Saggio Di Mauro

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Libreria Musicale Italiana Studi sulla canzone napoletana classica a cura di Enrico Careri e Pasquale Scialò

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Libreria Musicale Italiana

Studi sulla canzone napoletana classica

a cura diEnrico Careri e Pasquale Scialò

LIM

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In collaborazione con:Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa –

Università degli Studi di Napoli Federico II

Con il patrocinio di:Provincia di Napoli

In copertina: Oscar Ricciardi, Vecchio suonatore di chitarra, olio su tela; FondazioneBideri.

© 2008 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca, P.O. Box [email protected] www.lim.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta, archiviata in si-stemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccanica, fotocopiata, registrata o altro senza ilpermesso dell’editore, degli autori e del curatore.

ISBN 978-88-7096-530-8

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STUDI SULLA CANZONE

NAPOLETANA CLASSICA

a cura di

Enrico CareriPasquale Scialò

Libreria Musicale Italiana

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SOMMARIO

VII Presentazione

IX Introduzione di Pasquale Scialò

FONTI E LINGUAGGI

5 Pier Paolo De Martino – Mariadelaide CuozzoIn punta di penna e di matita: critica e iconografia della canzone napole-tana nella ‘cultura delle riviste’

79 Mario FrancoIl cinema che canta. Il teatro e la canzone nel cinema napoletano dalle ori-gini alla seconda guerra mondiale

107 Anita PesceLa canzone napoletana e il disco a 78 giri

147 Francesca SellerLa canzone nell’editoria partenopea tra Otto e Novecento

157 Isabella ValenteSogno di una notte di fine estate. Pittori e scultori napoletani a serviziodella canzone

MATRICI

195 Raffaele Di MauroIl caso Fenesta che lucive: enigma ‘quasi’ risolto

241 Simona FrascaI’m’arricordo ’e Napule di Enrico Caruso: per una genesi della popularmusic

257 Massimo Privitera«Carlo Mazza, Quagliarulo e soci». Le macchiette di Pisano e Cioffi

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VI

297 Gianfranco PlenizioLo core sperduto

STRUMENTI

313 Carla ContiAmphion Thebas, Cantus Neapolim

379 Marialuisa StazioIl futuro alle spalle. Canzone napoletana fin de siècle e industria culturale

431 Giovanni VaccaCanzone e mutazione urbanistica

449 Helga SanitàPiedigrotta e la Canzone. Packaging di un totem

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Raffaele Di Mauro

IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO

Ci occupiamo di una delle più celebri canzoni napoletane, ovvero Fenesta chelucive, brano interpretato dai più importanti tenori e cantanti (da Caruso a Pa-varotti, da Roberto Murolo a Fausto Cigliano), che ha dato il nome e l’argo-mento ad alcune pellicole cinematografiche e opere teatrali ed è stato citato sianell’ambito della musica colta (nel poema sinfonico Vltava di Smetana, nellaromanza di Mario Costa, Un organetto suona per la via) sia della cosidetta mu-sica leggera (la canzone Nessuno mi può giudicare cantata da Caterina Caselli,secondo Lorenzo Pilat, uno degli autori, nasce proprio dall’idea melodica ini-ziale di Fenesta che lucive). Insomma un brano molto famoso sulla cui originepermangono ancora oggi moltissimi dubbi nonostante dell’argomento si sianooccupati, come vedremo, alcuni dei più importanti studiosi di fine ’800 e del’900.

Cronologia delle prime versioni a stampa

Chiunque si cimenti nello studio sulla genesi di Fenesta che lucive si renderàpresto conto delle numerose inesattezze sulle date indicate dagli studiosi per levarie versioni della canzone, che spesso danno il ‘la’ a considerazioni prive difondamento. Cerchiamo qui di indicare i dati cronologici esatti (almeno nellaloro successione), avvalendoci soprattutto del prezioso contributo di OttavioTiby che sull’argomento ha effettuato una delle ricerche più rigorose1 (incor-rendo però anche lui in alcune imprecisioni come vedremo) di cui nessuno sto-rico della canzone napoletana ha fatto fino a questo momento tesoro.

1843, 1ª versione ovvero versione Guglielmo Cottrau, ed. Girard e C. (anonima,in fa minore)

È il 1843 l’anno esatto della prima versione stampata della canzone (inten-diamo quella da noi conosciuta e cantata fino ad oggi) e non il 1841 come so-

1. Cfr. OTTAVIO TIBY, Leggenda e realtà d’una canzone popolare, «Nuove Effemeridi, rassegnatrimestrale di cultura», III (1990), n. 11, pp. 195-208. Si tratta della ristampa del saggio, re-cante lo stesso titolo, che era stato pubblicato in origine negli «Annali del Museo Pitrè», V–VII (1954-56), pp. 63-83.

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stiene Tiby o il 1842 come sostengono invece tutti gli altri.2 È infatti nel 1843,come risulta dall’avviso pubblicato sul Giornale del Regno delle due Sicilie,3 chepresso la casa editrice musicale Girard e C. esce la raccolta 25 Nuove Canzon-cine Nazionali Napoletane formanti seguito alla raccolta intitolata Passatempimusicali, 2ª parte, a cura di Guglielmo Cottrau, dov’è contenuta Fenesta che lu-civi (è la n. 13). Questa raccolta era appunto il seguito, ovvero il secondo sup-plemento, della celeberrima raccolta Passatempi musicali il cui primo fascicoloera uscito invece nel 1824 (e non, come erroneamente si crede, nel 1825).4

Tiby indica come data di pubblicazione delle 25 Nuove canzoncine il mese disettembre dell’anno 1841 ma sulla base di due equivoci:

1) un avviso editoriale pubblicato nel settembre del 1841, ma questo si rife-risce alle 24 Canzoncine nazionali napoletane, che sono però una scelta di al-cune delle vecchie canzoncine che si trovavano nei Passatempi adattate per lavoce di soprano o tenore, e non le 25 Nuove canzoncine nazionali napoletaneche sono invece successive;5

2) un passo di una lettera del 1 ottobre 1841 inviata da Guglielmo alla sorellaLina Freppa in cui dice «per Donizetti…ti ho inviato cinque copie su carta dalettera delle mie ultime canzoni napoletane»6 ma riferendosi probabilmente o aquelle poi confluite nella raccolta Supplimento a’ Passatempi Musicali – 16 can-

2. Tra gli altri cfr. ETTORE DE MURA, Enciclopedia della canzone napoletana, Il Torchio, Napoli1969, vol. III, p. 143.

3. Ecco l’avviso pubblicato in data 31 Ottobre 1843: dopo l’intestazione Novità musicali pub-blicate recentemente dagli editori Girard e C. si legge tra le opere nuove pubblicate «25 nuovecanzoncine nazionali in dialetto napoletano, queste 25 canzoncine popolari formano seguitoalle 69 della raccolta intitolata Passatempi musicali 2ª parte, ed alle 16 del supplemento intutto 110 sinora». Cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie», 1843, n. 239, 31 Ottobre.

4. In un avviso del 10 Novembre 1824 «annunziando la pubblicazione del primo fascicolo deipassatempi musicali» (a nostro avviso stampato nell’ottobre di quello stesso anno) si invita-vano «gli amatori del canto specialmente ad osservare questa raccolta» (cfr. «Giornale delRegno delle due Sicilie», 1824, n. 266, 10 Novembre). Ma vi riportiamo integralmente l’avvi-so pubblicato due giorni dopo sullo stesso giornale: «Passatempi musicali. Le associazioniper questa raccolta musicale, della quale si è reso conto nel n. 266 di questo giornale, si rice-vono presso del sig. Giuseppe Girard editore di musica, strada Toledo n. 177. Ogni due mesine comparisce un fascicolo di 32 in 40 pagine, carta velina al prezzo per gli associati di unducato ognuno» (Ibid, n. 268, 12 Novembre).

5. Cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie», 1841, n. 202, 8 settembre. Vogliamo far notareche in questo stesso avviso erano pubblicizzate anche le 30 Canzoncine nazionali napoletanee siciliane, estratte dalla raccolta intitolata Passatempi musicali ed adattate per la voce dimezzosoprano o baritono, il cui numero di pubblicazione, come da noi rilevato da una copiaconservata presso il conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli, è il n. 5323: un’ulterioreprova che le 25 Nuove Canzoncine Nazionali Napoletane che hanno invece il n. 6282 (Fene-sta che lucivi corrisponde al n. 6290) non possono essere che successive di qualche anno.

6. Cfr. Lettres d’un mélomane pour servir de document à l’histoire musicale de Naples de 1829 à1847, avec préface de F. Verdinois, Morano, Napoli 1885, pp. 77-8. Tiby viene probabilmentetratto in inganno dalla nota a piè di pagina nella quale si sostiene erroneamente che Fenestache lucivi fa parte della raccolta a cui si riferisce Cottrau nella lettera alla sorella, ma in realtàCottrau non parla di alcuna raccolta ma solo di composizioni, forse manoscritti.

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zoni più recenti7 oppure a manoscritti di sue composizioni che andranno poi afar parte delle 25 Nuove canzoncine ma che in quel momento non erano ancorastate pubblicate.

È solo quindi nel 1843 che veniva stampata per la prima volta la canzone chereca il titolo di Fenesta che lucivi e mo non luci: essa è nella tonalità di FA mi-nore, è presentata anonima sia per il testo che per la musica e con l’indicazionecanzone di Positano. Questa stessa versione fu ristampata due volte da TeodoroCottrau (figlio di Guglielmo): la prima nella Collezione completa delle canzon-cine nazionali napoletane8 verso il 1852,9 la seconda nel 1865 in Passatempi mu-sicali – Raccolta completa delle canzoni napoletane composte da Guglielmo Cot-trau.10 In queste due ristampe la canzone appare sempre col sottotitolo canzone

7. Di questa raccolta pubblicata verso il 1842-1843, facevano parte anche due canzoni di Doni-zetti (La conocchia e Amor marinaro) e due tarantelle, una di Florimo (Ne vavò la chitarrel-la) l’altra della Malibran (No chiù lo guarracino) già pubblicate negli anni ’30 e anche la fa-mosa Io te voglie bene assaie (con tre risposte) che era stata pubblicata anonima da Girardcome canzone nuova nel 1840 (cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie », 1840, n. 172, 8agosto) avvalorando quindi la tesi che sia, come sembra ormai certo, del 1839 e non del 1835come a lungo si è creduto. Cfr. DE MURA, Enciclopedia della canzone napoletana, vol. I, pp.158-161.

8. Di questa Collezione completa, pubblicata dallo Stabilimento Musicale Partenopeo, facevanoparte ben 13 raccolte per un totale di 246 canzoncine che coprivano un arco temporale cheandava più o meno dal 1824 al 1850-51. La prima raccolta era costituita dalle 68 canzoncine(44 pubblicate nel 1824-25 più altre 24 edite successivamente fino al 1829) contenute neiPassatempi musicali-2ª parte, 3ª edizione ristampate nel 1840 in tre fascicoli in seguito algrande successo di Io te voglio bene assaje (cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie », 1840,n. 172, 8 agosto). Vi erano poi ben cinque Supplementi a’ Passatempi pubblicati dal 1842-43in poi (solo i primi tre a cura di G. Cottrau scomparso nel 1847, gli altri due con composi-zioni di Labriola, Biscardi, Rondinella e altri) più cinque raccolte di Francesco Florimo (Lemontanine 1843, I canti della collina 1844, Le brezze marine 1845, Ischia e Sorrento 1848 e Lepopolane 1850), una di Federico Ricci (Grida de’ venditori di Napoli 1844) e una di NicolaDe Giosa (Album napoletano 1849).

9. Abbiamo indicato una data posteriore al 1852 perché è solo in quest’anno che le edizioni Gi-rard e C. mutano il proprio nome in Stabilimento Musicale Partenopeo essendo oramai ge-stite principalmente da Teodoro Cottrau che ne diverrà unico proprietario a partire dal1855. La data del 1852 è confermata da alcuni indizi: verso la fine del 1851 la denominazioneè ancora Girard e C. (cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie», 1851, n. 190, 2 settembre),invece da un avviso del 1853 apprendiamo che l’inizio delle pubblicazioni della GazzettaMusicale stampata dallo Stabilimento Musicale Partenopeo successore di B. Girard e C. risali-va al luglio del 1852 (cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie», 1853, n. 252, 19 novembre),di conseguenza è pensabile che il cambiamento sia avvenuto proprio in questo lasso tempo-rale. Su questo vedi anche FRANCESCA SELLER-RICCARDO ALLORTO, Canti popolari e popolareschinelle trascrizioni dell’ottocento, Ricordi, Milano 2001, p. 9. La conferma che la CollezioneCompleta (che sarà continuata da Teodoro anche nei decenni successivi) sia stata stampataverso il 1852 è data da un altro particolare: di essa fanno parte tutte le raccolte di canzonipopolari pubblicate da Florimo dal 1843 fino al 1851 ma non Le Serate di Capodimonte,pubblicate per l’anno 1853 dallo Stabilimento Musicale Partenopeo.

10. Questa raccolta, pubblicata dal Regio Stabilimento Musicale di T. Cottrau, contiene ben 113canzoni (Fenesta che lucivi è la n. 77) pubblicate da Guglielmo Cottrau: molte, come noi cre-diamo, effettivamente composte da lui (Fenesta vascia, La festa di Piedigrotta, Aizzaie l’uoc-

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di Positano ma in entrambi i casi sia il testo che la musica vengono stavolta at-tribuiti a Guglielmo Cottrau. A questo punto bisogna evidenziare la totale in-fondatezza delle accuse rivolte sia da Di Giacomo, che aveva rimproverato Cot-trau di aver pubblicato come «cosa sua» la canzone facendo una riduzione dellamusica che ‘pare’ gli fosse stata fornita da Luigi Ricci,11 sia da Vajro che addirit-tura dice: «il primo che avesse la faccia tosta di dirsi autore della musica di Fe-nesta ca lucive fu Guglielmo Cottrau».12

Semmai si può ‘accusare’ Teodoro di aver attribuito al padre (probabilmenteper complesse ragioni legate alla tutela all’estero dei propri interessi editoriali13)la paternità di questa e altre canzoni popolari che Guglielmo aveva corretta-mente pubblicato come anonime. È quindi assolutamente da riabilitare la fi-gura di Guglielmo Cottrau al quale non può essere certamente attribuito il ‘vi-zietto’ di dichiarare come sue canzoni popolari ma semmai il difetto opposto,di farci cioè credere popolari canzoni come Fenesta vascia e tante altre, chesono di sua composizione (almeno per quanto riguarda la musica) e di cui si at-tribuì la legittima paternità, e noi gli crediamo, in alcune lettere.14

chie ‘ncielo e molte altre) almeno per ciò che riguarda la parte musicale, altre solo trascritteed elaborate (come la stessa Fenesta che lucivi oppure la famosa Michelemmà) e altre ancoraattribuitegli impropriamente dal figlio Teodoro (tra queste Io te voglio bene assaje). Ovvia-mente è assai difficile stabilire con esattezza quali composizioni siano state raccolte dal po-polo e poi elaborate e quali invece siano completamente opera del Cottrau. Nell’elenco delle129 composizioni attribuitegli che appare in un volume biografico di Edoardo Cerillo, quelle«attinte alla fonte popolare» sono contrassegnate da un’asterisco e sono solo 15 (Fenesta cheLucivi reca anch’essa l’asterisco). Cfr. LYLIRCUS (pseudonimo di Edoardo Cerillo), Ricordibiografici napoletani dal 1820 al 1850, Guglielmo Cottrau, Marghieri, Napoli 1881 (2ª ediz.),pp. 52-6.

11. Non cita nessuna fonte a sostegno di questa supposizione, ma ne riparleremo più avanti.Cfr. SALVATORE DI GIACOMO, “Fenesta ca lucive…”, in Napoli: figure e paesi, Newton Compton,Roma 1995 (prima in Celebrità napoletane, Trani 1896), p. 45.

12. Cfr. MASSIMILIANO VAJRO, “Fenesta ca lucive”. Peripezie napoletane di un canto siciliano, R. Pi-ronti e figli, Napoli 1949, pp. 9-10 (estratto dalla rivista «Folklore», IV, fasc. 1-2, aprile-set-tembre 1949).

13. Lo stesso Guglielmo si era già reso conto di questo problema cercando una soluzione. Cfr.LYLIRCUS, Ricordi biografici napoletani dal 1820 al 1850, Guglielmo Cottrau, pp. 51-2 oppureLettres d’un mélomane, pp. 64-5.

14. Nella lettera alla sorella del 6 Maggio 1833 Guglielmo dice «Io sono non soltanto l’arrangia-tore, l’unico trascrittore delle canzoni nazionali di Napoli, ma l’autore, come tu sai, di quelleche modestia a parte, sono più in voga, cioè Fenesta vascia, La festa di Piedigrotta, Aizaiel’uocchie ‘ncielo e venti altre…» (cfr. Lettres d’un mélomane, p. 19). Crediamo si riferisca alle68 canzoncine contenute nei Passatempi-parte 2ª di cui, quindi, si attribuisce la paternità dialmeno un terzo delle composizioni. In un’altra lettera del 9 Novembre 1836 dice «…ti inviola copia che ho appena fatto fare di 18 ariette napoletane composte da me (ad eccezione deinumeri 3 e 12) e che vorrei pubblicare quest’inverno con 5 o 6 che non sono ancorapronte… ne ho ancora altre in portafoglio» (ibid, p. 48). In questo caso si riferisce probabil-mente ad alcuni brani che furono pubblicati nel primo Supplemento a’ Passatempi del1842-43 e per la maggior parte alle 25 Nuove canzoncine che videro la luce soltanto nel 1843.Infine in una lettera dell’11 dicembre 1845 Cottrau dice «vi mando un quaderno di ventinuove canzoni napoletane… al di fuori di Luisella, Tiritomba, Trippole Trappole (arrangiateda Jules) e ‘O primm’ammore, tutte queste canzoni sono del mio sacco, che si impoverisce,

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1870 (circa), versione Teodoro Cottrau, ed. T. Cottrau (attribuita a G. Cottrau,in re minore)

La canzone viene ripubblicata ancora da Teodoro Cottrau nella raccolta Eco delVesuvio, Scelta di celebri canzoni napoletane,15 stavolta però il brano viene pre-sentato in re minore, col titolo Fenesta che lucivi ma come canzone nell’albumCapodimonte e attribuita (per la terza volta) versi e musica a Guglielmo Cot-trau. Si conferma quindi che fu Teodoro ad attribuire la canzone al padre(morto nel 1847) e non ci stupisce il fatto che essa si ‘trasferisca’ da Positano aCapodimonte, scelta sicuramente dettata dalla linea editoriale della casa edi-trice che tendeva per fini commerciali a collegare canzoni popolari con luoghinoti di Napoli e provincia. È assai difficile stabilire con esattezza la data precisadi questa pubblicazione: in mancanza di elementi certi accogliamo qui l’opi-nione di Tiby che, in base alle sue ricerche, afferma che «la casa Teod. Cottrau,che discendeva dalla Girard era, sul finire del 1861, sul n. d’ed. 13.600, nelMarzo 1866 sul 14.500», deducendo da ciò che il n.16.287 (al quale corrispondeFenesta che lucivi) «debba ritenersi posteriore al 1870».16

1877, versione De Meglio, ed. Ricordi (anonima, fa minore)

Questa versione di Fenesta che lucivi uscì nella raccolta Eco di Napoli: 100 ce-lebri canzoni popolari napoletane per canto e pianoforte/raccolte dal maestroVincenzo De Meglio ovvero nel Vol.1: 50 Celebri canzoni popolari per canto epianoforte pubblicato nel 1877 dalla Ricordi cui fece seguito, nel 1882,17 un se-condo volume con altri 50 brani. Quest’opera è stata poi più volte ristampata intre volumi (con complessivamente 150 brani) invece dei due originari. La ver-sione De Meglio riproduce quasi identica (c’è solo qualche piccolissima variantenell’accompagnamento armonico soprattutto nell’introduzione) la versioneGuglielmo Cottrau del 1843, ritorna quindi nella tonalità di fa minore e ‘ridi-venta’ anonima sia per il testo che per la musica, a conferma del fatto che fuesclusivamente Teodoro ad attribuire la canzone al padre e non altri.

non lo nascondo, con l’età» (ibid., p. 89). Si riferisce in questo caso sicuramente al 3˚ Supple-mento ai Passatempi composto appunto da 20 canzoni e pubblicato proprio nel 1845 (cfr.«Giornale del Regno delle due Sicilie», 1845, n. 282, 24 dicembre). Di quest’ultima raccoltafacevano parte, oltre alle quattro canzoni citate nella lettera, brani come Don Ciccio alla fan-farra, La marenarella, Carmenè! sto tinto ccà e molte altre di cui, quindi, Cottrau si attribui-sce la paternità quantomeno dell’arrangiamento.

15. Si tratta di una raccolta divisa in 16 album e dal catalogo delle edizioni di T. Cottrau siapprende che si trattava di una «collezione fatta pe’ forestieri colla versione italiana in quasitutte le canzoni». Cfr. Edizioni Musicali T. Cottrau, Stabilimento T. Cottrau, Napoli s.d., p.32.

16. Cfr. TIBY, Leggenda e realtà d’una canzone popolare, p. 200, nota 17.17. Le date del 1877 e del 1882 qui indicate sono quelle attribuite alle copie dei due volumi di

De Meglio conservati presso la Biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Milano.

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1892 (dopo il), versione Longo, ed. Bideri (attribuita a Vincenzo Bellini, in miminore)

È questa, a nostro avviso, l’ultima versione importante della canzone, ancheperchè per la prima volta essa viene attribuita a Bellini dando così corpo allaleggenda di cui ci occuperemo dopo. Il brano qui reca il seguente titolo: Fe-nesta che lucive! Canzone antica napoletana del divo Maestro Vincenzo Bellini,edita dalla casa editrice Bideri di Napoli (numero di catalogo 4200), trascri-zione del maestro Achille Longo. Anche in questo caso è assai difficile risalireall’anno della prima pubblicazione: Tiby indica la data del 1911 ottenuta tra-mite «cortese informazione della Casa Bideri» ma a noi risulta anche un’altrapubblicazione precedente nella biblioteca musicale de «La Tavola Rotonda» erisalente a una data sicuramente posteriore al 1892.18 Dal punto di vista musi-cale la versione Longo rispetto alle versioni precedenti presenta alcune diffe-renze avendo un’introduzione e un accompagnamento armonico assai diversied alcune piccole variazioni anche nella melodia.

Fin qui le versioni diciamo più significative, cui va aggiunta un’altra stampadi Fenesta che lucivi e mo non luci pubblicata dall’editore Clausetti e C.19 che ri-produce esattamente la versione Guglielmo Cottrau in fa minore e anonima.Anche in questo caso non abbiamo la data della pubblicazione, ma secondoquanto abbiamo potuto rilevare da una copia conservata presso la biblioteca delConservatorio di Napoli essa viene attribuita agli anni 1850-1851.

Dobbiamo a questo punto far notare che per tutte le versioni fin qui ricor-date (a partire da quella del 1843) il titolo è Fenesta che lucivi e mo non luci osemplicemente Fenesta che lucivi (ad eccezione della versione Longo denomi-nata Fenesta che lucive) e il testo su cui si cantava la canzone era, con piccolis-sime varianti ortografiche, costituito dalle due sestine seguenti:

Fenesta che lucivi e mo non luci,Sign’è ca nenna mia stace ammalata.S’affaccia la sorella e me lo dice:“Nennella toja è morta e s’è atterrataChiagneva sempe ca dormeva sola,

18. È infatti solo a partire dal 1892 che l’editore Bideri iniziò a pubblicare canzoni napoletanenella quarta di copertina del suo giornale «La Tavola Rotonda», settimanale artistico e lette-rario che aveva visto la luce nel 1891 ma che inizialmente pubblicò solo romanze (cfr. MARIA

LUISA STAZIO, Osolemio. La canzone napoletana – 1880/1914, Bulzoni, Roma 1991, pp.109-112). Una copia della partitura di Fenesta che lucive pubblicata su «La Tavola Rotonda»è conservata presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Roma.

19. La canzone (pubblicata col n. 401) faceva parte della settima delle dieci raccolte della Colle-zione completa di canzoni napoletane pubblicate da Clausetti e C. fino al 1860. Cfr. CLAUSETTI,Catalogo delle opere pubblicate dallo Stabilimento Musicale dei fratelli Pietro e Lorenzo Clau-setti, Napoli 1860, pp. 13-15. Vajro ci informa che Clausetti pubblicò di nuovo il brano, nellaraccolta Canzoni, sempre anonimo ma nella tonalità di la minore (cfr. VAJRO, “Fenesta ca lu-cive”. Peripezie napoletane di un canto siciliano, p. 9).

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 201

Mo dorme co li muorte accompagnata!”

“Va nella chiesa e scuopre lo tavuto,Vide nennella toja comm’è tornataDa chella vocca ca n’asceano sciureMo n’esceno li vierme, oh che piatate!”“Zi Parrochiano mio, abbice cureNa lampa sempe tienece allumata!”

Molto spesso è stata indicata erroneamente (Di Giacomo, Vajro) comeprima data di apparizione del testo di Fenesta che lucive il 1854, anno in cui sa-rebbe stato pubblicato da Mariano Paolella20 un foglio volante stampato da DePasquale, che riproduceva le seguenti cinque sestine:21

Fenesta che lucive e mo non luce,Fuorze nennella mia stace malata?…S’affaccia la sorella e che mme dice?“Nennella toja è morta e s’è atterrata“Chiagneva sempe ca dormeva sola,“Mo dorme co li muorte accompagnata!

Cara sorella mia, che mme dicite?Cara sorella mia, che me contate?…“Guardate ‘ncielo, si non me credite,“Purzi li stelle stanno appassionate“È morta nenna vosta ah si chiagnite,“Ca quanto v’aggie ditto è beretate!

“Iate a la Cchiesia e la vedite pure;“Aprite lu tavuto e che trovate?“Da chella vocca ca n’asceano sciure

20. Mariano Paolella appartiene (insieme ad altri come Totonno Tasso, Giovanni Chiovetielloecc.) a quelli che la Stazio ha definito ‘poeti popolareggianti’ appartenenti ai ceti popolari oartigiani i quali «prendevano spunto da canzonette già circolanti per via orale o stampata…e proponevano i frutti delle loro rielaborazioni ai numerosi tipografi napoletani», distinti dai‘poeti popolareschi’ appartenenti invece a ceti medio-alti (uno fra tutti, Raffaele Sacco) cheinizialmente coltivarono le loro doti poetiche (si trattava per lo più di improvvisatori) per far‘bella figura’ in società e che solo in un secondo momento stabilirono contatti con le tipo-grafie. Cfr. STAZIO, Osolemio. La canzone napoletana–1880/1914, pp. 36-42.

21. Al testo che recava il titolo Fenesta che lucive e mo non luce (da notare la lieve differenza del-la vocale finale col Fenesta che lucivi e mo non luci della versione del 1843), faceva seguito laseguente nota dell’autore «N.B. Poche parole canticchiate dal popolo, massime dalle donni-ciuole, han dato argomento all’autore di scrivere la presente piccola elegia lirica. Le suaccen-nate parole popolari sono tanto antiche, che moltissimi pretendono risalir esse all’epoca diMas’Aniello: nientemeno due secoli or sono!!» e con la firma M.P.

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202 RAFFAELE DI MAURO

“Mo n’esceno li vierme, o che piatate!Zi Parrochiano mio, tienece cureLi llampe sempe tienence allummate.

Ah nenna mia si' morta, poverella!Chill’ uocchie tiene chiuse e non mme guardaMa ancora a ll’uoccbie mieie tu pare bellaCa sempe t’aggio amato e mo cchiù assaie!Potesse a lo mmacaro mori priesto,E m’atterrasse a lato a tte nennella!

Fenesta cara addio; rieste nzerrataCa nenna mia mo non se po affacciare,Io cchiù non passarraggio da sta strata,Vaco a lu Camposanto a passiare‘Nzino a lo juorno che la morta ‘ngrataMme face nenna mia ire a trovare.

Ma a questo punto le ipotesi sono due:– se è vero come sostiene Di Giacomo che il foglio volante risale al 1854 esso

è da ritenersi sicuramente successivo alla versione Cottrau del 1843 la cui parti-tura riportava come testo le due sestine sopra citate che corrispondono allaprima e alla terza del testo di Paolella con qualche variante.22

– se invece il foglio volante che lo riproduce, come sostiene Leydi, risale al1840 circa,23 allora è possibile che esso sia precedente alla versione Cottrauanche se non è detto che quest’ultimo l’abbia avuta sotto mano e se ne sia ser-

22. Le più evidenti «sign’è ca nenna mia stace ammalata» invece di «fuorze nennella mia stacemalata» e «Va nella chiesa e scopre lo tavuto, vide nennella toja comm’è tornata» invece di«Iate a la cchiesia e la vedite pure, aprite lu tavuto e che trovate?».

23. Cfr. ROBERTO LEYDI, Canti e musiche popolari. Le tradizioni popolari in Italia, Electa, Milano1990, p. 147. Purtroppo Leydi non ci dice in base a quale ragionamento indica tale data. Bi-sogna poi dire che il testo del foglio volante da lui riprodotto (da noi ricopiato sopra) è leg-germente diverso da quello riportato da Di Giacomo che lo trascrisse, come lui dice, aven-dolo «sottocchi». Esso presenta piccole variazioni ortografiche oltre che una variazione mol-to evidente che riguarda i primi due endecasillabi: «Fenesta che lucive e mo non luce, fuorzenennella mia stace malata?» della copia riprodotta da Leydi diventa nella versione trascrittadal Di Giacomo «Fenesta ca lucive e mo non luce, segno è ca nenna mia stace malata». Pur-troppo del foglio volante ripreso dal Di Giacomo non abbiamo una riproduzione ma, volen-do dare per buono il fatto che egli l’abbia trascritto fedelmente, non ci sembra da escluderel’ipotesi che stiamo parlando di due stampe diverse, ovvero che quella riprodotta da Leydisia la prima versione (che non a caso è senza alcuna indicazione tipografica), mentre invecequella citata da Di Giacomo sia una stampa successiva (si spiegherebbe così l’indicazione deltipografo De Pasquale e della data del 1854). Se il foglio volante di Fenesta che lucive risalisseveramente al 1840 circa, come sostiene Leydi, bisogna considerare anche l’ipotesi che l’auto-re non sia Mariano Paolella visto che questi era nato nel 1835 (cfr. DE MURA, Enciclopediadella canzone napoletana, vol. I, p. 133) e che quindi le iniziali «M. P.» siano da riferirsi adun’altra persona.

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vito per la sua trascrizione che è, a nostro avviso, più credibile sia stata origi-nata dall’ascolto diretto della canzone, avvenuto magari sul molo di Napoli24

per bocca di un cantastorie o viggianese.I dubbi al riguardo permangono ma l’unica cosa certa è che la canzone è

stata cantata quasi sempre col testo delle due sestine della versione Cottrau esolo in rari casi (Enrico Caruso, Roberto Murolo, Luciano Pavarotti) con untesto ‘ibrido’ composto dalla prima sestina della versione Cottrau e l’ultima delfoglio volante di Paolella («Fenesta cara addio…»). C’è da dire che se come Pao-lella afferma le «parole canticchiate dal popolo» gli hanno dato lo spunto perscrivere una «piccola elegia lirica», egli abbia in qualche modo rielaborato iversi ascoltati aggiungendo anche qualcosa di suo. Secondo Di Giacomo le ul-time due sestine sarebbero completamente opera di Paolella ma, a nostro av-viso, egli ha solo rielaborato alcuni temi comunque presenti nella versione po-polare (ne daremo delle prove più avanti), aggiungendo forse qualche verso suosolo per accentuare il tono sentimentale (soprattutto nella quinta sestina) che sisostituisce per un momento al tono magico-simbolico che pervade invece lealtre sestine.

Leggenda n. 1: l’attribuzione a Vincenzo Bellini

Il primo studioso che tira in ballo Bellini a proposito di Fenesta che lucive è Mi-chele Scherillo in un brevissimo saggio del 1885.25 Scherillo, parlando del rap-porto a suo parere indubbio tra Bellini e la musica popolare, si limita a indicarecome esempio una frase musicale tratta dalla scena finale («Ah non credea mi-rarti») della Sonnambula e specificamente quella su cui vengono cantate le pa-role «Più non reggo a tanto duolo» in cui, a suo avviso, si rinviene una tracciad’imitazione popolare di Fenesta che lucive nello specifico della seconda parte«propriamente alle parole chiagneva sempre ca dormeva sola, mo dorme co’ limuorte accompagnata!».26

Subito dopo si occupa della questione il ‘solito’ Di Giacomo che nel 1896 so-stiene che Fenesta che lucive ha due mosse melodiche: la prima che richiamaalla mente passaggi melodici di Rossini (la preghiera «Dal tuo stellato soglio» eil duetto «Non merto più consiglio» dal Mosè e l’aria «Assisa a piè d’un salice»dall’Otello) e la seconda che richiama invece Bellini (l’aria finale della Sonnam-bula indicata anche da Scherillo). A questo punto Di Giacomo pone il di-lemma: «si sono ispirati Rossini e Bellini alla melodia […] di Fenesta ca lucive,

24. Il molo di Napoli era in quegli anni il centro della musica popolare cittadina in cui pullula-vano diverse figure: cantastorie, improvvisatori, cantori girovaghi come i viggianesi ecc. Cfr.CARLO AUGUSTO MAYER, Vita popolare a Napoli nell’età romantica, traduzione dal tedesco diLidia Croce, Laterza, Bari 1948, pp. 144-9, 311-9.

25. Cfr. MICHELE SCHERILLO, Bellini e la musica popolare, in «Giambattista Basile», III, n. 4, (1885).Questo saggio è stato riproposto anche in «Nuove Effemeridi, rassegna trimestrale di cultu-ra», III, n. 11, (1990), op. cit., pp. 189-90.

26. Ibid., p. 189.

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o la melodia che noi conosciamo […] si è modellata sulle note indimen-ticabili?».27 Come abbiamo visto sia Scherillo che Di Giacomo tirano in ballo ilnome di Bellini ma senza mai sostenere che sia lui l’autore di Fenesta che lucive;eppure è proprio in questo periodo, verso la fine dell’800, che appare l’edizioneBideri della canzone. È proprio questa versione a dare ‘ufficialità’ alla leggendaindicando come autore della musica il «divo maestro Vincenzo Bellini». La par-titura in questione viene poi ripresa da Molinaro del Chiaro nel 1916, sempreattribuita a Bellini, e così la leggenda prende piede.

Successivamente altri studiosi riprendono la questione: ad esempio nel 1920Giulio Fara ripropone sostanzialmente la tesi di Di Giacomo;28 è poi Carava-glios a sostenere che erano stati semmai Rossini e Bellini ad attingere, seppur‘inconsciamente’, alla melodia popolare di Fenesta che lucive.29 Infine è Vajroad occuparsi nel 1949 della vexata quaestio sostenendo che probabilmente Bel-lini trasportò inconsapevolmente le note della canzone (ascoltate in Sicilia at-traverso la storia della Baronessa di Carini, di cui ci occuperemo dopo) nell’ariadella Sonnambula «Ah, non credea mirarti» dove a suo parere «si rinviene in-tera l’ossatura ed anche i particolari di Fenesta ca lucive».30

È a questo punto che arriva negli anni ’50 l’autorevole contributo di Tibyche fa un po’ di chiarezza sull’argomento. Innanzitutto Tiby, analizzando leopere dei biografi ottocenteschi di Bellini,31 rileva che nessuno riporta l’ipotesiche egli sia l’autore della celebre canzone e bisogna attendere il 1934 prima chequalcuno ne parli.32

27. Cfr. DI GIACOMO, “Fenesta ca lucive…”, p. 45. La posizione di Di Giacomo viene ripresa nel1907 anche da MARIA BALLANTI, La canzone napoletana, Melfi & Joele, Napoli 1907, p. 72.

28. Ecco il passo di Fara: «…Fenesta ch’alucive su cui tanto si scrisse per attribuirla all’uno od al-l’altro musicista e nella quale lo spunto che pare tolto alla preghiera del Mosè di Rossini va amorire e perdersi nella dolce melodia belliniana della Sonnambula» (cfr. GIULIO FARA, L’animamusicale in Italia: la canzone del popolo, Ausonia, Roma 1920, p. 152). Fara riporta in appendi-ce (es. n. 56) al proprio libro, nella sezione Campania, la melodia di Fenesta che lucive nella to-nalità di fa minore senza alcuna introduzione e alcun accompagnamento armonico.

29. Cfr. CESARE CARAVAGLIOS, Il folklore musicale in Italia, Rispoli, Napoli 1936, pp. 92-93.30. Cfr. VAJRO, “Fenesta ca lucive”.Peripezie napoletane di un canto siciliano, p. 13.31. Cfr. FILIPPO CICCONETTI, Vita di Vincenzo Bellini, Tip. F. Alberghetti e C., Prato 1859;

ANTONINO AMORE, Vincenzo Bellini: vita, studi e ricerche, N. Giannotta, Catania 1894. AncheScherillo (il primo a tirare in ballo il nome di Bellini) non accennò mai all’ipotesi che Fene-sta che lucive fosse stata composta dal musicista catanese nè nel suo volume biografico enemmeno nell’Album Bellini uscito nel 1886, a cura sua e di Francesco Florimo, in occasio-ne dell’inaugurazione del monumento napoletano dedicato all’operista siciliano. Cfr.MICHELE SCHERILLO, Vincenzo Bellini: note aneddotiche e critiche, A. Gustavo Morelli, Ancona1882 e Album-Bellini, a cura di F. Florimo e M. Scherillo A. Tocco e C., Napoli 1886. In que-st’ultimo volume venivano riportati diversi pensieri di alcuni dei più grandi artisti e musici-sti dell’epoca che omaggiavano la figura di Bellini. Nessuno di loro, e ciò è sintomatico, ac-cenna a Fenesta che lucive.

32. È questo infatti l’anno in cui Luisa Cambi nella sua biografia di Bellini riporta le seguenti os-servazioni: «Una lunga tradizione popolare lega il nome del giovane artista siciliano a quellodi Nennella di Fenesta ca lucive. Questa canzone, attribuita a Bellini, è belliniana: per il suodolore canoro, per la sua cadenza melodica. Tuttavia — se pure non è di Bellini … il richia-

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Poi lo stesso Tiby analizza a fondo, mettendone a confronto le due melodie,Fenesta che lucive e «Ah, non credea mirarti» (trasportando la canzone nellastessa tonalità dell’aria, ovvero la minore), dimostrando la sostanziale diversitàdelle due33 e smentendo così in modo netto la tesi di Vajro che nell’aria dellaSonnambula rinveniva «l’intera ossatura» della canzone. Tiby accetta comeunica somiglianza (confermando l’ipotesi Scherillo) quella tra una frase musi-cale dell’aria («Più non reggo a tanto duolo! Che un giorno, un giorno durò») euna della canzone («Chiagneva sempe ca dormeva sola, mo dorme co li muorteaccompagnata»). Riportiamo le due parti melodiche messe a confronto da Tiby:

A nostro avviso più che di ‘sostanziale identità’, come dice Tiby, a parte cheper le prime due battute, si può parlare solo appunto di una somiglianza, consi-derando anche che l’aria è in 4/4 mentre la canzone è in 12/8 e che a livello te-stuale nell’aria si cantano due ottonari mentre nella canzone due endecasillabi.

Tiby ci fa poi giustamente notare che Franceso Florimo, che visse piena-mente l’ambiente napoletano all’epoca di Bellini, del quale fu amico devotooltre che grande ammiratore, non accennò mai nelle sue opere34 all’ipotesi cheil catanese fosse l’autore della famosa Fenesta che lucive e ci segnala un ulterioreprezioso indizio che sembra lasciar spazio a pochi dubbi: Florimo pubblica nel

mo evidente a un tema della Sonnambula, e forse anche, nel preludio, al preludio di una ce-lebre aria dei Puritani, induce a credere che la canzone sia stata scritta da qualcuno che nonseppe solo imitarlo, ma veramente immedesimarsi in lui» (cfr. LUISA CAMBI, Bellini, la vita,Mondadori, Milano 1934, p. 21). La Cambi non specifica né a quale preludio di quale ariadei Puritani si riferisce e nemmeno a quale introduzione di Fenesta che lucive (ricordiamoche ce ne sono due abbastanza diverse: quella della versione Guglielmo Cottrau, ripresa daTeodoro e da De Meglio, e quella della versione Longo), ma al di là di questo Tiby fa giusta-mente notare che le canzoni popolari non nascono mai con un preludio strumentale, il qualeviene di solito aggiunto dal trascrittore (cfr. TIBY, Leggenda e realtà d’una canzone popolare,p. 196).

33. Ibid., pp. 198-9.34. Cfr. FRANCESCO FLORIMO, Cenno storico sulla Scuola musicale di Napoli, Lorenzo Rocco, Napoli

1869-1871; FRANCESCO FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Morano,Napoli 1880-1882 (4 volumi) e FRANCESCO FLORIMO, Bellini, Memorie e lettere, G. Barbera, Fi-renze 1882.

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1844,35 quindi poco dopo la 25 Nuove canzoncine,36 sempre presso la Girard, laraccolta Le Montanine. Scelta di canti popolari napoletani nella quale appare ilbrano La morta37 che ha lo stesso testo di Fenesta che lucive diviso però in quar-tine di endecasillabi e non in sestine:38

Fenesta che lucive e mmo non luceSegno ca Nenna mia stace malata.S’affaccia la sorella e mme lo ddice:“Nennella toja è morta e s’è atterrata

“Vaie alla chiesa e truove lo tavuto.Vide Nennella toja comm’è tornata;Tu mme dicive ca dormeva sola,Mo dorme co li muorte accompagnata”.

Chella vocchella rossa comm’a rrosaMmo vence la vammacia de la ‘nzerra…Vorria morì pur io, p’essere almenoSi no vive, abbracciate sotto terra.

35. Cfr. «Giornale del Regno delle due Sicilie», 1844, n. 31, 10 febbraio. La raccolta in realtà co-stituisce una «strenna musicale pel 1844» ed è quindi assai probabile che sia stata stampataverso la fine del 1843. Era allora assai diffusa la pratica di pubblicare delle raccolte in vistadell’arrivo del nuovo anno e lo stesso Florimo negli anni successivi pubblicò, sempre pressola Girard, altre raccolte di «canzoni e ballate napolitane» come strenne: «I canti della collina,strenna musicale pel 1845, anno 2˚», «Le brezze marine, strenna musicale pel 1846, anno3˚», «Ischia e Sorrento strenna musicale pel 1849, anno 5», «Le popolane, strenna musicalepel 1851» e «Le serate di Capodimonte, strenna musicale 1853» (quest’ultima pubblicata dal-lo Stabilimento Musicale Partenopeo). Oltre a queste sei raccolte qui ricordate, secondoquanto si apprende anche dal catalogo delle Edizioni T. Cottrau, Florimo pubblicò altri duealbum di canzoni popolari: Le Napolitane del 1853-54 e Canti del Golfo del 1854-55. Nel ca-talogo sopra citato gli otto album (con complessivi 94 brani) di Celebri canzoni popolari diFrancesco Florimo sono riuniti in una collezione completa chiamata Eco di Napoli (lo stessotitolo usato da De Meglio) e due di esse appaiono con una denominazione diversa (cambia-mento forse avvenuto in sede di ristampa): la raccolta Ischia e Sorrento prende il nome diSerenate di S. Elmo e Le serate di Capodimonte diventano Le notti di Napoli (cfr. EdizioniMusicali T. Cottrau, p. 31).

36. È pensabile che le 25 Nuove canzoncine di Cottrau precedano Le montanine di Florimo sol-tanto di qualche mese così come si può intuire dalla vicinanza dei numeri editoriali delledue raccolte: n. 6282 per la prima e n. 6340 per la seconda.

37. Di questo brano è conservato anche il manoscritto presso il conservatorio di Napoli dove èpossibile vedere inoltre la partitura a stampa di un altro brano (segnalatoci da Vajro) dal ti-tolo La morta n. 4, facente parte della raccolta Usi e costumi napoletani descritti e messi inmusica dal maestro Camillo Paturzo. Il testo, con le sue tematiche macabre, è probabilmentedi origine popolare (seppure Paturzo se ne proclami l’autore) ed è assai vicino come temi aFenesta che lucive; la musica, invece, è credibilmente opera originale dello stesso Paturzo edè comunque assai diversa dalla nostra canzone. Su Camillo Paturzo si veda DE MURA, Enci-clopedia della canzone napoletana, vol. I, p. 330.

38. Cfr. TIBY, Leggenda e realtà d’una canzone popolare, pp. 195 e 201.

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Come possiamo facilmente vedere le prime due quartine sono pressocchèidentiche (a parte lievi varianti ortografiche) alle due sestine della versione Cot-trau del 1843 (mancano per ognuna gli ultimi due endecasillabi: «Chiagnevasempe…» e «Zi parrocchiano mio…») mentre l’ultima quartina è completa-mente nuova anche se gli ultimi due endecasillabi sembrano riprendere il temadell’abbraccio con la propria ‘nennella’ attraverso la morte che ritroviamo forserielaborati negli ultimi due endecasillabi del foglio volante di Paolella.

Ma la vera novità de La Morta è un’altra e cioè che essa ha, rispetto alla Fe-nesta che lucive che conosciamo, una melodia assai diversa composta daquattro frasi differenti (quindi una struttura ABCD). Vi proponiamo le primedue frasi (AB) riprese da Tiby:

Ora non possiamo esimerci dalle seguenti considerazioni:– se la musica de La Morta è creazione del Florimo stesso, come ipotizza

Tiby, ciò smentirebbe ulteriormente la tesi che sia stato Bellini a comporla:avrebbe mai potuto il Florimo mettere delle note diverse sotto una composi-zione se avesse minimamente ‘sospettato’ che lo stesso brano era stato già mu-sicato da colui che era il suo idolo?

– se invece, come noi pensiamo, la melodia de La morta altro non è che unatrascrizione seguita probabilmente da una rielaborazione (le frasi CD ci sem-brano un’elaborazione colta delle prime due) del Florimo di una diversa inter-pretazione di Fenesta che lucive eseguita a livello popolare, ciò comunque ne-gherebbe l’ipotesi Bellini.

Alla luce di quanto emerso ci sentiamo di dire che la tesi che sia Bellini il com-positore di Fenesta che lucive non ha alcun serio fondamento. Essa è, a nostroavviso, solo frutto di una leggenda metropolitana che a un certo punto trovòl’avallo ‘ufficiale’ nell’edizione Bideri; da quel momento in poi molti si senti-rono autorizzati a indicare come vera la leggenda o comunque ad accettarla,39

non preoccupandosi di verificare se avesse o meno qualche consistenza.

39. Tra questi anche Carpitella: cfr. DIEGO CARPITELLA, Le false ideologie sul folclore musicale, inAA.VV., La musica in Italia: l’ideologia, la cultura, le vicende del jazz, del rock, del pop, dellacanzonetta, della musica popolare dal dopoguerra ad oggi, Savelli, Roma 1978, p. 232.

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Leggenda n. 2: la discendenza dalla Baronessa di Carini

Ed eccoci arrivati alla seconda leggenda che da sempre gira intorno a Fenestache lucive, ovvero che essa sia una derivazione di un antico poemetto sicilianolegato alla storia della Baronessa di Carini. L’episodio a cui è legata la narra-zione di questa tragica vicenda è noto e risalirebbe al 4 dicembre del 1563quando a Carini la baronessa Caterina La Grua Talamanca, che aveva una rela-zione segreta col cugino Vincenzo Vernagallo, fu raggiunta dal padre Cesareche si trovava a Palermo il quale, venuto a conoscenza della peccaminosatresca, accorse a Carini per uccidere entrambi.40 Questo poemetto fu portatoalla luce ‘integralmente’ (prima non si conoscevano che alcuni frammenti41) daSalvatore Salomone-Marino il quale dopo un paziente lavoro filologico ne fecestampare la prima versione nel 1870. Poi, dopo aver appreso dai cantastorie ul-teriori varianti, fu costretto a modificarla tre anni dopo, fino ad arrivare aun’ulteriore riscrittura (a suo avviso ‘definitiva’ e non modificabile) nel 1914.42

L’operazione filologica di Salomone-Marino dopo alcuni elogi iniziali dimostròben presto i suoi limiti derivanti innanzitutto dalla convinzione, a nostro av-viso illusoria, di poter ricostruire un testo ‘originario’ sulla base di circa 400 va-rianti e fu così che si sollevarono le prime critiche.43 Ma non è questo di cui civogliamo occupare bensì del fatto che in seguito alla ricostruzione del poe-metto da lui fatta si diffuse la leggenda che Fenesta che lucive derivasse dallastoria di Carini. La convinzione nasce dal passo (cinque ottave di endecasillabi)che qui riportiamo dall’edizione del 1873:

Su chiusi li finestri, amaru mia!Dunni affacciava la me’ Dia adurata;Cchiù non s’affaccia no comu sulia,Vol diri che ’ntra lu lettu è malata.‘Ffaccia so’ mamma e dici: Amaru a tia!La bella chi tu cerchi è suttirrata!Sipultura chi attassi! Oh, sipultura,Commu attassasti tu la mè pirsuna!

40. Per le innumerevoli varianti rimandiamo alla numerosissima letteratura sull’argomento e inparticolare a un accurato lavoro che ha fatto un po’ di chiarezza: AURELIO RIGOLI, La barones-sa di Carini. Tradizione e poesia, Flaccovio, Palermo 1975 (2ª ed. riveduta e ampliata).

41. Riportati da Lionardo Vigo: cfr. Canti popolari Siciliani, raccolti e illustrati da LionardoVigo, Tipografia dell’Accademia Gioenia, Catania 1857, pp. 24-5. A tal proposito si veda an-che GIUSEPPE PITRÈ, Canti popolari siciliani, raccolti e illustrati, Forni, Bologna 1980 (ristampaanastatica dell’edizione Palermo, 1870-1913), vol. I, pp. 11-26.

42. SALVATORE SALOMONE MARINO, La Baronessa di Carini. Storia popolare del secolo XVI in poe-sia siciliana reintegrata nel testo e illustrata co’ documenti (1870), 3ª ed, Trimarchi, Paler-mo 1914.

43. Cfr. ANTONINO PAGLIARO, La barunissa di Carini: stile e struttura, in «Bollettino del centro distudi filologici e linguistici siciliani», IV, (1956) oppure GIUSEPPE COCCHIARA, Le quattrocentovarianti della Baronessa di Carini, in «Giornale di Sicilia», 15 dicembre 1963.

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Vaiu di notti comu va la luna,Vaiu circanni la galanti mia;Pri strada mi scuntrau la morti scura,Senz’occhi e bucca parrava e vidia,E mi dissi: Unni vai, bella figura?- Cercu a cu tantu beni mi vulìa;Vaiu circannu la mè nnammurata…- Nun la circari cchiù, ch’è suttirrata!

E si nun cridi a mia, bella figura,Vattinni a la Matrici a la Biata,Spinci la cciappa di la sepoltura,Ddà la trovi di vermi arrusicata;Lu surci si mangiau la bella gulaDunni luceva la bella cinnaca;Lu surci si mangiau li nichi maniDd’ucchiuzzi niuri can nun c’era aguali…

‘Nzignatimi unni su’ li sagrestaniE di la chiesa aprissiru li porti;Oh, Diu, chi mi dàssiru li chiaviO cu li manu scassaria li porti!Vinissi l’Avicariu ginirali,Quantu ci cunti la mè ngrata sorti;Ca voggiu la me Dia risuscitari,Can nun è digna stari cu li morti

Oh mala sorti, chi mi sapi dura,Mancu vidiri la mè amanti amata!Sagristanu, ti preju un quartu d’ura,Quantu cci calu na torcia addummata;Sagristaneddu, tienimilla a curaNon ci lassari la lampa astutata,Ca si spagnavi di durmiri sula,Ed ora di li morti accompagnata!…

Questa tesi fu data per buona da Scherillo nel 188544 ma fu per primo spo-sata in pieno da Di Giacomo che nel 1896 così si espresse: «E chi mai ha potutopensar, finora, che la più bella, la più tenera, la più umana canzone ch’è stata te-nuta fin qua per cosa nostra, potesse rampollare dalla storia del giglio carinese?I documenti che appresso pubblicherò non ne lasceranno più dubbio».45 È inu-

44. Cfr. SCHERILLO, Bellini e la musica popolare, p. 189.45. Cfr. DI GIACOMO, Napoli: figure e paesi, pp. 41-2.

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tile dire che i documenti a cui si riferisce Di Giacomo sono le ottave sopra ri-portate. La tesi fu confermata dagli studiosi successivi46 e da allora in poi fu ri-portata da quasi tutti gli storici della canzone napoletana che, senza alcun va-glio critico, hanno messo in dubbio semmai solo la derivazione della musicama hanno dato come sicura la discendenza del testo.

Il primo ad avanzare dei dubbi sull’origine testuale di Fenesta che lucivedalla storia di Carini fu Giuseppe Cocchiara che facendo un attento confrontotra le cinque ottave del poemetto e la canzone segnalò le evidenti somiglianzema anche le numerose differenze.47 Cocchiara riprese poi alcune considerazioniespresse molti anni prima da D’Ancona che aveva sostenuto che molti dei temi(la finestra, l’amata che dorme nel cimitero con gli altri morti ecc.) della baru-nissa erano già ben presenti nella poesia popolare e che non era del tutto inve-rosimile che i cantastorie da cui Salomone-Marino aveva ascoltato la storia liavessero ‘assorbiti’ nel poemetto.48 Queste «esattissime osservazioni — scriveCocchiara — investono in pieno anche l’origine di Fenesta ca lucive, la cuifonte non va ravvisata nella Baronessa di Carini, ma in quei luoghi comuni chesono di tutta la poesia popolare».49

Concordiamo perfettamente con Cocchiara (ripreso solo dal buon Tiby) e cipermettiamo di aggiungere le seguenti osservazioni:

– la prima versione del testo dataci da Salomone Marino risale al 1870, ov-vero quasi 30 anni dopo la prima versione di Fenesta che lucive del 1843: inbase a quale documento si ritiene che il testo della barunissa da lui raccoltoverso la fine dell’800 sia lo stesso che si cantava nel ’500? Non è possibile inveceche pezzi della canzone o del foglio volante (cosa che noi non crediamo, ma cheteoricamente è possibile) siano stati ripresi dai cantastorie siciliani e inglobatinella storia?

– pur volendo ammettere che il testo riportato da Salomone-Marino si can-tasse in modo pressoché identico nel ’500 (cosa che non sostiene neanche luistesso), a nostro avviso è evidente che nella Baronessa di Carini, così come inogni altra storia, siano presenti due livelli: uno puramente narrativo, legato cioèa importanti avvenimenti di cronaca che hanno avuto grande eco nel popolo, el’altro puramente poetico, di natura magico-simbolica, per il quale spesso si

46. Cfr. BALLANTI, La canzone napoletana, pp. 65-72; GAETANO AMALFI, La canzone napoletana,Priore, Napoli 1909, pp. 36-7; CARAVAGLIOS, Il folklore musicale in Italia, p. 92; VAJRO, “Fene-sta ca lucive”. Peripezie napoletane di un canto siciliano, pp. 6-9.

47. Cfr. GIUSEPPE COCCHIARA, Origine e vicende d’una canzone popolare, in «Nuove Effemeridi»,III, n. 11, (1990), op. cit., pp. 191-4. In origine il saggio era apparso in «Annali del Museo Pi-trè», II-IV, (1951-53), pp. 68-73.

48. Cfr. ALESSANDRO D’ANCONA, La poesia popolare italiana, R. Giusti, Livorno 1906 (2ª ed.), p.237 e ss.

49. Cfr. COCCHIARA, Origine e vicende d’una canzone popolare, p. 194.

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usano motivi poetici precedenti innestandoli nella narrazione di un avveni-mento successo in seguito.50

Alla luce di queste considerazioni ci sembra evidente che i motivi poetici ri-scontrabili nelle ottave della barunissa riportate appartengano proprio a quel li-vello magico-simbolico e che è quindi assai probabile che essi siano addiritturaprecedenti al caso di Carini avvenuto nel ’500. Ciò, secondo noi, è dimostratoanche dalle innumerevoli varianti, presenti in moltissime regioni italiane delcentro-sud, sia della storia che dei versi della canzone51 i cui temi poetici con-fluiscono perfino in una ballata molto diffusa nel nord Italia: L’amante mortaoppure La sposa morta.52 Ci appare invece assai meno probabile, e in questoconcordiamo con De Simone (tra i pochi che hanno messo in dubbio la tesi Sa-lomone-Marino), che «gli stessi versi siano nati come commento ad una tragicastoria realmente avvenuta e che siano poi entrati a far parte del repertorio po-polare come modello mitico di lamentazione, applicabile alla scomparsa tragicae prematura di qualsiasi giovane».53

C’è stato inoltre chi ha sostenuto che anche la musica di Fenesta che lucivesia nata nel XVI secolo insieme al testo poetico del poemetto della baronessa.Il più tenace assertore di quest’ipotesi è stato Vajro che così si esprime: «qualedovesse essere la musica della Storia si rileva da quelle poche melodie che ri-porta il Pitrè in appendice ai suoi Canti; non c’è dubbio alcuno, Fenesta ca lu-

50. Riportiamo a tal proposito un illuminante pensiero di Leydi che riguarda le ballate, mache si può estendere benissimo alle storie: «In realtà appare sempre più chiaro che non èpossibile ricondurre una larga parte almeno delle ballate a precisi eventi e a determinatipersonaggi della cronaca e della storia e che il filo narrativo, così come i nomi stereotipidei luoghi citati e dei personaggi, appaiono più come pretesti o convenzioni per raccoglie-re e trasmettere significati magici e valori mitici profondi o evocazioni narrative che qualielementi portanti e significanti». Cfr. ROBERTO LEYDI, “Sentite buona gente”. La ballata e lacanzone narrativa, Guida alla musica popolare in Italia, 2. I Repertori, a cura di R. Leydi,LIM, Lucca 2001, pp. 36-7. Anche lo stesso Salomone Marino ammette più o meno lastessa cosa quando afferma che «quanto agli elementi costitutivi dei canti, così lirici comenarrativi… è giusto che si riconosca che essi esistono ab antico, trasmessi per tradizione, eche variamente mescolandosi e combinandosi servono alle nuove composizioni poetiche ecredonsi nuovi in quantoché si presentano con apparenze moderne, mentre nel fatto nonsono che quegli stessi che da secoli si sono adoperati». Cfr. SALOMONE MARINO, La Barones-sa di Carini, pp. 20-1.

51. Per una panoramica abbastanza dettagliata delle varianti di Fenesta che lucivi e di alcunipezzi tratti dalla barunissa vedere MOLINARO DEL CHIARO, Canti popolari raccolti in Napoli convarianti e confronti nei vari dialetti, pp. 209-49 (prima in MOLINARO DEL CHIARO, Un canto delpopolo napoletano con varianti e confronti. Fenesta ca luciv’ e mo nu’ luce, Tip. G. Argenio,Napoli 1881).

52. Anch’essa con numerose varianti: secondo Leydi è da questa ballata che derivano i temi poe-tici che nel Sud ritrovano una sua «ricollocazione nella notissima canzone napoletana Fine-stra che lucevi». Cfr. LEYDI, “Sentite buona gente”, p. 51.

53. Cfr. ROBERTO DE SIMONE, Disordinata storia della canzone napoletana, Valentino Editore, Na-poli 1994, p. 45.

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cive è proprio una parte della Baronessa di Carini».54 Vajro si riferisce alle 32melodie riportate da Pitrè in appendice ai suoi Canti popolari siciliani,55 traqueste la n. 25 corrisponde proprio a La Principessa di Carini e ne riportiamola melodia corrispondente al primo distico:

Dall’esame di questa melodia ci appare chiaramente che essa nulla ha a chefare con quella di Fenesta che lucive e non sappiamo in base a quale raffrontoVajro sia stato così categorico nell’affermare la discendenza della musica dellacanzone da quella su cui si cantava il poemetto. L’unica melodia, tra quelle ri-portate dal Pitrè, che ha un minimo di somiglianza con il nostro brano è unache non c’entra nulla con la storia di Carini ed è riprodotta come esempio n. 5,ovvero Mi votu e mi rivoti suspirannu:

54. Cfr. VAJRO, “Fenesta ca lucive”, p. 14.55. Cfr. PITRÈ, Canti popolari siciliani, raccolti e illustrati, vol. II, appendice, pp. 1-16.

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 213

Questa sì che ha una vaga somiglianza con Fenesta che lucive almeno nellaprima frase melodica (che però termina sul secondo grado invece che sulquinto) ma di questo e altri brani che ricordano vagamente la canzone riparle-remo fra poco.

Ritorniamo adesso invece alla storia della baronessa e riportiamo un altroesempio musicale presente in un’altra raccolta di canti popolari siciliani ovveroquella di Alberto Favara. Da questa riportiamo l’esempio n. 49756 che si rife-risce alla storia:

56. Cfr. ALBERTO FAVARA, Corpus di musiche popolari siciliane, Accademie di Scienze, Lettere e Artidi Palermo, supplementi agli atti n. 4 (2 vol. a cura di Ottavio Tiby), 1957, vol. II, pp. 280-1.

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Come possiamo vedere anche in questo caso non c’è praticamente alcunasomiglianza tra questa melodia e quella della nota canzone napoletana. Maanche nel volume di Favara ritroviamo invece un altro esempio che si avvicinaa Fenesta che lucive corrispondente a un Motivo di cantastorie (riportato pur-troppo senza parole):57

57. Ibid., vol. II, pp. 293-4. Il violinista Cieco Sottile dice al Favara che «questa nota è molto an-tica… ma non è di Palermo, dove giunse portata da due fratelli all’interno della Sicilia…se-condo altri essa è originaria del trapanese… con essa si cantava la storia di Zalapì, ucciso daibriganti verso il 1890, ma è probabile che altre storie ancora siano state cantate sulla sua me-lodia».

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 215

Come possiamo vedere, in questo caso la prima frase melodica (A) è iden-tica a quella di Fenesta che lucive e termina anch’essa sul quinto grado e anchela seconda frase (B), pur avendo un profilo melodico diverso, termina con lacadenza sulla tonica formando quindi la successione cadenzale melodica V-Iproprio come avviene nella canzone. Abbiamo poi una terza frase (C) e la ripe-tizione leggermente variata della seconda (B¹) come accade in Fenesta che lu-cive. Quindi possiamo dire che la struttura melodica di questo Motivo di canta-storie ricalca nelle prime quattro frasi la struttura della canzone ovvero ABCB¹(anche se con profili melodici diversi), ma mentre nella canzone le frasi si ripe-tono ottenendo quindi un ABAB-CB¹CB¹ nel motivo di cantastorie al postodella ripetizione abbiamo due nuove frasi (DD¹) e quindi la seguente strutturaABCB¹-DD¹CB¹.

Siccome sia questo brano sia la precedente Mi votu e mi rivotu sono trascri-zioni successive alla canzone almeno di mezzo secolo siamo d’accordo col Tibyche sostiene che é più probabile che siano stati i cantastorie ad ispirarsi allacanzone forse per rinnovare il loro bagaglio melodico, piuttosto che il con-trario.58

Possiamo infine dire che, per quanto abbiamo avuto modo di vedere, nessunfondamento sembra avere l’ipotesi che la canzone Fenesta che lucive si cantassesulla stessa melodia su cui si cantava la storia della baronessa di Carini. Que-st’ultima pur ammettendo che si cantasse già nel ’500 (cosa di cui non abbiamoalcuna prova) non poteva che avere una melodia molto diversa da quella dellacanzone che a noi appare pienamente ottocentesca.

Le registrazioni sul campo

In questo paragrafo ci occuperemo di alcune registrazioni di Fenesta che luciverealizzate da Ernesto De Martino e Diego Carpitella negli anni che vanno dal1952 al 1958. Si tratta di cinque registrazioni59 (finora pressoché ignorate daglistudiosi) abbastanza diverse l’una dall’altra, che ci aiuteranno a capire meglio leorigini del brano che stiamo esaminando. Le analizzeremo singolarmente se-guendo l’ordine cronologico nel quale sono state raccolte:

58. Cfr. TIBY, Leggenda e realtà d’una canzone popolare, p. 206. Tiby nel suo saggio riproduce unaltro esempio musicale della raccolta del Favara somigliante a Fenesta che lucive e riferibile aun pezzo che ritroviamo anche nella ricostruzione della storia di Carini fatta da SalomoneMarino ovvero l’ottava che inizia con Ivi a lu ‘nfernu, e mai ci avissi jùtu! (anche quest’otta-va, come quelle riportate riferibili alla canzone, appartiene secondo noi ad un livello magi-co-simbolico, col motivo poetico della discesa all’inferno assai diffuso nella poesia popolare emolto probabilmente anch’esso precedente al caso di Carini). Lo stesso Tiby poi riporta an-che un ulteriore esempio riferibile allo stesso pezzo dedicato alla discesa, stavolta però conuna melodia totalmente diversa dalla canzone napoletana, ripreso da un’altra raccolta di Fa-vara. Cfr. ALBERTO FAVARA, Canti della terra e del mare di Sicilia, Ricordi, Milano 1921, vol. I,pp. 33-7.

59. Queste registrazioni sono tutte conservate presso gli Archivi di Etnomusicologia dell’Acca-demia di Santa Cecilia.

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1. Registrazione del 3 ottobre 1952 in Basilicata, versione zampognara, raccoltaa Grottole (Matera) da Ernesto De Martino e Diego Carpitella60

È questa una versione assai suggestiva di Fenesta che lucive eseguita da due vocimaschili alterne con l’accompagnamento dell’organetto. Abbiamo deciso di de-nominarla versione zampognara adottando la definizione di essa data daAdamo nel libretto allegato al cd dove il brano è stato pubblicato61 (unico traquelli che analizzeremo). Si tratta cioè di un’esecuzione tipica dei canti a zam-pogna (con ad esempio la ‘a’ prolungata in conclusione di verso, caratteristicadi questo stile) e in cui come ci indica Adamo «il testo è del tutto irrilevante ri-spetto alla fondamentale identità del brano eseguito, in quanto zampognara».Analizziamo il testo62 su cui avviene quest’esecuzione:

Finestr’ ca lucive e mo non luciaE che la nenna mia malata staja

Finestra pi luci’ e mo non luce ahE li no finestri stanno ali castagna

S’ affaccie la sorella ‘e mi lu diciaE a bella e morta era e sippullita

S’affacci la sorella e mi la dice ahE sta… e s’ammullia (?)

Se la vuo sci a vede’ la sua figuraE sott’a Santa Maria ah nce l’hai piantata

Si la vuo sci’ a vide’ dov’è prigataSott’a la figura a Santa Maria

Se ‘n ci ‘uo sci’ ca ti mitti pauraE mo puortanci nu bianca fazzuletta

I non ci ‘i vici’ metti pauraE si mitti lu fazzoletti bianca

60. Si tratta del brano n. 11 della Raccolta n. 18. Gli esecutori sono: Antonio Carbone (canto),Giuseppe Manicone (canto) e Rocco Galante (organetto).

61. Cfr. Basilicata, registrazioni 1952 di Diego Carpitella ed Ernesto De Martino, a cura di G.Adamo, Discoteca di Stato - I.R.TE.M, Roma 1994.

62. Il testo è sostanzialmente quello riportato da Adamo nel cd sopra ricordato, abbiamo peròapportato, dopo ripetuti ascolti, alcune piccole modifiche nelle parti di più difficile com-prensione, cambiando ad esempio «frigata» (riportato nel cd) con «prigata» così come si ri-scontra in diverse varianti del brano e anche in un’altra delle registrazioni che analizzeremo.Ci resta ancora incomprensibile il secondo endecasillabo del quarto distico, abbiamo perciòmesso dei puntini sospensivi e un punto interrogativo finale.

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Come possiamo vedere, nel testo sono presenti alcuni dei temi che ritro-viamo nella canzone (la finestra, la sorella ecc.) ma anche altri che, non presentinella canzone, sono ricorrenti invece nelle diverse varianti letterarie del brano63

(il fazzoletto bianco oppure la sepoltura presso un convento o una chiesa chequi è quella di Santa Maria).

La struttura melodica di quest’esecuzione è di tipo AB con le due voci ma-schili che si alternano cantando un distico a testa. Ecco la trascrizione da noifatta64 delle due frasi melodiche:

fi

A

ne

- str’- ca

- lu ci

- ve- e

mo non

lu cia

-

e

B

che

la nen

na- mi

a

- ma la

- ya- sta

ta

-

Come possiamo facilmente vedere questa melodia (con un profilo discen-dente e l’ambitus di un intervallo di sesta) non ha nulla a che vedere con la Fe-nesta che lucive che conosciamo e dall’ascolto ci appare evidente che il testo siadi secondaria importanza rispetto alla modalità esecutiva, nel senso che inquesto caso più che ‘comunicare’ il testo, lo si usa simbolicamente per effet-tuare un particolare tipo di esecuzione. Ciò avviene spesso nella musica dellatradizione contadina ovvero della fascia agro-pastorale65 dove sulla stessa me-lodia si possono cantare un’infinità di testi diversi senza cambiare l’identità delpezzo che in questo caso resta sempre una zampognara.

63. Cfr. MOLINARO DEL CHIARO, Canti popolari raccolti in Napoli con varianti e confronti nei varidialetti, pp. 209-49.

64. Abbiamo riportato solo le due linee melodiche, senza utilizzare le stanghette divisorie dellebattute, e scegliendo di non avvalerci di segni diacritici o altri espedienti tipici della trascri-zione etnomusicologica, perché ritenuti non ‘indispensabili’ per il fine che ci siamo proposti,ovvero quello di un rapido e semplice confronto tra le linee melodiche di queste registrazio-ni con quelle della canzone da noi presa in esame.

65. Facciamo qui riferimento alla divisione, suggerita da Diego Carpitella, della musica di tradi-zione orale in due fasce folkloriche. Carpitella infatti distingueva la musica della fascia agro-pastorale-marinara (ovvero la musica di area contadina, indicata come patrimonio popolare)da quella della fascia artigiano-urbana (ovvero la musica di area cittadina, indicata invececome patrimonio popolaresco). Cfr. DIEGO CARPITELLA, Musica e tradizione orale, Flaccovio,Palermo 1973, p. 53. Questa distinzione è indispensabile perchè investe vari aspetti: diversisono i moduli melodici, le strutture melodico-armoniche, il sistema di intonazione, la con-cezione del ritmo, gli strumenti impiegati ecc. Su questa differenziazione vedere ancheGIORGIO ADAMO, L’indagine etnomusicologica come studio dell’identità in musica, in «StudiMusicali», XXVIII, (1999), n. 1, pp. 296-7.

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2. Registrazione dell’8 ottobre 1952 in Basilicata, versione Grazia Prudente,raccolta a Pisticci (Matera) da Ernesto De Martino e Diego Carpitella66

Quest’esecuzione è forse la più interessante per la nostra indagine perchépresenta molte somiglianze con la canzone, ma con alcune caratteristiche parti-colari. Si tratta di un’interpretazione a voce singola femminile effettuata daGrazia Prudente, che all’epoca aveva circa 40 anni. Il testo cantato è il seguente:

Finestre ca lucive e mo nun luciaCerti la jemma mia malate staiaCerti la jemma mia malate staia

Si affaccia la sorella e me lo diciaE la tua jemma è morta e sotterrataE la tua jemma è morta e sotterrata

Se non cririte a me guardate in cielaPuri le stelle stanno appassionataPuri le stelle stanno appassionata

Io non ci passa chiù di questa stradaIo vado in cimitero a passeggiareIo vado in cimitero a passeggiare

Se la vuoi andar a veder vaje ‘nci in chiesaIn convento di San Domenico sta pregataIn convento di San Domenico sta pregata

Se non canusci la sua ‘polturaNu bianco fazzuletto sta menataNu bianco fazzuletto sta menata

Se non canusci la sua capellaturaVidi c’a spine e pesci sta gnettataVidi c’a spine e pesci sta gnettata

Pure alli ciure ce li aggia raccumandataNon mi tuccate la bella ca è nu peccata

Anche qui diverse sono le somiglianze con il testo della canzone e con le di-verse varianti letterarie (il fazzoletto, la sepoltura in un convento che stavolta èquello di San Domenico, e in più abbiamo il riferimento ai capelli gettati come

66. Si tratta del brano n. 29 della Raccolta n. 18.

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«lische di pesci» che ritroveremo in un’altra registrazione); ma rinveniamoanche alcuni temi presenti nel foglio volante di Paolella (ovvero le stelle appas-sionate e la passeggiata in cimitero) a riprova che probabilmente egli fece sì un’‘elegia lirica’ ma partendo da temi già presenti nelle versioni popolari.

Ma la cosa più interessante di questa versione è che la musica, come rilevatoanche da Tiby (l’unico a tenere in considerazione questa registrazione), è moltosimile a quella della nostra canzone. Essa ha una struttura melodica AB seguitadalla ripetizione leggermente variata di B, quindi un ABB¹. Ecco il primo di-stico così come trascritto da Tiby:67

Come vediamo, questa melodia (con un profilo melodico ad arco e l’ambitussuperiore a un intervallo di decima) è assai simile a quella della canzone ma ov-viamente si obietterà che questa registrazione è stata effettuata più di un secolodopo Fenesta che lucive e che quindi è assai possibile che si tratti di un ritornodal colto al popolare. L’obiezione è sensatissima ma ci limitiamo a far osservareche la struttura melodica della versione Prudente è un ABB¹ mentre quella dellacanzone è ABCB¹ manca cioè in quest’esecuzione la frase C ed è alquanto sin-golare che, se fosse vera l’ipotesi del ritorno nel popolare di un brano colto, essamanchi di una parte (frase C) e inoltre buona parte del testo cantato non figuriaffatto nella canzone ma solo nelle diverse varianti raccolte a livello popolare. Èmolto più probabile invece, secondo noi, e in questo concordiamo con Tiby,che il distico melodico cantato dalla Prudente sia una versione forse ‘stilizzata’di quello che doveva essere il distico originario su cui si cantava la canzonecomposto soltanto da due frasi melodiche (AB o ABB¹) a cui solo in seguito fuaggiunta in ambito colto la terza frase (C). Siamo comunque di fronte ad un’e-secuzione di fascia artigiana: abbiamo cioè una cosiddetta canzone narrativa incui è più evidente la volontà di ‘comunicare’ un testo piuttosto che una moda-lità esecutiva, al contrario della precedente registrazione.

67. Si può notare che la trascrizione del testo del primo distico fatta da Tiby è leggermente di-versa da quella da noi fatta dopo numerosi ascolti. Di questo brano esiste un’altra trascrizio-ne musicale ancora più dettagliata (con l’uso di segni diacritici ecc.) effettuata da Adamo:cfr. GIORGIO ADAMO, Sullo studio di un repertorio monodico della Basilicata, in «Culture Musi-cali–Quaderni di Etnomusicologia», I, (1982), 2, p. 144 (ora in Musica della Basilicata. Studisulle registrazioni De Martino-Carpitella (1952), a cura di G. Adamo, Edizioni Nuova Cultu-ra, Roma 2004, p. 86).

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3. Registrazione del 14 agosto 1956 in Basilicata, versione polivocale, raccolta aRuoti (Potenza) da Ernesto De Martino68

Anche in questo caso abbiamo un’esecuzione alquanto singolare di Fenestache lucive, eseguita stavolta da una voce maschile più un coro di voci miste. Èstato assai difficile riuscire a decifrare il testo della registrazione soprattuttonelle parti dove interviene il coro ma dopo ripetuti ascolti ecco cosa siamo riu-sciti a comprendere:

Finestri ca lucive e ca mo ni luce…Mi crere che la nenna mia ahi malate ahi staia…Si affacci la surella e me lu dice…Ninnella toia è morta…Si me ne vache in chiesa la trovi in tavuto…Nu guadalette ca ni l’appicciate…

Laddove iniziano i puntini sospensivi entra il coro e diventa veramenteun’impresa ardua riuscire a capire le parole cantate. Come vediamo i temi te-stuali sono quelli presenti nella canzone più altri che abbiamo già riscontratonelle diverse varianti (abbiamo la novità del guadalette che troveremo anchenella registrazione successiva). Dal punto di vista musicale c’è da dire che lastruttura melodica è sempre di tipo AB. Vi riportiamo l’incipit melodico ov-vero la frase A cantata dalla voce maschile solista:

A Anche qui è chiaro che ci troviamo di fronte a una melodia totalmente di-

versa da quella di Fenesta che lucive. Il coro, che interviene nel momento in cuila voce solista giunge alla conclusione della prima frase (A), si muove ‘armoni-camente’ nel senso che, dopo essere entrato sulla tonica, sembra fare una speciedi movimento armonico II-V-I facendo in modo che il ritorno sul I grado coin-cida con l’approdo della voce solista sulla nota finale della seconda frase (B). Lavocalità e le modalità esecutive del coro ricordano vagamente quelle adoperatedai tenores sardi o anche quelle usate nel caratteristico Miserere di Sessa Au-runca.69 Anche quest’esecuzione rientra nelle canzoni narrative ma, comespesso accade nelle esecuzioni polivocali-corali, la finalità, più che ‘comunicare’un testo (ciò che accade invece nelle esecuzioni monodiche-solistiche), è quella

68. Si tratta del brano n. 73 della Raccolta n. 32. Gli esecutori sono Rocco Troiano (voce solista)più un coro di voci miste composto da: Gerardo Famularo, Giovanni De Nicola, Rocco Ge-novese, Rocco De Carlo, Carmelo Troiano, Giuseppina De Carlo, Maria Giuseppa De Carlo,Gino De Carlo, Maria Schiavone e Lucia Caivano.

69. Con uno stile vocale che comprende «passaggi di tono, effetti di suoni strisciati, attacchi econclusioni particolari». Cfr. DE SIMONE, La tradizione in Campania, p. 53.

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di creare un ‘evento musicale’ in cui le parole, pur restando percepibili, per-dono il loro valore preminente.70

4. Registrazione del 15 agosto 1956 in Basilicata, versione tarantella, raccolta alSantuario della Madonna di Monte Pierno a San Fele (Potenza) da Ernesto DeMartino71

Ci troviamo qui di fronte a una tipica tarantella, cantata da voci maschilicon l’accompagnamento dell’organetto.72 Il testo è il seguente:

…nesta ca lucive (te voglie né, te voglie bella)Fenesta ca lucivi e mo nun lucia…nesta ca lucive (te voglie né, te voglie bella)Fenesta ca lucivi e mo nun lucia…Che nennella mia (te voglie né, te voglie bella)Che nennella mia malate staiaChe nennella mia (te voglie né, te voglie bella)Che nennella mia malate staia

…‘ffacce la surella (te voglie né, bella Rusina)M’affacce la surella e me lu dicia…‘ffacce la surella (te voglie né, bella figliola)M’affacce la surella e me lu dicia

…nella toia è morta (te voglie né, bella figliola)Nennella toia è morta e malate nun era…nella toia è morta (te voglie né, bella figliola)Nennella toia è morta e malate nun era

…va alla chiesa (te voglie né, bella figliola)Va va alla chiesa e là trovi u tavuta…va alla chiesa (te voglie né, bella Rusina)Va va alla chiesa e là trovi u tavuta

…guadalette d’oro (te voglie né, bella figliola)Nu guadalette d’oro ca ni l’appicciata…guadaletto d’oro (te voglie né, bella Rusina)Nu guadaletto d’oro ca ni l’appicciata

70. Cfr. LEYDI, “Sentite buona gente”, p. 55.71. Si tratta del brano n. 91 della Raccolta n. 32.72. L’esecuzione è del Gruppo di San Fele composto da: Giambattista Nardillo, Rocco Nardillo,

Giuseppe Ciaraulo (canto, fischi, grida e battimani); Francesco Potenza (organetto).

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222 RAFFAELE DI MAURO

In quest’esecuzione ritroviamo alcuni espedienti tipici della musica di areacontadina presenti anche nella tammurriata campana, ad esempio quello di eli-minare la prima sillaba (cantando ad esempio …nesta invece di fenesta), fa-cendo in modo così che la voce entri in battere invece che in levare, e quello diinserire nel cantato delle interpolazioni testuali (nella tammurriata vengonodefinite stroppole o barzellette) di argomento diverso se non opposto al testooriginario (inserendo ad esempio chiari riferimenti erotici in un brano in cui siparla della morte), come nelle frasi poste tra parentesi. A conferma di quantodetto riportiamo una parte del testo di una tammurriata raccolta da RobertoDe Simone negli anni ’70 indicata col titolo Tammurriata di Pimonte ma in cuiall’inizio viene cantato il testo di Fenesta che lucive:73

…nesta ca lucive e mmò nu’ llucefinesta ca lucive e mmò nu’ llucee segno ca nenna miasegno ca nenna miaah segno ca nenna mia starrà malataah malata (j ‘o mar’j arena)j sta malata (e ‘o mar’j arena)(ah ciento n’abbandunaie ciento n’abbandunaiah ciento n’abbandunai p’amar e a tteah ciento n’abbandunai p’amar e a tténe)

…faccia la surella e me lu ddices’affaccia la surella e me lu ddiceah Nennella toia (e Annae damme ‘a mano ca nce ne jammo e chisto è ‘o tiempo ‘e mò fa l’anno e piccerè me vulle ‘nganna)ah Nennella toia è morta e sta aparàta aparàta (j ‘o mar’j e niente)j sta apparat'(j ‘o mar’j e nienteammore ch ‘ammo fattoammore ch ‘ammo fattoammore ch ‘ammo fatto è gghiuto p’ ‘o viento)

…voglio j’ a schiuva’ chillu tavùto‘o voglio j’ a schiuva chillu tavùto

73. Cfr. ROBERTO DE SIMONE, La tradizione in Campania, Emi-La Voce del Padrone, Milano 1979,pp. 54-5. Gli esecutori sono: Francesco Di Somma e Salvatore Donnarumma (canto), CiroMinieri (tamburo), Francesco Comentale (tromba degli zingari), Ciro Amato (triccabballac-che), Fioravante Cuomo e Gennaro Di Martino (castagnette).

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e trovo a Nennella (e ccòree ffa nu càvero ca se mòrerint’ ‘o surco r’ ‘e pummaròletu ‘a sotto e i’ ‘a coppaamm’ ‘a fa chi mòre amore)ah trovo a Nennella mia tutta aparàtaah trovo a Nennella mia tutta aparàta

…cive ca rurmive sempe solaricive ca rurmive sempe solae mmò ruorme (e bbì e arenae chianu chià mme faì carè)e mmò ruorme cu li muorte accompagnata

…cumpagnata (j ‘o mar’j e bbòlaaccumpagnata j ‘o mar’j e bbòlaah nun saccio cumm’ ‘e colleranun saccio cumm’ ‘e colleraah nun saccio cumm’ ‘e collera nu’ mmòroah nun saccio cumn’ ‘e collera nu’ mmòro)

Anche in quest’esecuzione, come si può vedere, riscontriamo gli stessi duefenomeni: l’eliminazione della prima sillaba e l’uso di interpolazioni testuali disegno ‘diverso’. Riteniamo superfluo riportare anche le trascrizioni della me-lodia della tarantella e della tammurriata qui analizzate, perché esse vengonocantate ovviamente su due classici pattern melodici di cui ci si avvale di solitoin queste forme musicali che ovviamente nulla hanno a che vedere con la me-lodia di Fenesta che lucive. Quello che ci premeva sottolineare era come questotesto fosse talmente diffuso in ambito contadino da essere adoperato in chiavemagico-simbolica sia per l’esecuzione di una tarantella in Basilicata che per unatammurriata in Campania, presentando per di più anche alcune caratteristichecomuni.

5. Registrazione dell’ 11 agosto 1958 in Puglia, versione Maria Miucci, raccolta aIschitella (Foggia) da Ernesto De Martino e Diego Carpitella74

Siamo giunti all’ultima registrazione sul campo da analizzare. Si tratta anchequi di un’esecuzione a voce singola femminile cantata stavolta da Maria Miucciche all’epoca aveva 34 anni. Eccone il testo:

Fenestre che lumare e mo nun luceLa povera nenna mia sta mala (ta)

74. Si tratta del brano n. 44 della Raccolta n. 43.

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Fenestre che lumare e mo nun luceLa povera nenna mia sta mala (ta)

Si affaccia la surella e mi lu diciaLa povera nenna mia sta mala (ta)

Iessa durmeva che durmeve solaMo dorme pe li murt’ accumpagna (ta)

Iessi piangeva che durmeve sola75

Mo dorme pe li murt’ accumpagna (ta)

Come vediamo il testo cantato è assai simile a quello della canzone76 e anchela melodia (dopo il primo distico che sembra configurarsi quasi come una sortadi introduzione o ‘preludio’) sembra ricalcare integralmente il brano famosoadottandone la stessa struttura ABABCB¹CB¹ e le stesse cadenze melodiche:

75. È probabile che il testo del primo endecasillabo del distico precedente fosse uguale a questoe che la Miucci si sia ‘sbagliata’ (ripetendo due volte «durmeva» invece di «piangeva») e poicorretta nel distico successivo.

76. Con lievi modifiche come «lumare» invece di «lucive», «iessi piangeva ca durmeva sola» in-vece di «chiagneva sempe ca durmeva sola» e le sillabi finali, quelle messe tra parentesi, chenon vengono cantate.

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È assai più probabile che in questa versione si sia verificato il caso del ri-torno ‘dal colto al popolare’ di cui parlavamo prima, piuttosto che nella ver-sione Prudente che a nostro avviso invece aveva una sua ‘autonomia’.

Abbiamo dunque sei registrazioni sul campo (le cinque da noi analizzate piùla tammurriata raccolta da De Simone) che possiamo dividere in due gruppi:

– un primo gruppo relativo alla fascia agro-pastorale di area contadina in cuirientrano la versione zampognara, la versione tarantella e la versione tammur-riata raccolta da De Simone;

– un secondo gruppo relativo alla fascia artigiana di area cittadina in cuirientrano le altre tre registrazioni (che si configurano essenzialmente comecanzoni narrative) ovvero la versione Grazia Prudente, la versione polivocale e laversione Maria Miucci.

Per quanto riguarda il primo gruppo abbiamo visto che la parentela con la can-zone da noi presa in esame è solo testuale e possiamo dire che le parole riferibili aFenesta che lucive sono utilizzate in chiave magico-simbolica all’interno di speci-fiche modalità esecutive musicalmente già codificate (con ad esempio un profilomelodico discendente e un ambitus ristretto, tipici della musica contadina) chepossono essere la zampognara e la tarantella in Basilicata o la tammurriata inCampania, nelle quali ciò che più conta non è il ‘testo’ cantato ma lo ‘stile’ in cuiviene cantato.

Il discorso cambia per il secondo gruppo dove a parte la versione polivocale,in cui, come detto, predomina la volontà di creare un ‘evento musicale’, nellealtre due versioni (Prudente e Miucci) il brano sembra acquisire una propriaidentità poetico-musicale (con ad esempio un profilo melodico ad arco e un

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ambitus esteso, tipici della musica di area cittadina) che più si avvicina al branoche conosciamo.

In base a quanto osservatosi può affermare che:– l’ampia diffusione a livello tradizionale di Fenesta che lucive fa escludere a

nostro avviso una sua origine colta (per intenderci l’ipotesi Bellini) perché sa-rebbe l’unico caso di brano colto ad avere un così grande numero di variantimusicali e testuali nell’ambito della tradizione orale;

– è plausibile che il brano avesse a livello popolare una ‘doppia circolazione’:in ambito contadino come testo rituale da utilizzare per una tammurriata, unatarantella o una zampognara, in ambito cittadino come canzone narrativa in cuisi raccontava la storia simbolica di una giovane donna morta prematuramente;

– in ambito cittadino alcuni passi di questa storia (forse quella di Carini op-pure, come noi pensiamo, una simbolica ancora più antica) probabilmente si‘cristallizzarono’ e vennero associati a melodie elaborate da cantastorie;77

– dall’ascolto di una di queste esecuzioni cittadine di cantastorie o viggianesi(che forse la portarono a Napoli dalla Sicilia o dalla Basilicata) molto probabil-mente basate su due semplici frasi melodiche (un distico AB simile alla ver-sione Prudente) un compositore (Cottrau o chi per esso) trascrisse il brano epoi ne ‘stilizzò’ la melodia in base al gusto tematico dell’epoca, aggiungendo lafrase C, l’introduzione e un accompagnamento armonico.

I due documenti ‘ritrovati’

Ma eccoci giunti alla vera novità del nostro studio ovvero la scoperta di duepreziosi documenti, un manoscritto autografo e una partitura a stampa, finoramai venuti alla luce. Il ritrovamento è avvenuto quando il presente saggio stavagià per essere ultimato e la notevole importanza avrebbe richiesto una ‘riscrit-tura’ del nostro intervento. Non ce n’è stato bisogno per un semplice motivo:questi documenti convergono esattamente, sembrandone una conferma, conquelle che erano le ipotesi venute fuori nel corso della nostra indagine, c’è soloun’ulteriore ‘sorpresa’.

Il primo documento ritrovato è addirittura il manoscritto di Fenesta che lu-cive ad opera di Guglielmo Cottrau risalente all’anno 1840. Questo documento,mai segnalato prima, venne pubblicato in una rivista denominata Regina in unnumero speciale per Piedigrotta uscito nell’agosto-settembre del 1910 in calce

77. È assai probabile che tali melodie elaborate da cantastorie, posteggiatori o viggianesi subisse-ro l’influenza della musica colta precedente (opera buffa) o dell’epoca perché era proprionell’ambito cittadino che avveniva maggiormente uno scambio ‘bidirezionale’ tra musicapopolare e musica colta. Proprio in quest’ottica, ad esempio, è spiegabile la somiglianza, damolti sottolineata, tra la prima mossa melodica (salto di quarta e procedere per gradi con-giunti ascendenti) di Fenesta che lucive e altre canzoni popolari, con la famosa preghiera delMosè di Rossini “Dal tuo stellato soglio”. Cfr. SELLER – ALLORTO, Canti popolari e popolareschinelle trascrizioni dell’ottocento, pp. 33, 61, 84.

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ad un articolo di Di Giacomo dal titolo Fenesta vascia.78 In quest’articolo DiGiacomo diceva che gli erano venuti «tra le mani» i due manoscritti lì ripro-dotti, Fenesta vascia e la nostra Fenesta che lucive, e in più una copia del vo-lume Portefeuille d’un mélomane79 in cui erano raccolte le lettere di Guglielmoscritte ai familiari.80

Non vi nascondiamo che in un primo momento abbiamo dubitato della ve-ridicità dei documenti pubblicati da Di Giacomo, per i due seguenti motivi:

– Di Giacomo non è affatto immune dal ‘vizietto’ di fabbricare falsi ‘d’au-tore’ per attribuire la paternità di celebri canzoni a uomini illustri: ricordiamola falsa copiella di Michelemmà con l’indicazione di Salvator Rosa come autore,tesi ormai ampiamente smentita;81

– inoltre non comprendiamo il perché lo stesso non ci dica chi è stato a in-viargli i due ‘autografi’.82 Forse qualcuno della famiglia Cottrau? O chi per loro?

Questi dubbi (che in buona parte, lo ammettiamo, erano dei ‘pregiudizi’verso Di Giacomo visti i precedenti di cui sopra) ci hanno pervaso fin dalprimo ritrovamento dei due manoscritti che, pur ammettendo che non fos-sero autentici, comunque rappresentavano una notizia in quanto mai nessunoli aveva segnalati. Ma poi dopo un’analisi attenta abbiamo cambiato idea eora siamo quasi certi della loro autenticità per le ragioni che cerchiamo dispiegarvi.

Innanzitutto il manoscritto di Fenesta vascia (col sottotitolo di calascionatanapolitana ma senza alcuna firma o data) è pressoché identico allo spartitodella canzone di cui è possibile osservare una copia pubblicata nella 2ª parte

78. Cfr. «Regina, Le signore d’Italia – La contessa Raggio-Spinola», VII, n. 8, Agosto-Settembre1910, numero speciale di Piedigrotta. Una copia di questo numero è conservata presso la sezio-ne Lucchesi Palli della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli. Regina era una«rivista per le signore e per le signorine» e in questo numero ampio spazio veniva dato, fin dal-la copertina, al matrimonio che l’anno prima aveva sancito a Genova l’unione tra la marchesi-na Thea Spinola e il conte Raggio. V’erano però nello stesso numero vari articoli in cui si parla-va di musica: oltre a quello di Di Giacomo c’era ad esempio un intervento di Enrico De Levadal titolo La canzone dove il maestro parlava della sua esperienza ‘romana’ e della nascita diuna canzone composta insieme a Peppino Turco (l’autore della celebre Funiculì Funiculà) ec’era anche un articolo su Tamburelli e castagnette, in tema di Piedigrotta, a firma di Muzzola.

79. Cfr. Portefeuille d’un mélomanne, in «Revue Britannique», Paris, LXIII, (1887).80. In base a questi documenti ‘nuovi’ che gli erano pervenuti, Di Giacomo nell’articolo tesseva

le lodi di Guglielmo Cottrau, a suo parere un po’ ‘maltrattato’ dagli studiosi (e, con ammis-sione di colpa, anche da lui stesso), cercando di riabilitarne la figura oltre che di ‘raccoglito-re’ anche di compositore di alcune celebri canzoni tra cui la stessa Fenesta vascia. Cfr. «Regi-na, Le signore d’Italia – La contessa Raggio-Spinola».

81. Cfr. DE SIMONE, Disordinata storia della canzone napoletana, p. 73.82. Facciamo notare che nessuno dei due manoscritti reca la firma autografa di Guglielmo Cot-

trau.

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della raccolta Passatempi musicali del 182583 conservata presso il Conservatoriodi Napoli. Sia le frasi melodiche del canto che l’accompagnamento armonicodel pianoforte riprodotti nel manoscritto sono sostanzialmente identici a quelliriportati nella partitura, che tra l’altro è nella stessa tonalità di si bemolle. Finqui tutto bene, dando per buona l’ipotesi che il manoscritto sia ‘originale’ sa-rebbe solo una prova in più a favore dell’attribuzione di questa canzone a Gu-glielmo Cottrau che peraltro in una delle sue lettere ne aveva rivendicato lapaternità.

Ma passando invece a esaminare il manoscritto di Fenesta che lucive ci ritro-viamo invece di fronte a diverse ‘sorprese’:

– non è nella stessa tonalità della prima versione stampata (versione Gu-glielmo Cottrau del 1843) che era ricordiamo in fa minore mentre questa è insol minore;84

– non ha alcuna introduzione, ha un accompagnamento armonico essen-ziale assai diverso da quello della partitura e una coda musicale affidata al solopianoforte;

– ‘sorpresa delle sorprese’ (ma non per noi): il brano è composto esclusiva-mente da due frasi melodiche ovvero ha una struttura melodica AB (mancaquindi la ‘famosa’ frase C);

– le due frasi melodiche sono peraltro alquanto diverse da quelle che noi co-nosciamo attraverso la partitura della canzone. Ve le sottoponiamo:

fe

A

nes

- ta- ca

lu ce

- va/e- mmò

non lu

ce-

si

B

gno

- ca nen

na- mi

a

- o je- sta

ma la

- ta

-

– queste due frasi sono abbinate a cinque distici di endecasillabi (e non duesestine come nella versione stampata) che pur presentando diverse somiglianzecon quelli della canzone presentano anche numerose differenze (a partire dal-l’incipit che qui è «Fenesta ca luceva e mmò non luce» invece che «Fenesta che

83. Si tratta del secondo volume della ristampa della 1ª edizione dei Passatempi divisa in 3 parti(che divennero 4 nella 3ª ediz. del 1829) fatta verso la fine del 1825 dopo l’esaurimento deisei fascicoli misti iniziali usciti tra il 1824 e il 1825 (cfr. «Giornale del Regno delle due Sici-lie», 1826, n. 129, 5 Giugno). Fenesta vascia fu probabilmente stampata per la prima voltanel 1824 in uno dei primi due fascicoli (i quattro successivi sono tutti del 1825) che non sia-mo riusciti al momento a ritrovare. Cerillo infatti indica per questo brano la data del 1824:cfr. LYLIRCUS, Ricordi biografici napoletani dal 1820 al 1850, Guglielmo Cottrau, p. 52.

84. Peraltro conosciamo varie versioni di Fenesta che lucive in diverse tonalità: la versione in reminore di Teodoro Cottrau, quella in mi minore di Achille Longo, una in la minore pubbli-cata da Clausetti (indicata da Vajro ma che non abbiamo avuto modo di vedere) ma nessunain sol minore.

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 229

lucivi e mo non luci» della versione del 1843). Ecco i cinque distici riportati nelmanoscritto del 1840:

Fenesta ca luceva e mmò non luceSigno ca nenna mia oje stà malata

S’affaccia la sorella e mme lo diceNennella toja è morta e s’è atterrata

Vaja a la chiesia e leva lo tavutoVide nennella toja ch’è arreventata

Zi parrocchiano mio Zi parrocchianoTiene oje le cannele sempe allumate

Tu mme dicive ca dormive solaMmo dorme co li muorte accompagnata

In questo caso, a differenza di Fenesta vascia, abbiamo sul manoscritto laseguente dedica scritta in francese: «melodie napolitaine recueillè85 et offerte aMademoiselle Luoff» («melodia napoletana raccolta e offerta alla signorinaLuoff»). Abbiamo inoltre l’indicazione della data «11 Août 1840» (11 Agosto1840) e, ancora più in basso, un’altra frase (di cui non riusciamo a decifrare laprima parola) che recita così «…heures, d’ineffaçables souvenirs» («…ore,degli incancellabili ricordi») con la firma di Lina Freppa, sorella di GuglielmoCottrau.86

Sulla base di queste constatazioni ci sembra poco credibile che Di Giacomoabbia riprodotto due falsi: uno identico all’originale e l’altro invece assai di-verso. E per quale motivo poi, nel caso di Fenesta che lucive, egli (o qualcunoper lui) avrebbe dovuto modificare la tonalità, il testo, la musica (cambiando lefrasi melodiche e eliminandone addirittura una), mettere una data (che ricor-diamo nell’altra canzone non c’è) e inventarsi una dedica scritta? Per dimo-strare cosa?

85. Sul manoscritto la parola recueillè è scritta sopra un’altra cancellata che a noi, dopo unapprofondito esame, è sembrata essere sempre recueillè. È probabile che Cottrau abbia scrit-to per la prima volta la parola, poi magari l’abbia cancellata pensando di scriverne un’altra,forse composè (cioè composta), ma poi per amore di verità abbia riscritto recueillè.

86. Lina Freppa era cantante oltre che insigne cultrice di musica. Nella società aristocratica pari-gina era un punto di riferimento per tutti i musicisti, famosi e meno famosi, che si fermava-no nella capitale francese e che prima o poi passavano nel suo salotto. Celebri musicisti lededicarono delle loro composizioni: ricordiamo la romanza L’abbandono. Solitario Zeffirettoscritta da Bellini, le 4 mazurke (op. 17) di Chopin e i 10 solfeggi di Crescentini. Cfr. LYLIRCUS,Ricordi biografici napoletani dal 1820 al 1850, Guglielmo Cottrau, p. 21.

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L’ipotesi del falso, a nostro avviso, non regge e bisogna solo riuscire a capireda dove arriva il manoscritto. La dedica ci dà un indizio: probabilmente Gu-glielmo Cottrau inviò il brano alla sorella Lina Freppa (che curava per lui i rap-porti artistici in Francia) pregandola di farne omaggio a «mademoiselleLuoff» (la cui identità non siamo capaci al momento di svelare ma che proba-bilmente era la figlia o sorella di qualche musicista amico dei Cottrau87) e puòdarsi che sia stata proprio quest’ultima in tarda età a inviare il manoscritto a DiGiacomo. Ma la domanda viene spontanea: come faceva la Luoff ad avereanche il manoscritto di Fenesta vascia che non reca invece alcuna dedica? Aquesto punto è secondo noi più plausibile che uno degli eredi dei Cottrau abbiaraccolto entrambi i manoscritti (di cui forse la stessa Lina Frappa, morta nel1870, aveva una copia) e ne abbia fatto omaggio a Di Giacomo, ma ci rendiamoconto che siamo sempre nel campo delle ipotesi non suffragate da alcunaprova.

Vi spieghiamo adesso il modo in cui siamo giunti al ritrovamento del se-condo importante documento. Riacquistata una certa ‘fiducia’ verso Di Gia-como (intendiamo verso lo storico della canzone, non verso il poeta e autoreche non abbiamo mai messo in discussione) ci siamo presi la briga di verificarela fondatezza di una sua congettura sulla musica di Fenesta che lucive, quandoafferma: «Luigi Ricci pare che l’abbia fornita al famoso Cottrau che ne fece unariduzione».88 Ci siamo quindi messi a cercare se tra le composizioni minori delfamoso operista89 c’era qualche brano che ci riportasse alla nostra canzone manulla veniva fuori. Sapendo poi che Luigi aveva un fratello musicista, Federico,meno celebre ma che come lui (e spesso con lui) componeva sia opere che can-zoni o ariette, abbiamo deciso di cercare anche tra le composizioni di quest’ul-timo e questa volta siamo stati più ‘fortunati’.

Presso la biblioteca del Conservatorio di Napoli abbiamo ritrovato un vo-lume dal titolo C’est pour vous, album lyrique composè et dèdie aux artistes del’opéra italienne à Vienne par Federico Ricci pubblicato a Milano chez FrançoisLucca in cui sono contenuti 8 brani (7 ariette più un duettino) e di questi il n. 7,dal titolo Canzonetta napoletana, La mia bella… è morta, altro non è che Fe-nesta che lucive con più o meno lo stesso testo e la stessa musica della primaversione stampata da Cottrau nel 1843, soltanto che questa di Ricci è nella to-

87. Abbiamo trovato un solo Luoff musicista: si tratta di Aleksei Fjodorovič Luoff (indicato avolte anche come Lwoff oppure Lvov), un compositore e violinista russo che aveva scritto,tra le altre cose, anche il vecchio inno nazionale russo dal titolo Lord God, protect the czar.Questo Luoff visse nello stesso periodo (1796-1870) dei Cottrau e inoltre effettuò diversetournèe in Europa con un quartetto d’archi. Tuttavia non possiamo essere sicuri che la «ma-demoiselle Luoff» a cui fu offerto il manoscritto di Fenesta che lucive abbia qualcosa a chefare con il musicista russo. Ci vorrebbe qualche indizio in più che al momento non siamo ingrado di fornirvi. È attestata comunque la presenza in Francia del cognome Lwoff o Luoffche ha origine dal russo Lvov.

88. Cfr. DI GIACOMO, Fenesta ca lucive, p. 45.89. Cfr. DE MURA, Enciclopedia della canzone napoletana, vol. I, pp. 341-2.

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nalità di mi minore mentre quella è in fa minore. Oltre a questa, le differenzetra le due stampe sono davvero minime sia dal punto di vista testuale che musi-cale. Vi sottoponiamo il testo della Canzonetta napoletana pubblicata da Ricci:

Fenesta che allucive e mo non luceSegn’è che nenna mia mo sta malataS’affaccia la sorella e me lo diceNennella toja è morta e s’è atterrataChiagnive sempe ca dormive sola, ah!Mo dorme co li muorte accompagnata…

Da chella vocca che n’asceano sciureMo n’escene li vierme, che pietateVà nella chiesia scompa lo tuvutoVide nennella toja comm’è tornataSì Parrocchiano mio abbice cura, ah!Na lampa tienece sempe allumata

Come possiamo vedere il testo è pressoché identico a quello pubblicato nel184390 (anche quello diviso in due sestine di endecasillabi).

Anche la musica è praticamente identica, ci sono soltanto queste differenze:– l’introduzione di Ricci (anch’essa di cinque battute) rispetto a quella di

Cottrau manca dell’accenno della melodia (suonato per ottave) fatto a batt. 4 eha un accompagnamento leggermente diverso ma essenzialmente l’idea è lastessa;

– nella melodia cambia effettivamente una sola nota: il quinto grado ribat-tuto (do-do) tra batt. 7 e 8 (per intenderci le note su cui si canta sign’è) di Cot-trau, in Ricci diventa un passaggio sesto-quinto grado discendente (do-si7);

– la differenza più evidente è che Cottrau fa ripetere due volte (allungandoquindi il brano) la seconda parte ottenendo la struttura melodica ABABCB¹CB¹mentre in Ricci è semplicemente ABABCB¹. Per attuare questa ripetizione Cot-trau usa un espediente assai comune, fa terminare la prima volta la melodia vo-cale del B¹ sul terzo grado (cadenza imperfetta), poi affida la ripetizione dellafrase C al solo pianoforte e conclude infine con la voce che rientra e ripete lafrase B¹ terminante stavolta ovviamente sul primo grado.

In sostanza quindi possiamo dire che si tratta di due versioni quasi identiche ele cose sono due: o è stato Cottrau a fornire a Ricci la sua partitura (ma non

90. Ci sono solo delle lievi variazioni ortografiche (ad esempio «allucive e mo non luce» invecedi «lucivi e mo non luci»), un’inversione tra le coppie di endecasillabi della seconda sestina(lì c’era prima «Và nella chiesia…» e poi «Da chella vocca…», qui il contrario), «scuopre lotavuto» qui diventa «scompa lo tuvuto», «tienece cura» diventa «abbice cura», «li lampesempe tienence» diventa «na lampa tienece sempe».

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riusciamo a capire per quale motivo quest’ultimo avrebbe spacciato per sua lacomposizione o la rielaborazione) oppure, come noi crediamo, è stato inveceFederico Ricci a fornirla a Cottrau che infatti non se l’attribuisce, pubblican-dola anonima, anche dopo averla sottoposta a un’ulteriore “aggiustatura”. L’ar-cano potrebbe essere facilmente svelato se sapessimo con esattezza l’anno dipubblicazione dell’album C’est pour vous di Ricci, ma, come spesso accade perle stampe musicali, esso è dato senza alcun riferimento cronologico e con lasemplice indicazione del numero di edizione per ogni arietta: la nostra Canzo-netta napoletana, La mia bella… è morta, dedicata al signor G. Ronconi,91 cor-risponde al n. 2673. L’album di Ricci viene però dato dappertutto senza datatranne che alla biblioteca del Conservatorio di Milano dove è attribuito comeanno di pubblicazione il 1840.92

Se tale data fosse confermata sarebbe evidente che la prima versione stam-pata di Fenesta che lucive sarebbe non più quella di Cottrau del 1843 ma questadi Federico Ricci del 1840, solo che con un titolo diverso. La cosa è, secondonoi, plausibile e i fatti potrebbero essere andati più o meno così:

– Cottrau raccoglie dal popolo il brano così come riportato nel manoscrittodel 1840; presumibilmente la trascrizione93 risale all’inizio di quell’anno se nonaddirittura a qualche anno prima;94

– la trascrizione viene fatta girare (tramite la Freppa?) dal Cottrau tra la suacerchia di amici musicisti di cui i fratelli Ricci facevano parte;95

– Federico rielabora a suo modo il brano, ‘stilizzando’ la melodia in base algusto tematico dell’epoca, aggiungendo la parte C (forse avendo nelle orecchiela frase «Più non reggo a tanto duolo» di Bellini?), un’introduzione e un’ac-compagnamento armonico. Decide quindi di pubblicare il brano nel suo album

91. Si tratta quasi sicuramente di Giorgio Ronconi (1810-1890), cantante nato a Milano, cheaveva esordito verso il 1830 e si era affermato, in particolare nel repertorio donizettiano everdiano, come uno dei migliori baritoni del suo tempo grazie alle sue eccezionali doti voca-li e interpretative.

92. Secondo quanto riferitoci da Massimo Gentili Tedeschi, direttore della Biblioteca del Con-servatorio di Milano, le edizioni di Lucca sono state datate in base ai numeri di lastra e ai re-gistri di censura al momento del deposito legale e quelle possedute alla biblioteca del Con-servatorio di Milano sono proprio le copie passate per la Prefettura, sono dunque datazionimolto attendibili.

93. Sul Cottrau ‘trascrittore’ di canti popolari ecco cosa ci dice Monnier: «Ei se ne andò quindiin tutti i quartieri popolari, ove pigliava le persone pel bavero e le faceva cantare, origliavaagli usci, colla matita in mano, e scriveva le parole, e notava le arie… Di tal guisa, adunò inportafoglio, come in un guardaroba, migliaia di versi: poi di quel guardaroba fece un salotto;di quei bricioli di poesie, sparsi a’ quattroventi e razzolati a caso, un delizioso mosaico». Cfr. MARC MONNIER, L’Italia è ella la terra di morti?, Venezia, Naratovich, 1863, p. 223.

94. Non è del tutto escluso che Fenesta che lucivi facesse già parte delle composizioni inviate daCottrau alla madre di cui si fa riferimento nella lettera del 9 Novembre 1836. Cfr. Lettresd’un mélomane, p. 48.

95. Gli stretti rapporti di amicizia tra Guglielmo Cottrau e i fratelli Ricci sono testimoniati an-che da alcune lettere. In una di esse Luigi Ricci si rivolge a Cottrau chiedendogli aiuto inqualità di “amico e protettore”. Cfr. Lettres d’un mélomane, pp. 39-41.

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del 1840 col titolo Canzonetta napoletana. La mia bella… è morta, anche perchéesso probabilmente non aveva ancora un titolo vero e proprio;96

– qualche anno dopo, nel 1843, quando Cottrau deve dare alle stampe le sue25 Nuove canzoncine nazionali napoletane Federico Ricci ricambia il ‘favore’offrendogli la sua rielaborazione del brano, che stavolta prende il nome di Fe-nesta che lucivi e sarà il titolo che lo consegnerà alla gloria e alla fortuna.

Resta quindi da stabilire se da adesso in poi la canzone debba essere scritta edatata in uno dei due modi seguenti:

– Fenesta che allucive… (col titolo Canzonetta napoletana, la mia bella… èmorta), anno 1840, canzone popolare trascritta da Guglielmo Cottrau e rielabo-rata da Federico Ricci.

– Fenesta che lucivi, anno 1843, canzone popolare trascritta e rielaborata daGuglielmo Cottrau.97

Bisogna infine rispondere a una domanda che fin qui abbiamo volutamenteevaso: Fenesta che lucive è una canzone napoletana? La nostra risposta è: Fe-nesta che lucive è un classico della canzone napoletana ma non è una canzonenapoletana classica. Può sembrare un gioco di parole ma non lo è. A nostro av-viso può essere sicuramente classificata come canzone napoletana perché,anche nel caso fossero dimostrate le sue origini siciliane (o lucane o pugliesiecc.), essa a un certo punto si ‘cristallizza’ nella versione in dialetto napoletanoabbinata alla musica che tutti conosciamo. All’interno della canzone napole-tana è sicuramente un ‘classico’ nel senso che è uno dei brani più eseguiti e can-tati (un evergreen per intenderci) ma non è una canzone napoletana classica:essa fa parte di tutte quelle canzoncine o canzonette ricavate da canti artigianidi area cittadina sottoposti a una ‘limatura’ colta da maestri come Cottrau,Ricci, Florimo ecc. o da loro composte cercando di ‘imitarne’ le caratteristiche.Questa vasta produzione rappresenta quel periodo di ‘incubazione’ da cui poiverrà fuori nell’ultimo ventennio dell’800 la canzone napoletana classica inquanto canzone urbana d’autore con i suoi elementi di ibridismo e con alcuneprecise caratteristiche (tra cui il modello strofa-ritornello).

A nostro avviso fino a quando non si comprenderà fino in fondo cosa è ac-caduto nella canzone napoletana nella prima parte dell’800, e in particolare dal

96. Nel manoscritto si può osservare che il titolo non è indicato a penna, come per Fenesta va-scia, ma è stato probabilmente aggiunto dopo, stampato, al momento della pubblicazionesulla rivista Regina.

97. Molti, tra cui anche il De Mura, ipotizzano che sia stato Giulio Genoino a elaborare il testoper Cottrau. Nel corso della nostra indagine non abbiamo però trovato alcun indizio con-creto che ci inducesse a pensare valida tale ipotesi, ci limitiamo quindi qui a segnalarla e asottolineare che, allo stato attuale, essa non ha alcun serio fondamento. Cfr. DE MURA, Enci-clopedia della canzone napoletana, vol. I, p. 88.

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1824 (anno di inizio dei Passatempi) fino al 188098 (anno di Funiculì Funiculà),cioè in quella fase che potremmo definire pre-classica, non si capirà mai com-pletamente come nasce, cos’è e com’è fatta quella che oggi chiamiamo canzonenapoletana classica. Abbiamo invece purtroppo riscontrato, conducendo l’in-dagine su una sola canzone (figuriamoci sull’intero repertorio che conta decinedi migliaia di brani), che su questo periodo si naviga ancora ‘a vista’ perchémanca una seria catalogazione del materiale (ad es. di tutti i brani pubblicati daCottrau padre e figlio, Florimo ecc.), una rigorosa analisi scientifica e dei seririferimenti bibliografici. È quindi con l’auspicio, che suona un po’ come un‘impegno personale’, che si colmi al più presto tale lacuna, che vogliamo con-cludere il nostro presente contributo.

98. Sottolineamo una significativa coincidenza: Teodoro Cottrau muore nel 1879 quasi a simboliz-zare con la sua scomparsa la fine di un ciclo e l’apertura di uno nuovo che vedrà, a partire dal-l’anno successivo, il passaggio alla cosiddetta fase d’oro o classica della canzone napoletana.

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 235

Il frontespizio del numero speciale di Piedigrotta della rivista Regina del 1910 in cuifurono pubblicati, allegati ad un articolo di Salvatore Di Giacomo, i manoscritti di

Fenesta che lucive e Fenesta Vascia

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236 RAFFAELE DI MAURO

Il manoscritto di Fenesta che lucive datato 11 agosto 1840, pubblicato dalla rivistaRegina

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 237

Il manoscritto di Fenesta Vascia. Calascionata Napoletana, apparso sempre sulla rivistaRegina

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238 RAFFAELE DI MAURO

Il frontespizio della raccolta C’est Pour Vous di Federico Ricci databile intorno al 1840

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IL CASO FENESTA CHE LUCIVE: ENIGMA ‘QUASI’ RISOLTO 239

La partitura di Canzonetta napoletana. La mia bella è morta pubblicata da FedericoRicci nell’album C’est Pour Vous

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