SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) Nella causa C-673/13...

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SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 23 novembre 2016 (*) «Impugnazione – Accesso ai documenti delle istituzioni – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Regolamento (CE) n. 1367/2006 – Articolo 6, paragrafo 1 – Rischio di pregiudizio per gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica – Nozione di “informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente” – Documenti relativi alla procedura di autorizzazione di una sostanza attiva contenuta in prodotti fitosanitari – Sostanza attiva glifosato» Nella causa C-673/13 P, avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 17 dicembre 2013, Commissione europea, rappresentata da B. Smulders, P. Ondrůšek, P. Oliver e L. Pignataro-Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, sostenuta da: American Chemistry Council Inc. (ACC), CropLife America Inc., National Association of Manufacturers of the United States of America (NAM), con sede in Washington (Stati Uniti), rappresentate da M. Abenhaïm, avocat, K. Nordlander, advokat, e P. Harrison, solicitor, CropLife International AISBL (CLI), con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata da D. Abrahams, barrister, R. Cana e E. Mullier, avocats, nonché da A. Patsa, dikigoros, European Chemical Industry Council (Cefic), European Crop Protection Association (ECPA), con sede in Bruxelles, rappresentati da I. Antypas e D. Waelbroeck, avocats, nonché da D. Slater, solicitor, European Crop Care Association (ECCA), con sede in Bruxelles, rappresentata da S. Pappas, dikigoros, Repubblica federale di Germania, rappresentata da T. Henze e A. Lippstreu, in qualità di agenti, intervenienti in sede d’impugnazione, procedimento in cui le altre parti sono: Stichting Greenpeace Nederland, con sede in Amsterdam (Paesi Bassi), Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), con sede in Bruxelles, rappresentate da B. Kloostra e A. van den Biesen, advocaten, ricorrenti in primo grado,

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SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

23 novembre 2016 (*)

«Impugnazione – Accesso ai documenti delle istituzioni – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Regolamento (CE) n. 1367/2006 – Articolo 6, paragrafo 1 – Rischio di pregiudizio per gli interessi

commerciali di una persona fisica o giuridica – Nozione di “informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente” – Documenti relativi alla procedura di autorizzazione di una sostanza attiva contenuta in prodotti fitosanitari – Sostanza

attiva glifosato»

Nella causa C-673/13 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 17 dicembre 2013,

Commissione europea, rappresentata da B. Smulders, P. Ondrůšek, P. Oliver e L. Pignataro-Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

sostenuta da:

American Chemistry Council Inc. (ACC),

CropLife America Inc.,

National Association of Manufacturers of the United States of America (NAM),

con sede in Washington (Stati Uniti), rappresentate da M. Abenhaïm, avocat, K. Nordlander, advokat, e P. Harrison, solicitor,

CropLife International AISBL (CLI), con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata da D. Abrahams, barrister, R. Cana e E. Mullier, avocats, nonché da A. Patsa, dikigoros,

European Chemical Industry Council (Cefic),

European Crop Protection Association (ECPA),

con sede in Bruxelles, rappresentati da I. Antypas e D. Waelbroeck, avocats, nonché da D. Slater, solicitor,

European Crop Care Association (ECCA), con sede in Bruxelles, rappresentata da S. Pappas, dikigoros,

Repubblica federale di Germania, rappresentata da T. Henze e A. Lippstreu, in qualità di agenti,

intervenienti in sede d’impugnazione,

procedimento in cui le altre parti sono:

Stichting Greenpeace Nederland, con sede in Amsterdam (Paesi Bassi),

Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), con sede in Bruxelles,

rappresentate da B. Kloostra e A. van den Biesen, advocaten,

ricorrenti in primo grado,

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sostenute da:

Regno di Svezia, rappresentato da E. Karlsson, L. Swedenborg, A. Falk, U. Persson, C. Meyer-Seitz e N. Otte Widgren, in qualità di agenti,

interveniente in sede d’impugnazione,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da J.L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, A. Tizzano (relatore), vicepresidente della Corte, M. Berger, E. Levits e F. Biltgen giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 febbraio 2016,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 aprile 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con la propria impugnazione, la Commissione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 ottobre 2013, Stichting Greenpeace Nederland e PAN Europe/Commissione (T-545/11; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2013:523), con la quale il Tribunale ha parzialmente annullato la decisione della Commissione, del 10 agosto 2011, con cui è stato negato l’accesso al volume 4 del progetto di relazione di valutazione della sostanza attiva glifosato, redatto dalla Repubblica federale di Germania in quanto Stato membro relatore, in applicazione della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU 1991, L 230, pag. 1) (in prosieguo: la «decisione controversa»).

Contesto normativo

Convenzione di Aarhus

2 La Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»), all’articolo 4, intitolato «Accesso alle informazioni ambientali», prevede quanto segue:

«1. Fatti salvi i paragrafi che seguono, ciascuna Parte provvede affinché, nel quadro della legislazione nazionale, le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste (...).

(...)

4. Una richiesta di informazioni ambientali può essere respinta qualora la divulgazione di tali informazioni possa pregiudicare:

(...)

d) la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, qualora essa sia tutelata dalla legge a salvaguardia di legittimi interessi economici; tuttavia devono essere divulgate le informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente;

(...)

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I motivi di diniego di cui sopra devono essere interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni nonché dell’eventuale attinenza delle informazioni con le emissioni nell’ambiente.

(...)».

Diritto dell’Unione

Normativa in materia di accesso ai documenti

3 A termini del considerando 4 del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43):

«Il presente regolamento mira a dare la massima attuazione al diritto di accesso del pubblico ai documenti (...)».

4 L’articolo 4, paragrafo 2, di tale regolamento così recita:

«Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

– gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale,

(…)

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

5 I considerando 2 e 15 del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13), affermano quanto segue:

«(2) Il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (...) sottolinea l’importanza di fornire adeguate informazioni sull’ambiente e di offrire al pubblico effettive possibilità di partecipare al processo decisionale in materia ambientale, in modo da accrescere la responsabilità e la trasparenza del processo decisionale e contribuire a rafforzare la consapevolezza e il sostegno del pubblico nei confronti delle decisioni adottate. (...)

(...)

(15) Le eccezioni previste dal regolamento [n. 1049/2001] dovrebbero trovare applicazione, fatte salve eventuali disposizioni più specifiche del presente regolamento in materia di richieste di informazioni ambientali. Le motivazioni di rifiuto per quanto riguarda l’accesso alle informazioni ambientali dovrebbero essere interpretate in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico che la rivelazione di dette informazioni persegue e valutando se le informazioni richieste riguardano le emissioni nell’ambiente (...)».

6 L’articolo 1, paragrafo 1, di tale regolamento così dispone:

«L’obiettivo del presente regolamento è quello di contribuire all’adempimento degli obblighi derivanti dalla [Convenzione di Aarhus], stabilendo le regole per applicare le disposizioni della Convenzione alle istituzioni e agli organi comunitari, e a tal fine:

(...)

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b) assicura la progressiva disponibilità e diffusione al pubblico delle informazioni ambientali per garantirne la più ampia possibile disponibilità e diffusione sistematica al pubblico, promuovendo in particolare, a tal fine, l’uso di tecnologie di telecomunicazione informatica e/o elettronica, se disponibili;

(...)».

7 Il successivo articolo 2, paragrafo 1, così recita:

«Ai fini del presente regolamento, si intende per:

(...)

d) “informazioni ambientali”: qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale riguardante:

i) lo stato degli elementi dell’ambiente quali l’aria e l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, il paesaggio e i siti naturali, comprese le zone umide, le zone costiere e marine, la biodiversità e le sue componenti, compresi gli organismi geneticamente modificati, nonché l’interazione fra questi elementi;

ii) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni o i rifiuti, compresi quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi e altri rilasci nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente di cui al punto i);

(...)».

8 Ai sensi del successivo articolo 3:

«Il regolamento [n. 1049/2001] si applica a tutte le richieste di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle istituzioni e dagli organi comunitari (...)».

9 A termini dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento medesimo:

«Per quanto concerne l’articolo 4, paragrafo 2, primo e terzo trattino, del regolamento [n. 1049/2001], (...) si ritiene che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione qualora le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente (...)».

Normativa in materia di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari e di iscrizione di sostanze attive

10 Il regolamento (CEE) n. 3600/92 della Commissione, dell’11 dicembre 1992, recante disposizioni d’attuazione della prima fase del programma di lavoro di cui all’articolo 8, paragrafo 2 della direttiva 91/414 (GU 1992, L 366, pag. 10), indica le modalità di attuazione della prima fase del programma di lavoro pluriennale per l’esame progressivo delle sostanze attive presenti sul mercato due anni dopo la data di notificazione della direttiva 91/414. Dall’allegato I di detto regolamento risulta che il glifosato era ricompreso nella prima fase di tale programma di lavoro. Spettava allo Stato membro relatore preparare un progetto di relazione di valutazione, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento.

11 In applicazione del regolamento (CE) n. 933/94 della Commissione, del 27 aprile 1994, che determina le sostanze attive dei prodotti fitosanitari e designa gli Stati membri relatori per l’attuazione del regolamento n. 3600/92 (GU 1994, L 107, pag. 8), la Repubblica federale di Germania è stata designata come Stato membro relatore per il glifosato.

12 Infine, in forza dell’articolo 1 e dell’allegato I alla direttiva 2001/99/CE della Commissione, del 20 novembre 2001, che modifica l’allegato I della direttiva 91/414 con l’iscrizione delle sostanze attive glifosato e tifensulfuron metile (GU 2001, L 304, pag. 14), il glifosato è stato aggiunto all’allegato I della direttiva 91/414, con scadenza dell’iscrizione al 30 giugno 2012. Successivamente, la direttiva 2010/77/UE della Commissione, del 10 novembre 2010, che modifica la direttiva 91/414 per quanto riguarda le scadenze dell’iscrizione di determinate sostanze attive nell’allegato I (GU 2010, L 293, pag. 48), ha prolungato la durata di iscrizione del glifosato fino al 31 dicembre 2015.

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Normativa applicabile alle emissioni industriali

13 L’articolo 2, punti 3 e 5, della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU 1996, L 257, pag. 26), così recita:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

3) “impianto”, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I e qualsiasi altra attività accessoria, che sono tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento;

(...)

5) “emissione”, lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua ovvero nel terreno;

(…)».

14 Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17):

«La presente direttiva stabilisce norme riguardanti la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da attività industriali (...)».

15 L’articolo 3, punti 3 e 4, di detta direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

3) “installazione”, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I o nell’allegato VII, parte I, e qualsiasi altra attività accessoria presso lo stesso luogo, che sono tecnicamente connesse con le attività elencate nei suddetti allegati e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento;

4) “emissione”, lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’installazione, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel terreno;

(…)».

Fatti

16 Il 20 dicembre 2010 la Stichting Greenpeace Nederland (in prosieguo: la «Greenpeace Nederland») e la Pesticide Action Network Europe (PAN Europe), richiamandosi tanto al regolamento n. 1049/2001 quanto al regolamento n. 1367/2006, chiedevano l’accesso ad una serie di documenti riguardanti la prima autorizzazione all’immissione in commercio del glifosato come sostanza attiva, rilasciata in applicazione della direttiva 91/414.

17 I documenti richiesti erano i seguenti:

– una copia del progetto di relazione di valutazione redatto dallo Stato membro relatore, vale a dire la Repubblica federale di Germania, precedentemente alla prima iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414 (in prosieguo: il «progetto di relazione»);

– un elenco completo di tutti i test presentati dai richiedenti l’iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414, decisa con la direttiva 2001/99; e

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– la documentazione completa, integrale e originale dei test fornita nel 2001 dai richiedenti l’iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414, nella parte relativa ai test di tossicità a lungo termine, ai test di mutagenicità, di cancerogenicità, di neurotossicità e agli studi sulla riproduzione.

18 Dopo aver chiesto il previo accordo delle autorità tedesche, conformemente al regolamento n. 1049/2001, il Segretario generale della Commissione, con lettera del 6 maggio 2011, forniva l’accesso al progetto di relazione, ad eccezione del volume 4 del medesimo (in prosieguo: il «documento controverso»), la cui divulgazione era stata negata dalle autorità medesime. A quest’ultimo riguardo, il Segretario generale spiegava che la consultazione delle autorità tedesche era ancora in corso e che una decisione sarebbe stata adottata successivamente.

19 Con la decisione controversa, il Segretario generale della Commissione negava, infine, l’accesso al documento controverso, basandosi sul rifiuto espresso dalla Repubblica federale di Germania.

20 A sostegno di detta decisione, il Segretario generale della Commissione faceva valere che tale Stato membro si opponeva alla divulgazione del suddetto documento sul fondamento dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, in quanto tale documento conteneva informazioni riservate sui diritti di proprietà intellettuale dei richiedenti l’iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414, ossia la composizione chimica dettagliata della sostanza attiva prodotta da ciascuno di essi, informazioni dettagliate sul processo di fabbricazione della sostanza, informazioni sulle impurità, la composizione dei prodotti finiti e i dati sui rapporti contrattuali tra i diversi richiedenti.

21 Dopo aver osservato che, a parere delle autorità tedesche, non vi era alcun interesse pubblico prevalente, quale previsto all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, che giustificasse la divulgazione del documento controverso, il Segretario generale della Commissione esaminava se tale interesse pubblico potesse essere invocato a norma del regolamento n. 1367/2006. In proposito, questi rilevava, da un lato, che l’articolo 6, paragrafo 1, di quest’ultimo, in base al quale si ritiene che sussista un interesse pubblico prevalente alla divulgazione qualora le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente, non era applicabile al documento controverso, dato che quest’ultimo non conteneva simili informazioni.

22 Dall’altro, il Segretario generale della Commissione sottolineava che le informazioni di cui trattasi riguardavano il processo di produzione del glifosato da parte dei richiedenti la relativa iscrizione nell’allegato I alla direttiva 91/414. Orbene, nell’ambito della ponderazione degli interessi da operare, questi riteneva che la necessità di tutelare i diritti di proprietà intellettuale di detti richiedenti superasse l’interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni. Infatti, tale divulgazione, nel caso di specie, avrebbe consentito ad imprese concorrenti di copiare i processi produttivi dei richiedenti l’iscrizione del glifosato, il che avrebbe comportato perdite considerevoli per questi ultimi, in violazione dei loro interessi commerciali e dei loro diritti di proprietà intellettuale. Per contro, l’interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni sarebbe già stato preso in considerazione, in quanto i possibili effetti delle emissioni di glifosato risulterebbero da altre parti, rese pubbliche, del progetto di relazione, in particolare per quanto concerne le impurità pertinenti e i metaboliti. Quanto alle informazioni relative alle impurità non pertinenti, incluse nel documento controverso, esse riguarderebbero elementi privi di rischi per la salute o per l’ambiente, ma condurrebbero a rivelare i processi produttivi di ciascun prodotto.

23 Inoltre, secondo il Segretario generale della Commissione, dal procedimento con il quale il glifosato era stato iscritto nell’allegato I alla direttiva 91/414 emergeva che i requisiti posti dal regolamento n. 1367/2006, in termini di messa a disposizione del pubblico di informazioni sugli effetti di tale sostanza sull’ambiente, erano stati presi in considerazione. Ciò premesso, doveva prevalere la tutela degli interessi dei produttori di tale sostanza.

24 Il Segretario generale della Commissione affermava, in conclusione, che non sussisteva alcuna prova dell’esistenza di un interesse pubblico prevalente a favore della divulgazione.

Sentenza impugnata

25 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 ottobre 2011, la Greenpeace Nederland e la PAN Europe proponevano ricorso di annullamento avverso la decisione controversa, a sostegno del quale deducevano tre motivi.

26 Nell’ambito del primo motivo, esse affermavano che il regolamento n. 1049/2001 non conferiva alcun diritto di veto a uno Stato membro e che la Commissione poteva decidere di non conformarsi alla posizione di quest’ultimo in merito all’applicazione di un’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, di detto regolamento. Con il secondo

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motivo, sostenevano che, nella specie, non doveva applicarsi la deroga al diritto d’accesso diretta a tutelare gli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, di detto regolamento. Infatti, secondo la Greenpeace Nederland e la PAN Europe, un interesse pubblico prevalente avrebbe giustificato la divulgazione delle informazioni richieste, attenendo queste ad emissioni nell’ambiente ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006. Infine, con il terzo motivo, la Greenpeace Nederland e la PAN Europe facevano valere che la decisione controversa non era conforme all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 e all’articolo 4 della Convenzione di Aarhus, non avendo la Commissione valutato il rischio effettivo di un pregiudizio agli interessi commerciali invocati.

27 Il Tribunale accoglieva il secondo motivo di ricorso e, senza pronunciarsi sugli altri due motivi, annullava la decisione impugnata nella parte in cui negava l’accesso alle parti del documento controverso contenenti informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente, vale a dire, in primo luogo, le informazioni relative all’identità e al tenore di tutte le impurità contenute nella sostanza attiva notificata da ciascun operatore, in secondo luogo, i dati concernenti le impurità presenti nei differenti lotti nonché i quantitativi minimi, medi e massimi di ciascuna di queste impurità e, in terzo luogo, le informazioni vertenti sulla composizione dei prodotti fitosanitari sviluppati dai diversi operatori interessati (in prosieguo: le «informazioni controverse»).

Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

28 Con la decisione del presidente della Corte del 29 aprile 2014, è stato autorizzato l’intervento della Repubblica federale di Germania a sostegno della Commissione.

29 Con ordinanze del presidente della Corte del 3 marzo 2015, anche l’American Chemistry Council Inc. (ACC), la CropLife America Inc. (in prosieguo: la «CropLife»), la CropLife International AISBL (CLI), l’European Chemical Industry Council (Cefic), la European Crop Care Association (ECCA), la European Crop Protection Association (ECPA) e la National Association of Manufacturers of the United States of America (NAM) (in prosieguo: la «NAM USA») sono stati ammessi ad intervenire a sostegno della Commissione.

30 Con decisione del presidente della Corte del 26 giugno 2015, il Regno di Svezia è stato autorizzato ad intervenire a sostegno della Greenpeace Nederland e della PAN Europe.

31 La Commissione nonché l’ACC, la CropLife, la CLI, il Cefic, l’ECCA, l’ECPA, la NAM USA e la Repubblica federale di Germania chiedono che la Corte voglia:

– annullare la sentenza impugnata;

– ai sensi dell’articolo 61 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, statuire definitivamente sul primo e sul terzo motivo dedotti in primo grado, ovvero rinviare la causa al Tribunale affinché quest’ultimo si pronunci su tali motivi, e

– condannare la Greenpeace Nederland e la PAN Europe alle spese.

32 La Greenpeace Nederland e la PAN Europe chiedono che la Corte voglia respingere l’impugnazione della Commissione e condannare quest’ultima alle spese.

33 Il Regno di Svezia chiede alla Corte di respingere l’impugnazione della Commissione.

Sull’impugnazione

34 A sostegno della propria impugnazione, la Commissione deduce un motivo unico, relativo all’erronea interpretazione da parte del Tribunale della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006.

35 Con il primo capo di tale motivo, la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore nell’ignorare la necessità di garantire la coerenza «interna» del regolamento n. 1049/2001.

36 Con il secondo capo, la Commissione afferma, in subordine, che il Tribunale, ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione delle eccezioni al diritto d’accesso previste dai regolamenti nn. 1049/2001 e 1367/2006, non ha

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debitamente tenuto conto del regime di informazione specificamente stabilito dalla normativa settoriale applicabile ai prodotti fitosanitari.

37 Con il terzo capo, la Commissione deduce, sempre in subordine, che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nell’ignorare, ai punti 44 e 45 della sentenza impugnata, la necessità di dare all’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, nella misura più ampia possibile, un’interpretazione conforme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare ai suoi articoli 16 e 17, e all’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, figurante nell’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1).

Sul primo capo del motivo unico d’impugnazione

Argomenti delle parti

38 Con il primo capo del motivo unico d’impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore nell’ignorare la necessità di garantire la coerenza «interna» del regolamento n. 1049/2001, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006 e con l’articolo 4, paragrafo 4, della Convenzione di Aarhus.

39 Dopo aver ricordato che l’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 istituisce una presunzione inconfutabile a favore della divulgazione delle informazioni rientranti nella nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente», la Commissione afferma, sostanzialmente, che tale nozione dev’essere interpretata restrittivamente per non svuotare di qualsiasi portata gli interessi di cui all’articolo 339 TFUE e all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

40 In ogni caso, la Commissione ritiene, sostanzialmente, che le informazioni di cui trattasi, per rientrare in detta nozione, debbano soddisfare due condizioni cumulative, ossia, da un lato, riguardare emissioni provenienti da impianti, quali fabbriche e centrali, e, dall’altro, riferirsi ad emissioni effettive nell’ambiente.

41 Quanto alla prima condizione, invocata altresì dalla CLI, dal Cefic, dall’ECPA e dalla Repubblica federale di Germania, essa discenderebbe dalla guida per l’applicazione della Convenzione di Aarhus. Infatti, per definire la nozione di «emissione», la prima edizione di tale guida faceva riferimento alla direttiva 96/61. Orbene, l’articolo 2, punto 5, di quest’ultima definirebbe il termine «emissione» come lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua ovvero nel terreno, mentre l’articolo 2, punto 3, della medesima direttiva definirebbe il termine «impianto» come l’unità permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I di detta direttiva. Del pari, la seconda edizione della guida per l’applicazione della Convenzione di Aarhus sarebbe redatta negli stessi termini e farebbe riferimento alla direttiva 2010/75, che ha sostituito la direttiva 96/61, mantenendo le stesse definizioni dei termini «emissione» e «impianto». Ne risulterebbe che la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 dovrebbe essere interpretata come limitata alle emissioni contemplate dalle direttive 96/61 e 2010/75.

42 A tal riguardo, la Repubblica federale di Germania, la CLI, il Cefic e l’ECPA aggiungono che tale interpretazione risulta avvalorata dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del medesimo regolamento n. 1367/2006, che distingue le emissioni dagli altri rilasci e scarichi. Orbene, l’interpretazione del Tribunale condurrebbe ad eliminare tale distinzione e a considerare che qualsiasi informazione ambientale riguardi emissioni nell’ambiente.

43 Quanto alla seconda condizione, invocata altresì dalla CLI e dal Cefic, la Commissione non la ritiene soddisfatta nel caso di specie. Infatti, il documento controverso non conterrebbe informazioni sulla natura e sulla quantità delle emissioni effettivamente liberate nell’ambiente, dato che tali emissioni varierebbero a seconda dei quantitativi di prodotto che gli agricoltori di fatto utilizzano e a seconda che i prodotti fitosanitari contengano o meno esattamente sostanze identiche a quelle esaminate nel progetto di relazione di valutazione.

44 Inoltre, a parere della Commissione, il criterio accolto dal Tribunale nel considerare che un’informazione «[riguardi] emissioni nell’ambiente» a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, vale a dire l’esistenza di un nesso «sufficientemente diretto» tra le informazioni di cui trattasi e le emissioni nell’ambiente, non trova alcun fondamento normativo e il carattere vago di detto criterio pone seri problemi in termini di certezza del diritto, il che risulterebbe confermato dal modo in cui il Tribunale ha applicato tale criterio nella

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sentenza impugnata. Infatti, al punto 71 di quest’ultima, il Tribunale avrebbe rilevato che il profilo analitico dei lotti testati, ad eccezione delle formule strutturali delle impurità, faceva riferimento, in modo sufficientemente diretto, ad emissioni nell’ambiente. Orbene, tale affermazione non sarebbe avvalorata da alcuna argomentazione.

45 La Greenpeace Nederland e la PAN Europe, sostenute dal Regno di Svezia, contestano gli argomenti della Commissione.

46 A tal fine, in primo luogo, esse sostengono essenzialmente che, poiché la divulgazione delle informazioni ambientali costituisce la regola, non può interpretarsi restrittivamente la norma prevista all’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 e all’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), della Convenzione di Aarhus, secondo cui la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica non può essere opposta alla divulgazione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente».

47 Le parti medesime ritengono, poi, che la guida per l’applicazione della Convenzione di Aarhus non consenta di avvalorare l’interpretazione restrittiva della nozione di «emissioni nell’ambiente» sostenuta dalla Commissione, limitandosi tale guida a rinviare alla definizione di «emissione» fornita dalla direttiva 96/61 a titolo di esempio. In ogni caso, detta Convenzione non consentirebbe di fondare in alcun modo un’interpretazione del genere. Infatti, l’ambito di applicazione della Convenzione non sarebbe limitato ai settori dell’ambiente relativi agli impianti industriali, ma si applicherebbe, espressamente e manifestamente, ad ogni tipo di settore e di informazione di carattere ambientale.

48 Infine, secondo la Greenpeace Nederland e la PAN Europe, va altresì respinta la limitazione della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» a quelle relative alle emissioni effettive. In proposito, esse deducono, in particolare, che le informazioni controverse sono necessarie, da un lato, per conoscere quantità e qualità dei rilasci di glifosato nell’ambiente nonché la quantità delle impurità emesse e, dall’altro, per verificare se gli effetti del rilascio di tale sostanza nell’ambiente come componente di un prodotto fitosanitario siano stati valutati correttamente. Tali informazioni, costituendo il fondamento sul quale autorizzare il rilascio del glifosato nell’ambiente, riguarderebbero «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006. Di conseguenza, non si dovrebbe limitare la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» a quelle relative alle emissioni effettivamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto in questione.

Giudizio della Corte

49 Al fine di statuire sul primo capo del motivo unico d’impugnazione, occorre determinare, come sostenuto dalla Commissione, in primo luogo, se la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 debba essere interpretata restrittivamente; in secondo luogo, se tale nozione debba limitarsi alle informazioni relative ad emissioni provenienti da impianti industriali, quali fabbriche e centrali; in terzo luogo, se detta nozione comprenda unicamente le informazioni attinenti a emissioni effettive nell’ambiente e, in quarto luogo, se il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel ritenere sufficiente che un’informazione, per rientrare nella medesima nozione, riguardi «in modo sufficientemente diretto» le emissioni nell’ambiente.

– Sull’interpretazione restrittiva della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente»

50 Riguardo alla questione se la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 debba essere interpretata restrittivamente, occorre certamente accogliere un’interpretazione di tale nozione che non vanifichi la portata dell’articolo 339 TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, considerato che tali disposizioni tutelano il segreto professionale e gli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica. Infatti, il diritto d’accesso ai documenti delle istituzioni previsto da tale regolamento, come sottolineato dal Tribunale al punto 29 della sentenza impugnata, è soggetto a determinati limiti basati su ragioni di interesse pubblico o privato, tra i quali la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica.

51 Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale nozione non può essere interpretata restrittivamente.

52 Infatti, conformemente a costante giurisprudenza della Corte, il regolamento n. 1049/2001, come emerge dal suo considerando 4 e dal suo articolo 1, mira a conferire al pubblico un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni che sia il più ampio possibile (v., in particolare, sentenze del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione,

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C-514/07 P, C-528/07 P e C-532/07 P, EU:C:2010:541, punto 69, nonché del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe, C-280/11 P, EU:C:2013:671, punto 28). Del pari, il regolamento n. 1367/2006, come prevede il suo articolo 1, è volto a garantire la più ampia possibile disponibilità e diffusione sistematica delle informazioni ambientali in possesso delle istituzioni e degli organi dell’Unione.

53 Pertanto, solo nella misura in cui deroghino al principio dell’accesso più ampio possibile a detti documenti, limitando tale accesso, le eccezioni a detto principio, in particolare quelle previste all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, secondo costante giurisprudenza della Corte, devono essere interpretate ed applicate restrittivamente (v., in tal senso, sentenze del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione, C-514/07 P, C-528/07 P e C-532/07 P, EU:C:2010:541, punto 73, nonché del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe, C-280/11 P, EU:C:2013:671, punto 30). La necessità di tale interpretazione restrittiva è confermata, inoltre, dal considerando 15 del regolamento n. 1367/2006.

54 Per contro, nell’istituire una presunzione secondo cui si ritiene che la divulgazione delle «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente», ad eccezione di quelle relative alle indagini, presenti un interesse pubblico prevalente rispetto all’interesse concernente la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica, cosicché la tutela di tali interessi commerciali non può essere opposta alla divulgazione di dette informazioni, l’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, come sottolinea in particolare la CLI, deroga certamente alla norma in materia di ponderazione degli interessi prevista all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001. Tuttavia, lo stesso articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, consente, in tal modo, un’attuazione concreta del principio dell’accesso più ampio possibile alle informazioni in possesso delle istituzioni e degli organi dell’Unione, ragion per cui non può giustificarsi un’interpretazione restrittiva di tale disposizione.

55 Ciò premesso, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto, ai punti 49 e 53 della sentenza impugnata, laddove non ha adottato un’interpretazione restrittiva dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 e della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente».

– Sulla limitazione della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» a quelle concernenti emissioni provenienti da impianti industriali

56 Quanto all’argomento della Commissione secondo cui la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 dev’essere interpretata come limitata alle informazioni attinenti ad emissioni provenienti da impianti industriali, quali fabbriche e centrali, occorre anzitutto sottolineare che, contrariamente a quanto afferma detta istituzione, il Tribunale ha espressamente risposto a tale argomento, ai punti da 54 a 56 della sentenza impugnata, prima di respingerlo.

57 Per quanto concerne la fondatezza della valutazione del Tribunale, si deve certamente rilevare che, nella versione del 2000, la guida per l’applicazione della Convenzione di Aarhus, al fine di definire la nozione di «emissione» a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), della Convenzione medesima, proponeva di ricorrere alla definizione data a tale nozione dall’articolo 2, punto 5, della direttiva 96/61, e che, nella versione del 2014, si riferisce ora alla definizione prevista all’articolo 3, punto 4, della direttiva 2010/75, identica a quella data da tale prima direttiva.

58 Orbene, da dette direttive risulta, sostanzialmente, che costituiscono «emissioni» ai sensi di queste ultime gli scarichi diretti o indiretti, da fonti puntiformi o diffuse di determinati impianti industriali ivi definiti, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua ovvero nel terreno.

59 Tuttavia, come rilevato giustamente dal Tribunale al punto 55 della sentenza impugnata, da costante giurisprudenza della Corte risulta che, sebbene detta guida possa essere considerata un documento esplicativo, idoneo eventualmente ad essere preso in considerazione, tra altri elementi rilevanti, al fine di interpretare la Convenzione di Aarhus, le analisi ivi contenute non possiedono tuttavia forza vincolante e sono prive della portata normativa propria delle disposizioni di tale Convenzione (v., in particolare, sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley, C-279/12, EU:C:2013:853, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

60 Orbene, da un lato, non si ravvisa alcun elemento nel regolamento n. 1367/2006 che consenta di ritenere che la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, di tale regolamento debba limitarsi alle emissioni provenienti da determinati impianti industriali, quali fabbriche o centrali.

61 Tale limitazione non può dedursi nemmeno dalla Convenzione di Aarhus, di cui si deve tener conto ai fini dell’interpretazione del regolamento n. 1367/2006, dal momento che detto regolamento, come prevede il suo articolo 1,

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mira a contribuire all’esecuzione degli obblighi derivanti da detta Convenzione stabilendo norme dirette ad applicare alle istituzioni e agli organi dell’Unione le disposizioni della Convenzione medesima.

62 Al contrario, come sottolineato dalla Corte al punto 72 della sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting (C-442/14), una limitazione del genere sarebbe contraria al tenore stesso dell’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), della Convenzione di Aarhus. Infatti, tale disposizione prevede che debbano essere divulgate le informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente. Orbene, le informazioni relative alle emissioni provenienti da fonti diverse da impianti industriali, come quelle risultanti dall’applicazione di prodotti fitosanitari sulle piante o sul suolo, sono altrettanto rilevanti per la tutela ambientale delle informazioni relative alle emissioni di origine industriale.

63 Dall’altro lato, una limitazione della nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 a quelle provenienti da determinati impianti industriali, quali fabbriche e centrali, sarebbe in contrasto con l’obiettivo di garantire la più ampia possibile divulgazione delle informazioni ambientali perseguito da tale regolamento (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punto 73).

64 Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica federale di Germania, una limitazione del genere non può essere giustificata dall’esigenza di preservare la coerenza del diritto dell’Unione, in particolare, tra il regolamento n. 1367/2006 e le direttive 96/61 e 2010/75. Infatti, la limitazione, in queste ultime direttive, della nozione di «emissioni» a quelle provenienti da determinati impianti industriali è giustificata dall’oggetto stesso di dette direttive che, come indica l’articolo 1 della direttiva 2010/75, consiste proprio nello stabilire norme riguardanti la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento dovuto alle attività industriali. Per contro, tale limitazione non è giustificata alla luce dell’oggetto del regolamento n. 1367/2006 che, conformemente al suo articolo 1, consiste nel delimitare le norme applicabili all’accesso alle informazioni ambientali in possesso delle istituzioni e degli organi dell’Unione. D’altronde, occorre sottolineare che la nozione di «emissione» nel diritto dell’Unione non è univoca, ma varia a seconda dell’ambito di applicazione considerato. Così, la definizione di tale nozione data dalle direttive 96/61 e 2010/75 differisce da quella prevista in particolare all’articolo 2, punto 8, della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU 2004, L 143, pag. 56), o da quella enunciata all’articolo 3, lettera e), della direttiva 2001/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici (GU 2001, L 309, pag. 22).

65 Va sottolineato, infine, che, contrariamente a quanto sostengono in particolare la CLI, il Cefic, l’ECPA e la Repubblica federale di Germania, una limitazione del genere non trova fondamento nemmeno nell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), ii), del regolamento n. 1367/2006.

66 È pur vero che tale disposizione, la quale elenca i fattori che possono rientrare nella nozione di «informazione ambientale», sembra, prima facie, distinguere la nozione di «emissioni» da quelle di «scarichi» e di «rilasci» nell’ambiente, con la conseguenza, secondo la CLI, il Cefic, l’ECPA e la Repubblica federale di Germania, che la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, di tale regolamento dovrebbe limitarsi alle emissioni provenienti da determinati impianti industriali, ad esclusione di altri scarichi e rilasci nell’ambiente.

67 Tuttavia, da un lato, una distinzione tra le nozioni di «emissioni», di «scarichi» e di «rilasci» è estranea alla Convenzione di Aarhus, la quale si limita a prevedere, all’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), che la tutela del segreto commerciale e industriale non possa essere opposta alla divulgazione di «informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente» (v. sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punto 62).

68 Dall’altro, una distinzione del genere è priva di pertinenza rispetto all’obiettivo di divulgazione delle informazioni ambientali perseguito dal regolamento n. 1367/2006 e risulterebbe artificiale. Inoltre, tali nozioni si sovrappongono ampiamente, come testimonia l’utilizzo dell’espressione «altri rilasci» all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), ii), di tale regolamento, da cui risulta che anche le emissioni e gli scarichi costituiscono rilasci nell’ambiente (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punti 63 e 65).

69 Pertanto, al fine d’interpretare l’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, non occorre distinguere la nozione di «emissioni» da quelle di «scarichi» e di «rilasci» nell’ambiente (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punto 67).

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70 Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto laddove ha affermato, ai punti da 54 a 56 della sentenza impugnata, che la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi di detta disposizione non è limitata alle informazioni concernenti le emissioni provenienti da determinati impianti industriali.

– Sulla limitazione della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» a quelle concernenti emissioni effettive nell’ambiente

71 Quanto all’argomento della Commissione secondo cui la nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 contemplerebbe unicamente le informazioni attinenti a emissioni effettive nell’ambiente, circostanza che non ricorrerebbe nel caso delle informazioni controverse, si deve certamente sottolineare che tale nozione, come sostenuto dalla Commissione, non include le informazioni relative a emissioni ipotetiche.

72 Infatti, dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), di quest’ultimo, risulta sostanzialmente che l’obiettivo di detto regolamento consiste nel garantire il diritto d’accesso alle informazioni concernenti fattori, quali le emissioni, che incidono, o possono incidere, sugli elementi dell’ambiente, in particolare sull’aria, l’acqua e il suolo. Orbene, tale ipotesi non ricorre nel caso delle emissioni meramente ipotetiche (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punto 80).

73 Tuttavia, contrariamente a quanto fa valere la Commissione, detta nozione non può limitarsi unicamente alle informazioni attinenti alle emissioni effettivamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto fitosanitario o della sostanza attiva di cui trattasi sulle piante o sul suolo, le quali dipendono in particolare dalle quantità di prodotto utilizzate di fatto dagli agricoltori nonché dalla composizione esatta del prodotto finale commercializzato.

74 Pertanto, rientrano altresì in detta nozione le informazioni sulle emissioni prevedibili del prodotto fitosanitario o della sostanza attiva in questione nell’ambiente, in condizioni normali o realistiche di utilizzo di tale prodotto o di tale sostanza, analoghe a quelle per le quali è stata concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio di detto prodotto o di detta sostanza e a quelle prevalenti nella zona di prevista utilizzazione di tale prodotto o di tale sostanza (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punti 78 e 79).

75 Infatti, sebbene l’immissione in commercio di un prodotto o di una sostanza non sia sufficiente, in generale, per considerare che tale prodotto o tale sostanza sarà necessariamente rilasciata nell’ambiente e che le informazioni corrispondenti riguardano «emissioni nell’ambiente», la situazione è diversa laddove si tratti di un prodotto, come un prodotto fitosanitario, e di sostanze in esso contenute, che, nell’ambito di un utilizzo normale, siano destinati ad essere liberati nell’ambiente a motivo della loro stessa funzione. In tal caso, le emissioni prevedibili, in condizioni normali o reali di utilizzo, del prodotto di cui trattasi o delle sostanze in esso contenute nell’ambiente non sono ipotetiche e rientrano nella nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 (v., per analogia, sentenza pronunciata in data odierna, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, punti 78 e 79).

76 Di conseguenza, erroneamente la Commissione sostiene che, nel ritenere che il documento controverso contenesse «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente», il Tribunale ha commesso un errore di diritto, atteso che tale documento non conterrebbe informazioni sulla natura e sulla quantità delle emissioni effettivamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto in questione.

– Sul criterio relativo all’esistenza di un nesso sufficientemente diretto tra le informazioni e le emissioni nell’ambiente

77 In ultimo luogo, occorre stabilire se il Tribunale, al punto 53 della sentenza impugnata, potesse ritenere sufficiente che un’informazione riguardi «in modo sufficientemente diretto» le emissioni nell’ambiente per rientrare nell’ambito dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, o se, come asserisce la Commissione, un criterio del genere, attinente all’esistenza di un nesso sufficientemente diretto tra le informazioni di cui trattasi e le emissioni, debba essere disatteso in quanto privo di qualunque fondamento normativo.

78 In proposito, dal tenore dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 risulta che tale disposizione contempla le informazioni «riguardanti emissioni nell’ambiente», vale a dire quelle concernenti o che sono

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relative a siffatte emissioni, e non le informazioni che presentano un nesso qualunque, diretto o indiretto, con le emissioni nell’ambiente. Tale interpretazione è confermata dall’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), della Convenzione di Aarhus, che fa riferimento alle «informazioni sulle emissioni».

79 Alla luce dell’obiettivo perseguito dall’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, consistente nel garantire, in linea di principio, un accesso alle «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente», tale nozione dev’essere intesa nel senso che comprende, in particolare, i dati che consentono al pubblico di conoscere quanto effettivamente rilasciato nell’ambiente oppure quanto sarà prevedibilmente rilasciato in condizioni normali o reali di utilizzo del prodotto o della sostanza in questione, analoghe a quelle per le quali è stata concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio di tale prodotto o di tale sostanza e a quelle prevalenti nella zona di prevista utilizzazione di detto prodotto o di detta sostanza. Pertanto, detta nozione dev’essere interpretata nel senso che comprende, in particolare, le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo delle emissioni effettive e prevedibili, in siffatte condizioni, di detto prodotto o di detta sostanza.

80 Occorre altresì includere nella nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» le informazioni che consentono al pubblico di controllare se sia corretta la valutazione delle emissioni effettive o prevedibili, sulla cui base l’autorità competente ha autorizzato il prodotto o la sostanza in questione, nonché i dati relativi agli effetti di tali emissioni sull’ambiente. Infatti, dal considerando 2 del regolamento n. 1367/2006 risulta sostanzialmente che l’accesso alle informazioni ambientali garantito da tale regolamento mira, in particolare, a favorire una partecipazione pubblica più efficace al processo decisionale, in modo da accrescere la responsabilità degli organi competenti nell’ambito del processo decisionale, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e di ottenerne il sostegno nei confronti delle decisioni adottate. Orbene, per assicurarsi che le decisioni adottate dalle autorità competenti in materia ambientale siano fondate e per poter partecipare efficacemente al processo decisionale in materia ambientale, il pubblico deve aver accesso alle informazioni che gli consentano di verificare se le emissioni siano state correttamente valutate e deve poter ragionevolmente comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di subire gli effetti di dette emissioni.

81 Per contro, sebbene, come esposto al punto 55 supra, non occorra adottare un’interpretazione restrittiva della nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente», tale nozione non può, tuttavia, includere qualsiasi informazione che presenti un qualsiasi nesso, ancorché diretto, con le emissioni nell’ambiente. Infatti, se detta nozione fosse interpretata nel senso di comprendere informazioni del genere, essa priverebbe in gran parte di contenuto la nozione di «informazioni ambientali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1367/2006. Una simile interpretazione priverebbe, pertanto, di ogni effetto utile la possibilità per le istituzioni, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, di negare la divulgazione di informazioni ambientali, per il motivo, in particolare, che una divulgazione del genere pregiudicherebbe la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica e comprometterebbe l’equilibrio che il legislatore dell’Unione ha inteso garantire tra l’obiettivo di trasparenza e la tutela di detti interessi. Essa arrecherebbe altresì un pregiudizio sproporzionato alla tutela del segreto professionale garantita dall’articolo 339 TFUE.

82 Dai suesposti rilievi risulta che, nel dichiarare, al punto 53 della sentenza impugnata, che è sufficiente che un’informazione riguardi in modo sufficientemente diretto emissioni nell’ambiente per rientrare nella nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, il Tribunale è incorso in un errore di diritto che vizia la sentenza impugnata.

83 Di conseguenza, essendo fondato il primo capo del motivo unico d’impugnazione, occorre annullare la sentenza impugnata, senza necessità di esaminare gli altri capi.

Sulle conseguenze dell’annullamento della sentenza impugnata

84 Conformemente all’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, questa, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo, oppure statuire definitivamente essa stessa sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.

85 Nel caso di specie, la soluzione della controversia comporta una nuova valutazione dei fatti che spetta al Tribunale effettuare alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 78 a 80 supra, dopo aver dato alle parti la possibilità di esprimersi. Se, al termine di tale valutazione, il Tribunale dovesse ritenere che le informazioni controverse non rientrino nella nozione di «informazioni [riguardanti] emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, dovrà pronunciarsi sul primo e sul terzo motivo invocati dalla Greenpeace Nederland e dalla PAN Europe nell’ambito del proprio ricorso di annullamento.

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86 Ciò premesso, lo stato degli atti non consente di statuire sulla controversia e, di conseguenza, la causa dev’essere rinviata al Tribunale.

Sulle spese

87 Poiché la causa viene rimessa dinanzi al Tribunale, occorre riservare le spese inerenti al presente procedimento d’impugnazione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

1) La sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 ottobre 2013, Stichting Greenpeace Nederland e PAN Europe/Commissione (T-545/11, EU:T:2013:523), è annullata.

2) La causa T-545/11 è rinviata dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.

3) Le spese sono riservate.

* Lingua processuale: l’inglese.

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SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

23 novembre 2016 *(1)

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE – Articolo 4, paragrafo 2 – Accesso del pubblico all’informazione – Nozione di “informazioni sulle emissioni nell’ambiente” – Direttiva 91/414/CEE – Direttiva 98/8/CE – Regolamento (CE) n. 1107/2009 – Immissione in commercio di prodotti fitosanitari e biocidi –

Riservatezza – Tutela degli interessi industriali e commerciali»

Nella causa C-442/14,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal College van Beroep voor het bedrijfsleven (Corte d’appello per il contenzioso amministrativo in materia economica, Paesi Bassi), con decisione del 12 settembre 2014, pervenuta in cancelleria il 24 settembre 2014, nel procedimento

Bayer CropScience SA-NV,

Stichting De Bijenstichting

contro

College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden,

con l’intervento di:

Makhtesim-Agan Holland BV,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da J.L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, A. Tizzano (relatore), vicepresidente della Corte, M. Berger, E. Levits e F. Biltgen, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 febbraio 2016,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Bayer CropScience SA-NV, da E. Broeren e A. Freriks, advocaten;

– per la Stichting De Bijenstichting, da L. Smale, advocaat;

– per il College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden, da J. Geerdink e D. Roelands-Fransen, advocaten;

– per il governo dei Paesi Bassi, par B. Koopman e M. Bulterman, in qualità di agenti;

– per il governo tedesco, da T. Henze e A. Lippstreu, in qualità di agenti;

– per il governo ellenico, da I. Chalkias, O. Tsirkinidou e A. Vasilopoulou, in qualità di agenti;

– per il governo svedese, da L. Swedenborg, E. Karlsson, A. Falk, C. Meyer-Seitz, U. Persson e N. Otte Widgren, in qualità di agenti;

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– per la Commissione europea, da L. Pignataro-Nolin, F. Ronkes Agerbeek, P. Ondrusek e H. Kranenborg, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 aprile 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 14 della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU 1991, L 230, pag. 1), dell’articolo 19 della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi (GU 1998, L 123, pag. 1), degli articoli 59 e 63 del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (GU 2009, L 309, pag. 1) nonché dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio (GU 2003, L 41, pag. 26).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Bayer CropScience BV (in prosieguo: la «Bayer») e la Stichting De Bijenstichting (in prosieguo: la «Bijenstichting») e, dall’altro, il College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden (autorità competente per il rilascio delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari e dei biocidi; in prosieguo: il «CTB») in merito alla decisione del 18 marzo 2013 con la quale quest’ultimo ha, in sostanza, accolto parzialmente la richiesta della Bijenstichting di divulgazione di documenti presentati dalla Bayer in occasione delle procedure di autorizzazione all’immissione sul mercato dei Paesi Bassi di determinati prodotti fitosanitari e biocidi contenenti la sostanza attiva Imidacloprid.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3 L’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«accordo TRIPS»), costituente l’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), dispone quanto segue:

«I membri, qualora subordinino l’autorizzazione della commercializzazione di prodotti chimici farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche alla presentazione di dati relativi a prove o di altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno, assicurano la tutela di tali dati da sleali usi commerciali. Essi inoltre proteggono detti dati dalla divulgazione, salvo nei casi in cui risulti necessaria per proteggere il pubblico o a meno che non vengano prese misure atte a garantire la protezione dei dati contro sleali usi commerciali».

4 L’articolo 4 della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, approvata a nome della Comunità europea mediante la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Aarhus»), rubricato «Accesso alle informazioni ambientali», prevede quanto segue:

«1. Fatti salvi i paragrafi che seguono, ciascuna Parte provvede affinché, nel quadro della legislazione nazionale, le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste (...)

(...)

4. Una richiesta di informazioni ambientali può essere respinta, qualora la divulgazione di tali informazioni possa pregiudicare:

(...)

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d) la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, qualora essa sia tutelata dalla legge a salvaguardia di legittimi interessi economici; tuttavia devono essere divulgate le informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente;

(...)

I motivi di diniego di cui sopra devono essere interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni nonché dell’eventuale attinenza delle informazioni con le emissioni nell’ambiente.

(...)».

Diritto dell’Unione

Normativa in materia di immissione in commercio dei prodotti fitosanitari e biocidi

5 L’articolo 2, punto 2, della direttiva 91/414 definisce la nozione di «residui di prodotti fitosanitari» nei termini seguenti:

«Una o più sostanze presenti in o su vegetali o prodotti di origine vegetale, prodotti animali commestibili, o altrove nell’ambiente, e costituenti residui dell’impiego di un prodotto fitosanitario, compresi i loro metaboliti e i prodotti derivanti dalla degradazione o dalla reazione».

6 L’articolo 14 della direttiva medesima così dispone:

«Fatte salve le disposizioni della direttiva [2003/4], gli Stati membri e la Commissione provvedono affinché le informazioni fornite dai richiedenti, riguardanti segreti industriali o commerciali, vengano considerate riservate su domanda del richiedente interessato all’iscrizione di una sostanza attiva nell’allegato I o del richiedente dell’autorizzazione di un prodotto fitosanitario e previa accettazione da parte dello Stato membro o della Commissione della motivazione addotta dal richiedente.

(...)».

7 All’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), della direttiva 98/8, la nozione di «residui» è così definita:

«Una o più sostanze presenti in un biocida, che rimangono come residui a seguito del suo impiego, compresi i loro metaboliti e i prodotti derivanti dalla loro degradazione o reazione».

8 L’articolo 19 di tale direttiva, rubricato «Riservatezza», è del seguente tenore:

«1. Fatta salva la direttiva [2003/4], un richiedente può indicare all’autorità competente le informazioni che ritiene critiche dal punto di vista commerciale e la cui diffusione potrebbe danneggiarlo sul piano industriale o commerciale, e che pertanto desidera vengano considerate riservate e comunicate soltanto alle autorità competenti e alla Commissione. In ciascun caso si richiede una giustificazione esauriente. (...)

2. L’autorità competente a cui viene inoltrata la richiesta decide, sulla scorta delle prove documentali prodotte dal richiedente, quali informazioni siano riservate a norma del paragrafo 1.

(...)».

9 L’articolo 3, punto 1, del regolamento n. 1107/2009 definisce la nozione di «residui» nei termini seguenti:

«[U]na o più sostanze, compresi i loro metaboliti e i prodotti risultanti dalla loro degradazione o reazione, presenti nei o sui vegetali, prodotti vegetali, prodotti animali edibili, acqua potabile o altrove nell’ambiente, e derivanti dall’impiego di un prodotto fitosanitario.

(...)».

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10 L’articolo 33 di tale regolamento, rubricato «Domanda di autorizzazione o di modifica di un’autorizzazione», prevede quanto segue:

«1. Il richiedente che desideri immettere sul mercato un prodotto fitosanitario presenta una domanda di autorizzazione o di modifica di un’autorizzazione, personalmente o tramite un rappresentante, a ciascuno degli Stati membri in cui intende immettere sul mercato il prodotto.

(...)

4. Nel presentare la domanda il richiedente può chiedere, conformemente all’articolo 63, che talune informazioni, comprese certe parti del fascicolo, siano tenute riservate, e le separa fisicamente.

(...)

A fronte di una richiesta di accesso alle informazioni, lo Stato membro che esamina la domanda decide quali informazioni devono essere tenute riservate.

(...)».

11 Ai termini dell’articolo 63 di detto regolamento, intitolato «Riservatezza»:

«1. Le persone che chiedono che le informazioni da esse presentate in applicazione del presente regolamento siano trattate come informazioni riservate forniscono una prova verificabile a dimostrazione del fatto che la divulgazione delle informazioni potrebbe nuocere ai loro interessi commerciali (...).

2. La divulgazione delle informazioni seguenti è considerata, di norma, pregiudizievole per la tutela degli interessi commerciali oppure della vita privata e dell’integrità dell’interessato [qualora riguardi]:

a) il metodo di fabbricazione;

b) le specifiche sulle impurezze della sostanza attiva, eccezion fatta per le impurezze che sono considerate come rilevanti sotto il profilo tossicologico, ecotossicologico o ambientale;

c) i risultati relativi a lotti di fabbricazione della sostanza attiva, comprese le impurezze;

d) i metodi di analisi delle impurezze presenti nella sostanza attiva, così come fabbricata, eccezion fatta per i metodi di analisi delle impurezze considerate rilevanti sotto il profilo tossicologico, ecotossicologico o ambientale;

e) i legami che esistono tra un fabbricante o un importatore e il richiedente o il titolare dell’autorizzazione;

f) le informazioni sulla composizione completa di un prodotto fitosanitario;

g) i nomi e gli indirizzi delle persone impegnate nella sperimentazione su animali vertebrati.

3. Il presente articolo fa salva l’applicazione della direttiva [2003/4]».

Normativa in materia di accesso alle informazioni ambientali

12 I considerando 1, 5, 9 e 16 della direttiva 2003/4 così recitano:

«(1) Un rafforzamento dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale e la diffusione di tale informazione contribuiscono a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente.

(...)

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(5) Il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha firmato la [convenzione di Aarhus]. Le disposizioni di diritto comunitario devono essere compatibili con quelle di tale convenzione in vista della sua conclusione da parte della Comunità europea.

(...)

(9) È altresì necessario che le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico e diffondano l’informazione ambientale nella massima misura possibile, in particolare ricorrendo alle tecnologie d’informazione e di comunicazione. (...)

(...)

(16) Il diritto all’informazione implica che la divulgazione dell’informazione sia ritenuta un principio generale e che alle autorità pubbliche sia consentito respingere una richiesta di informazione ambientale in casi specifici e chiaramente definiti. Le ragioni di rifiuto dovrebbero essere interpretate in maniera restrittiva, ponderando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle. (...)».

13 L’articolo 1 della direttiva in parola stabilisce quanto segue:

«Gli obiettivi della presente direttiva sono i seguenti:

a) garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse e stabilire i termini e le condizioni di base nonché modalità pratiche per il suo esercizio;

b) garantire che l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, in modo da ottenere la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico dell’informazione ambientale. A tal fine è promosso l’uso, in particolare, delle tecnologie di telecomunicazione e/o delle tecnologie elettroniche, se disponibili».

14 L’articolo 2 di tale direttiva, rubricato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

1) “informazione ambientale” qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale concernente:

a) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria e l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, il paesaggio e i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica e i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, nonché le interazioni tra questi elementi;

b) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni o i rifiuti, compresi quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi e altri rilasci nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente di cui alla lettera a);

(...)».

15 Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva, rubricato «Accesso all’informazione ambientale su richiesta»:

«Gli Stati membri provvedono affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».

16 L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4, intitolato «Eccezioni», così dispone:

«Gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazione ambientale sia respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio:

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(...)

d) alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali qualora la riservatezza sia prevista dal diritto nazionale o comunitario per tutelare un legittimo interesse economico, compreso l’interesse pubblico di mantenere la riservatezza statistica ed il segreto fiscale;

(...)

I motivi di rifiuto di cui ai paragrafi 1 e 2 sono interpretati in modo restrittivo tenendo conto nel caso specifico dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione. In ogni caso specifico l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione è ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto. Gli Stati membri non possono, in virtù del paragrafo 2, lettere a), d), f), g) e h), disporre che una richiesta sia respinta se quest’ultima concerne informazioni sulle emissioni nell’ambiente.

(...)».

Normativa applicabile alle emissioni industriali

17 L’articolo 2, punti 3 e 5, della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU 1996, L 257, pag. 26), prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

3) “impianto”, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I e qualsiasi altra attività accessoria, che sono tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento;

(...)

5) “emissione”, lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’impianto, di sostanze[,] vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua ovvero nel terreno;

(...)».

18 L’articolo 3, punti 3 e 4, della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17), così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(...)

3) “installazione”, l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I o nell’allegato VII, parte I, e qualsiasi altra attività accessoria presso lo stesso luogo, che sono tecnicamente connesse con le attività elencate nei suddetti allegati e possono influire sulle emissioni e sull’inquinamento;

4) “emissione”, lo scarico diretto o indiretto, da fonti puntiformi o diffuse dell’installazione, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel terreno».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19 Con decisioni del 28 aprile e dell’8 luglio 2011, il CTB, l’autorità dei Paesi Bassi competente per il rilascio e la modifica delle autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari e dei biocidi, ha deciso di modificare le autorizzazioni di vari prodotti fitosanitari nonché di un prodotto biocida contenenti la sostanza attiva Imidacloprid, che è dotata, in particolare, di effetto insetticida.

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20 Con lettere dell’11 maggio, del 24 agosto e del 25 ottobre 2011, la Bijenstichting, un’associazione dei Paesi Bassi per la protezione delle api, ha chiesto al CTB, sulla base della direttiva 2003/4, la divulgazione di 84 documenti riguardanti le suddette autorizzazioni.

21 La Bayer, società che opera, tra l’altro, nei settori della protezione delle colture e della lotta antiparassitaria, titolare di un gran numero di dette autorizzazioni, si è opposta a tale divulgazione, asserendo che la stessa avrebbe arrecato pregiudizio al diritto d’autore e alla riservatezza di informazioni commerciali o industriali e avrebbe, inoltre, svuotato di contenuto il diritto alla protezione dei dati.

22 Con decisione del 9 luglio 2012, il CTB, in un primo tempo, ha respinto integralmente le richieste di divulgazione presentante dalla Bijenstichting. A sostegno di tale decisione di rigetto, il CTB ha affermato, in particolare, che dette richieste non avevano ad oggetto «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4. Pertanto, tali richieste potevano essere accolte solamente se la ponderazione dell’interesse generale alla divulgazione, da un lato, con l’interesse specifico del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio alla riservatezza dei dati interessati, dall’altro, avesse giustificato la divulgazione di questi ultimi, cosa che tuttavia, secondo il CTB, non si verificava nel caso di specie.

23 A seguito del reclamo presentato dalla Bijenstichting avverso tale decisione di rigetto, il CTB, in un secondo tempo, ha parzialmente riconsiderato la medesima e, con decisione del 18 marzo 2013, ha dichiarato il reclamo parzialmente fondato.

24 In tal senso, in quest’ultima decisione, il CTB ha ritenuto che dovessero essere considerate «informazioni sulle emissioni nell’ambiente», a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, le informazioni concrete relative a emissioni effettive di prodotti fitosanitari o biocidi nell’ambiente.

25 Orbene, nella fattispecie, 35 dei documenti di cui veniva chiesta la divulgazione contenevano, secondo il CTB, informazioni del genere. Di conseguenza, le motivazioni che potevano essere addotte per negare una simile divulgazione erano, secondo detto organismo, assai limitate. Tra queste rientrava la tutela dei diritti di proprietà intellettuale del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto considerato. Tuttavia, in esito a una ponderazione tra l’interesse generale alla divulgazione e la tutela di tali diritti, il CTB ha ritenuto che dovesse prevalere il primo. Di conseguenza, ha ordinato la divulgazione dei suddetti documenti.

26 Tra questi 35 documenti rientravano, in particolare, studi di laboratorio riguardanti gli effetti dell’Imidacloprid sulle api e sperimentazioni realizzate, in parte, sul campo per misurare i residui dei prodotti fitosanitari e biocidi nonché dei loro principi attivi presenti, a seguito dell’utilizzo di tali prodotti, nell’aria o nel suolo, nei semi, nelle foglie, nel polline o nel nettare della pianta trattata, nonché nel miele e sulle api. Tali documenti contenevano anche un riassunto di uno studio relativo alla migrazione dell’Imidacloprid nelle piante e alla guttazione, ossia la secrezione di gocce d’acqua da parte di una pianta, nonché due presentazioni.

27 Quanto ai restanti 49 documenti, il CTB ha invece ritenuto che essi non riguardassero «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4. Di conseguenza, l’accesso a questi 49 documenti poteva, secondo il CTB, essere negato sulla base non solo della protezione dei diritti di proprietà intellettuale, ma anche della riservatezza delle informazioni commerciali o industriali. Dopo aver proceduto, conformemente alla menzionata disposizione, alla ponderazione degli interessi in gioco, il CTB ha negato la divulgazione di tali documenti.

28 Tanto la Bijenstichting quanto la Bayer hanno impugnato la decisione del CTB del 18 marzo 2013 dinanzi al giudice del rinvio, il College van Beroep voor het bedrijfsleven (Corte d’appello per il contenzioso amministrativo in materia economica, Paesi Bassi).

29 Al fine di dirimere la controversia di cui è investito, detto giudice si interroga, in particolare, sul rapporto tra, da un lato, i regimi di riservatezza previsti dalle normative specifiche in materia di immissione in commercio dei prodotti fitosanitari e biocidi – ossia, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, le direttive 91/414 e 98/8 nonché il regolamento n. 1107/2009 – e, dall’altro, il regime generale di accesso alle informazioni in materia ambientale disciplinato dalla direttiva 2003/4.

30 In particolare, esso si chiede se, come sostenuto dalla Bijenstichting, la riservatezza delle informazioni richieste da quest’ultima avrebbe dovuto essere riconosciuta dal CTB, su domanda della Bayer, al più tardi al momento della modifica dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti in questione, oppure se, come affermato dal

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CTB, la natura riservata di dette informazioni poteva anche essere riconosciuta in un secondo momento, nell’ambito di un’opposizione della Bayer alle richieste di accesso alle suddette informazioni successivamente presentate dalla Bijenstichting sulla base della direttiva 2003/4, ancorché tali richieste riguardassero informazioni per le quali la Bayer non aveva domandato il trattamento riservato in occasione della procedura di modifica dell’autorizzazione all’immissione in commercio.

31 Infatti, nel primo caso, il CTB avrebbe dovuto accogliere integralmente le richieste di divulgazione presentate dalla Bijenstichting, senza potere, eventualmente, respingere dette richieste in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4. Invece, nel secondo caso, il CTB poteva tener conto delle osservazioni della Bayer relative alla riservatezza delle informazioni e formulate per la prima volta in occasione delle suddette richieste.

32 Peraltro, il giudice del rinvio nutre anche dubbi sull’interpretazione della nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, e si interroga sulla possibilità di includere in tale nozione le informazioni cui la Bijenstichting chiede di accedere.

33 Infatti, in caso affermativo, le richieste di divulgazione presentate da quest’ultima non potevano, conformemente a tale disposizione, essere respinte con la motivazione che tale divulgazione avrebbe arrecato pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali presentate dalla Bayer. In caso negativo, invece, per determinare se le suddette informazioni debbano essere divulgate, occorrerebbe ponderare l’interesse connesso alla riservatezza di dette informazioni con l’interesse pubblico tutelato dalla suddetta divulgazione.

34 In tale contesto, il College van Beroep voor het bedrijfsleven (Corte d’appello per il contenzioso amministrativo in materia economica) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se il disposto dell’articolo 14 della direttiva 91/414, e, rispettivamente, dell’articolo 59 in combinato disposto con l’articolo 63 del regolamento n. 1107/2009 o, rispettivamente, dell’articolo 19 della direttiva 98/8 implichi che si debba prendere una decisione su una richiesta di riservatezza, ai sensi dei citati articoli 14, 63 e 19, presentata dal richiedente di cui ai detti articoli, per ciascuna fonte di informazione, prima o all’atto del rilascio dell’autorizzazione o, rispettivamente, prima o all’atto della modifica dell’autorizzazione, mediante una decisione comunicabile ai terzi interessati.

2) In caso di soluzione affermativa della questione che precede: se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4 debba essere interpretato nel senso che, in mancanza di una decisione come indicato nella questione che precede, il resistente, in quanto autorità nazionale, deve procedere alla divulgazione dell’informazione ambientale richiesta nel caso in cui detta domanda sia presentata dopo il rilascio dell’autorizzazione o, rispettivamente, dopo la sua modifica.

3) Come debba essere interpretata la nozione di “emissioni nell’ambiente”, di cui all’articolo 4, paragrafo 2[, secondo comma], della direttiva 2003/4, in considerazione di quanto esposto al riguardo dalle parti al punto 5.5 [della decisione di rinvio], alla luce del contenuto dei documenti di cui al punto 5.2 [di tale decisione].

4) a) Se i dati che offrono una valutazione dello scarico nell’ambiente di un prodotto, delle sue sostanze attive e di altri elementi a seguito dell’uso del prodotto debbano essere considerati come “informazioni sulle emissioni nell’ambiente”.

b) In caso affermativo, se al riguardo faccia differenza la circostanza che detti dati siano stati ottenuti mediante (semi)sperimentazioni sul campo o mediante studi di altro tipo (come ad esempio studi di laboratorio e di traslocazione).

5) Se possano essere considerati “informazioni sulle emissioni nell’ambiente” studi di laboratorio nei quali l’impostazione è rivolta ad esaminare aspetti isolati in circostanze standardizzate e nel contesto delle quali vengono esclusi molti fattori, come ad esempio le influenze climatiche, e i test vengono sovente effettuati con dosaggi elevati – rispetto all’uso nella pratica.

6) Se a questo riguardo debbano essere compresi tra le “emissioni nell’ambiente” anche i residui derivanti dall’applicazione del prodotto nel test, ad esempio nell’aria o nel terreno, nelle foglie, nel polline o nel nettare di una coltura (che deriva da un seme trattato), nel miele o in organismi non bersaglio.

7) E se ciò valga anche per la misura della dispersione (di sostanze) nell’applicazione del prodotto nel test.

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8) Se dall’espressione “informazioni sulle emissioni nell’ambiente», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma (...), della direttiva [2003/4], consegua che, allorché si configurano emissioni nell’ambiente, deve essere divulgata l’intera fonte di informazioni e non soltanto i dati (di misurazione) da essa eventualmente desumibili.

9) Se, ai fini dell’applicazione dell’eccezione per le informazioni commerciali o industriali, ai sensi del citato articolo 4, paragrafo 2[, primo comma], lettera d), [della direttiva 2003/4] occorra operare una distinzione tra, da un lato, le “emissioni” e, dall’altro, gli “scarichi e altri rilasci nell’ambiente”, ai sensi dell’articolo 2, punto 1, lettera b), [di tale direttiva]».

Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

35 In seguito alla pronuncia delle conclusioni dell’avvocato generale il 7 aprile 2016, la Bayer, con atto depositato nella cancelleria della Corte il 9 maggio 2016, ha chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento.

36 A sostegno di tale domanda, la Bayer fa in sostanza valere, anzitutto, che spetta al solo giudice nazionale determinare se le informazioni discusse nel procedimento principale e oggetto delle questioni pregiudiziali dalla quarta all’ottava costituiscano «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4. Tuttavia, se la Corte dovesse, seguendo l’esempio dell’avvocato generale, decidere di prendere posizione su tali questioni, la Bayer chiede la riapertura della fase orale affinché la Corte possa prendere conoscenza dei documenti ai quali la Bijenstichting domanda l’accesso e determinare, su tale base, se le informazioni contenute in detti documenti siano «informazioni sulle emissioni nell’ambiente». La Bayer ritiene, inoltre, che le risposte alle questioni pregiudiziali suggerite dall’avvocato generale non tengano conto del sistema completo ed esaustivo di divulgazione dei documenti istituito dalle direttive 91/414 e 98/8 nonché dal regolamento n. 1107/2009. Infine, nel caso in cui la Corte ritenesse che le informazioni discusse nel procedimento principale riguardino emissioni nell’ambiente, la Bayer chiede altresì alla Corte di esaminare la questione delle precise modalità di accesso a tali informazioni, e in particolare se una divulgazione in una sala di lettura sia accettabile.

37 A tale riguardo, si deve anzitutto rilevare, da un lato, che né lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea né il suo regolamento di procedura prevedono la facoltà per le parti di depositare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (v., in particolare, ordinanza del 4 febbraio 2000, Emesa Sugar, C-17/98, EU:C:2000:69, punto 2, e sentenza del 6 settembre 2012, Döhler Neuenkirchen, C-262/10, EU:C:2012:559, punto 29).

38 Dall’altro, occorre ricordare che la Corte può, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, disporre la riapertura della fase orale del procedimento, conformemente all’articolo 83 del suo regolamento di procedura, in particolare se considera di non essere sufficientemente edotta o anche qualora la causa debba essere risolta sulla base di un argomento che non è stato oggetto di dibattito tra le parti o gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (v., in particolare, sentenza del 28 aprile 2016, Borealis Polyolefine e a., C-191/14, C-192/14, C-295/14, C-389/14 e da C-391/14 a C-393/14, EU:C:2016:311, punto 40).

39 Orbene, nel caso di specie, si deve rilevare che la domanda di riapertura della fase orale presentata dalla Bayer è essenzialmente volta a rispondere alle conclusioni dell’avvocato generale. Inoltre, la Corte ritiene di essere sufficientemente edotta per statuire e la presente causa non necessita di essere risolta sulla base di argomenti che non sarebbero stati oggetto di dibattito tra le parti.

40 Di conseguenza, questa domanda deve essere respinta.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulle prime due questioni

41 Con le sue prime due questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4, in combinato disposto con l’articolo 14 della direttiva 91/414, con l’articolo 19 della direttiva 98/8 e con gli articoli 33, paragrafo 4, e 63 del regolamento n. 1107/2009, debba essere interpretato nel senso che, se il richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o biocida non ha chiesto, nel corso del procedimento previsto per il conseguimento di detta autorizzazione, il trattamento riservato delle informazioni fornite nell’ambito di detto procedimento, l’autorità competente, alla quale un terzo presenti, dopo la chiusura del procedimento medesimo, una domanda di accesso a tali informazioni sulla base della direttiva 2003/4, sarebbe tenuta ad accoglierla, senza poter esaminare l’opposizione del suddetto richiedente a tale

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domanda di accesso e, eventualmente, respingerla con la motivazione che la divulgazione delle informazioni in questione arrecherebbe pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

42 Al fine di rispondere a tali questioni, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 14 della direttiva 91/414, all’articolo 19 della direttiva 98/8 e agli articoli 33, paragrafo 4, e 63 del regolamento n. 1107/2009, il richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o biocida può, nell’ambito del procedimento previsto per il conseguimento di detta autorizzazione, chiedere il trattamento riservato delle informazioni che costituiscono un segreto industriale o commerciale o che ritiene critiche dal punto di vista commerciale e la cui diffusione potrebbe danneggiarlo sul piano industriale o commerciale.

43 Tuttavia, l’articolo 14, primo comma, della direttiva 91/414, l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 98/8 e l’articolo 63 del regolamento n. 1107/2009 prevedono altresì che dette disposizioni si applichino fatta salva la direttiva 2003/4.

44 Risulta, quindi, che il legislatore dell’Unione ha voluto assoggettare le richieste di accesso dei terzi alle informazioni contenute nei fascicoli riguardanti le domande di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari o biocidi, e per le quali può essere chiesto un trattamento riservato in applicazione delle summenzionate norme, alle disposizioni generali della direttiva 2003/4 (v., a contrario, sentenza del 22 dicembre 2010, Ville de Lyon, C-524/09, EU:C:2010:822, punto 40).

45 Orbene, l’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva autorizza gli Stati membri a prevedere che una richiesta di accesso alle informazioni ambientali sia respinta qualora la divulgazione di tali informazioni arrechi pregiudizio a uno degli interessi contemplati in tale articolo, in particolare alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

46 Tale disposizione non subordina questa possibilità alla presentazione di una domanda di trattamento riservato precedente alla proposizione della richiesta di divulgazione.

47 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Bijenstichting, l’autorità competente, alla quale venga presentata, sulla base della direttiva 2003/4, una richiesta di accesso a informazioni fornite dal richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o biocida nell’ambito del procedimento previsto per il conseguimento di detta autorizzazione, non è tenuta ad accoglierla e a divulgare le informazioni richieste a solo motivo del fatto che detto richiedente non ha chiesto il trattamento riservato di tali informazioni in precedenza, nell’ambito del suddetto procedimento.

48 Così, detta autorità deve poter esaminare, eventualmente sulla base dell’opposizione del suddetto richiedente, se tale divulgazione non rischi di arrecare pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali e se tale domanda non debba essere respinta in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva in parola.

49 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle prime due questioni che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4 dev’essere interpretato nel senso che la circostanza che il richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o biocida non abbia, nel corso del procedimento previsto per il conseguimento di detta autorizzazione, chiesto il trattamento riservato delle informazioni fornite nell’ambito di detto procedimento sulla base dell’articolo 14 della direttiva 91/414, dell’articolo 19 della direttiva 98/8 o degli articoli 33, paragrafo 4, e 63 del regolamento n. 1107/2009 non osta a che l’autorità competente, alla quale un terzo presenti, dopo la chiusura del procedimento medesimo, una domanda di accesso a tali informazioni sulla base della direttiva 2003/4, esamini l’opposizione del suddetto richiedente a tale domanda di accesso e, eventualmente, la respinga in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della suddetta direttiva con la motivazione che la divulgazione delle informazioni in questione arrecherebbe pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

Sulle questioni dalla terza alla settima e nona

50 Con le sue questioni dalla terza alla settima e nona, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se rientrino nella nozione di «emissioni nell’ambiente», a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, i rilasci di prodotti fitosanitari o biocidi, o delle sostanze contenute in tali prodotti, nell’ambiente e, in caso affermativo, se debbano essere considerate «informazioni sulle emissioni nell’ambiente», ai sensi di tale disposizione, i dati relativi alla valutazione di detti rilasci nell’ambiente e agli effetti dei rilasci medesimi, compresi i dati ottenuti da studi realizzati in tutto o in parte sul campo nonché quelli ricavati da studi

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di laboratorio o di traslocazione, le informazioni sui residui nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto considerato e gli studi riguardanti la misura della dispersione della sostanza nel corso di tale applicazione.

51 Anche se spetta al giudice del rinvio stabilire se i vari documenti di cui, nel caso di specie, la Bijenstichting chiede l’accesso rientrino nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, spetta tuttavia alla Corte indicarle gli elementi oggettivi che devono presiedere a una valutazione siffatta.

52 A tale riguardo, occorre in limine sottolineare che, poiché tale direttiva non definisce né la nozione di «emissioni nell’ambiente» né quella di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente», l’interpretazione di queste nozioni va ricercata tenendo conto del contesto dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della suddetta direttiva e dell’obiettivo perseguito dalla stessa.

53 Orbene, da un lato, come confermato dal considerando 5 della direttiva 2003/4, adottando tale direttiva il legislatore dell’Unione ha inteso garantire la compatibilità del diritto dell’Unione con la convenzione di Aarhus in vista della sua conclusione da parte della Comunità, prevedendo un regime generale volto a garantire che qualsiasi persona fisica o giuridica di uno Stato membro abbia il diritto di accedere alle informazioni ambientali detenute dalla pubblica amministrazione o per conto di essa, senza che tale persona sia obbligata a far valere un interesse (v., in particolare, sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley, C-279/12, EU:C:2013:853, punto 36).

54 Ne discende che, ai fini dell’interpretazione della direttiva 2003/4, occorre tenere conto del testo e dell’obiettivo della convenzione di Aarhus, che tale direttiva mira ad attuare nel diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley, C-279/12, EU:C:2013:853, punto 37) e, in particolare, dell’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), di tale convenzione, ai sensi del quale la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali non può ostare alla divulgazione di informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente.

55 Dall’altro, secondo costante giurisprudenza della Corte, la direttiva 2003/4 persegue l’obiettivo di garantire l’accesso, in linea di principio, all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse e di ottenere, come emerge dal considerando 9 e dall’articolo 1 di tale direttiva, la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico di detta informazione (v., in particolare, sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley, C-279/12, EU:C:2013:853, punto 66).

56 Ne consegue che, come espressamente previsto dall’articolo 4, paragrafo 4, secondo comma, della convenzione di Aarhus nonché dal considerando 16 e dall’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, la divulgazione dell’informazione dev’essere la regola generale, e le ragioni di rifiuto previste in tali disposizioni devono essere interpretate in maniera restrittiva (v., in particolare, sentenze del 16 dicembre 2010, Stichting Natuur en Milieu e a., C-266/09, EU:C:2010:779, punto 52, nonché del 28 luglio 2011, Office of Communications, C-71/10, EU:C:2011:525, punto 22).

57 Orbene, prevedendo che la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali non possa ostare alla divulgazione delle «informazioni sulle emissioni nell’ambiente», l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 consente un’attuazione concreta di tale regola e del principio dell’accesso più ampio possibile alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche o per conto di esse.

58 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto, in particolare, dalla Bayer, dal governo tedesco e dalla Commissione europea, non si deve optare per un’interpretazione restrittiva delle nozioni di «emissioni nell’ambiente» e di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4.

59 È alla luce di tali considerazioni che occorre rispondere alle questioni sollevate.

– Sulla nozione di «emissioni nell’ambiente»

60 Al fine di interpretare la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, occorre determinare se, come sostenuto segnatamente dalla Bayer, dal governo tedesco e dalla Commissione, tale nozione debba essere distinta da quelle di «scarichi» e di «rilasci» e se debba essere limitata alle emissioni previste dalla direttiva 2010/75, ossia alle emissioni provenienti da determinati impianti industriali ivi definiti, oppure se tale nozione abbracci anche i rilasci nell’ambiente di prodotti o di sostanze quali i prodotti fitosanitari o biocidi e le sostanze contenute in tali prodotti.

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61 Quanto, in primo luogo, alla necessità o meno di distinguere la nozione di «emissioni» da quelle di «scarichi» e di «rilasci», occorre sottolineare come l’articolo 2, punto 1, lettera b), della direttiva 2003/4, che elenca i fattori che possono rientrare nella nozione di «informazione ambientale», sembri in effetti, a prima vista, porre una distinzione siffatta.

62 Tuttavia, da un lato, tale distinzione è estranea alla convenzione di Aarhus, che si limita a prevedere, all’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), che la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali non può ostare alla divulgazione delle «informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente».

63 Dall’altro, come illustrato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, una distinzione tra emissioni, scarichi e altri rilasci è irrilevante rispetto all’obiettivo di divulgazione delle informazioni ambientali perseguito dalla direttiva 2003/4, e risulterebbe artificiosa.

64 Infatti, tanto le emissioni di gas o di sostanze nell’atmosfera quanto gli altri rilasci o scarichi, quali i rilasci di sostanze, preparati, organismi, microorganismi, vibrazioni, calore o rumore nell’ambiente, in particolare nell’aria, nell’acqua e nel terreno, possono influire su questi differenti elementi dell’ambiente.

65 Inoltre, la nozione di «emissioni», di «scarichi» e di «rilasci» coincidono in ampia misura, come testimoniato dall’utilizzo dell’espressione «altri rilasci» all’articolo 2, punto 1, lettera b), di tale direttiva, da cui risulta che le emissioni e gli scarichi costituiscono anch’essi rilasci nell’ambiente.

66 Così, numerosi atti dell’Unione, quali la direttiva 2010/75, ma anche la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU 2004, L 143, pag. 56) e il regolamento (CE) n. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006, relativo all’istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti e che modifica le direttive 91/689/CEE e 96/61/CE del Consiglio (GU 2006, L 33, pag. 1), assimilano in ampia misura le nozioni di «emissioni», di «rilasci» e di «scarichi».

67 Ne consegue che, ai fini dell’interpretazione della nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, non occorre distinguere tale nozione da quelle di «scarichi» e di «rilasci» nell’ambiente.

68 In secondo luogo, occorre altresì determinare se, come sostenuto dalla Bayer, dal governo tedesco e dalla Commissione, la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 dev’essere limitata a quelle contemplate dalla direttiva 2010/75 – ossia, conformemente all’articolo 3, punto 4, della stessa, agli scarichi diretti o indiretti, nell’aria, nell’acqua o nel terreno, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore da fonti puntiformi o diffuse di determinate installazioni industriali –, con l’esclusione di emissioni provenienti da altre fonti, come quelle risultanti dalla polverizzazione di un prodotto nell’aria o dalla sua applicazione sulle piante, nell’acqua o sul terreno.

69 È pur vero che, nella sua versione dell’anno 2000, la guida per l’applicazione della convenzione di Aarhus proponeva, per definire la nozione di «emissioni», di ricorrere alla definizione di tale nozione fornita all’articolo 2, punto 5, della direttiva 96/61, ripresa in modo identico all’articolo 3, punto 4, della direttiva 2010/75, e, nella sua versione dell’anno 2014, fa ora riferimento alla definizione prevista da quest’ultima disposizione.

70 Tuttavia, in base a costante giurisprudenza della Corte, se è vero che tale guida può essere considerata un documento esplicativo che può eventualmente essere preso in considerazione, tra altri elementi rilevanti, al fine di interpretare la convenzione di Aarhus, le analisi che essa contiene non hanno forza vincolante e sono prive della portata normativa propria delle disposizioni di tale convenzione (v., in particolare, sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley, C-279/12, EU:C:2013:853, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

71 Orbene, da un lato, nessun elemento, né nella convenzione di Aarhus né nella direttiva 2003/4, consente di ritenere che la nozione di «emissioni nell’ambiente» debba essere limitata a quelle provenienti da determinati impianti industriali.

72 Dall’altro, una limitazione siffatta sarebbe contraria al tenore letterale stesso dell’articolo 4, paragrafo 4, primo comma, lettera d), di tale convenzione. Infatti, questa disposizione prevede che le informazioni sulle emissioni rilevanti ai fini della tutela dell’ambiente devono essere divulgate. Orbene, informazioni riguardanti emissioni provenienti da

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fonti diverse dagli impianti industriali, come quelle risultanti dall’applicazione di prodotti fitosanitari o biocidi, sono rilevanti per la tutela dell’ambiente tanto quanto le informazioni sulle emissioni di origine industriale.

73 Inoltre, una limitazione della nozione di «emissioni nell’ambiente», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, a quelle provenienti da determinati impianti industriali sarebbe in contrasto con l’obiettivo della divulgazione più ampia possibile delle informazioni ambientali perseguito da tale direttiva.

74 Di conseguenza, un’interpretazione siffatta di tale nozione non può essere accolta.

75 Dalle suesposte considerazioni consegue che non si deve né distinguere la nozione di «emissioni nell’ambiente» da quella di «scarichi» e di «rilasci», né limitare tale nozione alle emissioni contemplate dalla direttiva 2010/75, con l’esclusione dei rilasci di prodotti o di sostanze nell’ambiente provenienti da fonti diverse dagli impianti industriali.

76 Di conseguenza, la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 non può escludere i rilasci nell’ambiente di prodotti e di sostanze quali i prodotti fitosanitari o biocidi e le sostanze contenute in tali prodotti.

77 Ciò premesso, detta nozione deve tuttavia essere circoscritta alle emissioni non ipotetiche, ossia alle emissioni effettive o prevedibili del prodotto o della sostanza in questione in condizioni normali o realistiche di utilizzo.

78 A tale riguardo, sebbene la sola immissione in commercio di un prodotto non basti, in linea generale, per ritenere che tale prodotto sarà necessariamente rilasciato nell’ambiente e che le informazioni che lo riguardano siano relative a «emissioni nell’ambiente», diverso è il caso di un prodotto, come un prodotto fitosanitario o biocida, che, nell’ambito di un utilizzo normale, è destinato a essere liberato nell’ambiente in ragione della sua stessa funzione. Così, le emissioni prevedibili di tale prodotto nell’ambiente non sono, in quest’ultimo caso, ipotetiche.

79 Ciò considerato, rientrano nella nozione di «emissioni nell’ambiente» le emissioni che sono effettivamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto o della sostanza in questione, nonché le emissioni prevedibili di tale prodotto o di tale sostanza nell’ambiente in condizioni normali o realistiche di utilizzo di detto prodotto o di detta sostanza, corrispondenti a quelle per le quali l’autorizzazione all’immissione in commercio è concessa e prevalenti nella zona in cui il prodotto è destinato a essere utilizzato.

80 Per contro, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 82 e 83 delle sue conclusioni, tale nozione non può includere le emissioni meramente ipotetiche. Infatti, dal combinato disposto dell’articolo 1 e dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/4 emerge che l’obiettivo di quest’ultima è di garantire il diritto di accesso alle informazioni riguardanti fattori, come le emissioni, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente, in particolare sull’aria, sull’acqua e sul suolo. Orbene, tale ipotesi non ricorre, per definizione, nel caso di emissioni meramente ipotetiche.

81 Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, la nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 dev’essere interpretata nel senso che include, in particolare, il rilascio nell’ambiente di prodotti o di sostanze quali i prodotti fitosanitari o biocidi e le sostanze contenute in tali prodotti, purché tale rilascio sia effettivo o prevedibile in condizioni normali o realistiche di utilizzo.

– Sulla nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente»

82 Per quanto riguarda la possibilità di far rientrare le varie categorie di informazioni indicate al punto 50 della presente sentenza nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, occorre, in primo luogo, verificare se, come sostenuto dal governo dei Paesi Bassi, tale nozione includa unicamente le informazioni sulle emissioni del prodotto fitosanitario o biocida considerato – o delle sostanze contenute nel prodotto medesimo – in quanto tali, ossia le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo di dette emissioni, o se in questa nozione rientrino pure i dati relativi agli effetti di tali emissioni sull’ambiente.

83 A tale riguardo, occorre sottolineare, con riferimento alla formulazione di tale disposizione, che questa varia a seconda delle versioni linguistiche. In tal senso, mentre la versione francese della suddetta disposizione fa riferimento alle «informations relatives à des émissions dans l’environnement», un certo numero di altre versioni linguistiche utilizza l’espressione «informazioni su emissioni nell’ambiente». In particolare, la versione in lingua tedesca rinvia alle

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«Informationen über Emissionen in die Umwelt», la versione in lingua italiana alle «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» e la versione in lingua inglese alle «information on emissions into the environment».

84 Secondo costante giurisprudenza della Corte, la necessità di un’interpretazione uniforme di una disposizione di diritto dell’Unione richiede che, in caso di divergenza tra le sue varie versioni linguistiche, la disposizione di cui trattasi sia interpretata in funzione del contesto e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (v., in particolare, sentenza del 15 ottobre 2015, Grupo Itevelesa e a., C-168/14, EU:C:2015:685, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

85 Come illustrato al punto 55 della presente sentenza, la direttiva 2003/4 persegue l’obiettivo di garantire l’accesso, in linea di principio, all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per loro conto e di ottenere la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico di detta informazione. Come indicato al considerando 1 di tale direttiva, un accesso e una diffusione siffatti hanno lo scopo, in particolare, di contribuire a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali e a una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale (v., in particolare, sentenza del 28 luglio 2011, Office of Communications, C-71/10, EU:C:2011:525, punto 26).

86 Orbene, a tal fine, il pubblico deve avere accesso non solo alle informazioni sulle emissioni in quanto tali, ma anche a quelle riguardanti le conseguenze a termine più o meno lungo di dette emissioni sullo stato dell’ambiente, come gli effetti delle emissioni sugli organismi non bersaglio. Infatti, l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni relative alle emissioni nell’ambiente è appunto non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche, come esposto dall’avvocato generale al paragrafo 86 delle sue conclusioni, di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione.

87 Ne consegue che la nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, dev’essere interpretata nel senso che include non solo le informazioni sulle emissioni in quanto tali, ossia le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo di tali emissioni, ma anche i dati relativi agli effetti a termine più o meno lungo di dette emissioni sull’ambiente.

88 Ciò rilevato, occorre, in secondo luogo, determinare se la circostanza che i dati di cui trattasi provengano da studi realizzati in tutto o in parte sul campo, da studi di laboratorio o, ancora, da studi di traslocazione – ossia studi relativi all’analisi della migrazione del prodotto o della sostanza in questione nella pianta – abbia un’incidenza quanto alla qualificazione come «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 e, in particolare, se dati ricavati da studi di laboratorio possano rientrare in tale nozione.

89 In risposta a tale questione, occorre considerare che questa circostanza non è di per sé determinante. Infatti, ciò che rileva non è tanto che i dati di cui trattasi provengano da studi realizzati in tutto o in parte sul campo o in laboratorio, o ancora dall’esame della traslocazione, ma che i suddetti studi siano intesi a valutare «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 – ossia, come illustrato ai punti 77 e 78 della presente sentenza, le emissioni effettive o prevedibili del prodotto o della sostanza in questione nell’ambiente in circostanze rappresentative delle condizioni normali o realistiche di utilizzo di tale prodotto o di tale sostanza –, o ad analizzare gli effetti di queste emissioni.

90 Così, non costituirebbero, in particolare, «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» dati ricavati da prove volte a studiare gli effetti dell’utilizzo di una dose del prodotto o della sostanza di cui trattasi nettamente superiore alla dose massima per la quale è concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio e che sarà utilizzata in pratica, o in una concentrazione molto più elevata, poiché simili dati si riferiscono a emissioni non prevedibili in condizioni normali o realistiche di utilizzo.

91 Per contro, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, rientrano nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» studi volti a determinare la tossicità, gli effetti e altri aspetti di un prodotto o di una sostanza nelle condizioni realistiche più sfavorevoli che possano ragionevolmente presentarsi, nonché studi realizzati in condizioni il più possibile simili alle normali pratiche agricole e alle condizioni prevalenti nella zona in cui detto prodotto o detta sostanza saranno utilizzati.

92 Quanto, in terzo luogo, alla possibilità di qualificare le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto considerato e gli studi riguardanti la misura della dispersione della sostanza nel corso di tale applicazione come «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4, occorre ricordare, da un lato, che, conformemente all’articolo 2, punto 2, della direttiva

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91/414, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), della direttiva 98/8 e all’articolo 3, punto 1, del regolamento n. 1107/2009, i residui sono le sostanze, compresi i loro metaboliti e i prodotti risultanti dalla loro degradazione o reazione, presenti in particolare nei o sui vegetali o altrove nell’ambiente e derivanti dall’impiego di un prodotto fitosanitario o biocida.

93 Così, la presenza di residui nell’ambiente è causata dalle emissioni nell’ambiente del prodotto considerato, o delle sostanze contenute in tale prodotto. Si tratta quindi di una conseguenza di dette emissioni. Così è non solo nel caso del residuo delle sostanze polverizzate nell’aria o depositate dal prodotto considerato sulle piante, sul terreno o, ancora, sugli organismi non bersaglio, ma anche nel caso dei metaboliti di tali sostanze nonché dei prodotti risultanti dalla loro degradazione o reazione. Infatti, sebbene i metaboliti derivino dalla trasformazione delle sostanze contenute nel prodotto di cui trattasi, essi sono una conseguenza dell’emissione di tale prodotto e di tali sostanze nell’ambiente.

94 Dall’altro, occorre rilevare che la dispersione è il trasporto, per via aerea, di gocce o di vapore dei prodotti fitosanitari o biocidi al di fuori della zona oggetto del trattamento. Si tratta quindi, anche in questo caso, di una conseguenza dell’emissione di tali prodotti o di tali sostanze nell’ambiente.

95 Ne deriva che le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto interessato e gli studi sulla misura della dispersione della sostanza nel corso di tale applicazione rientrano nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4.

96 Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere che rientrino nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo delle «emissioni nell’ambiente» dei prodotti fitosanitari e biocidi e delle sostanze contenute in tali prodotti, nonché i dati relativi agli effetti, a termine più o meno lungo, di dette emissioni sull’ambiente, in particolare le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto interessato e gli studi sulla misura della dispersione di tale sostanza nel corso di detta applicazione, a prescindere dal fatto che questi dati siano ricavati da studi realizzati in tutto o in parte sul campo, da studi di laboratorio o da studi di traslocazione.

97 Del resto, occorre sottolineare che, contrariamente a quanto affermato, in sostanza, dalla Bayer e dal governo tedesco, una simile interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 non è in contrasto né con gli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), relativi alla libertà di impresa e al diritto di proprietà, né con l’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo TRIPS, che garantisce la riservatezza dei dati non divulgati presentati dal richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari o chimici. Essa non priva neppure di effetto utile l’articolo 63 del regolamento n. 1107/2009, il quale, al paragrafo 2, elenca i dati la cui divulgazione si presume, di norma, pregiudizievole per la tutela, in particolare, degli interessi commerciali e per i quali chiunque può, conformemente al paragrafo 1 del medesimo articolo, chiedere un trattamento riservato.

98 Per quanto riguarda, da una parte, gli articoli 16 e 17 della Carta e l’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo TRIPS, occorre infatti ricordare che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, i diritti garantiti dalla stessa possono conoscere determinate limitazioni, qualora queste ultime siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione. Inoltre, l’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo TRIPS consente la divulgazione dei dati presentati dal richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o chimico qualora essa sia necessaria a tutelare il pubblico.

99 Orbene, nell’ambito di un bilanciamento tra i diritti garantiti dagli articoli 16 e 17 della Carta nonché dall’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo TRIPS, da un lato, e gli obiettivi di tutela dell’ambiente e di divulgazione più ampia possibile delle informazioni ambientali, dall’altro, il legislatore dell’Unione, sulla base del margine discrezionale di cui dispone, ha ritenuto necessario, per garantire la realizzazione di tali obiettivi, prevedere che una richiesta di accesso riguardante «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» non potesse, considerata la pertinenza e l’importanza di queste informazioni per la tutela dell’ambiente, essere respinta con la motivazione che la divulgazione delle stesse arrecherebbe pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

100 A tale riguardo, l’interpretazione della nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» risultante dal punto 96 della presente sentenza non comporta affatto che l’insieme dei dati contenuti nei fascicoli di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti fitosanitari o biocidi, in particolare l’insieme dei dati ricavati dagli studi realizzati per il conseguimento di tale autorizzazione, rientri in detta nozione e debba essere sempre divulgato. Infatti, solo i dati riferiti a «emissioni nell’ambiente» sono inclusi nella suddetta nozione, il che esclude, in particolare, non solo le informazioni che non riguardano le emissioni del prodotto considerato nell’ambiente, ma anche, come emerge

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dai punti da 77 a 80 della presente sentenza, i dati correlati a emissioni ipotetiche, ossia emissioni non effettive o prevedibili in circostanze rappresentative delle condizioni normali o realistiche di utilizzo. Tale interpretazione non determina, pertanto, una lesione sproporzionata della tutela dei diritti garantiti dagli articoli 16 e 17 della Carta e dall’articolo 39, paragrafo 3, dell’accordo TRIPS.

101 Quanto, d’altra parte, all’articolo 63 del regolamento n. 1107/2009, occorre ricordare che, come illustrato al punto 43 della presente sentenza, tale articolo si applica facendo salva la direttiva 2003/4. Così, da questo articolo non deriva affatto che i dati ivi menzionati non possano essere qualificati come «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» o che tali dati non possano mai essere divulgati in applicazione di tale direttiva.

102 Inoltre, si deve sottolineare che l’interpretazione di tale nozione risultante dal punto 96 della presente sentenza non priva il suddetto articolo 63 del suo effetto utile. Infatti, la presunzione posta ddal paragrafo 2 di detto articolo consente all’autorità competente di ritenere che le informazioni fornite dal richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio rientranti in detta disposizione siano in linea di principio riservate, e non possano essere messe a disposizione del pubblico ove non venga presentata alcuna domanda di accesso a tali informazioni sulla base della direttiva 2003/4. Tale presunzione garantisce altresì a detto richiedente che, in caso di presentazione di una simile domanda, l’autorità competente potrà divulgare dette informazioni solamente dopo aver determinato, per ogni singola informazione, se queste siano relative a emissioni nell’ambiente o se un altro interesse pubblico prevalente giustifichi tale divulgazione.

– Conclusione

103 Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alle questioni dalla terza alla settima e nona che l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 deve essere interpretato nel senso che:

– rientra nella nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi di tale disposizione il rilascio di prodotti o di sostanze, quali i prodotti fitosanitari o biocidi e le sostanze contenute in tali prodotti, nell’ambiente, purché tale rilascio sia effettivo o prevedibile in condizioni normali o realistiche di utilizzo;

– rientrano nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi della suddetta disposizione le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo delle «emissioni nell’ambiente» di detti prodotti o sostanze, nonché i dati relativi agli effetti, a termine più o meno lungo, di dette emissioni sull’ambiente, in particolare le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto interessato e gli studi sulla misura della dispersione di tale sostanza nel corso di detta applicazione, a prescindere dal fatto che questi dati siano ricavati da studi realizzati in tutto o in parte sul campo, da studi di laboratorio o da studi di traslocazione.

Sull’ottava questione

104 Con la sua ottava questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 debba essere interpretato nel senso che, in caso di richiesta di accesso a informazioni sulle emissioni nell’ambiente, la fonte di tali informazioni dev’essere divulgata integralmente, oppure nei limiti dei dati rilevanti che possono esserne estratti.

105 Da tale disposizione risulta che i motivi indicati all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettere a), d) e da f) a h), della direttiva 2003/4 non possono essere opposti a una richiesta di accesso a informazioni ambientali, nella misura in cui detta richiesta riguardi informazioni sulle emissioni nell’ambiente. Ciò considerato, qualora la divulgazione delle informazioni richieste arrechi pregiudizio a uno degli interessi contemplati da tale disposizione, devono essere divulgati solo i dati pertinenti che possono essere estratti dalla fonte di informazione riguardanti le emissioni nell’ambiente, ove sia possibile dissociare tali dati dalle altre informazioni contenute nella suddetta fonte, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

106 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere all’ottava questione che l’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 dev’essere interpretato nel senso che, in caso di richiesta di accesso a informazioni sulle emissioni nell’ambiente la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio a uno degli interessi contemplati all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettere a), d), e da f) a h), di tale direttiva, devono essere divulgati solo i dati pertinenti che possono essere estratti dalla fonte di informazione riguardanti le emissioni nell’ambiente, ove sia possibile dissociare tali dati dalle altre informazioni contenute nella suddetta fonte, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

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Sulle spese

107 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1) L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, dev’essere interpretato nel senso che la circostanza che il richiedente un’autorizzazione all’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario o biocida non abbia, nel corso del procedimento previsto per il conseguimento di detta autorizzazione, chiesto il trattamento riservato delle informazioni presentate nell’ambito di detto procedimento sulla base dell’articolo 14 della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, dell’articolo 19 della direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi, o degli articoli 33, paragrafo 4, e 63 del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE, non osta a che l’autorità competente, alla quale un terzo presenti, dopo la chiusura del procedimento medesimo, una domanda di accesso a tali informazioni sulla base della direttiva 2003/4, esamini l’opposizione di detto richiedente a tale domanda di accesso e, eventualmente, la respinga in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della suddetta direttiva con la motivazione che la divulgazione delle informazioni in questione arrecherebbe pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

2) L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 dev’essere interpretato nel senso che:

– rientra nella nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi di tale disposizione il rilascio di prodotti o di sostanze, quali i prodotti fitosanitari o biocidi e le sostanze contenute in tali prodotti, nell’ambiente, purché tale rilascio sia effettivo o prevedibile in condizioni normali o realistiche di utilizzo;

– rientrano nella nozione di «informazioni sulle emissioni nell’ambiente» ai sensi della suddetta disposizione le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo delle «emissioni nell’ambiente» di detti prodotti o sostanze, nonché i dati relativi agli effetti, a termine più o meno lungo, di dette emissioni sull’ambiente, in particolare le informazioni relative ai residui presenti nell’ambiente dopo l’applicazione del prodotto interessato e gli studi sulla misura della dispersione di tale sostanza nel corso di detta applicazione, a prescindere dal fatto che questi dati siano ricavati da studi realizzati in tutto o in parte sul campo, da studi di laboratorio o da studi di traslocazione.

3) L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 dev’essere interpretato nel senso che, in caso di richiesta di accesso a informazioni sulle emissioni nell’ambiente la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio a uno degli interessi contemplati all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, lettere a), d), e da f) a h), di tale direttiva, devono essere divulgati solo i dati pertinenti che possono essere estratti dalla fonte di informazione riguardanti le emissioni nell’ambiente, ove sia possibile dissociare tali dati dalle altre informazioni contenute nella suddetta fonte, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

1* Lingua processuale: il neerlandese.