saggio lepoardi

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Le diverse fasi della concezione di natura nel pensiero leopardiano L'intera produzione di Giacomo Leopardi ruota attorno al tema della “natura”. Questa costituisce l'insieme delle leggi che governano il mondo e l'esistenza di ogni individuo, decretandone l’inizio e la fine. Per questo la poetica, che tradizionalmente fa riferimento alla sfera dell'individuo, deve ricercare le cause della sofferenza umana nelle leggi della natura. Si può dividerà la produzione leopardiana in due fasi: nella prima, la natura non ha una connotazione tanto negativa: nello Zibaldone, l’autore afferma che la natura è dispensatrice di illusioni, “senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa”, in quanto l'uomo, sempre alla ricerca del piacere, non riesce a trovarne uno che soddisfi appieno la sua sete, da qui la sua infelicità. Ma la natura, “madre benigna”, ha creato le illusioni, con cui l'uomo dimentica la sua triste condizione. L’uomo moderno, però, è dominato dalla ragione, per cui non può beneficiare appieno delle illusioni; in questo senso, Leopardi afferma che gli uomini antichi sono stati i più felici, in quanto più vicini allo stato di natura, e questo ha permesso loro di formulare la vera poesia, a cui l’uomo moderno potrà tendere ma mai giungere: siamo di fronte alla concezione finalistica della natura, il “pessimismo storico”. Dopo questa prima fase Leopardi sottopone ad analisi il concetto di natura nella teoria di Rousseau, scoprendo che essa è illusoria, mitica e non razionale, per cui cambia la sua visione del mondo: la natura non ha creato gli uomini felici, ma è crudele e perseguita gli esseri viventi. Questo pensiero è il fulcro dell’operetta morale “Dialogo della Natura e di un islandese”, in cui il protagonista, un islandese che ha viaggiato in tutto il mondo per fuggire dalla natura, si ritrova al cospetto della Natura stessa, che

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Le diverse fasi della concezione di natura nel pensiero leopardiano

L'intera produzione di Giacomo Leopardi ruota attorno al tema della “natura”. Questa costituisce l'insieme delle leggi che governano il mondo e l'esistenza di ogni individuo, decretandone l’inizio e la fine. Per questo la poetica, che tradizionalmente fa riferimento alla sfera dell'individuo, deve ricercare le cause della sofferenza umana nelle leggi della natura.

Si può dividerà la produzione leopardiana in due fasi: nella prima, la natura non ha una connotazione tanto negativa: nello Zibaldone, l’autore afferma che la natura è dispensatrice di illusioni, “senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa”, in quanto l'uomo, sempre alla ricerca del piacere, non riesce a trovarne uno che soddisfi appieno la sua sete, da qui la sua infelicità. Ma la natura, “madre benigna”, ha creato le illusioni, con cui l'uomo dimentica la sua triste condizione. L’uomo moderno, però, è dominato dalla ragione, per cui non può beneficiare appieno delle illusioni; in questo senso, Leopardi afferma che gli uomini antichi sono stati i più felici, in quanto più vicini allo stato di natura, e questo ha permesso loro di formulare la vera poesia, a cui l’uomo moderno potrà tendere ma mai giungere: siamo di fronte alla concezione finalistica della natura, il “pessimismo storico”.Dopo questa prima fase Leopardi sottopone ad analisi il concetto di natura nella teoria di Rousseau, scoprendo che essa è illusoria, mitica e non razionale, per cui cambia la sua visione del mondo: la natura non ha creato gli uomini felici, ma è crudele e perseguita gli esseri viventi.Questo pensiero è il fulcro dell’operetta morale “Dialogo della Natura e di un islandese”, in cui il protagonista, un islandese che ha viaggiato in tutto il mondo per fuggire dalla natura, si ritrova al cospetto della Natura stessa, che ha l’aspetto di una donna imponente. Egli dice di essere fuggito dapprima dagli altri uomini, poiché questi lo molestavano; una volta in solitudine, è costretto a patire i fenomeni naturali, per cui decide di partire alla ricerca di un luogo in cui, afferma, “potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire”.Ma la Natura ribatte che il mondo non è creato a misura d’uomo, dato che esso è regolato da leggi necessarie a cui tutti i viventi devono sottostare, per cui la Natura non agisce né per il bene né per il male degli uomini, è completamente indifferente al loro destino.A causa della risposta, l’islandese si chiede quale sia il senso della vita: il mondo è come una villa nella quale l’uomo è stato invitato a dimorare, ma che non offre alcuna comodità e mette a repentaglio la sua incolumità.La risposta della Natura è nuovamente tagliente: l’universo è un circuito di creazione e distruzione, e nel suo attuarsi non si dà pena del turbamento a cui sono sottoposte le sue creature.Alla fine dell’operetta, l’islandese non potrà conoscere il fine ultimo dell’esistenza, a causa di due leoni che porranno fine alla sua vita. L operetta costituisce l'approdo alla concezione meccanicistica e materialistica del poeta, il cosiddetto pessimismo cosmico: la natura assume quindi la connotazione di “natura matrigna”, connotazione che sarà presente in tutta la produzione leopardiana successiva al 1828.

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Primo canto in seguito a questa rivoluzione del pensiero e la lirica A Silvia, il cui tema centrale è la natura come ingannatrice degli uomini promettendogli delle gioie che poi non elargisce. La giovane Silvia diventa l'esempio della crudeltà delle leggi di natura.

Silvia è una giovane donna il cui presente è ricco di speranze per l’avvenire, ma tutte queste illusioni sono spazzate via all’improvviso dalla malattia che la condurrà alla prematura morte. La figura dell’io lirico è messa in parallelo con quella della ragazza, una figura femminile molto vaga in quanto emblema della distruzione di ogni speranza comune a tutti gli uomini. Dunque, mentre è la morte che non permette l’avversarsi dei sogni della giovane, le speranze dell’io lirico, sono distrutte dalla razionalità, che non consente di credere alle illusioni dispensate dalla natura. Il verso “O natura, o natura,/perché non rendi poi/quel che prometti allor? Perché di tanto/ inganni i figli tuoi?” è l'amara constatazione della fine delle illusioni.Infine, nell’ultima fase della sua vita, Leopardi dimostra un maggiore ottimismo nelle capacità dell’uomo: la natura è il comune nemico, pertanto gli uomini non devono accettare passivamente la loro condizione di infelicità ma devono mettere da parte le rivalità tra loro e associarsi per combattere la causa della loro sofferenza. La Ginestra costituisce l'approdo a questa ultima fase del pensiero di Leopardi: qui il poeta delinea la figura dell'uomo nobile, colui che con coraggio guarda in faccia alla realtà, riconoscendo così il “comun fato” che accomuna tutti gli uomini, ovvero il destino di infelicità e insofferenza dettato dalla natura. L'uomo nobile non incolpa gli altri uomini della sua infelicità ma anzi si adopera per formare una “social catena” con lo scopo di alleviare le sofferenze imposte da una “madre” natura che si comporta alla stregua di una “matrigna” malvagia.Dunque, la concezione della natura per Leopardi assume sfumature diverse in tutto il suo pensiero, passando da una concezione positiva ad una negativa, a cui però si contrappone, negli ultimi anni della sua vita, una speranza nella capacità dell’uomo a non darsi vinto di un destino ineluttabile.