RIVISTA GIURIDICA DELL'AMBIENTE - Vice Sindaco di Perugia · La Convenzione di Aarhus e la...

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Milano3•3Giuffrè3Editore RIVISTA GIURIDICA DELL'AMBIENTE Anno3XXIX3Fasc.313-32014 ISSN30394-2287 Urbano3Barelli I LIMITI ALLE ENERGIE RINNOVABILI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ Estratto

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Milano3•3Giuffrè3Editore

RIVISTA GIURIDICA DELL'AMBIENTEAnno3XXIX3Fasc.313-32014

ISSN30394-2287

Urbano3Barelli

I LIMITI ALLE ENERGIERINNOVABILI CON PARTICOLARERIFERIMENTO ALLA TUTELA DELLA

BIODIVERSITÀ

Estratto

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I limiti alle energie rinnovabilicon particolare riferimento alla tutela dellabiodiversità (1)

URBANO BARELLI

1. Premessa e sintesi. — 2. La disciplina multilivello sulla produzione di energia dafonti rinnovabili. — 3. La disciplina europea sulle fonti di energia rinnovabile. —4. La tutela della biodiversità e le fonti di energia rinnovabile. — 5. La StrategiaNazionale per la Biodiversità. — 6. I limiti agli impianti di produzione di energierinnovabili nell’art. 12 del D.Lgs. 387 del 2003. — 7. I limiti agli impianti diproduzione di energia rinnovabile nell’art. 6 del D.Lgs. 28 del 2011. — 8. L’art. 12,comma 4, del regolamento regionale della Regione Umbria n. 7 del 2011. — 9. Lavalutazione di impatto ambientale. — 10. La Convenzione di Aarhus e la demo-crazia ambientale. — 11. La sindrome Nimby, il principio di precauzione e lasussidiarietà.

1. Premessa e sintesi.

La produzione di energia da fonti rinnovabili (2) gode di undiffuso favor da parte della giurisprudenza che viene ricondotto al-l’obbligo del rispetto degli impegni assunti con il Protocollo di Kyotoe del rispetto della normativa europea. Su quale sia il contenuto di taliobblighi e l’interesse sottostante perseguito non c’è però adeguatachiarezza.

Per la Corte Costituzionale la materia delle energie rinnovabiliandrebbe ricompresa o nella « produzione, trasporto e distribuzione

(1) Relazione introduttiva al convegno « Le energie rinnovabili in Umbria. Bio-masse, fotovoltaico, eolico. Sindrome Nimby, principio di precauzione, paesaggio ebiodiversità », organizzato a Perugia da Italia Nostra onlus — Consiglio regionaleumbro il 26 giugno 2013.

(2) La direttiva 2009/28/CE dà la seguente definizione dell’« energia da fontirinnovabili »: « energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energiaeolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa,gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas » (art. 2).

contributi

Riv. giur. ambiente - 2014

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nazionale dell’energia » (3), oppure nella « tutela della concor-renza » (4), oppure ancora nella « tutela dell’ambiente » (5). Nel deci-dere in materia di energie rinnovabili la giurisprudenza costituzionaleoscilla, quindi, tra l’interesse alla produzione di energia, alla tuteladella concorrenza ed alla tutela dell’ambiente (inteso come contrastoai cambiamenti climatici).

Non è questa la sede per approfondire l’intricato rapporto tra idiversi interessi che assumono rilievo nel settore delle energie rinno-vabili (6) e ci si limiterà a trattare del confronto, tutto interno alla« tutela dell’ambiente », tra l’interesse al contrasto del cambiamentoclimatico e quello alla conservazione della biodiversità (comprensivodella tutela del paesaggio).

Anche perché il bilanciamento tra l’interesse economico e quelloalla tutela dell’ambiente è stato risolto in favore del secondo, non soloe da tempo dalla Corte Costituzionale (7) italiana, ma anche dallaCorte di Giustizia UE (8) e dal legislatore europeo con il principio di

(3) Corte Cost. 14 ottobre 2005, n. 383; nella stessa sentenza si esclude che leenergie rinnovabili possano essere ricondotte alle materie « governo del territorio »,« urbanistica », « sicurezza e ordine pubblico », o « determinazione dei livelli essenzialidelle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tuttoil territorio nazionale ».

(4) Corte Cost. 23 novembre 2011, n. 310; nella sentenza si legge che « l’esigenzache la produzione e la distribuzione dell’energia siano realizzate in un regime di liberaconcorrenza è particolarmente avvertita nel caso di energia prodotta da fonti rinnova-bili, sia perché la quantità di energia prodotta è di gran lunga inferiore rispetto a quelladerivante da altre fonti, sia perché la normativa comunitaria ha imposto precise quoteminime di produzione, che, in assenza di libera concorrenza, rischierebbero di essereassorbite da pochi operatori, in grado di realizzare veri e propri monopoli nei diversiterritori ». Da ultimo, si veda anche: Cons. St., Sez. V, 10 settembre, 2012, n. 4768, perla quale la principale finalità di obiettivi nazionali obbligatori sulle energie rinnovabiliè « creare certezza per gli investitori ».

(5) Corte Cost. 12 aprile 2012, n. 85; in questa si legge che « la normativainternazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivocon legge 1º giugno 2002, n. 120) e quella comunitaria (direttiva 27 settembre 2001,2001/77/CE e direttiva 23 aprile 2009, 2009/28/CE) manifestano un favor per le fontienergetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili ».

(6) La complessità dell’argomento è ben descritta in L. CUOCOLO, Le energierinnovabili tra Stato e Regioni. Un equilibrio instabile tra mercato, autonomia e ambiente,Milano, 2011.

(7) Tra le tante: Corte Cost. 27 giugno 1986, n. 151.(8) Corte di Giustizia UE, 21 luglio 2011, C-2/10, che ha ritenuto giustificabile il

divieto assoluto di realizzare impianti eolici all’interno della rete Natura 2000 e non incontrasto con gli obiettivi di razionalizzazione e di riduzione di ostacoli amministrativinel settore delle energie rinnovabili; Corte di Giustizia UE, 24 marzo 2011, C-400/08,che ha ritenuto conforme al diritto europeo l’introduzione di regole generali per laprotezione dell’ambiente e la razionale gestione del territorio nel settore della grande

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integrazione e dello sviluppo sostenibile (art. 11, TFUE). Senza di-menticare che l’art. 3 quater del D.Lgs. 152 del 2006 prevede che« l’attività della Pubblica amministrazione deve essere finalizzata aconsentire la migliore attuazione possibile del principio dello svi-luppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa diinteressi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessialla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essereoggetto di prioritaria considerazione ».

Detto ciò, come è stato rilevato in dottrina, resta da capire, però,perché nel caso delle rinnovabili « la Corte Costituzionale, arbitro diquesto bilanciamento, nell’alternativa costituita tra garantire il mer-cato e limitare la concorrenza per ragioni sociali, quali quelle legatealla tutela del paesaggio, in evidente danno alla seconda, ha, sebbenecon qualche eccezione, favorito la prima » (9).

Il favor giurisprudenziale del quale godono le energie rinnovabili,sembra quindi riconducibile più a ragioni di mercato e concorrenzache di reale preoccupazione per il cambiamento climatico e quindiper la tutela dell’ambiente. E ciò è confermato anche dalla scarsaattenzione che la giurisprudenza, pure nel decidere in materia dienergie rinnovabili, ha dedicato alla Convenzione sulla diversità bio-logica ed alla Convenzione di Aarhus, rispetto al Protocollo di Kyoto.

Infatti, gli obblighi, internazionali ed europei, che la giurispru-denza richiama nell’applicare il Protocollo di Kyoto (a volte in modoapodittico, se non errato), sono gli stessi che il nostro Paese ha neiconfronti delle altre due convenzioni ricordate (10). La giurispru-

distribuzione commerciale, tanto da dichiarare il contrasto con il diritto comunitariodella norma spagnola che non garantisce negli organismi decisionali nel settore delcommercio « la rappresentanza di associazioni attive nel settore della protezionedell’ambiente »; Corte di Giustizia UE, 15 gennaio 2013, C-416/10, per la quale « ildiritto di proprietà non si presenta quale prerogativa assoluta, bensì deve essereconsiderato in rapporto alla sua funzione sociale. Ne consegue che possono essereapportate restrizioni all’esercizio di questo diritto, purché tali restrizioni rispondanoeffettivamente ad obiettivi di interesse generale » (punto 113), « risulta da una giuri-sprudenza costante che la tutela dell’ambiente figura tra tali obiettivi ed è dunqueidonea a giustificare una restrizione dell’esercizio del diritto di proprietà (v. sentenzedel 7 febbraio 1985, ADBHU, 240/83, Racc. pag. 531, punto 13; del 20 settembre 1988,Commissione/Danimarca, 302/86, Racc. pag. I-4607, punto 8; del 2 aprile 1998, Ou-tokumpu, C-213/96, Racc. pag. I-1777, punto 32, nonché del 9 marzo 2010, ERG e a.,C-379/08 e C-380/08, cit., punto 81) » (punto 114).

(9) A. MAESTRONI, Pronunce della Corte Costituzionale e del Giudice amministrativoin materia di energia da fonti rinnovabili tra tutela ambientale e concorrenza, p. 65-66, inPolitica energetica, regolazione e mercato. Il nuovo diritto dell’energia tra libertà elimitazioni concorrenziali e ambientali, a cura di A. MAESTRONI e M. DE FOCATIIS, Milano,2012.

(10) A queste si aggiunge la Convezione europea del paesaggio. Da precisare che,

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denza sembra tuttavia ignorare la Convenzione sulla biodiversità(anche dopo l’approvazione della Strategia nazionale sulla biodiver-sità) e dare scarsa applicazione a quella di Aarhus. Così come nonsembra siano adeguatamente considerati, anche in sede di bilancia-mento degli interessi, la tutela del paesaggio di cui all’art. 9 dellaCostituzione, il principio di precauzione ed i limiti alle rinnovabiliimposti dall’art. 12, del D.Lgs. 387 del 2003, dalle Linee guida di cui alD.M. 10 settembre 2010 e dall’art. 6, del D.Lgs. 28 del 2011, nonché ladisciplina sulla valutazione di impatto ambientale per i progetti dipotenza inferiore ad 1 Mwe.

Affrontare il (pur serio ed importante) problema del cambia-mento climatico come se solo da questo dipendano le sorti del pianetae come se le energie rinnovabili siano la soluzione privilegiata perrisolverlo, non consente di vedere che tale problema e tali energievanno comunque inquadrati, come correttamente fa la Strategia na-zionale sulla biodiversità, nel più generale e complesso problemadella tutela della biodiversità.

Come ha rilevato Edward O. Wilson, uno dei più autorevolibiologi e naturalisti contemporanei, « la cancellazione della biodiver-sità nel mondo vivente ha ricevuto molta meno attenzione dei cam-biamenti climatici, del saccheggio di risorse insostituibili e di altretrasformazioni dell’ambiente fisico. Sarebbe saggio osservare questoprincipio: se salviamo il mondo vivente, automaticamente salveremoanche il mondo fisico perché per raggiungere il primo obiettivodobbiamo raggiungere anche il secondo. Mentre se salviamo soltantoil mondo fisico, che sembra la nostra attuale tendenza, alla fineperderemo l’uno e l’altro (11).

2. La disciplina multilivello sulla produzione di energia da fonti rin-novabili.

Le energie rinnovabili sono oggetto di una disciplina multilivellodistribuita tra trattati internazionali, direttive comunitarie, leggi sta-tali e norme regionali.

Il 9 maggio 1992 è stata adottata a New York la Convenzione

nel conflitto tra paesaggio e ambiente sull’eolico, la dottrina ha ravvisato il carattererecessivo dell’interesse paesaggistico il cui ruolo pare relegato « alla sola mitigazionedell’impatto delle trasformazioni antropiche, quasi escludendo la configurabilità di una‘opzione zero’ »: P. CARPENTIERI, Paesaggio « contro » ambiente, in Urbanistica e appalti, n.8, 2005.

(11) EDWARD O. WILSON, La conquista sociale della Terra, Milano, 2013, p. 327.

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quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (12), il cuiobiettivo ultimo è di stabilizzare le concentrazioni di gas a effettoserra nell’atmosfera ad un livello che impedisca qualsiasi pericolosaperturbazione di origine antropica del sistema climatico.

Secondo la citata Convenzione quadro, per cambiamento clima-tico si intende « qualsiasi cambiamento di clima attribuito diretta-mente o indirettamente ad attività umane, il quale altera la composi-zione dell’atmosfera mondiale e si aggiunge alla variabilità naturaledel clima osservata in periodi di tempo comparabili ».

L’11 dicembre 1997 le parti della Convenzione quadro hannoadottato, sulla base di quest’ultima, il Protocollo di Kyoto annesso allaConvenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti clima-tici (13); l’Unione europea è parte contraente di queste due conven-zioni.

L’obiettivo del Protocollo di Kyoto è di ridurre, nel corso delperiodo 2008-2012, il totale delle emissioni di sei gas a effetto serra,tra i quali il biossido di carbonio (CO2), di almeno il 5% rispetto allivello di tali emissioni per l’anno 1990.

Nel Protocollo di Kyoto c’è solo il seguente breve cenno alleenergie rinnovabili: « ricerca, promozione, sviluppo e maggiore uti-lizzazione di forme energetiche rinnovabili, di tecnologie per la cat-tura e l’isolamento del biossido di carbonio e di tecnologie avanzateed innovative compatibili con l’ambiente » (art. 2, comma 1, lett. a,punto iv). Vale a dire che in nessuna parte del Protocollo di Kyoto laproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è indicata come« obiettivo prioritario » e che, in ogni caso, la « maggiore utilizza-zione » di tale fonte di energia deve risultare compatibile con l’am-biente.

La Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare che le disposi-zioni del Protocollo di Kyoto « non presentano carattere incondizio-nato e sufficientemente preciso poiché le parti possono adempiere aipropri obblighi con diverse modalità e nei tempi da esse stabi-liti » (14). Nonostante il Protocollo di Kyoto non descriva le energierinnovabili come obiettivo prioritario, né fissi quote di sviluppo dellemedesime da raggiungere obbligatoriamente entro un determinatotempo « è curioso notare come la Corte Costituzionale italiana abbia

(12) In: http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/documentazione/AttiConvegni/1992-05-09_Convenzione ClimaOnu.pdf.

(13) Il Protocollo di Kyoto è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 ed è entrato invigore il 16 febbraio 2005. È stato ratificato dall’Italia con la legge 1º giugno 2002, n.120.

(14) Corte di Giustizia, Grande Camera, 21 dicembre 2011, n. 366.

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ritenuto che l’apposizione da parte di una legge regionale di tettiquantitativi alla produzione di energie rinnovabili costituisca viola-zione degli obblighi internazionali dell’Italia e, pertanto, una viola-zione dell’art. 117, comma 1, Cost. » (15).

In attuazione del Protocollo di Kyoto, l’Unione europea ha appro-vato prima la direttiva 2001/77/CE (16) e poi l’attuale direttiva 2009/28/CE (17), mentre, a sua volta, l’Italia ha dato attuazione alle sud-dette direttive prima con il D.Lgs. 387 del 2003 e poi con il D.Lgs. 28del 2011 (18). Inoltre, con decreto ministeriale 10 settembre 2010,sono state approvate le « Linee guida per l’autorizzazione degli im-pianti alimentati da fonti rinnovabili » (19).

La Regione Umbria ha dato attuazione alla complessa disciplinadella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con il rego-lamento regionale 29 luglio 2011, n. 7 avente ad oggetto la « Disciplinaregionale per l’installazione di impianti per la produzione di energiaelettrica da fonti rinnovabili ». L’Allegato B del regolamento, conte-nente la « Disciplina regionale per l’installazione di impianti di pro-duzione di energia da fonti rinnovabili », e l’Allegato C contenente« Aree non idonee » sono stati modificati con la D.G.R. 23 gennaio2012, n. 40 e con la D.G.R. 7 maggio 2012, n. 494.

3. La disciplina europea sulle fonti di energia rinnovabile.

L’art. 194 (Energia) del TFUE (nella versione consolidata intro-dotta dal Trattato di Lisbona) stabilisce che « nel quadro dell’instau-razione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto

(15) L. CUOCOLO, Le energie rinnovabili tra Stato e Regioni. Un equilibrio instabiletra mercato, autonomia e ambiente, cit., p. 4; il riferimento è alla sentenza n. 124 del2010. Simili richiami al Protocollo di Kyoto sono effettuati anche dalla giurisprudenzaamministrativa: Cons. St., Sez. VI, 9 marzo 2005, n. 971; T.A.R. Puglia, Lecce, 14 aprile2006, n. 1953.

(16) Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settem-bre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinno-vabili nel mercato interno dell’elettricità.

(17) Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica esuccessiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

(18) Decreto legislativo 2011 — Attuazione della direttiva 2009/28/CE sullapromozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successivaabrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

(19) “Linee guida per il procedimento di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29dicembre 2003, n. 387 per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti diproduzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impiantistessi”, in G.U., 18 settembre 2010, n. 219.

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dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente, la politica dell’U-nione nel settore dell’energia è intesa, in uno spirito di solidarietà traStati membri, a: ... c) promuovere il risparmio energetico, l’efficienzaenergetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili ».

Per l’Unione europea nel settore dell’energia si deve puntare apreservare e migliorare l’ambiente e, all’interno di tale vincolo, lapolitica dell’Unione europea deve promuovere prima il risparmioenergetico, poi l’efficienza energetica e solo per ultimo è previsto losviluppo delle energie rinnovabili.

A confermare tale indirizzo dell’ordinamento comunitario vi è lasentenza della Corte di Giustizia (20) che ha stabilito che non contra-sta con il diritto comunitario il divieto assoluto di realizzare impiantieolici non finalizzati all’autoconsumo all’interno delle zone apparte-nenti alla rete Natura 2000 senza alcuna valutazione di incidenzaambientale del progetto. La Corte di Giustizia ha ritenuto quindigiustificabile il divieto e non in contrasto con gli obiettivi di raziona-lizzazione e di riduzione di ostacoli amministrativi nel settore delleenergie rinnovabili, « tenendo conto del pericolo che gli impiantieolici rappresentano per gli uccelli, quali la collisione, le perturba-zioni e gli spostamenti, l’effetto « barriera » che costringe gli uccelli acambiare direzione o la perdita o la degradazione degli habitat ».

La conferma della tendenza dell’ordinamento comunitario a ridi-mensionare il ruolo delle energie rinnovabili è rinvenibile anche nelconfronto tra le due direttive comunitarie che si sono succedute adisciplinare la materia. Nella prima direttiva 2001/77/CE si stabiliva,infatti, che « la promozione dell’elettricità prodotta da fonti energeti-che rinnovabili è un obiettivo altamente prioritario a livello dellaComunità » (2º considerando), mentre nella seconda 2009/28/CE —scomparso ogni riferimento all’« obiettivo altamente prioritario » —si prevede che « il controllo del consumo di energia europeo e ilmaggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, congiuntamente airisparmi energetici e ad un aumento dell’efficienza energetica, costi-tuiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie perridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare il protocollodi Kyoto » (21).

(20) Corte di Giustizia UE, 21 luglio 2011, C-2/10, resa sulla domanda dipronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Pugliae riferita alla Rete Natura 2000 dell’Alta Murgia.

(21) Una lettura diversa dell’evoluzione del diritto comunitario sulle energierinnovabili (ad ulteriore dimostrazione del favor — ingiustificato — per le energierinnovabili) è invece quella della Corte Costituzionale che, con la sentenza 11 ottobre2012, n. 224 (punto 4.1.) ha ritenuto che l’« obiettivo altamente prioritario » costituitodalla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, « è confermato dal 1º consi-

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L’Unione europea si è, quindi, adeguata al Protocollo di Kyotonella parte in cui prevede una « maggiore utilizzazione » delle fontirinnovabili solo con la direttiva 2009/28/CE; si può quindi concludereche sia il Protocollo di Kyoto che l’ordinamento comunitario nonprevedono che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia un« obiettivo altamente prioritario » come era indicato nella abrogatadirettiva 2001/77/CE.

4. La tutela della biodiversità e le fonti di energia rinnovabile.

La biodiversità è tra gli indicatori più rilevanti della qualità e dellasostenibilità ambientale ed è essenziale alla stabilità degli ecosistemiin quanto conferisce loro la capacità di resistere alle variazioni e alle« interferenze ». Con una efficace sintesi, è stato detto che « la biodi-versità è l’indicatore per eccellenza della sostenibilità » (22).

La tutela della biodiversità trova la sua prima fonte nella Conven-zione sulla Diversità Biologica (23), sottoscritta nel 1992, che ricono-sce per la prima volta che « la conservazione della diversità biologicaè interesse comune di tutta l’umanità e parte integrante del processodi sviluppo » ed ha come obiettivi « la conservazione della diversitàbiologica, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizionegiusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorsegenetiche » (art. 1), mentre nel preambolo si precisa che « la conser-vazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica rivestonoun’importanza critica per soddisfare i bisogni alimentari, sanitari edaltri della crescente popolazione del pianeta ».

Sul tema della biodiversità, l’Unione europea ha approvato ladirettiva 79/409/CEE, oggi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE (co-siddetta direttiva uccelli), e la 92/43/CEE (cosiddetta direttiva habitat).

derando della direttiva 2009/28/CE » (direttiva che, però, come detto, non contiene taleconferma).

(22) M.A. LA TORRE, La biodiversità come valore e come risorsa, in La questioneanimale, a cura di S. CASTIGLIONE e L. LOMBARDI VALLAURI, volume pubblicato nell’operaTrattato di biodiritto, a cura di S. RODOTÀ e P. ZATTI, Milano, 2012, p. 6. Sul ruolo centraledella biodiversità quale oggetto di tutela giuridica si veda: A. FARÌ, Beni e funzioniambientali. Contributo allo studio delle dimensione giuridica dell’ecosistema, Napoli,2013, p. 125 e ss.

(23) In http://www.cbd.int/convention/text/; per la traduzione in italiano si rinviaa: http://bch. minambiente.it/IT/Presentazione/convenzione.asp. La Convenzione sulladiversità biologica è stata ratificata dall’Italia con la legge 124 del 14 febbraio 1994 e, alfebbraio 2011, ha avuto l’adesione di 192 Paesi. La Convenzione sulla diversità biolo-gica è stata approvata dalla Comunità economica europea con la decisione 93/626/CEE,recante « Decisione del Consiglio, del 25 ottobre 1993, relativa alla conclusione dellaconvenzione sulla diversità biologica ».

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Nel preambolo della Convenzione sulla diversità biologica, leparti si dichiarano « consapevoli anche dell’importanza della diversitàbiologica per l’evoluzione e la conservazione dei sistemi vitali dellabiosfera ».

È interessante notare come anche la Corte Costituzionale indiverse sentenze faccia riferimento alla biosfera, a partire dalle sen-tenze 378/2007 (24) e 104/2008 (25).

Con tali sentenze la Corte Costituzionale ha fatto propria lanozione, utilizzata nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, se-condo la quale « per « ambiente ed ecosistema » deve intendersiquella parte di « biosfera » che riguarda l’intero territorio nazionale ».

Con altre successive sentenze, la stessa Corte Costituzionale hapoi precisato che l’« ambiente è « materia » a sé, non trasversale, delloStato ed è determinata dal fine costituzionale della « conservazione »e poi dal suo sostrato naturale: ha per oggetto specifico il « benemateriale », la biosfera, comprensiva degli interessi vitali degli indi-vidui, intesi come persone e cittadini » (26). Sempre secondo la CorteCostituzionale, la biosfera deve essere intesa « come ‘sistema’ [...] nelsuo aspetto dinamico (nello stesso senso, sentenze n. 168 del 2008, n.378 e n. 144 del 2007) » (27).

Né il Protocollo di Kyoto, né il diritto europeo consentono disacrificare la tutela della biodiversità in favore delle energie rinnova-bili. Anzi la direttiva 2009/28/CE individua espressamente i possibilipericoli per la biodiversità derivanti dagli impianti a biomassa edammonisce che « occorre sorvegliare l’impatto della coltivazione dellabiomassa, dovuto ad esempio a modifiche della destinazione deiterreni, incluso lo spostamento, l’introduzione di specie esotiche in-vasive ed altri effetti sulla biodiversità, e gli effetti sulla produzionealimentare e sulla prosperità locale » (considerando 78).

L’impatto negativo degli impianti per la produzione di energierinnovabili sull’uomo, sulla fauna, sulla vegetazione, sul suolo, sulpaesaggio e sul patrimonio culturale è stato contestato in più occa-sioni da molti comitati ed alcune associazioni ambientaliste (28).

I rischi ed i pericoli di tali impianti per l’ambiente ed il paesag-

(24) Corte Cost. 14 novembre 2007, n. 378.(25) Corte Cost. 18 aprile 2008, n. 104.(26) Corte Cost. 22 luglio 2009, n. 225.(27) Corte Cost. 13 aprile 2011, n. 128; 4 gennaio 2010, n. 1; 24 luglio 2009, n.

246; 23 maggio 2008, n. 168;(28) Tra le associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell’ambiente,

la più determinata nel contrastare l’impatto ambientale degli impianti di energierinnovabili è Italia Nostra, alla quale si affiancano spesso WWF, LIPU e Amici dellaTerra, mentre quasi sempre favorevole a tali impianti è Legambiente.

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gio (29) sono stati ripetutamente segnalati (30) ma non sono stati finoad oggi sufficientemente indagati nella loro complessiva incidenzasulla biodiversità.

5. La Strategia Nazionale per la Biodiversità.

L’art. 12, comma 7, del D.Lgs. 387 del 2003 stabilisce che gliimpianti di produzione di energia da fonti rinnovabili possono essereubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici,ma che nell’ubicazione si dovrà tenere conto, tra le altre cose, delledisposizioni a tutela della biodiversità.

L’art. 6 della Convenzione sulla diversità biologica dispone che

(29) Nonostante siano note le conseguenze negative sul paesaggio degli impiantiper la produzione di energia da fonti rinnovabili, la chiara tutela prevista dall’art. 9della Costituzione non è stata sufficiente ad impedire il proliferare di tali impiantisoprattutto nelle regioni del sud Italia.

(30) Sulle conseguenze ambientali negative degli impianti per le energie rinno-vabili: C. PETRINI, Pannelli solari via dalle campagne, La Repubblica, 17 aprile 2010; Noagli impianti sui terreni coltivabili, La Repubblica, 10 febbraio 2011; L’energia chemangia le campagne, La Repubblica, 28 luglio 2011; Allarme mega-impianti di biogas,anche l’energia pulita può inquinare, La Repubblica, 9 maggio 2012.

Sugli interessi economici e su quelli della criminalità organizzata legati alleenergie rinnovabili si veda: A. CAPORALE, Controvento. Il tesoro che il Sud non sa di avere.Cosa si nasconde dietro al grande affare dell’eolico, Milano, 2011. Dal 2006 al 2010 cisono state 7 inchieste rilevanti sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nellacostruzione di impianti eolici (così: A. CIANCIULLO, Quando le energie pulite erano utopia,7 giugno 2013, in http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/06/07/news/i_signori_del_vento_analisi_cianciullo-60567889/).

Nell’ambito della stessa inchiesta: G. FOSCHINI (Il lato nascosto del fotovoltaico. Unarisorsa diventata emergenza) il quale rileva che « grazie agli incentivi governativi edeuropei, e l’assicurazione di intascare per 25 anni i cosiddetti certificati verdi, è statochiaro sin da subito che l’investimento sul fotovoltaico era prima di tutto finanziario.Capitale garantito e guadagno a medio termine assicurato, in percentuali che nessunaltro tipo di operazione era in grado di assicurare »; S. PALAZZOLO, Così il padrinosuperlatitante governa il business dell’eolico; G. BALDESSARO, Per l’eolico un’autostrada sen-za caselli. Ma a far camminare tutto erano le mazzette; M. CORTI, Biogas, vantaggi per chi?,in: https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=sites&srcid=ZGVmYXVsdGR vbWF pbnxjb29yZGluYW1lbnRvdGVycmVub3N0cmV8Z3g6NzM2OTEyM2I2ZTkyODBlZg; AA.VV., Ener-gia, il punto di vista di Italia Nostra, Quaderni di Italia Nostra, n. 28, a cura di L. CARRA,Roma, 2011; LIPU, PSR 2007-2013 e biodiversità, (a cura di) P. ROSSI, marzo 2009, in:http://www.lipu.it/pdf/pdf_agricoltura/PSR%20e% 20biodiversit %E0%20LIPU.pdf.; peri danni ed i rischi delle energie rinnovabili: www.viadalvento.org; www.salviamoilpaesaggio.it;controfotovoltaicoeolicoareeverdi.com/; www.cnp-online.it.

Sulla tutela costituzionale del paesaggio, un sicuro punto di riferimento è ilsaggio: S. SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro ildegrado civile, Torino, 2010.

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ciascuna parte « svilupperà strategie, piani o programmi nazionaliper la conservazione e l’uso durevole della diversità biologica ».

L’Italia ha dato esecuzione alla Convenzione sulla diversità bio-logica con la « Strategia Nazionale per la Biodiversità » (31) nellaquale si legge che « la biodiversità e i servizi ecosistemici, nostrocapitale naturale, sono conservati, valutati e, per quanto possibile,ripristinati, per il loro valore intrinseco e perché possano continuarea sostenere in modo durevole la prosperità economica e il benessereumano nonostante i profondi cambiamenti a livello globale e locale »(p. 13).

Tre sono gli obiettivi strategici individuati nella Strategia:• il primo: entro il 2020 garantire la conservazione della biodi-

versità, intesa come la varietà degli organismi viventi, la loro varia-bilità genetica ed i complessi ecologici di cui fanno parte, ed assicu-rare la salvaguardia e il ripristino dei servizi ecosistemici al fine digarantirne il ruolo chiave per la vita sulla Terra e per il benessereumano;

• il secondo: entro il 2020 ridurre sostanzialmente nel territorionazionale l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, de-finendo le opportune misure di adattamento alle modificazioni in-dotte e di mitigazione dei loro effetti ed aumentando la resilienzadegli ecosistemi naturali e seminaturali;

• il terzo: entro il 2020 integrare la conservazione della biodiver-sità nelle politiche economiche e di settore, anche quale opportunitàdi nuova occupazione e sviluppo sociale, rafforzando la compren-sione dei benefici dei servizi ecosistemici da essa derivanti e laconsapevolezza dei costi della loro perdita (pp. 13-14).

La tutela della biodiversità comprende numerose aree di la-voro (32) tra le quali il paesaggio, l’agricoltura e l’energia. La primaarea di lavoro della Strategia è dedicata a « Specie, habitat, paesag-gio » (pp. 17-35) e tra gli obiettivi è indicato quello di attuare politichevolte ad impostare meccanismi partecipati per la pianificazione del

(31) « Intesa sulla “Strategia nazionale per la biodiversità”, predisposta dalMinistero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell’art. 6 dellaConvenzione sulla diversità biologica, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e ratificatadall’Italia con la legge 14 febbraio 1994, n. 124 » sancita dalla Conferenza Permanenteper i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, indata 7 ottobre 2010, Rep. n. 181/CSR; in: http: //www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/biodiversita/Strategia_Nazionale_per_la_Biodiversita.pdf.

(32) L’elenco completo delle aree di lavoro è il seguente: 1. Specie, habitat,paesaggio; 2. Aree protette; 3. Risorse genetiche; 4. Agricoltura; 5. Foreste; 6. Acqueinterne; 7. Ambiente marino; 8. Infrastrutture e trasporti; 9. Aree urbane; 10. Salute; 11.Energia; 12. Turismo; 13. Ricerca e innovazione; 14. Educazione, informazione, comu-nicazione e partecipazione; 15 L’Italia e la biodiversità nel mondo.

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paesaggio che poggino sulle caratteristiche di vulnerabilità, criticità epotenzialità dei sistemi naturali presenti sul territorio, nonché dipromuovere l’inserimento nella pianificazione territoriale di scalavasta e di scala locale del concetto di « bilancio urbanistico zero »,inteso come saldo tra le nuove previsioni di consumo delle superficiterritoriali e la restituzione ad uno status almeno semi-naturale diparti equivalenti o in misura diversamente determinata. La relazionetra biodiversità e paesaggio è espressamente richiamata nella Con-venzione europea del paesaggio del 20 ottobre 2000.

Con specifico riferimento all’agricoltura, nella Strategia si leggeche « il ruolo svolto dall’agricoltura a favore della tutela e dellapromozione della biodiversità rischia di essere compromesso dall’e-spansione urbanistica e infrastrutturale e dai fenomeni speculativilegati alla ricerca di suoli agricoli da destinare alla realizzazione diimpianti per l’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili. I datiISTAT mostrano una diminuzione della SAU in Italia, dal 1950 al2000, di circa 5 milioni di ettari di cui il 40% è divenuto incoltoimproduttivo; la superficie improduttiva è attualmente valutata parial 15% della superficie nazionale con punte del 30% della penisola »(pag. 55).

Più avanti, nello stesso documento, nella parte dedicata all’ener-gia, si legge che « possono avere effetti negativi sulla biodiversitàanche la produzione di biocombustibili e la generazione di energiaelettrica da fonti energetiche rinnovabili » (p. 113) e si indicano leseguenti minacce alla biodiversità derivanti dagli impianti (p. 114):

• impatto delle attività di estrazione dei combustibili fossili sullabiodiversità di aree sensibili quali zone umide o zone marine dimedio-bassa profondità;

• consumo di aree naturali per ospitare nuovi impianti o strut-ture ad essi annesse;

• inquinamento atmosferico, acustico, luminoso, idrico, pedolo-gico, magnetico;

• effetti prodotti dai cambiamenti climatici;• effetti prodotti dai processi di acidificazione, eutrofizzazione e

dall’ozono troposferico;• rischio di sversamenti di idrocarburi e di incidenti legati al

trasporto marittimo dei prodotti petroliferi;• riduzione della portata idrica dei corsi d’acqua soggetti a sfrut-

tamento idroelettrico a livelli insufficienti a garantire la sopravvi-venza delle specie ittiche;

• impatto degli impianti eolici sull’avifauna;• rischi per le specie autoctone legati alla diffusione di specie

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vegetali alloctone a rapido accrescimento per la produzione di bio-masse per usi energetici;

• frammentazione degli ecosistemi ed interruzione dei corridoiecologici naturali per la costruzione di linee di trasmissione;

• pressione delle opere connesse con la produzione di energia suhabitat e specie.

Sempre per il settore dell’energia, la strategia elenca i seguentiobiettivi (p. 115):

1. promuovere la sostenibilità delle colture energetiche ribadendola necessità di puntare su filiere corte, che abbiano bilanci energetici(e di carbonio) realmente vantaggiosi, che non siano causa di perditadi biodiversità e di suoli;

3. limitare il consumo di suolo non antropizzato prediligendoampliamenti, laddove possibile, di infrastrutture esistenti;

4. salvaguardare le aree naturali e gli habitat;5. integrare nella pianificazione territoriale le politiche energeti-

che, per una ponderazione sincronica degli effetti sulle componentiambientali e della biodiversità;

6. applicare la VAS per l’integrazione delle tematiche ambientalinella formazione di piani e programmi energetici sostenibili.

La Strategia considera anche il tema del cambiamento climatico(pp. 138, 185-190), precisando che « le azioni di mitigazione e adat-tamento ai cambiamenti climatici possono determinare impatti sullabiodiversità: tali impatti possono variare a seconda degli habitat edelle specie interessate e della scala spaziale e temporale presa inconsiderazione. Ovviamente le misure di mitigazione e adattamentoche producono impatti negativi sulla biodiversità devono essere evi-tate mentre quelle misure che hanno un impatto positivo sulla biodi-versità rappresentano opportunità per contrastare i cambiamenticlimatici da ricercare e promuovere » (p. 187).

Nella Strategia si legge che la sua attuazione potrà avvenire« anche con l’ipotesi di emanare una specifica « Legge Quadro nazio-nale per la conservazione e la valorizzazione della biodiversità »capace di dettare i principi generali e gli indirizzi per la legislazioneregionale nei settori che impattano sulla biodiversità » (p. 7).

Certamente l’emanazione di una specifica legge darebbe alla tu-tela della biodiversità un maggiore rilievo e vigore, ma non sembrache l’assenza di una tale legge possa ridurre l’obbligo di tutela impostodalla citata Convenzione sulla diversità biologica.

Infatti, la Convenzione sulla diversità biologica prevede, per lasua attuazione da parte dei singoli Stati, proprio lo strumento della« strategia » (o piani o programmi nazionali) e non quello della« legge ». In ogni caso, il citato art. 12 del D.Lgs. 387 del 2003

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stabilisce che, per l’ubicazione degli impianti di energie rinnovabili, sidebba tener conto della tutela della biodiversità; previsione, questa,che rimarrebbe priva di qualsiasi contenuto se non vi fosse la Strate-gia Nazionale per la Biodiversità.

6. I limiti agli impianti di produzione di energia rinnovabile nell’art.12 del D.Lgs. 387 del 2003.

La disciplina italiana sulla produzione di energie elettrica da fontirinnovabili è stata riordinata con il decreto legislativo n. 28 del 2011di attuazione della direttiva comunitaria 2009/28/CE. L’art. 5 di taledecreto legislativo disciplina l’autorizzazione unica e modifica l’art.12 del D.Lgs. 387 del 2003, mentre il successivo art. 6 regola la nuovaprocedura abilitativa semplificata (PAS).

L’art. 12 del D.Lgs. 387 del 2003 — che detta i principi fondamen-tali in materia di energie rinnovabili (33) — oltre allo specifico riferi-mento alla tutela della biodiversità, prevede una serie di limiti agliimpianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

In apertura, il primo comma stabilisce che le opere per la realiz-zazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opereconnesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’eser-cizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono dipubblica utilità ed indifferibili ed urgenti.

Ciò significa che, prima dell’autorizzazione, le energie rinnovabilinon godono nel nostro ordinamento di una particolare preferenza senon quella della razionalizzazione e semplificazione delle procedureautorizzative (così è, infatti, rubricato il più volte citato art. 12 delD.Lgs. 387/2003).

Tanto è vero che lo stesso art. 12, comma 3, stabilisce chel’autorizzazione unica dovrà essere rilasciata dalla Regione o dalleProvince delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti inmateria di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimo-nio storico-artistico.

Pertanto, le opere per la realizzazione di questi impianti diven-tano di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti solo dopo il rilasciodell’autorizzazione, mentre prima non hanno tali caratteristiche. Laconferma di tale assunto viene dal Consiglio di Stato il quale haricordato che l’art. 12 attribuisce la qualificazione di opera di pubblicautilità solo alle opere che già abbiano ottenuto l’autorizzazione unica,la quale sconta l’avvenuta verifica del rispetto delle normative vigenti

(33) Corte Cost. 11 ottobre 2012, n. 224.

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in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patri-monio storico-artistico (34).

Né si può ritenere che la previsione di cui al comma 3 dello stessoart. 12 del D.Lgs. 387 del 2003 — in forza della quale l’autorizzazioneunica costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico —possa significare la totale deroga agli strumenti urbanistici (né, tan-tomeno, ad ogni altra disposizione dei comuni e delle province, inriferimento al regolamento della Regione Umbria 7 del 2011), come segli impianti per la produzione di energie rinnovabili potessero esserecollocati ovunque, nel territorio comunale.

In tal senso, la giurisprudenza ha stabilito che « l’effetto di va-riante dell’autorizzazione unica non significa prevalenza sostanzialedi questo procedimento sulle scelte di pianificazione, quasi che larealizzazione di un impianto di cogenerazione potesse stravolgere lelinee di programmazione dell’uso del territorio che ciascuna Ammi-nistrazione correttamente si pone: se così non fosse, se l’eventualedissenso del Comune sotto il profilo urbanistico potesse essere supe-rato sul semplice rilievo che, in ogni caso, l’autorizzazione unicaproduce di diritto la variazione delle previsioni urbanistiche ostativealla realizzazione dell’impianto, tanto varrebbe non invitarla neppure,l’Amministrazione comunale, a partecipare ai lavori della confe-renza » (35).

Da aggiungere che il comma 4 bis dello stesso art. 12, dispone cheper la realizzazione di impianti a biomassa e per impianti fotovoltaiciil proponente deve dimostrare, prima dell’autorizzazione, la disponi-bilità del suolo su cui realizzare l’impianto, ciò significa che, per talitipi di impianti, la pubblica utilità interessa solo le opere connesse enon l’area sulla quale costruire l’impianto che deve essere nella dispo-nibilità del proponente (36).

Lo stesso art. 12 prevede, inoltre, con il settimo comma, chel’ubicazione degli impianti dovrà tenere conto delle disposizioni inmateria di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento,oltre alla già ricordata tutela della biodiversità, alla valorizzazionedelle tradizioni agroalimentari locali così come del patrimonio cultu-rale e del paesaggio rurale (37).

(34) Cons. St., Sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 175.(35) T.A.R. Piemonte, 21 dicembre 2011, n. 1342; id., 15 febbraio 2012, n. 1002.(36) Cons. St., Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 434.(37) T.A.R. Campania, Salerno, 17 febbraio 2011, n. 253; vedi anche T.A.R.

Piemonte, 21 dicembre 2011, n. 1342: « non si può ritenere che le esigenze connesseall’approvvigionamento energetico da fonte rinnovabile — che sono certamente prio-ritarie e di rilievo comunitario e che proprio per questo hanno ispirato la semplifica-zione procedimentale delineata dal legislatore statale nel citato articolo 12 D.Lgs.

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Ulteriori specificazioni dei suddetti limiti sono contenute nelD.M. 10 settembre 2010, n. 47987, recante le linee guida statali inattuazione dell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre, n. 387.

7. I limiti agli impianti di produzione di energia rinnovabile nell’art. 6del D.Lgs. 28 del 2011.

Ai limiti appena ricordati in sede di autorizzazione unica di cuiall’art. 12 D.Lgs. 387 del 2003, si devono aggiungere quelli previsti perla procedura abilitativa semplificata (PAS).

L’art. 6, comma 5, del D.Lgs. 28 del 3 marzo 2011 prevede che, perla PAS, il Comune, deve effettuare una prima istruttoria documentaleper verificare « l’assenza di una o più delle condizioni » stabilite dalcomma 2 del medesimo articolo.

Il comma 2 stabilisce che il proprietario dell’immobile o chi abbiala disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opereconnesse presenta al Comune almeno trenta giorni prima dell’effet-tivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una detta-gliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportunielaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con glistrumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la noncontrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto dellenorme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.

Non a caso, il comma 4 dello stesso art. 6 del D.Lgs. 28 del 2011stabilisce che il Comune, ove entro il termine indicato al comma 2 siariscontrata l’assenza di una o più condizioni stabilite al medesimocomma, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare ilprevisto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionistaabilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine diappartenenza.

Lo stesso art. 6, comma 5, prevede che, per la Procedura abilita-tiva semplificata (PAS), il Comune, in caso di mancanza di atti diassenso di altre amministrazioni, possa acquisirli d’ufficio oppureconvocare una Conferenza di servizi.

Nel primo caso il termine di trenta giorni resta sospeso finoall’acquisizione degli atti di assenso, nel secondo caso fino all’ado-zione della determinazione motivata di conclusione del procedimento(oppure, in caso di dissenso di uno dei partecipanti, dell’esercizio del

387/2003 — siano talmente preminenti da legittimare la totale pretermissione delleesigenze di tutela del territorio, dell’ambiente e della salute pubblica connesse allapianificazione territoriale ».

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potere sostitutivo). Pertanto, ove il Comune scelga di convocare laConferenza di servizi questa avrà natura decisoria e si dovrà conclu-dere con un provvedimento motivato.

In sostanza, il citato art. 6 del D.Lgs. 28 del 2011 consenteall’amministrazione, dopo una prima valutazione del progetto che,come detto, secondo i casi potrebbe portare alla notifica di « unordine motivato di non effettuare l’intervento », di scegliere tra l’ac-quisizione d’ufficio degli atti di altri enti con successiva presa d’attodel loro arrivo, oppure indire la Conferenza di servizi con successivadeterminazione motivata di conclusione.

Ma tutto ciò a condizione che il progetto sia compatibile con glistrumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e noncontrario agli strumenti urbanistici adottati, nonché rispettoso dellenorme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.

Pertanto, l’art. 6 del D.Lgs. 28 del 2011 non consente alcunaderoga agli strumenti urbanistici, né agli altri strumenti comunaliposti a tutela della sicurezza, igiene e sanità.

8. L’art. 12, comma 4, del regolamento regionale della Regione Umbrian. 7 del 2011.

Nella Regione Umbria, le energie rinnovabili sono disciplinate dalregolamento regionale 29 luglio 2011, n. 7 avente ad oggetto la« Disciplina regionale per l’installazione di impianti per la produzionedi energia elettrica da fonti rinnovabili ».

Detto regolamento regola le procedure amministrative per l’in-stallazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnova-bili e individua le aree e i siti non idonei alla installazione di specifichetipologie di impianti, nel dichiarato rispetto del decreto legislativo 3marzo 2011, n. 28, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 edel decreto ministeriale 10 settembre 2010 (art. 1).

L’art. 12, comma 4, di tale regolamento regionale prevede che lenorme del medesimo regolamento prevalgono « sugli strumenti urba-nistici e su ogni altra disposizione dei Comuni e delle Province »; talecomma consentirebbe una deroga agli strumenti urbanistici (P.T.C.P.,P.R.G., N.T.A., regolamento edilizio) e a tutte le altre disposizioni deiComuni e delle Province, non meglio precisate ma che sicuramentecomprendono i regolamenti in materia di sanità, ambiente ed igiene.

Il citato regolamento regionale non ha un valore pianificatoriodell’intero territorio regionale, ma, per sua espressa previsione, soloquello di individuare « le aree e i siti non idonei » (art. 1), in confor-mità a quanto stabilito dall’art. 12, comma 10, del D.Lgs. 387 del 2003

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(« le Regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti nonidonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti »).

Nel caso dell’art. 12, comma 4, del ricordato regolamento, laderoga andrebbe ben oltre l’ipotesi della variante automatica allostrumento urbanistico, per arrivare ad incidere sulla complessivapotestà disciplinare dei Comuni e delle Province in materia di urba-nistica edilizia, igiene, ambiente e sanità.

Oltre che con l’art. 12 del D.Lgs. 387 del 2003, la norma in esamerisulta in aperto contrasto con l’art. 6, del D.Lgs. 3 marzo 2011 n. 28che disciplina la Procedura Abilitativa Semplificata (P.A.S.), decretolegislativo al quale il regolamento regionale pur dichiara di volersiadeguare.

Occorre, inoltre, considerare che lo stesso art. 12, comma 4, delRegolamento regionale 7 del 2011 che prevede la prevalenza delmedesimo regolamento sugli strumenti urbanistici e su ogni altradisposizione dei Comuni e delle Province, risulta porsi in contrastocon gli artt. 117 e 118 Cost., con la legge 1150 del 1942, con la leggeregionale 11 del 2005.

L’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione prevedeche lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di « funzioni fonda-mentali di Comuni, Province e Città metropolitane », mentre il suc-cessivo art. 118 Cost. stabilisce che i Comuni e le Province sonotitolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite conlegge statale o regionale. La legge 1150 del 1942 attribuisce ai Comunila funzione della pianificazione urbanistica, stessa previsione con-tiene per i Comuni e le Province la legge regionale 11 del 2005.

Inoltre, l’art. 14, comma 27, del D.L. 31 maggio 2010 n. 78(convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122) recita che « sono funzionifondamentali dei comuni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma,lettera p) della Costituzione: ... d) la pianificazione urbanistica ededilizia di ambito comunale, nonché la partecipazione territoriale dilivello sovra comunale ».

Mentre per le Province, l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 26 novembre2010, n. 216, stabilisce che sono fondamentali « le funzioni riguar-danti la gestione del territorio » e « le funzioni nel campo della tutelaambientale ».

Di conseguenza, tali funzioni amministrative attribuite ai Co-muni in attuazione di una previsione costituzionale e con leggi statalie regionali non possono essere ridotte, ridimensionate o comunquemodificate con un regolamento amministrativo regionale. È noto,infatti, che i regolamenti sono fonti secondarie del diritto e in base alprincipio di gerarchia delle fonti non possono porsi in contrasto con

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le fonti primarie quali le leggi statali o regionali, né, tantomeno, conle norme costituzionali.

9. La valutazione di impatto ambientale.

Il comma 7 dell’art. 6 del D.Lgs. 152 del 2006 prevede l’obbligodella valutazione di impatto ambientale qualora, in base alle disposi-zioni di cui al successivo articolo 20, si ritenga che possano produrreimpatti significati e negativi sull’ambiente, per: a) i progetti elencatinell’Allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per losviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utiliz-zabili per più di due anni; b) le modifiche o estensioni dei progettielencati nell’allegato II che possono avere impatti significativi e nega-tivi sull’ambiente; c) i progetti elencati nell’allegato IV.

L’art. 10, comma 3, della L.R. Umbria 12 del 2010, prevede chesono sottoposti a procedura di VIA, previa Verifica di assoggettabilitàespletata sulla base delle modalità di cui all’articolo 20 e dei criteri dicui all’Allegato V alla Parte seconda del D.Lgs. 152/2006, i progetti diopere o interventi elencati nell’allegato IV alla Parte seconda delD.Lgs. 152/2006.

L’art. 2 del regolamento regionale 7 del 2011 sottopone a valuta-zione di impatto ambientale gli impianti eolici di potenza superioread 1 Mwe e gli impianti elettrici, mentre sottopone a verifica diassoggettabilità a valutazione di impatto ambientale alcuni impiantieolici e quelli alimentati a biomasse di potenza elettrica superiore ad1 Mwe.

La lett. c), del punto 2, dell’Allegato IV, alla Parte seconda delD.Lgs. 152 del 2006 impone l’assoggettabilità alla VIA dei progetti di« impianti industriale non termici per la produzione di energia, va-pore ed acqua calda con potenza complessiva superiore a 1MW ». Lostesso Allegato IV elenca i progetti sottoposti alla Verifica di assog-gettabilità di competenza delle regioni.

Pertanto, sia il legislatore statale che quello regionale impongonol’assoggettabilità alla VIA per i progetti di opere ed interventi elencatinell’Allegato IV alla Parte seconda del D.Lgs. 152 del 2006, ma sullabase della stessa normativa statale e regionale, gli impianti che hannouna potenza complessiva inferiore ad 1 MW sono esclusi dall’obbligodella VIA.

L’art. 6, comma 7, del D.Lgs. 152/2006 e l’Allegato IV alla Parteseconda dello stesso D.Lgs. 152/2006, nonché l’art. 10, comma 3, dellaL.R. Umbria 12 del 2010, risultano però in contrasto con la direttiva2011/92/UE.

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Infatti, se è vero che la direttiva comunitaria lascia agli Statimembri la facoltà di stabilire soglie e criteri per determinare, inmaniera generale ed astratta, quali progetti, di cui all’allegato II dellastessa, debbano essere assoggettati a procedura di VIA, tuttavia,anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare taledeterminazione, gli Stati membri hanno l’obbligo di prendere inconsiderazione i criteri di cui all’allegato III, come peraltro prevedel’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva (38).

L’esclusione dall’obbligo di valutazione di impatto ambientaledegli impianti con una potenza inferiore ad 1 MW, non tenendo inconsiderazione gli altri criteri imposti dall’Allegato III della direttiva2011/92/UE, si pone in contrasto con la ricordata direttiva 2011/92/UE.

Tale contrasto è stato contestato all’Italia dalla Commissioneeuropea che ha aperto la procedura di infrazione n. 2009/2086 (39)avente ad oggetto il decreto legislativo 152/2006, con cui è statarecepita la normativa europea in materia di VIA (ed al quale la leggedella Regione Umbria si è adeguata).

Anche il Consiglio dei Ministri ha rilevato tale contrasto conl’impugnazione della legge della Regione Marche 3 del 26 marzo 2012con la quale sono state censurate diverse norme non conformi alladirettiva 2011/92/UE sulla valutazione dell’impatto ambientale, tra lequali proprio la norma che fissa solo soglie dimensionali per l’assog-gettabilità dei progetti alla VIA (40).

La Corte Costituzionale con la sentenza del 29 maggio 2013, n. 93ha accolto il ricorso del Consiglio dei Ministri ed ha dichiaratol’illegittimità costituzionale « degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla leggedella Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale dellavalutazione di impatto ambientale — VIA), nel loro complesso, nellaparte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti dasottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabi-lità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto,caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’Allegato III alla direttiva 13dicembre 2011, 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del

(38) A questo proposito si vedano anche l’ordinanza della Corte di Giustiziadell’Unione europea nel procedimento C-156/07 e le sentenze C-66/06, C-255/08 eC-435/09.

(39) Una procedura avviata sotto la vigenza della precedente direttiva 85/337/CE(ora abrogata e interamente sostituita dalla 2011/92/UE) avente ad oggetto: « Direttiva85/337/CEE Valutazione d’Impatto Ambientale — Non conformità delle disposizioninazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) », in http://eurinfra.politichecomunitarie.it/ElencoAreaLibera.aspx.

(40) In G.U. 18 luglio 2012, n. 29: Corte Cost., Reg. ric. n. 87 del 2012.

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Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di de-terminati progetti pubblici e privati — codificazione), come prescrittodall’articolo 4, paragrafo 3, della medesima ».

Con la stessa sentenza, la Corte Costituzionale ha precisato che« dalla citata direttiva UE discende un preciso obbligo gravante sututti gli Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti indicatinell’allegato I, ma anche i progetti descritti nell’allegato II, qualora sirivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all’esitodella procedura di c.d. screening. Tale screening deve essere effettuatoavvalendosi degli specifici criteri di selezione definiti nell’allegato IIIdella stessa direttiva e concernenti non solo la dimensione, ma anchealtre caratteristiche dei progetti (il cumulo con altri progetti, l’utiliz-zazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l’inquinamento edi disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loroimpatto potenziale con riferimento, tra l’altro, all’area geografica ealla densità della popolazione interessata) » (punto 1.2.3.).

Pertanto, secondo la ricordata direttiva 2011/92/UE la proceduradi VIA risulta necessaria in tutti i casi in cui è necessario valutare, inbase all’Allegato III della direttiva 2011/92/UE, l’« inquinamento edisturbi ambientali », il « rischio di incidenti, per quanto riguarda, inparticolare, le sostanze o le tecnologie utilizzate », la « capacità dicarico dell’ambiente naturale, con particolare riguardo alle seguentizone: (...) zone nelle quali gli standard di qualità ambientale fissatidalla legislazione dell’Unione sono già stati superati ».

10. La Convenzione di Aarhus e la democrazia ambientale.

La Convenzione di Aarhus (41) riconosce che, in materia ambien-tale, « un migliore accesso alle informazioni ed una più efficace

(41) La « Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pub-blico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale », è statanegoziata nell’ambito della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite(UNCE), ed è stata conclusa il 25 giugno 1998 ad Aarhus in Danimarca. È stataratificata da 44 Stati e dall’Unione europea. L’Italia ha ratificato la Convenzione con lalegge 108 del 16 marzo 2001, recante del « Ratifica ed esecuzione della Convenzionesull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali el’accesso alla giustizia in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aarhus il 25giugno 1998 » pubblicata sulla G.U. n. 85 dell’11 aprile 2001 — Supplemento Ordinarion. 80. La Convenzione è entrata in vigore il 30 ottobre 2001.

Con riferimento allo specifico settore delle energie rinnovabili, la Convenzione diAarhus è espressamente richiamata nel punto 90 dei « considerando » della « direttiva2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozionedell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazionedelle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE ».

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partecipazione pubblica nei processi decisionali, possano migliorarela qualità e l’applicazione delle decisioni, contribuire alla consapevo-lezza diffusa riguardo le tematiche ambientali, fornire all’opinionepubblica l’opportunità di esprimere le proprie necessità e permetterealle autorità di prendere atto di tali preoccupazioni » (42).

La Convenzione di Aarhus presuppone che il pubblico contribu-isca positivamente alla creazione ed all’attuazione di norme ambien-tali (43) ed è incentrata su tre pilastri: informazione, partecipazione egiustiziabilità.

L’informazione ambientale è il primo pilastro di quella che è statadefinita la « democrazia ambientale » (44) della convenzione ed èriconosciuta in modo ampio ed indiscriminato senza alcuna necessitàdi dover dimostrare un qualche interesse, posto che l’esigenza dellapiù ampia diffusione delle informazioni ambientali si fonda sul fattoche la conoscenza di questo tipo di dati (e l’accesso alla relativadocumentazione) non realizza semplicemente un interesse del privatorichiedente ma è condizione per la realizzazione di un interessepubblico: quello alla tutela dell’ambiente e della salute della colletti-vità (45).

Con la direttiva 2011/92/CE (46) (art. 6), l’Unione europea harecepito la Convenzione di Aarhus e previsto che il pubblico debbaessere informato « in una fase precoce delle procedure decisionali inmateriale ambientale » e ben prima che sul progetto si pronuncil’amministrazione pubblica.

L’art. 6, comma 4, della stessa Convenzione prevede che, peralcune attività, ogni amministrazione pubblica deve permettere lapartecipazione del pubblico sin dai primi momenti della procedura,quando tutte le opzioni sono aperte e possa aver luogo l’effettivapartecipazione pubblica.

La Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 93 del 2013 haprecisato che la convenzione di Aarhus è espressamente richiamatadalla direttiva 2011/92/UE che, al considerando n. 19, ricorda cometra gli obiettivi della predetta Convenzione vi sia quello di « garantire

(42) La Comunità europea ha ratificato la Convenzione di Aarhus con la « De-cisione del Consiglio del 17 febbraio 2005 sulla conclusione della Convenzione diAarhus a nome della Comunità europea ».

(43) F. ROMANIN JACUR, L’accesso alla giustizia nella prassi del meccanismo dicompilance della Convenzione di Aarhus, in La Convenzione di Aarhus e l’accesso allagiustizia in materia ambientale, a cura di A. TANZI, E. FASOLI, L. IAPICHINO, Milano, 2011,p. 17.

(44) Così si è espresso il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.(45) Corte di Giustizia UE, 28 luglio 2011, n. 71.(46) In GUUE del 28 gennaio 2012.

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il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali inmateria ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in unambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle per-sone ».

Pertanto, la Convenzione di Aarhus e la direttiva comunitaria2011/92/CE concordano nel ritenere che i cittadini, i comitati e leassociazioni debbano essere coinvolti nelle decisioni pubbliche inmateria di ambiente sin dall’avvio del procedimento amministrativo eben prima del rilascio di una qualche autorizzazione.

La giustiziabilità ambientale è parte integrante ed importantedella convenzione nella quale si stabilisce che ogni stato assicura chei membri del pubblico in possesso dei requisiti eventualmente previstidal proprio diritto interno, possano intentare delle procedure ammi-nistrative o giudiziarie per contestare gli atti o le omissioni di privatio di autorità pubbliche che ostacolino le disposizioni del dirittoambientale nazionale (art. 9, comma 3) e che il pubblico sia informatodella possibilità che gli viene data per avviare dei procedimenti per ilricorso amministrativo o giudiziario, e preveda meccanismi di assi-stenza adeguati il cui obiettivo è di eliminare o di ridurre gli ostacolifinanziari o altri che impediscano l’accesso alla giustizia (art. 9,comma 5).

La Corte di Giustizia, pronunciandosi in via pregiudiziale sull’in-terpretazione di tale art. 9 ha precisato che il Giudice nazionale ètenuto ad interpretare le norme processuali concernenti le condizioniche devono essere soddisfatte per proporre un ricorso amministrativoo giurisdizionale in conformità sia degli scopi dell’art. 9, n. 3, dellasuddetta convenzione sia dell’obiettivo di tutela giurisdizionale effet-tiva dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, al finedi permettere ad un’organizzazione per la tutela dell’ambiente dicontestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un proce-dimento amministrativo eventualmente contrario al diritto ambien-tale dell’Unione (47).

Il nostro Paese è in ritardo sulla giustiziabilità ambientale e taleritardo è riconosciuto dallo stesso Ministero dell’ambiente, tutela delterritorio e del mare nel testo per la consultazione del pubblico del 26

(47) Corte di Giustizia, decisione 8 marzo 2011, resa nel procedimento C-240/09;si veda inoltre: Corte di Giustizia, 12 maggio 2011, resa nel procedimento C-115/09;Corte di Giustizia, 15 gennaio 2013, resa nel procedimento C-416/10. Anche per lanostra Corte costituzionale al giudice comune spetta interpretare la norma interna inmodo conforme alla disposizione internazionale: Corte Cost. 24 ottobre 2007, n. 349.

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novembre 2010 del « Secondo aggiornamento del rapporto nazionalesull’attuazione della Convenzione di Aarhus » (48).

Nonostante le dettagliate previsioni della Convenzione di Aarhus,le nostre pubbliche amministrazioni non garantiscono l’informazionepreventiva (quando tutte le opzioni sono ancora aperte), né un’ade-guata partecipazione del pubblico (in particolare alle conferenze diservizi), mentre la giurisprudenza tende ad usare criteri restrittivi neldecidere sulla legittimazione al ricorso dei comitati e delle rappresen-tanze territoriali delle associazioni ambientaliste riconosciute (49).

11. La sindrome Nimby, il principio di precauzione e la sussidiarietà.

Un articolo del 14 maggio 2013 titolava: « Effetto Nimby sull’e-nergia rinnovabile, l’Italia si scopre allergica alle biomasse » (50) eriportava le conclusioni della settima edizione dell’Osservatorio Me-dia Permanente Nimby Forum. Secondo tale studio nel 2012, su 354motivi di contestazione di progetti di infrastrutture, ben 156 riguar-derebbero impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili e,tra questi, quelli a suscitare le maggiori opposizioni sono le centrali abiomasse (con 108 impianti), seguiti a larga distanza dalle centraliidroelettriche (32) e dai parchi eolici (32).

Con syndrome Nimby (acronimo inglese per Not In My Back Yard,lett. « Non nel mio cortile ») si indica — secondo wikipedia — unatteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interessepubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi suiterritori in cui verranno costruite.

Partendo dall’assunto che, mentre i benefici (veri o presunti) dialcuni progetti di localizzazione sono diffusi a volte anche per un’areamolto vasta, i costi sono, invece, concentrati principalmente sullecomunità locali per cui i residenti guarderebbero esclusivamente alproprio interesse « di periferia » — rappresentato dai costi concen-trati sul territorio in cui vivono — anche anteponendo i propriinteressi personali alla realizzazione del bene comune con ragioni ereazioni illegittime e irrazionali, senza curarsi dei benefici che unprogetto apporterebbe all’intera comunità. Studi sociologici hannodimostrato, invece, che i cittadini affected da un progetto di localiz-

(48) In http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/vari/rna_convenzione_ aarhus_bozza_26_11_2010.pdf.

(49) Si veda, da ultimo Cons. St., Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2059.(50) In: http://www.repubblica.it/ambiente/2013/05/14/news/nymby_centrali_rin

novabili-58780578/.

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zazione sono in grado di acquisire le conoscenze scientifiche neces-sarie, persino quelle più complesse, per meglio conoscere la realtàdelle cose (51).

L’art. 191 (Ambiente) del TFUE (nella versione consolidata intro-dotta dal Trattato di Lisbona) ha indicato, al comma 1, la protezionedella salute umana fra gli obiettivi della politica comunitaria inmateria ambientale ed introdotto, al comma 2, il principio di precau-zione (52).

La rilevanza di tale principio generale, che è, come tale, diretta-mente cogente per tutte le Pubbliche amministrazioni, ha trovatoampio riconoscimento da parte degli organi comunitari, soprattuttonel settore della salute, con una valenza non solo programmatica, madirettamente imperativa nel quadro degli ordinamenti nazionali, vin-colati ad applicarlo qualora sussistano dubbi riguardo all’esistenza oalla portata di rischi per la salute delle persone (53).

In tal caso, infatti, le istituzioni comunitarie possono adottaremisure di tutela senza dover attendere che siano approfonditamentedimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (54). Detto principiocostituisce, quindi, un criterio orientativo generale e di larga mas-sima (55), che deve caratterizzare non soltanto le attività normative,ma, prima ancora, quelle amministrative.

Ne consegue che, su tale scorta, si costituisce l’obbligo da partedelle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati alfine di prevenire rischi, anche se solo potenziali, per la salute, per lasicurezza e per l’ambiente, facendo in ciò necessariamente prevalerele esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessieconomici dei singoli, cui sia fondatamente addebitabile il pregiudi-zio temuto ovvero già occorso; infatti, essendo le istituzioni comuni-tarie e nazionali responsabili — in tutti i loro ambiti d’azione — della

(51) M. ROCCATO, T. MANNARINI, Non nel mio giardino. Prendere sul serio i movi-menti NIMBY, Bologna, 2012; AA.VV., Conflitti ambientali. Biodiversità e democraziadella terra, a cura del CDCA — Centro di documentazione sui conflitti ambientali,Milano, 2011.

(52) L’art. 174 del Trattato UE dispone che « la politica della Comunità inmateria ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversitàdelle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi dellaprecauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritariaalla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio chi inquina paga ». Conl’art. 3 ter del D.Lgs. 152 del 2006 il principio di precauzione è stato recepito anche nelnostro ordinamento.

(53) T.R.G.A., Trento, 14 gennaio 2012, n. 18.(54) Cfr., sul punto Tribunale I grado CE, Sez. II, 19 novembre 2009, n. 334;

Corte Giustizia CE, Sez. III, 12 gennaio 2006, n. 504.(55) T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 31 maggio 2004, n. 5118.

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tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, la regola dellaprecauzione può essere considerata come un principio auto-nomo (56).

Detto ciò, risulta evidente che il fenomeno sociologico definitocome sindrome Nimby, nella sua accezione di preoccupazione per lasalute e l’ambiente, non è altro, in termini giuridici, che la concretaapplicazione del principio di precauzione.

Inoltre, l’art. 118, comma 4, della Costituzione dispone che Stato,Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’auto-noma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento diattività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

La sussidiarietà orizzontale è un rimando orizzontale alla societàcivile e allo stesso modo è un impiego della stessa come risorsa perl’utilità sociale e generale.

Tale principio gioca un ruolo fondamentale nel favorire la respon-sabilizzazione dei privati, singoli e nelle loro forme associative, pro-prio in relazione alla delicatezza della materia, nei confronti dell’am-biente (57). Pertanto, il fatto che gruppi di cittadini si aggreghino incomitati o associazioni per chiedere alle Pubbliche amministrazionila tutela della salute e dell’ambiente da rischi e pericoli, è un dirittocostituzionalmente riconosciuto e garantito, così come le istanze diinformazione, partecipazione ed accesso alla giustizia ambientalesono riconosciute e garantite dalla Convenzione di Aarhus.

(56) Corte di Giustizia CE, 26 novembre 2002, C-132; Cons. St., Sez. VI, 5dicembre 2002, n. 6657.

(57) Al riguardo il Consiglio di Stato ha precisato che « l’ultimo comma dell’ar-ticolo art. 118 della Costituzione — in particolare il principio di sussidiarietà orizzon-tale — sancisce e conclude un percorso di autonomia non più collegato al fenomenodella entificazione, ma correlato più semplicemente alla società civile e al suo sviluppodemocratico a livello quasi sempre volontario (così come riconosciuto anche da Cons.St., Sez. Consultiva per gli atti normativi, 25 agosto 2003, n. 1440/2003) » (Cons. St.,Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554).

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U. BARELLI, I limiti alle energie rinnovabili con particolare riferimento allatutela della biodiversità, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, Milano,Giuffrè, 2014, n. 1, pp. 1-26.

Il favor giurisprudenziale del quale godono le energie rinnovabili,sembra riconducibile più a ragioni di mercato e concorrenza che direale preoccupazione per il cambiamento climatico e tutela dell’am-biente. Affrontare il (pur serio e importante) problema del cambia-mento climatico come se solo da questo dipendano le sorti del pianetae come se le energie rinnovabili siano la soluzione privilegiata perrisolverlo, non consente di vedere che tale problema e tali energievanno comunque inquadrati nel più generale e complesso problemadella tutela della biodiversità.

Né il Protocollo di Kyoto, né il diritto europeo consentono disacrificare la tutela della biodiversità in favore delle energie rinnovabiliche non sono ad « impatto zero ». Giustificati sono quindi i limiti alleenergie rinnovabili che la normativa indica, oltreché nella tutela dellabiodiversità, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tuteladell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico(art. 12 del D.Lgs. 387/2003 sull’autorizzazione unica) e nella compati-bilità con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizivigenti e nella non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, non-ché nel rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie(art. 6 del D.Lgs. 28/2011 sulla procedura abilitativa semplificata).

Renewable energies benefit of a favor in the most recent italian caselow which seems related to market and competition reasons more thanreal concerns for climate changes and environmental protection. Tacklingthe even serious and important climate change challenge in terms ofplanet survival by means of renewable energy solutions, does not allow tounderstand that the climate change challenge and renewable energies haveto be enclosed in the more general context of the biodiversity protection.

Neither the Kyoto Protocol, nor the European legislation allow tosacrifice biodiversity protection in order to favour renewable energieswhich do not have « zero impact ». Therefore the limits foreseen by thelegislation for renewable energies are due in order to protect biodiversityas well as to protect the more general environment, the landscape and thehistorical and cultural heritage (art. 12 D.Lgs. 387/2003 concerning thecomprehensive authorization). More over these limits are foreseen inorder to guarantee the compatibility with urban legislation approved andadopted, with building regulations and conformity with security andsanitary legislations (art. 6 D.Lgs. 28/2011 concerning the simplifiedenabling procedure).

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