2002.

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stato dell’arte sulle associazioni in provincia diTrento al 30 giungo 2004. Nello specifico appa-re importante sottolineare che alla data della ri-levazione il numero complessivo di medici orga-nizzati in forme associative risultava essere pari an. 204 unità e che oltre il 50% degli assistiti(279.758 utenti) era in carico a detti sanitari.La seconda direttrice sulla quale si è intervenutiè stata quella della qualificazione dell’assistenzaambulatoriale dei medici che operano nelle for-me associative. L’Accordo integrativo provincia-le ha tradotto in requisiti specifici e misurabili leattività svolte dai medici in associazione per ga-rantire agli stakeholders una precisa conoscenzasugli impegni assunti. Nello specifico le iniziati-ve più rilevanti dell’accordo decentrato, sotto-scritto nell’agosto 2001, risultano essere le se-guenti:� la presenza di ogni medico in ambulatorio percinque giorni alla settimana, fatto salvo quantoprevisto dall’Accordo collettivo nazionale, perun orario individuale complessivo minimo di75 minuti per ogni 100 assistiti fino alla sogliadi 18 ore settimanali, con l’obbligo di indicareai propri assistiti i periodi di effettuazione di ta-le orario;

� il coordinamento degli orari dei singoli mediciin modo da garantire complessivamente una dis-ponibilità all’accesso di almeno 8 ore – equa-mente suddivise tra mattino e pomeriggio conperiodi di almeno 3 ore, di cui due consecutive– per cinque giorni a settimana e con aperturagiornaliera di almeno uno degli ambulatori fi-no alle ore 19.00;

� la possibilità per l’assistito di accedere su preno-tazione agli ambulatori in almeno 2 giorni a set-timana nel primo anno di vigenza dell’accordoe – per i medici che si avvalgono di un colla-boratore di studio o di un infermiere – con pro-gressivo aumento fino a raggiungere almenoquattro giorni;

� la risposta alle chiamate di qualunque assistitodell’associazione da parte dei medici o loro col-laboratori presso uno degli studi, anche a turno

o per fasce orarie distinte, per almeno comples-sive quattro ore giornaliere di cui una dalle ore18.00 alle ore 19.00;

� l’applicazione di procedure convenute con l’A-zienda provinciale per i servizi sanitari atte a ren-dere funzionale ed efficiente il collegamento coni servizi di continuità assistenziale;

� la disponibilità alla reciproca sostituzione e il ri-spetto, nel caso di sostituzione interna all’asso-ciazione, delle condizioni e dei parametri pre-visti dall’Accordo collettivo nazionale;

� l’effettuazione di riunioni periodiche tra medi-ci associati e la nomina di un delegato dell’as-sociazione tenuto a garantire i rapporti con lestrutture distrettuali e ospedaliere;

� l’adesione a linee guida diagnostico terapeuti-che preventivamente elaborate e condivise a li-vello distrettuale o provinciale;

� la partecipazione ai progetti obiettivo a livelloprovinciale o distrettuale previsti dall’Accordointegrativo provinciale;

� l’utilizzo di software per la gestione delle sche-de sanitarie che permettano comunque l’ac-cesso ai dati dei medici associati e l’aggiorna-mento di tali schede con frequenza almenomensile;

� il contenimento dell’attività libero professiona-le strutturata entro le cinque ore settimanali;

� l’adozione, l’esposizione in ambulatorio e la dif-fusione fra gli assistiti di una carta dei servizi del-l’associazione.

L’Unità Valutativa MultidisciplinareL’Unità Valutativa Multidisciplinare (di seguitodefinita UVM) è uno strumento operativo per lavalutazione dei bisogni complessi, di natura socioassistenziale e sanitaria, e per l’individuazione, nel-l’ambito delle risorse disponibili, degli interven-ti che meglio rispondono ai bisogni della perso-na, da attuarsi in modo integrato e coordinato daparte della rete dei servizi.Attualmente l’UVM governa l’accesso alle Resi-denze sanitarie assistenziali e all’Assistenza domi-ciliare integrata ed è quindi la porta di accesso al-

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la rete dei servizi territoriali extra ospedalieri.L’UVM è composta da professionisti sanitari (me-dico del distretto,medico di medicina generale chepartecipa di diritto alle sedute, coordinatore delservizio infermieristico territoriale e al bisognomedico specialista) e da rappresentanti dei Servizisociali e ha la finalità di accertare lo stato di biso-gno e il grado di non autosufficienza della perso-na interessata, definendone il profilo funzionalenonché il progetto individualizzato d’interventoda realizzarsi a livello territoriale ovvero attraver-so una struttura residenziale di ricovero. I dati diattività dell’UVM in provincia di Trento nel cor-so del 2003 sono riportati nelle tabelle n. 2 e n. 3.

Fra le iniziative per la qualificazione delle curedomiciliari promosse dall’Azienda provinciale peri servizi sanitari della Provincia autonoma di Tren-to, nell’anno 2004, va ricordata quella condottamediante un gruppo di lavoro che ha avviato unmonitoraggio sulle modalità di funzionamentodell’UVM nei distretti, sullo sviluppo dei proces-si assistenziali territoriali e sulle modalità di inte-grazione fra operatori sanitari e sociali al fine diindividuare criticità e azioni di miglioramento.Dall’analisi dei dati raccolti nel corso degli auditè emerso che l’UVM ha dei margini di miglio-ramento per le funzioni di valutazione dei biso-gni, mediante la definizione dettagliata del pianodi assistenza individualizzato e per il governo del-la domanda,mediante un maggior coinvolgimentodei servizi sociali nei casi maggiormente com-plessi.Va ricordato che nella Provincia Autonomadi Trento i Servizi sociali sono di competenza deicomprensori e dei due Comuni maggiori,Tren-to e Rovereto.

L’assistenza residenzialeNella Provincia di Trento l’assistenza residenzia-le viene erogata in 50 Residenze Sanitarie Assi-stenziali (di seguito definite RSA), pubbliche eprivate, a sede territoriale e ospedaliera.I destinatari delle prestazioni sanitarie e assisten-ziali fornite in tali strutture sono cittadini non au-tosufficienti, non assistibili a domicilio, residentiin provincia di Trento e iscritti al Servizio sanita-rio provinciale.L’accesso alle RSA viene determinato dalla valu-tazione dell’Unità Valutativa Multidisciplinare,operativa presso il distretto sanitario territorial-mente competente.Il distretto, inoltre, d’intesa con le strutture resi-

denziali, al fine di migliorare l’assistenza, provve-de anche a:�elaborare e diffondere, all’interno delle struttu-re, linee guida clinico assistenziali per le patolo-gie prevalenti;

�definire percorsi specialistici integrati con ipresidi ospedalieri e i poliambulatori specia-listici;

�verificare costantemente l’appropriatezza del-l’assistenza sanitaria complessivamente erogata.

L’Azienda sanitaria garantisce agli ospiti non au-tosufficienti prestazioni sanitarie e assistenziali arilievo sanitario (assistenza medica generica especialistica, assistenza infermieristica, assistenzariabilitativa, assistenza generica alla persona, for-

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Attività dell’U.V.M. TotaleRichieste di attivazione UVM 2889Richieste di attivazione per accesso RSA 2057Richieste di attivazione per ADI : 832N. utenti valutati dall’UVM 2656

TABELLA 2 - Attività dell’Unità Valutativa Multidisciplinare (U.V.M.) nel corso del 2003.

Esiti valutazione U.V.M. Valori assolutiUtenti eleggibili per Residenza Sanitaria Assistenziale 1732Utenti eleggibili per Assistenza Domiciliare Integrata (A.D.I.) – A.D.I. Cure Palliative 748Utenti eleggibili in posti letto residenziali 51Utenti eleggibili per altre forme di assistenza (es.A.D.P.) 125Utenti valutati ed accolti in RSA (01.01.2003 al 31.12.2003) 1191Utenti in attesa di accesso in RSA al 31.12.2003 514

TABELLA 3 - Esiti valutazione dell’Unità Valutativa Multidisciplinare (U.V.M.) nel corso del 2003.

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nitura di farmaci e dispositivi medici, trasportisanitari).L’attività medica svolta all’interno delle struttureresidenziali garantisce le funzioni di:�coordinamento e direzione sanitaria;�assistenza medica agli ospiti della struttura, po-sto che durante il ricovero al paziente viene so-spesa l’assistenza del medico di medicina gene-rale, le cui prestazioni sono garantite dalla strut-tura stessa.

Nelle ore notturne, nei giorni prefestivi e festi-vi l’assistenza medica è assicurata dal Servizio dicontinuità assistenziale su chiamata. La presenzaoraria giornaliera del medico nella struttura èrapportata al numero dei posti letto della RSA.Oltre all’attività medica generica, ai pazienti ri-coverati nelle RSA viene garantita, su richiestadel medico della struttura, l’assistenza specialisti-ca sulla base delle necessità e dei piani assisten-ziali concordati per ogni degente con il Distret-to territorialmente competente. Nelle RSA è al-tresì assicurata la continuità assistenziale infer-mieristica che nelle strutture dotate di soli postiletto di base può essere svolta anche mediante l’i-stituto della pronta disponibilità, mentre nellestrutture dotate di posti letto in nuclei ad altofabbisogno assistenziale e nelle RSA Ospedalie-re (di seguito definite RSAO) è garantita me-diante la presenza dell’infermiere nell’intero ar-co delle 24 ore.

Come sopra accennato in alcune RSA sono sta-ti attivati posti letto in nuclei ad alto fabbisognoassistenziale, riservati all’assistenza a persone congravi disturbi comportamentali (o demenze) o apazienti affetti da forme patologiche severe chenecessitano di assistenza qualificata e intensiva.All’interno delle RSA è inoltre prevista la possi-bilità di disporre di posti letto di sollievo che han-no il fine di rispondere ad un bisogno momen-taneo e programmato di assistenza, fissato in unmassimo di 60 giorni all’anno per uno stesso ospi-te. L’inserimento dei pazienti avviene su indica-zione della UVM; in tale evenienza, consideratoil carattere temporaneo dell’istituzionalizzazione,all’assistito non viene sospesa la scelta del medi-co di medicina generale. Le RSAO si configura-no diversamente rispetto alle RSA di base. Infat-ti, in ragione della loro collocazione logistica, con-tigua ad una struttura ospedaliera, rappresentanouna risposta ai bisogni assistenziali derivanti da si-tuazioni clinico assistenziali di notevole impegno,anche se stabilizzate, rispetto alle quali è necessa-rio mantenere la continuità terapeutica e assi-stenziale successivamente al ricovero ospedaliero.Anche in tali strutture l’accesso avviene previa va-lutazione da parte dell’UVM.Il quadro riassuntivo sulla tipologia delle Resi-denze Sanitarie Assistenziali in provincia di Tren-to e il relativo numero di posti letto sono sinte-tizzati nella tabella n. 4.

Le cure domiciliariCon la dizione “Cure Domiciliari” viene intesol’insieme delle attività mediche, infermieristichee/o socio assistenziali svolte al domicilio di uten-ti impossibilitati a raggiungere le strutture sanita-rie e per i quali l’assistenza in casa rappresenta illivello assistenziale più appropriato, anche in for-

ma alternativa al ricovero ospedaliero.L’Azienda provinciale per i servizi sanitari dellaProvincia Autonoma di Trento, nell’ambito delproprio programma di sviluppo strategico, ha in-dicato la direzione da seguire nell’erogazionedell’assistenza, individuando nell’appropriatez-za, nel corretto utilizzo delle risorse e nella de-

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Tipologia delle Residenze Sanitarie Assistenziali Numero Posti lettoR.S.A. Ospedaliere 3 67R.S.A Territoriali 47 4080 (di cui n.41 P.L. di sollievoR.S.A. territoriali con nuclei ad alto fabbisogno assistenziale 14 240 (di cui n.130 P.L. nucleo sanitario

e n.110 P.L. nucleo demenze gravi)Totale 50 4147

TABELLA 4 - Tipologia R.S.A. in provincia di Trento e n. posti letto finanziati dalla Provincia

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finizione delle priorità gli elementi che caratte-rizzano il miglioramento continuo della qualitàdell’assistenza offerta. Sulla scorta di tali indica-zioni anche le cure domiciliari, rappresentate dal-l’assistenza infermieristica domiciliare, dall’assi-stenza domiciliare integrata (comprensiva degliinterventi socio assistenziali), dall’assistenza do-miciliare programmata e dall’assistenza domici-liare integrata – cure palliative, sono state og-getto di interventi di qualificazione finalizzati al-la valorizzazione del processo di presa in caricodel paziente.Nello specifico sono stati oggetto di intervento iseguenti elementi del processo di presa in carico:� la valutazione multidimensionale dei bisogni me-diante l’unità valutativa multidisciplinare;

� la stesura del piano assistenziale individuale;� l’individuazione di un case manager (responsabi-le del caso);

� l’individuazione dei care giver;� la continuità dell’assistenza temporale;� la continuità assistenziale fra servizi diversi e fraospedale e territorio;

� le procedure per la fornitura di dispositivi me-dici e farmaci;

� lo sviluppo del sistema informativo;� l’elaborazione di un sistema di monitoraggio dieventi critici avversi (risk management).

Nello specifico, per quello che riguarda l’assistenzadomiciliare integrata (forma assistenziale finaliz-zata al mantenimento a domicilio dei malati at-traverso un programma di assistenza integrato deiservizi necessari, sanitari e sociali, in rapporto al-le specifiche esigenze di ciascun soggetto) e l’as-sistenza domiciliare integrata – cure palliative (for-ma assistenziale dedicata a pazienti con malattianeoplastica in fase avanzata), gli standard assisten-ziali garantiti dalle unità operative di assistenzaterritoriale dei distretti dell’Azienda sanitaria so-no i seguenti:� la presa in carico multidisciplinare con un ap-proccio di équipe;

� la tempestività della risposta;� la fornitura facilitata di presidi, ausili e farmaciurgenti;

� la continuità assistenziale nel tempo (7 giorni su7) fra servizi diversi (ospedale – territorio) e al-l’interno di percorsi assistenziali.

Nell’anno 2004 la Giunta provinciale ha assegnatoun obiettivo di sperimentazione per lo sviluppodell’Assistenza domiciliare integrata e la conti-nuità assistenziale delle cure domiciliari che hacoinvolto 4 distretti sanitari – Valle di Sole,AltoGarda e Ledro,Trento e Valle di Laghi e Vallaga-rina – i cui dati preliminari sono riportati nellatabella n. 5.

I PROGETTI OBIETTIVO PER I MEDICI DI MEDICINA GENERALEL’Accordo integrativo provinciale per i medici dimedicina generale prevede la realizzazione di pro-getti obiettivo da attuarsi a livello provinciale odistrettuale per finalità coerenti con le indicazio-ni della programmazione sanitaria e orientati alraggiungimento di obiettivi nel campo della pro-

mozione della salute, della prevenzione e cura del-le malattie, dell’integrazione socio-sanitaria e delgoverno della domanda di prestazioni.In ottemperanza a quanto previsto dall’accordointegrativo provinciale, l’Azienda provinciale peri servizi sanitari raccoglie, ogni anno, le propostedi progetti obiettivo pervenute.I progetti raccolti sono successivamente concor-

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Distretto Anno 2003 Anno 2004 (1/01 - 31/05)Valle di Sole 23 12Alto Garda e Ledro 67 38Trento e Valle dei Laghi 627 (n.395 A.D.I.+ n.232 A.D.I.C.P.) 449 (n.311 A.D.I. + n.138 A.D.I.C.P.)Vallagarina 78 61Totale 795 560

TABELLA 5 - Attività ADI nei Distretti coinvolti nel progetto di sperimentazione ADI nell’anno 2003 e nel periodo 01.01.2004 - 31.05.2004

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dati dall’Azienda sanitaria con i rappresentantidelle organizzazioni sindacali dei medici di me-dicina generale; le proposte così selezionate ven-gono poi trasmesse al competente Assessorato al-le politiche per la salute che ne effettua la valu-tazione e stabilisce il relativo finanziamento deicompensi spettanti ai partecipanti.Per l’anno 2003 sono stati approvati i seguentiprogetti:� sperimentazione Raggruppamenti Omogeneid’Attesa (RAO): detto progetto, che ha coin-volto tutti i medici di medicina generale (circa350 partecipanti) della provincia di Trento, erafinalizzato all’implementazione del modelloRAO per la prescrizione di visite e prestazionispecialistiche ambulatoriali sulla scorta di crite-ri di priorità condivisi al fine del contenimen-to dei tempi di attesa;

� interazione telematica ospedale-territorio: pro-getto finalizzato all’implementazione di una re-te virtuale con attivazione di collegamenti tra glistudi dei medici di base e la struttura ospedalie-ra di riferimento, che ha coinvolto 50 medici;

� la gestione del paziente iperteso in medicina ge-nerale: progetto che ha coinvolto 20 medici;

�profilo assistenziale del paziente in terapia anti-coagulante orale: progetto finalizzato a riaffida-re al medico di medicina generale il trattamen-to di tale patologia, cui hanno partecipato 60medici;

�profilo diagnostico assistenziale per i tumoridel colon retto: progetto cui hanno aderito 60medici;

�centri di Alcologia: progetto di assistenza mira-ta cui hanno partecipato 7 medici;

�gestione scompenso cardiaco: progetto che hacoinvolto 60 medici;

�progetto TRIPSS – Scompenso Cardiaco: pro-getto finalizzato al trasferimento dei risultati del-la ricerca nella pratica dei servizi sanitari, che hacoinvolto 100 medici;

� la gestione del paziente diabetico in medicinagenerale: progetto che ha avuto l’adesione di 15medici.

Il finanziamento complessivo per tali progetti (an-no 2003) è risultato essere pari ad euro 464.800,00.Per l’esercizio 2004 sono stati inoltre avviati i pro-getti – finanziati per un importo complessivo dieuro 231.500,00 – di seguito elencati:�qualificazione dell’assistenza farmaceutica: 34medici partecipanti;

� sistema informativo territoriale (S.I.T.): 2 me-dici partecipanti;

�percorso clinico assistenziale tumore malignodel polmone: 60 medici partecipanti;

�percorso clinico assistenziale tumore colon ret-to: 60 medici partecipanti;

�diagnosi precoce sui familiari con fattori di ri-schio più elevato dei pazienti affetti da tumoredel colon retto: 60 medici partecipanti;

�creazione dei presupposti metodologici per ilcollegamento dei medici di medicina generaleal S.I.T.: 40 medici partecipanti;

� counselling sul fumo ad opera dei medici di me-dicina generale: 60 medici partecipanti;

�centri di alcologia: 4 medici partecipanti;�paziente in trattamento anticoagulante orale: 50medici partecipanti.

Ai responsabili di progetto è stato attribuito ilcompito dello sviluppo operativo dello stesso, del-la stesura di una relazione (a sei mesi dall’avvio eal termine) sull’andamento del progetto, con unavalutazione sugli obiettivi raggiunti.I progetti conclusi hanno, generalmente, raggiuntogli obiettivi proposti; tuttavia si è rilevato che, acausa della complessità delle attività previste daalcuni progetti, ad esempio la predisposizione, dif-fusione e condivisione di linee guida, l’arco tem-porale a disposizione per lo sviluppo operativo(un anno), risulta non sufficiente.

La continuità assistenzialeIl Servizio di continuità assistenziale, capillarmentediffuso sul territorio, costituisce una risorsa im-portante nell’ambito dei servizi territoriali, sep-pure risulti ormai evidente la necessità indifferi-bile di una maggiore valorizzazione e qualifica-zione.

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La diffusione del servizio, definita con gli atti isti-tutivi del Servizio sanitario provinciale, non è sta-ta oggetto, nel corso degli ultimi anni, di revisio-ne sulle attività erogate e sostanzialmente conti-nua a svolgere le proprie funzioni con modalitànon difformi da quanto fatto da circa 20 anni aquesta parte. Inoltre la necessità di assicurare allapopolazione modelli organizzativi qualificati ediffusi per gli interventi di urgenza ed emergen-za sul territorio, da realizzarsi mediante la crea-zione di reti integrate (Pronto soccorso ospeda-lieri,Trentino Emergenza 118, Continuità assi-stenziale e Assistenza primaria), impone un ri-pensamento complessivo del sistema.Per tale motivo nel corso del 2004 l’Assessoratoalle politiche per la salute della Provincia Auto-noma di Trento, dopo aver emanato un provve-dimento generale di indirizzo, ha chiesto all’A-zienda provinciale per i servizi sanitari l’elabora-zione di un progetto volto a garantire il Serviziodi emergenza medica, in modo omogeneo su tut-to l’ambito provinciale, evidenziando alcune cri-ticità, di seguito elencate, che devono essere su-perate:� la necessità di ridefinire gli interventi di rior-ganizzazione del servizio di continuità assi-stenziale;

� l’indifferibilità della messa in rete tra servizio/ri-sorse che possono concorrere al buon esito de-gli interventi di soccorso;

� il coordinamento di tutte le risorse impegnatenei servizi di urgenza emergenza territoriale;

� la ridefinizione del modello organizzativo di ur-genza/emergenza esistente in provincia di Tren-to alla luce delle modifiche proposte;

� la presenza di personale medico sul luogo del-l’evento e a bordo di ambulanze;

� il consolidamento delle équipe di pronto soc-corso presso gli ospedali provinciali e distrettuali;

� la necessità di assicurare il trasporto medico as-sistito per pazienti acuti e garanzia di adeguatilivelli di cura in itinere.

Sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Pro-vincia, l’Azienda sanitaria ha elaborato una pro-

posta tecnica che si sostanzia nei seguenti punti:� il coordinamento di tutte le richieste di soccor-so per le urgenze e le emergenze territoriali tra-mite la centrale operativa di Trentino Emergen-za 118;

� la razionalizzazione e riorganizzazione del Ser-vizio di continuità assistenziale;

� l’adesione volontaria di medici di assistenza pri-maria a modelli organizzativi sperimentali e in-tegrati con l’unità operativa Trentino Emergen-za 118 per lo svolgimento di attività di urgenzaed emergenza valorizzando, all’interno di defi-niti criteri e obblighi, il loro contributo.

Il sistema informativo territorialeLa Provincia ha assegnato all’Azienda provincia-le per i servizi sanitari, con gli esercizi 2002 e2003, uno specifico obiettivo per la costruzionedel Sistema Informativo Territoriale (di seguitodenominato SIT).La motivazione che giustifica l’attenzione del go-verno provinciale per tale iniziativa è da ricerca-re nella crescente complessità dei sistemi sanitarie nel fatto che gli attuali sistemi informativi ter-ritoriali risultano carenti per:�difficoltà nell’assemblaggio dei dati, con neces-sità di continue verifiche;

� scarsa oggettivazione dell’attività effettivamentesvolta;

�possibili errori nel passaggio di informazioni.Sulla scorta di tali evidenze è stata avviata la pro-gettazione del SIT con l’obiettivo di porre “il cit-tadino al centro del processo” e quindi di:-ottimizzare le attività e i processi;-garantire la tempestività e l’accuratezza delle in-formazioni;

- assicurare trasparenza e garanzia della privacy;-migliorare l’interazione tra gli operatori e lestrutture.

Con il SIT ci si propone pertanto di garantire l’u-niformità di comportamento degli operatori, de-finire regole che garantiscano la privacy e la sicu-rezza dei dati, costruire una banca dati centrata sul-l’utente e aggiornata in tempo reale e infine

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garantire l’apertura verso l’integrazione con altrisistemi informativi.Il SIT è articolato su due livelli:� il sistema informativo di primo livello all’inter-no del quale ogni servizio territoriale (Psichia-tria,Assistenza sanitaria di base, Neuropsichia-tria Infantile, Psicologia…..) dispone di un si-stema informativo proprio, centrato sull’utente,che registra i dati relativi alle prestazioni e alleattività svolte;

� il sistema informativo di secondo livello (o di-rezionale) che consente di conoscere l’identifi-cativo della struttura erogante, l’identificativodell’utente, l’identificativo dell’operatore che haeseguito la prestazione, la data dell’intervento, laprestazione erogata e la relativa tipologia, l’areafunzionale di erogazione (assistenza program-mata, assistenza specialistica….), la classificazio-ne diagnostica e se è stato attivato un piano as-sistenziale.

Inoltre il SIT consentirà di disporre degli indica-tori, derivanti dall’aggregazione delle informa-zioni provenienti dai diversi sistemi informativiin un unico database centralizzato, che ne con-sentirà l’immediata lettura.In sintesi il SIT consentirà di disporre di impor-tanti informazioni, indispensabili in un modernosistema sanitario, sulla distribuzione dell’utenza,sui percorsi di accesso, sui volumi di attività e suicarichi di lavoro, consentendo pertanto la defini-zione di modelli di intervento per profili di uten-za, percorsi di accesso per tipo di patologia, costiper raggruppamenti diagnostici. Sarà inoltre pos-

sibile disporre della documentazione sanitaria in-dividuale, oltre ad indicatori di attività di struttu-ra di processo ed esito.La costruzione del sistema informativo è artico-lata su tre moduli:� il primo, in fase di completamento, che com-prende le cure domiciliari, il servizio infermie-ristico ambulatoriale e domiciliare, le prestazio-ni di particolare impegno professionale dei me-dici di medicina generale;

� il secondo modulo, che comprende la continui-tà assistenziale, la medicina turistica, l’assistenzaspecialistica, l’assistenza indiretta e le prestazio-ni aggiuntive nonché l’integrazione di alcunearee (assistenza protesica, servizio farmaceutico,unità di valutazione multidisciplinare, residenzesanitarie assistenziali);

� il terzo modulo, che comprende la Psichiatria,la Psicologia, la Neuropsichiatria infantile, i Con-sultori, l’Alcologia e il Centro per i disturbi delcomportamento alimentare.

CONCLUSIONII modelli e gli strumenti operativi progettati, le ini-ziative sperimentate e le innovazioni gestionali in-trodotte prefigurano il “nuovo” distretto e predi-spongono il terreno ad una sanzione formale deldistretto come struttura territoriale per il governodella salute. I cambiamenti parziali che sono pro-gressivamente indotti attraverso un processo lun-go e faticoso,ma soprattutto coinvolgente tutti gliattori del sistema, sono la migliore premessa per uncomplessivo cambiamento reale e duraturo.

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In Calabria, forse più che in altre realtà, l’o-spedale ha costituito a lungo l’unico “forte”riferimento sanitario per il cittadino e l’uten-te ha da sempre considerato l’ospedale quale

termometro per valutare la presenza e l’efficaciadel sistema sanitario, affidando invece al territo-rio un ruolo secondario e marginale (un luogoper lo più conosciuto per una serie di prestazio-ni amministrative, come la scelta del medico dimedicina generale; la prenotazione di visite e ac-certamenti specialistici e poco di più). Le istitu-zioni locali, inoltre, sono risultate molto attentead intraprendere lotte politiche contro decisioniregionali di riconversioni di presidi ospedalieri instrutture sanitarie diverse, ma non sempre hannodedicato un’analoga attenzione e sostegno ai pro-cessi di sviluppo e riorganizzazione dei distrettiintesi non come mera articolazione territorialedell’azienda sanitaria ma anche come articolazio-ne organizzativa, con una funzione di commit-tenza e produzione di attività e servizi.Negli anni ’90 la Regione era caratterizzata dal-la presenza di una miriade di ospedali, molti deiquali erogatori di medesime prestazioni in un am-bito territoriale molto ristretto.In questo contesto la legge regionale 13 aprile1992, n. 3 ha rappresentato una felice intuizionedel legislatore regionale, scegliendo di riorganiz-zare il sistema sanitario in centri di governo piùvasti (da 33 USL si è passati ad 11 USL), con uten-za media di 196.000 abitanti, anticipando quan-to poi previsto all’art. 3 della legge di riordino502/92, come soluzioni miranti ad una maggio-re economicità e razionalità nell’impiego delle ri-sorse ed efficienza dei servizi. Il primo piano sa-

nitario regionale, già in discussione dal 1992 e ap-provato nel 1995, nasce quindi in un contesto diinnovazioni legislative nazionali e regionali e for-nisce l’essenziale riferimento per i processi diaziendalizzazione e diversificazione dei servizi sa-nitari, con collocazione degli stessi in una logicadi “rete”. Le scelte di fondo erano chiare, anchese in seguito risultate di difficile attuazione. Leaziende dovevano mirare ad un serio riequilibriotra ospedale e territorio, operando in duplice mo-do: da un lato realizzando i distretti come reali ri-ferimenti per i cittadini, dall’altro razionalizzan-do le attività degli ospedali (non si prevedevano“chiusure” complessive di ospedali, ma supera-mento di duplicazioni di servizi e programma-zione reale del fabbisogno).Per quanto riguarda il distretto, va premesso chelo stesso Piano Sanitario Nazionale 1994-96 nonforniva riferimenti sul “modello organizzativo”,osservando che l’attuazione dei distretti in Italiaavrebbe seguito strade molto differenziate, sia inragione di fattori oro-geografici (come la loca-lizzazione rurale, urbana, metropolitana), sia peradeguarsi ai reali bisogni dei cittadini in sede lo-cale. In sostanza, il PSN conteneva indicazioniaperte, lasciando alla Regione il compito di indi-viduare la tipologia distrettuale più appropriata inrapporto alle proprie esigenze.La configurazione geomorfologica della Regio-ne, caratterizzata da una dorsale montuosa coninsediamenti abitativi e vie di comunicazione me-no diffuse delle zone costiere, ha reso necessarioindividuare ambiti territoriali differenziati di di-stretto, nelle zone urbane, extraurbane, montaneo costiere. Il Piano sanitario del 1995 già defini-

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IL DISTRETTO IN CALABRIA a cura di Maria Gabriella RizzoDipartimento della Sanità - Regione Calabria

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va il Distretto come area organizzativa “flessibi-le”, con la funzione di governare l’insieme deiservizi territoriali per la popolazione di riferi-mento, garantire l’integrazione dei servizi sanita-ri tra loro e con i servizi sociali, costituire il pun-to di riferimento al cittadino per l’accesso ai ser-vizi sanitari aziendali. Individuava con chiarezza,inoltre, la “mission” del distretto come area di go-verno dei servizi territoriali da costruire parten-do dalla lettura dei bisogni della popolazione, nontraducibile in un mero “organigramma di strut-ture eroganti servizi sanitari di base”.Il Piano del 1995 accoglieva, in sostanza, le scel-te nazionali sul distretto e adottava una partico-larità: prevedeva l’articolazione dei distretti in cen-tri di servizi piuttosto diffusi sul territorio, defi-niti “poli sanitari territoriali”, dotati di persona-le funzionalmente addetto e di un Responsabile(non esclusivamente dedicato a questa funzione).I poli erano chiamati a svolgere localmente le fun-zioni di primo livello per prevenzione, diagnosi,cura ed educazione sanitaria della popolazioneresidente, con esclusione delle funzioni più com-plesse e di quelle avente carattere collettivo, es.igiene pubblica, nonché di quelle supportate dauna specifica organizzazione a latere. Erano, es-senzialmente, centri sub-distrettuali, corrispon-denti al vecchio modello di Distretto Sanitario diBase di cui alla L. 833/78. L’idea era concentrarenel distretto le funzioni di tutela e “committen-za” (intesa come l’individuazione di “quali rispo-ste per quali bisogni”), nonché le funzioni di ero-gazione dei servizi specialistici di maggiore com-plessità, garantendo attraverso i Poli sanitari ter-ritoriali una presenza capillare dei servizi di pri-mo livello per rispondere alle esigenze di un ter-ritorio fortemente disomogeneo, con servizi “vi-cini al cittadino” e per tentare di superare l’otti-ca “ospedalocentrica”.Tuttavia, la realizzazione diqueste indicazioni ha incontrato diversi ostacolinella realtà e a lungo il sistema sanitario regiona-le è rimasto concentrato sulle funzioni ospeda-liere. In particolare la rete distrettuale, pur opera-tiva dagli anni ’90 (33 distretti; 94-98 poli sanita-

ri territoriali) non è riuscita realmente ad effet-tuare il passaggio, prefigurato dal PSR 1994-96,da mera sede di erogazione di servizi a luogo di“governo” e di integrazione. Negli ultimi anni siè rafforzato l’impegno, anche finanziario, dellaRegione per il riequilibrio ospedale/territorio.Il decreto legislativo 229/99 modifica l’assettodell’organizzazione distrettuale, tuttavia è statonecessario aspettare il 2001 per avere un indiriz-zo da parte della Regione Calabria su tale orga-nizzazione. La Giunta regionale ha fornito indi-cazioni nelle “Linee Guida sulla predisposizionedegli atti aziendali”, prevedendo – tra l’altro – larivalutazione del ruolo dei medici di famiglia neldistretto.Ripercorrere le tappe del sistema sanitario terri-toriale nella Regione dagli anni ’90 ad ora esula

dal presente contributo, mentre si vogliono evi-denziare alcuni fattori di criticità, da cui si è par-titi per prefigurare, nel recente PSR 2004-06, il“nuovo” distretto.Sicuramente una delle maggiori difficoltà ha ri-guardato la carenza del confronto e della colla-borazione fattiva con le istituzioni interessate, inprimo luogo con i Comuni (n. 409 nella Regio-ne). Il Distretto avrebbe dovuto porsi come in-terlocutore tra due referenti, l’ASL da una partee i Comuni dall’altra, agendo da “ponte” tra ledue istituzioni, per garantire le prestazioni socio-sanitarie a fronte dei bisogni complessi della po-polazione. Si è dovuto registrare, invece, che ladefinizione di “Distretto Sociosanitario” ha as-sunto un valore puramente nominalistico. È purvero che la mancata sinergia tra Ente Locale eAzienda Sanitaria è da addebitare, da un lato, al-la difficoltà dei Comuni ad associarsi in ambitiben definiti, tali da costituire interlocutori certi

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1. Difficile confronto e interrelazione con le Istituzioni locali2. Mancanza di stabilità degli organi di vertice aziendali e regionali3. Dispersione eccessiva della popolazione e viabilità precaria4. Rapporto non integrato con ospedale e con la rete dei dipartimenti 5. Mancanza di coordinamento e integrazione con i Medici di famiglia6. Carenza di professionalità specifiche per l’assistenza sul territorio

Le maggiori criticità nel funzionamento dei distretti

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per il distretto nella programmazione dei serviziper i soggetti fragili, dall’altro alla difficoltà di su-perare una logica “municipalistica”, legata alla di-fesa dei presidi ospedalieri, anche piccoli e di dub-bia utilità, lasciando inattuati i principi relativi al-la prevenzione e allo sviluppo dei servizi territo-riali. In tale ambito, il Piano attuale mira ad unacoincidenza tra distretti e ambiti sociali.Altro nodo critico rilevante può ricondursi alcontinuo ricambio del vertice dirigenziale nelleaziende sanitarie, che ha determinato linee di dis-continuità nella gestione dei servizi e nell’auto-nomia decisionale dei singoli Dirigenti (spessoall’incarico di Direttore di distretto non seguivauna chiara delega sulle funzioni e di fatto ognipotere decisionale veniva riservato al Direttoregenerale).Vanno, inoltre, considerate alcune ca-ratteristiche territoriali e oro-geografiche dellaRegione, caratterizzate da una rilevante disper-sione della popolazione, con una densità mediaregionale di 135 abitanti per kmq, ma con signi-ficative diversità (con un massimo di 283 abitan-ti nella USL di Reggio Calabria e un minimo di82 abitanti nella USL di Castrovillari). Inoltre, lamaggior parte della popolazione vive in centripiccoli, e in particolare quasi il 15% della popo-lazione risiede in Comuni con meno di 2.500abitanti, che sono il 50% dei Comuni calabresi; il24% della popolazione risiede nei 5 Comuni conoltre 50.000 abitanti, di cui solo uno con più di100.000 abitanti; il restante 61% della popolazio-ne risiede negli altri Comuni.Questi piccoli centri sono ad economia prevalen-temente agricola, con scarsi servizi disponibili inloco e con viabilità precaria, soprattutto nelle zo-ne interne. Quest’ultimo elemento è forse quellopiù critico per lo sviluppo di gran parte del terri-torio, costringendo le ASL a sostenere maggioricosti nell’erogazione dei servizi per assicurare mag-giore accessibilità territoriale, sia nella rete dell’e-mergenza urgenza che per le prestazioni ambula-toriali dei distretti. Rispetto a questo, anche la si-tuazione attuale dei servizi sanitari presenta, in al-cuni contesti, forti carenze dei servizi sanitari pub-

blici e ciò sia per la vetustà del patrimonio esi-stente sia per la frammentazione e duplicazionedei punti di erogazione delle prestazioni correla-te ad una scarsa presenza sul territorio stesso distrutture specializzate. Se questi elementi sono im-portanti, un altro è il fattore di maggiore critici-tà: il rapporto tra il distretto e le altre articolazio-ni aziendali e prima di tutto l’ospedale. Un rap-porto che si è tentato con il collegamento tra di-partimenti, siano essi territoriali o misti, ossia ospe-dale-territorio. Purtroppo, con aziende poco sta-bili nei modelli organizzativi, si sono susseguitesperimentazioni diverse di rapporto tra diparti-menti e distretti, che mantenevano, di fatto, unarealtà caratterizzata da distretti deboli, in cui ogniunità operativa decentrata faceva riferimento alproprio capo servizio o dipartimento, anziché aldistretto. Con conseguenti conflitti o sovrapposi-zione di competenze, storicamente legati alla pre-senza di personale giuridicamente incardinato nel-la struttura di appartenenza (dipartimenti) e fun-zionalmente collocato nel distretto – modello dirapporto a matrice. Non certamente come ulti-mo elemento, si pone la difficoltà di trovare glistrumenti operativi per rendere effettivo il rac-cordo tra distretto e medici di famiglia. Un rac-cordo considerato centrale già nel PSR 1995-97e senza il quale non è possibile costruire un per-corso di cura realmente integrato e rispondenteal bisogno della persona. È in tale ottica che nel-l’anno 2004 la Regione ha aderito al programmaavviato dal Ministero per l’innovazione tecnolo-gica per l’informatizzazione della medicina gene-rale, presentando un proprio progetto che defini-sce la “messa in rete” dei medici nell’ambito di-strettuale e aziendale, per consentire uno scambiodi informazioni cliniche e favorire un contatto di-retto e costante fra le strutture.Va infine rilevato il problema della carenza di fi-gure professionali specificamente preparate peroperare sul territorio che richiama, da un lato, unsistema universitario che investe ancora poco sulproblema della cronicità e delle malattie degene-rative, dall’altro una carenza di figure socio-sani-

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tarie e, non ultimo, la necessità di poter “premia-re” chi opera positivamente sul territorio. Sareb-be, inoltre, opportuno caratterizzare meglio la fi-gura professionale del Direttore di Distretto (adesempio dirigente medico di secondo livelloesperto in medicina di comunità e inquadrato nel-l’area di sanità pubblica) e promuovere una for-mazione continua sull’organizzazione dei servizisanitari di base.

IL DISTRETTO NEL PIANO REGIONALEPER LA SALUTE 2004-2006Perfettamente consapevole delle criticità che han-no determinato la mancata attuazione dei distretti,il Piano per la Salute 2004-2006, approvato conla Legge Regionale 18 marzo 2004, n. 11, ha po-sto l’“Assistenza Distrettuale” come obiettivo prio-ritario. Il distretto è considerato lo strumento es-senziale per ricollocare al centro del SSR le ne-cessità dei cittadini e coinvolgere gli operatori nelgrande impegno di riequilibrare risorse e attivi-tà tra assistenza ospedaliera e assistenza territo-riale. Da un punto di vista delle funzioni, rappre-senta il sistema al quale è riconosciuta unitaria-mente la responsabilità di governare la domanda(ruolo di committenza – valutare quali servizi perquali bisogni) e quella di gestire i servizi sanitariregionali (ruolo di produzione). Dal punto di vi-sta operativo il distretto rappresenta il punto diriferimento per tutti i cittadini nello specifico am-bito territoriale per l’accesso a tutti i servizi del-l’Azienda Sanitaria e, allo stesso tempo, costitui-sce il polo unificante di tutti i servizi sanitari esocio assistenziali territoriali. In quanto riferi-mento per l’erogazione delle prestazioni indivi-duate dai Livelli Essenziali di Assistenza, il Di-stretto realizza i propri obiettivi nel coordina-mento e nell’integrazione delle attività sanitariee socio-sanitarie domiciliari, ambulatoriali, semi-residenziali e residenziali riconducibili alla primarycare (attività di prevenzione rivolta alla persona;assistenza sanitaria di base e specialistica, assisten-za sanitaria domiciliare; attività ad elevata inte-grazione socio-sanitaria e prestazioni sanitarie a

rilevanza sociale; residenze sanitarie e centri diur-ni). La riorganizzazione dei distretti si avvia conla ridefinizione degli ambiti territoriali degli stes-si, al fine di divenire “centro di riferimento per lacomunità locale” e a tal fine il Piano 2004-06 pro-pone da distinzione, in ragione delle diverse ca-ratteristiche oro-geografiche del territorio, di di-stretti urbani, extraurbani e montani.Le indicazioni della Regione (nel Piano e nellelinee-guida per l’atto aziendale) riguardano, poi,la ridefinizione del distretto in termini di “cen-tro organizzativo” dell’insieme dei servizi sanita-ri nel territorio di riferimento, con l’obiettivo didare ai Direttori generali delle aziende sanitarie iriferimenti necessari per:�una chiara distinzione fra responsabilità orga-nizzative e produttive in ogni livello di go-verno;

�una maggiore personalizzazione del prodottoaziendale sanitario, chiarendo la necessità di por-tare i servizi e le attività in un ambito più vici-no al cittadino, nel quale la realtà locale stessa sipossa riconoscere e vedersi rappresentata nelleproprie specifiche esigenze e bisogni di salute;

�un rimodellamento del territorio aziendale at-traverso una rete di servizi sanitari sempre piùampia, locale e a misura del cittadino, in mododa creare alternative positive ai ricoveri ospeda-lieri. La rete dei servizi deve essere incentrata suldistretto come sede organizzativa e di governodei percorsi;

� la creazione di servizi di tipo socio-sanitario, inrisposta ai bisogni complessi legati alla cronici-tà e alle malattie degenerative, con reale pro-grammazione e gestione integrata con il socia-le e progettazione personalizzata delle risposte;

� la definizione degli strumenti per garantire lacontinuità assistenziale, con integrazione tra di-stretto e medici di famiglia. In quest’ambito si ri-leva l’opportunità di potenziare le forme asso-ciative di lavoro tra medici (di medicina genera-le, pediatri di libera scelta, di guardia medica not-turna e festiva, specialisti ambulatoriali). L’assi-stenza specialistica ambulatoriale sarà maggior-

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mente garantita con l’integrazione del livelloospedaliero. Il PSR consente, a tal fine, la mobi-lità professionale tra i due livelli assistenziali.

Per quanto riguarda l’ambito territoriale, il Pia-no accoglie il riferimento nazionale (indicato dalDlgs 229/99), di un distretto con una media di60.000 abitanti, ma prevede che lo stesso debbaconfigurarsi e assumere un ruolo diverso a se-conda del contesto geografico, abitativo e di eco-sistema umano (tenendo conto di: densità abita-tiva; rete dei trasporti; contesto culturale, socialee antropologico; accessibilità ai servizi; grado divicinanza alle strutture ospedaliere e di prontosoccorso e altro). Sono state, pertanto, delineatetre tipologie di distretti: urbano, extraurbano emontano.

Il Distretto urbanoNei centri cittadini si possono più facilmente va-lorizzare le forme di associazionismo della medi-cina generale e pediatria di libera scelta, per assi-curare agli assistiti facile accesso agli ambulatoriper 12 ore al giorno, maggiore possibilità di in-terventi a domicilio, prevenendo così l’indiscri-minato ricorso al pronto soccorso ospedaliero co-me prima struttura di riferimento come soluzio-ne a qualsiasi problema assistenziale, anche di ti-po non sanitario.

Il Distretto extraurbanoNelle aree fuori dalle città il distretto è chiama-to maggiormente a rispondere della “accessibili-tà” dei servizi. L’inevitabile tendenza a ridurre ilnumero dei presidi ospedalieri rende pressante lanecessità di garantire servizi sanitari territoriali diriferimento che possano indurre, sia nella realtàoggettiva che in quella percepita dalla popolazio-ne locale, senso di sicurezza e tutela. Il Distrettoquindi è chiamato ad analizzare e valutare la fat-tibilità e convenienza di allestire, di concerto congli enti locali, soluzioni di trasporto “dedicato”,eventualmente protetto, che consenta alla popo-lazione il facile raggiungimento delle strutture sa-nitarie e socio-sanitarie.

Il Distretto montano Le ben note peculiarità delle zone di montagna(tra cui la dispersione della popolazione, la diffi-coltà dei trasporti e di accesso ai servizi, la con-centrazione di persone anziane) suggeriscono l’op-portunità di realizzare azioni specifiche, sia di pro-mozione della salute, sia di servizi sanitari che pos-sano offrire continuità delle cure (tenendo con-to anche del rischio di mantenere servizi com-plessi, anche per la limitata casistica affrontata da-gli operatori sanitari in loco). Occorre, poi, defi-nire le modalità per una rapida risposta per i pro-blemi di emergenza-urgenza.In sintesi, sia nel Distretto di area extraurbana chein quello a minore densità, sono identificabili al-cuni obiettivi e azioni:�perseguire il mantenimento delle persone ma-late a domicilio favorendo la massima integra-zione fra la componente sanitaria e quella so-ciale dei servizi;

� specializzare i servizi sanitari privilegiando i ser-vizi territoriali e residenziali rispetto a quelli didegenza;

� specializzare le strutture di degenza in strutturein grado di assicurare efficaci e appropriate pre-stazioni di urgenza ed emergenza sanitaria e as-sistenza sanitaria post-acuzie e di lungodegen-za, a medio o lungo termine, sulla base di pro-tocolli concordati con le strutture per acuti diriferimento;

� integrare i servizi sanitari territoriali e di de-genza in un sistema a rete utilizzando la moda-lità organizzativa dipartimentale e adottando so-luzioni telematiche per favorire il coordinamentodegli operatori, lo sviluppo delle competenzeprofessionali e l’efficacia degli interventi;

�attivare iniziative che favoriscano la residenzia-lità di operatori sanitari preparati e competentinelle zone più decentrate, parametri concorda-ti in sede regionale tali da individuare soglie uni-versalistiche di risposta ai bisogni, entro i ter-mini del bilancio revisionale del primo annosuccessivo all’approvazione del presente PRS.

Il sistema integrato di interventi e servizi che ne

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deriva promuove la solidarietà attraverso la valo-rizzazione dell’iniziativa delle persone, delle fa-miglie, delle forme di auto-aiuto e di reciproci-tà.Tutto ciò, integrato al piano sociale, definirà ilsistema di Welfare della Regione e la sua naturasolidaristica ed universale.Su questo terreno è da auspicare l’elaborazionedi linee guida a contenuto misto, clinico, assi-stenziale e organizzativo, tali da garantire qualitàe appropriatezza ad interventi che investono grup-pi di lavoro multiprofessionali, chiamati a condi-videre responsabilità sulle scelte e sui risultati.Anche la dirigenza sanitaria dovrà crescere in que-sta prospettiva, tenendo conto che il Dlgs n.229/99 prevede un’integrazione delle tabelle deiservizi, delle specializzazioni e delle discipline pre-viste per l’accesso alla dirigenza sanitaria del Ser-vizio Sanitario Nazionale e l’introduzione dell’a-rea delle prestazioni socio-sanitarie ad elevata in-tegrazione sanitaria, con discipline idonee. Le dif-ficoltà di valutazione dei costi potranno essere af-frontate tenendo conto di due parametri genera-li: le prestazioni e i processi assistenziali, con rife-rimento alla distinzione “costi/prestazione e co-sti/processo” e con riferimento a prestazioni sem-plici (quando la natura del bisogno può esseresoddisfatta con modalità standardizzate di inter-vento) e a prestazioni complesse (meglio descri-vibili sotto forma di processi assistenziali) quan-do la natura del bisogno è multifattoriale e ri-chiede competenze capaci di gestire percorsi as-sistenziali integrati di medio e lungo periodo.

LA GESTIONE QUALITATIVADELL’OFFERTA DISTRETTUALEUna recente analisi sulla qualità percepita dal cit-tadino utente dei servizi erogati nella RegioneCalabria ha rilevato una pressoché totale insod-disfazione. Le critiche si concentrano sui serviziospedalieri (forse perché ancora considerati i fon-damentali riferimenti), ma nello sviluppo obbli-gatorio dei servizi sanitari territoriali è indispen-sabile, per la loro credibilità, migliorare ulterior-mente la qualità percepita.

Le criticità sono riconoscibili nelle difficoltà cheil cittadino incontra nell’accesso quotidiano aiservizi, nelle insufficienti informazioni sulle pre-stazioni, nella scarsa conoscenza delle struttureerogatrici, delle liste di attesa, delle tariffe, deipercorsi.Per affrontare questi problemi il Piano regionaleper la salute 2004-06 indica tre priorità:1. il miglioramento dei tempi di accesso ai servi-

zi distrettuali, per una migliore garanzia dellacontinuità dell’assistenza ai cittadini.Il Piano impegna le aziende sanitarie a modi-ficare orari e modalità di utilizzo dei servizi, alfine di garantire una operatività continuativaper 12 ore giornaliere per 6 giorni alla setti-mana. Ciò significa superare le modalità tradi-zionali: servizi aperti 5 giorni alla settimana,spesso chiusi il venerdì pomeriggio. Significa,anche, cambiare la loro immagine, sovente ca-ratterizzata dalla precarietà delle strutture e de-gli arredi, da professionalità che non sempre ve-dono riconosciute le qualità tecniche e scien-tifiche che sono in grado di esprimere (anchesui versanti dell’educazione sanitaria, della pre-venzione, del trattamento continuativo di pa-tologie che richiedono elevato impegno e com-plessità assistenziale).Nel caso dei servizi di assistenza domiciliare in-tegrata la funzionalità deve essere estesa conti-nuativamente a 7 giorni, anche al fine di ga-rantire l’integrazione assistenziale tra Ospeda-le e Distretto e rendere possibili dimissioni pro-grammate nell’arco di tutta la settimana;

2. la costituzione di un “Punto unico di accessoall’intera rete dei servizi sanitari e sociosanita-ri”, che richiede l’identificazione di percorsi as-sistenziali precisi, come guida e riferimento peril cittadino. Esso ha, pertanto, una duplice con-notazione: da un lato è una modalità organiz-zativa del Distretto, che deve essere concordatacon gli Enti Locali che ne fanno parte (gli stru-menti sono: il Programma delle Attività Terri-toriali del distretto e il Piano di Zona dei ser-vizi sociali); dall’altro è una risorsa a disposizio-

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Page 55: Sanità nel territorio. Studi ed esperienze di distretto nelle …...4 i Supplementi di ESPERIENZE DI ASSISTENZA PRIMARIA Le Unità Territoriali di Assistenza Primaria (UTAP) 124 a

ne del cittadino e degli operatori. La finalità èavere una modalità programmata per indicare ipercorsi di risposta ai bisogni di ordine sanita-rio e sociale in modo unitario e integrato, in ra-gione della complessità della domanda.Un ami-chevole e corretto funzionamento favorisce ilprocesso di identificazione del cittadino nel pro-prio Distretto, obiettivo da perseguire per ren-derlo così concreto primo punto di riferimen-to per qualsiasi situazione di bisogno.È un obiettivo ambizioso, che richiede unamappa dei percorsi, in forma integrata tra sa-nitario e sociale, tra tutte le tipologie di offer-ta dei servizi presenti nel territorio, indipen-dentemente dal soggetto erogatore (AziendeSanitarie,Aziende Ospedaliere, privati accredi-tati, attività libero professionale intramoenia);costituisce garanzia di trasparenza nelle infor-mazioni e rappresenta una condizione di tute-la della libertà di scelta dell’utente;

3. la semplificazione delle procedure di prenota-zione, tramite l’organizzazione di Centri Uni-ficati di Prenotazione. I CUP devono garanti-re una molteplicità di punti di prenotazione,capillarmente distribuiti nel territorio, localiz-zati nei presidi sanitari e progressivamente nel-le farmacie, presso i medici di medicina gene-rale e nei Comuni, istituendo o consolidando,dove già presenti, sistemi di prenotazione tele-fonica e telematica. Il collegamento in rete met-terà in grado di interconnettere le diverse of-ferte di servizi presenti nel territorio e ai pun-ti unici di accesso di operare come terminaliintelligenti di un sistema integrato su base oriz-zontale e verticale.Per facilitare la realizzazione di queste tre prio-rità, il Dipartimento Sanità della Regione prov-vederà all’elaborazione di linee guida per iden-tificare le priorità cliniche e valutare i tempi didifferibilità della risposta, in modo da renderecompatibili i percorsi del cittadino con le ef-fettive possibilità di erogazione dei servizi, ga-rantendogli una informazione efficace e tra-sparente sulla compatibilità dei tempi di acces-

so con la necessità di affrontare in modo tem-pestivo e appropriato il bisogno rilevato.Si dovranno, poi, attivare strumenti di infor-mazione adeguata di modalità di lavoro attivee rispettose della dignità dei singoli, di sugge-rimenti che compensino le situazioni di fragi-lità e valorizzino la capacità delle persone e del-le reti sociali amicali e familiari. Particolare at-tenzione sarà posta agli interventi a favore deisoggetti che risiedono nelle zone svantaggiate,nelle aree rurali e nei piccoli centri.Diventa pertanto necessario che nelle agendeinformatizzate vengano immesse tutte le pre-stazioni erogate da ogni produttore (pubblicoe privato), per dare al cittadino piena visibilitàdell’offerta e al Distretto maggiori e più reali-stiche possibilità di governarla.

LA CREAZIONE DI PROGETTIPERSONALIZZATI DI ASSISTENZA Il Piano 2004-06 e gli atti successivi intendonoorientare il sistema sanitario verso forme perso-nalizzate di assistenza, offrendo un reale orienta-mento e capacità di accompagnamento della per-sona, in specie quella “fragile” nei percorsi di cu-ra (la presa in carico).A tal fine la Regione richiede che il distretto di-venti il nodo organizzativo per la costruzione di“progetti personalizzati di assistenza”.La crescita di bisogni connessi a cronicità e a lun-goassistenza rende necessario attivare in ogni Di-stretto unità di valutazione multiprofessionali, chevalutino i bisogni richiedenti risposte assistenzia-li complesse, continuative e integrate, definisca-no il piano personalizzato di assistenza, ne segua-no l’attuazione (con designazione di un “Re-sponsabile del caso”) e la verifica periodica dellostesso. L’unità di valutazione comprende: il me-dico di distretto, il medico di medicina generale,l’assistente sociale, l’infermiere professionale, non-ché altri specialisti in ragione della natura del bi-sogno. È noto che l’introduzione di sistemi strut-turati di valutazione multidimensionale dei biso-gni ha determinato in vari contesti assistenziali

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un miglioramento della qualità della vita dellepersone assistite, una riduzione della mortalità,della disabilità, del numero e della durata dei ri-coveri ospedalieri e in residenza sanitaria assi-stenziale, del consumo dei farmaci e della spesasanitaria nel suo complesso.

LA SCELTA DI CURARE A CASA E GLI OSPEDALI DI DISTRETTO La Regione è ben consapevole, nell’indicare lapriorità di “curare a casa” (Piano per la salute 2004-06), che si tratta di un cambiamento culturale eorganizzativo insieme: va consolidato il principiogenerale che la casa resta il migliore luogo di pre-venzione, cura e riabilitazione; va chiarito che ciòconsente anche un uso appropriato delle risorsedisponibili, favorendo l’affidamento all’Ospedaledella sua reale funzione,mirata alle patologie acu-te che richiedono elevata intensità di assistenza econcentrazione fisica di competenze e tecnologie.Le aziende sanitarie dovranno investire sull’assi-stenza domiciliare (anche limitando il numero diposti letto ospedalieri), utilizzando tipologie dif-ferenziate di risposta in ragione della prevalenzadei bisogni sanitari e sociali e della loro intensi-tà, specificando le procedure di attivazione e or-ganizzazione e le tipologie di costo. Dovrà esse-re implementata, in particolare, l’Assistenza Do-miciliare Integrata (ADI), che è la tipologia di“cura a casa” a maggiore impegno sanitario, cherichiede percorsi di attivazione rapidi nella fatti-specie dell’urgenza, soprattutto nei casi di postacuzie e di terminalità, riservando ad una fase suc-cessiva l’attivazione dell’unità multiprofessionalee di predisposizione del progetto personalizzatocon i completamenti organizzativi e gestionali chesi renderanno necessari.All’interno delle strutture di ricovero accreditateper acuti andranno identificati specifici responsa-bili per la dimissione protetta, con il compito didefinire, di concerto con il medico di medicinagenerale o pediatra di libera scelta del paziente econ il Distretto, le modalità organizzative della di-missione, la tipologia delle cure domiciliari ne-

cessarie nella prima fase dopo la dimissione, lemodalità di corretta risoluzione delle problema-tiche burocratiche, prescrittive e certificatorie. Piùin specifico, nei casi di anziani o di persone le cuicondizioni cliniche, psicologiche e di autonomiapersonale impongono un programma articolatoe integrato di interventi sanitari e sociali a valen-za sanitaria, alla fase di ricovero ospedaliero de-vono sovrapporsi precocemente, intorno alla ter-za giornata dall’ammissione, l’attivazione e l’in-terfaccia con le figure professionali e le strutturedel Distretto per la valutazione multidimensio-nale dei bisogni e la definizione e organizzazio-ne dei percorsi successivi. Occorre poi ampliarel’offerta di residenze per anziani, ma con cautelae con una precisa consapevolezza: la scelta di in-serire in una residenza una persona anziana perlo più diventa irreversibile. Per tale motivo èun’opzione assistenziale da intendersi, per quan-to possibile, come temporanea, realmente condi-visa e accettata; deve garantire una qualità di vitaaccettabile e favorire la partecipazione attiva deifamiliari e delle persone, al fine di mantenere le-gami significativi tra l’anziano e la sua comunitàdi provenienza. Il Distretto dovrà sempre più as-sumere capacità di governo e regia delle struttu-re residenziali, in una logica di impostazione a“rete”, che colloca l’assistenza residenziale moltopiù in prossimità delle cure domiciliari piuttostoche di quelle ospedaliere.Infine la Regione punta sulla realizzazione distrutture intermedie tra ospedale e distretto, diconnotazione territoriale e affidamento clinico alMedico di medicina generale: gli Ospedali di co-munità o Ospedali di distretto. Prevede, infatti, dicostruire ben 15 ospedali di comunità, quali strut-ture sanitarie territoriali in grado di seguire unaquota di popolazione che oggi afferisce impro-priamente alla tradizionale degenza ospedalieraper acuti. Chiarisce che sono strutture sanitarieterritoriali, destinate ad accogliere e seguire in re-gime residenziale o semiresidenziale le personeche necessitano di interventi clinico-assistenzialiovvero quei casi che, avendo esaurito il percorso

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assistenziale di elevato contenuto tecnologico infase diagnostico-terapeutica (fase acuta specificadel momento ospedaliero vero e proprio), neces-sitano ancora di una fase di sorveglianza clinica eassistenziale. Risultano, pertanto, di supporto al-l’ospedale in fase di dimissione precoce/protetta.Si distinguono nettamente dalle tipiche struttureterritoriali residenziali (Residenze Sanitarie Assi-stenziali e Case Protette), che sono strutture so-cio-sanitarie che accettano soggetti anziani nonautosufficienti con patologie croniche stabilizza-te. Inoltre l’Ospedale di comunità può essere va-lida alternativa all’ADI quando la famiglia dell’u-tente non è in grado di gestirla. Il Piano 2004-06definisce le modalità di ammissione in Ospedaledi comunità: i ricoveri sono sempre program-mati; l’ammissione può avvenire su proposta delmedico ospedaliero, se si tratta di paziente rico-verato in ospedali per acuti, oppure su propostadel medico di Medicina Generale se non è rico-verato. In entrambi i casi è indispensabile il con-senso del MMG che ha la responsabilità della con-dotta diagnostico terapeutica del paziente e cheseguirà il paziente ricoverato nell’Ospedale di co-munità del Distretto di competenza, secondo lemodalità operative e gli impegni orari di accessiprogrammati che saranno stabiliti in sede di ac-cordi con i MMG. L’assistenza sanitaria, sia negliaspetti diagnostici che terapeutici, viene erogatacon modalità ospedaliere; in caso di emergen-za/urgenza vengono attivate le strutture del 118,che in ciascun Ospedale di comunità possono tro-vare la loro collocazione quali sedi dell’emergen-za territoriale con personale medico, infermieri-stico e tecnico e mezzi a ciò deputati 24 ore su24. Inoltre nelle ore notturne prefestive e festiveè presente anche il medico di continuità assisten-ziale di cui la postazione territoriale è allocatanella struttura dell’Ospedale di comunità.L’Ospedale di comunità si avvale del medico dimedicina generale e di personale infermieristicodedicato, nonché del servizio di primo soccorso

svolto dalle strutture territoriali del 118, delle po-stazioni di continuità assistenziale, dei servizi dispecialistica ambulatoriale di diagnostica stru-mentale e di laboratorio nonché degli specialistiambulatoriali territoriali.

LE AZIONI DI SUPPORTO AL CAMBIAMENTO Il cambiamento prefigurato dal Piano per la salu-te 2004-06 è rilevante, comportando una vera epropria modifica della visione del sistema sanita-rio regionale, che punta a creare un distretto so-cio-sanitario realmente presente per il cittadino,centro di una rete di servizi rivolti alla persona ein particolare alla persona disabile. Si prevede losviluppo dei punti principali della rete, come l’as-sistenza domiciliare, le modalità di continuità del-le cure, le strutture residenziali; si progetta di co-struire ospedali di comunità che offrano alterna-tive percorribili nelle zone più disagiate; si mira,insomma, a superare realmente l’unicità dell’o-spedale come riferimento alla persona. È un pro-cesso di cambiamento ampio, che richiede gra-dualità di attuazione e anche una forte azione disupporto.A tal fine si è previsto, nella vigenza delPiano, che la Giunta Regionale assicuri:�programma di formazione per lo sviluppo del-le competenze dei Direttori di Distretto;

�programma di formazione per promuovere tragli operatori lo sviluppo di atteggiamenti e abi-lità utili allo sviluppo dell’assistenza distrettuale;

�monitoraggio dell’attuazione del nuovo model-lo di assistenza distrettuale.

Occorrerà, poi, il sostegno delle forze politiche,delle istituzioni locali e di tutti gli operatori so-ciali per condividere con i cittadini il progetto diun “nuovo distretto”, capace di costituire un cen-tro di governo e di salute. L’idea è di partire dal-le sedi locali, come suggerisce il “principio di sus-sidiarietà”, per costruire un patto di salute che ri-chiede, in Calabria, un grande impegno cultura-le, di risorse e di organizzazione.

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di Nell’excursus legislativo, organizzati-vo e culturale che va dal primo Pia-no Sanitario Regionale, che risaleal periodo 1982-1985, ad oggi, il

ruolo del distretto si è venuto progressivamentea modificare in relazione alla crescente necessitàdello sviluppo di una sanità territoriale.

IL DISTRETTO NEI PIANI REGIONALII Piano Sanitario RegionaleIl piano di cui alla L.R. n. 37/82 recepisce al suointerno una logica di programmazione centrali-stica delle unità produttive che vengono definitein ogni più piccolo particolare strutturale e fun-zionale. In tale ottica il Distretto si configura co-me mero luogo erogativo di prestazioni e nullaapporta né alla flessibilità strutturale dell’offertané alla gestione dei percorsi assistenziali e di cu-ra. La logica di programmazione del periodo eradel resto quella dipendente dai modelli ispirati dalrazionalismo economicistico, fortemente vertica-lizzati ad articolare una catena di produzione incui gli elementi di controllo, basati su standard es-senzialmente quantitativi, non lasciavano spazioalla condivisione, contrattazione o concertazionedelle scelte e delle decisioni.

II Piano Sanitario RegionaleUn’impostazione significativamente diversa ca-ratterizzava il secondo Piano Sanitario Regiona-le relativo al triennio 1998-2000 che, risentendoanche di quel passaggio dal centralismo pro-grammatorio al modello della sussidiarietà che ha

permeato l’avvio della riforma della Pubblica Am-ministrazione, affermava la centralità del distret-to come luogo di governo della salute e gestionedi tutto il complesso di attività sanitarie extra-ospedaliere.A tal fine avviava un percorso di am-pliamento del bacino d’utenza dei singoli distret-ti nell’obiettivo di creare luoghi non parcellizza-ti, realmente in grado di assumersi la responsabi-lità della rete dei servizi territoriali.

III Piano Sanitario Regionale Una alleanza per la saluteIl terzo Piano Sanitario Regionale, relativo al trien-nio 2003-2006, procede nel dar attuazione e stru-menti ai principi ispiratori del piano precedente,individuando il Distretto come il luogo dove in-terpretare la domanda di salute e tradurla in ri-sposte complessive ai bisogni attraverso la funzio-ne di programmazione, produzione, integrazionee cooperazione. L’obiettivo principale del distret-to è la tutela della salute dei cittadini: garantendola continuità delle cure, l’accessibilità dei servizi,l’integrazione dei percorsi.Obiettivi ambiziosi cherichiedono un impegno costante nella ricerca del-l’equità verso i cittadini, in particolare di quelli piùfragili, e dell’appropriatezza dei servizi (la risposta“corretta” al bisogno di salute). In questo quadrorisulta fondamentale il cambiamento di prospet-tiva previsto dal PSR 03-06, che pone come obiet-tivo prioritario la costituzione di una sanità chenon abbia più al centro l’ospedale ma piuttosto ilterritorio, chiedendo allo stesso di avviare i per-corsi di salute dalla conoscenza e dalla valutazio-

LEGGERE IL DISTRETTO NELLA REGIONE MARCHE a cura di Fausto Mannucci, M. Rita PaoliniDipartimento dei Servizi alla Persona e alla Comunità - Servizio Assistenza territoriale ed integrazione socio-sanitaria

a cura di Patrizia BalzaniAzienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR)

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ne delle necessità dei cittadini-utenti. Coerente-mente, il Piano stabilisce le modalità per la razio-nalizzazione dell’offerta ospedaliera, per avviareun nuovo equilibrio delle attività e delle risorsetra ospedale e territorio, come presupposti per im-primere una spinta decisiva alla creazione di undistretto a centralità del cittadino.

IL DISTRETTO NELLE NORMATIVEREGIONALI DI RIORDINOL. R. 26/96Sostanzialmente, riproduce il contesto da cui de-riva la legge di riordino del SSN, di cui al D.Lgs229/99, con particolare interesse al Distretto co-me macrostruttura orientata all’analisi dei biso-gni e all’impostazione dell’offerta.

L. R. 13/03Da questi elementi prende avvio un profondoprocesso di riorganizzazione del sistema sanitarioregionale, che si sostanzia nella L.R. n. 13/2003.Si trasformano le precedenti 13 aziende sanitarielocali in un’unica Azienda, a valenza regionale,denominata “Azienda Sanitaria Unica Regiona-le (ASUR)”. Parallelamente, si accorpano le azien-de ospedaliere, che da 4 diventano due, affianca-te dalla presenza dell’Irccs INRCA.L’azienda uni-ca viene articolata in 13 Zone Territoriali, so-stanzialmente coincidenti con le preesistenti 13AUSL.Le zone territoriali svolgono rilevanti com-piti di programmazione, gestione dei servizi sa-nitari e socio-sanitari nel rispettivo ambito terri-toriale, con l’obiettivo di assicurare alla popola-zione residente le prestazioni incluse nei livelli es-senziali di assistenza e l’equo accesso ai servizi.Esse provvedono, in particolare:�alla definizione degli obiettivi di salute, in rac-cordo con gli altri erogatori di servizi, tramitepiani di attività zonale (PAZ);

�alla programmazione organizzativa e operativadelle risorse strumentali e umane, al coordina-mento dei servizi sanitari di zona nei diversi li-velli assistenziali (ospedale, distretto, preven-zione);

�all’integrazione dei servizi sanitari con quellisociali;

�alla rilevazione e orientamento della domandasanitaria;

�alla distribuzione delle risorse;�alle negoziazioni con le organizzazioni sindaca-li per le intese e gli accordi a valenza zonale.

Di conseguenza cambia l’assetto organizzativo deldistretto, che viene declinato come un’articola-zione della Zona Territoriale, dotato di autono-mia gestionale nell’ambito degli obiettivi e dellerisorse negoziate con il Direttore di Zona. Permeglio capire il rapporto tra zona e distretto, vaprecisato che spetta al Direttore di zona nomina-re il Direttore di distretto.La legge riprende, inoltre, un punto a lungo per-seguito nella programmazione regionale: il di-stretto deve assumere una dimensione coincidentecon l’ambito territoriale sociale. In questo modoil distretto assume due dimensioni, divenendo, daun lato, sub-articolazione della zona territoriale(elemento che la spinge più ad un ruolo di pro-grammazione locale e attuativa, nonché alla fun-zione di gestione dei servizi) e dall’altro ambitodi programmazione unitaria sanitaria e sociale (unluogo realmente “vicino al cittadino”, capace diconoscere e rappresentare i bisogni della comu-nità locale).L’idea di fondo è che per migliorare la salutedei cittadini occorra un quadro di azioni e al-leanze fortemente partecipate tra gli enti loca-li, i gruppi organizzati, i cittadini assieme al si-stema sanitario.

LE PECULIARITÀ DEL MODELLOMARCHIGIANOLa programmazione regionale sta orientandosiverso un distretto costruito intorno ad un’idea: lacentralità della presa in carico della persona e la neces-sità di garantire la continuità assistenziale.In questo nuovo orientamento, il distretto preve-de come punti caratterizzanti:�Tutela e promozione della salute Il distretto è deputato a svolgere un ruolo di

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tutela della salute all’interno di un sistema digovernance in un definito ambito territoriale,prima ancora che di gestore di servizi e di ope-ratori.

� Integrazione Fra le attività direttamente esercitate e quelle dipertinenza e competenza degli altri enti e sog-getti operanti nel territorio (ambito sociale ter-ritoriale,Associazioni di Volontariato,Terzo Set-tore, ecc.), l’integrazione non si limita al rac-cordo operativo ma si realizza definendo con-giuntamente le priorità di intervento alla luceanche degli obiettivi individuati dal Piano So-ciale di Zona, dal PAD, dal Piano di zona e daiPiani Comunitari per la Salute.

�Presa in carico e continuità delle cureSi esprime attraverso la valutazione dei bisogniespressi dalla popolazione di riferimento, la de-finizione delle caratteristiche quali-quantitativedei servizi necessari alla presa in carico dell’as-sistito e ad assicurarne la continuità delle cure.Tale definizione si estrinseca sia nella funzionedi committenza che di produzione.

�ProduzioneSi realizza tramite l’erogazione diretta o indiret-ta di prestazioni socio-sanitarie e sanitarie “dibase” previste nei LEA. Inoltre, si realizza nellapredisposizione di percorsi per la facilitazionedell’accesso ai servizi e la programmazione in-tegrata tra servizi sociali e sanitari.

Per quanto riguarda il processo di integrazionesocio-sanitaria e la successiva pianificazione stra-tegica nei territori, il Direttore di Distretto eser-cita le proprie funzioni in collaborazione con ilCoordinatore di ambito ed entrambi partecipa-no all’integrazione operativa nella definizione deiservizi e delle prestazioni necessarie al migliora-mento dello stato di salute della popolazione in-teressata. In tale ottica, l’obiettivo della coinci-denza dei distretti con gli ambiti sociali ha ri-chiesto un sostanziale cambiamento anche ai Co-muni (246 nella Regione) per superare la logicamunicipalistica dei piccoli centri definendo real-mente “ambiti sociali” stabili come luoghi di pro-

grammazione e di coordinamento operativo egestionale dei servizi sociali. Ha consentito, alcontempo, di valorizzare la forte creatività e laricchezza del sistema municipalistico nella Re-gione Marche, nell’individuare strumenti e pro-getti di tutela delle persone fragili, da condivi-dere nell’ambito di una programmazione unita-ria con la sanità.La funzione di programmazione annuale vieneesplicitata attraverso la predisposizione del Pro-gramma delle attività Distrettuali (PAD), che siconfigura come uno strumento teso a ricercaresempre più estesi livelli di integrazione tra ospe-dale e territorio, tra i soggetti del sociale e sani-tario, tra le istituzioni sociali e sanitarie e l’insie-me delle altre istituzioni economiche, culturali ededucative che possono ampiamente contribuirealla crescita del bene salute.Nella predisposizione del PAD il Direttore di Di-stretto è coadiuvato dall’Ufficio di Coordina-mento delle Attività Distrettuali (UCAD) com-posto dai responsabili di ciascuna area di attivitàpresente nel distretto, dai rappresentanti dei me-dici convenzionati, da un rappresentante delle fi-gure professionali operanti nel distretto, dai diri-genti dei dipartimenti presenti nel contesto di-strettuale e dal coordinatore di ambito sociale.Lo stesso PAD deve altresì essere coerente e con-vergente con i contenuti del Piano di Zona neisettori assistenziali di particolare rilevanza socia-le relativi alle problematiche della fragilità (etàevolutiva, disabili, anziani, ecc.).Considerato che il Programma delle attività di-strettuali rappresenta le scelte di salute a livello di-strettuale in cui sono definiti i bisogni prioritarie gli interventi di natura sanitaria e socio-sanita-ria e che il Piano sociale di Zona è lo strumentoper definire le strategie di risposta ai bisogni so-ciali e socio-sanitari, diventa consequenziale e ne-cessario gestire i due strumenti all’interno di un’u-nica strategia programmatoria attuata in modointegrato tra Sanità ed Enti locali, tra Distretti eAmbiti Territoriali soprattutto attraverso lo stru-mento del Bilancio Sociale.

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LA PRESA IN CARICO: LO SPORTELLO PER LA SALUTE E L’UFFICIO DI PROMOZIONE SOCIALEIl Piano Sanitario Regionale riafferma il model-lo dello Sportello della Salute (SdS) in integra-zione agli Uffici di Promozione Sociale (UPS),da intendersi come vera e propria porta di acces-so al welfare di comunità e, per suo tramite, a quel-lo regionale. L’integrazione tra Sportello della Sa-lute e Uffici di Promozione Sociale deve con-sentire di attivare delle accettazioni territoriali in-tegrate attraverso le quali il cittadino accede nonsolo ai servizi distrettuali, ma anche a tutta la re-te sociale quando le due problematiche siano co-esistenti.Lo sportello della salute, funzione che riguarda ilrapporto tra utenza e SSR, è da sviluppare in mo-do da favorire l’accesso appropriato del cittadinoai servizi e deve garantire equità di condizioni edi modalità di accesso.All’interno dello sportello della salute devonooperare:�orientatori qualificati;�mediatori abilitati;�valutatori.Le funzioni a cui è deputato lo sportello della sa-lute possono essere sintetizzate in:�ascoltare la richiesta in rapporto alla quale for-nire informazioni, indicazioni utili, avviare per-corsi;

� informare sulle modalità di accesso ai servizi;�attivare i servizi richiesti utilizzando la rete dicollegamento tra le strutture per evitare che l’u-tente rincorra le prestazioni (semplificazione ede-burocratizzazione );

� istruire/fornire i termini e gli elementi che con-ducono a successive valutazioni, come ad es. pa-reri, certificazioni, valutazioni a domanda del-l’interessato;

�accogliere/prendere in carico situazioni assi-stenziali complesse per le quali attivare percor-si successivi che possono richiedere anche valu-tazioni multidimensionali, con relative analisidelle risorse attivabili. In tali percorsi l’utente

non deve essere lasciato solo ma deve avere sem-pre un riferimento preciso in funzione di caremanager.

Gli strumenti utilizzati nella funzione distrettua-le dello sportello della salute possono essere iden-tificati in tre categorie principali:�virtuali;�personali;� interattivi.

LA FUNZIONE DI VALUTAZIONE Le Unità Valutative Distrettuali esercitano la fun-zione di valutazione del bisogno attraverso unalettura approfondita e integrata tra diverse pro-fessionalità (MMG infermiere professionale, assi-stente sociale, competenze specialistiche ecc.) alfine di individuare i percorsi assistenziali più adat-ti al bisogno presentato.Inoltre, per aree settoriali con bisogni omogenei,vengono individuate, all’interno della funzione divalutazione espressa dalla UVD, anche strutturesettoriali/specialistiche di valutazione quali leUMEE e UMEA che, ai sensi della normativa vi-gente, presentano anche alcune funzioni di presain carico e “produzione”.

LA FUNZIONE DI PRODUZIONEPer le attività prodotte direttamente il Distrettodeve essere configurato in modo da erogare pre-stazioni e servizi in integrazione con le altre strut-ture di produzione della Zona Territoriale e del-l’ambito sociale. Il modello organizzativo che siviene a configurare deve rispondere alle esigen-ze di flessibilità per adattarsi alle diverse realtà.L'assistenza primaria assicura promozione, pre-venzione, cura, riabilitazione, abilitazione e sup-porto sul piano psicologico e sociale; si vienequindi a configurare come una rete attraverso laquale il distretto riesce a fornire risposte com-plessive agli utenti dalla prevenzione fino alla ge-stione della cronicità attraverso un modello di in-tegrazione professionale con gli operatori cheoperano a livello territoriale o ospedaliero e conla componente sociale dell’ambito territoriale.

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Per quanto riguarda i MMG, i PLS, la C.A e glispecialisti convenzionati dovranno essere svilup-pate e attuate forme di associazionismo con il fi-ne di attuare una forma organizzata di assistenzaprimaria che, attraverso l’integrazione funziona-le tra i diversi professionisti, garantisca la conti-nuità assistenziale.Il principio innovatore che ispira tale scelta è lapresa in carico del paziente per l’intero iter del-l’assistenza richiesta dal percorso di cura e sarà re-so possibile con interventi sia sugli assetti orga-nizzativo/gestionali, sia sulle responsabilità clini-co-assistenziali.L’esperienza della Regione Marche costituisce cer-tamente un tentativo di “mediazione” tra l’ottimiz-zazione della dimensione aziendale e i bisogni del-la presa in carico complessiva della persona fragile.

UN ESEMPIO APPLICATIVOPur costituendo un disegno strategico generale,l’impostazione del modello di Welfare regionale,orientato alla centralità dei bisogni e alla rilevan-za del livello territoriale-distrettuale, i primi con-creti passaggi attuattivi e di realizzazione si sonoconcentrati su alcune situazioni complesse checon maggior urgenza richiedevano di dare ri-sposte organizzative, gestionali e programmatoriedi carattere integrato.

IL PROGETTO DI CONTRASTO DELLA NON AUTOSUFFICIENZAUna delle esigenze prioritarie è stata quella di ri-pensare l’organizzazione dei servizi di Welfare inrapporto all’età anziana e alla non autosufficienzain particolare. Il transito da una configurazione deibisogni e delle esigenze della popolazione centra-ta su acuzie (sanitarie e metaforicamente socialied economiche) ad una caratterizzata dal protrar-si o cronicizzarsi dei tempi di non autosufficien-za (in dipendenza da problemi di salute, sociali,culturali, ambientali ed economici) ha richiesto diarticolare una diversa proposta di welfare.

Innanzitutto questa doveva assumere una confi-gurazione attiva. Il modello basato sull’attesa del-la domanda comporta rischi di insufficienza, ina-deguatezza e ipercosto delle risposte.Piuttosto che perseguire una generica “preven-zione” della non autosufficienza, si è quindi ela-borata una proposta incardinata sulla centralità so-ciale e sistemica dell’anziano. Questo significa daun lato attivare tutte le possibili risorse per al qua-lità della vita comunitaria (a partire dalla riconsi-derazione degli spazi urbanistici e abitativi); dal-l’altro stimolare la solidarietà intergenerazionaleattraverso la ricerca di percorsi di relazionalità at-tiva e di scambio.A complemento di un disegno sociale a forte va-lenza comunitaria e territoriale, si richiede allecomponenti istituzionali e professionali del siste-ma dei servizi di valorizzare adeguatamente lefunzioni di valutazione e di progettazione perso-nalizzata, come chiave attraverso cui ottenere:� l’effettiva centratura dell’offerta sul sistema deibisogni, anche attraverso lo sviluppo di un si-stema di monitoraggio della domanda e dei ri-sultati dei percorsi di assistenza e di cura;

� la responsabilizzazione del sistema dei servizi;� l’integrazione operativa dei servizi;� l’attivazione delle risorse comunitarie;� la responsabilizzazione degli utenti e delle lorofamiglie.

Il principio di sussidiarietà trova quindi due de-clinazioni strategiche: il primo attorno al con-cetto di responsabilità e reciprocità tra servizi edutenti; il secondo attorno a quello di affianca-mento, in quanto si propone una organizzazionedi welfare in grado di accompagnare il cittadinoe la sua famiglia nella sua età anziana rafforzan-done e valorizzandone le capacità, le competen-ze e il ruolo sociale.Sotto il profilo della modellizzazione, il proget-to ridisegna un sistema di concertazione coerenteai diversi livelli e funzioni, armonico con quel-lo proposto.

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