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ISSN 1122-0147 ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXVII - N. 4/2017 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina

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ISSN 1122-0147

ASSOCIAZIONEITALIANAPER L’ARBITRATO

Pubblicazione trimestraleAnno XXVII - N. 4/2017Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

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INDICE

DOTTRINA

JACQUES VAN COMPERNOLLE, La Convenzione Europea dei Diritti del-l’Uomo e l’arbitrato.................................................................................. 663

PIERO BERNARNDINI, Investimento straniero e arbitrato ................................ 673MARTINO ZULBERTI, Tutela giurisdizionale dei diritti degli arbitri al com-

penso ed al rimborso delle spese ............................................................ 689

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) Italiana

Sentenze annotate:

Cass. Sez. I 22 giugno 2016, n. 12950, con nota di A. VILLA, Proroga deltermine per la pronuncia del lodo e dinamiche dell’errorerevocatorio................................................................................................. 721

Cass. Sez. VI 13 ottobre 2016, n. 20673, con nota di P. LICCI, L’interpre-tazione della convenzione arbitrale in materia non contrattuale ...... 733

Cass. Sez. II 9 ottobre 2017, n. 23550, con nota di V. AMENDOLAGINE,Nullità della clausola compromissoria statutaria con nomina binariae ius superveniens .................................................................................... 751

Trib. Frosinone 19 settembre 2017, con nota di A. BRIGUGLIO, Per una(non assoluta ma) ragionevole compatibilità fra tutela cautelareinnanzi al giudice italiano e convenzione per arbitrato estero........... 759

RASSEGNE E COMMENTI

DIEGO CORAPI, La provincia dell’arbitrato societario nel diritto compa-rato. Una postilla sul diritto tedesco ...................................................... 787

ANDREA MENGALI, Libertà delle forme e termini perentori nello svolgi-mento del processo arbitrale ................................................................... 791

TOMMASO BUZZELLI, L’imparzialità nei Tribunali ICSID fra rimedio pre-ventivo ed impugnazione della decisione .............................................. 809

III

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomoe l’arbitrato (*)

JACQUES VAN COMPERNOLLE (**)

I. Premessa. — II. L’applicabilità all’arbitrato dell’articolo 6, § 1º, Convenzionedei diritti dell’uomo. — A. Le perplessità e i termini del dibattito. — B. Lagiurisprudenza della Corte europea di Strasburgo. — III. Conseguenze dell’ap-plicazione dell’art. 6 della Convenzione CEDU all’arbitrato. — A. La responsa-bilità dello Stato dinanzi la Corte europea. — B. L’esclusione ad opera delle partidell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale. — C. La rinuncia alla pubblicità.— D. Il diritto al giudice in materia arbitrale. — E. L’imparzialità dell’arbitro. —IV. Conclusione.

I. – 1. Al giorno d’oggi l’arbitrato ha acquistato un notevole rilievo.Tale istituto ricopre un ruolo centrale nella risoluzione delle controversiecommerciali e in particolare nell’ambito degli scambi e del commerciointernazionale. La diffusione dell’arbitrato è stata accompagnata — tantoin Belgio quanto in Francia — da recenti ed importanti interventi legisla-tivi, volti principalmente a favorire il ricorso a tale strumento negoziale dicomposizione delle liti, attraverso misure di modernizzazione e di poten-ziamento dell’efficacia del processo arbitrale (1).

2. Secondo il diritto belga — e analoga soluzione si rinviene neldiritto francese — le norme della Convenzione europea dei diritti del-l’uomo hanno un effetto diretto nell’ordinamento giuridico interno e sicaratterizzano per il fatto di prevalere sulle disposizioni legislative didiritto interno con esse incompatibili. In questa prospettiva, la problema-

(*) L’articolo costituisce la traduzione (ad opera di Federica Porcelli) della relazionetenuta nell’ambito del seminario di studio su « L’applicabilità del due process all’arbitrato »,svoltosi il 22 novembre 2017 presso la sede dell’AIA a Roma.

(**) Professore emerito nella Università Cattolica di Lovanio.(1) Si veda, per quanto concerne la Francia, il decreto del 13 gennaio 2011, che ha

modificato in profondità il libro IV del codice di procedura civile dedicato all’arbitrato — artt.da 1442 a 1527; si veda, per quanto concerne il Belgio, la legge del 24 giugno 2013, che hasostituito integralmente, nella parte del codice dedicata all’arbitrato (ossia la sesta), le vecchiedisposizioni legislative con nuove previsioni, le quali hanno principalmente l’obiettivo diallineare il diritto belga dell’arbitrato al modello del regolamento dell’arbitrato della CNUDCI.

DOTTRINA

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tica dei rapporti tra la Convenzione europea e l’arbitrato si articolaattorno a due questioni: la prima relativa all’esigenza di stabilire se laConvenzione europea dei diritti dell’uomo — e in particolare il suo art. 6,§1º, che consacra le garanzie del giusto processo — sono direttamenteapplicabili all’arbitrato; la seconda relativa all’individuazione delle conse-guenze e delle problematiche scaturenti da una siffatta applicabilità di-retta della CEDU all’arbitrato. Tali questioni saranno trattate nel corso diquesta relazione.

II. 3. Il problema dell’applicabilità dell’art. 6 CEDU all’arbitratoè stato, fin dalle origini, un tema oggetto di vivaci dibattiti dottrinali e diesitazioni da parte della giurisprudenza (2). Tali divergenze di opinioni sispiegano in parte in ragione del fatto che per lungo tempo la Corteeuropea di Strasburgo si è trovata ad occuparsi dell’arbitrato esclusiva-mente sotto il profilo della compatibilità della rinuncia al giudice statale,che è sottesa ad ogni arbitrato volontario, con le garanzie del giustoprocesso. Invero, è solo recentemente che la Corte europea — con lapronuncia del 3 aprile 2008 — ha preso posizione sul tema dell’applica-bilità diretta dell’art. 6 CEDU all’arbitrato.

A. Le perplessità e i termini del dibattito

4. L’applicabilità all’arbitrato dell’art. 6 della Convenzione europeadei diritti dell’uomo può generare alcune critiche. A ben vedere, infatti, legaranzie consacrate dalla citata norma si applicano — secondo la letteradella Convenzione — esclusivamente ad un « tribunale istituito perlegge »; mentre l’arbitro è all’evidenza un giudice privato. Inoltre — comegià osservato da C. Jarrosson nel suo studio di riferimento — la Conven-zione europea poggia sulla responsabilità degli Stati, i quali normalmentenon dovrebbero rispondere che per l’attività posta in essere dall’autoritàgiudiziaria statale (3). In questa prospettiva, la Corte di cassazione fran-cese, nella celebre pronuncia Cubic del 20 febbraio 2001, ha affermato chela Convenzione europea dei diritti dell’uomo, « che concerne esclusiva-

(2) Sulle questioni profilate nel testo, si veda il recente e notevole studio di CécileCHAINAIS, Exigences du procès équitable et arbitrage: existence et essence du droit à un procèsarbitral équitable, in Convention européenne des droits de l’homme et droit de l’entreprise, Dir.L. Milano, Collection droit et justice, Nemesis 2016, pp. 265-322, e le relative referenze; si vedaaltresì J.-B. RACINE, Droit de l’arbitrage, Presses universitaires de France, 2016, pp. 409-410, checontiene indicazioni bibliografiche in ordine ai principali contributi dottrinali sul punto.

(3) C. JARROSSON, L’arbitrage et la Convention européenne des droits de l’homme, inRevue de l’arbitrage, 1989, p. 573; nello stesso senso v. J.-F. POUDRET et S. BESSON, Droit comparéde l’arbitrage international, Bruylant et Librairie générale de droit et de jurisprudence, 2002, p.66, nº 87; v. anche G. KEUTGEN et G.-A. DAL, L’arbitrage en droit belge et international, tome 1,Bruylant, 2006, p. 309 e ss.

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mente gli Stati e le giurisdizioni statuali[,] non trova applicazione inmateria di arbitrato » (4).

5. Questa condanna lapidaria della possibilità di applicare la Con-venzione europea all’arbitrato ha suscitato serie perplessità nella dottrina.Molti Autori hanno sottolineato che nulla impedirebbe di considerare iltribunale arbitrale come un « tribunale istituito per legge » ai sensi del-l’art. 6 CEDU, atteso che l’arbitrato, i poteri degli arbitri, il procedimentoarbitrale, il regime processuale del lodo arbitrale (i.e. sentence) e i mezzidi impugnazione avverso il medesimo, che peraltro si propongono dinanzial giudice statale, sono rigorosamente disciplinati dalla legge (5).

6. Senza aderire alla menzionata posizione, altri Autori hanno in-vece fatto leva sul dato secondo cui le autorità giurisdizionali statali diausilio alla procedura arbitrale e che controllano il lodo arbitrale (i.e.sentence), vuoi nell’ambito di un’impugnazione per nullità, vuoi nel qua-dro di un’istanza di exequatur, devono, nell’esercizio della loro funzionegiurisdizionale, applicare l’art. 6 della Convenzione CEDU. In questaprospettiva si inserisce un’importante pronuncia della Corte di cassazionefrancese del 1º febbraio 2005 — che ha segnato una netta presa di distanzadalla precitata sentenza Cubic e — che ha richiamato espressamente l’art.6, §1er della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il divieto didiniego di giustizia per ritenere nel caso di specie legittimo l’intervento delgiudice statale nel procedimento per la costituzione del tribunale arbi-trale (6). Tale statuizione solleva tuttavia (e quasi inevitabilmente) uninterrogativo di centrale importanza: se i giudici statali, nel controllare laprocedura e il lodo arbitrale (i.e. sentence), devono verificare che laprocedura o il lodo non violino le garanzie procedurali consacrate nell’art.6 della Convenzione europea, come è possibile escludere che tale dispo-sizione sia direttamente applicabile all’arbitro? A nostro avviso, occorrenecessariamente fornire una risposta positiva a tale interrogativo. Questatuttavia non è l’opinione accolta dalla dottrina maggioritaria, la qualeinvece ritiene che le garanzie del giusto processo non possano che trovareapplicazione indiretta per l’arbitro, non potendo quest’ultimo per la suaqualità di giudice privato essere formalmente vincolato all’applicazione e

(4) Cass. Fr. 20 febbraio 2001, in Revue de l’arbitrage, 2001, p. 511, con nota di T. CLAY,e in Revue critique de droit international privé, 2002, p. 124, con nota di C. SERAGLINI.

(5) In questo senso, S. GUINCHARD, in Droit processuel, droit commun et droit comparé duprocès équitable, Dalloz, 2007, p. 438; N. FRICERO, Les garanties d’une bonne justice, in Droit etpratiques de la procédure civile, Dalloz, 2006, p. 451; P. Lambert, L’arbitrage et l’article 6 de laConvention européenne des droits de l’homme, in L’arbitrage et le Convention européenne desdroits de l’homme, Bruylant, 2006, p. 18 e ss.

(6) Cass. Fr. 1er février 2005, in Revue de l’arbitrage 2005, p. 693, con nota di MUIR-WATT;in Revue critique de droit international privé, 2006, p. 140, con nota di T. CLAY; sulla pronunciacitata nel testo v. anche J.-B. RACINE, Droit de l’arbitrage, cit., p. 410 che rileva che: esiste unacertezza: l’art. 6, § 1º, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è applicabile quando ungiudice statale è adito in base ad una questione relativa ad un arbitrato.

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al rispetto dell’art. 6 della Convenzione (7). Siffatta distinzione tra sostan-ziale applicazione all’arbitro delle garanzie del giusto processo [con ilconseguente vincolo dell’arbitro al rispetto di tali garanzie] ed esclusionesul piano formale dell’applicabilità [diretta] all’arbitro dell’art. 6 CEDU,in cui come noto sono consacrate le richiamate garanzie, mi pare davveroartificiale. Tale distinzione è, peraltro, contraria alla giurisprudenza dellaCorte di Strasburgo, che ci apprestiamo ora ad esaminare.

B. La giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo

7. L’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea in materiadi rapporti tra arbitrato e garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 dellaConvenzione può essere suddivisa in tre fasi.

8. In un primo momento, la Corte europea ha preso posizione inordine alla compatibilità con il citato art. 6 della rinuncia alla giurisdizionestatuale, che è sottesa all’arbitrato volontario. Secondo una costantegiurisprudenza della Corte, l’art. 6 della Convenzione non osta allastipulazione di clausole compromissorie. La Corte ha in particolare stabi-lito che tali clausole « comportano evidenti vantaggi tanto per le parti[stipulanti] quanto per l’amministrazione della giustizia ». Le clausolecompromissorie, se concluse liberamente dalle parti in modo chiaro (i.e.inequivoco), costituiscono una lecita rinuncia ad alcune delle garanzieconsacrate nell’art. 6 CEDU e, nella specie, al diritto di adire un giudicestatale con riguardo alla lite (o alle liti) la cui soluzione sia stata devolutaad arbitri. La Corte di Strasburgo ammette altresì che la suddetta rinunciapossa estendersi anche alla garanzia della pubblicità dell’udienza (8).

9. In una seconda fase, la Corte europea ha esplicitamente ricono-sciuto il proprio potere di controllare la corretta applicazione delle garan-zie di cui all’art. 6 CEDU da parte dell’autorità giudiziaria statale adita inmateria di arbitrato. Con la sentenza del 23 febbraio 1999, resa nella causaSouvamieni/Finlandia, la Corte ha effettuato un controllo volto a verifi-care se il rifiuto del giudice statale finlandese di dichiarare la nullità di unlodo arbitrale (i.e. sentence) per difetto d’imparzialità [dell’arbitro] fosse omeno conforme all’art. 6, §1, della Convenzione. Quest’orientamentodella Corte si inserisce nel solco tracciato dal pensiero di quella parte delladottrina (evocato precedentemente), secondo cui l’art. 6 della CEDU è

(7) In questo senso T. CLAY, L’indépendance et l’impartialité de l’arbitre et les exigencesdu procès équitable, in L’impartialité du juge et de l’arbitre, sous la dir. J. VAN COMPERNOLLE etG. TARZIA, Bruylant, 2006, p. 209 ss.; J.-B. RACINE, Réflexion sur l’autonomie de l’arbitragecommercial international, in Revue de l’arbitrage, 2005, p. 322; contra e per l’applicazione direttaall’arbitro: C. Chainais, op. cit., p. 282 e ref.

(8) Su tale giurisprudenza europea, v. F. SUDRE, Droit européen et international des droitsde l’Homme, 13ème éd., Presses universitaires de France, 2016, pp. 576-577 e le relativereferenze; per una decisione recente, v. Cour européenne des droits de l’homme, décision du 1er

marzo 2016, nella causa TABBANE/SUISSE.

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applicabile direttamente [d]all’autorità giudiziaria statale qualora la stessadebba esercitare un controllo sulla regolarità della procedura o sul lodoarbitrale (i.e. sentence).

10. Nella terza fase, la Corte europea ha affermato l’applicazionediretta dell’art. 6 della Convenzione già sul piano della giurisdizionearbitrale. In un’importante pronuncia del 3 aprile 2008, resa nella causaRegent Company/Ucraina, la Corte — adita in un caso in cui una delleparti invocava, sulla base dell’art. 6 della Convenzione, il diritto all’ese-cuzione di un lodo arbitrale (i.e. sentence) — ha riconosciuto che nel casodi specie il tribunale arbitrale andava considerato quale vero e propriotribunale « istituito per legge » ex art. 6 CEDU. In particolare, la Corte haritenuto che « l’articolo 6 non impedisce di adire un tribunale arbitrale acui sia stato demandato di risolvere una o più controversie tra privati » eche « la parola « tribunale », di cui all’art. 6, § 1, non deve necessariamenteessere intesa come riferita ad una Cour de justice incardinata nell’autoritàgiudiziaria statale di ciascuno Stato » (9). A nostro avviso, come ad avvisodella dottrina maggioritaria, si tratta di una sentenza di principio con cuila Corte ha consacrato — in modo molto chiaro — il principio dell’appli-cabilità diretta delle garanzie del giusto processo di cui all’art. 6, § 1,CEDU già sul piano della giurisdizione arbitrale, [nel senso di ritenereconfigurabile il vincolo per gli arbitri al rispetto delle predette garan-zie] (10).

III. 11. Il tema dell’applicazione della Convenzione dei dirittidell’uomo all’arbitrato non presenta un mero interesse teorico. Vi è ancheun aspetto pratico della questione. Oltre alla configurabilità dell’eventualeresponsabilità internazionale dello Stato [nel quale si è svolto l’arbitrato]dinanzi alla Corte europea, la predetta applicabilità si ripercuote diretta-mente sullo svolgimento della procedura arbitrale. È nostra intenzionefornire qualche esempio.

(9) Cour européenne des droits de l’homme du 3 avril 2008, Regent Company/Ukraine,in Revue de l’arbitrage, 2009, p. 797, con nota di Racine; l’affermazione secondo cui il terminetribunale, di cui all’art. 6 CEDU, non deve necessariamente essere inteso in senso stretto, qualegiurisdizione incardinata nell’autorità giudiziaria statale era già stata enunciata dalla Corteeuropea in una decisione del 16 dicembre 2003, nella causa Transado Transports/Portogallo, inun caso in cui si dibatteva in ordine alla sussistenza dell’imparzialità di un arbitro nel corso diun giudizio arbitrale.

(10) In questo senso, C. CHAINAIS, Exigences du procès équitable et arbitrage, cit., p. 286;nello stesso senso, v. S. VAN DROOGHENBROECK, La Convention européenne des droits del’homme et la matière économique, in Droit économique et droit de l’homme, Bruxelles, Larcier,2009, p. 33; S. GUINCHARD et al., Le droit processuel, droits fondamentaux du procès, Dalloz,2015, p. 699; v. tuttavia anche J.-B. RACINE, Droit de l’arbitrage, cit., p. 409, che, sebbenericonosca l’importanza dell’evoluzione della giurisprudenza europea, sostiene la tesi dell’inap-plicabilità a livello formale dell’art. 6, §1, della Convenzione all’arbitrato.

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A. La responsabilità dello Stato dinanzi la Corte europea

12. L’applicabilità diretta della Convenzione europea all’arbitratocomporta in primo luogo la possibilità di far valere, davanti alla Corteeuropea, la responsabilità dello Stato nel quale si è svolto l’arbitrato;purché, si badi, tale Stato sia vincolato dalla Convenzione. A ben guar-dare, la Corte potrebbe, su istanza di una delle parti, essere portata acontrollare le decisioni prese dal giudice statale in materia di arbitrato e,per tale via, esercitare un controllo sulla procedura arbitrale di cui ilgiudice statale avrebbe dovuto conoscere, vuoi nell’ambito di un’impu-gnazione per nullità, vuoi nel quadro di un’istanza di exequatur (11).

Il ricorso alla Corte europea è inoltre come noto subordinato all’esau-rimento dei ricorsi interni. Spetta quindi, in linea di principio, alla parteche contesta la regolarità di un procedimento arbitrale di adire prelimi-narmente l’autorità giudiziaria statale competente a conoscere delle azionidi cui le parti dispongono per lamentare gli eventuali vizi del procedi-mento medesimo.

Inoltre, qualora la Corte europea dovesse riscontrare che nel corsodel procedimento arbitrale vi è stata una violazione dell’art. 6, la stessanon può né dichiarare la nullità del lodo (i.e. sentence) né rimettere le partidinanzi al giudice statale. La Corte dovrà infatti limitarsi ad accertare laviolazione di una disposizione della Convenzione. Tale accertamentopotrà poi sfociare nella concessione di un risarcimento, sotto forma di un« equo indennizzo », di cui lo Stato sarà debitore nei confronti del ricor-rente.

La rarità delle decisioni della Corte europea in materia di arbitratorivela peraltro lo scarso numero dei ricorsi che [in relazione a tale materia]sono proposti dinanzi la Corte di Strasburgo.

B. L’esclusione ad opera delle parti dell’impugnazione per nullità dellodo arbitrale

13. Molti ordinamenti, in materia di arbitrato internazionale, rico-noscono alle parti la possibilità di sottoscrivere una clausola attraverso laquale le parti rinunciano anticipatamente a proporre l’impugnazione pernullità contro tutti i lodi arbitrali (i.e. sentence) che verranno emessi daltribunale arbitrale (12). In una decisione del 24 marzo 2016, resa nellacausa Tabbane c. Svizzera, la Corte europea ha espressamente affermato

(11) Per un approfondimento di tale profilo, v. C. CHAINAIS, ibidem, p. 289 ss.(12) Si vedano l’art. 1522 CPC francese; l’art. 1718 del codice giudiziario belga; l’art. 192

della legge svizzera di diritto internazionale privato; [l’art. 829, comma 1, c.p.c. che al contrario,laddove ammette l’impugnazione per nullità nonostante qualunque preventiva rinuncia, escludela possibilità per le parti di rinunciare preventivamente all’impugnabilità del lodo].

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la compatibilità della predetta clausola con le esigenze del giusto processo,a condizione tuttavia che la stessa sia sottoscritta dalle parti con liberoconsenso e in modo inequivoco. La Corte nel caso di specie ha stabilitoche la legge svizzera, che autorizza detta rinuncia, persegue « un finelegittimo e, in particolare, quello della valorizzazione del sistema arbitralesvizzero, attraverso procedimenti snelli e rapidi, nel rispetto della libertàcontrattuale delle parti ». Il peso delle conseguenze scaturenti dalla con-clusione di una clausola di rinuncia all’impugnazione per nullità del lodo— che di fatto lascia alle parti la possibilità di rivolgersi al giudice statalesolo per ottenere l’exequatur — rende evidenti le ragioni della rarità delleipotesi in cui, nella prassi, si ricorre a tale facoltà.

C. La rinuncia alla pubblicità

14. In materia di arbitrato, la giurisprudenza della Corte europeaammette, senza difficoltà, l’esclusione della pubblicità dell’udienza. LaCorte ritiene che le parti, con la scelta di ricorrere all’arbitrato volontario,rinunciano implicitamente e validamente alla suddetta garanzia, essendoquest’ultima incompatibile con il carattere riservato dell’arbitrato (13).

D. Il diritto al giudice in materia arbitrale

15. Il diritto al giudice è una garanzia fondamentale del giustoprocesso. Per quanto concerne l’arbitrato, l’impossibilità di costituire iltribunale arbitrale implica, per la parte, il diritto di adire il giudice statalee di ottenere che quest’ultimo istituisca il tribunale arbitrale, ponendo finead una situazione di diniego di giustizia contraria al disposto dell’art. 6CEDU. In questo stesso senso si è espressa la Corte di cassazione francesenella citata pronuncia del 1º febbraio 2005, che come visto ha richiamatoespressamente l’art. 6, § 1º, della Convenzione per giustificare l’interventodell’autorità giudiziaria statale nella designazione del tribunale arbitrale;intervento che nella specie aveva posto fine ad una situazione di diniegodi giustizia arbitrale (14).

Il diritto al giudice in materia arbitrale implica egualmente il dovereper il tribunale [arbitrale] di esaminare tutte le pretese delle parti avanzatetanto nell’ambito della domanda principale quanto in quello della do-

(13) Su tale giurisprudenza, v. C. CHAINAIS, op. cit., p. 306-307.(14) Cass. Fr., 1 febbraio 2005, in Revue critique de droit international privé, 2006, p. 140,

con nota di T. CLAY; il nuovo diritto francese dell’arbitrato, frutto della riforma del 13 gennaio2011, istituisce la figura del « juge d’appui », il quale è competente a regolare e risolvere ledifficoltà insorte nella nomina del tribunale arbitrale; analogamente il nuovo diritto belgadell’arbitrato, frutto della riforma del 2013, conferisce una competenza equivalente [a quella deljuge d’appui] al presidente del tribunale di primo grado, con una soluzione analoga a quellaadottata in materia di competenza cautelare.

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manda riconvenzionale. In questa prospettiva, un’interessante giurispru-denza francese ha stabilito, sempre facendo leva sulle garanzie del giustoprocesso, che nel caso in cui nel corso del giudizio arbitrale una delle partirisulti incapiente, il tribunale arbitrale non può rifiutarsi di decidere ledomande propostegli, a motivo del fatto che la parte non è più in grado diversare le somme che le erano state richieste (15).

E. L’imparzialità dell’arbitro

16. La giurisprudenza della Corte europea in materia di imparzialitàdel giudice si ripercuote necessariamente sulla valutazione dell’imparzia-lità dell’arbitro. A tal riguardo, la distinzione tra imparzialità « sogget-tiva » e imparzialità « oggettiva » è ormai oggetto di una giurisprudenzaeuropea fermamente consolidata. Certamente questa non è la sede overipercorrere i termini del dibattito relativo a tale complessa e ampiaproblematica (16). Vi è comunque una questione assai particolare chedesidero mettere in rilievo. Si tratta della questione dell’imparzialità delgiudice — e dell’arbitro — in caso di cumulo, nello stesso giudizio,dell’esercizio delle funzioni decisorie prima in via cautelare e poi in sededi merito.

Nella sentenza Morel/Francia del 6 giugno 2000, la Corte europea haritenuto — in conformità alla concezione oggettiva dell’imparzialità — cheil cumulo di funzioni può determinare il vizio di difetto di imparzialità, serisulta che il giudice, nell’esercizio della funzione decisoria cautelare [equindi in una precedente fase del medesimo affare], ha in maniera chiarafatto trasparire la sua posizione quanto alla fondatezza della pretesa fattavalere dinanzi a lui (17). Nello stesso senso, la Corte di cassazione franceseha stabilito, sulla base dell’art. 6 CEDU, che il « giudice, qualora abbiareso un provvedimento cautelare (nel contraddittorio delle parti) su unadomanda volta ad ottenere il pagamento in via provvisoria di una sommadi denaro in ragione del fatto che un’obbligazione non era stata seria-mente contestata, non può successivamente decidere il merito della con-troversia relativo a detta obbligazione »; per contro, una siffatta censura diparzialità non può essere indirizzata nei confronti del giudice che si sia

(15) V. anche CA Paris, 26 febbraio 2013, in Revue de l’arbitrage. 2013, p. 746, con notadi TRANAIN, relativa ad un caso in cui il tribunale arbitrale aveva ritenuto che la lite sarebbedovuta tornare nella competenza della giurisdizione statuale; CA Paris, 17 novembre 2011, inRevue de l’arbitrage. 2012, p. 387, con nota di TRANAIN, relativa al rifiuto del tribunale arbitraledi esaminare una domanda riconvenzionale.

(16) Su tale tema, v. L’impartialité du juge et de l’arbitre, diretto da J. VAN COMPERNOLLE

et G. TARZIA, Bruxelles, Bruylant, 2006 e in particolare lo studio di T. CLAY, L’indépendance etl’impartialité de l’arbitre et les règles du procès équitable, p. 208 ss.

(17) Cour européenne des droits de l’homme, 6 giugno 2000, in Revue trimestrielle de droitcivil, 2000, p. 93, con nota di MARGUENAUD.

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limitato a disporre un provvedimento cautelare conservativo (18). Consi-derato inoltre che oramai l’arbitro, nel corso del giudizio arbitrale, puòordinare provvedimenti cautelari, le predette considerazioni risultanoesportabili anche in materia di arbitrato. Occorre peraltro fare particolareattenzione a quei casi in cui viene proposta dinanzi all’arbitro una do-manda cautelare volta ad ottenere un provvedimento anticipatorio, es-sendo in tali ipotesi necessario evitare che la decisione resa in via cautelaredall’arbitro possa apparire come una pre-decisone sul merito della lite (19).

IV. – 17. L’applicazione della Convenzione europea dei diritti del-l’uomo all’arbitrato è ormai chiaramente affermata dalla Corte europea.Tale orientamento giurisprudenziale trova ampia approvazione in dottrina.

Rispettosa dell’autonomia contrattuale delle parti, la detta applica-zione non inficia affatto l’elasticità e le peculiarità dell’arbitrato.

Se poi si considera che l’arbitro esercita una funzione giurisdizionale,l’obbligo del medesimo di rispettare le garanzie fondamentali del giustoprocesso non può che rinvigorire la credibilità e la capacità attrattiva diquesto modo convenzionale e giurisdizionale di risoluzione delle contro-versie.

The Author addresses the issue of the relationship between the EuropeanConvention on Human Rights (hereinafter ECHR) and arbitration.

In the first part, the Author analyses the developments of legal and doctrinalinterpretations concerning the application of the ECHR to arbitration proceedings(it follows that the arbitrator should abide by the principle of the due process), while,in the second part, the Author identifies the consequences of such application. In thisregard, the Author focuses on the liability of the State (i.e. the place of the arbitrationproceeding) in front of the European Court of Human Rights, as well as, on i) thepower of the parties to waive any appeal mechanism against the arbitral award, II)the power to waive the right to an open hearing, iii) the recourse to the domesticcourts (for example, in the event the parties fail to nominate the arbitral tribunal, theappointment shall be made by the domestic court), iv) the impartiality of thearbitrator when, in the same arbitration proceeding, he/she orders any interim orconservatory measure it deems appropriate and then renders a decision on the meritsof the dispute.

In conclusion the Author finds that when an arbitrator abides by the principleof due process in accordance with 6 CEDU, its functions are reconciled with itsjurisdictional role and strengthen the attractiveness of arbitration.

(18) Cass. Fr. 6 novembre 1998, in Revue trimestrielle de droit civil, 1999, p. 183, con notadi Normand.

(19) In questo senso, J. VAN COMPERNOLLE, Arbitrage et procès équitable, in Hommage àJean Laenens, Intersentia, Anvers 2008, pp. 354 e ss.; A. MOURRE, Quelques aspects du droit auprocès équitable, en matière d’arbitrage, in L’arbitrage et la Convention européenne des droits del’homme, Bruylant, 2001, p. 47.

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Investimento straniero e arbitrato (*)

PIERO BERNARDINI (**)

1. Introduzione. — 2. Differenze tra arbitrato in materia di investimento earbitrato commerciale internazionale. — 3. Origine dell’arbitrato in materia diinvestimento. — 4. Accordi di investimento: posizione dell’investitore quantoall’attività oggetto del contratto e dello Stato quanto alla protezione dell’investi-mento. — 5. Importanza dell’arbitrato in materia di investimento. — 6. Laconclusione di accordi di investimento relativi all’area del Medio-Oriente. — 7. Ilcontezioso arbitrale originato da questi accordi. — 8. Il mutato quadro di riferi-mento negli anni ’60 del XX secolo. — 9. Il trattato internazionale come miglioregaranzia per le due parti del rapporto di investimento. — 10. La proposta dell’UEdi creazione di un International Court System (ICS). — 11. La critica da partedell’UE del sistema Investor-State Dispute Settlement. — 12. La pretesa assenza dineutralità. — 13. La pretesa assenza di trasparenza. — 14. I pretesi limiti al potereregolamentare dello Stato. — 15. Conclusioni.

1. Sino a pochi decenni fa l’arbitrato commerciale internazionale èstato il più diffuso metodo di soluzione delle controversie nelle relazionicommerciali internazionali. Lo sviluppo progressivo ed inarrestabile deitrattati bilaterali e multilaterali sulla protezione dell’investimento stra-niero a partire dagli anni ’60 ed il conseguente aumento negli ultimicinquanta anni delle controversie relative all’investimento sulla base diquesti trattati ha originato un nuovo tipo di arbitrato le cui caratteristichesono per molti aspetti distinte da quelle del tradizionale arbitrato com-merciale (1). L’analogia consiste essenzialmente nel fatto che entrambi itipi di arbitrato sono fondati sulla volontà delle parti, espressa nell’ac-cordo compromissorio, di ricorrere all’arbitrato per la soluzione delle lorocontroversie in sostituzione di altri metodi di soluzione quali litigare

(*) Questo scritto è destinato al Liber Amicorum Pietro Rescigno in occasione delsuo 90esimo compleanno. Chi scrive confida che il Maestro, che nei suoi scritti e nella praticaprofessionale si è occupato anche di arbitrato, provi interesse per questo contributo anche serelativo ad un aspetto molto particolare dell’esperienza arbitrale internazionale.

(**) Già Presidente dell’Associazione Italiana per l’Arbitrato.(1) B

�CKSTIEGEL, Commercial and Investment Arbitration: How Different Are They

Today? The Lalive Lecture 2012 (212) 28(4) Arb Int’l, 577.

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davanti al giudice statale o, per l’investitore, ricorrere alla protezionediplomatica del proprio Stato. Anche in questo caso, tuttavia, a secondadel tipo di arbitrato variano le forme attraverso cui viene manifestato dalleparti il consenso all’arbitrato.

2. Venendo alla distinzione tra arbitrato commerciale internazio-nale e arbitrato in materia di investimento vale rilevare come sia condi-zione necessaria per quest’ultimo che parte del rapporto con il privatoinvestitore da cui sorge la controversia sia uno Stato o una entità control-lata dallo Stato. Come si vedrà, in una fase iniziale il rapporto con lo Statoin materia di investimento trova espressione in quel particolare tipo dicontratto che dottrina e giurisprudenza statunitensi hanno qualificatocome “State contract” (2). In una fase successiva, il rapporto relativoall’investimento trova la sua regolamentazione nei trattati bilaterali emultilaterali aventi ad oggetto la promozione e la protezione dell’investi-mento privato. Ma la presenza di uno “State contract” non è condizionesufficiente perché l’arbitrato sia qualificabile come relativo ad un investi-mento considerato che anche il contratto con lo Stato (o una entità statale)può avere natura commerciale ove lo Stato agisca “iure privatorum” (3).Occorre che lo Stato (o una entità statale) intervenga nel rapporto per ilperseguimento di un pubblico interesse (4), condizione soddisfatta quandooggetto del rapporto con il privato è un “investimento”. Per essere talel’investimento deve infatti consistere in un apporto da parte del soggettoprivato di capitali, servizi, tecnologie, capacità gestionali o altra utilità perlo svolgimento di attività nel territorio dello Stato ospite, con una duratanel tempo di tale apporto ed assunzione del relativo rischio di impresa (5).Così inteso, l’investimento risponde all’interesse dello Stato di ottenere uncontributo al proprio sviluppo economico a fronte del quale esso èdisponibile a garantirne la protezione nel contratto con il privato investi-

(2) “Contrat d’Etat” secondo dottrina e giurisprudenza francesi. Sul tema Bernardini,State Contracts, New Trends in International Trade Law, 2000, 47 ss. Per un approfonditoesame, LALIVE (J.F), Contracts between a State or a State Agency and a private company, ICLQ,1964, 987. Per il rapporto tra State Contracts e arbitrato v. DELAUME, State Contracts andTransnational Arbitrations, A.J.I.L., 1981, 784; OPPETIT, Arbitrage et contracts d’Etat. L’arbitrageFramatome et autres. c/Atomic Energy Organization of Iran, Journ dr. intl., 1984, 37.

(3) Come nel caso di un contratto avente ad oggetto la compravendita di beni ol’acquisizione di forniture o servizi per ragioni puramente commerciali.

(4) È questo il caso del contratto concluso il 18 settembre 1977 tra le società francesiFramatome. Alsthom Atlantique e SPP - Batignolles con l’Atomic Energy Organization iranianarelativo alla costruzione di una centrale nucleare, dove l’interesse pubblico è reso evidente dallaconclusione del contratto nel quadro degli accordi statali franco-iraniani. Anche da questoaccordo originerà un importanti contenzioso arbitrale, risolto con sentenza del 30 aprile 1982commentata da Oppetit, cit.

(5) Queste caratteristiche dell’investimento sono state precisate dalla Decisione sullagiurisdizione nel caso Salini Costruttori S.p.A. and Italstrade S.p.A. v. Morocco, del 23 luglio2009 para. 52. Un richiamo alla nozione di investimento in base alla Decisone Salini è in questaRivista, 1/2016, 165 e 2/2016, 371.

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tore o in base al trattato concluso con lo Stato dell’investitore. Da quil’ulteriore differenza con l’arbitrato commerciale, il “legal framework” incui l’arbitrato in materia di investimento è destinato ad operare. Nella fasein cui l’arbitrato è previsto dallo State contract saranno applicabili leprevisioni contrattuali quanto alle regole applicabili al merito della con-troversia, inclusa l’eventuale denazionalizzazione del contratto (6). Nellafase, ormai prevalente, di arbitrato in base al trattato sulla protezionedell’investimento, il “legal framework” sarà il diritto internazionale pub-blico anche se il diritto dello Stato ospite potrà avere applicazione inparticolare per quanto riguarda l’accertamento dei fatti costitutivi dellaviolazione del trattato fatta valere dall’investitore (7).

3. L’origine dell’arbitrato in materia di investimento viene general-mente riferita al primo trattato in materia di protezione dell’investimento,quello concluso nel 1959 tra la Germania e il Pakistan, stante la previsione,come sarà nel seguito per tutti i trattati, sulla protezione dell’investimento,dell’offerta di arbitrato da parte dello Stato destinatario dell’investimentoper la soluzione delle controversie nascenti dal trattato stesso (8). Chiscrive ritiene invece che la data di nascita dell’arbitrato in materia diinvestimento sia più risalente in quanto già negli anni ’30 del XX secoloclausole arbitrali sono presenti in accordi tra Stati e privati qualificabili peril loro oggetto come di investimento. Il riferimento è ad una serie diaccordi aventi ad oggetto lo sfruttamento di risorse naturali, principal-mente idrocarburi, da parte delle maggiori compagnie multinazionali (9).Questi accordi, ampiamente diffusi come modello contrattuale, sonosufficientemente rappresentativi del nuovo modello di arbitrato, sia per lepresenza di clausole compromissorie che per avere originato complessiprocedimenti arbitrali, da fornire una convincente motivazione per laconclusione relativa alla più risalente origine di questo arbitrato (10).Stante l’importanza di questi accordi per il tema oggetto della presente

(6) Sul punto v. infra, para. 7.(7) Al riguardo si veda il richiamo al diritto dello Stato parte della controversia di cui

all’articolo 42(1) della Convenzione di Washington: “The Tribunal shall decide a dispute inaccordance with such rules of law as may be agreed by the parties. In the absence of suchagreement, the Tribunal shall apply the law of the Contracting State party to the dispute(including its rules on the conflict of laws) and such rules of international law as may beapplicable”.

(8) B�

CKSTIEGEL, cit, 577; GALANTI, Arbitrato sugli investimenti e forme processuali delconsenso, in questa Rivista, 2017, 425-427 e dottrina ivi richiamata.

(9) Tra cui sono le famose “sette sorelle” nel settore petrolifero.(10) Come ricordato da un autorevole commentatore, “Investment arbitrations have also

existed to some extent for quite some time as we know from older cases. But it became a widelyused general field of international dispute settlemente only when the first bilateral investmenttreaties were concluded starting in 1959”: BOCKSTIEGEL, cit., 577. È possibile che singoli accorditra Stati e privati abbiano previsto clausole arbitrali a protezione dell’investimento privatoanche prima degli anni ’30, il richiamo ad accordi conclusi in questi anni valendo solo ad

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analisi e il numero di arbitrati originati dalla loro esecuzione convienesoffermarsi sul loro contenuto.

4. Le prerogative sovrane dello Stato, spesso un paese in via disviluppo con un sistema giuridico primitivo e privo di capacità tecnologi-che ed organizzative, cedono il passo negli accordi in esame al potereeconomico e contrattuale della parte privata. Gli interessi delle due partisono antagonistici, il contraente privato mirando all’accesso alle risorsenaturali dello Stato da cui ricavare considerevoli profitti dietro pagamentodi un corrispettivo predeterminato, sulla base di un contratto che prevedaadeguate protezioni del proprio investimento. A sua volta lo Stato, che habisogno di attrarre risorse economiche ma anche tecnologie e capacitàorganizzative per valorizzare le risorse del proprio sottosuolo, è disponi-bile a concedere alla parte privata i diritti ricerca e sfruttamento dellerisorse naturali ed il controllo praticamente esclusivo di tale attività dietrouna remunerazione consistente normalmente in un prelievo fiscale nonsuperiore globalmente e progressivamente nel tempo al 50% del valoredella produzione. Nessun dubbio che questo tipo di contratto, cui daforma e contenuto in quel periodo il cd. “concession agreement”, abbia adoggetto un “investimento” come questo termine sarà successivamenteprecisato nelle sue essenziali caratteristiche secondo quanto già precisato,l’apporto della parte privata contribuendo allo sviluppo economico delloStato, e, quindi, rispondendo ad un pubblico interesse dello Stato desti-natario dell’investimento. Tra le principali caratteristiche di questi accordiè la loro notevole dimensione e complessità per l’esigenza del contraenteprivato di tutto prevedere e far sottoscrivere dallo Stato a miglioregaranzia di certezza del regime contrattuale nonché la presenza di clausoleche anticipano il regime di protezione dell’investimento che sarà previstodai trattati bilaterali e multilaterali a partire dagli anni ’60. Tra questeclausole si iscrivono sia quelle contenenti un particolare richiamo delleregole di diritto applicabili al contratto che clausole di stabilizzazione delladisciplina legale e contrattuale nonché la previsione dell’arbitrato inter-nazionale per la soluzione delle relative controversie, normalmente unarbitrato ad hoc con la nomina di un arbitro unico da parte di una autoritàterza (11).

5. La previsione in questi accordi dell’arbitrato per la soluzionedelle controversie relative al rapporto contrattuale è novità di fondamen-tale importanza in quanto consente al privato investitore di agire diretta-

individuare una serie di accordi per la disciplina di un determinato settore di attività in terminisostanzialmente conformi e, quindi, caratterizzati da organicità di regolamentazione.

(11) Quale il Presidente della Corte International di Giustizia o del Tribunale federalesvizzero, come previsto da molti di questi accordi.

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mente contro lo Stato destinatario dell’investimento per violazione delcontratto nella fase i cui i rapporti tra le parti sono regolati dallo “Statecontract” o per violazione del trattato di protezione dell’investimentonella fase in cui i rapporti sono regolati da un trattato quale strumento deldiritto internazionale. Consentire al privato investitore di agire diretta-mente contro lo Stato ha permesso di superare l’unico mezzo di tutelaallora disponibile alla parte privata nei confronti di uno Stato, la prote-zione diplomatica dello Stato di cui tale parte è nazionale, uno strumentodel diritto internazionale il cui esercizio non è peraltro vincolante per loStato anche perché spesso politicamente condizionato dai rapporti tra idue Stati interessati.

6. Si ritiene utile indicare, anche a costo di una digressione geo-politica, le circostanze che hanno favorito la conclusione di questi accordida parte di vari Stati nel particolare settore dell’esplorazione, produzionee sfruttamento di idrocarburi nell’area del Medio Oriente. Tra tali circo-stanze si iscrive la caduta dell’impero ottomano con il Trattato di Sèvresdel 1920 e la conseguente più ampia apertura di quest’area, di cui eranonote da tempo le potenzialità minerarie, alla ricerca petrolifera interna-zionale (12).

(i) Kuwait

Dissolto l’impero ottomano, l’Inghilterra dichiara il Kuwait sceiccatoindipendente sotto protettorato britannico, un trattato del 1922 fissandonei confini con l’Arabia Saudita. A partire dagli anni ’30 del XX secolo iniziaper il Kuwait l’era del petrolio, la prima concessione venendo rilasciata nel1934 alla joint venture paritetica tra l’Anglo-Iranian Oil Company e la GulfOil. Altra concessione, rilasciata nel 1948 all’American Independent OilCompany (Aminoil), sarà risolta dal Kuwait nel 1977, dando origine aduno degli arbitrati di cui si farà cenno nel seguito.

(ii) Abu Dhabi, Arabia Saudita

Storia a parte fanno Abu Dhabi, oggi uno degli Emirati Arabi Unitima all’epoca sceiccato indipendente, nonché l’Arabia Saudita, anch’essoall’epoca Stato sovrano. La prima concessione petrolifera da parte di AbuDhabi è del 1939 mentre già nel 1933 l’Arabia Saudita firma la concessionepetrolifera alla società americana Arabian American Oil Company(Aramco), della quale diventerà unica proprietaria nel 1980 ribattezzan-

(12) Il Trattato di Sèvres ha comportato la liberazione dei territori arabi dal dominiodell’impero ottomano e ha consolidato la spartizione tra la Francia ed l’Inghilterra previstadall’accordo segreto Seykes-Picot del 1916 che aveva definito le rispettive sfere di influenza nelMedio Oriente assegnando all’Inghilterra, tra l’altro, l’attuale Iraq e la Giordania e alla Franciail Libano e la Siria.

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dola Saudi Aramco. Anche da questa concessione come da quella rila-sciata da Abu Dhabi nel 1939 origineranno controversie deferite adarbitrati e di cui anche verrà fatto cenno nel seguito.

(iii) Iran

Quanto all’Iran, da sempre Stato sovrano indipendente, gli accordipetroliferi rimontano alla fine dell’ottocento. Costituita nel 1954 la societàdi Stato National Iranian Oil Company (NIOC) ed emanato nel 1957 ilPetroleum Act con la previsione di maggiori garanzie di controllo dell’at-tività petrolifera da parte della NIOC, questa conclude accordi di jointventure con società, anche straniere, dotate di risorse finanziarie e tecno-logiche adeguate. Tra questi accordi si richiama quello tra l’AGIP Mine-raria e la NIOC del luglio 1957, particolarmente innovativo quanto allapiù attiva partecipazione dello Stato nell’attività oggetto del rapportoquale azionista paritetico di una società di nuova costituzione oltrechéautorità concedente (13). Da uno di questi accordi, concluso dalla NIOCcon la statunitense Sapphire International Petroleum Ltd., origina altrocontenzioso deferito ad arbitrato e deciso con sentenza del 1963.

7. Come già anticipato, è proprio da vari di questi accordi diconcessione con gli Stati dell’area mediorientale, cui si aggiungeranno nel1965 gli accordi conclusi da società petrolifere con la Libia, che sorgono leprime controversie in materia di investimento, deferite ad arbitrato se-condo le previsioni contrattuali. Molte le sentenze arbitrali del periodo,tutte ampiamente commentate data la loro originalità e la personalitàdegli arbitri (14). Tra queste sentenze si richiamano quelle relative ai casiPetroleum Development (Trucial Coast) Ltd, v. The Sheikh of Abu Dhabidel 1951, Ruler of Qatar v. International Marine Oil Company Ltd del1953, Government of Saudi Arabia v. Arabian American Oil Company(Aramco) del 1958, Sapphire International Petroleum Ltd. v. NationalIranian Oil Co. del 1963, ai tre arbitrati BP Exploration Company, TexacoOverseas Petroleum Company e Lybian American Oil Company (Liamco)contro la Libyan Arab Republic degli anni ’70, nonché ai casi AmericanIndependent Oil Company (Aminoil) v. The Government of the State ofKuwait e Deutsche Schachtbau und Tiefbohrgesellschaft mbH et al v. TheGovernment of the State of Ras al Khaima, entrambi decisi nel 1982. Iltema oggetto di maggiore attenzione in questi arbitrati è quello della leggeapplicabile. L’assenza nel paese ospite dell’investimento di un sistema

(13) L’accordo prevede la costituzione di una società paritetica tra le parti (SIRIP) e unpiù favorevole riparto degli utili dell’attività per lo Stato in quanto il tradizionale 50-50 vienesostituito dal riparto al 75-25 (cd. “formula Mattei”, dal nome dell’allora presidente dell’Eni).

(14) Si veda, tra gli altri commenti, BERNARDINI, The Law Applied by InternationalArbitrators to State Contracts, Liber Amicorum Karl-Heinz B

�ckstiegel, 2001, 51.

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giuridico in grado di regolare un rapporto complesso come quello deri-vante dall’accordo di concessione è una costante in questo primo periodo,come ricordato dall’arbitro del caso Petroleum Development v. Sheikh ofAbu Dhabi per escludere l’applicazione della legge di questo Stato: “nosuch law can reasonably be said to exist, the Sheikh administering a purelydiscretionary justice with the assistance of the Kuran”. Di qui l’ideadell’investitore della “denazionalizzazione” del contratto, cioè la disappli-cazione della legge dello Stato e l’assoggettamento del contratto a principigiuridici a-nazionali, quali i “general principles of law recognized bycivilized nations” (15) o i principi di diritto comuni agli ordinamenti delloStato dell’investitore e dello Stato ospite dell’investimento (16). Tra iprincipi così richiamati viene dato particolare rilievo in queste decisionialla buona fede e alla regola per cui pacta sunt servanda, a sancirel’obbligo di rispettare la forza obbligatoria delle previsioni contrat-tuali (17).

8. Questo quadro di riferimento contrattuale per l’arbitrato in ma-teria di investimento muta agli inizi degli anni ’60 del XX secolo perl’intervento, da un lato, di varie risoluzioni dell’Assemblea delle N.U. edell’Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio (OPEC) che rivendi-cano il diritto sovrano degli Stati allo sfruttamento delle proprie risorsenaturali in base alle proprie leggi e con controversie deferite alle propriecorti e, dall’altro, della Convenzione di Washington del 1965 per la“Risoluzione delle controversie in materia di investimento tra Stati eprivati” (18). Tra le risoluzioni dell’Assemblea delle N.U. assumono par-ticolare rilievo quella del 1966 sulla “Sovranità permanente sulle risorsenaturali” (19), la definizione degli Economic Rights and Duties of the States(cd. Charter of Algers) approvata il 18 dicembre 1974 nonché la Risolu-zione relativa allo stabilimento di un New International Economic Order,dell’1 maggio 1974 con cui si rivendica il diritto degli Stati di assumere inpiena libertà, in base alle proprie leggi, obbligazioni a livello internazio-nale.

Particolare attenzione va data alla Convenzione di Washinton con cuiè stata creata un’istituzione internazionale, l’ICSID, con il compito di

(15) Una delle fonti del diritto internazionale secondo lo Statuto della Corte Internazio-nale di Giustizia (C.I.G.) (art. 38). Sul tema v. CHANG, General Principles of Law as Applied byInternational Courts and Tribunals, Cambridge University Press, 2006, 336.

(16) Come prevede il contratto tra l’AGIP e la NIOC del luglio 1957.(17) L’invocazione della buona fede e il principio “pacta sunt servanda” sono presenti

nelle sentenze arbitrali relative ai casi Texaco c. Libia e Liamco c. Libia richiamati nelprecedente paragrafo del testo.

(18) Di cui sono attualmente parti contraenti oltre 180 Stati.(19) Risoluzione dell’Assemblea della N.U. n. 2158 (XXI) sulla Permanent Sovereignity

over Natural Resources del 25 novembre 1966.

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amministrare procedimenti arbitrali per la soluzione di controversie tra loStato ospite dell’investimento e un investitore nazionale di un diversoStato. La caratteristica principale della Convenzione è quella di creare unsistema normativo autonomo nel quadro del diritto internazionale, deltutto separato dall’ordinamento giuridico dello Stato e del privato inve-stitore, completo per la disciplina della soluzione delle controversie inquesta materia, inclusa la fase post-arbitrale dei mezzi di ricorso contro lasentenza arbitrale e della sua esecuzione, salva l’immunità dello Statodalla esecuzione secondo la propria legge ed in conformità del dirittointernazionale. Le regole relative alla nomina degli arbitri, ai loro poteried al procedimento arbitrale non sono diverse da quelle normalmenteapplicate nell’arbitrato commerciale internazionale. Il consenso delle partiin disputa, considerato vero e proprio “cornerstone” per l’applicazionedella Convenzione, sussiste ogniqualvolta questa sia richiamata dallo Statecontract. Ove invece la Convenzione sia richiamata dalla legge sugliinvestimenti dello Stato ospite, il consenso si perfeziona con l’accettazionedell’offerta di arbitrato contenuta nella legge a seguito della domanda diarbitrato da parte dell’investitore o di altra idonea espressione del suoconsenso all’arbitrato. Analogamente si perfeziona il consenso delle parti,là dove l’offerta di arbitrato per la soluzione delle relative controversie siaprevista dal trattato bilaterale o multilaterale sulla protezione dell’inve-stimento, secondo quella che è ormai di gran lunga la pratica prevalente.

9. Questo mutato quadro di riferimento ha posto l’esigenza sia perlo Stato ospite che per l’investitore privato di garantire maggiore sicurezzaal flusso degli investimenti con l’adozione di un nuovo approccio basatosulla protezione dell’investimento attraverso la conclusione di trattatiinternazionali, bilaterali o multilaterali, per la disciplina dell’investimentoprivato. Tra questi si iscrivono gli oltre 3.200 bilateral investment treaties(BITs) conclusi sinora tra Stati con i più diversi sistemi politici, economicie giuridici nonché alcuni trattati multilaterali, tra cui assumono rilevo ilNorth American Free Trade Agreement (NAFTA) del 1992 tra Messico,Canada e Stati Uniti e l’Energy Charter Treaty (ECT) del 1998 tra 55 Stati,di cui è parte anche l’Unione Europea (UE). Oltre a prevedere una seriedi standards di protezione dell’investimento ognuno di questi trattatidisciplina la soluzione delle controversie nascenti dal trattato offrendoall’investitore la scelta tra diverse alternative di arbitrato internazionaletra cui, oltre, abitualmente, la Convenzione di Washington o, in assenza diratifica da parte di uno degli Stati coinvolti, le ICSID Additional FacilityRules, figurano di volta in volta le Regole arbitrali della Camera diCommercio di Stoccolma, quelle della LCIA o della CCI o le Regolearbitrali dell’UNCITRAL. Diversamente dalla Convenzione di Washing-ton, questi altri sistemi di arbitrato, che poi sono quelli comunemente

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adottati per l’arbitrato commerciale internazionale, sono regolati dallalegge della sede dell’arbitrato quanto ai poteri dell’arbitro e alla disciplinadel procedimento arbitrale. L’arbitrato in materia di investimento originaormai sempre meno da uno State contract e sempre più dall’applicazionedi uno di questi trattati sulla cui base l’investitore fa valere la violazioneda parte dello Stato degli obblighi di protezione dell’investimento.

Questo sistema di soluzione delle controversie in materia di investi-mento, fondato principalmente sulla Convenzione di Washington, operaormai da oltre 50 anni. Affrontando una serie di complessi problemi postidall’interpretazione delle clausole dei vari trattati e dall’applicazione almerito delle controversie tanto del diritto internazionale che della leggedello Stato ospite (20), il sistema ha prodotto una considerevole mole didecisioni, anche se le particolarità del singolo caso, la diversa esperienzadegli arbitri di volta in volta chiamati a giudicare e l’assenza in arbitratodel vincolo del “precedente” hanno impedito la migliore coerenza eprevedibilità delle decisioni.

10. Questo sistema arbitrale, definito dalla pubblicistica in materiacome “Investor-State Dispute Settlement” (ISDS), è stato fatto oggettonegli ultimi anni di critica ad opera non solo di paesi importatori dicapitali, quali Bolivia, Ecuador, Venezuela, Sud-Africa ed Indonesia, maanche di paesi esportatori di capitali, quali Australia, Austria, Canada,Francia, Germania e Stati Uniti anche se con differenti motivazioni elivello di contrarietà. I progetti di riforma del sistema ISDS vanno dal suototale abbandono, quale è quello di cui si è fatta promotrice l’UE inoccasione del negoziato con gli Stati Uniti, del TTIP (21) o al suo miglio-ramento attraverso la modifica di alcune delle sue principali caratteristi-che. Conviene esaminare la proposta dell’UE, incentrata sulla radicalesostituzione del sistema ISDS con un International Court System (ICS)composto da un tribunale e da una corte di appello (22).

La proposta dell’UE (23) origina dal progetto della Commissioneeuropea approvato dal Parlamento europeo nel luglio 2015 (24). Esso hatrovato il sostegno di importanti Stati membri, quali la Francia e laGermania, preoccupati per lo sviluppo del contenzioso in materia di

(20) Come prevede l’art. 42(1) della Convenzione di Washington, citato alla nota 6.(21) Transatlantic Trade and Investment Partnership, abbandonato per direttiva del

nuovo Presidente degli Stati Uniti.(22) Per un commento del progetto dell’UE, BERNARDINI, Reforming Investor-State

Dispute Settlement. The Need to Balance both Parties’ Interests, ICSID Rev. - FILJ, 2017, 38.(23) EU’s proposal for Investment Protection and Resolution of Investment Disputes del

12 Novembre 2015, disponibile su: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6059_en.htm.(24) European Parliament Resolution, approvata dalla sezione plenaria dell’8 luglio 2015,

contenente le raccomandazioni del Parlamento Europeo alla Commissione Europea (CE) sulnegoziato del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) (2014/2228(INI)).

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investimento ritenuto contrario ai propri interessi. Si tratta di uno svi-luppo caratterizzato dal fatto che alle iniziative arbitrali di investitori dipaesi esportatori di capitali contro Stati importatori si è venuto progres-sivamente affiancando un gran numero di domande di arbitrato da partedi investitori dei più diversi Stati nei confronti di paesi esportatori dicapitali, tra cui appunto la Francia e la Germania (25). Questo sviluppo hainteressato anche altri Stati membri dell’UE, quali la Spagna e l’Italia,convenuti ad oggi in oltre quaranta procedimenti di arbitrato in materia dirisorse energetiche alternative i quali, peraltro, non hanno espresso av-versione nei confronti del sistema ISDS. Gli Stati che hanno manifestatotale avversione hanno forse omesso di considerare che la bilateralità omultilateralità propria dei trattati per la protezione dell’investimento nonpoteva non originare nel tempo questo diverso sviluppo nell’iniziativaarbitrale date le profonde modifiche nell’assetto politico ed economico dimolti dei paesi sino a quel momento destinatari dell’investimento stra-niero e, quindi, nei rapporti di forza a livello internazionale.

La proposta dell’UE è stata sinora recepita da due trattati, il Com-prehensive Economic and Trade Agreement (CETA) tra l’UE e il Canada,firmato nell’ottobre del 2016, e il Free Trade Agreement tra l’UE e ilVietnam, il cui testo è stato pubblicato nel febbraio 2016. Nessuno dei duetrattati è ancora in vigore in attesa dell’approvazione dei vari organicompetenti compreso, per l’UE, il Parlamento dei 27 Stati membri per laparte di questi trattati che eccede le competenze comunitarie (26).

11. Tralasciando le ragioni essenzialmente politiche alla base dellaproposta dell’UE, come quella appena ricordata, conviene esaminare irilievi critici mossi al sistema tradizionale di soluzione delle controversie inmateria di investimento per giustificarne l’abbandono. Le critiche risul-tano da documenti comunitari (27) che consentono di ricostruire gli obiet-tivi della riforma come segue:

(25) Dopo che, per la prima volta, la Germania è stata convenuta in arbitrato nel casoVattenfall (Vattenfall AB and others v. Federal Republic of Germany, ICSID Case No. ARB/12/12, tuttora pendente), il Ministro tedesco per il Commercio Gabriel ha preso posizionecontro l’ISDS: European Federation for Investment Law and Arbitration (EFILA), TASKFORCE PAPER regarding the proposed International Court System dated 1-2-2016, 10. Sul casoVattenfall v. ASA Bullettin, 2015, 477. Su questo inatteso sviluppo si veda L. RADICATI DI

BROZOLO, Where is Investor-State Arbitration Heading? Reflections on the Debate over EUInvestor Protection Agreements, International Arbitration under Review-Essays in honor ofJohn Beechey, ICC Publication No. 772E, 2015, p. 335; BERNARDINI, Reforming Investor-StateDispute Settlement (fn. 21), 8.

(26) Tra cui è il sistema di soluzione delle controversie, come deciso dalla Corte digiustizia europea con il parere del 16 maggio 2017 relativo al trattato di libero scambio tra la UEe Singapore, da ritenere applicabile anche agli altri trattati.

(27) Tra questi sono: European Commission, Inception Impact Assessment, [1.08.2016]:http://ec.europa.eu/smartregulation/roadmaps/index_en.htm, nonché EC Concept Paper (Inve-stment in TTIP and beyond-the path for reform), 2015, third bullet point. http://trade.ec.euro-pa.eu/doclib/html/153408.htm.

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(i) salvaguardare il diritto degli Stati di regolamentare aspetti diprevalente interesse pubblico;

(ii) assicurare la coerenza e prevedibilità delle decisioni grazie aldoppio grado di giudizio;

(iii) dare agli Stati, non agli arbitri, il controllo finale sull’interpre-tazione del trattato;

(iv) assicurare la massima trasparenza del procedimento arbitrale;(v) adottare un codice di condotta per garantire il rispetto di regole

etiche e professionali da parte dei membri dell’ICS;(vi) evitare procedure parallele presso corti statali;(vii) prevenire pratiche abusive degli investitori, quale il “forum

shopping”;(viii) applicare il principio per cui “chi perde paga”.

Sempre come motivazione alla base del superamento dell’ISDS alcunidi questi documenti richiamano la “perceived insufficient legitimacy, neu-trality and transparency of the ISDS system” (28). Conviene esaminarequeste varie critiche non certo in nome di una apodittica difesa dell’im-mutabilità dell’attuale sistema, evidenti essendo — e messi in rilievo davarie fonti, dottrinali e non — i suoi difetti (29). Ciò su cui è utile riflettereè se i difetti del sistema tradizionale siano tali da giustificare il suo totaleabbandono a favore dell’ICS, anch’esso, come vedremo, non esente darilievi critici importanti. Limitando l’esame a quelle che appaiono lecritiche più severe, si verificherà come le stesse siano anche le menomotivate.

12. Così è per la “percepita” (“perceived”) assenza di neutralità delsistema, intesa, come si ricava da dichiarazioni e documenti dell’UE, comeposizione degli arbitri ritenuta prevalentemente favorevole all’investitoreprivato (“pro-investor biased”), contraria quindi all’interesse dello Stato.A confutare questo giudizio sono sufficienti i dati statistici offerti dalle dueistituzioni che amministrano la grande maggioranza di questi arbitrati,l’ICSID e la PCA (30). Circa l’esito delle controversie amministrate in basealla Convenzione di Washington ed alle ICSID Additional Facility Rules idati relativi ai 597 casi risolti dall’inizio sino al 31 dicembre 2016 segnalanoche la maggioranza delle sentenze arbitrali è stata favorevole agli Stati peril 55% a fronte di decisioni pro-investitori per il 45% dei casi (31). Quantoalla PCA, analoghi dati statistici relativi ai 57 casi decisi tra il 2007 e il 2017

(28) Commissione Europea, Inception Impact Assessment, cit., 2.(29) Si tornerà su questo tema nelle conclusioni.(30) La Permanent Court of Arbitration (PCA), con sede all’AJA, amministra arbitrati in

materia di investimento là dove sono applicabili le Regole arbitrali dell’UNCITRAL.(31) ICSID Caseload-Statistics (Issue 2017-1), 14 https://icsid.worldbank.org/en/Pages/

resources/ICSID-Caseload-Statistics.aspx.

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indicano la prevalenza dello Stato per il 65% dei casi (32). Questo risultatonon fa venire meno il problema dell’effettiva neutralità degli arbitri in unsistema che vede, come è la regola per l’arbitrato commerciale interna-zionale, ciascuna parte nominare un arbitro per poi d’accordo, o con altrometodo, scegliere il presidente del tribunale arbitrale. Sistema a favore delquale si sottolinea da più parti come esso esalti l’autonomia della volontàdelle parti, ritenuta caratteristica essenziale dell’arbitrato. È evidentecome questo metodo di scelta si presta a deviazioni rispetto alla regoladella totale indipendenza di ogni arbitro, quale che sia la fonte dellanomina. Diversamente dal sistema ISDS, i membri delle due corti in checonsiste l’ICS, di cui alla proposta dell’UE, sono tutti nominati a seguitodella scelta operata da una commissione composta da rappresentanti degliStati parti del trattato senza alcuna partecipazione dell’altra parte in lite,l’investitore privato, e sono remunerati con un compenso mensile (“retai-ner fee”) stabilito dalla stessa commissione. Solo l’esperienza applicativapotrà confermare quanto questa dipendenza sia per la nomina che eco-nomica potrà condizionare l’indipendenza dei membri delle due corti, nonsolo effettivamente ma in quanto “percepita” come tale. Autorevolicommentatori hanno segnalato come questa dipendenza comporta il ri-schio che siano scelte personalità “pro-State biased” e che quindi sia messain dubbio la legittimità della composizione dell’ICS e, quindi, delle suedecisioni (33).

13. La critica relativa all’assenza di trasparenza dell’ISDS omette diconsiderare che la riservatezza (“confidentialiy”) è tuttora comunementeconsiderata altro dato caratterizzante il sistema arbitrale in contrapposi-zione alla pubblicità della giustizia statale. I più diffusi regolamenti diarbitrato, quali quelli della LCIA, della Stockholm Chamber of Commerceo le Swiss Rules, prevedono l’obbligo di riservatezza a carico delle parti edegli arbitri (34). Anche il sistema della Convenzione di Washingtonrichiede la riservatezza all’arbitro al momento della conferma dell’incaricocon riguardo a vari aspetti, tra cui assume rilievo il divieto di pubblica-zione della sentenza arbitrale se manca l’accordo delle parti. Il sistematradizionale ha peraltro da tempo recepito l’esigenza di una maggiore

(32) Comunicazioni tra la PCA e lo scrivente in data 13 giugno 2017.(33) KAUFMANN-KHOLER-POTESTÀ, Challenges on the road toward a multilateral investment

court, Columbia Center on Sustainable Development, 5 giugno 2017: “A crucial challenge liesin the composition of the new court. The appointment process must ensure the selection ofimpartial and independent decision-makers with expertise and experience in the field, througha transparent process unaffected by political considerations. How to achieve this? Some thinkthat appointment made only by states entail the risk that “pro-state” individuals be selected;others consider that at least some states will view themselves as both potential respondents andhome countries of prospective claimants and thus choose balanced personalities”.

(34) Un obbligo che la Spagna sancisce nella legge sull’arbitrato del 2003.

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trasparenza per l’arbitrato in materia di investimento considerato l’inte-resse pubblico derivante dalla presenza dello Stato come parte del conte-zioso. Proprio per rispondere a questa esigenza l’UNCITRAL ha, sin dal2014, approvato le “Rules on Transparency in Treaty-based investor Statearbitration”, cui ha fatto seguito la Convenzione Mauritius del 2015 sullostesso tema. Queste regole disciplinano la pubblicazione di informazioni edocumentazione relative al procedimento arbitrale, la presentazione dimemorie da parte di terzi e la pubblicità delle udienze. Un appositoarticolo della Convenzione di Washington (35) disciplina le condizioni perl’intervento nel procedimento arbitrale di terzi in qualità di “amici curiae”.La critica relativa alla mancata trasparenza dell’ISDS appare quindiscarsamente motivata.

14. Occorre esaminare da ultimo il tema che è stato maggiormenteutilizzato dalla Commissione europea per giustificare l’abbandono delsistema ISDS, l’asserita eccessiva tutela dell’investitore quanto alla pro-tezione del proprio investimento, tale da produrre una sorta di “chillingeffect” sul potere regolamentare dello Stato. In un tentativo di necessariasintesi si può sostenere che la fase delle decisioni arbitrali che hannostabilito che la modifica del sistema giuridico dello Stato (il cd. “legalframework”) costituiva violazione delle “legitimate expectations” dell’inve-stitore quale parte del “fair and equitable treatment” a lui garantito daltrattato, con conseguente condanna dello Stato al risarcimento del danno,è ormai superata. Una serie di decisioni ha coerentemente affermato chequesta particolare protezione dell’investimento non sussiste se non inpresenza nel trattato di una clausola di stabilizzazione o ove sussiste unpreciso impegno assunto dall’autorità competente nei confronti di undeterminato investitore. Da tempo ormai molte decisioni hanno ricono-sciuto la legittimità del potere dello Stato di regolamentare problemicoinvolgenti preminenti interessi pubblici, quali la sicurezza interna, l’am-biente o la salute dei cittadini (36), sempreché una tale regolamentazionenon sia discriminatoria e risulti proporzionata nei suoi effetti rispetto agli

(35) Convenzione di Washington, Rule 37(2): “After consulting both parties, the Tribu-nal may allow a person or entity that is not a party to the dispute (in this Rule called��

non-disputing party’’) to file a written submission with the Tribunal regarding a matter withinthe scope of the dispute. In determining whether to allow such a filing, the Tribunal shallconsider, among other things, the extent to which: (a) the non-disputing party submission wouldassist the Tribunal in the determination of a factual or legal issue related to the proceeding bybringing a perspective, particular knowledge or insight that is different from that of thedisputing parties; (b) the non-disputing party submission would address a matter within thescope of the dispute; (c) the non-disputing party has a significant interest in the proceeding. TheTribunal shall ensure that the non-disputing party submission does not disrupt the proceedingor unduly burden or unfairly prejudice either party, and that both parties are given anopportunity to present their observation on the non-disputing party submission”.

(36) Negli USA si parla al riguardo di “police powers” dello Stato.

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obiettivi perseguiti. Secondo queste decisioni la legittimità di una taleregolamentazione esclude ogni obbligo di indennizzo dello Stato anche làdove, per i suoi effetti, essa risulti limitare o, al limite, escludere i dirittidell’investitore garantiti dal trattato.

L’esistenza del potere regolamentare dello Stato (37) ha trovato rico-noscimento in una serie di decisioni arbitrali soprattutto in materia ditutela della salute pubblica (38). L’ultima sentenza in ordine di tempo,quella nel caso Philip Morris v. Uruguay dell’8 luglio 2016, ha affermatoche

“a consistent trend in favour of differentiating the exercise of police powersfrom indirect expropriation emerged after 2000. During this latter period, a rangeof investment decisions have contributed to develop the scope, content andconditions of the State’ police powers doctrine anchoring it in international law.”

Questa sentenza ha riconosciuto che le misure adottate dall’Uruguayper limitare il consumo del tabacco a tutela della salute dei propri cittadinisono legittime e, pertanto, non originano alcun obbligo di indennizzo acarico dello Stato anche se limitano l’accesso al mercato del produttore ditabacco. Confutando la posizione dell’UE circa il “chilling effect” delpotere regolamentare dello Stato che sarebbe prodotto dal sistema ISDS,la sentenza ha confermato l’ormai chiara tendenza delle decisioni arbitralial riconoscimento pieno di questo potere.

Anche per questa parte, quindi, la critica della Commissione europeada cui ha preso le mosse il progetto di riforma risulta carente di uneffettivo fondamento anche per non avere tenuto conto del diversoorientamento intervenuto nel tempo ad opera delle decisioni in materiacui è stato fatto riferimento. Tra l’altro, il riconoscimento del potereregolamentare dello Stato, ora espresso da disposizioni del CETA edall’Accordo di libero scambio con il Vietnam, è intervenuto propriograzie all’affermazione di tale potere in vari atti internazionali, quali iModel BITs statunitensi e canadesi del 2004 e del 2012, il Model BITindiano del 2015 e vari altri trattati bilaterali e multilaterali oltreché aseguito delle decisioni del sistema ISDS di cui si è appena detto.

15. Due le conclusioni che si possono trarre da questa analisi. Laprima attiene al fatto che il progetto dell’UE, del tutto legittimo in quantorientrante nei poteri conferiti dal Trattato di Lisbona del 2009 per la

(37) Riconosciuta in rapporti di organizzazioni internazionali, quale il rapporto dell’O-ECD su “The Right to Regulate in International Investment” del 2004.

(38) Téhnicas Medioambientales Tecmed, S.A. v. United Mexican States, Sentenza del 29maggio 2003, para. 119; Methanex Corporation v. United States of America, Sentenza del 3agosto 2005, para. 7; Saluka Investments B.V. (the Netherlands) v. Czech Republic, Sentenzaparziale del 17 marzo 2006, paras. 255, 260, 262; Chemtura Corp. v. Government of Canada,Sentenza del 2 agosto 2010, para. 266.

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disciplina dei “foreign direct investments” come parte di una “CommonCommercial Policy”, incluso il potere di negoziare accordi di investi-mento, ha alla sua base motivazioni essenzialmente politiche e solo inparte carenze del sistema tradizionale di composizione delle controversiein questa materia. Tra l’altro, l’ICS, aspetto centrale del progetto, nonmanca di sollevare una serie di importanti quesiti, quali:

— come possa l’UE che, non essendo uno Stato, non è parte dellaConvenzione di Washington, essere parte di un contenzioso al quale èapplicabile questa Convenzione;

— ove questa Convenzione sia applicabile, come sia compatibilel’appello previsto dalla proposta UE con la sua decisa esclusione nellaConvenzione di Washington con una disposizione (39) che è parte inte-grante di un sistema fondato sulla definitività (“finality”) della sentenzaarbitrale;

— data la sua incerta natura, se o meno organo “arbitrale”, se possaessere data esecuzione ad una decisione dell’ICS in base alla Convenzionedi New York relativa, come noto, alla esecuzione solo di sentenze arbitralistraniere.

La seconda conclusione è che varie delle carenze dell’ISDS vedono datempo in atto riforme di singoli aspetti del sistema. Così è per la maggioretrasparenza del procedimento arbitrale o per la più rigorosa formulazionedi vari standards di protezione dell’investimento, perseguita e già in parterealizzata dai più recenti trattati. Altre riforme potranno intervenireponendo mano ai regolamenti arbitrali richiamati dai trattati al fine diadeguarne le disposizioni alle nuove esigenze poste dall’esperienza pra-tica, accogliendo tra l’altro l’opportunità di una diversa valutazione ditaluni dei principi ritenuti sinora come caratterizzanti l’arbitrato in gene-rale, quale l’autonomia delle parti riflessa dal metodo di scelta degli arbitrio l’obbligo di riservatezza. A ben vedere le carenze del sistema ISDSoggetto di critica in larga misura trovano fondamento non tanto nel mododi funzionamento del sistema quanto nella predisposizione e formulazionenei vari trattati delle regole legali che il sistema è chiamato ad applicareper realizzare nel contempo la protezione dell’investimento e la tuteladelle prerogative dello Stato. Al di là quindi delle modifiche del sistema,di cui si è appena fatto cenno, sono le disposizioni dei trattati con cuivengono definiti gli standards di protezione dell’investimento privato chedevono limitare la discrezionalità dell’arbitro nella loro applicazione

(39) Convenzione di Washington, Articolo 53(1): “The award shall be binding on theparties and shall not be subject to any appeal or to any other remedy except those provided forin this Convention. Each party shall abide by and comply with the terms of the award except tothe extent that enforcement shall have been stayed pursuant to the relevant provisions of thisConvention”.

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attraverso una più chiara e rigorosa formulazione (40). Tra l’altro, l’uni-forme formulazione di queste disposizioni nei vari trattati consentirebbeuna migliore coerenza e prevedibilità delle decisioni arbitrali. Non c’èpertanto bisogno di abbandonare un sistema che, pur con le sue carenze,ha contribuito allo sviluppo di quello che è stato definito come il dirittointernazionale degli investimenti.

The difference between commercial and investment arbitration is outlined. Theorigin and development of investment arbitration are also described, starting froman initial phase characterized by arbitration based on a clause of State contractshaving as object the exploration and production of petroleum to then be replaced ina subsequent phase by arbitration based on investment treaties. A critical analysis isconducted of EU proposal to establish an ICS to replace the traditional ISDS systemconcluding that rather than abandoning such a system it would be more appropriateto improve it through more rigorous definitions by new treaties of standards oftreatment of investment and by amending applicable arbitration rules.

(40) È il caso di uno degli standards più diffusi, il “fair and equitable treatment” con lacomponente delle “legitimate expectactions” dell’investitore.

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Tutela giurisdizionale dei diritti degli arbitri alcompenso ed al rimborso delle spese

MARTINO ZULBERTI (*)

1. Oggetto e programma dell’indagine. — 2. I soggetti solidalmente obbligati versogli arbitri al pagamento del compenso ed al rimborso delle spese. — 3. Ladeterminazione delle quote nei rapporti interni. — 4. Gli accordi sul compenso esulle spese. — 5. La determinazione del compenso e delle spese da parte degliarbitri. — 6. Il procedimento speciale ex art. 814, comma 2, c.p.c. — 7. Il dibattitosulla natura del procedimento speciale. — 8. (Segue) Critica alla tesi negoziale. —9. La sfera della cognizione del giudice adito ex art. 814 c.p.c. — 10. Il rapporto fraprocedimento speciale e altre forme di tutela. Premessa. — 11. (Segue)... alla lucedella tesi che riconduce il procedimento ex art. 814 c.p.c. alla categoria deiprocedimenti semplificati-sommari-esecutivi. — 12. (Segue) La soluzione adottata.— 13. L’impugnazione del provvedimento reso nell’ambito del procedimento exart. 814, comma 2, c.p.c. — 14. L’applicabilità del rito speciale ai diritti degli arbitriirrituali.

1. L’art. 814 c.p.c., al primo comma, riconosce in capo agli arbitri idiritti al compenso per l’opera prestata ed al rimborso delle spese e, alsecondo comma, prevede un rito speciale per le controversie relative allaloro liquidazione. È questa una disciplina che è stata oggetto di moltequestioni interpretative, che hanno ricevuto soluzioni divergenti ed inrelazione alle quali altalenanti sono stati gli indirizzi della giurisprudenza.Uno studio che si confronti con questo dibattito appare dunque utile inuno scenario che si caratterizza per la quasi totale assenza di punti fermi.

L’indagine sarà sviluppata seguendo tre principali direttive.In primo luogo, si cercherà di chiarire, quale necessaria premessa, chi

siano i soggetti obbligati verso gli arbitri, come siano disciplinati i rapportiinterni fra essi e quali siano le modalità attraverso cui l’ammontare deidiritti degli arbitri possa essere determinato in via negoziale, vuoi diret-tamente fra arbitri e parti, vuoi attraverso l’intervento di un terzo (1).

(*) Professore a contratto nell�Università di Milano-Bicocca.(1) Cfr. §§ 2, 3, 4, 5.

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In secondo luogo, ci si interrogherà sulla natura e sull’oggetto delprocedimento speciale previsto dall’art. 814, comma 2, secondo periodo,c.p.c., con l’obiettivo di determinarne il rapporto con le forme ordinarie ditutela dei diritti e di individuare i rimedi esperibili avverso il provvedi-mento del giudice reso a conclusione dello stesso (2).

Infine, meriterà brevemente domandarsi se i risultati raggiunti sianoestensibili all’arbitrato irrituale (3).

2. Come accennato, i diritti al compenso ed al rimborso delle spesetrovano fondamento nell’art. 814, comma 1, c.p.c. (4), che li riconosce incapo agli arbitri, salvo non vi abbiano rinunciato al momento dell’accet-tazione dell’incarico o con atto scritto successivo; diritti che sono collegati« all’opera prestata », desumendosi da ciò che si tratta, in caso di collegioarbitrale, di autonomi diritti in capo a ciascun arbitro (5).

L’obbligazione di pagamento viene poi posta in capo alle parti in viasolidale dal medesimo art. 814, comma 1, c.p.c. Ciò che però la disposi-zione non chiarisce è quali siano le parti cui viene fatto riferimento.Troppo facilmente si dà per scontata l’idea che siano quelle del procedi-mento arbitrale (6), quando vi è ragione invece quantomeno di chiedersi senon siano piuttosto quelle che concludono con gli arbitri il contratto diarbitrato: va infatti escluso che fra queste e quelle del procedimentoarbitrale vi sia una necessaria coincidenza, potendo le seconde non esserealtresì parte del contratto di arbitrato.

Sia sufficiente considerare che, affinché le parti dell’arbitrato risultinovincolate al contratto di arbitrato, è necessario, sulla base dei principigenerali, che le stesse manifestino una volontà in tal senso, proprio come

(2) Cfr. §§ 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.(3) Cfr. § 14.(4) Va ritenuto che la norma trovi applicazione con riferimento sia agli arbitrati ad hoc,

sia a quelli amministrati. Una parte della dottrina ha per contro sostenuto che, negli arbitratiamministrati, l’obbligazione al pagamento del compenso e delle spese degli arbitri graverebbesull’istituzione arbitrale che abbia nominato gli arbitri, la quale sarebbe titolare di un’azione diregresso nei confronti delle parti (M. RUBINO-SAMMARTANO, Diritto dell’arbitrato. Disciplinacomune e regimi speciali, I, 6ª ed., Padova, 2012, 914) ovvero si sarebbe di fronte all’assunzionein capo all’istituzione dell’onere economico relativo al compenso degli arbitri, in applicazionedell’art. 1273 c.c. disciplinante l’accollo (E.F. RICCI, Note sull’arbitrato « amministrato », in Riv.dir. proc., 2002, 7). L’opinione prevalente nega però la sussistenza di un obbligo di pagamentoin capo all’istituzione arbitrale: cfr. F. TIZI, I costi del processo arbitrale, in Giusto proc. civ.,2008, 585; V. VIGORITI, La “frequente evenienza”, cit., 600; A. RIBERTI, Gli arbitri: composizionedel collegio, qualificazione, rapporto con le parti e le istituzioni, in G. IUDICA (a cura di), Appuntidi diritto dell’arbitrato, 2ª ed., Torino, 2012, 120. Conf., in giurisprudenza, Trib. Cagliari, 18maggio 2008, in questa Rivista, 2009, 493, con nota di C. SILVESTRI, La legittimazione ad agire peril pagamento degli onorari degli arbitri in caso di arbitrato amministrato.

(5) G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, 3ª ed., Milano, 1988, 400. In giurisprudenza, cfr.Cass. 24 aprile 2008, n. 10676; Cass. 29 novembre 2007, n. 24919; Cass. 26 maggio 2004, n. 10141;Cass. 25 novembre 1993, n. 11664.

(6) Cass. 19 maggio 2000, n. 6513.

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gli arbitri la manifestano con l’accettazione dell’incarico prevista dall’art.813 c.p.c., che si ritiene divenga vincolante quando pervenuta a cono-scenza delle parti, secondo il disposto dell

�art. 1326 c.c. (7). La sola

circostanza che un soggetto assuma la qualità di parte di un procedimentoarbitrale non fa presumere infatti la volontà a vincolarsi contrattualmentecon gli arbitri.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui un soggetto, estraneo all’ac-cordo compromissorio e convenuto in sede arbitrale, ritenga di nonnominare il proprio arbitro e non prenda parte al procedimento arbitrale.In tal caso va escluso che sorga un qualunque rapporto contrattuale fra lostesso e gli arbitri, eventualmente nominati giudizialmente ex art. 810c.p.c. (8). Ma quand’anche sia convenuto un soggetto vincolato alla con-venzione di arbitrato non è automatico che, per il solo fatto di assumerela qualità di parte, risulti altresì contrattualmente legato agli arbitri, seabbia omesso di manifestare, espressamente o semmai implicitamente, lapropria volontà in tal senso.

L’art. 814, comma 1, c.p.c., nella parte in cui individua i soggettiobbligati verso gli arbitri, va in realtà letto alla luce della prima parte delmedesimo comma, la quale fa un implicito, ma chiaro riferimento alcontratto di arbitrato, laddove stabilisce che gli arbitri possano rinunciareai loro diritti al momento dell’accettazione o con atto ad essa successivo.È perciò ragionevole sostenere che le parti obbligate solidalmente alpagamento verso gli arbitri, menzionate nella seconda parte del comma inesame, siano proprio quelle vincolate in base a tale rapporto contrat-tuale (9).

(7) L. SALVANESCHI, Arbitrato, in S. CHIARLONI (a cura di), Commentario del codice diprocedura civile, Bologna, 2014, 274.

(8) In quest’ordine di idee sembra porsi, quanto meno implicitamente, anche F.P. LUISO,Diritto processuale civile, 9ª ed., Milano, 2017, 195, laddove, nell’interrogarsi se il convenuto chenon prende parte attiva al processo arbitrale ed omette dunque di sollevare l’eccezione di nondecidibilità nel merito della domanda per invalidità della convenzione di arbitrato possa vedersiprecluso, alla luce dell’art. 817 c.p.c., il potere di far valere tale eccezione in sede di impugna-zione di nullità del lodo, conclude in senso negativo, in quanto non sarebbe accettabileobbligare la parte chiamata in arbitrato a difendersi in tale sede, osservando che « prendendoparte attiva al processo arbitrale, l’interessato diverrebbe coobbligato solidale per il pagamentodegli onorari degli arbitri ».

(9) Nella prospettiva di cui al testo va condivisa l’affermazione per la quale, in caso disuccessione a titolo particolare nel diritto controverso, l’estromissione del dante causa o delsuccessore universale richiede — benché in tal senso nulla preveda l’art. 111 c.p.c., applicabileall’arbitrato in forza del richiamo operato dall’art. 816-sexies c.p.c. — il consenso degli arbitri,i quali infatti potrebbero avere interesse a mantenere la garanzia per il pagamento delle propriecompetenze: cfr. C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., Padova, 2012, 136. Talesoluzione è stata giustificata sul rilievo per cui, benché il successore intervenuto sarebbe tenutoal pagamento per l’attività posteriore all’estromissione, quest’ultimo potrebbe non esseresolvibile e, dunque, dovrebbe essere respinta la possibilità che gli arbitri si trovino in unasituazione che, se conosciuta, avrebbe potuto influire sulla scelta di accettare o meno l’incarico:cfr. G.F. RICCI, sub art. 816 sexies, in F. CARPI (a cura di), Arbitrato, 3ª ed., Bologna, 2016, 562.A mio avviso, vi è forse da dubitare che il successore a titolo particolare sia tenuto al pagamento

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3. Come si è detto nel paragrafo che precede l’obbligazione dipagamento è solidale (10): ciò significa che gli arbitri — se non rinuncianoalla solidarietà nei confronti di tutti i coobbligati (11) — possono richie-dere e agire per il pagamento dell’intero anche solamente nei confronti diun condebitore (12), fermo il diritto della parte che ha pagato di agire inregresso nei confronti del coobbligato solidale.

Le modalità attraverso le quali, nei rapporti interni, vanno ripartite lequote dipende dal fatto che le parti obbligate abbiano o meno regolamen-tato il profilo.

Se le quote sono predeterminate nulla quaestio: tale previsione rego-lerà i limiti entro cui il regresso può essere esercitato.

In assenza di tale determinazione consensuale, si pone invece ilproblema di stabilire se gli arbitri possano, con il lodo, ripartire le quotefra le parti.

La soluzione è senz’altro affermativa se sia stato convenuto, ancheattraverso il richiamo ad un regolamento arbitrale, che gli arbitri provve-dano alla ripartizione dei costi dell’arbitrato, rientrando una siffattaregolamentazione nei poteri delle parti di determinare lo svolgimento delprocedimento ex art. 816 bis c.p.c. (13).

Qualora manchi, invece, una tale previsione pattizia, la risposta, nelsilenzio del codice, è incerta (14). Si discute infatti se la regola victus

dell’attività successiva al suo intervento, qualora non succeda anche nel contratto di arbitratocon gli arbitri. In senso contrario, però, non ritenendo necessario il consenso anche degli arbitriall’estromissione, cfr. M. BOVE, La giustizia privata, 3ª ed., Padova, 2015, 163; F.P. LUISO, Dirittoprocessuale civile, V, 9ª ed., cit., 187; G. LIPARI, sub art. 816-quinquies, in B. CAPPONI, A.BRIGUGLIO (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, Padova, 2009, 798 s.

(10) L’esclusione dell’applicazione del principio di solidarietà è invece prevista conriferimento al c.d. arbitrato forense di cui all’art. 1, d.l. n. 132/14 conv. con modificazioni in l. n.162/14, il quale prevede, al comma quinto, che « non si applica l’articolo 814, primo comma,secondo periodo, del codice di procedura civile », escludendo dunque il principio di solidarietàprevisto da tale norma, a favore della parziarietà dell’obbligazione. Ciò significa che ciascunaparte risponde per la propria quota: cfr. V. VIGORITI, Il “trasferimento” in arbitrato: l’inizio diun’inversione di tendenza, § VI, in www.giustiziacivile.com; conf. C. DI SALVO, Trasferimento insede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria, in F. SANTANGELI (a curadi), La nuova riforma del processo civile. Degiurisdizionalizzazione, processo e ordinamentogiudiziario nel d.l. 132/2014 convertito in l. 162/2014, Roma, 2015, 35.

(11) La solidarietà è sempre rinunciabile da parte del creditore ex art. 1311 c.c., fermorimanendo che la remissione della solidarietà concessa ad un condebitore lascia in vita l’azionein solido del creditore verso gli altri per l’intero debito: cfr., per tutti, S. BALBUSSO, Il regressonella solidarietà debitoria, Milano, 2016, 504 ss. La norma testé richiamata disciplina senz’altroanche le obbligazioni nei confronti degli arbitri: cfr. Cass. 27 gennaio 2015, n. 1454.

(12) L’opinione prevalente ritiene infatti che le azioni in materia di obbligazioni solidalinon siano assoggettate a litisconsorzio necessario: cfr., per tutti, U. COREA, Obbligazioni solidalie giusto processo, Napoli, 2012, 41 ss.

(13) V. VIGORITI, Regole e tendenze in tema di liquidazione degli onorari degli arbitri, inGiur. it., 2008, 519.

(14) A differenza di alcuni ordinamenti stranieri i quali prevedono il potere degli arbitridi ripartire fra le parti i costi dell’arbitrato: cfr. § 1057 ZPO tedesca; § 609 ZPO austriaca; s. 42Swedish Arbitration Act; art. 384, comma 1, lett. f) c.p.c. svizzero.

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victori, codificata all’art. 91 c.p.c., trovi applicazione in arbitrato; ma ilquesito è più ampio, potendosi chiedere se trovino applicazione anche itemperamenti ad esso previsti al successivo art. 92 c.p.c. Questioni, queste,che si collocano peraltro in seno al più ampio dibattito se le norme delcodice di rito si estendano all’arbitrato.

E, dunque, chi nega spazio in arbitrato alle norme codicistiche loesclude anche per quelle in tema di spese (15). Se, però, come sembrapreferibile, talune di esse possono comunque trovare applicazione inarbitrato in via di applicazione analogica (16), vi è margine per sostenerel’applicabilità dell’art. 91 c.p.c., così come quella delle deroghe previstedall’art. 92 c.p.c.; norme infatti compatibili con l’arbitrato (17).

La condanna alle spese di lite ad opera degli arbitri va però adattataal contesto in cui avviene. L’art. 91 c.p.c. stabilisce che il giudice, oltre aporre le spese in capo al soccombente, procede anche alla liquidazionedelle stesse. In tal senso perciò provvedono anche gli arbitri, ma con unalimitazione: essi non potranno liquidare, con effetto vincolante, l’ammon-tare del proprio compenso e spese (18). A ciò osta infatti l’art. 814, comma2, c.p.c., a mente del quale una siffatta liquidazione, quand’anche conte-nuta nel lodo, ha effetto di mera proposta. Ma si tornerà oltre sulpunto (19).

Il capo relativo alle spese è invece vincolante sotto il profilo dellaripartizione delle stesse nell’ambito del giudizio di regresso promosso dalcoobbligato che abbia pagato gli arbitri (20), sempreché tale capo non

(15) M. BOVE, La giustizia privata, cit., 96.(16) F.P. COMOGLIO, Note sulla determinazione della sede e sulle regole processuali

nell’arbitrato, in questa Rivista, 2003, 691.(17) Nel senso dell’applicabilità non solo dell’art. 91 c.p.c., ma anche della disciplina di

cui agli articoli seguenti, cfr. V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, 3ª ed.,Napoli, 1964, 818; G.F. RICCI, sub art. 816 septies, in F. CARPI (a cura di), Arbitrato, 3ª ed.,Bologna, 2016, 566. In senso contrario, però, all

�applicabilità dell

�art. 91, comma 1, secondo

periodo, c.p.c., laddove prevede che, se la domanda è accolta in misura non superioreall

�eventuale proposta conciliativa, la parte che la ha rifiutata senza giustificato motivo è

condannata al pagamento delle spese maturate dopo la formulazione della proposta, cfr. E.ZUCCONI GALLI FONSECA, Diritto dell’arbitrato, Bologna, 2016, 461.

(18) Una parte della dottrina ha perciò affermato che si sarebbe di fronte ad unfenomeno non dissimile da quello della condanna generica, ravvisandosi il completamento dellastatuizione di condanna alle spese pronunciata dagli arbitri con il provvedimento reso nelgiudizio di liquidazione ex art. 814 c.p.c.: cfr. A. GUALANDI, Spese e danni nel processo civili,Milano, 1962, 231. Tale costruzione, tuttavia, non appare condivisibile in quanto il giudizio exart. 814 c.p.c. ha ad oggetto diritti, la cui sussistenza non è accertata nell’an dalla pronuncia sullespese del lodo, riguardando il rapporto fra gli arbitri e le parti obbligate nei loro confronti,mentre il capo relativo alla condanna alle spese attiene ai rapporti fra le parti dell’arbitrato.

(19) Cfr. infra, § 4.(20) A. BRIGUGLIO, sub art. 814, in A. BRIGUGLIO, E. FAZZALARI, R. MARENGO, La nuova

disciplina dell’arbitrato. Commentario, Milano, 1994, 81; M. RUBINO-SAMMARTANO, Il dirittodell’arbitrato, I, cit., 914; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, 2ª ed., Padova, 2012, 617.In senso divergente sembra indirizzata una parte della giurisprudenza, la quale afferma che nonsarebbe vincolante non solo la determinazione ad opera degli arbitri dell’entità dei propricompensi e spese, ma anche l’imputazione degli stessi fra le parti: cfr. Cass. 1 settembre 1997,

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venga meno a seguito della decisione su un’eventuale impugnazione (21).Se, invece, il lodo omette di pronunciarsi sul punto, salvo venga propostaimpugnazione (22), il coobbligato che abbia pagato gli arbitri potrà riva-lersi in via di regresso ex art. 1299 c.c. e le quote saranno da presumersiuguali (23), in applicazione del disposto dell’art. 1298, comma 2, c.c.,dettato in tema di responsabilità solidale.

La condanna del soccombente alle spese permetterà alla parte vitto-riosa di recuperare quanto pagato agli arbitri a prescindere dalla sussi-stenza dell’obbligo di pagamento del soccombente nei confronti degliarbitri (24). Diversamente, in assenza di statuizione sulle spese, quandouna delle parti non è contrattualmente responsabile verso gli arbitri,quanto pagato a questi ultimi da quella obbligata nei loro confronti, nonpotrà essere recuperato dalla prima, neppure parzialmente, non essendovi

n. 8306; Cass. 4 maggio 1981, n. 2702. Conf. 20 febbraio 2004, n. 3383. L’assunto però nonconvince, in quanto finisce per confondere la pronuncia sulla liquidazione e quella sull’impu-tazione: cfr. C. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 621.

(21) Può essere posto l’interrogativo di come vadano ripartiti i costi dell’arbitrato fra leparti a seguito della decisione sull’impugnazione. Se le parti hanno stabilito convenzionalmentela ripartizione dei costi, la corte d’appello che annulli il lodo non potrà ripartire le spesedell’arbitrato difformemente da quanto convenuto fra le parti. Se, invece, hanno trovatoapplicazione in arbitrato gli artt. 91 ss. c.p.c. mi sembra che la ripartizione delle spese di litedipenda dal motivo di accoglimento del lodo. Qualora la corte d’appello proceda alla faserescissoria, la stessa regolamenterà anche le spese del procedimento arbitrale; se la corted’appello si limita invece a quella rescindente, ha senso distinguere in base alla ragione diaccoglimento dell’impugnazione, potendo procedersi al regolamento delle spese in tutti i casi incui in base alla stessa avrebbe potuto individuarsi in sede arbitrale una parte soccombente (adesempio, in caso di domanda proposta in sede arbitrale sulla base di accordo compromissorioinvalido); mentre nulla invece potrà al riguardo essere stabilito dal giudice dell’impugnazione sel’accoglimento non presuppone una soccombenza già in sede arbitrale (ad esempio, quando illodo è stato pronunciato da chi non poteva essere arbitro). Sulla scorta di questa premessa, mipare dunque possibile sostenere che, se sia intervenuto l’annullamento del lodo, il giudizio diregresso sarà regolato dalla convenzione fra le parti, in assenza di essa dalla regolamentazionestabilita dal giudice dell’impugnazione e, qualora questa manchi, dal principio generale inmateria di responsabilità solidale di cui all’art. 1292 c.c., per il quale le quote si presumonouguali.

(22) Il quesito, che merita di essere segnalato, è quale sia il motivo in base al quale puòessere censurato il lodo che abbia omesso di pronunciare sulle spese. Se le parti abbianoespressamente previsto, a pena di nullità, l’applicabilità degli artt. 91 ss. c.p.c., il mancatoregolamento delle spese in conformità a tali norme sembra poter essere dedotto ai sensi dell’art.829, comma 1, n. 7, c.p.c., per non essere state osservate le forme prescritte dalle parti. Se invecenulla le parti abbiano previsto, l’omessa pronuncia in punto di spese potrebbe giustificarel’annullamento del lodo ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 12 c.p.c. per non essersi il lodopronunciato « su alcuna delle domande (...) proposte dalle parti », benché la pronuncia sullespese non costituisca decisione di una vera e propria domanda giudiziale. Inoltre, in talprospettiva, ci si deve ulteriormente domandare, trattandosi di pronuncia che va resa ex officio,se sia necessario, affinché sia integrato siffatto motivo di nullità, che gli arbitri siano statirichiesti di pronunciarsi sulle spese ovvero se esso sia prospettabile a prescindere da unarichiesta delle parti sul punto.

(23) C. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 617; C. CECCHELLA, Il contratto di mandato agliarbitri, in C. CECCHELLA (a cura di), L’arbitrato, Torino, 2005, 132.

(24) Si è infatti cercato di dimostrare che non sempre le parti dell’arbitrato sonocontrattualmente vincolate agli arbitri dal contratto di arbitrato e, dunque, non sempre sonotenute al pagamento dei compensi ed alla rifusione delle spese: cfr. supra, § 2.

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margine per il regresso ex art. 1299 c.c. verso un soggetto che non siacondebitore solidale.

4. L’ammontare del compenso può anzitutto essere concordato frale parti e gli arbitri fin dall’origine.

L’ipotesi più agevole è che, in caso di collegio arbitrale, vengastabilito un corrispettivo per ciascun arbitro, considerato che i diritti inparola competono — come si è detto in apertura (25) — separatamente aciascuno di essi. Se infatti l’accordo intervenisse in ipotesi per un com-penso globale per l’intero collegio arbitrale, si imporrebbe di stabilire laquota di ogni singolo arbitro, in ragione dell’effettiva opera prestata allaquale l’art. 814, comma 1, c.p.c. parametra il diritto al compenso.

L’art. 814, comma 2, c.p.c. disciplina invece l’evenienza in cui manchiun accordo fra parti ed arbitri, stabilendo che questi ultimi, con il lodo ocon atto separato, « provvedono direttamente » a liquidare il propriocompenso e le spese. È però la stessa legge (26) a precisare — evitando cosìil sorgere di dubbi interpretativi (27) — che la liquidazione non è vinco-

(25) Cfr. supra, § 2.(26) È stata in tal modo recepita dal legislatore un’opinione già avanzata nella vigenza

del codice previgente, sotto l’impero del quale si affermava che la liquidazione operata daglistessi arbitri con il lodo non fosse vincolante per le parti: cfr. M. AMAR, Giudizi arbitrali. Studi,2ª ed., Torino, 1879, 270; L. BARBARESCHI, Gli arbitrati, Milano, 1937, 182; E. CUZZERI, Il codiceitaliano di procedura civile, 2ª ed., I, Torino, 1888, 64; P. D’ONOFRIO, Natura ed efficacia delladeterminazione del proprio compenso ad opera degli arbitri, in Riv. dir. proc., 1928, II, 134; E.REDENTI, voce Compromesso, in Nuovo dig. it., Torino, 1938, 510. In senso più restrittivo, però,si registrava anche un indirizzo che riteneva vincolante la liquidazione, quando le parti avesserocon il compromesso attribuito agli arbitri la facoltà di pronunciarsi al riguardo: cfr. App.Venezia 26 luglio 1927, in Mon. trib., 1928, 183 e, in dottrina, S. SATTA, Contributo alla dottrinadell’arbitrato, Milano, 1931, 185. A dispetto di ciò, tuttavia, vi era chi affermava che fossepossibile impugnare la sentenza per nullità ex art. 32, n. 1 c.p.c. del 1865 per essere stata resafuori dai limiti del compromesso; impugnazione però da ritenersi in tal caso proponibile in ognitempo, in ragione dell’inesistenza del relativo capo della sentenza arbitrale: cfr. L. MORTARA,Commentario del Codice e delle Leggi di procedura civile, III, 3ª ed., Milano, 1923, 138. Nonmancava, infine, chi sosteneva la necessità di impugnazione, in mancanza della cui proposizioneil capo con cui gli arbitri avessero condannato le parti a pagare loro gli onorari sarebbediventato incontrovertibile e suscettibile ad essere azionato dagli arbitri in via esecutiva controle parti: cfr. E. CODOVILLA, Del compromesso e del giudizio arbitrale, 2ª ed., Torino, 1915, 269.

(27) L’assenza di una analoga espressa previsione, in altri ordinamenti, ha dato adito aproblemi interpretativi in punto di vincolatività della statuizione degli arbitri sui loro onorari.In Francia, ad esempio, si era fatta strada un’opinione per la quale la pronuncia degli arbitri suipropri compensi sarebbe idonea, in mancanza di impugnazione, ad assumere l’autorità di chosejugée (Trib. Paris, 14 marzo 1984, in Rev. arb., 1985, 177); l’indirizzo prevalente ritiene però chegli arbitri non abbiano il potere di decidere sui propri onorari, ma qualora, a dispetto di ciò, essisi pronuncino al riguardo se per taluno si tratterebbe di una pronuncia « totalement inefficace endroit » (C. JARROSSON, Fixation des honoraires de l’arbitre dans la sentence elle-même et bénéficede l’autorité de la chose jugée, in Rev. arb., 1988, 149) e, dunque, non si tratterebbe neppure diuna statuizione impugnabile (App. Paris 19 dicembre 1996, in Rev. arb., 1996, 121), per altriinvece la statuizione andrebbe trattata come pronuncia resa oltre la convenzione di arbitrato esarebbe quindi necessario ricorrere all’impugnazione per impedire che essa diventi vincolante(J.-F. POUDRET, S. BESSON, Comparative law of international arbitration, 2ª ed., London, 2007,371). In Svizzera, in assenza di una specifica previsione nell’ambito degli arbitrati internazionali,

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lante per le parti (28), costituendo dunque essa una mera proposta (29), lacui accettazione è soggetta ai principi generali in materia contrattuale (30).

Se questa è la premessa, risulta difficile condividere l’idea, sostenutadai più, per la quale sarebbe necessaria l’accettazione di tutti i coobbligati,affermandosi che, se essa provenga da uno solo dei condebitori, nonsarebbe funzionale all’insorgere dell’obbligo di pagamento (31). Infatti, daun lato, tale obbligo sussiste indipendentemente dalla determinazione del

taluno aveva affermato il potere degli arbitri di stabilire i propri compensi, con efficaciavincolante per le parti, ritenendo che ciò rientrerebbe nel potere di disciplinare il procedimentoche l’art. 182, comma 2, LDIP loro conferisce (M. WIRTH, sub art. 189, in S.V. BERTI (a cura di),International Arbitration in Switzerland. An Introduction to and a Commentary on Articles176-194 of the Swiss Private International Law Statute, The Hague, 2000, 563), ma tale opinioneoltre a non essere unanimemente condivisa in dottrina (in senso opposto, infatti, cfr. A. HEINI,sub art. 189, in A. HEINI, M. KELLER, K. SIEHR, F. VISCHER, P. VOLKEN (a cura di), IPRGKommentar. Kommentar zum Bundesgesetz über das Internationale Privatrecht (IPRG) vom 1.Januar 1989, Zürich, 1993, 1573) è stata disattesa dal Tribunale Federale, per il quale lapronuncia rappresenta una mera comunicazione degli arbitri in merito alle loro pretese, privadi qualunque effetto vincolante (DTF 136 III 597).

(28) La scelta del legislatore italiano non era certo obbligata. Vi sono infatti ordinamentiin cui gli arbitri possono rendere una decisione vincolante sui propri compensi, quale quellosvedese, ove è previsto che gli arbitri, con il lodo, possano ordinare alle parti il pagamento delleloro competenze (cfr. s. 37, comma 2 e 41 Swedish Arbitration Act) o quello svizzero, cheprevede, nell’ambito degli arbitrati domestici, che il lodo stabilisca l’importo delle spese diprocedura e che, attraverso l’impugnazione, si possa censurare la quantificazione delle indennitàe delle spese degli arbitri, fissate dal tribunale arbitrale, se manifestamente eccessive (cfr. art.384, comma 1, lett. f) e 393, comma 1, lett. f) c.p.c. svizzero), capo al quale si ritiene troviapplicazione l’art. 387 c.p.c. svizzero, giusta il quale il lodo ha, da quando è comunicato alleparti, gli effetti di una pronuncia esecutiva e passata in giudicato dell’autorità giudiziaria (cfr. T.GÖKSU, Schiedsgerichtsbarkeit, Zürich, 2014, 574).

(29) Cfr., per tutti, V. ANDRIOLI, Commento, IV, cit., 820. Tale proposta, secondo unagiurisprudenza, non sarebbe revocabile e qualora sopravvenga l’accettazione di essa nel corsodel procedimento andrebbe dichiarata la cessazione della materia del contendere: cfr. Cass. 30dicembre 2004, n. 24260. In senso, differente, però cfr. Cass. 25 ottobre 1971, n. 3006, per laquale, nel giudizio di liquidazione del compenso, gli arbitri possono chiedere anche una sommamaggiore rispetto a quella liquidata, con implicita rinuncia, dunque, alla proposta contrattualee, in dottrina, M. BOVE, La giustizia privata, cit., 98.

(30) Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il silenzio, che è di persé inidoneo a valere come manifestazione tacita di volontà sì da integrare consenso, puòassumere tale portata esclusivamente qualora si accompagni a circostanze e situazioni, oggettivee soggettive, che implichino, secondo il comune modo di agire, un dovere di parlare o quando,in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità delle parti e alle loro relazionidi affari, il tacere di una parte possa intendersi come adesione alla volontà dell’altra: cfr. Cass.21 marzo 2008, n. 7697. Per l’applicazione di tale principio alla proposta degli arbitri, cfr. Trib.Frosinone, 13 aprile 2010, in questa Rivista, 2012, 365, con nota di D. GROSSI, Il silenzio comemanifestazione di consenso alla liquidazione del compenso degli arbitri. L’obbligo del compor-tamento in buona fede. In assenza di tali presupposti, si deve ritenere che il silenzio delle partiequivalga a rifiuto della proposta: cfr. L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 319; V. VIGORITI, Regole etendenze in tema di liquidazione, cit., 519.

(31) Cass. 28 marzo 2003, n. 4743; Cass. 11 maggio 1998, n. 4741; Cass., 24 giugno 1994,n. 6108. Conf., in dottrina, L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 318; D. GIACOBBE, Le prestazioni delleparti nel contratto di arbitrato, cit., 714 s.; A. FABBI, sub art. 814, in L.P. COMOGLIO, C. CONSOLO,B. SASSANI, R. VACCARELLA (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, VII, 2,Torino, 2014, 244; C. SILVESTRI, I diritti degli arbitri. L’ordinanza ex art. 814 c.p.c., in G. ALPA,V. VIGORITI (a cura di), L’arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, Torino,2013, 858.

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quantum dovuto, essendo da collegare all’adempimento dell’incarico ar-bitrale; d’altro lato, è previsto che fra creditore e singolo debitore solidalepossano intervenire negozi che incidono sull’intera obbligazione (art. 1304c.c.). Inoltre, è connaturale alla solidarietà la possibilità di distinti accer-tamenti della stessa obbligazione e non si coglie dunque il motivo per cuile parti non potrebbero in via negoziale perseguire un risultato analogo aquello che conseguirebbero a seguito di un accertamento giudiziale.

Non vi sono perciò ragioni per negare che l’accordo sull’ammontaredel compenso possa perfezionarsi fra arbitri e solo alcuni dei coobbli-gati (32): esso semplicemente non vincolerà quelli che a tale accordo nonabbiano aderito, così come essi non sarebbero vincolati, secondo quantodispone l’art. 1304 c.c., da una transazione fra creditore e solo alcune delleparti di essa o da un accertamento giudiziale sull’ammontare del com-penso reso in un giudizio promosso dal creditore nei confronti di un solocoobbligato solidale (33).

5. Ci si può chiedere poi se sia possibile che gli arbitri stabiliscanoessi stessi il proprio compenso.

L’opinione prevalente è infatti in senso negativo, richiamandosi alprincipio nemo iudex in causa propria (34). E si soggiunge che sarebbealtresì precluso agli arbitri decidere sul proprio compenso ancorché leparti abbiano previamente riconosciuto loro tale potere, atteso che, perpotersi obbligare, una parte deve prima conoscere il contenuto dell’ob-bligo (35). Principio, quest’ultimo, che potrebbe trovare deroga solo se talecontenuto fosse previamente conoscibile, come quando gli arbitri siano

(32) G. VERDE, Gli arbitri, in G. VERDE (a cura di), Diritto dell’arbitrato, 3ª ed., Torino,2005, 147.

(33) Si tratta del tema dell’efficacia dell’accertamento nei confronti dei condebitorisolidali che non abbiano preso parte al giudizio in cui esso è stato reso; accertamento che, allaluce dell’art. 1306, comma 1, c.c., non può essere opposto nei confronti dei condebitori rimastiterzi rispetto a tale giudizio, non solo dal creditore che, in separato giudizio agisca contro icondebitori rimasti estranei al primo giudizio, ma anche nel giudizio di regresso fra condebitori:cfr. G. AMORTH, L’obbligazione solidale, Milano, 1959, 97; D. RUBINO, Delle obbligazioni, in A.SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna 1968, 291; S. MENCHINI,Il processo litisconsortile. Struttura e poteri delle parti, I, Milano, 1993, 603 ss.; U. COREA,Obbligazioni solidali e giusto processo, cit., 85 ss.; L. BACCAGLINI, Il processo sulle obbligazionisolidali « paritarie » e l’azione di regresso, Milano, 2015, 221; S. PELLEGATTA, Unità e pluralitànella obbligazione solidale passiva, Torino, 2016, 283 ss. Contra, F.D. BUSNELLI, L’obbligazionesoggettivamente complessa, Milano, 1974, 423; S. COSTA, L’intervento in causa, Torino, 1953, 50s. Con specifico riferimento all’efficacia dell’ordinanza ex art. 814 c.p.c. nei confronti delcondebitore rimasto estraneo al giudizio, cfr. Cass., 3 settembre 2004, n. 17808.

(34) F.P. LUISO, Diritto processuale civile, V, 9ª ed., cit., 168; A. FABBI, sub art. 814, cit.,244.

(35) V. ANDRIOLI, Commento, IV, cit., 819. Conf. S. SATTA, Commentario al codice diprocedura civile, IV, 2, Milano, 1971, 266; C. CECCHELLA, Il contratto di mandato agli arbitri, cit.,133; A. FABBI, sub art. 814, cit., 245.

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tenuti all’applicazione di determinate tariffe (36) o qualora siano statistabiliti i criteri cui essi debbano attenersi (37).

Tali rilievi, a ben vedere, non sono condivisibili.È infatti generalmente riconosciuto che il compenso degli arbitri o le

spese rimborsabili possano essere determinati ad opera di un terzo, ilquale, in tal caso, agisce in qualità di arbitratore (38), come avviene adesempio quando negli arbitrati amministrati la determinazione di essi èrimessa ad una camera arbitrale (39). Su un piano generale, va poi consi-derato che è oggi dai più ammesso l’arbitraggio di parte (40): non vi è

(36) A. FABBI, loc. ult. cit.(37) G.A. MICHELI, Efficacia della determinazione dell’onorario da parte dell’arbitro, in

Foro it., 1943, 379 s.; A. BRIGUGLIO, Questioni varie in tema di liquidazione delle spettanzearbitrali, in questa Rivista, 2005, 79. Conf., in giurisprudenza, seppure con riferimento all’arbi-trato irrituale, Cass. 8 settembre 1973, n. 2406.

(38) A. BRIGUGLIO, sub art. 814, cit., 88; B. CAPONI, sub art. 832, in S. MENCHINI (a cura di),La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 486; F.P. LUISO, La liquidazione del compensonegli arbitrati dei lavori pubblici, in questa Rivista, 2008, 171 s.; C. PUNZI, Disegno sistematico, I,cit., 622; R. NOBILI, L’arbitrato delle associazioni commerciali, Padova, 1957, 459. Conf., ingiurisprudenza, con riferimento alla devoluzione ad un terzo del compito di determinare ilcompenso di arbitri irrituali, Cass. 5 agosto 2016, n. 16594. Contra, Cass. 23 giugno 2008, n.17034. La tematica relativa alla natura della quantificazione del compenso degli arbitri è stataoggetto di particolare attenzione con riferimento all’arbitrato in materia di lavori pubblici, inrelazione al quale l’art. 243, comma 5, d.lgs. n. 163/06 stabiliva che, quando il presidente delcollegio arbitrale fosse nominato dalla Camera arbitrale dei lavori pubblici, quest’ultimaliquidasse il corrispettivo dovuto dalle parti agli arbitri; liquidazione che secondo un indirizzointerpretativo costituiva un atto amministrativo, impugnabile davanti al giudice amministrativo(cfr. Cons. Stato, 10 marzo 2005, n. 1008, in questa Rivista, 2006, 331, con nota di G. VERDE, Sullaliquidazione dei compensi degli arbitri nell’arbitrato delle oo.pp. ovvero una determinazionequale arbitratore), ma che l’opinione prevalente ha qualificato come atto di arbitraggio: cfr.Cass., sez. un., 1 luglio 2008, n. 17930, trovando il consenso di gran parte della dottrina, cfr. F.P.LUISO, loc. ult. cit.; E. ODORISIO, Arbitrato e « lavori pubblici », Milano, 2011, 665 ss, nonché, conriferimento alla disciplina ancora previgente, ma di contenuto sostanzialmente analogo, P.BATTISTINI, Il sistema di riscossione degli onorari arbitrali nell’arbitrato amministrato dallaCamera arbitrale per i lavori pubblici, in questa Rivista, 2003, 895; D. BORGHESI, Il regolamentodi procedura della Camera arbitrale per i lavori pubblici, in Corriere giur., 2001, 951. Tale ultimatesi appare estensibile alla nuova disciplina dell’arbitrato in materia di lavori pubblici, di cui ald.lgs. n. 50/16, la quale prevede che la Camera arbitrale dei lavori pubblici provveda allaliquidazione dei compensi anche con riferimento agli arbitrati ad hoc.

(39) A. BRIGUGLIO, sub art. 814, cit., 88; R. CAPONI, sub art. 832, cit., 486; E. ZUCCONI GALLI

FONSECA, Diritto dell’arbitrato, cit., 455; E. BERNINI, L’arbitrato amministrato, in C. CECCHELLA (acura di), L’arbitrato, Torino, 2005, 397; M. ORLANDI, voce Compenso, in AA.VV., Dizionariodell’arbitrato, Torino, 1997, 170.

(40) L’opinione ad oggi prevalente riconosce l’arbitraggio di parte, sebbene non man-chino divergenze fra chi l’ammette senza riserve, chi esclude che la determinazione possaavvenire secondo arbitrio mero di una delle parti e chi ritiene sia necessario siano stabiliti criterioggettivi che restringano l’arbitrio dell’interessato: cfr. G. ZUDDAS, L’arbitraggio. Rinvio al terzoe fonti determinative esterne al negozio, Napoli, 1992, 76 ss.; F. CRISCUOLO, Arbitraggio edeterminazione dell’oggetto del contratto, Napoli, 1995, 339 ss.; F. GALGANO, Il negozio giuridico,in A. CICU, F. MESSINEO (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, III, 1, 2ª ed., Milano,2002, 128; G. VILLA, La determinazione mediante arbitraggio, in Studium iuris, 2001, 853 s.; M.BIANCA, Diritto civile. III. Il contratto, 2ª ed., Milano, 2015, 338; M.C. DALBOSCO, L’arbitraggiodi parte nel sistema tedesco del BGB, in Riv. dir. civ., 1987, II, 348 ss. Contra, G. SCHIZZEROTTO,Arbitrato irrituale e arbitraggio, Milano, 1963, 54. Qualora si aderisse alla tesi per la qualel’arbitraggio di parte può essere rimesso anche al mero arbitrio, ci si dovrebbe chiedere se possa

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dunque motivo per negare che anche agli arbitri possa essere attribuita lafunzione di determinare, quali arbitratori, i propri compensi e spese (41),integrando in tal modo il contratto di arbitrato di cui sono parti.

Qualora la determinazione del compenso e delle spese sia attribuitaad un arbitratore ai sensi dell’art. 1349, comma 1, c.c. ne discendono alcunicorollari.

In primo luogo, a seguito della determinazione, gli arbitri avranno untitolo negoziale azionabile contro le parti debitrici.

In secondo luogo, la liquidazione effettuata dall’arbitratore sarà sog-getta ad impugnazione, ad opera sia delle parti, sia degli arbitri (42), neilimiti — peraltro oggetto di dibattito (43) — entro cui può essere impu-gnata la determinazione dell’arbitratore (44). E, in caso di accoglimentodell’impugnazione, il giudice procederà, ove richiesto (45) e previo annul-lamento della determinazione, a sostituire quest’ultima, secondo il dispo-sto dell’art. 1349, comma 1, c.c.

In terzo luogo, qualora l’arbitratore non provveda, si potrà ricorrereal giudice ai sensi dell’art. 1349, comma 1, c.c. per la determinazione delcompenso e dell’ammontare delle spese rimborsabili.

Infine, se la liquidazione operata dall’arbitratore viene recepita o ècontenuta nel lodo (46), essa non potrà comunque considerarsi parte dello

trovare applicazione l’art. 1349, comma 2, c.c., nella parte in cui stabilisce che se manchi ladeterminazione rimessa al mero arbitrio dell’arbitratore e le parti non lo sostituiscano, ilcontratto è nullo. Peraltro, se è riconosciuto che il contratto sia soggetto a tale disciplina quandola determinazione riguarda l’oggetto, non si riscontra una chiarezza di posizioni in relazione alcaso in cui la determinazione attenga ad elementi non essenziali del contratto, che pur èpacificamente riconosciuto possano essere rimessi alla determinazione di un terzo. Sulla scortadi tali premesse, il profilo che in questa sede potrebbe interessare è quali siano le conseguenzein punto di diritto al compenso se, integrati i presupposti indicati all’art. 1349, comma 2, c.p.c.,il contratto di arbitrato dovesse considerarsi nullo.

(41) Similmente, nell’ordinamento tedesco, la giurisprudenza ha infatti avuto modo diaffermare che il § 1057 ZPO (cfr. supra, nota 14) non attribuisce al tribunale arbitrale il poteredi determinare i propri compensi, neppure indirettamente stabilendo il valore della controver-sia, ma non può escludersi che le parti attribuiscano agli arbitri tale potere, ipotesi in cui ladecisione sul punto dovrà essere considerata quale atto di arbitraggio ai sensi del § 315 BGB:cfr. BGH 28 marzo 2012, in SchiedsVZ, 2012, 156.

(42) Va però negato che gli arbitri possano impugnare la determinazione operata da essistessi quali arbitratori, considerato che nell’arbitraggio di parte la disciplina dell’istituto devesubire i dovuti adattamenti: cfr., quanto a tale ultimo rilievo, G. ZUDDAS, L’arbitraggio, cit., 83.

(43) È nota l’esistenza di una varietà d’opinioni in relazione alla possibilità di impugnarela determinazione del terzo per motivi ulteriori rispetto a quelli di cui all’art. 1349 c.c., in partedipendenti dalla qualificazione del rapporto fra parti ed arbitratore — da alcuni ricondotta almandato, da altri a diversi schemi contrattuali — ed in parte dalla natura — di mero attogiuridico o di negozio — che si attribuisca al dictum: cfr., su tali questioni, A. DIMUNDO,L’arbitraggio. La perizia contrattuale, in G. ALPA (a cura di), L’arbitrato. Profili sostanziali, I,Torino, 1999, 203 s.

(44) A. BRIGUGLIO, sub art. 814, cit., 88.(45) È escluso che il giudice possa provvedere d’ufficio: cfr. G. ZUDDAS, L’arbitraggio,

cit., 141.(46) In tal senso dispongono ad esempio alcuni regolamenti arbitrali, i quali prevedono

che il lodo contenga la decisione sulle spese del procedimento, con riferimento alla liquidazione

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stesso, non perdendo difatti la natura sua propria di determinazionecontrattuale e rimanendo perciò impugnabile come tale (47).

6. Ci si può al punto interrogare su quali siano le strade attraversocui, in assenza di accordo, l’ammontare dei diritti degli arbitri al compensoed al rimborso delle spese possano essere determinati in via giudiziale.

Il dato normativo da cui partire è l’art. 814, comma 2, c.p.c., il qualeregolamenta un procedimento speciale attraverso cui gli arbitri, quando laliquidazione da loro proposta non è accettata, possono chiedere, anchesingolarmente (48), al presidente del tribunale del luogo ove ha sedel’arbitrato la liquidazione del compenso per l’opera prestata e delle spesein cui siano incorsi.

La disposizione prevede che il giudice provveda, sentite le parti — edunque garantendo il rispetto del principio del contraddittorio (49) — conordinanza che costituisce titolo esecutivo, benché si ritenga che tale scarnadisciplina vada integrata, per quanto non previsto, dalle norme relative alrito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. (50). È questa peraltro un’opi-

operata dalle camere arbitrali: cfr., ad esempio, art. 36, Regolamento della Camera di Com-mercio di Rovigo; art. 31, Regolamento della Camera di Commercio di Catania; art. 31,Regolamento della Camera di Commercio di Viterbo.

(47) In tal senso, cfr. A. BRIGUGLIO, sub art. 814, cit., 71.(48) La circostanza che, sotto il profilo sostanziale (cfr. supra, § 2), i diritti al compenso

ed al rimborso delle spese vanno riconosciuti in capo al singolo arbitro comporta, sul pianoprocessuale, che ciascun arbitro possa agire per la tutela dei propri diritti. A dispetto di ciò nonsono mancate opinioni che hanno prospettato la necessità di un’azione congiunta da parte ditutti gli arbitri: cfr. Cass. 14 aprile 2006, n. 8872, in Foro it., 2007, I, 2874; Trib. Prato, 22 marzo2011, in Giur. it., 2011, 2555. Si affermava poi che il rito speciale, ma non quello ordinario, dicui all’art. 814, comma 2, c.p.c. richieda che l’azione sia esercitata dall’intero collegio: cfr. G.FICHERA, M. MAFFUCCINI, I procedimenti camerali nel diritto societario e fallimentare. L’arbitrato,Torino, 2008, 391, per i quali il collegio dovrebbe agire quale entità collettiva, dovendo i singoliarbitri agire con le forme ordinarie. In prospettiva ancora diversa si ammetteva sia l’azionesingola, sia quella congiunta, sostenendosi la possibilità — peraltro senza tener conto che, in talcaso, non si è altro che di fronte ad un cumulo di domande — di una liquidazione globale delcompenso per l’intero collegio arbitrale: cfr. D. GROSSI, Il diritto degli arbitri al compenso:liquidazione cumulativa o individuale, in questa Rivista, 1999, 473 s. L’opinione prevalente,l’unica conforme alle premesse di diritto sostanziale, si orientava in senso opposto e il dibattitosembra essere stato da ultimo risolto dalle Sezioni Unite: cfr. Cass., sez. un., 3 luglio 2009, n.15592 e, precedentemente, Cass. 8 settembre 2004 n. 18061; Cass. 29 marzo 1999 n. 2972; Cass.25 novembre 1993 n. 11664; Cass. 25 novembre 1993, n. 11664; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722;Trib. Potenza, 13 ottobre 1999, in questa Rivista, 2000, con nota di D. GROSSI, Sul diritto allaliquidazione ex art. 814 c.p.c. degli onorari dell’arbitro dimissionario nel corso del procedimentoarbitrale. Conf. P. D’ONOFRIO, Commento al codice di procedura civile, 4ª ed., II, Torino, 1957,487.

(49) Contra, Cass. 1 settembre 2015, n. 17394, per la quale la norma non imporrebbel’instaurazione di un contraddittorio inteso in senso processualistico, dovendo il giudice limitarsia sentire le parti.

(50) G. VERDE, Gli arbitri, cit., 146; M. BOVE, La giustizia privata, cit., 101; A. BRIGUGLIO,sub art. 814, in R. VACCARELLA, G. VERDE (a cura di), Codice di procedura civile commentato,Torino, 1997, 840; S. MENCHINI, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c. di liquidazione del compensodegli arbitri dopo la sentenza n. 15586 delle Sezioni Unite, in Sull’Arbitrato. Studi offerti aGiovanni Verde, Napoli, 2010, 528; F. TIZI, I costi del processo arbitrale, cit., 582; C. GIOVANNUCCI

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nione da condividere, se si considera che l’ordinanza presidenziale è oggisoggetta a reclamo, secondo quanto dispone l’art. 814, comma 3, c.p.c., sulquale il giudice d’appello « provvede in camera di consiglio ». Ciò com-porta dunque l’applicazione degli artt. 737 ss. c.p.c. al giudizio di impu-gnazione, posto che ai sensi dell’art. 742 bis c.p.c. il rito camerale uniformeregola tutti i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio; normeche possono ritenersi quindi richiamate, almeno implicitamente, anche peril giudizio di prime cure (51).

La natura e l’oggetto di tale procedimento sono da tempo dibattuti.Le opinioni si dividono fra chi afferma che si tratterebbe di un giudiziocontenzioso, che viene definito con un provvedimento idoneo al giudi-cato (52); chi, pur ritenendo la natura contenziosa del procedimento, negache la decisione abbia efficacia di accertamento, limitandola a quellaesecutiva (53); infine chi discorre di un procedimento di giurisdizionevolontaria, il cui esito sarebbe privo di vocazione al giudicato sostan-ziale (54).

La qualificazione del procedimento come contenzioso o di volontariagiurisdizione porta con sé alcune risposte ad altrettanti interrogativi, qualil’impugnabilità del provvedimento, reso nel giudizio ex art. 814 c.p.c.,originariamente non impugnabile ed oggi soggetto a reclamo da decidersicon ordinanza (55); la necessità della difesa tecnica, oggetto di divergentisoluzioni (56), che se appare sicura in un giudizio contenzioso ancorché

ORLANDI, sub art. 814, cit., 280; S. MARULLO DI CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008,206. Nello stesso senso si esprime una parte della giurisprudenza: cfr. Cass. 2 maggio 2006, n.10130; Cass. 15 aprile 2003, n. 5950; Cass. 26 agosto 2002, n. 12490; Cass. 2 aprile 1990, n. 2800,cit.; Cass. 25 gennaio 1983, n. 688, nonché Cass. 9 maggio 2003, n. 7062. In senso contrario, cfr.A. PROTO PISANI, Usi ed abusi della procedura camerale, cit., 437; G. DALFINO, Sulla competenzaa liquidare il compenso agli arbitri (A proposito dell’art. 19 dei contratti di assegnazione-venditadell’ente di sviluppo in Puglia, Lucania e Molise), in Nuovo dir. agr., 1977, 71, in conformità conl’opinione che esclude l’estensione ai provvedimenti presidenziali delle disposizioni comuni aiprocedimenti camerali: cfr. V. ANDRIOLI, Commento, IV, cit., 530.

(51) La soggezione delle controversie in parola al rito camerale comporta che non sianecessaria l’attivazione della negoziazione assistita quando essa sarebbe obbligatoria, ai sensidell’art. 3, comma 1, l. n. 134/14, ai fini della procedibilità della domanda nei casi in cui il valoredella controversia sia inferiore ad euro cinquantamila, essendo l’obbligatorietà della negozia-zione assistita esclusa per i procedimenti in camera di consiglio. Ci si potrebbe chiedere sel’obbligo della negoziazione assistita sussista invece se la domanda sia proposta con formeordinarie e, dunque, se la scelta del rito incida sulla condizione di procedibilità. Tuttavia, vi èragione di esaminare tale questione solo se risulti che, effettivamente, il rito speciale in oggettoè alternativo ad altre forme di tutela: si rinvia al riguardo al § 12.

(52) Cfr. infra, § 7.(53) Cfr. infra, § 11.(54) Cfr. infra, § 7.(55) Il d.lgs. n. 40/06 ha modificato l’art. 814, comma 3, c.p.c. stabilendo che il provve-

dimento presidenziale sia reclamabile ai sensi dell’art. 825, comma 4, c.p.c. (rectius 3), giusta ilquale il provvedimento che concede o nega l’exequatur al lodo è reclamabile davanti alla corted’appello entro trenta giorni dalla comunicazione.

(56) A favore dell’obbligatorietà della difesa tecnica nel procedimento in esame, cfr.Cass. 29 marzo 2006, n. 7128; Cass. 21 gennaio 2004, n. 900; Cass. 5 agosto 1988, n. 4847, in

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camerale (57), è discussa, sotto un profilo generale, quando il procedi-mento si qualifichi di volontaria giurisdizione (58); lo spazio per unacondanna alle spese di lite (59), che non è affatto pacifica nell’ambito deiprocedimenti di volontaria giurisdizione, non ravvisandosi in essi la soc-combenza di una parte, che al più viene limitata alla sola fase di impu-gnazione (60).

Merita dunque procedere dal riferito dibattito.

7. Per lungo tempo la giurisprudenza ha affermato che il procedi-mento di cui all’art. 814 c.p.c. sarebbe un giudizio contenzioso, idoneo algiudicato, avente tuttavia ad oggetto la sola determinazione del quantumdovuto agli arbitri (61). Da ciò veniva fatto discendere che, per un verso,l’ordinanza conclusiva del procedimento sarebbe soggetta ad impugna-zione in Cassazione ex art. 111 Cost. (62) e, per altro verso, che la

Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 331, con nota di V. DI GREGORIO; Cass. 2 maggio 1967, n. 808,cit.; Trib. Busto Arsizio, 31 marzo 1999, in Giur. merito, 1999, 708 e, in dottrina, L. SALVANESCHI,Arbitrato, cit., 331; L. MONTESANO, G. ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, II, 2, Padova,2002, 1660; C. GIOVANNUCCI ORLANDI, sub art. 814, in F. CARPI (a cura di), Arbitrato, 3ª ed.,Bologna, 2016, 340; V. VIGORITI, Regole e tendenze in tema di liquidazione, cit., 520; A. FABBI,sub art. 814, cit., 247. In senso contrario, cfr. R. VECCHIONE, Determinazione delle spese edell’onorario degli arbitri e “ius postulandi”, in Giust. civ., 1968, I, 1, 353, e, in giurisprudenza,Cass., sez. un., 3 luglio 2009, n. 15586, sul presupposto della natura non contenziosa delprocedimento ex art. 814 c.p.c., nonché S. SATTA, Commentario, IV, 2, cit., 267, in ragionedell’idea che il procedimento di liquidazione sarebbe un proseguimento del giudizio arbitrale.

(57) Cfr., inter alia, Cass. 7 dicembre 2011, n. 26365.(58) E. REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 354; A. GUALANDI, Spese e

danni, cit., 225 ss. E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Milano, 1953, 196. In sensocontrario, cfr. E. GRASSO, sub art. 91, in Commentario del codice di procedura civile, diretto daE. ALLORIO, I, 2, Torino, 1973, 981 ss.; M. PIGARI, Giurisdizione volontaria e disciplina dellespese, in Riv. dir. proc., 1980, 573 ss.

(59) Negato ad esempio da Cass., sez. un., 3 luglio 2009, n. 15586.(60) Cfr., fra le altre, Cass. 29 gennaio 2003, n. 1343.(61) Cass. 25 maggio 2004, n. 10141, in Foro it., 2005, I, 782, con nota di R. CAPONI,

Orientamenti giurisprudenziali in tema di procedimento di liquidazione delle spese e dell’onora-rio arbitrale (art. 814 c.p.c.); Cass. 17 settembre 2002, n. 13607; Cass. 25 maggio 2000, n. 6937;Cass. 26 novembre 1999, n. 13174; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722; Cass. 4 luglio 1968, n. 244; App.Palermo, 5 febbraio 1952, in Foro it., 1952, I, 1017. Conf., in dottrina, M. BOVE, La responsabilitàdegli arbitri, in questa Rivista, 2014, 278; G. CANALE, Il ritorno a ragionevolezza delle Sezioniunite: il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri ha natura decisoria e definitivaed è pertanto ricorribile per cassazione, in Giur. it., 2017, 732; F. TIZI, I costi del processoarbitrale, cit., 584; P. LICCI, Il ritorno al futuro delle Sezioni Unite sulla natura e sul regimeimpugnatorio dell’ordinanza di liquidazione del compenso degli arbitri, in questa Rivista, 2017,359 ss.; G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., 406; M. RUBINO-SAMMARTANO, Il diritto dell’arbi-trato, I, cit., 546; nonché E. GARBAGNATI, Sull’ordinanza di liquidazione dell’onorario degliarbitri, in Giust. civ., 1968, I, 673, per il quale, se vi fosse stata contestazione sull’an, ilprocedimento speciale avrebbe dovuto chiudersi in rito con una pronuncia di inammissibilità.

(62) Cass. 23 aprile 2004, n. 7764; Cass. 29 ottobre 1999, n. 12146; Cass. 21 aprile 1999, n.3945; Cass. 9 gennaio 1999, n. 131; Cass. 6 maggio 1998, n. 4548; Cass. 16 luglio 1997, n. 6507;Cass. 4 gennaio 1995, n. 126; Cass. 27 luglio 1990, n. 7602; Cass. 4 aprile 1990, n. 2800; Cass. 5agosto 1988, n. 4847; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722; Cass. 25 gennaio 1983, n. 688, in Giust. civ.,1983, I, 719; Cass. 5 marzo 1975, n. 815, in Giust. civ. Mass., 1975, 372; Cass. 2 maggio 1967, n.808, in Giur. it., 1968, I, 1, 353; Cass. 18 ottobre 1967, n. 2511, in Giust. civ., 1968, I, 673, con nota

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limitazione dell’estensione alla sola quantificazione lascerebbe aperta lapossibilità di discutere dell’an nell’ambito di altro giudizio, da svolgersisecondo le forme ordinarie, idoneo a travolgere il giudicato sul quan-tum (63).

A tale indirizzo se ne opponeva un altro, sostenuto dapprima indottrina (64) e successivamente fatto proprio dalle Sezioni Unite (65), lequali, invertendo la rotta rispetto alla precedente giurisprudenza, giunge-vano a sostenere che, in mancanza di accordo fra parti ed arbitri, illegislatore avrebbe previsto l’automatica integrazione del contratto diarbitrato con una clausola devolutiva della determinazione al giudice e chequindi l’intervento giudiziale sarebbe finalizzato a determinare un ele-mento del contratto di arbitrato relativo al compenso ed alle spese: sitratterebbe, dunque, di giurisdizione volontaria (66). Le conseguenze prin-cipali di tale impostazione si potevano ravvisare nella impossibilità diimpugnare l’ordinanza resa nel giudizio ex art. 814 c.p.c. con il ricorsostraordinario per cassazione e nel fatto che rimarrebbe aperta la possibi-lità di contestare il titolo in sede di opposizione all’esecuzione, trattandosidi atto stragiudiziale.

Tale indirizzo interpretativo è stato sottoposto a critiche da partedella dottrina (67) e non ha convinto appieno neppure la successiva giuri-sprudenza, tanto da giustificare la richiesta di un nuovo intervento delle

di E. GARBAGNATI, Sull’ordinanza di liquidazione dell’onorario degli arbitri. In dottrina, cfr. A.CERINO-CANOVA, La garanzia costituzionale del giudicato civile (meditazioni sull’art. 111 comma2º Cost.), in Riv. dir. civ., 1977, I, 435; S. SATTA, Commentario, IV, 2, cit., 267; L. LANFRANCHI,Liquidazione delle spese e dell’onorario degli arbitri e tutela giurisdizionale dei diritti, in Giur. it.,1968, I, 1, 1103 ss.; L. MONTESANO, G. ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, II, 2, cit., 1664;C. CECCHELLA, Il contratto di mandato, cit., 134; R. TISCINI, Il ricorso straordinario in Cassazione,Torino, 2005, 381 ss.; V. VIGORITI, Regole e tendenze in tema di liquidazione, cit., 519; A. FABBI,sub art. 814, cit., 248 ss.; C. CORRADO, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c. di liquidazione deglionorari degli arbitri, in Riv. dir. proc., 2010, 498.

(63) M. BOVE, La giustizia privata, cit., 98; ID., La responsabilità degli arbitri, cit., 279; G.CANALE, Il ritorno a ragionevolezza delle Sezioni Unite, cit., 732.

(64) R. VECCHIONE, Determinazione delle spese e dell’onorario degli arbitri, cit., 356.(65) Cass., sez. un., 3 luglio 2009, nn. 15586 e 15592 e, ancor prima, Cass., sez. un., 27

novembre 2007, n. 24627.(66) Si afferma infatti che il procedimento volto ad ottenere l’integrazione giudiziale di

un contratto ex art. 1349, comma 1, c.p.c. sia ascrivibile alla giurisdizione non contenziosa: cfr.F. CRISCUOLO, Arbitrato e determinazione dell’oggetto del contratto, cit., 241; A. PROTO PISANI,Appunti sulla tutela c.d. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), inRiv. dir. proc., 1991, 99 s.; G. ZUDDAS, L’arbitraggio, cit., 155 s.; A. DIMUNDO, L’arbitraggio, cit.,1999, 207; C.D. MALAGNINO, Il terzo arbitratore nell’integrazione del negozio giuridico, Padova,2010, 66.

(67) R. TISCINI, Nuovi voli pindarici della giurisprudenza di legittimità per porre un argineall’accesso: è insindacabile il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri emesso dalPresidente del tribunale ai sensi dell’art. 814 c.p.c., in questa Rivista, 2009, 692 ss.; V. VIGORITI,La “frequente evenienza”: problemi del contenzioso sui compensi degli arbitri, in Nuova giur. civ.comm., 2010, II, 598.

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Sezioni Unite (68). Queste ultime tuttavia non hanno ritenuto opportunopronunciarsi, sulla scorta del principio secondo cui le Sezioni Unite nonpotrebbero tornare su una questione interpretativa su cui si siano in tempirecenti già pronunciate a favore di un’interpretazione compatibile con ildettato della disposizione (69).

A dispetto del consolidarsi nella giurisprudenza della tesi nego-ziale (70), non è mancata una nuova sollecitazione — la terza in pochi anni— dell’intervento delle Sezioni Unite (71), le quali, con un ultimo arrêt,sono infine tornate sui propri passi ed hanno sposato nuovamente la tesipiù remota, che predicava la natura decisoria dell’ordinanza che chiude ilprocedimento ex art. 814 c.p.c. (72).

L’occasione del ripensamento è stata trovata nella “nuova” naturagiurisdizionale del lodo rituale (73), da cui discenderebbe analoga naturadel provvedimento del giudice che liquida onorari e spese ai sensi dell’art.814 c.p.c. (74).

Vari sarebbero gli ulteriori argomenti che avvalorerebbero la tesidella natura giurisdizionale del procedimento di cui all’art. 814 c.p.c. Inprimo luogo, esso andrebbe assimilato ad altri procedimenti di liquida-

(68) Cass. 11 agosto 2011, n. 17209, in Foro it., 2011, I, 2631. Ma, in senso adesivo allaposizione delle Sezioni Unite di cui alla nota che precede, cfr. Cass. 3 marzo 2011, n. 5264; Cass.23 aprile 2010, n. 9750.

(69) Cass., sez. un., 31 luglio 2012, n. 13620, in Riv. dir. proc., 2012, con nota di R. TISCINI,Ordinanza di liquidazione del compenso agli arbitri, ricorso per cassazione ed incensurabilità delvizio logico di motivazione, tra Sezioni unite e riforme legislative. Non sono peraltro giustamentemancate critiche a tale principio, osservandosi che esso vanificherebbe il dialogo tra sezionisemplici e Sezioni Unite disciplinato all’art. 374, comma 3, c.p.c., in base al quale le sezionisemplici che non condividano l’indirizzo delle Sezioni Unite devono rimettere a quest’ultime ladecisione del ricorso (cfr. L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 327); che esso sarebbe contraddittorioin sé, poiché, se un’interpretazione non fosse compatibile con la disposizione di legge, sarebbedifficile pensare ad un contrasto interpretativo; e che, inoltre, non sarebbe delineabile a prioriil confine tra giurisprudenza meno e più recente (R. TISCINI, Ordinanza di liquidazione delcompenso, cit., 856).

(70) Cass. 1 settembre 2015, n. 17394; Cass. 7 ottobre 2015, n. 20102; Cass. 15 ottobre 2014,n. 21835; Cass. 12 settembre 2014, n. 19323; Cass. 7 luglio 2014, n. 15458; Cass. 5 giugno 2014, n.12702; Cass. 18 febbraio 2014, n. 3836; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3069; TAR Reggio Calabria 18giugno 2013, n. 423, in Foro amm. TAR, 2013, 2130. L’indirizzo è stato condiviso da una parteminoritaria della dottrina: cfr. S. MENCHINI, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c., cit., 525 ss.

(71) Cass., ord. 2 febbraio 2016, n. 4517.(72) Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045, in questa Rivista, 2017, 351, con nota di P.

LICCI, Il ritorno al futuro delle Sezioni Unite sulla natura e sul regime impugnatorio dell’ordi-nanza di liquidazione del compenso degli arbitri; in Giur. it., 2017, 727, con nota di G. CANALE,Compenso degli arbitri e ricorso per cassazione. Il ritorno a ragionevolezza delle Sezioni unite:il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri ha natura decisoria e definitiva ed èpertanto ricorribile in cassazione.

(73) Il riferimento va, in particolare, a Cass. 25 ottobre 2013, n. 24153, con la quale lagiurisprudenza di legittimità ha affermato, intervenendo su un annoso dibattito ed invertendola rotta rispetto all’indirizzo precedentemente seguito, che il fenomeno arbitrale non può piùessere ricostruito in chiave meramente privatistica, sostenendo che l’arbitrato rituale si confi-gura come un’alternativa alla giurisdizione statale ordinaria e gli arbitri svolgono « una funzionegiudiziaria, assicurando alle parti una ‘soluzione giurisdizionale della controversia’ ».

(74) Sul punto, cfr. infra § 14.

704

zione dei compensi definiti con provvedimenti in relazione ai quali èconsolidata l’opinione favorevole all’idoneità al giudicato (75). In secondoluogo, un risultato analogo a quello conseguibile attraverso lo specialeprocedimento ex art. 814 c.p.c. potrebbe essere ottenuto ricorrendo all’or-dinario rito di cognizione (76) e, dunque, non si giustificherebbe la diffe-rente valenza attribuita ai provvedimenti che li concludono. Infine, la tesidell’arbitraggio ex lege sarebbe infondata, in quanto non si sarebbe difronte all’integrazione della volontà delle parti ad opera di un terzo, ma di« una disciplina del tutto diversa in quanto nel caso di specie è una delleparti che determina l’ammontare del compenso dovuto e non già unterzo » (77).

8. La tesi negoziale, respinta dall’ultimo intervento delle SezioniUnite, suscita in effetti perplessità.

Le ragioni del dissenso non possono però risiedere nel rilievo, riferitoin chiusura del precedente paragrafo, per il quale, nel procedimento inesame, mancherebbe un terzo che determina il compenso: al contrario,secondo la prospettiva negoziale, il giudice adito ai sensi dell’art. 814 c.p.c.agisce proprio quale terzo chiamato ad integrare il contratto di arbitrato.

Il dissenso si fonda piuttosto su altre considerazioni.Anzitutto, si è osservato che, stando al tenore letterale dell’art. 814

c.p.c., il procedimento speciale sembrerebbe poter essere attivato solodagli arbitri, cosicché « si dovrebbe pensare che le parti del contratto diarbitrato (...) abbiano accettato un meccanismo di inserzione automaticadi clausole che consente solo ad una di esse, ad esclusione dell’altra, diattivarlo, lasciando così claudicante l’iniziativa in assenza di tale attiva-zione arbitrale » (78).

Inoltre, se il contratto di arbitrato fosse effettivamente integrato conuna clausola di arbitraggio, il ricorso al giudice si porrebbe come neces-sario proprio per gli arbitri (79), in quanto una clausola di arbitraggiopreclude la possibilità di ottenere, in via di giudizio contenzioso, ladeterminazione dell’elemento rimesso al giudice/arbitratore (80). Di con-seguenza, per un verso, gli arbitri si vedrebbero preclusa la possibilità diagire nei confronti delle parti all’estero, ove in ipotesi tutte risiedano,

(75) Il pensiero va, in particolare, al procedimento di liquidazione dei compensi degliavvocati disciplinato, sino al 2011, dalla l. n. 794/42, a quello degli ausiliari del giudice, nonchéa quello di liquidazione dei compensi in materia fallimentare.

(76) Ciò veniva affermato anche da Cass., sez. un., 3 luglio 2009, nn. 15586 e 15592.(77) Cfr. Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045, cit., in motivazione sub § 3.(78) L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 324. Conf. G. CANALE, Il ritorno a ragionevolezza

delle Sezioni Unite, cit., 730.(79) C. CORRADO, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c., cit., 496.(80) Cfr., per tutti, E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto. Artt. 1346-1349, in P. SCHLESIN-

GER (diretto da), Il codice civile. Commentario, Milano, 2001, 222.

705

dovendo gli importi essere previamente liquidati dal giudice italianonell’ambito del procedimento ex art. 814 c.p.c. Per altro verso, sebbene laratio sottesa al procedimento in esame sia quella di apprestare una tutelapiù snella agli arbitri rispetto a quella offerta dal rito ordinario (81), sifinirebbe per dover escludere il ricorso a forme di tutela ancora più snelleo celeri, come, ad esempio, quella monitoria, attraverso la quale gli arbitri,sussistendone i presupposti, potrebbero ottenere un titolo esecutivo inau-dita altera parte.

Vero è, a tal ultimo riguardo, che si potrebbe obiettare che in realtàgli arbitri non potrebbero agire con le forme monitorie azionando il dirittoal compenso, in ragione della illiquidità del credito (82), presupposto perl’emissione del decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. Tuttavia, almenoquando essi rivestano la qualità di avvocati, non sembra da escludere, purnell’assenza di tariffe professionali, abrogate ormai nel 2012 (83), il ricorsoalla procedura monitoria, sulla scorta del parere di conformità rilasciatodall’ordine (84). E comunque non vi è ragione alcuna per negare l’utiliz-

(81) E.F. RICCI, sub art. 816, in G. TARZIA, R. LUZZATTO, E.F. RICCI (a cura di), Legge 5gennaio 1994, n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitratointernazionale, Padova, 1995, 91 e, in giurisprudenza, Cass. 25 gennaio 1983, n. 688, cit.

(82) Il credito per prestazioni professionali è da considerarsi infatti illiquido: cfr., tra lealtre, Cass. 10 luglio 2014, n. 15787.

(83) Il ricorso alla procedura monitoria era stato originariamente negato, sul presuppostodell’assenza di prova scritta del credito, non potendo essere supplita dal parere dell’associazioneprofessionale ai sensi dell’art. 633, comma 1, n. 2, c.p.c, in quanto l’attività arbitrale nonriguarderebbe prestazioni professionali: cfr. Trib. Milano, 9 giugno 1960, in Mon. trib., 1961,899; Trib. Torino, 1 aprile 1949, in Mon. trib., 1949, 297; cfr. Cass. 20 agosto 1949, n. 2369. Indottrina, in senso contrario, C. CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991, 297; G. FICHERA, M.MAFFUCCINI, I procedimenti camerali, cit., 388. Tuttavia, il d.m. n. 585/94 ha previsto dellespecifiche voci per l’attività professionale svolta dagli avvocati, estesa dalla l. n. 248/06 ancheagli arbitri non avvocati, con conseguente superamento dell’indirizzo che negava l’utilizzo delrito monitorio, quantomeno per quanto attiene alla domanda proposta da arbitri che fosseroavvocati, ai quali doveva riconoscersi la possibilità di fondare il ricorso per decreto ingiuntivosul parere di conformità reso dall’ordine professionale: cfr. G. RUFFINI, Equivoci sulla determi-nazione giudiziale delle spese e degli onorari dovuti agli arbitri che si siano limitati a risolverequestioni di competenza o di ammissibilità del procedimento arbitrale, in Giust. civ., 2003, I, 1043.Conf. C. CECCHELLA, sub art. 814, in S. MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato,Padova, 2010, 161; V. VIGORITI, La “frequente evenienza”, cit., 599. Ma, ancora in sensocontrario al ricorso all’ammissibilità dell’utilizzo del giudizio monitorio, sul presupposto che ilrito speciale ex art. 814 c.p.c. sia l’unico esperibile: cfr. Trib. Chieti 18 febbraio 2009, n. 135, inPQM, 2009, 102.

(84) A seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali, il dubbio sembra da ricon-durre al quesito generale se sia ancora possibile ricorrere al procedimento d’ingiunzione con lanotula approvata dal competente ordine professionale. Vi è infatti chi ritiene che, a seguitodell’abrogazione delle tariffe professionali ad opera del d.l. n. 1/12 conv. con mod. in l. n. 27/12,siano da ritenere abrogati anche gli artt. 633, comma 1, nn. 2 e 3 e 636 c.p.c., giusta i quali ilprofessionista poteva agire per le proprie competenze in via monitoria producendo notulacorredata dal parere di congruità dell’ordine di appartenenza: cfr. M. VACCARI, Le modifiche delprocedimento di ingiunzione derivanti dalla c.d. riforma parametri, in Giur. merito, 2013, 861 ss.;R. CONTE, Procedimento di ingiunzione, Bologna, 2012, 76. A favore invece della perdurantepossibilità: cfr. E. ZUCCONI GALLI FONSECA, sub art. 633, in F. CARPI, M. TARUFFO (a cura di),Commentario breve al codice di procedura civile, 8ª ed., Padova, 2015, 2475; G. SCARSELLI, I

706

zabilità del procedimento per decreto ingiuntivo in relazione al rimborsodelle spese, diritto della cui liquidità non sembra potersi ragionevolmentedubitare.

In terzo luogo, l’idea dell’inserimento automatico di clausole nelcontratto di arbitrato finisce per attribuire natura sostanziale all’art. 814,comma 2, c.p.c.; norma che però regolamenta un rito speciale e non ilrapporto sostanziale fra le parti del contratto di arbitrato. Se così fosse sidovrebbe arrivare a sostenere che, qualora venga stabilita l’applicabilitàdella legge sostanziale italiana ad un contratto di arbitrato relativo ad unarbitrato estero, quel contratto dovrebbe ritenersi integrato con unaclausola di arbitraggio che rimette al giudice italiano la determinazione delcompenso e delle spese rimborsabili degli arbitri. Ciò è però difficile daaccettare se si considera che la portata dell’art. 814, comma 2, c.p.c. valimitata ai diritti degli arbitri sorti nell’ambito di arbitrati nazionali (85).

Vi sono dunque sufficienti ragioni per respingere la tesi dell’arbitrag-gio ex lege (86), alla quale è connessa la natura di giurisdizione volontariae per sostenerne di conseguenza quella di giudizio contenzioso.

9. Stabilita la natura contenziosa del procedimento ex art. 814,comma 2, c.p.c. diviene necessario chiedersi anzitutto quale ne sia l’og-getto e quanto ampia sia la sfera della cognizione demandata al giudice. Siè infatti sopra fatto cenno all’idea per la quale, nel procedimento ex art.814 c.p.c., la cognizione del giudice sarebbe parziale: l’oggetto del giudiziosarebbe limitato al quantum (87), rimanendo preclusa ogni valutazione,anche incidentale, sulla sussistenza dei diritti azionati (88), escluso perfinol’esame dell’esistenza del lodo (89), dalla cui pronuncia consegue, di re-gola (90), il maturare dei diritti in capo agli arbitri.

compensi professionali forensi dopo il decreto sulle liberalizzazioni, in Corriere giur., 2012, Supp.spec. n. 2, 64 ss.

(85) Come afferma E.F. RICCI, sub art. 816, in G. TARZIA, R. LUZZATTO, E.F. RICCI (a curadi), Legge 5 gennaio 1994, n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplinadell’arbitrato internazionale, Padova, 1995, 90 s.

(86) Ulteriori sarebbero, poi, secondo taluni autori, gli argomenti contrari alla tesinegoziale, essendosi sostenuto, ad esempio, che l’intervento del presidente del tribunale risolveun conflitto vero e proprio fra le parti sul diritto al compenso (G. CANALE, Il ritorno aragionevolezza delle Sezioni Unite, cit., 730) o che si finirebbe per dare « vita ad un arbitraggioobbligatorio e come tale incostituzionale » (C. CORRADO, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c., cit.,495).

(87) Cfr. supra, § 7.(88) Cfr. supra, nota 63.(89) Cass. 28 aprile 2010, n. 10221; Cass. 17 settembre 2002, n. 13607; Cass. 17 ottobre

1996, n. 9074. Conf., in dottrina, C. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 628.(90) Non si può infatti negare la sussistenza del diritto al compenso ed al rimborso delle

spese nel caso, ad esempio, di rinuncia degli arbitri all’incarico per giusta causa o revoca adopera delle parti: cfr. S. MENCHINI, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c., cit., 525. Conf. C.CECCHELLA, Il contratto di mandato agli arbitri, cit., 135; D. GROSSI, Sul diritto alla liquidazioneex art. 814 c.p.c. degli onorari dell’arbitro dimissionario nel corso del procedimento arbitrale, in

707

Merita chiedersi se questa impostazione esegetica non sia in effettigiustificata in ragione della formulazione dell’art. 814, comma 2, c.p.c., ilquale stabilisce che, quando le parti non accettano la liquidazione operatadagli arbitri, « in tal caso » questi ultimi possono agire tramite il ritospeciale: si potrebbe quindi pensare che il procedimento abbia la solafunzione di determinare l’ammontare dei diritti sul quale è mancato unaccordo. L’argomento, tuttavia, non convince, in quanto, per un verso, lamancata accettazione della liquidazione operata dagli arbitri potrebbedipendere dalla contestazione della stessa debenza e, per altro verso, laprevia liquidazione non va considerata requisito per l’accesso al ritospeciale (91), dovendo piuttosto essere letta come « una sorta di rinvio allanormale regola dell’interesse ad agire » (92).

L’indirizzo in esame appare, peraltro, meno univoco di quello chepotrebbe a prima vista sembrare. Si è infatti al contempo sostenuto che lacognizione del giudice adito ex art. 814 c.p.c. si possa estendere, entro certilimiti, anche alla sussistenza dei diritti azionati, affermandosi che il dirittoal rimborso delle spese relative al pagamento dell’eventuale segretarionominato dagli arbitri (93) possa essere riconosciuto solo a condizione chene venga ravvisata dal giudice la necessità e l

�utilità (94).

Questo approccio interpretativo va a mio avviso generalizzato el’opinione tradizionale merita di essere ripensata.

La ragione per cui non persuade l’idea che la decisione abbia adoggetto solo l’ammontare dei diritti, preclusa ogni cognizione sulla sussi-stenza degli stessi, non è tanto il fatto che se l’accertamento sul quantumpotesse essere travolto da quello successivo sull’an, ciò significherebbeattribuirgli un valore meramente ipotetico e sostanzialmente negare adesso l’idoneità al giudicato (95): è del resto possibile, sotto un profilogenerale, che una decisione sul quantum, ancorché passata in giudicato,venga travolta in caso di riforma o cassazione della decisione non defini-tiva sull’an (96). Piuttosto, ciò che non appare possibile ritenere è che

questa Rivista, 2000, 301; ROB. VACCARELLA, Merito del giudizio arbitrale e pronunce giudizialisul contratto di arbitrato, in questa Rivista, 2008, 364.

(91) In senso negativo, V. ANDRIOLI, Commento, IV, cit., 820; A. BRIGUGLIO, Questionivarie, cit., 80; L. LANFRANCHI, Liquidazione delle spese e dell’onorario degli arbitri, cit., 1105; S.MENCHINI, Il procedimento dell’art. 814 c.p.c., cit., 525; G. VERDE, Gli arbitri, cit., 113 ss.; A.FABBI, sub art. 814, cit., 247. Conf. Cass. 25 gennaio 1983, n. 688, cit. Contra, Cass. 14 aprile 2006,n. 8872, in Foro it., 2007, I, 2874.

(92) L. LANFRANCHI, loc. ult. cit.(93) Il segretario dell’arbitrato vanta infatti un diritto di credito nei confronti degli arbitri

che lo hanno nominato, salvo rivalsa di questi ultimi verso le parti per il rimborso di quanto adesso pagato: cfr. Cass. 22 aprile 1994, n. 3839, in questa Rivista, 2005, 75, con nota di A.BRIGUGLIO, Questioni varie in tema di liquidazione delle spettanze arbitrali.

(94) Cass. 8 settembre 2004, n. 18058; Cass. 26 agosto 2002, n. 12536; Cass. 22 aprile 1994,n. 3839, in questa Rivista, 1995, 75; Cass. 27 maggio 1987, n. 4722.

(95) In tal senso, invece, E. GARBAGNATI, Sull’ordinanza di liquidazione, cit., 675.(96) Cfr., inter alia, Cass. 10 febbraio 2016, n. 2658.

708

l’accertamento del quantum possa prescindere da quello sull’an, chelogicamente lo precede, tenuto conto che « la condanna a pagare agliarbitri la somma liquidata a titolo di onorario non può disgiungersidall’accertamento di un diritto di credito a favore degli arbitri » (97).

Alla luce di questi rilievi si può affermare che, nell’ambito delprocedimento ex art. 814 c.p.c., il giudice è chiamato ad esaminare nonsolo i fatti costitutivi, ma anche quelli impeditivi, estintivi e modificatividei diritti azionati (98). Ciò comporta che dovrà essere verificato, adesempio, se un lodo sia stato reso (99) o se, in difetto, l’eventuale rinunciaall’incarico da parte degli arbitri sia fondata su una giusta causa, ma anchese, per altre ragioni, i diritti possano, a dispetto della pronuncia del lodo,non essere mai sorti o sorti solo parzialmente (100), così come se l’importodi cui sia chiesta la condanna sia già stato pagato in tutto o in parte, vuoiin sede di corresponsione degli acconti ricevuti dagli arbitri (101), vuoi a

(97) E. GARBAGNATI, loc. ult. cit. Conf. L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 328; V. VIGORITI, La“frequente evenienza”, cit., 598 s.; C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 132; C. CORRADO, Sulprocedimento ex art. 814 c.p.c., cit., 497 e, in giurisprudenza, Trib. Palermo, 6 novembre 2006,in Merito, 2007, 2.

(98) L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 328; C. CECCHELLA, Il contratto di mandato agli arbitri,cit., 134; R. TISCINI, È (nuovamente) contenzioso e censurabile in Cassazione il procedimento diliquidazione del compenso degli arbitri, in Giusto proc. civ., 2017, 396 s..

(99) Il lodo, quindi, dovrà essere non solo materialmente, ma anche giuridicamenteesistente. Difatti, un lodo inesistente va considerato come mai pronunciato e l

�inesistenza dello

stesso « può essere rilevata incidenter tantum in qualsiasi giudizio in cui sia invocato » (E.MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma: motivi ed esito, Milano, 2009, 14e 82), fra cui va annovato anche quello in esame.

(100) Il riferimento va, in particolare, alle ipotesi di responsabilità degli arbitri, conside-rato che l’art. 813 ter, ultimo comma, c.p.c. stabilisce che « nei casi di responsabilità dell’arbitroil diritto al compenso e il diritto al rimborso delle spese non gli sono dovuti, o nel caso di nullitàparziale del lodo, sono soggetti a riduzione ». La disposizione è peraltro tutt’altro che di agevoleinterpretazione e pone alcuni problemi interpretativi che possono venire in rilievo nell’ambitodel giudizio avente ad oggetto i diritti degli arbitri. Essi, tuttavia, possono essere in questa sedesolo accennati, riconducendosi all’interpretazione della norma che disciplina la responsabilitàdegli arbitri. In primo luogo, appare dubbio se per l’operatività della sanzione dell’esclusionedei diritti degli arbitri sia necessario l’annullamento del lodo, richiesto espressamente dalmedesimo articolo, per poter agire per il risarcimento del danno. In secondo luogo, ci si chiedese a seguito dell’accertamento della responsabilità degli arbitri consegua l’estinzione dei dirittiovvero se la sola integrazione delle condotte, idonee a generare una responsabilità risarcitoria,impedisca, sul piano sostanziale, lo stesso sorgere di tali diritti. Infine, è discusso il rapporto fragiudizio di responsabilità degli arbitri e giudizio avente ad oggetto i diritti di questi ultimi, frai quali, secondo taluno, sussisterebbe un rapporto di pregiudizialità-dipendenza idoneo acomportare la sospensione del secondo ai sensi dell’art. 295 c.p.c.

(101) Alla disciplina degli anticipi è dedicato l’art. 816 septies c.p.c., il quale stabilisce chegli arbitri possono subordinare il proseguimento dell’arbitrato al pagamento delle speseprevedibili e che, in caso di mancato pagamento, venga meno la convenzione arbitrale. Sidiscute, però, se tale articolo trovi applicazione anche ai compensi e se fondi altresì il dirittodegli arbitri agli anticipi. Al riguardo, sembra potersi sostenere, secondo l

�opinione preferibile,

che la norma in parola regolamenta solo le conseguenze del mancato pagamento degli anticipisullo svolgimento del procedimento arbitrale e sulla convenzione di arbitrato, rimanendo lafonte del diritto agli anticipi da ricercarsi altrove, nelle norme sostanziali che disciplinano icontratti affini a quello di arbitrato e, dunque, quand

�anche si voglia limitare la portata dell

�art.

816 septies c.p.c. alle sole spese prevedibili, non può essere negato il diritto agli anticipi suicompensi: cfr.

709

seguito della richiesta di pagamento implicita nella liquidazione contenutanel lodo o in atto separato.

10. Se l’oggetto del procedimento in esame è rappresentato daidiritti soggettivi degli arbitri vi è ragione di interrogarsi se il rito specialesia esclusivo ovvero alternativo ad altre forme di tutela.

Se il procedimento speciale offre agli arbitri una tutela “privile-giata” (102), sembrerebbe ragionevole in via di ipotesi ritenere rimessa aglistessi la scelta di agire attraverso la strada che ritengano più opportuna.Tale soluzione potrebbe risultare avvalorata se si considera che l’art. 814,comma 2, c.p.c. individua, stando almeno al dato letterale, nei soli arbitrii soggetti che possono azionare il procedimento in esame, senza che ciòescluda che le parti obbligate possano agire per l’accertamento negativodei diritti degli arbitri (103), dovendo far ricorso alle forme “ordinarie”. E,dunque, se le controversie relative a tali diritti possono essere trattate insede ordinaria quando l’iniziativa è assunta dalle parti, sarebbe irragione-vole escludere che possano esserlo quando l’iniziativa sia presa invecedagli arbitri.

È questa l’opinione prevalente (104), ritenuta non « contestabile »dalle Sezioni Unite (105). A ben vedere, tuttavia, vari sono i problemigenerati dall’accoglimento di questa prospettiva interpretativa.

In primo luogo, il procedimento in parola, come già accennato (106),segue il rito camerale: esso si caratterizza dunque per l’assenza di prede-terminazione legale del suo svolgimento, rimesso alla discrezionalità del

L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 548 s. Similmente, cfr. C. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 615;G.F. RICCI, sub art. 816 septies, cit., 464; F. TIZI, Effetti del mancato versamento anticipato delle« spese prevedibili », in questa Rivista, 2017, 505 ss. Contra, S. MARULLO DI CONDOJANNI, Ilcontratto di arbitrato, cit., 210, il quale ritiene che la limitazione del campo d

�applicazione

dell�art. 816 septies c.p.c. alle sole spese prevedibili porterebbero a negare il diritto agli acconti

sugli onorari.(102) L. LANFRANCHI, Liquidazione delle spese e dell’onorario degli arbitri, cit., 1103 ss.(103) L’affermazione di cui al testo presuppone l’ammissibilità dell’azione di accerta-

mento negativo: cfr., su tale questione e per una dimostrazione della generale ammissibilità diuna siffatta azione, A.A. ROMANO, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 157 ss.

(104) Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045; Cass. 31 marzo 2006, n. 7623. Conf., indottrina, F. AULETTA, Arbitri e responsabilità civile, in questa Rivista, 2005, 759; R. TISCINI, È(nuovamente) contenzioso e censurabile in Cassazione il procedimento di liquidazione delcompenso degli arbitri, cit., 395; C. CECCHELLA, Il contratto di mandato agli arbitri, cit., 136; F.TIZI, Direzione del procedimento e costi dell’arbitrato, in questa Rivista, 2016, 545; V. VIGORITI,Regole e tendenze, cit., 520; A. GUALANDI, Spese e danni, cit., 231; P.L. NELA, sub art. 814, in S.CHIARLONI (diretto da), Le recenti riforme del processo civile, II, Bologna, 2007, 1698; M.RUBINO-SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, I, cit., 546; A. FABBI, sub art. 814, cit., 247; P. LICCI,Il ritorno al futuro delle Sezioni Unite, cit., 362; D. GROSSI, Il silenzio come manifestazione delconsenso, cit., 372.

(105) Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045; nonché, similmente in dottrina, A. FABBI,loc. ult. cit.

(106) Cfr. supra, § 2.

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giudice (107), con l’unico limite del rispetto del principio del contradditto-rio. Non si tratta qui di confrontarsi con il tema dell’ammissibilità di unatutela di diritti soggettivi resa nell’ambito di un procedimento deforma-lizzato, essendo già stata da altri argomentata la legittimità di tale diffusofenomeno (108). Piuttosto, ci si deve interrogare se sia legittima unaprevisione di legge che rimette ad una sola delle parti la scelta della sedeprocessuale (109), vincolante sia per il convenuto, sia per il giudice. Inparticolare, poiché a seguito dell’opzione per il procedimento specialevengono meno, in capo al convenuto, quei poteri processuali riconosciutidalla legge nel rito ordinario (110), vi è ragione di ritenere che una talepossibilità strida con il principio di parità delle armi.

In secondo luogo, l’applicabilità del rito camerale comporta che lacompetenza, che l’art. 814, comma 2, c.p.c. individua nel luogo della sededell’arbitrato, sia da considerare inderogabile, posto che ciò stabilisce

(107) « L’alto tasso di discrezionalità riconosciuto al giudice nel guidare lo svolgimentodel processo » è stato per l’appunto individuato quale uno dei caratteri che « sempre contrad-distingue la cognizione sommaria »: cfr. A. GRAZIOSI, La cognizione sommaria del giudice civilenella prospettiva delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 143.

(108) La “cameralizzazione” dei giudizi sui diritti contrasterebbe, secondo un’opinione,con l’idea che la tutela dei diritti non possa essere offerta esclusivamente attraverso giudizi acognizione sommaria (A. CERINO-CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di procedimentocamerale e giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, 476 ss.; L. MONTESANO, “Dovutoprocesso” su diritti incisi da provvedimenti camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 920; A.PROTO PISANI, Giusto processo e valore della cognizione piena, in Riv. dir. civ., 2002, I, 279 s.);idea che oggi sarebbe avvalorata dall’art. 111, comma 1, Cost., per il quale il giusto processo èregolato dalla legge, di talché la legge dovrebbe disciplinarlo in tutto il suo svolgimento (A.PROTO PISANI, op. ult. cit., 265; A. GRAZIOSI, La cognizione sommaria del giudice civile, cit., 150ss.; L. LANFRANCHI, “Pregiudizi illuministici” e “giusto processo” civile, in L. LANFRANCHI, Giustoprocesso civile e procedimenti decisori sommari, Torino, 2001, 1 ss.; A. CARRATTA, voce Processocamerale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., annali, III, Milano, 2010, 955 ss.; M.G. CIVININI, Il nuovoarticolo 111 della Costituzione e il “giusto processo civile”. Le garanzie, in M.G. CIVININI, C.M.VERARDI (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo, Milano, 2001,276 ss). Tuttavia, tale riserva di legge, secondo l’opinione preferibile, non escluderebbe che laregolamentazione possa essere rimessa dalla legge alla discrezionalità del giudice (A. TEDOLDI,Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, 122; S. CHIARLONI, Il nuovo art.111 Cost. e il processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1013; N. TROCKER, Il nuovo art. 111Cost. e il “giusto processo” in materia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 392 ss.).

(109) Cass. 28 marzo 2003, n. 4743, in Foro it., 2003, I, 2071. Conf. Trib. Napoli 21 gennaio2000, in Giur. merito, 2001, I, 45 e, in dottrina, C. CORRADO, Sul procedimento ex art. 814 c.p.c.,cit., 495.

(110) Sempreché non si voglia sostenere che nell’ambito di un procedimento cameralenon vengono meno quei poteri processuali esercitabili nel giudizio a cognizione piena in quanto,qualora il giudizio verta su diritti, le uniche norme applicabili del rito camerale sarebbero le“regole d’ordine”: cfr. A. CARRATTA, voce Processo camerale, cit., 957, sulla scia della tesiproposta da A. CERINO-CANOVA, Per la chiarezza di idee, cit., 476 ss. ed a cui si avvicina laposizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale, quando il procedimentocamerale abbia ad oggetto diritti, dovrebbe allontanarsi dalla sua struttura tipica originaria per« ammantarsi di forme tipiche del giudizio ordinario »: cfr. Cass. sez. un. 19 giugno 1996, n. 5629.Ma è questa un’idea che non può essere accolta, in quanto il giudizio camerale si caratterizzaproprio per l’assenza di predeterminazione legislativa delle forme e dei termini: cfr. A. PROTO

PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 6ª ed., Napoli, 2014, 681.

711

l’art. 28 c.p.c. con riferimento ai procedimenti camerali (111). Se tuttaviaquegli stessi diritti azionabili con il procedimento ex art. 814 c.p.c. potes-sero essere oggetto, nella prospettiva in esame, anche di un giudizio acognizione piena, promuovibile sia dagli stessi arbitri, sia dalle parti,secondo i normali criteri di competenza, della quale non vi sarebbe motivodi predicare l’inderogabilità, si finirebbe per dover affermare che lacompetenza in relazione alle controversie sui diritti degli arbitri siaderogabile ed inderogabile al medesimo tempo.

Infine, il fatto che i diritti degli arbitri possano essere fatti oggetto diun

�azione di accertamento negativo, che dovrebbe seguire le forme ordi-

narie, comporta ulteriori problemi. Se l�azione d

�accertamento negativo e

quella di condanna ex art. 814 c.p.c. siano proposte davanti a giudicidiversi si verterebbe in un

�ipotesi di continenza e, quando la prima sia

anteriormente instaurata, si potrà assistere ad una dichiarazione di conti-nenza ai sensi dell

�art. 39, comma 2, c.p.c. da parte del presidente del

tribunale adito dagli arbitri (112). Se invece tali domande siano incardinatedavanti al medesimo giudice si dovrà procedere con la riunione, ma siporrebbe il dubbio di quale sia rito applicabile. È evidente come, in questiscenari, l

�obiettivo sotteso alla disposizione in esame, volta ad offrire una

tutela più snella ai giudizi aventi ad oggetto i diritti degli arbitri, finirebbeper uscirne compromesso.

11. Una strada che merita di essere verificata per superare la prin-cipale obiezione alla tesi dell’alternatività dei riti, vale a dire l’incompa-tibilità della stessa con il principio di parità delle armi, potrebbe esserequella di ritenere che l’azione attraverso il rito speciale da parte degliarbitri non precluda alle parti di agire separatamente, per l’accertamentodei medesimi diritti, con le forme ordinarie.

Si tratta qui di chiedersi se possa essere condivisa quell’opinionesecondo la quale il procedimento in oggetto sarebbe sì contenzioso, madestinato a sfociare in provvedimento esecutivo, privo di attitudine algiudicato sostanziale (113). Esso andrebbe ricondotto alla categoria, dicreazione dottrinale, dei procedimenti semplificati-sommari-esecutivi, de-finiti con provvedimenti esecutivi, ma privi di vocazione al giudicato;

(111) Nel senso dell’inderogabilità della competenza prevista dall’art. 814 c.p.c.: cfr. A.BRIGUGLIO, sub art. 814, cit., 84, modificando l’opinione precedentemente sostenuta in A.BRIGUGLIO, Questioni varie, cit., 78; C. GIOVANNUCCI ORLANDI, sub art. 814, cit., 340; G.SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., 404. Contra, sulla differente premessa che le norme del ritocamerale non siano applicabili al procedimento in esame, G. DALFINO, Sulla competenza aliquidare il compenso dagli arbitri, cit., 815 ss.

(112) Nel caso i due giudizi pendenti davanti a giudici diversi aventi ad oggetto unmedesimo diritto, di cui uno sia di accertamento negativo e l

�altro di condanna, si è detto

sussistere una situazione di continenza: cfr. A.A. ROMANO, L’azione di accertamento negativo,cit., 344 ss.; C. CARIGLIA, Profili generali delle azioni di accertamento negativo, Torino, 2013, 217.

(113) A. PROTO PISANI, loc. ult. cit.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., 769.

712

categoria alla quale sarebbero riconducibili tutti quei procedimenti som-mari, disciplinati o meno dalle norme sul rito camerale, il cui oggetto sianodiritti soggettivi (114).

L’esistenza di questa categoria di procedimenti viene giustificata inragione dell’idea che la tutela nelle forme della cognizione piena sarebbecostituzionalmente imposta, di talché il legislatore potrebbe « prevedereche taluni specifici diritti possano essere fatti valere anche (cioè fermarestando la possibilità di essere dedotti in ogni tempo in processi acognizione piena) in processi sommari-semplificati destinati a concludersiin provvedimenti che — alla stessa stregua dei titoli esecutivi di forma-zione stragiudiziale — abbiano solo efficacia esecutiva, ma siano privi diqualsiasi efficacia preclusiva propria del giudicato (formale o) sostanziale:così che l’accertamento (semplificato-sommario) in essi contenuto (e laloro stessa legittimità formale) potrà (...) sempre essere rimesso in discus-sione in un futuro processo a cognizione piena » (115).

A ben vedere, però, il presupposto teorico di tale impostazioneesegetica è tutt’altro che pacifico, potendosi invero dubitare che vi sia unacorrelazione biunivoca tra giudicato e processo a cognizione piena (116):sembra infatti da condividere l’idea che il legislatore possa « sacrificare leforme solenni del processo ordinario in favore di procedimenti che,ancorché deformalizzati, consentono di conseguire una maggiore imme-diatezza di risultato » (117).

Inoltre, la categoria mi pare difficile da accettare su un piano gene-rale.

Per un verso, fra le forme “ordinarie”, idonee a portare ad unaccertamento incontrovertibile, va oggi annoverato il rito sommario dicognizione ex art. 702 bis c.p.c., anch’esso caratterizzato da discrezionalitàprocedimentale in capo al giudice: negare dunque l’incontrovertibilitàdell’accertamento solo perché reso all’esito di un procedimento deforma-lizzato appare una soluzione eccessiva ed ingiustificata.

Per altro verso, la mancata predeterminazione dello svolgimento delprocedimento non comporta una necessaria differenza in punto di gradodi approfondimento istruttorio, che può essere, in linea di principio,

(114) A. PROTO PISANI, Usi ed abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (Appuntisulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluta al giudice), in Riv. dir.civ., 1990, I, 403.

(115) A. PROTO PISANI, Usi ed abusi della procedura camerale, cit., 402.(116) Come invece sostiene parte della dottrina: cfr. A. PROTO PISANI, Usi ed abusi della

procedura camerale, cit., 393 ss.; A. CARRATTA, Struttura e funzione nei procedimenti giurisdi-zionali sommari, in A. CARRATTA (a cura di), Tutela sommaria in Europa. Studi, Napoli, 2012,21 ss.; A. CERINO-CANOVA, Per la chiarezza di idee, cit., 431 ss.; L. LANFRANCHI, voce Giustoprocesso (processo civile), in Enc. giur., XV, Roma, 2001, 13 s.; L. MONTESANO, “Dovutoprocesso”, cit., 915. In senso critico nei confronti di tale impostazione, cfr. A. TEDOLDI, Il nuovoprocedimento sommario di cognizione, cit., 139 ss.

(117) R. TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 232.

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analogo fra procedimento sommario ed “ordinario” (118). E, dunque, aseguire la tesi in esame, si dovrebbe ammettere una duplicazione diaccertamenti istruttori, ancorché condotti secondo modelli procedimentalidifferenti, sui medesimi fatti, salvo voler sostenere che, nei procedimentisemplificati-sommari-esecutivi, il giudice possa svolgere una valutazionelimitata alla verosimiglianza della sussistenza dei fatti allegati. Ma ciò nonviene affermato da chi sostiene la tesi in esame.

Infine, bisogna dare atto che è stato dimostrato che, benché l’incon-trovertibilità dell’accertamento non è un requisito essenziale alla funzionegiurisdizionale decisoria, i casi di provvedimenti decisori inidonei al giu-dicato sostanziale possono essere, nell’attuale sistema, solo quelli espres-samente previsti dal legislatore, senza possibilità di ricavarli in via diinterpretazione (119).

Se dunque la categoria dei provvedimenti semplificati-sommari-ese-cutivi non esiste nella realtà legislativa (120), va di conseguenza negato cheil procedimento in esame sia volto all’ottenimento di un provvedimentoche abbia una mera efficacia esecutiva, lasciando impregiudicato ogniaccertamento dei diritti in sede di cognizione ordinaria.

Le obiezioni sollevate alla tesi che afferma l’alternatività fra tutelaspeciale ed ordinaria non escono pertanto, neppure in parte, superate.

12. La tesi dell’alternatività fra tutela speciale ed ordinaria sembraquindi da ripensare in ragione dei problemi sopra evidenziati (121). Se,diversamente, si considera il rito speciale in esame esclusivo ai fini

(118) Va piuttosto operata una distinzione fra “struttura sommaria” e “cognizionesommaria”, non essendo la sommarizzazione nella ritualità procedimentale necessariamentecollegata ad una sommarizzazione in punto di accertamento del fatto: cfr., al riguardo, R.TISCINI, L’accertamento del fatto nei procedimenti a struttura sommaria, in Giusto proc. civ., 2010,1185 ss., la quale, peraltro, riconduce il rito camerale contenzioso nell’ambito dei procedimentiin cui si avrebbe una cognizione “completa ma superficiale”. Tuttavia, tale ultimo assunto nonsembra pienamente condivisibile, in quanto la deformalizzazione tipica del procedimentocamerale, quando applicato alla tutela dei diritti, non dovrebbe comportare alcuna deviazionerispetto al modello offerto dal rito a cognizione piena, sotto il profilo del grado di approfon-dimento richiesto per l’accertamento del fatto da parte del giudice.

(119) Questo è il risultato cui giunge il lavoro monografico di R. TISCINI, I provvedimentidecisori senza accertamento, cit., 228 ss., la quale, dopo aver individuato le singole fattispecie incui la legge esclude l’attitudine al giudicato sostanziale a provvedimenti a contenuto decisorio— fra i quali l’A. annovera i provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, l’ordinanzapossessoria ex art. 703 c.p.c., l’ordinanza che sospende l’esecuzione forzata unitamente a quellache dichiara l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 624 c.p.c., nonché l’ordinanzaresa all’esito del procedimento sommario di cognizione in materia societaria di cui all’oggiabrogato art. 19, d.lgs. n. 5/03 —, si interroga se sia necessaria una previsione di legge per potersiavere forme di decisione scisse dalla stabilità dell’accertamento.

(120) In tal senso, R. TISCINI, op. ult. cit., 232.(121) Cfr. supra, § 10.

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dell’accertamento dei diritti soggettivi degli arbitri, non vi è spazio nep-pure per il sorgere di tali complicazioni (122).

Ciò comporta, però, che anche quando l’iniziativa sia presa dalleparti, in via d’accertamento negativo, il rito applicabile sia quello speciale.È pur vero che l’art. 814 c.p.c. annovera solo gli arbitri fra i soggetti chepossono agire con il rito speciale; ma tale silenzio non sembra argomentosufficiente a impedire l’interpretazione proposta, una volta ritenuto chel’esclusività del rito discende dal suo oggetto (123).

Si torna in tal modo alla “normalità”. L’ipotesi di un giudizio came-rale su diritti alternativo alla tutela ordinaria si presenta infatti come unaeccezione alla regola (124), foriera, come si è evidenziato, di complesseproblematiche. Inoltre, si assiste, in primo luogo, ad un riequilibrio dellaposizione delle parti nell’accesso al rito speciale; in secondo luogo, lacompetenza per le controversie relative ai diritti degli arbitri cessa diessere contestualmente derogabile ed inderogabile; infine, risulta preclusoalle parti, agendo in prevenzione, di impedire agli arbitri, a seguito dellapronuncia di continenza, di ottenere la tutela dei loro diritti attraverso ilprocedimento speciale in esame.

Si impongono alcune ulteriori notazioni.Anzitutto, tale impostazione non preclude, in ogni caso, il ricorso alla

tutela monitoria, ove ne sussistano i presupposti (125); ma sembra ragio-nevole ritenere che l’eventuale opposizione debba essere disciplinata dalrito di cui all’art. 814, comma 2, c.p.c. (126).

In aggiunta, se i giudizi aventi ad oggetto tali diritti sono regolati, invia esclusiva, dal procedimento in esame, appare irrilevante che il lodo siastato o meno pronunciato (127): è infatti l’oggetto del giudizio che com-

(122) Ciò non esclude che altri possano essere i dubbi che la tesi proposta nel testocomporta. Ci si potrà domandare, ad esempio, se l

�obbligatorietà del rito abbia riflessi sulla

competenza, sottraendola al giudice di pace per le controversie aventi ad oggetto i diritti degliarbitri benché astrattamente rientranti per valore nella sua competenza.

(123) Trib. Venezia, 12 luglio 2011, cit.(124) R. TISCINI, op. ult. cit., 232, la quale osserva al riguardo che « nella maggior parte dei

casi (si direbbe, nella totalità quanto ai camerali contenziosi), quando la legge introduce unprocedimento sommario speciale per la tutela dei diritti, lo fa precludendo la strada dellacognizione piena ».

(125) Cfr. supra, nota 83.(126) Un quesito che può essere posto attiene alle modalità di introduzione dell’opposi-

zione a decreto ingiuntivo, considerato che l’art. 645 c.p.c. stabilisce che essa si proponga conatto di citazione, mentre i procedimenti camerali iniziano con ricorso. In assenza di una derogaespressa all’art. 645 c.p.c., sembra preferibile optare per la prima ipotesi, senza che ciò escludache il procedimento prosegua con le forme camerali. Del resto, in senso simile prevedeva ladisciplina dettata dall’art. 30, l. n. 794/42 in tema di procedimento relativo agli onorari degliavvocati, laddove era stabilito che, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposizioneandasse proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c., ma che il procedimento proseguisse con le formecamerali applicabili a tali controversie.

(127) Secondo una tesi se il lodo non è stato pronunciato non sarebbe possibile il ricorsoal procedimento speciale: cfr. Cass. 7 aprile 2006, n. 8222; Cass. 6 marzo 1988, n. 2494, in questaRivista, 1998, 707; Cass. 17 ottobre 1996, n. 9074, in Giust. civ., 1997, I, 964; Cass. 15 maggio

715

porta l’applicazione del rito speciale, a prescindere, peraltro, da ognivalutazione sulla fondatezza della domanda.

Infine, se l’applicazione del rito speciale dipende dall’oggetto delgiudizio e non dalla circostanza che con esso si chieda la sempliceliquidazione dei diritti degli arbitri, si deve ritenere che lo stesso disciplinii giudizi, aventi ad oggetto tali diritti, anche qualora essi siano già statiquantificati nel loro ammontare in via negoziale (128).

Il rito ordinario sarà invece applicabile quando la domanda avente adoggetto tali diritti sia cumulata, nel medesimo processo, con altre soggettea tale rito, che prevarrà in applicazione del principio di cui all’art. 40,comma 3, c.p.c.

13. Lo studio può ora proseguire con l’esame dei rimedi concessiavverso l’ordinanza del presidente del tribunale.

L’art. 814 c.p.c., che sino alla novellazione del 2006 stabiliva la nonimpugnabilità dell’ordinanza presidenziale, prevede oggi, per un verso,che essa sia soggetta a reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’art. 825,comma 4 (rectius 3), c.p.c., con il quale possono essere fatti valere erroresin iudicando o in procedendo; e, per altro verso, che la corte d’appellopossa disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimentoimpugnato ai sensi dell’art. 830, comma 4, c.p.c., vale a dire in presenza digravi motivi.

L’art. 814, ultimo comma, c.p.c. soggiunge che il provvedimentopresidenziale « costituisce titolo esecutivo contro le parti ed è impugnabilecon il reclamo ex art. 825, comma 4, c.p.c. », ragione per cui ci si è chiestise il reclamo sia esperibile solo in caso di accoglimento della domandadegli arbitri e, dunque, quando costituisca titolo esecutivo in relazione alcompenso ed al rimborso delle spese (129).

La risposta sembra negativa (130). Da un lato, è opportuno precisareche le parti contro cui l’ordinanza costituisce titolo esecutivo vanno intese,a mio avviso, quali parti del procedimento nel quale è resa, non potendo

1996, n. 2124, in Riv. trim. app., 1996, 706, con nota critica di D. GIACOBBE, Le prestazioni delleparti nel contratto di arbitrato; Cass. 30 aprile 1995, n. 3907; Cass. 31 marzo 2006, n. 7623,nonché, Cass. 26 agosto 2002, n. 12536, in Giust. civ., 2003, I, 1039, con nota contraria di G.RUFFINI, Equivoci sulla determinazione giudiziale delle spese e degli onorari dovuti agli arbitri chesi siano limitati a risolvere questioni di competenza o di ammissibilità del procedimento arbitrale,la quale ha perfino affermato che il lodo dovrebbe essere definitivo e sul merito. Conf., indottrina, L. MONTESANO, G. ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, II, 2, cit., 1658; P.D’ONOFRIO, Commento al codice di procedura civile, cit., 487; A. FABBI, sub art. 814, cit., 247; R.VECCHIONE, L’arbitrato, cit., 465.

(128) Per l’ammissibilità del ricorso al rito speciale in presenza di accordo sui compensie spese, cfr. M. RUBINO-SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, cit., 541 e, in giurisprudenza, Cass.21 aprile 1999, n. 3945.

(129) In tal senso, cfr. V. VIGORITI, La “frequente evenienza”, cit., 599.(130) L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 332; R. TISCINI, Ordinanza di liquidazione del

compenso agli arbitri, cit., 865 s.

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giustificarsi che l’esecutività sia riconosciuta solo in caso di condanna delleparti debitrici, ma non anche degli arbitri (131). D’altro lato, il reclamoprevisto dall’art. 825 c.p.c., richiamato dall’art. 814 c.p.c., è esperibile tantoavverso provvedimenti di accoglimento quanto di rigetto, in base allaconsiderazione che, a diversamente opinare, le parti non sarebbero postein condizioni di parità.

Infine, l’ordinanza resa in sede di reclamo va ritenuta soggetta alricorso straordinario in Cassazione, in quanto decisoria e non altrimentiimpugnabile (132).

14. L’indagine sin qui condotta sollecita il quesito se il rito specialedi cui all’art. 814, comma 2, c.p.c. si applichi anche alle controversierelative ai diritti degli arbitri irrituali; un quesito che ha ricevuto inpassato (133) e continua a ricevere, soluzioni divergenti, anche a seguitodell’introduzione, ad opera del d.lgs. n. 40/06, dell’art. 808 ter c.p.c.

(131) Si pensi, ad esempio, al capo con cui gli arbitri, in caso di rigetto della domanda,vengano condannati alle spese di lite, capo del quale va ritenuta l’idoneità a costituire titoloesecutivo.

(132) L’opinione prevalente con riferimento all’ordinanza non impugnabile del presi-dente del tribunale (cfr. supra, nota 62) va oggi condivisa in relazione al provvedimento reso insede di reclamo: cfr. F.P. LUISO, B. SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 278; C.CECCHELLA, sub art. 814 c.p.c., cit., 160; P.L. NELA, sub art. 814, cit., 1693. Conf. R. TISCINI,Ordinanza di liquidazione del compenso agli arbitri, cit., 865; F. TIZI, I costi del processoarbitrale, cit., 584; S. MARULLO DI CONDOJANNI, sub art. 814, in A. BRIGUGLIO, B. CAPPONI (a curadi), Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, Padova, 2009, 654, E. ODORISIO, Primeosservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv dir. proc., 2006, 256; M. RUBINO-SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, I, cit., 546; G. RUFFINI, F. RAVIDÀ, sub art. 814, in C.CONSOLO (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, III, 5ª ed., Milano, 2013, 1690s. Contra S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 4ª ed., Milano, 2011, 104 s., sulla basedell’argomentazione, in contrasto con l’art. 111, comma 7, Cost., per la quale la ricorribilità inCassazione contrasterebbe con il principio di ragionevole durata del processo. L’impugnabilitàin Cassazione va invece negata contro l’ordinanza presidenziale, difettando oggi del requisitodella non impugnabilità. Tuttavia, in senso contrario, una parte della dottrina ha affermato chel’ordinanza sarebbe comunque impugnabile con il ricorso straordinario, anche se non reclamata:cfr. V. VIGORITI, La “frequente evenienza”, cit., 599.

(133) L’opinione negativa era prevalente: cfr. Cass. 11 giugno 2014, n. 13211; Cass.11aprile 2011, n. 8215; Cass. 28 aprile 2010, n. 10221; Cass. 31 marzo 2006, n. 7623; Cass. 8settembre 1997, n. 8735; Cass. 16 maggio 1997, n. 4347; Cass. 17 ottobre 1995, n. 10824; Cass. 25novembre 1995, n. 11664, in questa Rivista, 1994, con nota di A. CAMPAGNOLA, Liquidazione delcompenso agli arbitri e arbitrato irrituale; Cass. 20 novembre 1993, n. 11489; Cass. 10 luglio 1993,n. 7604, in Foro it., 1993, I, 3037, con nota di C.M. BARONE; Cass. 4 aprile 1990, n. 2800, cit.; Cass.3 maggio 1984, n. 2690; Cass. 13 luglio 1983, n. 4757; Cass. 16 maggio 1983, n. 3367; Cass. 4maggio 1981, n. 2702; Cass. 20 novembre 1979, n. 6064; Cass. 8 maggio 1978, n. 2216; Cass. 7settembre 1973, n. 2406; App. Venezia, 3 gennaio 2012, in Foro pad., 2012, I, 405 ss., con notadi E. DE LAZZARI, Controversa applicazione dell’art. 814 c.p.c. all’arbitrato irrituale; Pret.Salerno, 3 settembre 1993, in Notiziario giur. lav., 1994, 434. In dottrina, cfr. P. BERNARDINI, Ildiritto dell’arbitrato, Roma-Bari, 1998, 63; M. CURTI, L’arbitrato irrituale, Torino, 2005, 187. Insenso contrario si poneva un indirizzo minoritario, a favore dell’applicabilità dell’art. 814 c.p.c.anche agli arbitri irrituali: cfr. Cass. 3 settembre 2004, n. 17808; Cass. 8 agosto 2003, n. 11963,in Giur. it., 2004, 1375, con nota di M.L. SERRA; Trib. Perugia 31 ottobre 2007, in questa Rivista,2007, 431, con nota di M. SCALAMOGNA, Sull’applicabilità della procedura di liquidazione delcompenso ex art. 814 c.p.c. all’arbitrato irrituale; Trib. Firenze, 28 luglio 1994, in questa Rivista,

717

Se la soluzione veniva fatta dipendere dalla posizione assunta sualcune premesse, quali l’identità o meno della natura di lodo rituale oirrituale (134) o la specialità della regola processuale (135), che avrebbepotuto precluderne l’applicazione analogica all’arbitrato irrituale, oggiessa sembra da ricondurre al più ampio dibattito, relativo all’interrogativose le norme del codice di rito dedicate all’arbitrato rituale siano estensibilia quello irrituale.

Il problema, in particolare, riguarda l’interpretazione che si offra alprimo comma dell’art. 808 ter c.p.c., nel quale si dispone che le partipossono stabilire che la controversia sia definita dagli arbitri mediantedeterminazione contrattuale e che « altrimenti si applicano le disposizionidel presente titolo ».

Chi sostiene che, in base a tale previsione, vada esclusa in bloccol’applicazione delle norme relative all’arbitrato rituale è giunto a negareche agli arbitri irrituali si applichi la disciplina sostanziale e processuale dicui all’art. 814 c.p.c. (136). Viceversa, chi diversamente afferma, anche allaluce della legge delega (137), che le norme dell’arbitrato rituale si appli-chino di default, ove compatibili, pure a quello irrituale, include fra essealtresì l’art. 814 c.p.c. (138).

Sotto un profilo generale sembra preferibile l’opzione interpretativa,che ammette un’applicazione residuale delle norme dedicate all’arbitratorituale nel caso in cui difettino norme in materia di contratti applica-bili (139). Sulla scorta di tale premessa, si è giunti ad escludere che l’art. 814c.p.c. possa venire in rilievo con riferimento all’arbitrato irrituale, inquanto vi sarebbe già « una disciplina normativa contrattuale applicabile

1994, con nota di V. VIGORITI, Arbitri irrituali e liquidazione dei compensi; Trib. Bari, 2 marzo1956, in Riv. giur. lav., 1956, II, 412, con nota di C. SMURAGLIA, Sull’onere delle spese e delcompenso agli arbitri nel procedimento previsto dall’accordo interconfederale 18 ottobre 1950.Conf., in dottrina, P. BIAVATI, sub art. 808 ter, in F. CARPI (a cura di), Arbitrato, 3ª ed., cit., 181;P.L. NELA, sub art. 814, cit., 1698; V. VIGORITI, op. ult. cit.; C. GIOVANNUCCI ORLANDI, sub art. 814,cit., 282.

(134) Cass.11 giugno 2014, n. 13211.(135) Cass. 10 luglio 1993, n. 7604.(136) M. BOVE, La giustizia privata, cit., 261; P. BIAVATI, sub art. 808 ter, cit., 217; M.

SCALAMOGNA, Sull’applicabilità della procedura di liquidazione del compenso, cit., 439 s.(137) La legge delega, in base alla quale è stato approvato il d.lgs. n. 40/06, era nel senso

di prevedere che « le norme in tema di arbitrato trovino sempre applicazione in presenza di unpatto compromissorio comunque denominato, salva la diversa espressa volontà delle parti diderogare alla disciplina legale », con la quale, dunque, l’art. 808 ter, comma 1, c.p.c. non sembraperfettamente in linea, tanto da portare una parte della dottrina a sollevare dubbi di legittimitàcostituzionale per eccesso di delega: cfr. G. VERDE, Arbitrato irrituale, in questa Rivista, 2005,677.

(138) B. SASSANI, voce Arbitrato irrituale, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., agg. I, Milano,2007, 116 s.; P.L. NELA, sub art. 808 ter, cit., 1647; A. FABBI, sub art. 814, cit., 238; G. TOTA, subart. 808 ter, in A. BRIGUGLIO, B. CAPPONI (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile,III, 2, Padova, 2009, 553. In giurisprudenza, cfr. Trib. Venezia, 12 luglio 2011, in Foro pad., 2012,I, 169.

(139) È questa la tesi sostenuta da L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 160.

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che deve costituire indice di riferimento in tema di arbitrato irri-tuale » (140), facendone conseguire che i diritti al compenso ed al rimborsodelle spese siano regolati dall’art. 1720 c.c. in tema di mandato e sianoazionabili attraverso le forme ordinarie, senza possibilità di ricorso allospeciale procedimento di cui all’art. 814, comma 2, c.p.c. (141).

Tuttavia, pur ammesso che, sotto il profilo sostanziale, il rapportoparti-arbitri irrituali sia regolato solo dalle norme in tema di mandato (o,comunque, di altro contratto cui lo si voglia ricondurre), per quanto quiinteressa, sul piano processuale, pare irragionevole escludere l’utilizzo delrito speciale di cui all’art. 814, comma 2, c.p.c. per i diritti degli arbitriirrituali, tenuto conto di un’analoga esigenza di tutela degli arbitri ritualie di quelli irrituali, che risulta ancor più giustificata se si ritiene, comesembra, che l’arbitrato irrituale abbia struttura e funzione analoghe aquello rituale.

Si impone un ultimo rilievo. La circostanza che siano gli arbitriirrituali ad azionare il procedimento ex art. 814 c.p.c. non ne modificanatura e qualificazione. Va infatti al riguardo osservato che le SezioniUnite hanno affermato che, poiché l’arbitrato rituale ha natura giurisdi-zionale (142), stessa natura dovrebbe avere il provvedimento reso nell’am-bito del procedimento ex art. 814 c.p.c. (143). Se davvero dovesse ricono-scersi fondatezza a questa sorta di equazione, si dovrebbe arrivare asostenere che, poiché il lodo irrituale ha natura negoziale, allora analoganatura dovrebbe avere il provvedimento di liquidazione ex art. 814,comma 2, c.p.c. È questo però un assunto errato, in quanto non vi è alcunlegame fra la natura del lodo, avente ad oggetto i diritti o i rapporti fra leparti dell’arbitrato, e quella del provvedimento di liquidazione di com-pensi e spese agli arbitri, che statuisce invece sui diritti degli arbitri (144).

The author analyses the topic of the rights of the arbitrators to the payment ofthe fees and to the reimbursement of the expenses. In particular, the author examinesarticle 814 of the Italian code of civil procedure, which provides a special proceed-ings for the rights of the arbitrators, facing with its debated nature and with therelation between such proceedings and other forms of judicial protection.

(140) EAD., op. ult. cit., 171.(141) EAD., loc. ult. cit.(142) Cfr. supra, nota 73.(143) Cass., sez. un., 7 dicembre 2016, n. 25045, in motivazione sub § 3.(144) In senso simile, A. BRIGUGLIO, Postilla (sui denari delle parti e degli arbitri, sulla

natura dell’arbitrato, e sui feticci), in questa Rivista, 2017, 368 s.; R. TISCINI, È (nuovamente)contenzioso e censurabile in Cassazione il procedimento di liquidazione del compenso degliarbitri, cit., 397 s.; V. VIGORITI, La “frequente evenienza”, cit., 599; R. BRENDA, Tertium datur, laCassazione ci riprova: (nuove?) rimeditazioni sull’art. 814 c.p.c., in www.giustiziacivile.com.

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I) ITALIANA

Sentenze annotate

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12950; FORTE

Pres.; DE CHIARA Est.; Ente Acque Umbre Toscane (avv.ti Ricci, Briguglio) c. RioBanco S. a r.l. (avv. Di Gioia) e altri.

Arbitrato rituale - Procedimento regolato dalle norme ante 2006 - Termine per ladecisione - Proroga arbitrale - Per ciascuna causa giustificativa - Ammissibi-lità.

Negazione del fatto affermato dalla sentenza. - Ricorso ordinario per cassazione.- Inammissibilità. - Revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. - Necessità.

In materia di arbitrato rituale, l’art. 820, comma 2, c.p.c. (nel testo applicabileratione temporis, anteriore alla riforma del 2006), secondo cui, quando debbanoessere assunti mezzi di prova o sia stato pronunciato un lodo non definitivo, gliarbitri possono prorogare per una sola volta il termine, dev’essere interpretato nelsenso che la locuzione “per una sola volta” va riferita a ciascuna delle due causegiustificative della proroga.

Qualora la decisione del giudice d’appello si fondi su fatto, che l’impugnanteneghi essersi verificato, la decisione dev’essere impugnata per revocazione ai sensidell’art. 395, n.4, c.p.c., e non con ricorso ordinario per cassazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. Con il primo motivo di ricorso si denunciaviolazione dell’art. 820, secondo comma, c.p.c. nel testo qui applicabile rationetemporis, anteriore alla modifica introdotta con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.Sostiene il ricorrente che, mentre il nuovo testo dell’art. 820 consente espressa-mente, al quarto comma, più di una proroga in relazione al verificarsi di unapluralità di (tipi di) fatti giustificativi (“il termine è prorogato di centottanta giorninei casi seguenti e per non più di una volta nell’ambito di ciascuno di essi”, recitail comma in questione), ciò non può affermarsi per la precedente formulazionedell’articolo, che al secondo comma era chiarissimo nel disporre che « quandodebbono essere assunti mezzi di prova o sia stato pronunciato lodo non definitivo,gli arbitri possono prorogare per una sola volta il termine e per non più dicentottanta giorni ». Né sarebbe corretto interpretare una norma previgente alla

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

721

luce della norma successiva, variando di volta in volta le esigenze a fondamentodelle norme stesse. 1.1. Per quanto la tesi del ricorrente non possa dirsi priva dipregio, tuttavia essa non convince. È certamente esatto che non è possibile trarresicuri argomenti ermeneutici dal nuovo testo dell’art. 820 c.p.c.; né in un senso,però, né nel senso opposto. La nuova disposizione, invero, ben potrebbe essereletta sia come introduzione ex novo della possibilità di più proroghe, sia comechiarimento di un passaggio ambiguo della precedente disciplina, che non laescludeva. Non può infatti essere condivisa l’affermazione del ricorrente che ilvecchio testo dell’art. 820, secondo comma, c.p.c. sia indiscutibilmente chiaronell’escludere la possibilità di una seconda proroga anche allorché si verifichino sial’una (attività istruttoria) sia l’altra (pronuncia di lodo non definitivo) delle duecircostanze che possono giustificarla: a ben guardare, la locuzione “per una solavolta” potrebbe essere messa in relazione, in mancanza di espressa precisazione,sia a entrambe le circostanze giustificative della proroga nel loro complesso, sia aciascuna di esse singolarmente considerata. Prova ne sia che nella dottrina piùaccreditata non sono mancate letture sia nell’uno che nell’altro senso. Nel dubbiosulla lettera, occorre perciò ricorrere al criterio logico. E la logica suggerisce didare risposta affermativa alla questione dell’ammissibilità di una doppia proroga,perché l’esigenza di disporre di un tempo più lungo per decidere è direttamenteproporzionale alla complessità del procedimento, valutata in base agli indici,previsti dal legislatore, dell’assunzione di mezzi di prova e della pronuncia di unlodo non definitivo. La soluzione preferibile della questione posta dal ricorrente,pertanto, è che la locuzione “per una sola volta”, che figura nel secondo commadell’art. 820 c.p.c., vecchio testo, va riferita a ciascuno dei due tipi di circostanzegiustificative della proroga (assunzione di mezzi di prova e pronuncia di lodo nondefinitivo). 2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione peravere la Corte d’appello fatto riferimento a una seconda proroga del termine perdecidere disposta dagli arbitri con “ordinanza del 7-7-1998 (in atti)”. Osserva ilricorrente che tale proroga non è mai esistita e che l’assunto della Corte d’appelloè privo di motivazione, non comprendendosi a quali “atti” la Corte faccia riferi-mento. 2.1. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del motivo perchéquello descritto è qualificabile come vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4,c.p.c., da far valere, dunque, col rimedio della revocazione e non con il ricorso percassazione. L’eccezione è fondata perché, affermando l’esistenza in atti di unprovvedimento di proroga in data 7 luglio 1998 in realtà inesistente — secondo latesi del ricorrente — la Corte d’appello sarebbe incorsa in un errore di percezione(denunciabile ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.), non già in un errore di valutazione(denunciabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.). La fattispecie dedotta dal ricor-rente, insomma, è una pura “svista” della Corte di merito, piuttosto che unavalutazione immotivata. Nella memoria il ricorrente ribadisce che si tratta di unerrore di valutazione perché “la proroga potrebbe anche esservi stata, ma la suaesistenza non è stata dimostrata dalla Corte di merito. Quindi nella specie non puòdirsi che la sussistenza della proroga del 7/7/1998 sia esclusa in modo incontestabile(cioè che la Corte abbia travisato i fatti), ma solo che la Corte non ha provato nellamotivazione la sua sussistenza”. Deve però osservarsi che in tal modo vienemodificato — inammissibilmente, giacché la memoria è destinata alla sola illustra-zione dei motivi come articolati nell’atto introduttivo, non già alla loro modifica-zione — il contenuto della censura articolata con il ricorso, nel quale invece si

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affermava che “tale proroga intermedia non è mai esistita”. Peraltro, se lo stessoricorrente non esclude l’esistenza dell’ordinanza arbitrale in questione, anche laeventuale censura di vizio di motivazione sarebbe inammissibile per genericità enon decisività.

(Omissis).

Proroga del termine per la pronuncia del lodo e dinamiche dell’errore

revocatorio.

1. Il termine per la pronuncia del lodo — lungi dal costituire unamera scansione procedimentale, un tecnicismo di “bassa cucina” (1) — èuno degli istituti fondanti il procedimento arbitrale, fin dal sistema del1865, che contemplava un termine per la pronuncia della sentenza arbi-trale e assoggettava a responsabilità risarcitoria gli arbitri che non aves-sero pronunciato la sentenza entro il termine stabilito.

La pronuncia in epigrafe si occupa ex professo di un tema che, aquanto consta, non aveva ancora precedenti nelle decisioni della SupremaCorte, e cioè quello della possibile latitudine della proroga arbitrale deltermine per la pronuncia del lodo nel regime ante 2006.

Inoltre, la pronuncia è occasione di sintetiche riflessioni sull’errorerevocatorio, e sulle sue possibili “declinazioni” nella censura della moti-vazione prospettata dal soccombente.

Iniziamo dal profilo della proroga.

2. Nel codice vigente, il termine per la pronuncia del lodo trova lapropria disciplina nell’art. 820 c.p.c. (2) ed è specificamente “presidiato”

(1) Come invece potrebbe essere predicato per la scansione temporale delle attivitàpreviste da un determinato iter processuale (lo rilevava il Prof. Claudio Consolo nell’interventosvolto all’ultimo convegno dell’Associazione Italiana tra gli Studiosi del Processo Civile,mutuando l’icastica espressione che, come anche chi scrive ricorda, il Prof. Edoardo Ricci usavanelle sue lezioni).

(2) Che così prevede: “Le parti possono, con la convenzione di arbitrato o con accordoanteriore all’accettazione degli arbitri, fissare un termine per la pronuncia del lodo. Se non èstato fissato un termine per la pronuncia del lodo, gli arbitri debbono pronunciare il lodo neltermine di duecentoquaranta giorni dall’accettazione della nomina. In ogni caso il termine puòessere prorogato: a) mediante dichiarazioni scritte di tutte le parti indirizzate agli arbitri; b) dalpresidente del tribunale indicato nell’articolo 810, secondo comma, su istanza motivata di unadelle parti o degli arbitri, sentite le altre parti; il termine può essere prorogato solo prima dellasua scadenza. Se le parti non hanno disposto diversamente, il termine è prorogato di centottantagiorni nei casi seguenti e per non più di una volta nell’ambito di ciascuno di essi: a) se debbonoessere assunti mezzi di prova; b) se è disposta consulenza tecnica d’ufficio; c) se è pronunciatoun lodo non definitivo o un lodo parziale; d) se è modificata la composizione del collegioarbitrale o è sostituito l’arbitro unico. Il termine per la pronuncia del lodo è sospeso durante lasospensione del procedimento. In ogni caso, dopo la ripresa del procedimento, il termineresiduo, se inferiore, è esteso a novanta giorni”.

723

dagli artt. 821 c.p.c., sulla rilevanza del decorso del termine (3), e 829, 1ºcomma, n. 6, c.p.c., sulla nullità del lodo pronunciato dopo la scadenza deltermine stabilito (4).

Per quanto qui rileva, l’art. 820, 4º comma, c.p.c., dopo la riforma del2006 (5), contiene quattro distinte ipotesi di “proroga automatica” (6) deltermine in questione: “Se le parti non hanno disposto diversamente, iltermine è prorogato di centottanta giorni nei casi seguenti e per non piùdi una volta nell’ambito di ciascuno di essi: a) se debbono essere assuntimezzi di prova; b) se è disposta consulenza tecnica d’ufficio; c) se èpronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale; d) se è modificatala composizione del collegio arbitrale o è sostituito l’arbitro unico”.

Diverso, più limitato, e sul punto meno perspicuo era il dispostodell’art. 820 c.p.c. ante riforma del 2006, il cui 2º comma così prevedeva:“Quando debbono essere assunti mezzi di prova, o sia stato pronunciatolodo non definitivo, gli arbitri possono prorogare per una sola volta iltermine e per non più di centottanta giorni”.

(3) Per cui il decorso del termine di cui all’art. 820 c.p.c. non può essere dedotto comecausa di nullità del lodo se la parte interessata, prima della deliberazione del lodo, non abbia“notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la loro decadenza”. La normaprecisa altresì che, “se la parte fa valere la decadenza degli arbitri, questi, verificato il decorsodel termine, dichiarano estinto il procedimento”. Su tale disposizione, e sul suo coordinamentocon i possibili contenuti del lodo e la sua impugnazione, v., per tutti, SALVANESCHI, Arbitrato, inCommentario del Codice di Procedura Civile, a cura di Sergio Chiarloni, Bologna, 2014, 736-737:“Il decorso del termine di cui all’art. 820 cod. proc. civ. non rileva di per sé. Perché acquisti unpeso occorre la manifestazione di volontà di cui all’art. 821 cod. proc. civ., quindi, se talemanifestazione di volontà non viene espressa, gli arbitri sono tenuti a pronunciare il lodo,esattamente come se il termine non fosse scaduto. Si potrà trattare, quindi, a seconda dei casi,di lodo di rito o di merito, che sarà perfettamente valido sotto il profilo in esame, potendo essereimpugnato solo in relazione a suoi altri e diversi vizi, ma non per il motivo di cui all’art. 829, 1ºcomma, n. 6, cod. proc. civ. Se, invece, la manifestazione di volontà di avvalersi del decorso deltermine interviene, gli arbitri, verificato il decorso stesso e qualora ovviamente siano convintidella sua scadenza [...], devono emanare una pronuncia di estinzione del procedimento e nonpossono in astratto emanare alcun lodo di carattere diverso, sia esso di rito o di merito. Tuttavia,è anche possibile che gli arbitri pronuncino comunque in modo diverso dalla dichiarazione diestinzione, o perché non condividono la prospettazione della parte in ordine alla scadenza deltermine, oppure perché, pur convinti della scadenza in discussione, confidano che la statuizionedeliberata non induca impugnazioni. In questo caso, in entrambe le sue varianti [...], il lodo, dirito o di merito, che non abbia dichiarato l’estinzione del procedimento è sicuramente impu-gnabile, oltre che per suoi eventuali vizi ulteriori, anche e solo perché è stato pronunciato dopoquella che la parte ritiene essere la scadenza del termine ex art. 829, 1º comma, n. 6, cod. proc.civ. Il decorso del termine è infatti causa di nullità del lodo, ritualmente fatta valere e, solo perquesto, anche se poi fosse corretto quanto alla sua statuizione, può essere annullato dalla corted’appello, che sarà poi tenuta a decidere nel merito”.

(4) Per cui l’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventivarinuncia, “se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il dispostodell’articolo 821”. Su tale disposizione, v. per tutti SALVANESCHI, op. cit., 292 ss., 735 ss.;MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009,221 ss.

(5) E, precisamente, in forza di quanto previsto dall�art. 23 del d.lgs. 2 febbraio 2006,

n. 40.(6) Così SALVANESCHI, op. cit., 716 ss.

724

Essendo quest’ultima la disposizione ratione temporis applicabile alcaso di specie (7), si è posta alla Corte d’appello, in sede d’impugnazionedel lodo per nullità, e poi alla Cassazione, in sede d’impugnazione dellasentenza della Corte d’appello, la questione se la locuzione “per una solavolta” debba essere interpretata nel senso che è ammessa solo e soltantouna proroga, quand’anche si siano verificate entrambe le circostanzedivisate nell’art. 820 c.p.c. (assunzione di mezzi di prova; pronuncia di lodonon definitivo), ovvero nel senso che sia possibile un cumulo di duesuccessive proroghe (sempre ovviamente nell’ipotesi in cui gli arbitriabbiamo assunto mezzi di prova e, inoltre, pronunciato lodo non defini-tivo).

Come dà atto la sentenza, la locuzione in questione “potrebbe esseremessa in relazione, in mancanza di espressa precisazione, sia a entrambele circostanze giustificative della proroga nel loro complesso, sia a ciascunadi esse singolarmente considerata”.

Non a caso, difformi sul punto sono state le opinioni degli interpreti.Da un lato, nella vigenza dell’art. 820 c.p.c. nella formulazione che qui

rileva, si osservava autorevolmente che “la proroga deve essere dispostadagli arbitri, i quali possono esercitare tale potere per una sola volta,indipendentemente dal numero dei lodi non definitivi o dei provvedimentiistruttori emessi nel corso del processo [...]. Non è pertanto neppurepossibile affermare [...] che gli arbitri possono esercitare il potere diproroga due volte, una volta quando debbano essere assunti mezzi diprova ed un’altra volta quando sia pronunciato un lodo non definitivo” (8).

Dall’altro lato, e altrettanto autorevolmente, si era prospettata lapossibilità “di più proroghe”, in relazione alle diverse circostanze di cuiall’art. 820, 2º comma, c.p.c. all’epoca vigente (9).

3. La soluzione accreditata dalla Suprema Corte, per cui la locu-zione “per una sola volta” va riferita a ciascuna delle due circostanzegiustificative della proroga, appare invero preferibile, per plurime e con-correnti ragioni.

La prima attiene alla ragionevolezza dell’interpretazione normativa.La norma in esame menziona, quali circostanze giustificative della pro-

(7) Ai sensi dell’art. 27, comma 4, d.lgs. n. 40/2006, il nuovo art. 820 c.p.c. si applica aiprocedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alladata di entrata in vigore del decreto (avvenuta il 2 marzo 2006).

(8) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2000, 15, nota 38. Nello stessosenso, RASCIO, La decisione, in AA.VV., Diritto dell’arbitrato, a cura di Giovanni Verde, Torino,2005, 360, ove il rilievo per cui “neppure è consentito prorogare il termine prima per motiviistruttori e poi di nuovo a seguito dell’emanazione di una pronuncia non definitiva”.

(9) In questo senso, FAZZALARI, voce Arbitrato nel diritto processuale civile, in Dig. disc.priv., sez. civ., Agg., I, Torino, 2000, 107 (riferendo peraltro la possibilità di più prorogheall’ipotesi di emissione di “più lodi parziali”).

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roga, due ipotesi affatto eterogenee. Gli arbitri possono valutare di doverassumere mezzi di prova in relazione alla necessità di verificazione dellaverità delle allegazioni in fatto delle parti; mentre possono valutare didover pronunciare lodo non definitivo in relazione alla complessità dellacausa sotto il profilo delle domande e delle questioni oggetto del giudizio.Rilevano una complessità istruttoria, da un lato; e una complessità del-l’oggetto del giudizio, dall’altro lato. Due esigenze evidentemente diverse,rispetto alle quali sarebbe irrazionale (rischiare di) costringere gli arbitria sacrificare l’una o l’altra, a motivo della tempistica del procedimento.

Né quanto precede sarebbe superabile dal rilievo per cui la previgenteversione dell’art. 820 c.p.c. prevedeva una proroga discrezionale(“Quando debbono essere assunti mezzi di prova, o sia stato pronunciatolodo non definitivo, gli arbitri possono prorogare per una sola volta iltermine”) e variabile circa il lasso temporale (“per non più di centottantagiorni”): a parte il fatto che non erano mancate prese di posizione, nelsenso dell’operatività della proroga ex lege (10), se si propende per am-mettere una sola proroga, a nulla vale discettare della possibilità che gliarbitri limitino la durata di una prima proroga, in previsione dell’even-tuale futura necessità di disporre di ulteriore tempo da “allocare” a unaseconda proroga.

In secondo luogo, ammettere due proroghe (una per tipo) del termineper la pronuncia del lodo risponde a un criterio di proporzionalità. Lanorma individua due “indici di complessità” del procedimento, l’assun-zione di mezzi di prova e la pronuncia di lodo non definitivo, e stabilisceche sia congruo, e quindi proporzionato rispetto al complessivo iterprocedimentale, che gli arbitri dispongono di un lasso temporale piùdisteso a fronte di tali indici. Ma tale proporzione è rispettata solo se laproroga può essere doppia, pena altrimenti la convivenza di procedimenticon un indice di complessità singolo (in cui siano assunti mezzi di prova,oppure emesso lodo non definitivo), rispetto ai quali il termine è proro-gabile fino a centottanta giorni, e procedimenti con un indice di comples-sità doppio (in cui siano assunti mezzi di prova e, altresì, emesso lodo nondefinitivo), rispetto ai quali può essere disposta la medesima proroga.Mutuando le parole della sentenza, “la logica suggerisce di dare rispostaaffermativa alla questione dell’ammissibilità di una doppia proroga, per-ché l’esigenza di disporre di un tempo più lungo per decidere è diretta-mente proporzionale alla complessità del procedimento, valutata in baseagli indici, previsti dal legislatore, dell’assunzione di mezzi di prova e dellapronuncia di un lodo non definitivo”.

(10) Cfr. Cass. 18 marzo 1981, n. 1595: “L’ammissione di mezzi istruttori (nella specie,ispezione dei luoghi) disposta dal collegio arbitrale prima della scadenza del termine per ladecisione comporta, ai sensi del comma 2 dell’art. 820 c.p.c., la proroga ex lege di detto termine,ancorché trattisi di termine già prorogato per accordo tra le parti”.

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In terzo luogo, rilevante appare la considerazione, di tipo storico, percui la disposizione dell’art. 820, 2º comma, c.p.c., nel testo originario delcodice del 1940, era la seguente: “Quando debbono essere assunti mezzi diprova, gli arbitri possono prorogare per una sola volta il termine e per nonpiù di novanta giorni”. Il codice era quindi inequivoco nell’accordare lapossibilità di una proroga a fronte di una circostanza rilevante (l’assun-zione di mezzi di prova). Allorché, con la riforma del 1994 (11), è stataaggiunta l’ulteriore circostanza della pronuncia di lodo non definitivo,sembra coerente, a fronte di due circostanze rilevanti, ammettere lapossibilità di due proroghe, una per ciascuna degli indici di complessità delprocedimento individuati dalla legge.

Né varrebbe opporre che, nel contempo, il legislatore del 1994 haraddoppiato il lasso massimo temporale della proroga, da novanta acentottanta giorni, come se tale estensione potesse essere letta quale“contemperamento” all’aggiungersi di un’ulteriore circostanza giustifica-tiva della proroga. Come già detto, quel che rileva è la possibilità diammettere due proroghe (a fronte di due circostanze giustificative), e nongià il lasso temporale massimo della singola proroga: se si propende perl’ammissibilità di una sola proroga, è irrilevante discettare della possibilitàdi fruire di più tempo in relazione al verificarsi di una seconda circostanzagiustificativa. Inoltre, l’ampliamento del lasso temporale della proroga è lostesso che il legislatore del 1994 ha previsto per il termine per la pronunciadel lodo (anch’esso elevato da novanta a centottanta giorni) e, comerisulta dalla relazione al disegno di legge governativo poi trasfuso nella l.5 gennaio 1994, n. 25, si tratta di un “ampliamento dei termini” cherisponde unicamente “ad un’esigenza della pratica, che ha sempre dimo-strato l’insufficienza dei termini oggi vigenti” (12).

Ancora, e volgendo stavolta lo sguardo non già indietro, ma “avanti”,la lettura accreditata sembra in linea con l’evoluzione normativa. Comegià riferito, l’art. 820, 4º comma, c.p.c., riformato nel 2006 e oggi vigente,prevede che, “se le parti non hanno disposto diversamente, il termine èprorogato di centottanta giorni nei casi seguenti e per non più di una voltanell’ambito di ciascuno di essi: a) se debbono essere assunti mezzi diprova; b) se è disposta consulenza tecnica d’ufficio; c) se è pronunciato unlodo non definitivo o un lodo parziale; d) se è modificata la composizionedel collegio arbitrale o è sostituito l’arbitro unico”. Ancorché sia chiaroche nulla potrebbe essere inferito, sotto il profilo strettamente esegetico,

(11) La norma non è stata incisa dalla riforma del 1983 (l. 9 febbraio 1983, n. 28,“Modificazioni alla disciplina dell’arbitrato”).

(12) Ne dà contro GHIRGA, sub Art. 13 [art. 820 c.p.c.], in TARZIA, LUZZATTO, RICCI, Legge5 gennaio 1994, n. 25, Padova, 1995, 122: “Rispondendo ad una esigenza della pratica, illegislatore del

�94 ha poi provveduto con l’art. 13 a raddoppiare i termini previsti nel comma 1º

e 2º dell’art. 820 c.p.c. per la pronuncia del lodo, portati da novanta a centottanta giorni”.

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dalla previsione oggi vigente, non trattandosi di norma interpretativa, madi nuova, differente, disposizione (13), resta il fatto che il legislatore del2006 ha ritenuto di richiamare le circostanze del vecchio art. 820, 2ºcomma, c.p.c. (14), specificando che la proroga opera “una volta nell’am-bito di ciascuno di essi”. Una precisa scelta normativa (15), che confermala ragionevolezza della lettura qui accreditata.

Da ultimo, viene in considerazione il rilievo lato sensu politico, per cuiquello del tempo della decisione non è, almeno di regola, da annoveraretra i problemi dell’istituto arbitrale. A prescindere da ogni valutazionesulla giustizia privata, e sulle sue eventuali ritenute problematicità, nonsembra che un problema di “ragionevole durata” del procedimento arbi-trale emerga nella prassi o comunque si distingua per gravità (16). Inquesto quadro, sembra preferibile un’interpretazione attenta al profilo chepotrebbe essere considerato “il rovescio della medaglia” rispetto al prin-cipio della ragionevole durata del processo, e cioè la possibilità di cele-brare un giudizio a cognizione piena e proporzionata rispetto al themaprobandum ac decidendum.

4. Venendo al profilo della revocazione (17), la sentenza in epigrafe

(13) Cfr. la stessa sentenza in epigrafe: “È certamente esatto che non è possibile trarresicuri argomenti ermeneutici dal nuovo testo dell’art. 820 c.p.c.”.

(14) Prevedendo, quale autonoma ragione di proroga, l’esperimento di consulenzatecnica d’ufficio; e, inoltre, aggiungendo l’ipotesi della modificazione del collegio arbitrale osostituzione dell’arbitro unico.

(15) Sulla quale v., per tutti, SALVANESCHI, op. cit., 720-721: “Tornando ai temi generaliimplicati dal 4º comma, la proroga automatica scatta non più di una volta per ognuno dei motiviregolati dalla disposizione e quindi non potrà operare ad esempio più di una volta quando sianoassunti più mezzi di prova, ma potrà cumularsi la proroga per l’assunzione di questi ultimi conquella dovuta all’esperimento di una consulenza tecnica. Deve invece ritenersi pacifico che,qualora avvenissero tutti e quattro gli eventi in questione, il termine subirebbe la prorogaautomatica di centottanta giorni per quattro volte e che la proroga stessa sia regolata da untermine fisso e non disponibile se non dalla volontà delle parti. Ciò significa, a mio avviso, chele parti possono sia escludere la proroga automatica in esame, che disciplinarla attraversomodalità e tempi diversi. Anche in questo caso, e con riferimento a tutte le ipotesi previste dal4º comma, la proroga può operare sia prima che il termine sia spirato che successivamente,poiché la legge riserva alla sola proroga giudiziale la regola che il termine debba essereprorogato necessariamente prima della sua scadenza [...]. Quando il termine sia già scaduto, laproroga potrà quindi operare comunque e il computo del nuovo termine dovrà avvenire apartire, come di regola, da quello originario”.

(16) A titolo esemplificativo, secondo le “Statistiche Arbitrato 2016”, pubblicate dallaCamera Arbitrale di Milano, la durata media dei procedimenti è di dodici mesi.

(17) Sulla quale vanno richiamate, in primo luogo, le monografie di ATTARDI, Larevocazione, Padova, 1959; DE STEFANO, La revocazione, Milano, 1957; CONSOLO, La revocazionedelle decisioni della Cassazione e la formazione del giudicato, Padova, 1989; NICOLETTI, Larevocazione della sentenza, Milano, 1988; e, inoltre, gli scritti di COLESANTI, Sentenza civile(revocazione della), in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, 1161 ss.; COLESANTI, Variazioni (in « reminore ») in tema di revocazione e sentenza giuridicamente inesistente, in Riv. dir. processuale,2012, 275 ss.; CERINO CANOVA, TOMBARI FABBRINI, Revocazione (diritto processuale civile), in Enc.Giur., XXVI, Roma, 1991, 1 ss.; CONSOLO, Convalida di sfratto - cassazione - e revocazione:dall’errore di fatto al dolo (come era nelle previsioni), in Giur. it., 1995, I, 458; CONSOLO, Mancata

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ha ritenuto inammissibile il proposto ricorso per cassazione poiché,avendo l’impugnante dedotto l’inesistenza di un fatto posto a fondamentodella decisione, il rimedio da adottarsi avrebbe dovuto essere quello dellarevocazione ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c.

Premessa necessaria — e della quale va tenuto conto in relazione atutte le argomentazioni qui di seguito svolte — è quella che una valuta-zione circa la correttezza della declaratoria d’inammissibilità emessa nelcaso di specie dipende dall’effettivo tenore di quella che era stata lacensura formulata dall’impugnante nel proprio ricorso introduttivo (18).Stando a quanto parrebbe emergere dalla sentenza (peraltro non del tuttoperspicua al riguardo), l’impugnante aveva sostenuto che, pur basandosi lapronuncia della Corte d’appello sull’avvenuta “seconda proroga del ter-mine per decidere disposta dagli arbitri”, “tale proroga intermedia non èmai esistita”.

Se così è, la soluzione accreditata dalla Cassazione impone alcunepuntualizzazioni.

E invero, il disposto dell’art. 395, n. 4, c.p.c. prescrive che l’erroneasupposizione fattuale debba risultare “dagli atti o documenti della causa”.E, come insegna la più autorevole — e per diversi aspetti insuperata —dottrina sulla revocazione, va escluso che “si abbia errore di fatto allorchéil giudice si limiti sic et simpliciter ad affermare l’esistenza o inesistenza di

considerazione di una decisione che ebbe ad annullare un regolamento: sentenza revocabile, exart. 395 c.p.c., per errore di fatto o per contrasto con un precedente giudicato?, in Giur. it., III, 1,975; FAZZALARI, Revocazione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 293 ss.;ROTA, Revocazione nel diritto processuale civile, in Digesto civ., XVI, Torino, 1998, 473 ss.;FARINA, Problemi risolti e questioni ancora aperte in tema di revocazione delle sentenze dellaCassazione, in Giust. civ., 2004, 2971 ss. Ancora, devono essere richiamati ANDRIOLI, Commentoal codice di procedura civile, II, 3ª ed., Napoli, 1957, 619 ss.; ANDRIOLI, Diritto processuale civile,I, Napoli, 1979, 929 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, 4ª ed., Milano, 1984,369 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile. Principi, 8ª ed. a cura di Colesanti eMerlin, Milano, 2012, 133-134; CERINO CANOVA, Le impugnazioni civili. Struttura e funzione,Padova, 1973, 237 ss., 492 ss., 636 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, 2,Milano, 1959/62, 315 ss.; REDENTI, Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cogni-zione in primo grado. Il sistema delle impugnazioni, 2ª ed., Milano, 1957, 489 ss.; ROCCO, Trattatodi diritto processuale civile, III, Parte speciale. Il processo di cognizione, Torino, 1957, 420 ss.;CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Il processo di primo grado e le impugna-zioni delle sentenze, 11ª ed., Torino, 2017, 617 ss.; TARZIA, DANOVI, Lineamenti del processo civiledi cognizione, 5ª ed., Milano, 2014, 456 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo dicognizione, 9ª ed., Milano, 2017, 499 ss.; ONNIBONI, Artt. 395-403, in Codice di procedura civile,diretto da Consolo, Milano, 2013, 1264 ss.; CONSOLO, PARISI, Artt. 391 bis-ter, in Codice diprocedura civile, diretto da Consolo, Milano, 2013, 1197 ss.

(18) L’ammissibilità o meno dell’impugnazione è appunto valutata sulla base dell’attointroduttivo. Cfr., per tutti, LUISO, op. cit., 356: “L’elemento unificante, che costitutisce la« ragion d’essere » delle varie disposizioni e che consente di estendere la disciplina dellainammissibilità alle fattispecie, che presentano la stessa “ragion d’essere”, ma per le qualil’inammissibilità non è espressamente prevista, è dunque la presenza di un vizio, relativo all’attointroduttivo dell’impugnazione [...]. Il legislatore non disciplina l’ipotesi che sia proposto unmezzo di impugnazione errato [...]. Anche qui possiamo applicare la disciplina della inammis-sibilità, perché anche qui si ha un atto introduttivo viziato, per carenza di presupposti”.

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un dato di fatto in contrasto con quanto risulta dagli atti o documenti dicausa [...]. Così, ad esempio, se il giudice affermi sic e et simpliciter che nonesiste un contratto di compravendita mentre l’esistenza della compraven-dita risulta inequivocabilmente da un documento prodotto in giudiziodall’attore o dalle concordi deposizioni di più testimoni, non vi saràcomunque errore di fatto agli effetti dell’art. 395 n. 4 », e ciò in quanto« nell’esempio in esame [...] il giudice si limita a negare l’esistenza dellacompravendita senza dar ragione del suo convincimento di fronte a prove,documentali o testimoniali, che contrastano con la sua affermazione ». Insostanza: c’è errore revocatorio allorché il giudice affermi che da undeterminato documento (o atto di causa) risulti (o non risulti) un deter-minato fatto, allorché quel determinato documento (o atto di causa) proviil contrario.

Ne discende che, se nella specie la Corte d’appello avesse sic etsimpliciter affermato l’esistenza del fatto “seconda proroga”, sarebbe statoerroneo ricondurre la doglianza del ricorrente al rimedio di cui al n. 4dell’art. 395 c.p.c.

Va peraltro aggiunto che, sempre alla luce di quanto può apprendersidalla motivazione della sentenza, la Corte d’appello avrebbe « fatto rife-rimento a una seconda proroga del termine per decidere disposta dagliarbitri con “ordinanza del 7-7-1998 (in atti)” ».

In questo quadro, ben avrebbe potuto il ricorrente — se l’ordinanzafosse stata effettivamente presente nel materiale di causa e, inoltre, noncontenesse nessun provvedimento di proroga — affermare l’inesistenzadel fatto “proroga” appunto sulla base di quanto emergeva dall’ordinanzastessa; oppure ancora — se l’ordinanza non fosse stata effettivamentepresente nel materiale di causa — affermare l’inesistenza di tale docu-mento sulla base di quanto risultava dagli atti di causa. In tali casi (19),sarebbe stato necessario il rimedio revocatorio (con conseguente inam-missibilità del ricorso ordinario per cassazione).

Resta il fatto che la prospettazione spesa nel ricorso parrebbe esserestata diversa da quelle appena rappresentate: il ricorrente avrebbe negatol’esistenza del fatto “proroga” a prescindere dai documenti in atti (e nonsulla base dei documenti versati in atti). Così infatti la sentenza: « Con ilsecondo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione per avere laCorte d’appello fatto riferimento a una seconda proroga del termine perdecidere disposta dagli arbitri con “ordinanza del 7-7-1998 (in atti)”.

(19) Ivi incluso quello della dedotta inesistenza del documento nel materiale di causa.Cfr. Cass. 28 maggio 2008, n. 14044: “Qualora il giudice di merito fondi la propria decisionesull’affermazione dell’inesistenza (o, reciprocamente, della esistenza) agli atti di causa di undocumento la cui acquisizione agli atti risulti, al contrario, positivamente stabilita (o esclusa), lasentenza è viziata da un errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.”. In senso analogo, cfr.anche ATTARDI, op. cit., 203-204.

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Osserva il ricorrente che tale proroga non è mai esistita »; e, ancora: « siaffermava [nel ricorso] che “tale proroga intermedia non è mai esistita” ».Parrebbe quindi che il ricorrente abbia negato l’esistenza del fatto (e cioèdella proroga), mentre nulla abbia affermato circa il documento o l’atto,da cui tale negazione risulterebbe.

In questo quadro, l’impugnazione proposta avrebbe potuto esularedall’area applicativa del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., deducendo il ricorrente lacompleta “invenzione” di un fatto (la seconda proroga) da parte dellaCorte d’appello, senza uno specifico riferimento ai documenti o agli atti dicausa. Come già detto, si sarebbe potuti pervenire a una conclusionediversa se il ricorrente avesse affermato l’inesistenza del fatto “proroga”sulla base di quanto risultava dall’“ordinanza del 7-7-1998”, oppure anchese, a fronte di una pronuncia fondata sul documento “ordinanza del7-7-1998”, il ricorrente avesse affermato l’inesistenza di tale documento inatti; ma questo non sembrerebbe essere stato il contenuto del ricorso nelcaso di specie (20).

Altri, ma irrilevanti profili, sono quello dell’opportunità strategica ditale scelta impugnatoria (sussistendone i presupposti, la revocazione ap-pare strumento più agevole, proprio perché “documentale”); e, ancora,della fondatezza della doglianza sussunta nelle — oggi ristrette — magliedel disposto del n. 5 dell’art. 360, 1º comma, c.p.c. (21).

(20) La decisione in epigrafe contiene invero anche un passaggio che sembra riferirsi allanegazione dell’esistenza del documento in atti: “L’eccezione [d’inammissibilità] è fondataperché, affermando l’esistenza in atti di un provvedimento di proroga in data 7 luglio 1998 inrealtà inesistente — secondo la tesi del ricorrente — la Corte d’appello sarebbe incorsa in unerrore di percezione (denunciabile ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.)”; si tratta peraltro di assuntoche, in relazione all’inquadramento della censura spesa dal ricorrente, è smentito dagli altripassaggi motivazionali, nei quali si afferma che “osserva il ricorrente che tale proroga non è maiesistita”, con conseguente negazione del fatto tout court (e non dell’esistenza del documentonegli atti di causa).

(21) Ridotto, come noto, al “minimo costituzionale”, a partire da Cass., sez. un., 7 aprile2014, n. 8053: “La riformulazione dell’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l.22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce deicanoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al « minimo costituzio-nale » del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solol’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, inquanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo dellasentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia siesaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella« motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella« motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza delsemplice difetto di « sufficienza » della motivazione”. Al riguardo, cfr. anche, da ultimo, Cass.5 luglio 2017, n. 16502: “Pur essendo, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ridotto al minimocostituzionale il controllo di legittimità sulla motivazione, soprattutto in punto di fatto, nonchérestando riservata istituzionalmente al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezza-mento delle risultanze istruttorie, la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezzadel giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega laverosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare lamanifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degliargomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è

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Resta il fatto che, qualora l’impugnante neghi il fatto tout court, e nonfocalizzi un immediatamente individuabile errore del decidente nellalettura, o nel ricordo al momento della decisione, degli scritti versati inatti, non si versa nell’ambito applicativo del vizio revocatorio. La distin-zione potrebbe apparire sottile, ma è invero cruciale rispetto al rimedio dicui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c., che deferisce al medesimo giudice giàpronunciatosi un vizio che, incontrastabilmente, risulta dagli atti o docu-menti di causa.

ALBERTO VILLA

pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta lafattispecie”; Cass. 20 aprile 2017, n. 9952: “Il provvedimento giurisdizionale che dapprima nonesamini le prove richieste dalla parte, né per accoglierle né per rigettarle, e poi rigetti ladomanda ritenendola indimostrata, vìola il minimo costituzionale richiesto per la motivazione”.In dottrina, v., per tutti, CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Il processo di primogrado e le impugnazioni delle sentenze, cit., 575-576, ove anche la trattazione, alla luce dellagiurisprudenza della Cassazione, del delicato profilo del rapporto tra la censura motivazionalein esame e quella di cui al n. 4 dell’art. 360, 1º comma, c.p.c.: “La possibilità, prospettata indottrina, di recuperare i vizi motivazionali letteralmente esclusi dalla nuova formulazione del n.5 attraverso la loro deducibilità ex art. 360, n. 4, non viene quindi (finora) assecondata. Il n. 4,almeno nel diritto giurisprudenziale vivente, non esce dai suoi tradizionali confini degli erroresin procedendo, non muta accrescitivamente il suo lineamento classico e quindi ospiterà prati-camente... proprio nessuno dei vizi motivazionali, stando alle sez. un. e purtroppo senza,parrebbe, aneliti di ribellione più esigenti e introspettivi delle sezioni semplici”.

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI civile, ordinanza 13 ottobre 2016, n. 20673;RAGONESI Pres.; DE CHIARA Est.; SOLDI P.M. (concl. conf.); Wind Jet S.p.a., Laliquidazione dei beni ceduti ai creditori di Wind Jet S.p.a. in concordato preven-tivo (avv. Ascenzi) c. Compagnia Aerea Italiana S.p.a. (avv.ti Briguglio, Erede,Salvaneschi, Sbisà).

Arbitrato - Compromesso e Clausola compromissoria - Interpretazione - Contro-versie nascenti dal contratto - Controversie extracontrattuali - Esclusione.

La clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascentidal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontàcontraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le contro-versie aventi titolo nel contratto medesimo, con conseguente esclusione delle litirispetto alla quali quel contratto si configura esclusivamente come presuppostostorico, come nella specie, in cui la “causa petendi” ha titolo extracontrattuale aisensi dell’art. 2598 c.c. nonché dell’art. 1337 c.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Premesso in fatto: Che il P.M. ha pre-sentato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., del seguente testualetenore:

“Preso atto che la Wind Jet S.p.a. e la liquidazione dei beni ceduti ai creditoridi Wind Jet Sp.a. in concordato preventivo, con ricorso ritualmente notificato allaCompagnia Aerea Italiana S.p.a. (già Alitalia - Compagnia Aerea Italiana S.p.a.) il19 marzo 2015 ha impugnato, con regolamento necessario di competenza, lasentenza del Tribunale di Catania, emessa in data 13.2.2015, assumendo come lastessa, recante la declaratoria di incompetenza, fosse illegittima;

che la Compagnia Aerea Italiana S.p.a. ha depositato memoria difensiva;rilevatoche, secondo quanto esposto nel ricorso, con atto di citazione ritualmente

notificato, la Wind Jet S.p.a. ha proposto nei confronti della Compagnia AereaItaliana S.p.a. (già Alitalia - Compagnia Aerea Italiana S.p.a.) una domandafinalizzata all’accertamento della responsabilità extracontrattuale della società con-venuta, ai sensi dell’art. 2598 c.c. nonché dell’art. 1337 c.c., assumendo come lastessa, dopo aver acquisito informazioni riservate, si sia sottratta alla conclusionedella operazione di acquisizione dell’attività di Wind Jet definita da un memoran-dum of understanding e da un accordo di integrazione (Accordo del 13 aprile 2012),di fatto assumendo un comportamento idoneo ad appropriarsi di una quota dimercato della attrice senza sopportare i relativi costi di acquisizione;

che, nel corso del giudizio, la convenuta Compagnia Aerea Italiana S.p.a. hatempestivamente eccepito come la controversia dovesse essere devoluta agli arbitri o,comunque, rimessa alla cognizione del tribunale di Milano, e ciò in virtù delleclausole di cui ai punti 15.1. e 15.2 dell’Accorso siglato fra le parti; sempre laconvenuta ha, peraltro, sostenuto che, anche a voler ritenere imperanti le suddettedue clausole, la controversia, in applicazione dei principi sanciti dall’art. 20 c.p.c.,rientrerebbe nella competenza territoriale del tribunale di Civitavecchia;

rilevatoche il Tribunale di Catania, con la sentenza quivi impugnata, ha accolto la

eccezione connessa alla applicabilità nella fattispecie della clausola compromissoria

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ed ha ritenuto che la controversia dovesse essere devoluta al collegio arbitraleindividuato dalla clausola 15.1 dell’Accordo intercorso tra le parti;

ritenutoche, secondo la tesi di parte ricorrente, la domanda introdotta dinanzi al

Tribunale di Catania, poiché proposta al fine di conseguire il risarcimento del dannoda responsabilità extracontrattuale, non consentiva la applicazione della clausolacontenuta all’art. 15.1 dell’Accordo che conteneva una clausola compromissoriaevidentemente applicabile alle sole controversie di titolo contrattuale scaturenti dalnegozio stipulato tra le parti;

che, più precisamente, la predetta clausola compromissoria non era sussumi-bile nella fattispecie di cui all’art. 808 bis c.p.c., introdotta nel nostro ordinamentoper rendere possibile il deferimento ad arbitri di controverse future relative a uno opiù rapporti non contrattuali determinali, in quanto il rapporto extracontrattuale cuiera riconducibile la domanda giudiziale non era stato espressamente contemplato;

ritenutoche la parte resistente ha affermato la correttezza della decisione impugnata in

considerazione del tenore letterale della clausola compromissoria e del dispostodell’art. 808 quater c.p.c. secondo cui “nel dubbio la convenzione di arbitrato siinterpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie chederivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”;

che, in ogni caso, la stessa parte resistente ha riproposto, in via gradata,l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Catania assumendo, inprimo luogo, come le controversie conseguenti all’Accordo, ove non deferite agliarbitri, dovessero essere devolute alla competenza territoriale esclusiva del foro diMilano, individuato dalle patti come foro convenzionale, e sostenendo, in secondoluogo, ed in via ulteriormente gradata, come, anche ove fossero inapplicabili allapresente fattispecie tanto alla clausola 15.1. che la clausola 15.2. dell’Accordo, iltribunale territorialmente competente dorrebbe individuarsi in quello di Civitavec-chia;

osserva.Va preliminarmente evidenziato che le considerazioni che seguono terranno

conto, non solo della applicabilità al caso di specie della clausola compromissoriadi cui al punto 15.1. dell’Accordo, ma anche delle ulteriori eccezioni di incompe-tenza territoriale tempestivamente svolte dalla parte convenuta e, peraltro, ripropo-ste in questa sede.

Invero, secondo l’orientamento della Suprema Corte, dal quale non pareopportuno discostarsi, poiché il regolamento ha la funzione di individuare in mododefinitivo il giudice competente a conoscere della controversia, i poteri di indaginee di valutazione, anche in fatto, della Corte possono esplicarsi in relazione ad ognielemento utile acquisito sino a quel momento al processo, senza essere limitati dalcontenuto della sentenza impugnata e possono, conseguentemente, riguardare anchequestioni che non abbiano costituito oggetto del ricorso ex artt. 42 c.p.c. e ss. di guisache la decisione finale può risultare in contrasto con quanto ritenuto nella sentenzaimpugnata ed affermare, comunque, la competenza di un tribunale diverso daquello originariamente investito del giudizio (da ultimo Cass. n. 25232/2014; inprecedenza n. 18040/2007; n. 2591/2006).

Ciò premesso, il regolamento appare fondato anche se in relazione, nonall’eccezione svolta in via principale (e, dunque, con riguardo alla necessità di

734

devolvere la controversia agli arbitri), ma all’eccezione di incompetenza territorialesvolta con riguardo al foro convenzionale.

Innanzitutto, nel caso di specie non sembra possa invocarsi la applicazionedella clausola 15.1. dell’Accordo (che devolve agli arbitri la competenza a conosceredella controversia), e ciò avuto riguardo al tenore degli artt. 808 bis e 808 quaterc.p.c. ratione temporis alla fattispecie) nonché alla intenzione delle parti comedesumibile dall’esame del contratto da esse sottoscritto.

L’art. 15 dell’Accordo da cui nasce la presente controversia recita: “15.1. Tuttele controversie derivanti dal presente Accordo, comprese quelle relative alla suavalidità, interpretazione, esecuzione e risoluzione saranno risolte in via definitivasecondo il regolamento arbitrale nazionale della camera arbitrale nazionale edinternazionale di Milano (..) Il procedimento arbitrale così instaurato avrà naturarituale. 15.2. Foro competente: fermo restando quanto sopra disposto, si convieneche ogni eventuale controversia o vertenza comunque relativa al presente Accordoche non possa essere affidata alla competenza arbitrale sarà sottoposta alla compe-tenza esclusiva del foro di Milano”.

Ciò premesso, occorre prima di tutto stabilire quale ambito applicativo abbiala clausola compromissoria e, cioè, se alla stessa siano riconducibili le sole contro-versie contrattuali o anche quelle extracontrattuali “riconducibili” al negozio.

A quanto pare, la questione non può essere agevolmente risolta in virtù del datoletterale della clausola 15.1 che anzi imporrebbe di propendere per una letturarestrittiva; è, perciò, necessario verificare se possa soccorrere, a favore della inter-pretazione più ampia, il disposto dell’art. 808 quater c.p.c. a tenore del quale i dubbiinterpretativi dovrebbero essere risolti a favore dell’arbitrato.

Sennonché, sembra preferibile sostenere che la questione non possa essererisolta alla sola stregua dell’art. 808 quater c.p.c.

Nonostante la questione sia a tutt’oggi ampiamente dibattuta pare potersiaffermare che, giusta il disposto dell’art. 808 bis c.p.c., quando le parti intendanodevolvere agli arbitri anche le controversie extracontrattuali scaturenti da un ac-cordo negoziale, debbono prevederlo espressamente. Più precisamente, cioè, dato iltenore dell’art. 808 bis c.p.c., non pare potersi sostenere che l’art. 808 quater c.p.c.consenta sempre e comunque, pur in difetto di una espressa estensione della clausolacompromissoria, di ricondurre a quest’ultima, quando il suo tenore letterale siaequivoco, non solo le controversie contrattuali ma anche le vicende extracontrattualiconnesse alla medesima vicenda negoziale.

Muovendo da queste considerazioni è allora preferibile sostenere che l’art. 808quater c.p.c. consenta una interpretazione favorevole alla competenza arbitrale tuttele volte in cui sorga contrasto sulla portata della clausola compromissoria fermorestando che il deferimento agli arbitri delle controversie extracontrattuali connessea vicende negoziali debba essere espressamente prevista.

Muovendo da tale premessa, è allora agevole affermare che, in mancanza diespressa volontà contraria, la clausola compromissoria riferita genericamente allecontroversie nascenti dal contratto cui essa inerisce vada interpretata nel senso cherientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi titolo con-trattuale, con conseguente esclusione delle diverse controversie rispetto alle qualiquel contratto si configura esclusivamente come presupposto storico.

Non pare, dunque, condivisibile la tesi sostenuta dal tribunale di Cataniasecondo cui, nel caso in esame, dovrebbe applicarsi la clausola compromissoria in

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quanto “necessario presupposto logico e fattuale da cui sono scaturiti i comporta-menti asseritamente lesivi è il rapporto oggetto di disciplina in sede di Accordo” datoche la domanda proposta dalla Wind Jet S.p.a. si fonda sui comportamenti tenuti daAlitalia - Compagnia Aerea Italiana prima della stipula dell’Accordo e sull’assuntocondizionamento dell’attività imprenditoriale della Wind Jet S.p.a. realizzato sfrut-tando la posizione assunta da Alitalia nei confronti di Wind Jet S.p.a. a causa dellastipula dell’accordo.

L’accordo, in realtà, stando alla prospettazione della domanda giudiziale, siconfigura come mero accidente fattuale che ha reso possibile il compimento dellecondotte asseritamente imputabili ad Alitalia che non realizzane una violazionedegli obblighi negoziali assunti ma si pongono come il mezzo per violare il principiodel neminem laedere.

Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di Catania, deveescludersi che la clausola compromissoria stabilita dall’art. 15.1., riferita alle con-troversie nascenti dall’accordo contrattuale stipulato tra le parti, sia applicabile allacontroversia oggetto di causa.

Le conclusioni sin qui raggiunte sembrano vieppiù avvalorate dal contenutodella clausola 15.2 che individua il foro convenzionale con riferimento a tutti i casinon riconducibili alla clausola compromissoria.

Anche ove si fosse voluta invocare la interpretazione dell’art. 808 quater c.p.c.per risolvere in chiave estensiva i dubbi interpretativi connessi alla applicazionedella clausola compromissoria, il tenore letterale della clausola 15.2 avrebbe co-munque imposto diversa conclusione.

Non avrebbe, infatti, avuto alcun senso stabilire un foro convenzionale per lecontroversie connesse al contratto se la intenzione delle parti fosse stata quella didevolvere agli arbitri ogni vicenda scaturente dall’Accordo per titolo contrattuale edextracontrattuale.

Sembra, piuttosto, che le parti abbiano, invece, inteso, con formula di salvezza,stabilire che, se la controversia, avuto riguardo al suo titolo, non dovesse risultarericonducibile alla competenza arbitrale, essa dovrebbe comunque essere devoluta algiudice ordinario, in applicazione del foro convenzionale pattuito.

Conforta tale lettura, peraltro, non solo la circostanza che sia stato previstocome il foro convenzionale sia succedaneo alla competenza arbitrale, ma anche iltenore letterale della stessa clausola 15.2 che fa riferimento a “tutte le controversie overtenze comunque relative al presente accordo”, e non già alle sole controversie“derivanti dall’Accordo” (cfr. con riferimento alla possibilità di accedere ad unainterpretazione estensiva della clausola contrattuale che individua il foro conven-zionale anche solo in virtù del tenore letterale della stessa, cfr. Cass. 9 dicembre2010, n. 24869 ed, in senso parzialmente conforme, Cass. 15 luglio 2013, n. 17334).

In sostanza, pare preferibile affermare che la clausola compromissoria non siasuscettibile di interpretazione estensiva, innanzitutto alla luce del combinato dispo-sto degli artt. 808 bis e quater c.p.c., e, comunque, alla luce del tenore letterale dellaclausola che individua il foro convenzionale.

La clausola 15.2. da ultimo citata, invece, stante la sua ampia portata esoprattutto tenuto conto del fatto che essa, per espressa previsione delle parti, sembradoversi estendere a tutte le controversie connesse al contratto ed aventi anche titolodiverso da quello contrattuale in senso stretto, sembra invece applicarle alla presentefattispecie scaturente da domanda extracontrattuale.

736

Per le ragioni che precedono, deve allora ritenersi che competente a conosceredella controversia sia il Tribunale di Milano”;

che tali conclusioni sono state notificate alle parti costituite, le quali hannopresentato memorie.

Considerato in diritto: Che il collegio condivide le considerazioni svolte dalP.M. come sopra riportate, non superate dalle considerazioni contrarie svolte nellamemoria di parte ricorrente; che pertanto va dichiarata la competenza del Tribu-nale di Milano, davanti al quale vanno rimesse le parti anche per le spese delgiudizio di regolamento.

(Omissis).

L’interpretazione della convenzione arbitrale in materia non contrattuale.

1. La prima sezione della Corte di cassazione, adita con regola-mento di competenza proposto avverso la sentenza del Tribunale diCatania che aveva dichiarato la propria incompetenza in favore degliarbitri, determina i confini per l

�operatività della clausola riferita generi-

camente a tutte le controversie nascenti dal contratto, escludendo inparticolare che essa possa estendersi alle controversie non contrattualinon espressamente determinate.

La controversia originava da un memorandum of understanding con ilquale le parti si scambiavano informazioni riservate, impegnandosi allaconclusione di un accordo di acquisizione definitivo, acquisizione cui laconvenuta non aveva dato seguito. Tale comportamento, secondo lasocietà attrice, configurava una ipotesi di responsabilità extracontrattualeai sensi degli artt. 2598 c.c. e 1337 c.c., in quanto posta in violazione dellenorme civilistiche sulla concorrenza.

La domanda risarcitoria veniva proposta davanti al Tribunale diCatania, il quale riconosceva l

�esistenza di una clausola compromissoria

all�interno dell

�accordo preliminare e dichiarava la propria incompetenza

in favore del giudice arbitrale. La clausola, in particolare, prevedeva chetutte le controversie derivanti dal contratto si sarebbero dovute devolveread arbitri. In aggiunta a tale previsione vi era poi una clausola derogatoriadella competenza territoriale che individuava nel foro convenzionale ilgiudice territorialmente competente per tutte le liti non devolute adarbitri.

La Suprema corte, investita con il regolamento di competenza dellaquestione relativa alla sussistenza o meno della competenza arbitrale inmateria non contrattuale, esamina tanto i profili relativi all

�eccezione

compromissoria — gli unici decisi con la sentenza impugnata — quanto laquestione eccepita in via gradata dalla società convenuta di incompetenzaterritoriale derogabile, sebbene mai decisa dal giudice di primo grado. Il

737

tutto in completa adesione alle conclusioni formulate dal pubblico mini-stero ex art. 380 ter c.p.c., le cui motivazioni costituiscono le rationes sullequali posa la soluzione adottata dalla Corte.

La Cassazione, ritenendo erronea la decisione del Tribunale in ordinealla exceptio compromissi, e risolvendo i dubbi interpretativi connessiall

�applicazione della clausola compromissoria a vantaggio della compe-

tenza dell�autorità giudiziaria ordinaria, passa ad esaminare l

�eccezione ex

art. 38 c.p.c., regolando la competenza in favore del foro convenzional-mente scelto dalle parti.

2. Con l�ordinanza in commento la Corte di cassazione estende la

propria cognizione anche a profili diversi da quelli esaminati nella sen-tenza impugnata e che non avevano costituito oggetto del ricorso ex art. 42c.p.c.

Ed invero, con il ricorso per regolamento di competenza, la ricorrentesi era limitata a impugnare la decisione del giudice di merito sull

�opera-

tività della clausola compromissoria anche rispetto a liti di natura extra-contrattuale. D

�altronde, la sentenza impugnata aveva esaminato solo i

profili relativi all�eccezione di compromesso, posti dalla difesa del conve-

nuto in via pregiudiziale rispetto all�eccezione di incompetenza territo-

riale; talché accolta la prima eccezione, si era rivelato inutile decideredella seconda, stante l

�affermata competenza arbitrale.

Deve osservarsi che l�ordine di esame seguito dal giudice del merito,

che ha poi condizionato le modalità di proposizione del regolamento dicompetenza, appare corretto.

Come è stato più di recente osservato (1), la questione di competenzaarbitrale, benché non possa inquadrarsi nello schema tecnico della com-petenza, rappresenta una eccezione in senso stretto, rimessa alla liberainiziativa della parte che voglia avvalersi della clausola compromissoria,da farsi valere nel termine di decadenza ex art. 167 c.p.c., così comeafferma l

�art. 819 ter c.p.c. (2). Trattandosi perciò di una questione pre-

(1) Cass., ord. 25 ottobre 2017, n. 25254, in Riv. trim. dir. proc. civ., con nota di FANELLI,Progressione logico-giuridica tra i presupposti processuali, poteri delle parti e distorsioni delgiudicato implicito, in corso di pubblicazione.

(2) L�art. 819 ter c.p.c. introdotto dalla riforma codicistica del 2006, ha ridisegnato i

rapporti tra arbitro e giudice, lasciando spazio all�idea che l

�arbitrato abbia natura giurisdizio-

nale. Sulla difficoltà di configurare effettivamente come competenza i rapporti tra arbitro egiudice, nonostante l

�etichetta normativa v. CAPPONI, sub art. 819 ter, in Commentario alle

riforme del processo civile, III, 2, a cura di BRIGUGLIO, CAPPONI, Padova, 2009, 873 ss. Sui rapportitra arbitro e giudice v. amplius DELLE DONNE, sub art. 819 ter c.p.c. in Commentario del codicedi procedura civile, diretto da COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA, Torino, 2014, 583 ss.L�intervento del legislatore sull

�art. 819 ter, da leggere unitamente alle altre modifiche norma-

tive apportate dal d. lgs. 40/2006 (ad es. artt. 817 bis, 824 bis, 825), ha condotto ad affermare, incontrotendenza rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui l

�arbitrato

aveva natura negoziale, che la giustizia arbitrale abbia una funzione sostitutiva della giustiziapubblica. In conformità alle novità normative si è poi posta la giurisprudenza costituzionale

738

giudiziale di rito, essa esige una immediata risposta dall�organo giudi-

cante, il quale dovrà preliminarmente verificare l�esistenza di una valida

convenzione d�arbitrato rituale, onde comprendere se sussiste più in

generale la potestas judicandi di un organo appartenente alla giurisdizionestatale. In altri termini, l

�eccezione di compromesso, ponendosi in rela-

zione alternativa-escludente rispetto a tutti i criteri di competenza giuri-sdizionale, opera su un piano precedente a quello della distribuzione dellapotestas decidendi tra giudici diversi (3).

prima e quella di legittimità poi. In particolare, la Corte costituzionale (C. cost., 19.7.2013, n.223, su cui v. i commenti di BOVE, BRIGUGLIO, MENCHINI, SASSANI, in questa Rivista, 2014, 88 ss.;CONSOLO, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza conpiena translatio fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa, in Corriere giur., 2013, 1107;D

�ALESSANDRO, Finalmente! La Corte costituzionale sancisce la salvezza degli effetti sostanziali

e processuali della domanda introduttiva nei rapporti tra arbitro e giudice, in Foro it., 2013,ACONE, « Translatio iudicii » tra giudice ed arbitro: una decisione necessariamente incompiuta ovolutamente pilatesca?, ivi; FRASCA, Corte cost. n. 223 del 2013 e art. 819 ter c.p.c.: unadichiarazione di incostituzionalità veramente necessaria?, ivi; BIANCHI, Translatio iudicii tragiudice statuale ed arbitri?, in www.judicium.it.), accantonando una serie di dubbi e questioniprospettati in dottrina relative all

�ammissibilità della questione di costituzionalità rimessale, ha

accolto l�istanza relativa all

�incostituzionalità dell

�art. 819 ter, 2° co., c.p.c., nella parte in cui non

rende applicabile all�arbitrato la translatio iudicii così come disciplinata dall

�art. 50 c.p.c. Non

molto tempo dopo le sezioni unite della corte di Cassazione (Cass., S.U., 25.10.2013, n. 24153,in questa Rivista, 2015, 307, con nota di BERGAMINI, Eccezione di patto per arbitrato estero: unnuovo revirement della corte di cassazione, tra disciplina interna e convenzione di New York; inCorriere giur., 2014, 84, con nota di VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le sezioni unite tornanoall’antico; in Giusto processo civ., 2014, 197, con nota di MONTELEONE, Arbitrato e giurisdizione:un inopportuno ritorno al passato), hanno rivoluzionato il pensiero, cui fedelmente la giurispru-denza si era attenuta dopo Cass. n. 527/2000, sulla natura dell

�arbitrato rituale. In particolare,

la Corte di legittimità ha rilevato che la normativa introdotta con le riforme del 1994 e 2006contiene sufficienti indici sistematici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale. Tratali indici la Corte individua la proponibilità dell

�impugnazione non più subordinata al decreto

di esecutorietà del lodo; l�assimilazione della domanda arbitrale a quella giudiziale quanto agli

effetti sulla prescrizione e sulla trascrizione; l�applicabilità dell

�art. 111 c.p.c. in tema di

successione a titolo particolare nel diritto controverso; la possibilità prevista dall�art. 819 bis

c.p.c. di rimettere alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale; l�art. 824

bis c.p.c. che equipara gli effetti del lodo a quelli della sentenza.(3) Cass. 25 ottobre 2017, n. 25254, cit. afferma in particolare che la decisione sull

�ec-

cezione di compromesso rappresenta un “passaggio logico-giuridico strumentale ed indispen-sabile alla realizzazione dello scopo cui tende il processo, volto ad assicurare in tempiragionevoli la tutela del diritto controverso mediante una decisione intesa al definitivo conso-lidamento della situazione sostanziale, direttamente od indirettamente, dedotta in giudizio”. LaCorte peraltro trae la conseguenza che, ove la parte convenuta si sia vista rigettare la propriaeccezione di compromesso proposta in via principale e invece accogliere quella proposta in viagradata di incompetenza per territorio derogabile, ove volesse contestare la decisione sull

�ope-

ratività della clausola arbitrale, dovrebbe impugnarla con regolamento di competenza, a penadi definitiva cristallizzazione della competenza in capo agli organi giurisdizionali dello Stato. Iltutto anche dove la decisione sull

�eccezione di compromesso manchi ma sia stata decisa solo

l�eccezione proposta in via subordinata. In questa circostanza, secondo la Corte, si formerebbe

un giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di rito, nel senso di ritenere esclusa lacompetenza arbitrale, così che il soccombente implicito sarà tenuto a sollevare con gli ordinarimezzi di impugnazione tutte le questioni di rito implicitamente risolte in senso negativo. Così,come è stato osservato da FANELLI, Progressione logico-giuridica, cit., “l

�operatore del diritto

(...) riterrà probabilmente opportuno impugnare con regolamento di competenza ogni pronun-cia di rito che ritenga possa nascondere un rigetto implicito della propria eccezione di

739

Sotto altro punto di vista, però, si potrebbe affermare che solo ilgiudice astrattamente competente per la domanda può decidere l

�ecce-

zione di compromesso di talché la questione relativa alla competenzadovrebbe necessariamente essere esaminata per prima (4).

Quest�ultima soluzione risponderebbe alla logica secondo cui sulle

questioni di rito (5) e su quelle di merito può decidere solo il giudicecompetente. Senza contare che la questione sulla competenza potrebbeapparire prima facie la questione più liquida.

Tuttavia, come è stato osservato (6), è ben possibile che il giudiceadito dichiari la propria incompetenza e che in virtù di tale pronuncia lacausa venga poi riassunta dinanzi al giudice indicato come competente, ilche condurrebbe a un procrastinamento dell

�esame e della soluzione della

questione, anch�essa pregiudiziale, della validità dell

�accordo compromis-

sorio. Con la conseguenza che sarebbe più opportuno (e rapido) che ilgiudice adito decidesse prima sulla exceptio compromissi così che, in casodi accoglimento dell

�eccezione, anche l

�altra questione potrebbe essere

assorbita.Alla luce di tali osservazioni, ne consegue che ben ha fatto il Tribu-

nale di Catania a decidere in prima analisi la questione sulla competenzaarbitrale, atteso che, con l

�accoglimento della exceptio compromissi, risul-

tava del tutto inutile esaminare l�eccezione subordinata di incompetenza

territoriale, visto che la validità della convenzione per arbitrato ritualesottrae la competenza sulla lite a qualsivoglia giudice ordinario statale. Viè più che, nel caso di specie, il giudice del merito aveva anche seguitol�ordine di esame delle questioni pregiudiziali posto dal convenuto.

Ne risultava così assorbita l�eccezione di incompetenza territoriale

proposta in via gradata nel giudizio di merito che il convenuto resistenteriproponeva dinanzi alla Suprema corte (7).

incompetenza (per arbitrato rituale, per territorio, per materia, etc.) ritualmente formulata”. Sultema dell

�ordine di esame delle questioni pregiudiziali e, in particolare, sul rapporto esistente

tra l�eccezione di incompetenza e quella di compromesso, v. MOTTO, L’ordine di decisione delle

questioni pregiudiziali di rito nel processo civile di primo grado, in Riv. dir. proc., 2017, 635.(4) In tal senso MOTTO, op. loc. cit., il quale, riferendosi all

�esempio in cui si ponga una

questione di competenza per materia innanzi al giudice di pace erroneamente adito in unacontroversia in cui sorga anche una eccezione di compromesso, evidenzia come non sarebbeauspicabile far decidere della validità della convenzione arbitrale ad un giudice incompetenteper materia.

(5) Tra cui rientrerebbe oggi a pieno titolo l�eccezione di compromesso.

(6) Vd. BRIGUGLIO, Le sezioni unite e la eccezione fondata su accordo compromissorio perarbitrato estero, in questa Rivista, 2004, 60-61, sebbene con riferimento ad una eccezione diarbitrato estero.

(7) Ove la questione pregiudiziale proposta in via gradata sia assorbita dall�accoglimento

della eccezione assorbente di rito, la parte vittoriosa non avrà, ove convenuta in Cassazione,l�onere di proporre impugnazione incidentale sulle questioni assorbite che potranno, invece,

essere riproposte al giudice del rinvio. V. Cass., ord. 9 marzo 2016, n. 4656, in Riv. giur. trib.,2016, 782, con nota di RUGGERI, L’impugnazione delle sentenze tra motivi assorbiti, pregiudizialidi rito e pronunce implicite, secondo cui l

�eventuale ricorso incidentale su questione assorbita

740

La decisione impugnata aveva quindi ad oggetto solo l�accoglimento

dell�eccezione di compromesso e l

�affermazione della competenza arbi-

trale.Proposto regolamento di competenza avverso tale decisione, il ricor-

rente contestava che la clausola compromissoria non comprendesse lacontroversia promossa e che pertanto la competenza spettasse al giudiceordinario.

La Corte di cassazione da una parte accoglie l�impugnazione propo-

sta, nella parte in cui nega che la convenzione arbitrale sia applicabile allafattispecie, dall

�altra, ritenendo fondata la tempestiva eccezione di incom-

petenza territoriale, dichiara la competenza di un giudice diverso daquello originariamente adito, ovvero quello convenzionalmente stabilitodalle parti.

Deve osservarsi che il giudice di legittimità compie tale valutazioneandando oltre i profili espressamente devoluti dalla parte, ovvero esami-nati dalla sentenza impugnata. Tanto perché la Corte può conoscere laquestione di competenza sotto tutti gli aspetti possibili, al fine di evitareche la designazione del giudice sia ulteriormente posta in discussionenell

�ambito della stessa controversia. Pertanto la valutazione della Cassa-

zione può comprendere ogni elemento utile fino a quel momento acquisitoal processo (potendo conseguentemente riguardare anche questioni difatto non contestate nel giudizio di merito e che non abbiano costituitooggetto del ricorso per regolamento di competenza), senza alcun vincolodi qualificazione, ragione o prospettazione che del rapporto dedotto incausa abbia fatto l

�attore con l

�atto introduttivo (8).

3. Il quesito prospettato dinanzi alla Cassazione — sull�esistenza o

meno della competenza arbitrale — deriva dal dubbio circa l�estensibilità

della clausola compromissoria inserita nel contratto anche alle controver-sie di natura extracontrattuale.

Il giudizio veniva promosso allo scopo di ottenere il risarcimento deldanno per violazione delle regole sulla concorrenza nei mercati, ossia unacausa di natura extracontrattuale e quindi non relativa all

�adempimento

del contratto contenente la convenzione arbitrale. Secondo la prospetta-zione della parte ricorrente, tanto sarebbe valso ad escludere la compe-

dovrebbe essere dichiarato inammissibile. Nel caso oggetto della sentenza in commento,trattandosi di ricorso per regolamento di competenza, la questione poteva essere risollevata dalresistente dinanzi alla Cassazione stessa, la quale, come si dirà infra, quando adita con ricorsoex artt. 42 ss. c.p.c. ha il potere di decidere tutte le questioni relative alla competenza,quand

�anche non decise della decisione impugnata.

(8) Così Cass., ord., 27 novembre 2014, n. 25232; Cass., ord., 24 agosto 2007, n. 18040;Cass. ord., 7 febbraio 2006, n. 2591; Cass. 20 maggio 1998, n. 5046. In dottrina v. ACONE, voceRegolamento di competenza, in EG, XXVI, Roma, 1989, 18.

741

tenza degli arbitri poiché la clausola compromissoria inserita nel contrattoera applicabile alle sole controversie contrattuali scaturenti dal negozio.

Contestava in particolare che non potesse estendersi alle controversieextracontrattuali in quanto non espressamente indicate, sebbene originatedall

�esistenza del rapporto negoziale tra i litiganti.La Corte, in accoglimento di tale doglianza, nega l

�applicabilità della

convenzione alla controversia proposta, statuendo che, affinché una clau-sola compromissoria possa riferirsi anche a rapporti non contrattualioccorre, alla luce dell

�art. 808 bis c.p.c., che le future controversie devol-

vibili ad arbitri siano determinate. Tale determinatezza mancherebbe oveil riferimento contenuto nella clausola sia fatto genericamente alle con-troversie derivanti dal contratto.

La decisione offre così, in prima analisi, l�occasione per compiere una

ricognizione su quali siano i requisiti imposti dalla legge per la devolu-zione ad arbitri di controversie extracontrattuali.

L�art. 808 bis c.p.c., introdotto con la riforma del 2006, prevede che

attraverso una apposita convenzione (9) possano farsi decidere da arbitridelle “controversie future relative a uno o più rapporti non contrattualideterminati” e che la convenzione debba risultare da atto avente la formascritta richiesta per il compromesso.

Affinché possa rendersi efficace la convenzione nei confronti delle litiextracontrattuali, occorre ben intendersi sul concetto di determinatezza,partendo dalla sua funzione.

Come per la clausola compromissoria contrattuale, anche la conven-zione dell

�art. 808 bis c.p.c. ha ad oggetto liti future sicché, proprio perché

non ancora venute ad esistenza, esse non possono essere già concreta-mente determinate: la controversia non è attuale e l

�oggetto del conten-

dere sarà individuato solo dalla futura domanda arbitrale (10). In entrambii casi, l

�oggetto della convenzione sarà determinabile, alla stregua di

quanto imposto dall�art. 1346 c.c.

A differenza però della clausola compromissoria dell�art. 808 c.p.c., in

cui il rapporto controverso di natura contrattuale è facilmente determi-nabile, in quanto relativo al contratto nel quale la clausola è inserita (11),la convenzione dell

�art. 808 bis cit. si riferisce ad un rapporto in cui manca

la predeterminazione della fattispecie costitutiva, così che, per rispettare il

(9) Come è stato osservato da ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento sub art. 808 bis, in Lanuova disicplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova, 2010, 56, la convenzione arbitrale perliti future non contrattuali costituisce una terza specie di accordo.

(10) Per ZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit., 62, l�oggetto della controversia non deve

essere attuale; MOTTO, Commento sub art. 808 bis, in Commentario alle riforme del processocivile, a cura di BRIGUGLIO, CAPPONI, Padova, 2009, 519.

(11) Così che non è necessario indicare la fattispecie costitutiva del rapporto, essendotale fattispecie il contratto stesso.

742

requisito previsto dalla legge, sembrerebbe necessario che le parti loindichino all

�interno della convenzione arbitrale.

In altri termini, nella clausola compromissoria dell�art. 808 c.p.c., la

mancata indicazione espressa dei rapporti devoluti ad arbitri non inficia lavalidità della clausola poiché, in ogni caso, è possibile limitare le contro-versie arbitrabili nei limiti di quelle che nascono dal contratto o comunquesiano ad esso collegate.

Quando invece la lite abbia natura non contrattuale, la determina-zione dei rapporti ha lo scopo di evitare che, in mancanza di un criterioguida — quale può essere il contratto per le clausole ex art. 808 c.p.c. —possano ritenersi devolute ad arbitri tutte le possibili controversie chesorgeranno tra le parti; il che porterebbe ad una totale indeterminatezzadell

�oggetto del contratto in violazione dell

�art. 1346 c.c. (12).

Tuttavia, come è stato osservato (13), ai fini della determinabilità delrapporto deducibile in giudizio, quando il diritto che si fa valere è uneffetto di un più ampio rapporto complesso già in essere tra le parti, èsufficiente riferirsi alla situazione fondamentale dalla quale deriva lacontroversia non contrattuale che si vuole devolvere ad arbitri. Così,quando si scelga la via arbitrale per rapporti obbligatori non contrattualioriginati dall

�esecuzione/inesecuzione di un rapporto contrattuale tra le

stesse parti, per la determinazione della lite, basterà che la convenzionecontenga il riferimento al contratto che costituisce presupposto logico efattuale della fattispecie risarcitoria dedotta in giudizio.

Sarà così possibile che in un contratto sia apposta una clausolacompromissoria che si riferisca al contempo tanto a controversie contrat-tuali quanto a quelle extracontrattuali che derivino dal contratto stesso,ovvero che abbiano nel contratto il fatto storico generatore dell

�obbliga-

zione cui le parti si riferiscono per attribuire la competenza agli arbitri.In altri termini, la preesistente relazione giuridica contrattuale tra le

parti consente di dare accesso alla via arbitrale anche a tutte le liti chesono conseguenza logica del contratto stesso, pur non avendo nel con-tratto la loro causa petendi.

Ne consegue perciò che con una clausola compromissoria inserita inun contratto tra le parti possano deferirsi ad arbitri anche le controversieche, come quella in esame, abbiano natura precontrattuale e attengano adesempio a supposte condotte di concorrenza sleale, dal momento che il

(12) Cfr. MERONE, Commento sub art. 808 bis c.p.c., in Commentario del codice diprocedura civile, diretto da COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA, Torino, 2014, 102

(13) MOTTO, op. cit., 521 ss., spec. 533-534, il quale distingue le modalità di determina-zione del rapporto arbitrabile a seconda che si tratti di diritti autodeterminati o eterodetermi-nati.

743

presupposto fattuale per la venuta ad esistenza delle condotte illeciteoggetto di lite è il contratto stesso (14).

La Corte però condivide le conclusioni del p.m. nella parte in cuiafferma che, nella controversia sottoposta al suo esame, il rapporto noncontrattuale non ha nel contratto il proprio presupposto logico fattuale masolo un presupposto storico, quasi fosse l

�accordo tra le parti solo un

evento cronologicamente anteriore al verificarsi del fatto illecito. Osservain particolare che l

�accordo è un mero accidente fattuale che ha reso

possibile il compimento delle condotte illecite, fungendo da mero stru-mento per realizzare (non la violazione del contratto bensì) la violazionedel principio del neminem laedere.

Tale conclusione non può condividersi atteso che il rapporto noncontrattuale in esame (ovvero quello relativo alla responsabilità precon-trattuale e alla concorrenza sleale) non può guardare al contratto come adun semplice fatto temporalmente precedente alla condotta sleale. L

�ac-

cordo rappresenta invece la necessaria condizione per la qualificazione deisuccessivi comportamenti come lesivi, con la conseguenza che l

�obbliga-

zione risarcitoria non contrattuale sarà devolvibile ad arbitri in forza dellaclausola compromissoria inserita nel contratto a monte.

4. La pronuncia in commento, partendo dal dato letterale dellaconvenzione arbitrale, riferita a tutte le controversie derivanti dal con-tratto, offre una lettura restrittiva, ritenendo che una tale dizione nonsoddisfi il requisito della determinatezza richiesto dall

�art. 808 bis c.p.c. e

perciò le controversie non contrattuali non espressamente indicate nonpossano costituire oggetto di devoluzione ad arbitri.

Giunge alla medesima conclusione facendo leva sull�art. 808 quater

c.p.c., norma che consente di interpretare la convenzione arbitrale in sensoestensivo quando sorgano dubbi circa l

�ambito oggettivo delle liti devolute

ad arbitri.In sintesi, questo il ragionamento seguito dal giudicante: quando la

clausola compromissoria non contenga espressamente il riferimento adeterminati rapporti non contrattuali, l

�art. 808 bis c.p.c. non può trovare

applicazione; né si può dare ingresso in arbitrato a quelle controversieextracontrattuali non chiaramente indicate nella convenzione sulla basedell

�art. 808 quater (15). Quest

�ultima disposizione, in forza della quale

(14) Così CARPI, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in Libertà evincoli nella recente legislazione dell’arbitrato, Milano, 2006, 13; MOTTO, op. cit., 533-534;ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento, cit. 58; ID., Commento sub art. 808 bis, in Arbitrato, a curadi CARPI, Bologna, 2008, 151; MERONE, Commento sub art. 808 bis, cit., 101.; RUFFINI, Commentoall’art. 808 quater, in Codice di procedura civile, diretto da CONSOLO, Torino, 2013, 1608, 1609;NELA, Le recenti riforme del processo civile, a cura di CHIARLONI, Bologna, 2007, 1627.

(15) L�art. 808 quater c.p.c., introdotto con la riforma del d. lgs. 40/2006, introduce una

regola che non ha precedenti nel codice. Ed invero, fino alla novella del 2006, tutti i dubbi

744

ogni dubbio sulla interpretazione della convenzione arbitrale deve risol-versi in favore della competenza dei giudici privati, non è regola capace diconsentire in ogni caso la risoluzione arbitrale della lite se la convenzioneex art. 808 bis non rispetta la regola di determinatezza. Ne conseguirebbeuna limitazione al principio del favor arbitrati espresso nel codice di rito,dal momento che la clausola compromissoria riferita a tutte le controver-sie nascenti dal contratto può, senza difficoltà, estendersi a tutte lecontroversie contrattuali anche non espressamente indicate, ma non è ingrado di operare rispetto alle liti non contrattuali che non siano chiara-mente determinate.

Né ancora potrebbe venire in soccorso di una interpretazione esten-siva il ricorso ai criteri di ermeneutica contrattuale (16) ove emerganonell

�accordo clausole contraddittorie indicative della volontà di non de-

volvere ad arbitri le liti, quali quelle di deroga alla competenza territoriale.Esclusa quindi l

�operatività dell

�art. 808 bis c.p.c., dell

�art. 808 quater

c.p.c., e letta nella deroga alla competenza per territorio la chiara opzione

relativi alla interpretazione della convenzione di arbitrato dovevano risolversi in favore dellagiurisdizione ordinaria. Vd. Cass. 26 aprile 2005, n. 8575; Cass. 25 agosto 1998, n. 8410; Cass. 28luglio 1998, n. 7398. Così anche Cass. 23 dicembre 2010, n. 26046, in questa Rivista, 2011, 641 ss.,con nota di SERRA, Contratto con clausola compromissoria e successiva transazione: se la clausolacompromissoria fondi la competenza arbitrale a decidere controversie derivanti dalla transazione,che, nel dubbio, esclude l

�ultrattività della clausola compromissoria rispetto ad una transazione

collegata al contratto cui la clausola accedeva. Si veda però, con riferimento ad una causaproposta anteriormente all

�entrata in vigore dell

�art. 808 quater c.p.c., Cass. 20 giugno 2011, n.

13531, in questa Rivista, 2012, 79 ss., con nota di COMASTRI, Favor arbitrati e art. 808-quaterc.p.c., ove, nel dubbio, è estesa la competenza arbitrale a tutte le controversie di naturacontrattuale relative all

�accordo in cui era inserita la clausola compromissoria, benché si

trattasse di arbitrato irrituale.Con la nuova regola il legislatore ha dimostrato di voler chiaramente invertire il criterio

ermeneutico fino ad allora seguito, introducendo così la regola secondo cui in dubio proarbitrato. In tal senso LUISO, SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 265, 266.Tuttavia, ancora oggi, sotto la vigenza dell

�art. 808 quater, non mancano pronunce, come quella

qui in commento, che continuano a risolvere il dubbio circa l�ambito oggettivo della clausola

arbitrale a vantaggio della giurisdizione ordinaria, quando l�incertezza riguardi l

�arbitrabilità di

liti non contrattuali. Così Cass. 15 febbraio 2017, n. 4035, in Foro it., Rep., 2017, voce Arbitrato,n. 39.

Sul nuovo art. 808 quater vd. RUFFINI, Commento all’art. 808 quater, cit.; ID. Commento subart. 808 quater, in Commentario breve al Diritto dell’arbitrato, a cura di BENEDETTELLI, CONSOLO,RADICATI DI BROZOLO, Padova, 2010, 102; ODORISIO, Prime osservazioni sulla nuova disciplinadell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2006, 255; ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento sub art. 808quater, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova, 2010, 102 ss.; ID.,Commento sub art. 808 quater, in Arbitrato, a cura di CARPI, Bologna, 2008, 187; ATTERITANO,Commento sub art. 808 bis, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di BRIGUGLIO,CAPPONI, Padova, 2009, 568; FABBI, Commento sub art. 808 quater c.p.c., in Commentario delcodice di procedura civile, diretto da COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA, Torino, 2014,141 ss.

(16) Nella sentenza si legge “anche ove si fosse voluta invocare la interpretazionedell

�art. 808 quater c.p.c. per risolvere in chiave estensiva i dubbi interpretatavi connessi alla

applicazione della clausola compromissoria, il tenore letterale della clausola 15.2. (ovvero quelladi deroga alla competenza territoriale) avrebbe comunque imposto diversa conclusione”.

745

per la via giurisdizionale, la Corte non può che concludere per una ridottaestensione della convenzione arbitrale.

Posti così i punti del ragionamento seguito dal giudicante e le con-clusioni cui perviene, non può non dissentirsi sotto diversi profili.

Quanto alla non applicabilità dell�art. 808 bis c.p.c. per mancanza di

determinatezza della lite, si rinvia a quanto già affermato supra. Si è dettoinfatti che, quando il rapporto dedotto in giudizio sia collegato ad altrorapporto complesso già in essere tra le parti, come nel caso di specie in cuile condotte illecite sono derivate dall

�esistenza di un contratto tra gli stessi

soggetti, la lite non contrattuale può rientrare nell�ambito oggettivo di

applicazione della clausola arbitrale. E tanto può verificarsi sia quando laclausola lo contempli espressamente quanto nel silenzio delle parti (17)(ovvero quando la convenzione si riferisca genericamente alle controver-sie derivanti dal contratto).

Con riferimento ai limiti di applicabilità dell�art. 808 quater intravisti

dalla Corte, deve invece ritenersi che la regola introdotta dalla riforma del2006 consenta di risolvere, unitamente ai criteri di interpretazione delcontratto, ogni dubbio circa l

�operatività della convenzione di arbitrato,

garantendo che essa possa avere ad oggetto tutte le controversie chederivano dall

�accordo, ovvero non solo le liti strettamente contrattuali ma

anche quelle che hanno nel contratto un presupposto per la loro venuta adesistenza (18). Di guisa che la clausola compromissoria non deve essere piùriferita solo alle controversie che hanno nel contratto la loro causapetendi (19) ma anche a tutte quelle connesse al contratto (20), e ognidubbio sull

�interpretazione della clausola compromissoria dovrebbe es-

sere superato estendendo la competenza degli arbitri, indipendentementedalla natura contrattuale o extracontrattuale della lite.

Una interpretazione più restrittiva non sarebbe oggi conforme al dato

(17) ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento, cit., 58 secondo cui alla luce del nuovo art. 808quater, l

�inclusione delle liti extracontrattuali strettamente connesse al contratto (come, ad es.

quelle di responsabilità precontrattuale, quelle di responsabilità extracontrattuali concorrenticon l

�illecito contrattuale ed ancora di concorrenza sleale) deve essere la regola anche nel

silenzio della parti. D�altronde, la possibilità di devolvere ad arbitri liti collegate al rapporto ma

non espressamente menzionate era già stata ammessa dalla giurisprudenza (seppure sempre conil limite della derivazione dal contratto cui la clausola arbitrale si riferisce), in applicazionedell

�art. 1365 c.c., a mente del quale se in un contratto sono espressi alcuni casi a titolo

esemplificativo, non possono escludersi tutti gli altri che non siano indicati. Così, tra le tante v.Cass. 22 dicembre 2005, n. 28485; Cass. 22 febbraio 1993, n. 2177, in Giur. It., 1994, I, 472.

(18) Ed invero, la legge si riferisce alle controversie derivanti dal contratto e non a quellenascenti dall

�accordo, permettendo così di poter includere anche quelle che rappresentano le

conseguenze legali del contratto. Cfr. NELA, op. ult. cit., 1652.(19) Così come invece richiede Cass. 3 febbraio 2012, n. 1674, in questa Rivista, 2014, con

nota di CASCELLI, Clausola compromissoria e liti extracontrattuali: questioni interpretative,secondo cui la clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti dalcontratto, in mancanza di espressa volontà contraria, non può estendersi alle liti non contrat-tuali.

(20) Così ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento, cit., 149; NELA, op. ult. cit., 1627.

746

normativo che vuole escludere dall�ambito di operatività della conven-

zione arbitrale solo le liti rispetto alle quali le parti indichino di non volerricorrere ad arbitri. In altre parole, l

�art. 808 quater crea un capovolgi-

mento della chiave di lettura finora data alla clausola compromissoriadubbia: non si deve indagare se le parti abbiano voluto devolvere adarbitri una controversia ma, al contrario, si esamina solo se l

�abbiano

voluta escludere. In mancanza di una espressa volontà contraria perciòtutte le controversie connesse al contratto saranno arbitrabili.

Nel caso in esame, mancando una indicazione volta a negare l�appli-

cabilità della clausola compromissoria anche alle controversie extracon-trattuali che accedono al negozio e che derivano da esso, ai sensi degli artt.808 bis e 808 quater c.p.c. il giudice avrebbe dovuto interpretare estensi-vamente la portata della convenzione arbitrale, riconoscendo così lacompetenza dei giudici privati.

5. Secondo la Corte, all�esclusione della competenza arbitrale per la

controversia non contrattuale dedotta in giudizio si dovrebbe giungereanche in virtù dell

�applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362

ss. c.c. (21).Partendo dalla premessa che le regole di interpretazione dei contratti

consentirebbero di comprendere il contenuto oggettivo che i paciscentihanno voluto dare alla convenzione arbitrale e, segnatamente, aiutereb-bero ad individuare una eventuale voluntas excludendi (22), la Corteravvisa un indice di volontà contraria alla devoluzione ad arbitri nellacontemporanea stipula di due clausole: l

�una arbitrale, l

�altra di deroga

alla competenza per territorio. Per la Corte, non avrebbe senso stabilireun foro convenzionale se si volessero devolvere tutte le liti derivanti dalcontratto ad arbitri. Così che, quelle non contrattuali, dovrebbero rien-trare invece, per esclusione, nell

�ambito di operatività della clausola ex

art. 29 c.p.c.Anche quest

�ulteriore argomento non ci pare pienamente condivisi-

bile.Prima della riforma del 2006, la giurisprudenza riteneva che, in caso

(21) Secondo ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento sub art. 808 quater, in La nuovadisciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, cit., 102, il criterio interpretativo dell

�art. 808 quater

si va ad aggiungere a quelli di interpretazione dei contratti ex art. 1362 ss. c.p.c. che sono sempreapplicabili. Sul tema vd. COMASTRI, Favor arbitrati e art. 808-quater c.p.c., in questa Rivista, 2012,83, in particolare nota 4, il quale afferma che l

�art. 808 quater non opera solo in funzione

suppletiva cioè quando il dubbio interpretativo circa l�ambito oggettivo di estensibilità della

clausola non possa essere risolto con il ricorso alle regole stabilite dal codice civile. Al contrario,essa è regola che deve essere immediatamente applicata, costituendo regola generale, mentre icriteri di ermeneutica contrattuale possono essere utilizzati per indagare se una previsionecontenuta nel contratto sia rappresentativa di una volontà contraria di devolvere una specificalite ad arbitri.

(22) In tal senso COMASTRI, op. loc. cit.

747

di previsione all�interno di un contratto tanto di una clausola compromis-

soria quanto di una derogatoria della competenza, dovesse sempre pre-valere quest

�ultima, come fosse una clausola di chiusura in favore della

giurisdizione statale. In altre parole, la duplice previsione di regole diattribuzione della lite agli arbitri e al giudice andava intesa come unconcorso nel quale doveva sempre imporsi l

�attribuzione della causa al

giudice naturale (23) (24).Tale soluzione, già ampiamente e legittimamente criticata prima della

riforma (25), non ha più ragion di esistere dopo l�entrata in vigore dell

�art.

808 quater c.p.c., norma che, come si è visto, nell�interpretazione delle

clausole dubbie, conduce ad una prevalenza per la via arbitrale.Tuttavia, l

�eventuale compresenza di una convenzione arbitrale e di

una clausola di deroga alla competenza non deve necessariamente passarecome un concorso in cui una delle due debba primeggiare, annullandol�altra, come se fossero tra di loro incompatibili. In altri termini, non si può

condividere l�affermazione della Corte nella parte in cui dichiara che “non

avrebbe avuto, infatti, alcun senso stabilire un foro convenzionale per lecontroversie connesse al contratto se la intenzione delle parti fosse stataquella di devolvere agli arbitri ogni vicenda scaturente dall

�accordo”,

poiché quando l�ambito oggettivo delle clausole suddette coincide, oc-

corre coordinarle attraverso le regole degli artt. 1363 e 1367 c.c. (26), ondenel dubbio, le pattuizioni devono interpretarsi nel senso in cui possonoavere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebberoalcuno (27).

Nel caso di specie parrebbe esservi una sovrapposizione delle dueclausole di competenza (arbitrale e territoriale derogabile) dal momentoche, stando alla lettera delle pattuizioni, entrambe riferite a controversie

(23) Cass., 15 febbraio 2002, n. 2208, in questa Rivista, 2003, 75 con nota di LUISO,Clausola compromissoria e clausola di deroga alla competenza territoriale; Cass. 10 giugno 1998,n. 5717, id., 1999, 53, con nota di RUFFINI, In tema di interpretazione della clausola compromis-soria: i « dubbi » della Suprema Corte e l’art. 1367 cod. civ. Contra, nella giurisprudenzaarbitrale, Coll. arb. 13 maggio 1996, id., 1997, 823 con nota di D

�ALESSANDRO, Intorno ai rapporti

tra clausola compromissoria rituale e accordo delle parti per la deroga alla competenza territo-riale. Sul rapporto tra clausola derogatoria ex art. 29 e competenza arbitrale v. Cass. 12novembre 1992, n. 12188, id., 1993, 421, con nota di BRIGUGLIO, Inderogabilità della competenzaterritoriale ex art. 810 c.p.c., secondo cui la presenza di clausola derogatoria della competenzaper territorio non comporta deroga alla regola di competenza dell

�art. 810 c.p.c. che individua

il presidente del tribunale competente alla nomina dell�arbitro.

(24) Peraltro, giova osservare che non solo la clausola compromissoria ma anche quelladerogatoria della competenza sortisce l

�effetto di derogare al giudice naturale precostituito per

legge. Così D�ALESSANDRO, Intorno ai rapporti, cit., 824, 825.

(25) Così LUISO, op. ult. cit., 77; RUFFINI, In tema di interpretazione, cit., 53 ss.(26) In tal senso BRIGUGLIO, Inderogabilità, cit., 427.(27) Vd. ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento, cit., 104, secondo cui l

�art. 808 quater

consentirebbe di superare i dubbi sull�ambito oggettivo della clausola compromissoria mentre

l�art. 1367 c.c. si riferirebbe alla ipotesi in cui sorga contestazione sulla stessa scelta arbitrale

compiuta dalle parti.

748

relative all�accordo, vi sarebbe una identità di oggetto per le stesse; il che

non consente, diversamente da quanto afferma la Corte, una armonizza-zione tra le due assegnando ad ognuna di esse una causa diversa.

Semmai il coordinamento tra le due pattuizioni passa per altra stradaovvero quella di attribuire alla competenza arbitrale tutte le controversiederivanti dal contratto (contrattuali o extracontrattuali), mentre a quellaconvenzionale tutte le liti o funzioni (28) per le ipotesi in cui l

�arbitrato non

possa aver luogo (29) (oppure al fine di determinare, ferma restando lacompetenza arbitrale per il merito, il giudice al quale andrà domandato ilprovvedimento cautelare ex art. 669 quinquies (30)).

Infine, contrariamente a quanto si legge nell�ordinanza in commento,

il fatto che il foro convenzionale sia indicato come succedaneo allacompetenza arbitrale, più che negare l

�impostazione supra prospettata,

parrebbe confermarla.Non può infatti negarsi che, stante l

�art. 808 quater c.p.c., che pone la

regola del favor arbitrati, e considerato che l�ordinamento italiano, in

conformità al quadro giuridico europeo, si muove nella direzione dellapreferenza per i sistemi di ADR, la via dell

�arbitrato dovrebbe rappre-

sentare la prima scelta per le parti mentre quella giurisdizionale dovrebbevenire subito dopo, ove la prima opzione non risulti possibile (31).

Quando cioè la competenza arbitrale non possa per qualsivogliaragione operare, la clausola ex art. 29 c.p.c. consente di individuare ilgiudice al quale potersi rivolgere, senza perciò privare o limitare in alcunmodo l

�efficacia della convenzione d

�arbitrato cui le parti hanno voluto

attribuire primaria valenza.

PAOLA LICCI

(28) Purché comunque idonee a consentire una astratta utilità della clausola. CosìBRIGUGLIO, op. cit., 429, il quale immagina che la clausola di deroga alla competenza territorialepossa applicarsi per determinare il giudice competente per l

�omologazione e dunque quello

territorialmente competente per l�impugnazione del lodo. Esclude quindi che possa utilizzarsi

per realizzare una deroga all�art. 810 c.p.c. visto che si tratta di una competenza inderogabile.

(29) Si pensi all�ipotesi in cui in un arbitrato a pluralità di parti, i paciscenti non si siano

accordati ex art. 816 quater c.p.c. per la nomina degli arbitri e si versi in ipotesi di litisconsorzionecessario: in questo caso la legge stabilisce l

�improcedibilità dell

�arbitrato sicché le parti

potranno rivolgersi al giudice convenzionalmente individuato.(30) Così D

�ALESSANDRO, op. cit., 829. In tal senso anche LUISO, op. ult. cit., 78.

(31) In tal senso LUISO, op. ult. cit., 79, il quale sostiene che tra gli strumenti di risoluzionedelle liti operi il principio di sussidiarietà: la prima via da tentare è quella conciliativa; inseconda battuta quella arbitrale e solo ove le prime due non siano percorribili, si passerà aquella giurisdizionale, secondo i criteri di competenza del codice o di quelli eventualmentestabiliti dalle parti.

749

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II civile, ordinanza 9 ottobre 2017, n. 23550; MATERA

Pres.; GUIDO Est.; M.V (avv.ti Bauro e Russo) c. F. s.r.l. ed altri.

Arbitrato societario - Clausola compromissoria - Nullità per criteri di nominadifformi da quelli previsti dalla legge - Sopravvenuta inefficacia della clausolacontenuta nello Statuto societario - Art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003.

La clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, la quale nonpreveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneoalla società è nulla, anche ove si tratti di arbitrato irrituale, dal momento dell’entratain vigore dell’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003 anche se stipulata anteriormente, percontrarietà ad una norma imperativa sopravvenuta.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con il primo motivo il ricorrente denuncial’insufficiente e contraddittoria motivazione sulla qualità di socio della Fiore srl incapo al M., anche con riferimento all’introduzione del presente giudizio ex art. 360c.p.c., n. 5).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazionedell’art. 1373 c.c., artt. 1334 e 1335 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3),deducendo che il proprio recesso dalla società si era perfezionato nel terminestabilito, onde al momento dell’introduzione del giudizio egli non era più sociodella stessa.

Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), censurando la statuizione della sentenzaimpugnata, che aveva affermato l’inammissibilità dell’eccezione di nullità dellaclausola compromissoria, per indeterminatezza della stessa, in quanto sollevatasoltanto in appello.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1337 c.c., art. 1341 c.c.,comma 2, artt. 1346, 1362, 1370 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3),censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha affermato, nel merito,l’infondatezza dell’eccezione di nullità.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 808 c.p.c., comma 3, nonchédell’art. 116 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la statuizione che hadisatteso l’eccezione di nullità della clausola compromissoria per mancata espressasottoscrizione della stessa.

Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 1418 e dell’art. 11 Prel., nonchédel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Il sesto motivo, da esaminare per primo, per ragioni di priorità logico-giuridica è fondato.

La clausola compromissoria contenuta nello statuto della Fiore srl, (art. 24)secondo cui collegio arbitrale sarà composto da tre arbitri, nominati, uno daciascuna delle parti in causa ed il terzo dai due arbitri nominati per primi — è nullain quanto non conforme alla previsione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34.

La Corte d’appello ha respinto l’eccezione di nullità della clausola, suddettasulla base di due argomenti:

— ha aderito alla tesi del c.d. “doppio binario, secondo cui l’arbitratoirrituale continua ad esistere nel diritto comune ed il legislatore non ha intesovietarlo con il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34;

751

— ha affermato l’irretroattività della disposizione del D.Lgs. n. 5 del 2003,art. 34, rilevando che essa non era vigente né al momento dell’instaurazione delgiudizio (ottobre 2003), né quando fu sollevata l’eccezione (24 novembre 2003): lanorma transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 41, faceva dunque salval’applicabilità delle disposizioni anteriormente vigenti ai giudizi pendenti alla datadi entrata in vigore del medesimo decreto.

Con riferimento alla tesi del c.d. doppio binario si osserva che essa è incontrasto con il più recente, ma consolidato, orientamento di questa Corte, cuiquesto collegio ritiene di aderire, secondo cui la clausola compromissoria conte-nuta nello statuto societario, la quale non preveda che la nomina degli arbitridebba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società è nulla anche ove sitratti di arbitrato irrituale, ed è affetta, sin dalla data di entrata in vigore del citatoD.Lgs. n. 5 del 2003 da nullità sopravvenuta rilevabile d’ufficio (Cass. 17.2.2014, n.3665; 28.7.2015 n. 15841).

Questa Corte ha infatti affermato che non può accettarsi la tesi del c.d. —doppio binario, secondo cui l’arbitrato previsto dalle predette clausole si conver-tirebbe da arbitrato endosocietario in arbitrato di diritto comune, dal momentoche la nullità comminata dall’art. 34 è volta a garantire il principio di ordinepubblico dell’imparzialità della decisione (Cass. 21422/16; 15841/2015; 17287/2012).

Del pari infondata la dedotta irretroattività del divieto posto dal D.Lgs. n. 5del 2003, art. 34.

È infatti vero che D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 41, rende inapplicabile la nuovanormativa processuale — ai giudizi pendenti, ma nella specie, trattandosi, pacifi-camente, di clausola di arbitrato irrituale, non si tratta di tale ipotesi, bensì delcompimento di un’attività negoziale che, dal momento dell’entrata in vigore delD.Lgs. n. 5 del 2003, risulta inficiata da nullità, per contrarietà ad una normaimperativa sopravvenuta.

Come questa Corte ha già affermato, dunque, la norma del D.Lgs. n. 5 del2003, art. 41, seppure formulata con riferimento ai “giudizi pendenti”, è intesa a farsalvi gli eventuali giudizi arbitrali, in corso alla data di entrata in vigore dellanormativa, ma non già gli effetti della clausola arbitrale preesistente, che costitui-sce negozio e non già atto processuale (Cass. 15841/15; 3665/2014).

Trova invece applicazione nel caso di specie il principio, più volte espresso daquesta Corte, secondo il quale, qualora nel corso di esecuzione di un rapportosopravvenga una norma che sancisce la nullità del contratto o di una clausola dellostesso, la sanzione di nullità incide sul rapporto, non consentendo la produzione diulteriori effetti.

Così, in relazione all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, che con l’art.10 ha modificato l’art. 1938 c.c., prevedendo per la fideiussione per obbligazionefutura la fissazione dell’importo massimo garantito, la giurisprudenza si è espressanel senso che la sopravvenienza della L. n. 154 del 1992, se non tocca la validità el’efficacia della fideiussione fino al momento dell’entrata in vigore del citato art.10, determina, per il periodo successivo, la nullità sopravvenuta della convenzionecon essa in contrasto (in tal senso, le pronunce 2871/07 e 26064/08). Ed inveroanche a ritenere che, in simili casi, si tratti non tanto di una questione di nullitàsopravvenuta del contratto, o di clausole dello stesso, ma di inefficacia, in quantola normativa sopravvenuta viene ad incidere sul piano degli effetti e non dell’atto,

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in ogni caso la clausola preesistente deve ritenersi non più operante, non potendooperarsi la sostituzione della stessa, divenuta contraria a norma imperativa so-pravvenuta.

Va dunque richiamato il principio della rilevabilità dello “ius superveniens”e della sua applicabilità nei giudizi in corso, con l’unica preclusione derivante dallaformazione del “giudicato interno” in relazione alle questioni su cui avrebbedovuto incidere la normativa sopravvenuta (Cass. 6101/2014).

Tale conclusione non contrasta con la disposizione transitoria, contenutanell’art. 223-bis disp. att. c.c., in forza della quale le società di capitali avrebberodovuto uniformare Fatto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderoga-bili entro il 30 settembre 2004.

Conviene premettere che la questione dell’adeguamento statutario dellaFiore srl con riferimento alla clausola arbitrale per cui è causa entro il 30 settembre2004 non è stata ritualmente dedotta, né detto adeguamento entro tale terminerisulta documentato nei precedenti gradi di giudizio: da ciò la novità dellaquestione, che non può dunque essere esaminata nel presente giudizio.

In ogni caso, la previsione dell’ulteriore termine (del 30 settembre 2004) perl’adeguamento dello statuto, non appare idoneo ad attribuire ultrattività, oltre taledata, alle clausole contrarie al disposto del D.Lgs. n. 5, cit. art. 34, comma 2, ed ailoro effetti, e dunque agli eventuali procedimenti per arbitrato irrituale instauratiin forza di esse (a differenza dei giudizi per arbitrato rituale pendenti, aventinatura processuale, in forza del disposto del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 41).

Considerata la già rilevata natura contrattuale della clausola per arbitratoirrituale contenuta nello statuto della Fiore srl, la sopravvenuta nullità della stessa,per contrarietà con norma imperativa, a far data dal 1 gennaio 2004, non può checomportare, da tale data, la cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, la quale,ove pure adita, come nel caso di specie, in data anteriore all’entrata in vigore didetta norma imperativa, non può declinare la propria cognizione, essendo venutameno la possibilità di devoluzione della controversia ad arbitri, in conseguenzadella sopravvenuta inefficacia della clausola che tale devoluzione prevedeva.

Il venir meno di tale clausola, infatti, se travolge l’eventuale attività che inessa trovi fondamento, come il lodo per arbitrato irrituale pronunciato dopo il lgennaio 2004, ancorché instaurato anteriormente (Cass. 15841/2015), a maggiorragione impedisce, dopo tale data, la stessa instaurazione del procedimentoarbitrale, su detta clausola fondato.

A tali principi non risulta essersi conformata la Corte territoriale, la quale haomesso di rilevare la nullità, o comunque inefficacia, della clausola arbitrale,opposta dall’attore a seguito dell’eccezione di incompetenza sollevata dal conve-nuto, ancorché detta nullità fosse sopravvenuta, per essere il D.Lgs. n. 5 del 2003entrato in vigore dopo l’instaurazione del presente giudizio.

Dall’accoglimento del presente motivo deriva l’assorbimento dei primi cin-que motivi.

In conclusione, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causava rinviata alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, perché, fermala sopravvenuta inefficacia della clausola contenuta nell’art. 24 dello Statuto dellaFiore srl, esamini la domanda proposta da M.V. nei confronti della Fiore srl.

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Nullità della clausola compromissoria statutaria con nomina binaria e ius

superveniens.

1. Il giudice di appello, confermando la sentenza di primo grado, haaffermato l’applicabilità alla controversia in esame dell’art. 24 dello sta-tuto sociale, che riservava ad un collegio di arbitri la decisione sullecontroversie tra la società ed i soci, respingendo le sollevate eccezioni dinullità della suddetta clausola compromissoria, anche alla luce del divietodisposto dall’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003, sia perché detta norma non eravigente all’epoca dell’instaurazione del giudizio, sia perché la nullitàprevista per le clausole compromissorie che non conferiscano il potere dinomina di tutti gli arbitri ad un soggetto estraneo alla società, riguarde-rebbe unicamente le clausole che prevedono l’arbitrato rituale, ma nonanche quello irrituale, con il quale le parti stabiliscono che la controversiasia definita dagli arbitri mediante una determinazione contrattuale (1).

La sentenza viene impugnata e cassata dai giudici di legittimità, i qualiaffermano la nullità sopravvenuta, rilevabile d’ufficio, della clausola com-promissoria contenuta nello statuto societario in quanto non conformealla previsione dell’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003, la cui applicazione non èesclusa anche ove si tratti di arbitrato irrituale.

2. Con la pronuncia in commento i giudici di legittimità confermanol’orientamento secondo cui la clausola compromissoria contenuta nellostatuto societario, la quale non preveda che la nomina degli arbitri debbaessere effettuata da un soggetto estraneo (2) alla società è nulla anche ovesi tratti di arbitrato irrituale (3), ed è affetta, sin dalla data di entrata in

(1) Cass., 4 giugno 2010, n. 13664, ordinanza rimasta isolata, che in una controversiariguardante una società di persone si era espressa nel senso di limitare la nullità alle soleclausole per arbitrato rituale, sulla base del solo rilievo della natura di determinazionecontrattuale del lodo irrituale: “sembra pertanto potersi ritenere che la nullità prevista dall’art. 34,comma 2, per le clausole compromissorie che non conferiscano il potere di nomina di tutti gliarbitri a soggetto estraneo alla società, riguardi le clausole che prevedano l’arbitrato rituale, manon anche quello irrituale — con il quale le parti stabiliscono che la controversia sia definita dagliarbitri mediante determinazione contrattuale (art. 808 ter c.p.c., comma 1) — pure consentitonelle controversie societarie, in forza del richiamo all’arbitrato non rituale contemplato dall’art.35, comma 5, del decreto citato”.

(2) LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 705 ss., osserva che ilterzo, cui è conferito il potere di nomina, deve essere un soggetto totalmente estraneo allasocietà ed, in quanto tale, non coinvolto, neppure ideologicamente, con gli interessi in conflitto,tenuto conto che la scelta del terzo a cui affidare la nomina degli arbitri è effettuata all’internodi un atto societario, e che se tale elemento resta secondario nell’eventualità in cui lacontroversia abbia come parti i soci, esso diviene invece assai rilevante quando la controversiaabbia come parte la società.

(3) La Cassazione si è espressa in più di un’occasione statuendo che le clausole statutarieformulate ai sensi dell’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 possono prevedere anche un arbitrato irrituale, cfr.Cass. 17 febbraio 2014, n. 3665. In dottrina, v. LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir.proc., 2003, 723, che rilevata la circostanza che l’art. 35 d.lgs. n. 5/2003 fa riferimento all’arbi-trato anche non rituale, osserva che la devoluzione in arbitrato (anche irrituale) di tali

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vigore del d.lgs. n. 5 del 2003 da nullità sopravvenuta rilevabile d’uffi-cio (4).

In particolare, con l’ordinanza in epigrafe trova ulteriore conferma ilrifiuto della tesi del doppio binario (5), secondo la quale le clausole “nonadeguate” potrebbero continuare ad applicarsi accanto a — od invece di— quelle conformi alla citata disposizione normativa (6).

Nell’addivenire a tale conclusione, viene altresì ribadito dai giudici dilegittimità il principio che la nullità colpisce non solo il conferimento delpotere di nomina degli arbitri ma l’intera clausola compromissoria (7),essendo la disposizione normativa dettata dall’esigenza di garantire ilprincipio di ordine pubblico dell’imparzialità della decisione, atteso cheove la norma in questione si limitasse a sancire un semplice onere diadeguamento, la stessa previsione della nullità sarebbe svuotata di ogniforza conformativa della realtà giuridica societaria, contraddicendo lafinalità dell’intervento normativo.

Si tratta di una precisazione importante, perché volta a chiarire comela normativa in tema di arbitrato è stata dettata per superare le difficoltàapplicative ed i contrasti insorti nella giurisprudenza di merito riguardantila possibile coesistenza accanto all’arbitrato societario di cui agli artt. 34ss. d.lgs. n. 5/2003, di un arbitrato societario di diritto comune che abbia lasua fonte in una clausola compromissoria statutaria.

Le ragioni sottostanti alla pronuncia in commento sono allora chia-ramente ravvisabili nella ratio legis che disciplina la nomina degli arbitrisocietari, le cui fondamenta poggiano sul principio di ordine pubblico che

controversie [quelle di cui al precedente art. 34 d.lgs. n. 5/2003] attribuisce agli arbitri il poteredi disporre la sospensione dell’efficacia della delibera; RICCI, Il nuovo arbitrato societario, in Riv.trim. dir. proc. civ., 2003, 518 ss.; BOVE, sub art. 808 ter, in La nuova disciplina dell’arbitrato acura di Menchini, Padova, 2010, 99-100.

(4) Cass., 24 ottobre 2016, n. 21422, in questa Rivista, 353 ss., con nota di ZUCCONI GALLI

FONSECA; Cass., 28 luglio 2015, n. 15841; Cass., 17 febbraio 2014, n. 3665; Cass., 10 ottobre 2012,n. 17287. In dottrina, sulla problematica concernente i rapporti tra arbitrato societario discipli-nato negli artt. 34 ss. del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e arbitrato di diritto comune di cui agli artt.806 ss. c.p.c. ed in particolare, sulla questione della ratio sottostante l’approvazione dell’art. 34,comma 2, d.lgs. n. 5/2003, v. VANNI, Sull’esclusività del modello arbitrale societario nei nuoviorientamenti della giurisprudenza di legittimità, in questa Rivista, 2011, 263 ss.

(5) Sul punto v. SALVANESCHI, La costituzione dell’organo arbitrale e il procedimentonell’arbitrato societario italiano, in questa Rivista, 2017, 244 ss. laddove osserva che è quindiescluso che gli statuti delle società possano prevedere clausole compromissorie redatte ai sensidelle norme di diritto comune che disciplinano l’arbitrato, così come è escluso che una clausolacompromissoria nulla se formulata in violazione del requisito della nomina eteronoma degliarbitri imposto dall’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003 possa convertirsi in una clausola valida cheintroduce un arbitrato regolato dalle norme generali del codice di rito.

(6) Sul tema della eterodesignazione degli arbitri, in dottrina non è andata esente dacritiche la scelta ritenuta — non necessaria — di punire con la nullità tutte le clausole binarie,generalmente presenti negli statuti societari, v. CERRATO, Arbitrato societario: è tempo di unariforma, in questa Rivista, 2015, 611 ss.

(7) Sulla possibilità di ricorrere al meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1419, comma 2,c.c. al fine di conservare l’efficacia della clausola, sostituendo con la previsione ex lege la regolastatutaria, che attribuisce alle parti la nomina degli arbitri v. LUISO, op. cit.

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impone il rispetto dell’uguaglianza di tutte le parti interessate nellanomina del collegio arbitrale in modo tale da garantire, attraverso lamodalità di nomina eteronoma dell’organo arbitrale, l’uguaglianza delleparti nella sua formazione. In caso di violazione del suddetto divieto, illegislatore ha quindi previsto espressamente la nullità delle clausolecompromissorie statutarie difformi dal modello legale, con la conseguentereviviscenza del potere decisorio del giudice statale.

3. La seconda quaestio juris affrontata dalla decisione in commentoattiene all’applicazione dello jus superveniens costituito dal divieto postodall’art. 34 comma 2 d.lgs. n. 5 del 2003 che stabilisce a pena di nullità chela clausola compromissoria deve prevedere la nomina di tutti gli arbitri daparte di un soggetto esterno.

È l’applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui l’emana-zione di norme che prevedano l

�invalidità di clausole contenute in con-

tratti di durata, non incide sulla validità delle clausole inserite in contrattigià conclusi, ma impedisce che queste possano produrre per l’avvenireulteriori effetti nei rapporti ancora in corso (8).

La Cassazione al riguardo, precisa che trattandosi di arbitrato irri-tuale, non poteva trovare applicazione l’art. 41 d.lgs. n. 5 del 2003 (9) cheriferendosi ai giudizi pendenti, faceva salvi gli eventuali giudizi arbitrali incorso alla data di entrata in vigore della suddetta normativa, non anche glieffetti sostanziali della clausola arbitrale preesistente, per tale ragione,dovendo allora farsi applicazione nel caso di specie del principio chequalora nel corso di esecuzione di un rapporto sopravvenga una normache sancisca la nullità del contratto o di una clausola dello stesso, lasanzione di nullità incide sul medesimo rapporto, non consentendo laproduzione di ulteriori effetti.

Si tratta di un’ipotesi integrante la rilevabilità — e conseguenteapplicazione — dello jus superveniens ad un giudizio in corso, con l’unicolimite costituito dal giudicato interno eventualmente formatosi in rela-zione alle questioni sulla decisione delle quali avrebbe dovuto incidere lanormativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversiein atto sui relativi punti (10).

(8) Cass., 24 ottobre 2016, n. 21422, cit.; Cass., 4 maggio 2016, n.8900; Cass., 17 febbraio2014, n. 3665, in cui si precisa che anche a ritenere che si tratti non tanto di una questione dinullità sopravvenuta del contratto o di clausole dello stesso, ma di inefficacia, in quanto lanormativa sopravvenuta viene ad incidere sul piano degli effetti e non dell’atto, in ogni caso laclausola preesistente deve ritenersi non più operante; Cass., 9 febbraio 2007, n. 2871.

(9) Il cui comma 1 è stato abrogato dall’art. 54, comma 5, della l. 18 giugno 2009, n. 69,e le cui disposizioni continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata invigore della stessa l. n. 69/2009.

(10) Cass., 17 marzo 2014, n. 6101, in www.iusexplorer.it.

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4. Riassumendo, con l’ordinanza in epigrafe, viene data ulteriorerisposta giurisprudenziale al quesito se dopo l’entrata in vigore dell’art. 34d.lgs. n. 5 del 2003 possano convivere due tipologie di arbitrati societari,ovvero, se davvero è possibile il ricorso all’arbitrato di diritto comune inmateria societaria (11).

La Cassazione, superando precedenti incertezze interpretative (12),prende nuovamente posizione sul tema qui considerato, confermandol’orientamento più rigoroso emerso in dottrina (13) e giurisprudenza (14)che tiene conto del dato squisitamente letterale della norma in que-stione (15), affermando perentoriamente che la violazione del divietosancito dall’art. 34 comma 2 d.lgs. n. 5 del 2003 comporta la nullitàdell’intera clausola e non soltanto di parte di quest’ultima, privilegiandocosì una visione oggettiva della ratio legis, fondata sull’inciso “a pena dinullità” che si riferisce all’indicazione del soggetto investito del potere di

(11) Sul thema concernente anche una sintesi delle varie posizioni emerse in dottrina, v.GUIDOTTI, L’arbitrato di diritto comune in materia societaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 675ss.

(12) App. Torino, 8 marzo 2007, in Giur. it., 2007, 906 ss. che aveva dichiarato la validitàdella clausola compromissoria per arbitrato irrituale introdotta ex novo nello statuto di unasocietà sebbene non conforme all’art. 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; Trib. Bari, 7 novembre2007, in Giur. merito, 2008, 1329, laddove affermava che la portata precettiva dell’art. 34 d.lgs.17 gennaio 2003, n. 5, è individuabile nell’aver aggiunto all’arbitrato ordinario di cui agli artt.806-831 c.p.c. una distinta forma di arbitrato societario; Trib. Genova, 7 marzo 2005, in Giur.comm., 2006, 500, con nota di CERRATO, secondo cui dal momento che il nuovo modello diarbitrato endosocietario è venuto ad aggiungersi e non a sostituirsi alla disciplina dell’arbitratodi diritto comune, la clausola compromissoria introdotta nello statuto o nell’atto costitutivo diuna società anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e successivamentenon adeguata alle disposizioni inderogabili previste dal suddetto decreto conservava pienavalidità ed efficacia.

(13) SALVANESCHI, op. cit., che non manca di rilevare come il punto centrale della sceltalegislativa di privare le parti del potere di nominare un arbitro fiduciario è ravvisabile nellacaratteristica propria della clausola compromissoria statutaria la cui finalità è di regolare le litidi un intero gruppo sociale e non quelle dei soci come singoli, essendo questa la ragione per cuil’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 impone una particolare modalità di formazione dell’organo arbitrale diderivazione terza, in quanto tale, capace di soddisfare sempre e comunque le esigenze di unarbitrato potenzialmente plurilaterale.

(14) Tra il 2010 ed il 2012, superando la tesi del doppio binario, la Cassazione è giunta aduna soluzione definitiva della diatriba in favore dell’esclusività del modello arbitrale societario,precisando altresì che la previsione di nullità non è riferita alla clausola relativa alla nominadegli arbitri, ma è riferita alla clausola compromissoria come tale. V. ad esempio Cass., 20 luglio2011, n. 15892; Cass., 20 settembre 2012, n. 15833, Cass., 10 ottobre 2012, n. 17287 e, da ultimoCass., 17 febbraio 2014, n. 2665, che ha preso posizione anche sull’inapplicabilità dell’art. 1419c.c. In precedenza, cfr. App. Torino, 4 agosto 2006, in Giur. it., 2007, 398, con nota di CERRATO,laddove afferma che proprio l’assenza di una disposizione imperativa specifica è di ostacolo allasostituzione automatica della clausola compromissoria nulla per mancato adeguamento alledisposizioni inderogabili dettate dall’art. 34 comma 2 d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5.

(15) Il punto dolente della questione ruota intorno al corretto significato da attribuireall’art. 34 d.lgs. n. 5 del 2003 se volto ad introdurre un obbligo di legge o più semplicemente unonere a carico delle parti interessate come pure in un primo tempo era stato ipotizzato dallastessa giurisprudenza di merito v. Trib. Bologna, 25 maggio 2007, in Guida al dir., 2007, 45, 106;App. Torino, 4 settembre 2007, in Guida al dir., 2007, 47, 50 con nota di TABELLINI. In dottrinav. CERRATO, Arbitrato societario e doppio binario: una svolta?, in Giur. it., 2007, 910.

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nomina, in tale ottica, considerando unicamente la finalità della normavolta a sottrarre alle parti il potere di nominare gli arbitri.

Tuttavia, non vi è chi non veda come un’eccessiva radicalizzazionedella posizione assunta dalla giurisprudenza sull’interpretazione dellasuddetta disposizione normativa, unitamente alla palesata volontà dellegislatore di dare vita ad un meccanismo di nomina differente rispetto aquello disegnato dal codice di rito possano finire con il creare un rilevanteproblema di fondo, vanificando la stessa ratio deflattiva del ricorso all’ar-bitrato.

Infatti come già precisato, è certamente vero che la disposizionecontenuta nel comma 2 dell’art. 34 d.lgs. n.5 del 2003 serve a garantire chei requisiti di terzietà, imparzialità e neutralità degli arbitri restino sottrattialla disponibilità delle parti, trattandosi di requisiti di ordine pubblicoinderogabili, sia per l’arbitrato rituale che per quello irrituale (16), ma èaltrettanto vero che l’irrigidimento mostrato sino ad oggi dalla prevalentegiurisprudenza sull’asettica interpretazione della mancata previsione al-l’interno della clausola compromissoria statutaria della nomina degliarbitri ad opera di un soggetto estraneo alla società, comportando lanullità dell’intera clausola arbitrale, inevitabilmente costringe soci edorgani della società a rivolgersi all’autorità giudiziaria per la risoluzionedell’insorta controversia, in tale modo contraddicendo, in forma palese, lastessa finalità deflattiva insita nel ricorso all’arbitrato societario (17).

Forse un’interpretazione meno “formalistica” e maggiormente rispet-tosa dell’autonomia privata potrebbe consentire la convivenza e salva-guardia dei differenti principi sottostanti alla disciplina sull’arbitrato so-cietario, da un lato, conservando le disposizioni negoziali che non sianoapertamente incompatibili con la littera legis, e, dall’altro, evitando alleparti interessate un “ritorno al passato” attraverso la reviviscenza dellagiurisdizione statale per la risoluzione dei loro problemi.

VITO AMENDOLAGINE

(16) CONSOLO, Imparzialità degli arbitri. Ricusazione, in questa Rivista, 2005, 732. Su talequestione cfr. Cass., 7 giugno 1985, n. 3394, in Foro it., 1985, I, 1959.

(17) Infatti, per effetto della dichiarata nullità delle clausole compromissorie statutarienon conformi al modello legale, con il ritorno del contenzioso nelle aule dei tribunali, il rischiomaggiore è quello di incorrere in una serie di incidenti di percorso che possano creare un vulnusalla cultura dell’arbitrato societario ed al suo lungo cammino di emancipazione da eccezionalestrumento alternativo di giustizia ad istituto sostanzialmente equiparabile alla giurisdizionestatale nella risoluzione delle liti tra privati.

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TRIBUNALE DI FROSINONE, ordinanza 19 settembre 2017; PETTERUTI G.D. ed Est.;(X c. Y)

Ricorso cautelare innanzi al giudice italiano - Eccezione fondata su convenzionearbitrale per arbitrato estero - Estensione della convenzione arbitrale allamateria cautelare - Difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Nel caso in cui le parti abbiano deferito le controversie contrattuali ad arbitratoestero (nella specie arbitrato ICC con sede in Svizzera) tale deferimento si estendeanche alla materia cautelare e pertanto va dichiarato il difetto di giurisdizione delgiudice italiano in relazione all’istanza ex art. 669 ter c.p.c. intesa all’ottenimento disequestro giudiziario ed in subordine di provvedimento di urgenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con ricorso ex artt. 670 e 700 c.p.c.datato 20/07/2017, la X ha adìto l�intestato Tribunale, chiedendo: a) autorizzarsi ilsequestro giudiziario dell�impianto nonché dei suoi componenti, documentazionee know how — di cui al contratto intercorso con la Y s.p.a. fino alla consegna delbene o alla pronuncia di condanna alla consegna del medesimo; b) in subordine,ai sensi dell�art. 700 c.p.c., inibirsi (eventualmente con irrogazione di sanzione perogni singola violazione accertata) alla Y di disporre materialmente o giuridica-mente del suddetto bene e dei suoi accessori sempre fino alla consegna del bene oalla pronuncia di condanna alla consegna del medesimo.

A fondamento delle proprie domande, la società istante ha allegato, in puntodi fatto, quanto segue.

La Y è proprietaria di un sito produttivo ubicato in (omissis), il quale è incorso di dismissione.

La X e quest�ultima società hanno stipulato, in data 18/09/2016, un contrattocon il quale è stato pattuito: a) l�acquisto (per il prezzo di Euro 10.000.000,00)dell�impianto industriale ubicato presso lo stabilimento di (omissis), unitamente alknow how ed ai documenti necessari per il suo funzionamento; b) il trasferimento(per il prezzo di Euro 200.000,00) di detto impianto dall�Italia in Sri Lanka, ove laY sta realizzando, in virtù di accordi con il Governo locale, un sito produttivo; c)l�esecuzione, da parte della X, delle operazioni di smantellamento, imballaggio,riassemblaggio ed installazione di tale bene (al prezzo di Euro 1.900.000,00); d) iltrasferimento del know how e della documentazione relativa al funzionamentodell�impianto presso il sito ubicato in Sri Lanka (al prezzo di Euro 1.900.000,00).

Il corrispettivo totale (Euro 14.000.000,00) avrebbe dovuto essere così pa-gato: Euro 4.200.000,00 entro giorni sette dalla stipula del contratto ed il residuocon le modalità indicate in una “lettera di credito” bancaria, il cui contenutoavrebbe dovuto essere concordato fra le parti, da emettersi nel mese di gennaiodell�anno 2017.

In data 21/09/2016, la X ha versato la somma di Euro 4.200.000,00.Nei mesi seguenti sono proseguite le attività di smantellamento dell�impianto

ed il Governo dello Sri Lanka ha individuato l�area su cui deve sorgere il nuovostabilimento industriale.

In data 11/01/2017, la Y ha trasmesso alla X il progetto di massima relativoalla spedizione delle componenti dell�impianto e quest�ultima si è attivata perporre in essere gli adempimenti necessari all�esecuzione del contratto.

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In data 14/01/2017 e 16/01/2017, la X ha chiesto alla Y di fornire maggioridettagli rispetto al piano delle spedizioni, atteso che la Banca chiamata ademettere la “lettera di credito” li riteneva necessari, e la parte venditrice ha fornitodette integrazioni in data 16/01/29017. La X, dal canto suo, si è attivata perottenere la suddetta “lettera” ed ha continuato le attività preliminari alla realiz-zazione dello stabilimento in Sri Lanka, sostenendo spese per Euro 10.000.000,00e preventivandone altre per Euro 25.000.000,00.

In data 31/01/2017, la X ha comunicato alla Y che la Banca aveva condizio-nato l�emissione della “lettera di credito” alla fornitura di ulteriori dettagli relativialla spedizione dell�impianto e che, in particolare, era necessario completare lafattura pro forma relativa alla spedizione. Detto documento è stato inviato dalla Y.

In data 27/02/2017, le parti si sono incontrate a Dubai per definire lesuccessive attività relative al contratto ed in data 29/02/2017 la Y ha confermato ilproprio interesse alla prosecuzione dei rapporti.

Nei mesi di marzo ed aprile dell�anno 2017, è stato completato l�iter auto-rizzativo in Sri Lanka e nello stesso periodo alcuni componenti del C.d.A. della Ysi sono recati sul luogo ove deve essere realizzato il sito produttivo.

In data 09/05/2017, la X ha chiesto alla Y di fornire le coordinate bancarie peraddivenire all�emissione della “lettera di credito”.

In data 10/05/2017, tuttavia, la resistente ha comunicato la risoluzione delcontratto e ciò sul presupposto che la società odierna ricorrente non avrebberispettato il termine, ritenuto essenziale, per la finalizzazione della “lettera dicredito”.

Successivamente, i rapporti fra le parti sono continuati ed in data 15/06/2017la BANCA COMMERCIALE Di ABU DHABI ha trasmesso alla X la bozzafinale della “lettera di credito”.

A seguito di un incontro con la Y, è emerso che quest�ultima avrebbeintenzione di vendere l�impianto ad un terzo.

In punto di diritto, invece, la X ha allegato, avuto riguardo al fumus boni iuris,quanto segue.

Le controversie fra le parti sono state devolute ad un collegio arbitrale aventesede a Zurigo ed amministrato secondo il Regolamento Arbitrale della Camera diCommercio Internazionale (di seguito anche “International Chamber of Com-merce” o “I.C.C.”) e la legge applicabile è, ai sensi del contratto, quella svizzera.

L�art. 2 del codice civile svizzero statuisce che “Il manifesto abuso del propriodiritto non è protetto dalla legge”, mentre l�art. 107 del codice svizzero delleobbligazioni dispone che, qualora sia assegnato al debitore un termine per l�adem-pimento e quest�ultimo non sia eseguito, il creditore può domandare l�adempi-mento medesimo oppure dichiarare espressamente, ma immediatamente, di rinun-ciarvi e, conseguentemente, recedere dal contratto oppure chiedere il risarcimentodel danno.

La Convenzione sui Contratti per la Vendita Internazionale di Beni Mobili(di seguito anche “Convenzione”), agli artt. 25 e 64, statuisce che solo l�inadem-pimento essenziale può portare alla risoluzione del Contratto, dovendosi, tuttavia,parametrare l�essenzialità alle conseguenze ricadenti sull�altra parte del contratto.La medesima Convenzione, poi, statuisce che la risoluzione può essere dichiaratasolo qualora alla scadenza del termine pattuito sia fissato un nuovo termine peradempiere.

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Nel caso che occupa, la risoluzione comunicata priva di qualsivoglia effetto,atteso che: a) il termine pattuito non è essenziale, come dimostrato pure dal fattoche la Y ha proseguito nelle trattative sino al mese di aprile dell�anno 2017; b) laresistente, né ha manifestato immediatamente, ossia alla scadenza del termine, lavolontà di risolvere il contratto, né ha assegnato alla X un ulteriore termine peradempiere.

La Y, inoltre, ha agito in mala fede, in quanto ha incassato l�acconto e solodopo diversi mesi dalla scadenza del termine per adempiere, dopo avere intensi-ficato i rapporti con la X, così inducendola a proseguire le attività d�estero per larealizzazione del sito industriale, ha improvvisamente manifestato la volontà direcedere dal contratto.

Quanto al periculum, invece, la X ha dedotto che la condotta della Y è lesivadei suoi interessi, in quanto rende impossibile la realizzazione del sito industrialein Sri Lanka e rende vani i cospicui investimenti effettuati; il bene, inoltre, sta peressere alienato a terzi e non è possibile reperirne altro identico sul mercato intempi brevi.

Radicatosi il contraddittorio, si è costituita in giudizio la Y, la quale ha in viapregiudiziale eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano, stante laclausola compromissoria inserita nell�art. 15, comma 2, del contratto, ai sensi dellaquale le parti del presente giudizio hanno consensualmente stabilito di sottoporrel�intero rapporto contrattuale e le relative vicende esclusivamente alla leggesvizzera e di devolvere ogni controversia derivante e/o connessa ad esso ad unarbitrato internazionale con sede in Svizzera, amministrato secondo il Regola-mento Arbitrale della I.C.C. ed interamente governato dalla legge svizzera.

In via preliminare, invece, la Y ha eccepito l�inammissibilità del ricorso pernon essere stato assolto da parte ricorrente l�onere probatorio relativo alla lexcontractus (legge svizzera) sotto il profilo della sussistenza dei presupposti dellacautela invocata: siccome il Tribunale adito dovrebbe giudicare applicando lalegge straniera non solo per delibare in ordine alla sussistenza del fumus boni iurise del periculum in mora, ma pure in ordine a tutti gli aspetti processuali dell�ini-ziativa giudiziale, la X avrebbe dovuto ben evidenziare — non operando, attesal�eccezionale complessità dell�attività di ricerca e di interpretazione della leggestraniera, il principio jura novit curia — quali sono i criteri posti dalla leggesvizzera per l�emissione dei provvedimenti cautelai, ma ciò non ha fatto.

Inammissibile, sarebbe, sempre secondo la Y, il ricorso per sequestro giudi-ziario ex art. 670 c.p.c., e ciò per due motivi: a) perché detto sequestro non puòessere concesso laddove il giudizio di merito tenda, come accade nel caso cheoccupa, ad attribuire la proprietà o il possesso in conseguenza della decisione suazioni contrattuali oppure la restituzione della cosa di cui altri ne abbia ladetenzione in virtù della decisione su azioni personali; b) perché, siccome il codicecivile svizzero non conosce il principio del trasferimento consensuale del diritto,ma il principio di astrattezza, per effetto del quale un contratto che ha ad oggettoil trasferimento della proprietà non trasferisce quest�ultima per mezzo del meroconsenso, ma obbliga l�alienante a trasferire la proprietà del bene vendutoall�acquirente, la proprietà dei beni oggetto del contralto non è affatto contro-versa, essendo attualmente in capo alla Y.

Nel merito, invece, la società resistente ha eccepito quanto segue.

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Innanzitutto, al contrario di quanto afferma parte ricorrente, non esistealcuna partnership, fra la X e la resistente, avente ad oggetto la realizzazione delsito produttivo all�estero: nel caso che occupa viene in rilievo unicamente uncontratto di compravendita, per cui la Y è estranea alle vicende fra la X ed ilGoverno dello Sri Lanka.

In secondo luogo, nel caso in esame assume rilievo il solo comportamentotenuto dalle parti del contratto e non quello posto in essere da terzi, ossia da societàdi esse controllanti o da esse controllate, nonché dal Governo dello Sri Lanka.

Quanto al fumus boni iuris, la resistente ha dedotto quanto segue: a) la Y hatempestivamente adempiuto a tutte le proprie obbligazioni ed ha messo la X incondizione di adempiere tempestivamente alle proprie; la mancata esecuzione delcontratto, pertanto, è imputabile unicamente a quest�ultima società, la quale nonè stata in grado di ottenere, alla scadenza pattuita, la “lettera di credito” promessae, di conseguentemente, è inadempiente; b) nel caso di specie, al contrario diquanto afferma la X, non era necessario concedere alcun termine per l�adempi-mento e quello pattuito in contratto era senza dubbio essenziale: il codice svizzerodelle obbligazioni, infatti, statuisce, dell�art. 108, che la fissazione di un termine perl�adempimento tardivo del contratto non è necessaria, tra l�altro, quando dalcontegno del debitore risulti che essa sarebbe inutile e quando dal contratto risultil�intenzione dei contraenti che l�obbligazione debba adempirsi esattamente ad untempo determinato oppure entro un dato termine; c) anche il dettato letteraledell�art. 25 della Convenzione è inequivocabile in tal senso: detto articolo, infatti,statuisce che “Una violazione del contratto commessa da una delle parti è essenzialese causa all’altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di quello chequesta parte era in diritto d’attendersi dal contratto, a meno che la parte inadem-piente non potesse prevedere siffatto risultato e che una persona ragionevole dellastessa qualità, posta nella stessa situazione, pure non l’avrebbe previsto” e perconsolidata giurisprudenza internazionale la mancanza di una ‘‘lettera di credito”secondo le condizioni pattuite fra le parti è chiaramente riconducibile alla nozionedi violazione essenziale del contratto; d) sempre la Convenzione, all�art. 54,stabilisce che “L’obbligo del compratore di pagare il prezzo comprende quello diprendere le misure e di compiere le formalità destinate a permettere il pagamento delprezzo che sono previste dal contratto o dalle leggi e dai regolamenti”, dal checonsegue che la Y non può invocare come causa esimente il comportamentotenuto dalla Banca e dal Governo dello Sri Lanka; e) non sono vere la circostanzerelative all�incontro fra le parti del contratto a Dubai ed alla presenza delmanagement della Y in Sri Lanka, per cui non può sostenersi che la resistenteavrebbe tollerato l�inadempimento ed indotto la X a confidare nel trasferimentodella proprietà del bene oggetto dell�accordo contrattuale.

Quanto al periculum in mora, invece, la Y ha eccepito, per un verso, che nonvi è prova alcuna degli investimenti effettuati dalla X in Sri Lanka e, per altro verso,che non è affatto vero che l�impianto oggetto del contratto sta per essere vendutoa terzi e che comunque di detto fatto non vi è prova alcuna, neanche indiziaria.

All�udienza del 04/08/2017, il G.D., uditi i procuratori delle parti, si èriservato la decisione, concedendo termine per il deposito di note e di repliche.

1. Arbitrato straniero e rinvio generico alla legge svizzera: conseguenzeLa prima questione da esaminare è quella relativa alla sussistenza della

giurisdizione del giudice adito e ciò per due motivi.

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Il primo si sostanzia nel fatto che le parti del contratto hanno pattuito chetutte le controversie relative all�accordo contrattuale sono rimesse ad un collegioarbitrale con sede in Svizzera e che l�arbitrato è amministrato secondo il Regola-mento Arbitrale della I.C.C.

Il secondo motivo, invece, si sostanzia nel fatto che la normativa applicabileè, per espressa pattuizione contrattuale, solo e soltanto quella svizzera, conesclusione unicamente delle previsioni relative alla scelta delle disposizioni dilegge o delle norme di conflitto vigenti nel diritto internazionale svizzero, ossiadella normativa di diritto internazionale privato elvetica (art. 15 del contratto). Èstato, dunque, operato un rinvio c.d. “fisso” al diritto elvetico ed alle convenzioniinternazionali da esso recepite.

La prima questione che si pone, allora, è quella di stabilire se al collegioarbitrale vada devoluta anche la presente controversia: più in particolare, atteso ilgenerico riferimento alla sola sede del suddetto collegio ed il del pari genericorinvio alla legge svizzera, occorre stabilire in primo luogo se gli arbitri debbanooperare applicando anche la legge processuale svizzera e, successivamente, qua-lora al quesito si dia risposta positiva, stabilire se, ai sensi di detta normativa, gliarbitri possano emettere provvedimenti cautelari.

Qualora ai suddetti quesiti si dia risposta positiva, infatti, o le domandeavanzate sarebbero in questa sede improponibili (non venendo in rilievo unaquestione di giurisdizione, come si evince da Cass. Civ., SS.UU., n. 6349/03, inmotivazione, secondo cui “il principio dell’inammissibilità del regolamento preven-tivo di giurisdizione rivolto a far valere la carenza di giurisdizione del giudice adito,così come di ogni altro giudice della Repubblica italiana, a fronte della presenza diun compromesso, o di una clausola compromissoria, che prevedano il ricorso ad unarbitrato estero — e ciò sul rilievo dell’insorgenza, in tal caso, di una questione, nongià di giurisdizione, ma di merito — opera anche nel sistema risultante dallaConvenzione per ii riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere,adottata a New York il 10 giugno 1958 e ratificata con la legge 19 gennaio 1968, n.62 ..., l’aver compromesso le controversie in arbitrato estero non integra unproblema di giurisdizione, ma di improponibilità della domanda davanti al giudiceordinario.”), oppure andrebbe dichiarato, anche d�ufficio, il difetto di giurisdi-zione, come affermato, più di recente, da Cass. Civ., SS.UU., n. 16469/17 — sulpresupposto della natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudiceordinario da attribuirsi all�arbitrato, in conseguenza della disciplina complessiva-mente ricavabile dalla legge n. 5/94 e dal D.Lgs. n. 40/06 — che si condivide (nellostesso senso, Cass. Civ., SS.UU., n. 9380/92 e Cass. Civ., SS.UU., n. 1664/86 in temadi accertamento tecnico preventivo).

2. Valità della clausola compromissoria.Il che pone, innanzitutto, il problema di stabilire se la clausola di cui all�art.

15 del contratto intercorso fra le parti sia valida: è noto, infatti, che il giudiceitaliano adìto ha “... il potere-dovere di verificare, preliminarmente, la validità,operatività ed applicabilità della clausola compromissoria per arbitrato estero, in viadi delibazione sommaria, e, all’esito favorevole di tale verifica, di rimettere le partidinanzi agli arbitri. Solo in caso di verifica negativa, il giudice si pronunzierà sullagiurisdizione propria o di altro giudice. La delibazione sommaria effettuata dalgiudice adito sulla validità, operatività ed applicabilità della clausola compromis-soria, non essendo idonea a formare il giudicato, non vincolerà né il collegio

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arbitrale né il giudice straniero, di cui sia stata ritenuta la giurisdizione” (Cass. Civ.,SS.UU., n. 5601/95, in motivazione). Ad avviso del Tribunale, la clausola inquestione è senza dubbio valida, in quanto risulta stipulata in Italia, è contenuta inatto scritto ed attiene a diritti disponibili (si vedano Cass. Civ., SS.UU., n. 5601/95,cit., secondo cui “Il requisito della forma scritta, con riguardo a clausola compro-missoria per arbitrato estero, nella disciplina della convenzione di New York del 10giugno 1958 (resa esecutiva con legge 19 gennaio 1968 n. 62), è soddisfattodall’inserirnento della clausola medesima in accordo sottoscritto dalle parti, senzache si renda necessaria la specifica approvazione di cui all’art. 1341 cod. civ.,ancorché il contratto sia stato concluso in Italia” e Cass. Civ., SS.UU., n. 3989/77,in tema di brevetti per marchi d�impresa, secondo cui nulla osta “... alla validità edoperatività di una clausola compromissoria, che devolva alla cognizione di arbitristranieri le controversie su diritti disponibili derivanti da un contratto...”).

3. Applicabilità della legge processuale svizzera.La seconda questione che si pone è quella relativa alla legge applicabile, nel

senso che occorre stabilire se il rinvio operato dalle parti attenga anche alla leggeprocessuale svizzera.

Al quesito va data risposta senza dubbio positiva per un duplice ordine dimotivi: per un verso, la genericità del rinvio alla legge straniera ed il riferimentoalla devoluzione di eventuali controversie in arbitri con sede in Svizzera induce aritenere che il collegio arbitrale dovrà giudicare secondo la legge non solosostanziale ma pure processuale svizzera; per altro verso, non avrebbe alcun sensoprevedere un collegio arbitrale avente sede a Zurigo ed il rinvio alla legge svizzerasolo sostanziale, atteso che — alternativamente — o non si saprebbe quali normeprocedurali disciplinano l�attività degli arbitri, oppure si perverrebbe d�assurdo didover applicare per la soluzione della medesima controversia due normativediverse (quella sostanziale e quella processuale).

Insomma, il rinvio “fisso” e generico è senza dubbio alcuno da intendersiriferito alle legge svizzera nel suo complesso, ossia sia alle norme sostanziali che aquelle processuali.

4. Deroga alla giurisdizioneLa terza questione che si pone attiene alla sussistenza di una deroga pattizia

da giurisdizione del giudice italiano.Anche a detto quesito va data risposta positiva.4.1. Individuazione della fattispecieInnanzitutto, occorre evidenziare che, nel caso in esame, non si tratta di

giudizio rimesso ad un collegio arbitrale avente sede all�estero ma chiamato agiudicare secondo la legge italiana, ipotesi in cui pacificamente, sussistendo ildivieto di cui all�art. 818 c.p.c., i provvedimenti cautelari possono essere chiestisolo d�Autorità Giudiziaria italiana e si discute soltanto in ordine alla competenzaper territorio e, in specifici casi, per materia (si vedano Trib. Venezia 06/07/1998;Trib. Palmi 09/07/1998).

Nella fattispecie posta d�esame del Tribunale, per contro, gli arbitri non solohanno sede all�estero, ma le parti hanno pure rinviato alla legge svizzera, dal checonsegue l�inapplicabilità del citato art. 818 C.P.C.

4.2. Rinuncia alla giurisdizioneLa premessa da cui partire, allora, è proprio la deroga alla giurisdizione

italiana, che all�evidenza sussiste: per Cass. Civ., SS.UU., 22236/09 (che richiama

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Cass. Civ., SS.UU., n. 35/07; Cass. Civ., SS.UU., n. 1735/05; Cass. Civ., SS.UU., n.6349/03; Cass. Civ., n. 10723/02), infatti, sebbene la questione relativa all�indivi-duazione del giudice competente (privato o pubblico) non attenga alla giurisdi-zione, ma al merito, comunque la clausola compromissoria, contenuta nel con-tratto intervenuto tra le parti “... comporta la rinuncia ad ogni tipo di giurìsdizione,sia essa italiana o straniera...”.

Sussiste, dunque, una deroga sia alla giurisdizione di merito che a quellacautelare.

5. Potere in capo agli arbitri di emettere provvedimenti cautelari5.1. Art. 4 della legge n. 218/95Ora, siccome la scelta in favore dell�arbitrato è un atto di autonomia privata

(Cass. Civ., SS.UU., n. 22236/09, citata; Corte Cost. n. 127/97, secondo cui “... ilfondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perchésolo la scelta dei soggetti (intesa come una dei possibili modi di disporre, anche insenso negativo, del diritto di cui all’art. 24, primo comma, della Costituzione) puòderogare al precetto contenuto nell’art. 10, primo comma, della Costituzione ...omissis ... Sicché lo « fonte » dell’arbitrato non può ricercarsi e porsi in una leggeordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa: ed il principio fissatodall’art. 806 del codice di procedura civile, primo comma, prima parte (« Le partipossono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte... »), assume ilcarattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordina-mento...”), possono, seppure — si badi bene — solo a determinate condizioni,operare i principi di cui alla legge n. 218/95, il cui art. 4, in tema di accettazione ederoga della giurisdizione italiana, statuisce a chiare lettere non solo che “... lagiurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di giudicestraniero o di un arbitrato estero....”, ma pure che, anche quando vi sia tale deroga(alla giurisdizione italiana), “... essa nondimeno sussiste ... se il convenuto compaianel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo”.

Irrilevante, per contro, è (C.G.C.E., Sent. 27/04/1999, C.-99/96, Mietz) la meracomparizione in giudizio del convenuto — cui va equiparata la contumacia, inquanto comportamento “neutro” — e ciò in quanto “... il fatto che il convenutocompaia dinanzi al giudice del procedimento sommario nell’ambito di una proce-dura rapida, volta alla concessione di provvedimenti provvisori o cautelari in via diurgenza, e che non pregiudicano la cognizione della causa nel merito, non è in séelemento sufficiente a far ritenere un’accettazione tacita della giurisdizione...”.

Ebbene, nel caso che occupa la Y si è costituita in giudizio puntualmenteeccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

5.2. Art.10 della legge n. 218/95 ed art. 669, ter, comma 3, c.p.c.Il che porta alla questione relativa all�applicabilità dell�art. 10 della legge n.

218/95 (tesi sostenuta dalla X), secondo cui “sussiste la giurisdizione dei giudiceitaliano quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudiceitaliano ha giurisdizione sul merito” e dell�art. 669 ter, comma 3, c.p.c. (del paririchiamato dalla ricorrente).

Ad avviso del Tribunale, tanto l�art. 10 che l�art. 669 ter, comma 3, citati nonpossono operare allorché le parti abbiano scelto di devolvere ogni controversiascaturente da un determinato rapporto alla cognizione di un arbitro estero, cosìrinunciando “a monte” e totalmente alla giurisdizione del giudice italiano: talinorme, infatti, operano solo qualora manchi ex lege la giurisdizione sul merito e

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non quando detta completa rinuncia vi sia stata e ciò in quanto, come si è più voltedetto, la giurisprudenza pacifica nel ritenere che la rinuncia alla giurisdizioneimporta anche la rinuncia alla giurisdizione cautelare (Cass. Civ., SS.UU., 22236/09, cit.; Cass. Civ., SS.UU., n. 35/07, cit.; Cass. Civ., SS.UU., n. 1735105, cit.; Cass.Civ., SS.UU., n. 6349/03, cit.; Cass. Civ., n. 10723/02, cit.; Cass. Civ., SS.UU., n.9380/92, cit.; Cass. Civ., SS.UU., n. 5049/85).

Insomma, bisogna distinguere fra arbitrati esteri che derogano in toto allagiurisdizione italiana ed arbitrati esteri che tale deroga totale non prevedonoperché hanno ad oggetto controversie comunque non appartenenti al giudiceitaliano e solo per queste ultime si deve ritenere che sussista la giurisdizionecautelare del giudice italiano; diversamente opinando, infatti, si finirebbe perattribuire all�art. 10 citato la qualifica di norma autoritativa di ordine pubblico chele è pacificamente estranea.

Inoltre, il criterio c.d. “esecutivo” posto dall�art. 10 (sussiste la giurisdizionecautelare del giudice italiano quando il provvedimento deve essere eseguito inItalia o sussiste la giurisdizione italiana sul merito) all�evidenza non è invocabilenell�ipotesi in cui, in aperto contrasto con la volontà delle parti, il medesimo possatradursi in una definitiva sostituzione del giudice del giudizio di merito stranierocon quello italiano. Ebbene ciò accade, come correttamente osserva la Y, avutoriguardo ai provvedimenti di urgenza di cui all�art. 700 c.p.c. (la cui adozione èpure chiesta dalla X): difatti, siccome le attività previste dall�art. 669 octies, comma5, c.p.c. (secondo cui nel caso di controversia devoluta in arbitrato, la parte, neltermine massimo di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione, se ante-riore, del provvedimento cautelare, deve notificare all�altra parte un atto con ilquale dichiara di voler iniziare il procedimento arbitrale, propone la domanda eprocede alla nomina degli arbitri), sono condizione imprescindibile per il perdu-rare dell�efficacia del provvedimento cautelare, ma il successivo comma sei del-l�art. 669 octies c.p.c. precisa pure che la tempestiva introduzione del giudizio dimerito non è necessaria (tra l�altro) per i provvedimenti emessi ai sensi dell�art.700 c.p.c., potrebbe prodursi, qualora il giudizio di merito non sia introdotto,l�effetto della definitiva sottrazione del giudizio principale alla giurisdizione delgiudice straniero o dell‘arbitro estero. Inoltre, la parte vittoriosa in sede cautelarecostringerebbe quella soccombente, al fine di non assistere al definitivo esautora-mento della potestas iudicandi del giudice straniero o dell�arbitro estero, adincardinare essa stessa il giudizio di merito dinanzi al giudice straniero o all�arbitroestero, così vedendo invertito in proprio danno l�onere di provare gli elementicostitutivi della pretesa avanzata.

In contrario non giova richiamare, come fatto dalla X, Trib. Roma, 28/08/1999e Trib. Roma, 12/07/1999 perché attengono entrambe ad ipotesi in cui le parti sierano espressamente riservate la possibilità di adire l�autorità giudiziaria perottenere provvedimenti cautelari ed urgenti.

5.3. Diritto privato internazionale svizzero e diritto processuaie svizzeroNemmeno coglie nel segno la X allorché afferma che la giurisdizione caute-

lare del giudice italiano sussisterebbe perché: a) nell�ordinamento giuridico sviz-zero, la competenza cautelare degli arbitri è concorrente con quella dell�AutoritàGiudiziaria Statale (art. 183, comma 1, della legge federale sul diritto internazio-nale privato ed art. 374, comma 1, del codice di procedura civile; b) il giudicestatale competente andrebbe individuato, ai sensi dell�art. 10 della legge svizzera

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sul diritto internazionale privato, nel giudice del luogo ove deve essere eseguito ilprovvedimento cautelare; c) siccome la misura cautelare non può, nel caso cheoccupa, essere eseguita in Svizzera, sarebbe competente il giudice italiano.

Detta tesi, infatti, oltre a sovvertire i termini della questione, atteso che laquestione sulla giurisdizione dovrebbe essere, in quest�ottica, posta al giudicesvizzero preventivamente adìto, cozza apertamente con l�art. 15 del contrattoconcluso fra le parti, il quale esclude l�applicabilità della legge di diritto interna-zionale privato svizzera (“... senza tenere conto delle nome in materia di scelta dilegge o di conflitto di legge.. .” si legge all�art. 15).

5.4. Norme procedurali di cui al Regolamento Arbitrale della I.C.C.Lo stesso è a dirsi per la tesi, sempre sostenuta dalla X, secondo cui la

giurisdizione del giudice italiano sussisterebbe anche in relazione alle normeprocedurali svizzere che disciplinano il procedimento arbitrale (art. 15 del Rego-lamento Arbitrale della I.C.C., a dire della società ricorrente).

Al riguardo si osserva, in primis, che la norma richiamata (l�art. 15) è del tuttoinconferente; è l�art. 28, comma 2, infatti, quella cui la società ricorrente intendein concreto fare riferimento.

In secondo luogo, se è vero che detta disposizione consente alle parti di adirein via cautelare i giudizi nazionali prima dell�instaurazione del procedimentoarbitrale, è del pari vero che la medesima va applicata tenendo conto del conte-nuto della clausola arbitrale, nel senso che essa non vieta affatto al giudice internodi dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in virtù del contenuto della suddettaclausola, atteso che la norma — e non a caso — “... non pregiudica i poteri deltribunale...��.

5.5. Sussistenza in astratto in capo agli arbitri del potere di emettere provve-dimenti cautelari

In ragione di tutto quanto sino ad ora detto, questo Tribunale, almeno inastratto, non può esaminare le domande cautelari avanzate dalla X e deverimettere le parti innanzi agli arbitri.

Questa tesi trova conferma nella — invero, come si è visto, non semprecoerente in ordine alla sussistenza del difetto di giurisdizione — giurisprudenzadelle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

La Corte, infatti, ha innanzitutto affermato, proprio in relazione alla richiestadi provvedimento cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c., che, ai sensi dell�art. 4della legge n. 218/95, la mancata proposizione, da parte del convenuto costituito,dell�eccezione di carenza di giurisdizione nella fase del procedimento cautelareante causam, da cui è conseguita l�adozione di detto provvedimento da parte delgiudice italiano, non comporta affatto l�accettazione della giurisdizione del giudiceitaliano quanto al diverso ed autonomo giudizio di merito che segua quellocautelare, e non preclude, pertanto, al medesimo convenuto di eccepire, in esso,nel primo atto difensivo, il difetto di giurisdizione del giudice adito. (Cass. civ.,SS.UU., n. 24-48/06). Ragionando a contrario, dunque, si deve ritenere che,qualora tale eccezione sia formulata, il giudice italiano deve astenersi dal provve-dere sulla domanda cautelare, fermo restando che nulla osta alla proposizionedella domanda di merito innanzi a detto giudice, il quale, in assenza di eccezionidel convenuto costituito, dovrà provvedere.

In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno statuito che “Il compromesso perarbitrato estero, che valga a sottrarre al giudice italiano una determinata controver-

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sia, implica, in mancanza di una diversa norma di legge o convenzione internazio-nale, il difetto di giurisdizione di detto giudice anche sul ricorso per accertamentotecnico preventivo inerente alla controversia medesima, atteso che tale ricorsointroduce un procedimento, di natura giurisdizionale, strettamente connesso con ilsuccessivo giudizio di merito ed esaurentesi in una anticipata istruttoria, destinata adessere inserita ex post nel giudizio stesso” (Cass. Civ., SS.UU., n. 9380/92; Cass.Civ., SS.UU., n. 1664/86, entrambe citate).

In conclusione, nel caso in esame gli arbitri sono chiamati anche ad emettereprovvedimenti cautelai, attesa la deroga alla giurisdizione italiana conseguenteall�opzione per un collegio arbitrale estero e l�applicabilità generale della leggesvizzera.

In contrario non giova evidenziare che, opinando in tal senso, potrebberosorgere problemi in sede di attuazione del futuro provvedimento cautelare (pe-raltro superabili ove si consideri che trattasi di un provvedimento non già cautelaredi diritto interno, ma di un provvedimento emesso da arbitro estero che va soloreso esecutivo in Italia): come correttamente osservato in dottrina, infatti, qualorale parti abbiano consapevolmente scelto di derogare interamente alla giurisdizioneitaliana, sibi imputent il fatto di essersi private della giurisdizione medesima.

6. Sussistenza in concreto in capo agli arbitri individuati dalle parti del poteredi emettere provvedimenti cautelari

L�unico problema che si pone, allora, è quello di stabilire se la legge svizzeraconsenta agli arbitri di adottare provvedimenti cautelari: solo qualora ciò non siapossibile, infatti, si potrebbe porre il problema della nullità (totale o parziale) dellaclausola compromissoria per contrasto con l�art. 24 Cost., in quanto impeditivadella tutela cautelare, che nel nostro ordinamento assume pacificamente rilievocostituzionale (si vedano Corte Cost., n. 388/99; Corte Cost., n. 321198; CorteCost., n. 198/10, secondo cui il principio relativo alla garanzia della tutela giuri-sdizionale posto dall�art. 24, primo comma, Cost., che comprende anche la fasedell�esecuzione forzata, deve essere attuato in almeno due modi diversi: da un lato,gli strumenti di tutela più rapidi possono essere chiamati a realizzare la funzionedi anticipazione satisfattiva della pretesa del soggetto istante attraverso la antici-pata formazione di titoli esecutivi (anche) provvisori, che consentano di accedereimmediatamente ai processi di esecuzione forzata e, quindi, di realizzare quantodisposto dal titolo anche contro la volontà del soggetto obbligato; dall�altro,l�effettività può essere chiamata ad evitare che il risultato della tutela finale dimerito possa essere vanificato in conseguenza di pericula che solo l�intervento delgiudice della cautela può neutralizzare attraverso misure di cautela tipica, atipicaed “extravagante”, idonee a salvaguardare il diritto leso o sottoposto a pericolo dilesione). Il che porrebbe, di conseguenza, il duplice problema di individuare, da unlato, la legge applicabile e, dall�altro lato, il giudice competente a provvedere(quello svizzero o quello italiano).

Al quesito va data risposta positiva.La legge processuale elvetica (codice di diritto processuale - c.p.c.) disciplina,

nella parte terza, il procedimento arbitrale.Detto codice (art. 353) fa riferimento al “Tribunale Arbitrale” e ne individua

tre: due Cantonali ed uno equiparato al giudice di merito.Purtuttavia, è evidente che le norme ivi contenute si applicano (anche) ai

Collegi Arbitrali, del pari definiti “Tribunali Arbitrali”, atteso che: a) l�art. 356

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stabilisce che il Cantone deve provvedere alla nomina di un “Tribunale Superiore”,competente unicamente per statuire sui reclami e sulle domande di revisione,nonché a ricevere in deposito il lodo ed attestarne l�esecutività, e di un secondoTribunale (o di un Tribunale composto in altro modo), il quale è competente, inistanza unica, solo e soltanto per la nomina, ricusazione, la revoca e la sostituzionedegli arbitri, nonché per la proroga del mandato del “Tribunale Arbitrale” e perprestare ‘‘concorso” a detto Tribunale per procedere ad atti procedurali; b) il“Tribunale Arbitrale” chiamato a decidere la controversia è composto, in virtùdella pattuizione di arbitrato, dagli arbitri nominati dalle parti o dal Tribunale(artt. 360 e 361). Il “Tribunale Arbitrale” che decide la controversia, dunque, è ilCollegio Arbitrale di diritto italiano, mentre i Tribunali Arbitrali Cantonali sonochiamati a coadiuvare il Collegio Arbitrale, a risolvere controversie ed a ricevereil lodo per attestarne l�esecutività.

Ciò detto, si osserva che, secondo la legge svizzera, il collegio arbitrale (recte:il “Tribunale Arbitrale” composto dagli arbitri di cui al patto di arbitrato), al paridel “Tribunale Statale”, può, salvo diversa pattuizione delle parti, ordinare, adistanza di queste ultime, provvedimenti cautelari, “nessuno escluso compresi quelliper assicurare i mezzi di prova” (art. 374) e, quindi, d�evidenza anche quelli antecausam.

Ancora, sia l�art. 183 della legge di diritto internazionale privato svizzera,quanto il vigente Regolamento della I.C.C. (artt. 28 e 29) riconoscono in capo agliarbitri il potere di emettere misure cautelari.

7. Conclusione e speseNe consegue che, non emergendo profili di nullità della clausola arbitrale, le

domande cautelari vanno, nel caso che occupa, rivolte al collegio arbitrale di cuiall�art. 15 del contratto, non rinvenendosi alcuna pattuizione derogativa allanorma generale svizzera. Pertanto, il Tribunale adito deve dichiarare il propriodifetto di giurisdizione.

Le spese del presente giudizio, attesa la assoluta peculiarità della controver-sia, vanno interamente compensate fra tutte le parti in causa.

(Omissis).

Per una (non assoluta ma) ragionevole compatibilità fra tutela cautelareinnanzi al giudice italiano e convenzione per arbitrato estero.

1. Richiesto di un sequestro giudiziario ante causam pacificamenteda eseguirsi in Italia (l

�oggetto del sequestro è uno stabilimento indu-

striale del Frusinate), il Tribunale di Frosinone si trova di fronte — peressergli questo eccepito dal resistente in termini di carenza della potestasiudicandi anche cautelare del giudice italiano — ad un accordo compro-missorio per arbitrato ICC con sede in Svizzera (Zurigo), accedente acontratto nel quale le parti hanno altresì previsto l

�applicazione della

legge sostanziale svizzera ad esclusione delle regole svizzere di d.i.p. eperciò senza alcuna possibilità di rinvio ad altra legge.

769

Il Tribunale perviene alla conclusione del proprio difetto di giurisdi-zione cautelare (non invece improponibilità della domanda cautelare,perché il Tribunale aderisce giustamente alla concezione più moderna chela Cassazione ha ormai avallato quanto alle conseguenze della sceltacompromissoria per arbitrato estero in ordine ai poteri del giudice delloStato).

La conclusione è, nel caso concreto, di ben dubbia approvabilità,anche se taluni passaggi della impegnata e quasi appassionata motivazionesono condivisibili e tutta tale motivazione è l

�occasione per una ulteriore

riflessione su tema assai sfuggente e che, tutto sommato, la nostra giuri-sprudenza non ha avuto ancora l

�opportunità (anzi le opportunità visto il

“caso per caso” come vedremo essenziale in ordine alla interpretazionedella volontà compromissoria in relazione alle circostanze oggettive date)di approfondire compiutamente.

2. Condivisibile è anzitutto — e dico anzitutto sul mio personalepiano espositivo senza seguire ora e di qui in poi l

�ordine logico della

motivazione — che l�art. 10 della nostra legge sul d.i.p. n. 218/1995 (1) non

sia di per sé tranchante nel senso di attribuire sempre e comunque, inpresenza di convenzione arbitrale per arbitrato estero, la potestas iudi-candi al giudice italiano in ordine a provvedimenti cautelari che debbanoessere eseguiti in Italia; detto in altri termini: l

�art. 10 non è certo di

ostacolo alla esclusione compromissoria della giurisdizione cautelare ita-liana e prima ancora non è di ostacolo alla rinuncia alla giurisdizionecautelare italiana. Ci mancherebbe davvero che le parti potessero esclu-dere compromissoriamente o rinunciare la giurisdizione italiana di meritoe non quella cautelare.

Perfino sul nostro versante puramente interno, ove la vigenza — untempo monolitica, oggi solo lievemente scalfita dal d.lgs. n. 5/2003 sull

�ar-

bitrato societario — dell�art. 818 c.p.c. comporta la impossibilità di riferire

alla volontà compromissoria in quanto tale l�attribuzione del potere

cautelare agli arbitri e perciò la sottrazione del potere cautelare al giudicedello Stato, non si può eliminare dalla scena l

�ipotesi teorica che almeno

quest�ultima sia appositamente pattuita se del caso come “rafforzamento”

(1) Quello secondo cui “In materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando ilprovvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione dimerito”.

Si rammenti che il titolo di giurisdizione cautelare italiano connesso alla esecuzione dellamisura in Italia è tra quelli (diversi dalla sussistenza della giurisdizione per il merito edeventualmente “esorbitanti”) che la permissiva disposizione dell

�art. 31 del Regolamento CE n.

44/2001 (“Bruxelles I”), come già l�art. 24 Conv. Bruxelles del 1968, autorizza mediante

sostanziale rinvio alle regole di d.i.p. degli Stati membri (“i provvedimenti provvisori o cautelariprevisti dalla legge di uno stato membro possono essere richiesti al giudice di detto stato anche sein forza del presente regolamento la competenza a conoscere dal merito è riconosciuta al giudicedi un altro stato membro”).

770

indiretto della scelta compromissoria (vogliamo gli arbitri, in luogo delgiudice, per la soluzione della nostra controversia di merito, e del secondonon vogliamo neppure “intromissioni cautelari” prima o in corso delgiudizio di merito arbitrale).

A fortiori: allorché la convenzione preveda una scelta arbitrale nonitaliana, non essendo ovviamente esportabile il pesante divieto sancito dalnostro art. 818 c.p.c., non può certo escludersi in astratto che quellaconvenzione a) intenda conferire agli arbitri (che possano esercitarlosecondo l

�ordinamento dell

�arbitrato) anche il potere cautelare, b) né che

essa intenda sottrarre quel potere ad ogni giudice statuale e compresoquello italiano (2) nonostante il lien de rattachement del luogo di esecu-zione della cautela, attraverso cui l

�art. 10 l. n. 218/1995 consente ma non

certo impone ad ogni costo la potestas cautelare del giudice italiano chepure sia privo o sia stato privato della giurisdizione di merito ed inparticolare ne sia stato privato della volontà compromissoria.

Il problema è però appunto quello di appurare — in termini diricostruzione della volontà compromissoria — quando a) o b) si verifi-chino in concreto e di tener presente, senza superficialità, che a) noncomporta necessariamente b), e che cioè il conferimento compromissorioimplicito o perfino esplicito dei poteri cautelari agli arbitri non comportanecessariamente l

�esclusione del potere cautelare del giudice dello Stato.

3. Ma andiamo con ordine seguendo la logica e commentandosecondo logica altri assunti della motivazione del Tribunale di Frosinone.

Uno fra essi va subito seccamente smentito in senso speculare aquanto fin qui rilevato.

Se non è affatto vero che l�art. 10 l. n. 218/1995 postula sempre ed

indistintamente la potestas cautelare del giudice statuale italiano solperché giudice del luogo di esecuzione del provvedimento senza possibi-lità di deroga compromissoria o comunque pattizia, neppure è vero che alcontrario qualsiasi convenzione arbitrale comporti sempre ed invariabil-mente sia deroga alla giurisdizione di merito che a quella cautelare (v.invece il punto 4.2 della motivazione, il quale sebbene laconico è il verocuore ed in definitiva, e salvo poco altro, la autentica e sola quantoapodittica ratio decidendi della declinatoria di giurisdizione del Tribunaledi Frosinone).

Ciò non può dirsi vero sol perché la Cassazione (3) ha a suo tempoaffermato che la scelta compromissoria per arbitrato estero “comporta larinuncia ad ogni tipo di giurisdizione sia essa italiana o straniera”, frase

(2) V. già esattamente TOMMASEO, Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commercialeinternazionale, in questa Rivista, 1999, 23.

(3) Cass. Sez. Un. n. 22236/2009 e le altre richiamate al paragrafo 4.2 della ordinanza.

771

questa — oltre che pressoché insensata (4) e comunque ormai démodéerispetto all

�alternativa pur sempre in rito fra improponibilità assoluta della

domanda al giudice italiano (cui quella frase appunto intendeva mettercapo) e difetto di giurisdizione del giudice italiano (secondo l

�attuale ed

ormai consolidato avviso reinaugurato dalle notissime Sez. Unite 25ottobre 2013, n. 24153 (5)) — è del tutto anodina riguardo al tema dellarinuncia o meno alla giurisdizione cautelare italiana, perché concepita eutilizzata sempre, dalla sorpassata giurisprudenza, con riguardo a do-mande e relativa potestas iudicandi “di merito”.

E neppure rileva, onde asseverare in termini generali la predettaaffermazione del Tribunale di Frosinone, l

�attuale approdo giurispruden-

ziale (richiamato al paragrafo 5.5 dell�ordinanza in esame) tendenzial-

mente negazionista riguardo alla possibilità che il giudice italiano emaninostri provvedimenti di istruzione preventiva in caso di convenzione perarbitrato estero (6): si tratta di approdo che prima o poi meriterà di essereridimensionato e che è comunque e dichiaratamente troppo connesso conle peculiarità lato sensu cautelari della istruzione preventiva (intrinseca-mente funzionale al processo ed al giudizio sul merito in quanto talipiuttosto che alla tutela interinale della situazione sostanziale) per poteressere generalizzato.

Ed ovviamente nemmeno depone minimante nel senso voluto dellamotivazione annotata (v. sempre il par. 5.5) Cass. Sez. Unite n. 2448/06,ove semplicemente e giustamente si dice che la mancata contestazione adopera del resistente costituito in ordine alla giurisdizione (cautelare) insede di procedimento ex art. 700 ante causam non comporta affattol�accettazione della giurisdizione (di merito) del giudice italiano in rela-

zione al futuro e successivo giudizio ordinario, nel quale quel resistente, daconvenuto nuovamente costituito, potrà ovviamente eccepire il difetto digiurisdizione e dovrà farlo se a quella giurisdizione di merito intendesottrarsi.

(4) Per le ragioni che avevo cercato di spiegare (in senso complessivamente criticorispetto alla pregressa giurisprudenza) in BRIGUGLIO, Le Sezioni Unite e l’eccezione fondata suaccordo compromissorio per arbitrato estero, in questa Rivista, 2004, 39 ss.; ragioni poi piena-mente condivise anche sul punto specifico dalle Sezioni Unite n. 24153/2013.

(5) Vedila fra l�altro in questa Rivista, 2015, 307 ss. con nota della BERGAMINI, ove è anche

la condivisione ed il pieno sviluppo della idea (da me già esposta nello scritto ricordato nellanota precedente) secondo cui la qualificazione della eccezione fondata sull

�accordo compro-

missorio per arbitrato estero come eccezione di rito e non di merito, ed in particolare comeeccezione di difetto di giurisdizione, è imposta dal buon senso e dalla logica interna al nostrosistema, non certo e di per sé dall

�art. II della Convenzione di New York (come invece le Sezioni

Unite del 2013 mostrano di ritenere).(6) Per altro con riferimento tout court al caso di convenzione arbitrale, anche per

arbitrato italiano: v. Cass. n. 5049/1985, Cass. n. 9380/1992, Cass. n. 22236/2009, in questa Rivista,con nota di CARLEVARIS. Quest

�ultima, tuttavia, in termini di generale incompatibilità ma a

contrario: la proposizione di istanza di istruzione preventiva comporta rinuncia alla convenzioneper arbitrato estero. Ma vedi invece Corte Cost. n. 26/2010.

772

Arguire da ciò a contrario che, qualora “tale eccezione” (di difetto digiurisdizione cautelare) sia formulata in sede cautelare, il giudice italianodeve sempre “astenersi dal provvedere sulla domanda cautelare” rappre-senta un salto logico madornale e non vi sarebbe davvero bisogno dispiegare il perché. A contrario da quella (giusta) affermazione delleSezioni Unite non si evince un bel nulla e tanto meno ciò che vuole lamotivazione in esame. Se l

�eccezione è proposta in sede cautelare il

giudice della cautela pronuncerà su di essa e l�accoglierà (astenendosi dal

pronunciarsi sulla domanda cautelare) quando dovrà accoglierla in basead ogni altro elemento che si va qui esaminando ed in particolare, e se visia di mezzo un accordo compromissorio per arbitrato estero, in base allaricostruzione della portata del medesimo.

O meglio: da quella affermazione delle Sezioni Unite si evince, e nona contrario bensì in via pianamente logico-sistematica, che tra regime dellaeccezione e della pronuncia sulla giurisdizione in fase cautelare antecausam ed in fase di successivo giudizio di merito non vi è alcuna osmosi(ed è ovvio perché si tratta di giudizi diversi), e dunque se l

�eccezione di

difetto di giurisdizione è proposta in fase cautelare ciò non vuol direaffatto che il convenuto costituitosi nel successivo giudizio di merito possaesimersi dal riproporla: quel che la motivazione del Tribunale annotatanon manca di rilevare, ma che nulla c

�entra con il tema che la occupava e

che ora ci occupa.

4. Viceversa la prova decisiva che, in primo luogo dal punto di vistadel nostro ordinamento positivo, l

�esercizio della potestas iudicandi cau-

telare del giudice statuale italiano non è affatto radicalmente e sempreincompatibile con una convenzione per arbitrato estero è data propriodagli artt. 669 bis ss. c.p.c. e cioè dalla disciplina del processo cautelareuniforme, la quale — riferendosi in più di una occasione e sotto più di unprofilo, — esplicitamente (art. 669 novies, c. 4°) ed anche implicitamente(artt. 669 ter, c. 3° e 669 quinquies (7)) ma senza tema di smentita vistoquell

�altro riferimento esplicito, alle ipotesi in cui la potestas iudicandi per

il merito non spetta al giudice italiano perché affidata convenzionalmentead arbitri esteri — attesta (8) quella possibile compatibilità (9).

All�art. 669 ter, c. 3° fa cenno anche la motivazione in commento per

dire che esso, quale disposto sulla competenza territoriale cautelare ante

(7) Non distinguendo il primo tra il caso in cui la giurisdizione di merito italiana siaesclusa da quella statuale straniera e quello in cui sia esclusa dal deferimento della lite di meritoad arbitri esteri, il secondo tra il caso di accordo compromissorio per arbitrato interno ed il casodi accordo compromissorio per arbitrato estero.

(8) In proposito rinvio a BRIGUGLIO, Potestas iudicandi in materia cautelare ed arbitratoestero, in questa Rivista, 2010, 17 ss. spec. 22 ss.

(9) Per la generale affermazione di tale compatibilità v. già Cass. Sez. Un. 2 novembre1987, n. 8050 e Pret. Verona, 22 aprile 1985, in Foro it., 1986, I, 824 ss. con nota di MARIANI.

773

causam, al pari dell�art. 10 l. n. 218/1997 quale disposto sulla giurisdizione

cautelare italiana disgiunta da quella di merito, non potrà mai operareallorché le parti abbiano “a monte e totalmente” rinunciato alla giurisdi-zione del giudice italiano, potestas iudicandi cautelare compresa. Ma, neldirlo, dice troppo perché ribatte il ritornello secondo cui ciò accadrebbesempre e tutte le volte che vi sia una convenzione per arbitrato estero,mentre il punto è proprio quello di capire se questo è vero. Ed il sistemaitaliano (artt. 669 bis ss.) depone chiaramente nel senso che questo siatutt

�altro che sempre vero, dato che disciplina espressamente (artt. 669

novies, c. 4°) quel che accade riguardo alla efficacia del provvedimentocautelare del giudice italiano (legittimamente emanato quanto a compe-tenza giurisdizionale dunque) allorché gli arbitri esteri si siano pronunciati(altrettanto legittimamente vista la convenzione arbitrale) nel merito onon siano stati tempestivamente investiti del giudizio di merito, e perciòcorrelativamente ed implicitamente comporta che regole sulla compe-tenza territoriale del giudice cautelare italiano, ante causam ed in presenzadi accordo compromissorio ovvero anche in pendenza di arbitrato (art.669 ter, c. 3° e quinquies), possano applicarsi pur quando vi sia di mezzol�arbitrato estero.

5. Nello stesso paragrafo della motivazione annotata (5.2) ci si rendeforse conto di questa incongruenza e si apre (un tantino contraddittoria-mente) uno spazio possibile alla applicazione dell

�art. 10 di l. n. 218/1995

e degli artt. 669 bis ss. c.p.c. pur in presenza di convenzione per arbitratoestero.

Ma è spazio effimero perché senza alcun fondamento logico.Si dice che dovrebbe distinguersi “fra arbitrati esteri che derogano in

toto alla giurisdizione italiana ed arbitrati esteri che tale deroga totale nonprevedono perché hanno ad oggetto controversie comunque non apparte-nenti al giudice italiano, e solo per queste ultime si deve ritenere che sussistala giurisdizione cautelare del giudice italiano; diversamente opinando,infatti, si finirebbe per attribuire all’art. 10 citato la qualifica di normaautoritativa di ordine pubblico che le è pacificamente estranea”.

Altrove (10) mi sono permesso di definire alquanto balzana questadistinzione, avverso la quale aveva a suo tempo reagito efficacementeFerruccio Tommaseo (11).

Già sul piano estrinseco è piuttosto singolare postulare che la potestascautelare del giudice italiano quale giudice del luogo di esecuzione dellamisura sia incrementata e favorita proprio quando quel giudice nonavrebbe comunque giurisdizione sul merito anche in astratto ed a prescin-dere dall

�accordo compromissorio.

(10) BRIGUGLIO, Potestas iudicandi in materia cautelare, cit., 27, nota 16.(11) Lex fori e tutela cautelare, cit., 20-21.

774

Il vero è però, o a me è sempre sembrato, che proprio perché l�art. 10

l. n. 218/1995 non è “norma autoritativa di ordine pubblico” (correttoinfatti il corrispondente assunto del Tribunale di Frosinone che si è presoin considerazione per primo sub 2) esso può operare — quale criterioalternativo di attribuzione della giurisdizione cautelare sulla base delluogo di esecuzione del provvedimento — del tutto indifferentemente dalfatto che l

�altro e principale criterio e cioè il c.d. criterio “strumentale”,

quello della sussistenza della giurisdizione di merito, sia escluso in con-creto da una clausola di foro giudiziale convenzionale o compromissoria,ovvero e già in astratto dalle regole di d.i.p. applicabili. E che, per contro,se quel criterio alternativo ed anzi l

�art. 10 tout court non opera, ciò accade

(e può ben accadere proprio perché non si tratta di “norma autoritativa diordine pubblico) solo allorché la volontà pattizia delle parti abbia deter-minatamente escluso l

�esercizio della giurisdizione cautelare italiana. Il

che può verificarsi indifferentemente sia quando la giurisdizione italiana dimerito, pur astrattamente sussistente, sia stata a sua volta esclusa dallamedesima volontà pattizia, sia quando essa risulti del tutto esclusa anchein astratto e dalla legge. E che così sia o non sia dipende dalla interpre-tazione concreta dell

�accordo compromissorio (o di altro patto di deroga

in favore non degli arbitri ma di altra giurisdizione statuale (12)) inrelazione alle circostanze date, fra le quali non vi è certo — non se ne vededavvero la ragione — l

�essere la giurisdizione di merito italiana in astratto

ed ex lege sussistente o meno.Insomma non vi è alcun motivo plausibile per affermare che un

accordo compromissorio che affidi ad arbitri esteri la giurisdizione dimerito vada sempre interpretato — qualora la giurisdizione di merito nonapparterrebbe comunque al giudice italiano anche in assenza di quell

�ac-

cordo — nel senso limitativo e cioè nel senso che esso non possa maiintendersi come escludente la giurisdizione cautelare italiana: potrebbeinvece ben ricostruirsi, in ipotesi, una volontà compromissoria contraria.

(12) Anche il patto di deroga in favore di giurisdizione statuale non italiana (art. 4, c. 2°l. n. 218/1995 ove esso è significativamente appaiato alla deroga in favore degli arbitri esteri) èsuscettibile di ricostruzione interpretativa caso per caso, e non può essere certo inteso di per sécome sempre escludente anche la giurisdizione cautelare del giudice italiano (fondabile sullabase del criterio sussidiario del luogo di esercizio del provvedimento ex art. 10 l. n. 218/1995),ed è anzi inteso di regola, e nel silenzio di ogni altro dato o elemento, come avente ad oggettola sola (deroga a) la giurisdizione di merito.

Del resto, se il punto di partenza logico di tutto il discorso fosse davvero quel che invecedevesi dimostrare caso per caso — che cioè la deroga pattizia alla giurisdizione italiana va intesasempre come deroga anche alla giurisdizione cautelare — tale deroga varrebbe sempre ecomunque (a differenza di quanto l

�ordinanza in commento sembra ritenere) ed eliderebbe

sempre e comunque la portata applicativa dell�art. 10 l. n. 218/1995 con riguardo alla compe-

tenza giurisdizionale del giudice italiano del luogo di esecuzione del provvedimento, perchédovrebbe sempre e comunque ricondursi alla ammissibile volontà pattizia (ciò che appunto ètutto da dimostrare e manifestamente eccessivo) la intenzione di derogare anche al criterioattributivo residuale previsto da quel disposto.

775

Né v�è alcuna ragione plausibile per affermare che nel caso inverso, di

giurisdizione di merito sussistente ex lege e derogata da accordo compro-missorio per arbitrato estero, quest

�ultimo vada sempre inteso ed inter-

pretato in senso ampliativo, nel senso cioè di derogare ed escludere anchela giurisdizione cautelare italiana.

6. Anche sul piano della intersezione fra d.i.p. interno e d.i.p. diprovenienza europea si ha conferma indiretta del discorso fin qui seguito.

E si ha non solo e non tanto, in termini per così dire generali eprodromici, dalla affermazione della scindibilità fra potestas iudicandi dimerito e postestas iudicandi cautelare nell

�art. 31 del Regolamento CE n.

44/2001 (13), quanto da uno dei (non molti) profili di chiarezza riconduci-bili alla sentenza Van Uden del 27 novembre 1998, c. 591/95 (14). In essa laCorte di Giustizia — rispondendo ad apposito quesito ed accogliendo leargomentazioni della Commissione e della parte istante nel giudizioprincipale — precisa che la esclusione dell

�arbitrato della materia regolata

dalla Convenzione di Bruxelles (ed oggi dal Regolamento “Bruxelles I”)non impedisce che, in caso di devoluzione ad arbitri di una controversiarientrante invece in materia civile e commerciale inclusa, la giurisdizionecautelare vera e propria, e cioè relativa ai provvedimenti funzionali allacontroversia di merito affidata agli arbitri ed alla tutela interinale dellecorrispondenti posizioni sostanziali (non invece quanto a provvedimenti diausilio funzionali solo all

�arbitrato), debba essere stabilita sulla base di ciò

che è previsto dalla Convenzione (ed oggi dal Regolamento).E siccome la Convenzione (art. 24) ed oggi il Regolamento (art. 31)

si occupa ovviamente della giurisdizione dei giudici statuali europei, èevidente come anche la Corte di Giustizia dia per scontata la compatibi-lità, in relazione alla stessa controversia, fra giurisdizione cautelare statualee giurisdizione di merito degli arbitri.

Vi è da aggiungere che nella Van Uden la Corte di giustizia chiarisceanche (risposta alla prima ed alla seconda questione pregiudiziale) che lasottrazione mediante accordo compromissorio della potestas iudicandi nelmerito, che al giudice statuale sarebbe altrimenti attribuita dal sistema di“Bruxelles” (nella specie ed allora ex art. 5, comma 1 Conv. Bruxelles),impedisce che la competenza cautelare possa esser riconosciuta a quelgiudice direttamente in base al criterio “strumentale” proprio di quelladisciplina e cioè in forza dell

�apposito rinvio (art. 24 Conv. Bruxelles ed

oggi art. 31 Reg. “Bruxelles I”) ai casi in cui il giudice adito con l�istanza

cautelare è già giurisdizionalmente competente per il merito in forza della

(13) Vedi sopra nota 1.(14) Su di essa e sui suoi aspetti più problematici che non riguardano se non marginal-

mente l�argomento che ora ci occupa, v. il saggio della MERLIN, Le misure provvisorie e cautelari

nello spazio giudiziario europeo, in Riv. Dir. Proc., 2002, 759 ss.

776

medesima disciplina europea. Ma la Corte — ulteriormente confermandola predetta potenziale compatibilità fra convenzione arbitrale e giurisdi-zione cautelare statuale — non nega, ed anzi convalida (risposta allasettima questione), l

�assunto secondo cui l

�art. 24 Conv. Bruxelles (ed oggi

l�art. 31 del Reg. “Bruxelles I”) rinvia altresì, quanto alla competenza

giurisdizionale cautelare, ai casi in cui tale competenza, pur non essendodirettamente ancorata a quella di merito prevista dal sistema di Bruxelles,è comunque attribuita dall

�ordinamento interno al di fuori del criterio

“strumentale” e perfino quando tale attribuzione è veicolata da criteri daconsiderarsi esorbitanti a termini dell

�art. 3, comma 2 della Conv. di

Bruxelles, a fortiori dunque quando si tratta di criterio tutt�altro che

esorbitante quale quello del luogo di esecuzione della misura cautelareprevisto dal nostro art. 10 l. n. 218/1995 (15).

7. Questa possibile compatibilità fra esercizio della giurisdizionecautelare italiana ed arbitrato estero, segnalata in modo diverso e conver-gente dalle nostre norme interne e dal d.i.p. dell

�Unione, sarebbe vanifi-

cabile in termini generali solo se l�art. II della Convenzione di New York,

cui il giudice italiano è tenuto comunque a prestare ossequio, dovesseleggersi nel senso che il riconoscimento dell

�accordo compromissorio per

arbitrato estero ivi previsto comporta sempre e comunque la deroga anchealla (ad ogni) giurisdizione cautelare statuale.

Se così fosse gli artt. 10 l. n. 218/1995 e 669 bis ss. c.p.c. nontroverebbero, nell

�amplissimo ambito coperto dalla Conv. di New York,

per definizione concreto spazio applicativo; e parimenti, dal punto di vistadel d.i.p., europeo, riassumerebbe decisivo rilievo l

�esser l

�arbitrato “ma-

teria esclusa” da “Bruxelles I”, e non vi sarebbe dunque neppure dainterrogarsi su di un possibile conflitto fra quest

�ultima disciplina e quella

della Convenzione di New York, bastando rilevare che anche le regoleeuropee sulla giurisdizione statuale cautelare — dettate ovviamente in unalogica puramente ripartitoria fra le giurisdizioni degli Stati membri e noncon funzione assoluta e fondante — non trovano utile spazio applicativoin presenza di accordo compromissorio per arbitrato estero perché questo,

(15) Sulla possibilità di affermare, perfino, che in caso di deferimento della lite di meritoad arbitri esteri la giurisdizione cautelare del giudice statuale italiano possa radicarsi, non soloin base al criterio del luogo di esecuzione della misura, ma anche in base al criterio “strumen-tale” (non già direttamente in base all

�art. 31 di “Bruxelles I”, perché ciò è appunto escluso dalla

Van Uden bensì) per come previsto dal d.i.p. interno e cioè dall�art. 10 l. n. 218/1995 al quale

l�art. 31 “Bruxelles I” rinvia integralmente, e perciò di ritenere che se la convenzione per

arbitrato estero non esclude in concreto la giurisdizione cautelare statuale questa possa essereaffermata anche in capo al giudice italiano sol che questi sarebbe astrattamente competente peril merito se la convenzione di arbitrato non ci fosse ed anche ove la misura cautelare non sia daeseguirsi in Italia (ad esempio un ordine inibitorio che se emanato da giudice statuale potrebbeavere all

�estero un apprezzabile margine di esecuzione spontanea) v. BRIGUGLIO, Potestas

iudicandi in materia cautelare, cit., 32 ss.

777

in forza dell�art. II Conv. New York, preclude in ogni caso anche l

�eser-

cizio della giurisdizione statuale cautelare.Così però non è affatto perché l

�art. II della Convezione New York

appare sul punto totalmente neutro, tutto rinviando alla concreta inter-pretazione del singolo accordo compromissorio onde stabilire ciò che èoggettivamente dentro e ciò che è oggettivamente fuori da quello, ereciprocamente ciò che è escluso ovvero ed ancora ricompreso nelleattribuzioni del giudice statuale. La dimostrazione di questo assuntoassolutamente pacifico (16) non richiede altro se non la constatazione delcarattere complessivamente relativo dell

�art. II (“tous le différendes ou

certains des différendes”, “au sujet d’un rapport de droit determiné”, “...inopérante ou non susceptible d’être appliquée”), il quale impone al giudicestatuale la ritrazione solo una volta verificato in concreto e sotto ogniprofilo quale sia l

�ambito oggettivo ed operativo del singolo accordo

compromissorio.

8. Occorre dunque interpretare in concreto e caso per caso lavolontà compromissoria; la quale difficilmente è e sarà letteralmenteesplicita e puntuale a riguardo.

Ove ciò invece fosse — “resta salva la possibilità di richiedere misurecautelari ai giudizi statuali” o simili espressioni, ovvero ed al contrario“resta pertanto esclusa la possibilità di richiedere misure cautelare aigiudici statuali” o simili espressioni — davvero nulla quaestio (17).

Altrimenti possono a mio avviso valere le seguenti questioni e relativesoluzioni di massima, in primo luogo dal punto di vista del giudiceitaliano (18).

a) In dubio pro......?Direi senz

�altro: in dubio pro limitazione al “merito” della deroga alla

giurisdizione statuale implicata dalla convenzione per arbitrato estero, eperciò potestas cautelare preservata al giudice statuale (che ne abbia titoloin base alle sue regole di d.i.p.), se del caso concorrente con quella degli

(16) V. se vuoi per riferimenti BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, Il sistema delle ConvenzioniInternazionali, Padova, 1999, 143 ss.

(17) Un esplicito riferimento alla facoltà delle parti di escludere la competenza cautelaredei giudici in una con l

�attribuzione di quella di merito agli arbitri è notoriamente nell

�art. 44.1

dell�Arbitration Act inglese (v. in proposito il caso Q’s Estate in International Arbitration Law

Review, 2000, 85 ss.). Per un caso di simile esclusione attraverso relatio a regolamento arbitraleinteso come attributivo di potestà cautelare esclusiva agli arbitri v. la Cassazione francese del18.11.1986, in Journal du Droit International, 1983, 122 ss.

(18) Che il quadro possa mutare dal punto di vista di un giudice non italiano o degliarbitri, e/o con la possibile complicazione della incidenza della legge (anche diversa da quelladel foro) che regola l

�accordo compromissorio, rientra nella fisiologia delle cose, sebbene le

considerazioni che seguono nel testo mi sembrano dettate dal senso comune e non certoancorate solo al nostro ordinamento.

778

arbitri ove l�ordinamento in cui l

�arbitrato si radica consenta loro di

emanare misure cautelari.Depongono in tal senso, oltre alla “compatibilità” di base già esami-

nata ai paragrafi precedenti dal punto di vista del d.i.p. italiano edeuropeo:

(i) una communis opinio largamente diffusa, specialmente nell�am-

bito dell�arbitrato internazionale, secondo cui la convenzione arbitrale per

così dire standard (“tutte le controversie derivanti dalla interpretazione edesecuzione del presente contratto saranno deferite ad un collegio arbitraleecc.” e modelli consimili) va di regola intesa come riferita alla soluzionenel merito della lite e cioè a quella sostitutiva (con tendenziale e genera-lizzata equivalenza di effetti) del giudicato statuale, e non alla possibilecongerie di misure cautelari (19);

(ii) l�art. VI, c. 4° della Convenzione di Ginevra del 1961 (Con-

venzione il cui spazio operativo è ab origine destinato ad esser modesto,ma dalla portata cultural-giuridica notevole e orientativa), secondo cui“une demande de mesures provisoires ou conservatoires adressée à uneautorité judiciaire ne doit pas être considérée comme incompatible avec laconvention d’arbitrage, ni comme une soumission de l’affaire quant au fondau tribunal judiciaire”; sebbene costruita in senso prudenzialmente pro-tettivo dalla perdurante efficacia della convenzione arbitrale, questa di-sposizione implica a contrario che in linea tendenziale (e cioè se l

�accordo

compromissorio non lo esclude determinatamente) “une demande demesures provisoires ou conservatoires” è ben indirizzabile al giudice sta-tuale nonostante la “convention d’arbitrage”; e così oggi ed ancora piùesplicitamente la Legge Modello Uncitral dotata di ancor maggiore va-lenza culturale ed orientativa: “A Court shall have the same power inrelation to arbitration proceedings [...] as it has in relation to proceedings incourts (art. 17);

(iii) una generale istanza di effettività della tutela (forum conve-niens se non qualche volta necessitatis), almeno nel senso che quellacautelare è di regola ben più effettiva se impartita dal giudice statuale del

(19) Cfr. già VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, Deventer,1981, 139 ss., FOUCHARD-GAILLARD-GOLDMAN, Traité de l’arbitrage commercial, Paris, 1996, 745ss. Utile anche la consultazione degli atti del Congresso I.C.C. Les mesures conservatoires etprovisoires en matière d’arbitrage international, Paris, 1993. Più ampi riferimenti in CARLEVARIS,La tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, Padova, 2006, passim, e più direcente sempre CARLEVARIS, in BENEDETTELLI-CONSOLO-RADICATI DI BROZOLO (a cura di), Com-mentario breve al Diritto dell’Arbitrato, Padova, 2017, 1025 ss., con accurata analisi di varieculture giuridiche nazionali, e compiuti richiami anche a quella statunitense ove invece mag-giori, ma sempre ondivaghe, sono state le perplessità circa la compatibilità fra potestà cautelaredel giudice statuale e arbitrato, nonché agli ordinamenti ove per legge (art. 44.2 dell

�Arbitration

Act inglese) o per giurisprudenza (quella francese in ordine all�istruzione preventiva ed al référé

provision) la funzione cautelare del giudice statuale in presenza di convenzione di arbitrato èstata, rispettivamente, esclusa per certi tipi di provvedimenti (security for costs) o sottoposta acondizioni (mancata costituzione del tribunale arbitrale e particolare urgenza).

779

territorio di esecuzione piuttosto che da arbitri internazionali (20); sebbenead un livello generale questa istanza contribuisca a risolvere l

�“in dubio

pro...?”, può anche accadere che in casi particolari e considerando inconcreto e nelle circostanze date il grado intrinseco di effettività dellamisura cautelare — da quelle per così dire autoesecutive (ad esempioperché puramente autorizzative) a quelle che più necessitano di materialeattuazione collegata ad un territorio — la medesima istanza si presti adessere declinata ed utilizzata non come chiave residuale bensì e già comeelemento orientativo per escludere a priori il dubbio interpretativo con-cernente la convenzione arbitrale e perciò come elemento da prendere inesame fra quelli menzionati qui appresso sub b); se il singolo provvedi-mento cautelare risulterebbe totalmente vacuo e spuntato se impartito daarbitri, la convenzione di arbitrato (ove non letteralmente esplicita insenso contrario) va intesa come non escludente la giurisdizione cautelaredel giudice statuale richiesto al fine di evitare un sostanziale déni de justiceche di regola le parti non possono aver voluto (21).

b) Quali dati esterni o interni alla singola convenzione arbitralepossono rilevare per uscire dal dubbio in senso affermativo circa l

�eserci-

zio della giurisdizione cautelare statuale?A parte quanto si è appena rilevato sub a)-iii) in fine, vi è da dire che

di fronte ad una convenzione arbitrale silente circa il radicamento nazio-nale dell

�arbitrato e al contempo priva di espressioni esplicite che neghino

potestà cautelare a qualsiasi giudice statuale, sarà ben difficile immaginareche le parti abbiano volontariamente accettato il rischio di una totalerinuncia alla cautela, rischio che si concretizzerebbe ove mai, per succes-siva scelta di terzi (arbitri o camera arbitrale) prescindente dalla concordevolontà dei compromittenti, l

�arbitrato fosse radicato in ordinamento che

impedisca tout court (o fortemente limiti) agli arbitri l�adozione di misure

cautelari. Dovrà dunque presumersi che con quella convenzione le partiabbiano inteso confinare alla decisione del merito la deroga ad ognigiurisdizione statuale consentendone invece l

�intervento cautelare. Alla

stessa conclusione, per via di ricostruzione della volontà compromissoriaimplicita, dovrà di regola giungersi allorché la convenzione arbitrale

(20) È altrettanto da considerare in proposito la rarità, nella scena internazionale, che lemisure cautelari arbitrali siano emanate nella forma del lodo parziale e perciò idoneo acircolazione ed attuazione privilegiata in forza della Convenzione di New York (cfr. BROGGINI,I provvedimenti cautelari nell’arbitrato internazionale, in questa Rivista, 1991, 487 ss. SCHLOSSER,Das Recht der internationalen privaten Schiedsgerichtsbarkeit, Tübingen, 1989, 305 ss., CARLE-VARIS, Tutela cautelare pre-arbitrale: natura del procedimento e della decisione, in questa Rivista,2003, 259 ss.

(21) Una importante apertura (in altro contesto) della nostra Suprema Corte al criteriodel forum necessitatis (già familiare, in ambienti di civil law, alla Cassazione francese) si ritrovain Cass. Sez. Un. 17 luglio 2008, n. 19595, con riferimento normativo fondato sull

�art. 6 della

CEDU.

780

radichi ab origine l�arbitrato in ordinamento che impedisca (o fortemente

limiti) agli arbitri la funzione cautelare o che consenta il concorrenteesercizio di tale funzione ad opera degli arbitri e del giudice statuale.

c) Quali dati esterni o interni alla singola convenzione arbitralepossono rilevare per uscire dal dubbio nell

�opposto senso preclusivo

dell�esercizio della giurisdizione cautelare statuale?Si può, in concreto, uscire dal dubbio in base ad elementi della

convenzione che implicitamente attestino la volontà delle parti in sensoescludente la giurisdizione cautelare statuale. Si pensi ad esempio ad unaconvenzione che “raddoppi” con espressione apposita e pur generical�effetto derogatorio già insito nel deferimento (del merito) agli arbitri: “...

resta pertanto esclusa la competenza di qualunque giurisdizione statuale”(o similia); per dare un senso a questa espressione, altrimenti inutile,potrebbe presumersi che essa si riferisca alla deroga anche alla giurisdi-zione cautelare statuale.

Inoltre — e quanto ai dati extra testuali — una convenzione perarbitrato estero con radicamento originario e voluto dalle parti (noninvece con radicamento determinatosi ex post per scelta della sede adopera degli arbitri o di camera arbitrale) in un ordinamento che riserva aisoli arbitri la potestas cautelare, con esclusione della concorrente potestascautelare in capo al giudice dello Stato del foro, potrebbe dirsi indice diesclusione della potestas cautelare di ogni altro giudice statuale. Perché sele parti hanno voluto un arbitrato escludente il potere cautelare delgiudice per il quale quell

�arbitrato è interno, accontentandosi della pote-

stas cautelare esclusiva degli arbitri, ha ben poco senso (nonostante lavarietà e peculiarità delle misure astrattamente ottenibili all

�estero) che

esse abbiano accettato l�idea di un potere cautelare esercitabile dal giudice

statuale per cui quell�arbitrato è straniero. Vi sarà ben inteso da verificare

se l�ordinamento dell

�arbitrato escluda tout court il potere cautelare del

giudice statuale del foro, o lo escluda solo una volta avviato il giudizioarbitrale di merito. Ed in questa seconda ipotesi non potrà evidentementepresumersi la implicita volontà compromissoria in senso escludente lapotestas cautelare ante causam di un giudice statuale straniero rispettoall

�arbitrato, a fronte di una esigenza cautelare soprattutto se con forte

ancoraggio territoriale presso quel giudice.Gli elementi e i dati di cui sub b) e c), ed ogni altro possibile, sono

naturalmente combinabili e giustapponibili, caso per caso, al fine di uscireo non uscire dal dubbio interpretativo-ricostruttivo della volontà compro-missoria pur implicita, restando ove il dubbio permanga valido il criterioresiduale indicato sub a).

9. Nel caso deciso dal Tribunale di Frosinone — convenzione perarbitrato svizzero, arbitrato radicato ab origine dalle parti in ordinamento

781

che prevede la potestà cautelare concorrente l�arbitro e giudice dello

Stato, tenore della convenzione in quanto tale assolutamente standard eper nulla esplicito sulla inclusione o esclusione delle misure cautelari traquelle riservate agli arbitri, l

�applicazione dei criteri retro cennati sub a),

b) e c) avrebbe senz�altro condotto a risultato esattamente opposto a

quello attinto dal Tribunale.Nel caso di specie vi era poi e soprattutto un elemento decisivo per

l�affermazione della giurisdizione cautelare del giudice italiano in ordine

alla richiesta di sequestro giudiziario ante causam, elemento sul quale mipare sommessamente evidente il misunderstanding della motivazione an-notata (par. 5.4).

La clausola compromissoria conteneva inequivoca relatio al Regola-mento ICC e perciò anche al suo art. 28.2, nel quale (conformemente allaversione immediatamente precedente ove la previsione era contenutaall

�art. 23.2) non solo si ripete nella sostanza la formulazione ellittica

eppur pregnante dell�art. VI Conv. Ginevra nel senso che il ricorso

cautelare al giudice dello Stato non comporta violazione dell�accordo

compromissorio o sua rinuncia, ma si afferma espressamente ed anzi inapertura che “Before the file is transmitted to the arbitral tribunal, and inappropriate circumstances even thereafter, the parties may apply to anycompetent judicial authority for interim or conservatory measures”.

Ora in un caso del genere il Regolamento ICC diviene notoriamente,attraverso la esplicita relatio, parte integrante della volizione compromis-soria. Ed era dunque la volontà compromissoria che in caso di esigenzacautelare prima dell

�inizio del giudizio arbitrale — come accadeva nella

specie — faceva espressamente salva e senza limiti la possibilità per laparte di richiedere la cautela ad ogni “competent judicial authority” eperciò anche alla autorità giudiziaria italiana che competente era senz

�al-

tro in astratto ex art. 10 l. n. 218/1995 (mentre ad arbitrato in corso talepossibilità restava aperta — sempre in base alla disposizione regolamen-tare e dunque della volontà compromissoria che la richiamava e perciò inbase al complessivo ambito oggettivo della compromissione in arbitririspetto alla potestas cautelare — solo in presenza di “circostanze appro-priate”).

A fronte di ciò, dire — come dice la motivazione in esame — che ladisposizione regolamentare va applicata tenendo conto del contenutodella clausola arbitrale, nel senso che la prima (e cioè la disposizioneregolamentare) non vieta affatto al giudice interno di dichiarare il propriodifetto di giurisdizione “in virtù del contenuto della suddetta clausola”, è unnon senso.

La disposizione regolamentare non è estranea alla clausola compro-missoria, ma è intrinseca ad essa. Certamente le parti sono libere dirichiamare il Regolamento ICC e poi escludere espressamente nella lorostessa originaria convenzione di arbitrato la giurisdizione cautelare sta-

782

tuale di ogni giudice ovvero di questo o di quel giudice, ma in assenza ditale espressa esclusione — allora sì prevalente sull

�art. 28.2 del Regola-

mento — l�unica pattuizione riconducibile con sicurezza in argomento alla

volontà compromissoria era proprio quella, di segno esattamente oppostodi cui alla disposizione regolamentare.

Ed è appena il caso di osservare come sia un fuor d�opera anche

constatare che quest�ultima, per sua espressa determinazione, “non pre-

giudica i poteri del Tribunale [arbitrale”].In realtà quella espressione — “shall not affect the relevant powers

reserved to the Arbitral Tribunal” — è riferita palesemente, nel contestodell

�art. 28.2, alla semplice circostanza che il ricorso cautelare al giudice

ordinario, non comportando né violazione né rinuncia rispetto alla vo-lontà compromissoria, non pregiudica i poteri degli arbitri quali giudici delmerito o se del caso, ed ove possibile secondo l

�ordinamento dell

�arbitrato

e/o lo stesso Regolamento ICC, quali giudici della cautela in corso diarbitrato.

10. Vi è però una osservazione, nella più che volenterosa ed impe-gnata ordinanza in commento, che, se anche non decisiva (né a ben vederevuol esserlo) nel caso concreto in esame, induce ad una riflessione chemeriterà forse successivo approfondimento.

Si legge al paragrafo 5.2 della motivazione del timore che l�esercizio

di potestas cautelere da parte del giudice italiano quale giudice del luogodi esecuzione della misura possa tradursi “in aperto contrasto con lavolontà delle parti” “in una definitiva sostituzione del giudice [o dell

�arbi-

tro] del giudizio di merito straniero con quello italiano”.Ciò accadrebbe proprio in caso di provvedimento anticipatorio ex art.

700 c.p.c. in ragione della ormai raggiunta strumentalità attenuata dalprovvedimento cautelare e dall

�interrotto condizionamento della sua per-

durante efficacia alla necessaria instaurazione del giudizio di merito, epertanto e correlativamente al fatto che “la parte vittoriosa in sede caute-lare costringerebbe quella soccombente, al fine di non assistere al definitivoesautoramento della potestas iudicandi del giudice straniero o dell’arbitroestero, ad incardinare essa stessa il giudizio di merito dinanzi al giudicestraniero o all’arbitrato estero, così vedendo invertito in proprio dannol’onere di provare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata”.

Orbene questi rilievi non mi pare alterino la direzione del discorso finqui seguito quanto alla soluzione del caso concreto, che avrebbe dovutoessere affermativa e non declinatoria della giurisdizione cautelare delTribunale.

E ciò perché il ricorso ante causam (e cioè ad arbitrato non ancora incorso) ex art. 700 innanzi al giudice statuale italiano era tra i rimedicautelari giudiziali genericamente ma espressamente consentiti dalla pre-

783

visione del Regolamento ICC richiamata per relationem dalla volontàcompromissoria, e da due parti contrattuali che oltretutto avrebbero benpotuto immaginare che quell

�assenso generico era riferibile anche a tutela

cautelare giudiziale incidente sull�impianto industriale localizzato in Italia

(sequestro giudiziario o, appunto, provvedimento d�urgenza richiesto in

linea subordinata con la stessa finalità pratica e lo stesso oggetto delsequestro).

I medesimi rilievi sopra trascritti non spostano neppure i terminigenerali del discorso:

— perché per quanto incisiva ed anticipatoria sia, anche sul piano“attuativo”, la tutela cautelare ex art. 700 essa non comporta affatto, vistala fondamentale diversità di effetto e la sua reversibilità, sostituzioneesautorante rispetto alla giurisdizione di merito arbitrale o giudiziale nonitaliana scelta pattizialmente dalle parti o imposta dalle regole di d.i.p.; esiamo dunque sempre alle solite: se la giurisdizione di merito non italianaè imposta dalle regole di d.i.p., l

�esercizio di parallela o anticipata giuri-

sdizione solo cautelare ad opera del giudice italiano quale giudice delluogo di esecuzione risulta — poco importa se la cautela sia così incisivaed effettivamente anticipatoria come può essere (non sempre) quella exart. 700 o puramente conservativa — perfettamente razionale, autorizzataindifferentemente dall

�art. 10 della nostra legge n. 218/1995 e dall

�art. 31

di “Bruxelles I”, nonché in linea con soluzioni analoghe di altri sistemi did.i.p.; e se la giurisdizione di merito non italiana (arbitrale o giudiziale) èscelta pattiziamente dalla parte delle due l

�una: o si riesca a dimostrare, in

punto di interpretazione della volontà negoziale, che a questa scelta siaggiunge esplicitamente o implicitamente la esclusione del ricorso caute-lare innanzi ad altri giudici statuali (o in ipotesi perfino la esclusione diquesto o quel ricorso cautelare innanzi a questo o quel giudice statuale),oppure i provvedimenti cautelari ed interinali senza distinzione fra loro —e cioè tutto ciò che non è decisione potenzialmente definitiva sul meritodella lite o provvedimento (istruttorio ecc...) a questa direttamente fun-zionale — stanno fuori da quella scelta e restano affidati, quanto allaindividuazione della competenza giurisdizionale, alle regole di d.i.p.;

— perché quanto appena sopra è, a meno di petizioni di principio, ilprius logico, ed il posterius è invece che chi sceglie in relazione ad uncontratto il giudice straniero o l

�arbitro estero per il merito, senza esclu-

dere la potestas cautelare di altri giudici statuali, deve mettere in conto lapossibilità, collegata pur sempre e per lo meno ad un elemento oggettivodi localizzazione della misura interinale, che un rimedio come il nostro 700lo “costringa” de facto, da potenziale convenuto in una certa lite di merito,a farsi attore innanzi al giudice o arbitro prescelto per il merito, in mododa non subire gli effetti perduranti pur se non irreversibili di quellamisura; “costrizione”, del resto, tutto sommato più che tollerabile (l

�inver-

sione paventata dell�onere della prova è più apparente che reale), tutt

�al-

784

tro che esautorante la potestas iudicandi del giudice o dell�arbitro pre-

scelto, e derivante da una iniziativa processuale della controparte (quelladi rivolgersi ad un diverso giudice per la cautela), la quale controparte daun lato ed a propria volta avrà ritenuto di reagire (in via cautelare) acondotta o omissione altrui, d

�altro lato ben potrebbe “costringere”

comunque l�avversario, in altre situazioni relative al medesimo rapporto,

a farsi attore semplicemente agendo o omettendo di agire sul pianosostanziale (insomma: con il gioco di chi ha cominciato prima tutto ed ilcontrario di tutto è possibile dimostrare).

Detto ciò, ammetto tuttavia che in un contesto peculiare, e cioè inquello di un ricorso ex art. 700 al giudice italiano in pendenza di unarbitrato estero governato dal Regolamento ICC richiamato dalle partinell

�accordo compromissorio, le cose possono farsi più complesse.L

�art. 28 Reg. ICC, come si è già ricordato, prevede che le parti, ad

arbitrato in corso, possano rivolgersi al giudice statuale della cautela soloin “appropriate circumstances”.

Sebbene evidentemente più ampio del limite delle “circostanze ecce-zionali” previste dall

�art. 8.5 di una ormai remota e previgente versione

del Regolamento, anche il limite delle “circostanze appropriate” non ètrascurabile. Ed il relativo controllo è esercitabile in primo luogo ed inmodo decisivo — non già dagli arbitri o dal Segretariato ICC, ai quali purela notizia della “application” cautelare innanzi al giudice statuale deveessere trasmessa ai sensi del medesimo art. 28, ma che di certo nonpotrebbero influire sulla potestas iudicandi di quel giudice — bensì proprioda quest

�ultimo.

Il giudice statuale adito in via cautelare nella situazione in discorsodovrà, in relazione alle evenienze concrete, interpretare ed applicare lavolontà compromissoria espressa mediante relatio a quel disposto regola-mentare e verificare se la iniziativa cautelare extra-arbitrato appaia giu-stificata da appropriate circostanze, in termini fra loro contemperati diesigenza di tutela efficace (rispetto a quella ottenibile dagli arbitri),effettiva connessione della tutela con la collocazione territoriale delgiudice statuale, ragionevole e non esorbitante o strumentale intromis-sione nel giudizio di merito affidato agli arbitri.

In questo scenario una richiesta ex art. 700 c.p.c. potrà destarequalche problema, come mutatis mutandis problematico è risultato l

�uso

del référé giudiziale francese che in realtà di cautelare aveva ben poco (22).Il problema non sorgerà sempre ed in ogni caso in virtù del carattere

formalmente o sostanzialmente anticipatorio del provvedimento d�ur-

genza (nessun problema dunque — del tutto a prescindere dal nostro tema

(22) Cfr. per riferimenti DERAINS - SCHWARTZ, A Guide to the New York ICC Rules ofArbitration, The Hague, 1998, 278-279, nonché e più in generale già FOUCHARD - GAILLARD -GOLDMAN, Traité de l’arbitrage commercial, cit., 745 ss., e v. anche sopra la nota 19.

785

puramente interno della applicabilità o meno dell�art. 669 octies, c. VI

c.p.c. — quando la richiesta ex art. 700 sia nella sostanza o dichiaratamenteun surrogato in via subordinata, come nel caso all

�attenzione del Tribu-

nale di Frosinone, o perfino in via principale di misura conservativatipica), bensì in relazione agli elementi concreti della vicenda contenziosa.

Si faccia l�esempio di un arbitrato ICC già pendente (ed ovviamente

radicato in ordinamento che consente le misure cautelari arbitrali) edavente ad oggetto fra l

�altro l

�esistenza o meno del diritto contrattuale

della parte A a commercializzare in Italia, fra vari prodotti della parte B,anche il prodotto X. La parte A, allegando in punto di periculum i seririschi, altrimenti, per la propria immagine commerciale e perfino per lapermanenza sul mercato della rete di esercizi commerciali già approntata,chiede ex art. 700 al giudice italiano di autorizzare interinalmente lacommercializzazione del prodotto X e di ordinare correlativamente allaparte B la fornitura immediata a tutta la rete di esercizi commerciali delprodotto medesimo.

Il giudice italiano potrebbe seriamente porsi un pregiudiziale pro-blema di giurisdizione cautelare, in relazione alla particolare volontàcompromissoria escludente attraverso il richiamo al Reg. ICC un ricorsodi quel genere in “circostanze inappropriate”, e considerare ad esempioove consentito dallo stato di fatto: che una misura autorizzativo-ordina-toria in quel senso ben potrebbe essere resa dagli arbitri con efficaciaconcreta non significativamente lontana rispetto a quella impartita dalgiudice; che in proposito il radicamento “territoriale” del giudizio caute-lare italiano non si pone come assolutamente essenziale o decisivo ai finidella effettività della misura (23); che pertanto la interferenza del giudicestatuale nella missione riservata agli arbitri quali giudici del merito (nongià e solo attraverso la valutazione del fumus in quanto tale, bensìattraverso un

�anticipazione rilevante anche se provvisoria della futura

decisione di merito) non trova adeguata giustificazione.

ANTONIO BRIGUGLIO

(23) Perché, sia quanto alla autorizzazione alla parte A sedente in Italia, sia quantoall

�ordine impartito alla parte B sedente all

�estero, l

�“esecuzione in Italia” è solo parziale e/o

prevalentemente virtuale piuttosto che materiale.

786

La provincia dell’arbitrato societario nel diritto comparato.Una postilla sul diritto tedesco

DIEGO CORAPI

Rispetto a quanto esposto sull’arbitrato societario nel diritto tedesco nelmio scritto già pubblicato in questa Rivista (1), devo segnalare una importantenovità.

Con sentenza del 6 aprile 2017 il Bundesgerichthof (BGH) ha espressa-mente riconosciuto che possono essere deferite ad arbitrato anche le contro-versie relative a delibere di società commerciali personali, in particolare —come nella fattispecie oggetto della decisione — le controversie relative adelibere di quel modello di società in accomandita, assai diffuso in Germania,in cui socio accomandatario è una società a responsabilità limitata (GmbH &Co. KG) e che viene quindi indicato come società personale a responsabilitàlimitata.

La sentenza è denominata Schiedsfähigkeit III (2) e fa seguito alla sen-tenza del 6 aprile 2009 (3), con cui, operando un revirement rispetto allapropria precedente sentenza del 29 marzo 1996 (4), il BGH aveva affermato laarbitrabilità delle controversie relative a delibere di società a responsabilitàlimitata (GmbH).

Questa nuova sentenza sottopone il riconoscimento della Schiedsfähigkeitnelle società personali a responsabilità limitata (GmbH & Co. KG) agli stessirequisiti di validità fissati dalla precedente sentenza del 2009 e cioè che: (i) ilcompromesso sia oggetto di una clausola statutaria ovvero di un separato

(1) La provincia dell’arbitrato societario nel diritto comparato. Relazione al ConvegnoA.I.A. - Rivista dell’Arbitrato, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2 dicembre 2016, inquesta Rivista, 2017, 213 ss.

(2) Bundesgerichthof Beschl. V. 06.04.2017, Az: IZB 23/16 “Schiedsfähigkeit III”. ECLI:DE.BGH.2017: 060417BJZB23:16.0 (ECLI è l’acronimo di European Case Law Identifier,motore di ricerca della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e degli Stati membri,strumento indispensabile per lo sviluppo di una effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Statimembri e per la realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in Italia nonancora introdotto).

(3) BGH v. 06.04.2009 Schiedsfähigkeit II ZR225/08.(4) BGH v. 29.03.1996 Schiedsfähigkeit I ZR224/96.

RASSEGNE E COMMENTI

787

accordo stipulato dai soci all’unanimità e anche dalla società; (ii) ogni socio eogni componente degli organi societari sia informato dell’inizio del procedi-mento arbitrale e del suo svolgimento così da essere in grado di intervenire;(iii) ogni socio sia messo in grado di partecipare alla scelta e nomina degliarbitri, ovvero, in alternativa, la scelta sia rimessa ad una istituzione terzaneutrale (si precisa che comunque qualora siano coinvolti nel procedimentoun certo numero di soci quali parte ricorrente ovvero quali parte resistente, isoci di ognuna delle parti possano esprimersi a maggioranza sulla sceltadell’arbitro); (iv) si accerti che tutte le controversie relative alla stessa deliberaassembleare siano deferite allo stesso tribunale arbitrale.

Anche negli atti costitutivi delle GmbH & Co. KG si potrà dunqueintrodurre una clausola arbitrale secondo le regole che la Deutsche Institutionfür Schiedsgerichtsbarkeit (DIS) ha predisposto per le controversie in materiasocietaria tenendo conto dei requisiti di validità prescritti dalle sentenze delBGH.

Trova conferma, dunque, quanto già rilevato nel mio citato scritto sultema, e cioè che, da un lato, i requisiti per una valida regolamentazionedell’arbitrato societario individuati dalla giurisprudenza tedesca sono analoghia quelli individuati dal legislatore italiano negli art. 34-37 del d.lgs. n. 5/2003,ma che, d’altro lato, la linea dell’ordinamento tedesco continua ad esserequella, diversa da quella dell’ordinamento italiano, di lasciare alla giurispru-denza il compito di indirizzare la prassi in materia di arbitrato societario,favorendo così piuttosto lo sviluppo di fonti normative secondarie (ovvero dic.d. soft law) come il regolamento predisposto dal DIS.

Oltre a confermare la linea già seguita, la sentenza Schiedsfähigkeit IIIpresenta un altro aspetto interessante dell’ordinamento tedesco sull’arbitratosocietario, che non essendo stato posto in luce nella precedente sentenzaSchiedsfähigkeit II non era stato rilevato nel mio citato scritto e sul quale,quindi, vale ora la pena di prestare attenzione.

Invero, la circostanza che la sentenza Schiedsfähigkeit III si limiti adammettere espressamente l’arbitrabilità solo nelle GmbH & Co. KG e nellealtre società commerciali personali, così come la precedente sentenza Schied-sfähigkeit II si era limitata ad ammettere l’arbitrabilità solo nelle GmbH, nonè dettata soltanto dalla ovvia esigenza che una decisione giudiziale deveriguardare lo specifico oggetto della controversia sottoposta al giudizio.

Questa limitazione è frutto di una precisa scelta giurisprudenziale: quelladi esaminare la questione dell’arbitrabilità di volta in volta soltanto in rela-zione al tipo di società in cui è insorta la controversia. Si parte dunque dalprincipio che la questione dell’arbitrabilità possa porsi in modo diverso aseconda del tipo di società commerciale cui si riferisce.

Non è un caso, allora, che in Germania sia tuttora impregiudicata e sia

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oggetto di discussione dottrinale la questione dell’arbitrabilità nelle Aktien-gesellschaften (AG) (5).

Di qui una riflessione comparatistica. Si deve tener presente che, come ènoto, le società per azioni sono in Germania costituite solo per iniziative digrande rilevanza economica e finanziaria e che, infatti, il loro numero èlimitato (6), mentre le iniziative di minor rilevanza sono svolte nella forma diGmbH oppure di società commerciale personale, tra cui la società di personea responsabilità limitata (GmbH & Co. KG) (7). In sostanza, in Germania leAG sono le strutture organizzative in cui viene normalmente investito, diret-tamente o da ovvero attraverso banche o altri intermediari professionali, ilrisparmio del pubblico.

Risulta allora evidente come le perplessità tedesche ad ammettere l’ar-bitrabilità delle controversie quando si tratta di una AG, riflettano conside-razioni sulle caratteristiche di queste società che sono analoghe a quelle chehanno portato il legislatore italiano ad escludere l’arbitrabilità delle contro-versie relative non a tutte le s.p.a. ma solo a quelle che fanno ricorso almercato del capitale di rischio (8).

La conclusione è, dunque, che anche in Germania come in Italia, c’èancora una lunga strada da percorrere prima che, dissipate queste perplessitàcon l’introduzione di norme (legislative o regolamentari) specifiche, si giunga(come negli Stati Uniti dove l’arbitrabilità delle controversie nei confrontidelle public corporations è ammessa o in Brasile dove non è soltanto ammessa,ma addirittura imposta per le controversie nei confronti delle società quotate)a riconoscere la legittimità dell’arbitrato anche nelle società di capitali cheorganizzano l’investimento finanziario nelle attività imprenditoriali.

(5) La questione è esaminata da V. ROMERMANN, Gesellschafterbeschluss: Anforderungenan die Schiedsfähigkeit von Beschlussmängelstreitigkeiten, in GmbH 2017, Heft 14, 759-762, ilquale, nel commentare la decisione Schiedsfähigkeit III, si esprime a favore dell’arbitrabilitàdelle controversie in ogni tipo di società di capitali, indicando anche i requisiti minimi di validitàdella relativa clausola.

(6) Nel 2012 le AG registrate in Germania, erano complessivamente 11.938.(7) Nel 2016 le GmbH registrate in Germania erano complessivamente 677.215 e le

società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita, ivi incluse le GmbH &Co. KG) erano 388.557.

(8) Sulla questione mi si consenta di rinviare al mio Appunti in tema di arbitratosoceitario, in Riv. dir. comm., 2015, II, 1.

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Libertà delle forme e termini perentori nello svolgimento delprocesso arbitrale

ANDREA MENGALI

1. La libertà delle forme nel processo arbitrale: considerazioni introdut-tive. — Lo svolgimento del processo arbitrale è notoriamente caratterizzatodalla libertà delle forme.

Il principio ha profonde radici sistematiche (1) e collocazione positivanell’attuale art. 816 bis c.p.c., secondo il quale « le parti possono stabilire nellaconvenzione d’arbitrato, o con atto scritto separato, purché anteriore all’iniziodel giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedi-mento e la lingua dell’arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hannofacoltà di regolare lo svolgimento del giudizio e determinare la lingua dell’ar-bitrato nel modo che ritengono più opportuno. Essi debbono in ogni casoattuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli edequivalenti possibilità di difesa ».

Rispetto alla precedente collocazione della norma (2), nell’art. 816,comma 4, c.p.c., l’unica differenza di rilievo è l’esplicito riferimento al prin-

(1) La legge non fa in realtà che rendere esplicito ciò che, secondo parte degli interpreti,già era desumibile dal sistema: le parti, ed in loro difetto gli arbitri, nell’esercizio della loroautonomia, potranno determinare a loro piacimento le regole da seguire nel processo arbitrale,a condizione che vengano rispettati il principio del contraddittorio e gli altri principi di ordinepubblico processuale. Da questo punto di vista ben poco cambierebbe se l’art. 816 bis nonesistesse. Sul fatto che la norma che attribuisce la libertà alle parti di determinare le regole disvolgimento del giudizio arbitrale “riproduce la sua negozialità” cfr. C. CECCHELLA, Disciplinadel processo nell’arbitrato, in questa Rivista, 1996, 213 ss., spec. 214. Non è questa la sede per piùapprofondite argomentazioni sulla materia arbitrale ed in particolare sulla natura dell’arbitrato.Per riferimenti si rinvia, senza pretesa di esaustività, a C. CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 2005;AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale, 3ª ed., a cura di G. VERDE, Torino, 2005; S. LA CHINA

L’arbitrato: il sistema e l’esperienza, 4ª ed., Milano, 2011; C. PUNZI, Disegno sistematicodell’arbitrato, II, 2ª ed., Padova, 2012, 13 ss.; AA.VV., La nuova disciplina dell’arbitrato, a curadi S. MENCHINI, Padova, 2010; AAVV, Arbitrato, Commento al titolo VII del libro IV del codicedi procedura civile - artt. 806-830, a cura di F. CARPI, 3ª ed., Bologna, 2016; FAZZALARI E.,L’arbitrato, Torino, 1997; S. SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1931; T.CARNACINI, voce arbitrato rituale in Noviss. Dig. It., I, 1957, 881 ss.; D. GIACOBBE-E. D’ALESSAN-DRO, L’arbitrato, Milano, 1999.

(2) Dovuta alla novella di cui al D.lgs n. 40/2006.

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cipio del contraddittorio (3), originariamente desumibile in via interpretativadal riferimento ai termini concessi ai litiganti per presentare documenti ememorie e per esporre le repliche (art. 816 bis, comma 1, c.p.c.).

Le parti potranno pertanto stabilire le norme che gli arbitri dovrannoapplicare nel processo arbitrale, con regolamento necessariamente anterioreal suo inizio: in difetto gli arbitri saranno liberi di regolare lo svolgimento delgiudizio nel modo che ritengono più opportuno salvo, in ogni caso, il rispettodel principio del contraddittorio.

Le uniche differenze positive tra la facoltà di regolamentazione delleparti e quella degli arbitri stanno nel fatto che solo alle parti è concesso diporre regole da osservare sotto pena di nullità, con la conseguenza che la loroviolazione rende il lodo impugnabile, secondo quanto desumibile dall’art. 829,comma 1, n. 7), c.p.c.; e che solo alle parti è imposto di fissare le regole delprocedimento con atto scritto anteriore all’inizio del procedimento (4).

A ben vedere, tuttavia, il principio della libertà delle forme deve essereriferito proprio agli arbitri, in quanto mandatari delle parti per la risoluzionedella controversia: la predeterminazione delle regole del processo, da partedelle parti o da parte degli arbitri stessi, non è altro che un limite di naturaconvenzionale a quella libertà.

L’art. 816 bis c.p.c., da quest’ultimo punto di vista, è specificazione in

(3) Su cui cfr., amplius, infra.(4) Sul fatto che parte della dottrina ritiene che ciò debba valere anche per gli arbitri per

ragioni di rispetto del principio del contraddittorio si veda infra nel testo e nelle note. Sulla ratiodella norma riferita alle parti, nel senso che gli arbitri devono essere a conoscenza, sin dalmomento dell’accettazione dell’incarico, dell’ambito e degli esatti limiti del compito che sonochiamati a svolgere si veda D. GIACOBBE, Il procedimento arbitrale, in D. GIACOBBE-E. D’ALES-SANDRO, L’arbitrato, cit., 107. In mancanza, il lodo sarà comunque impugnabile in caso diviolazione del contraddittorio, da intendersi, secondo alcuni recenti arresti di legittimità, comevizio di attività, rilevabile ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 9 c.p.c. quale concreta menomazionedel diritto di difesa, essendo rilevante il modo in cui le parti hanno potuto confrontarsi ingiudizio. Cfr. da ultimo Cass. 27 dicembre 2013, n. 28660. Il principio è stato recentementeribadito da Cass. 21 gennaio 2016, n. 1099, in questa Rivista, 2016, con nota di F. LOCATELLI,Preclusioni nell’arbitrato nel rispetto del principio di previa conoscibilita contro le decadenze “asorpresa”, ma con una clausola di salvaguardia e senza timore di usare rigore nei casi di abuso,Id., 460 ss.; in Corr. giur., 2016, 1272, con nota di L. SALVANESCHI, Procedimento arbitrale: vialibera agli arbitri sui termini perentori, in Corr. giur., 2016; in Giur. It., con nota di G. GARGIULO,Principio del contraddittorio nell’arbitrato - libertà delle forme e (in)derogabilità del principio delcontraddittorio nel processo arbitrale. Non è peraltro questa la sede per approfondire ilcomplesso tema del contraddittorio nel processo arbitrale e dell’impugnazione del lodo ex art.829, n. 9 c.p.c. in caso di sua violazione per cui si rinvia agli ampi studi sul tema tra i quali, senzapretesa di esaustività, C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 196 ss.; ID., Il nuovo motivo di nullità dellodo rituale per violazione del contraddittorio (art. 829, comma 1º, n. 7, c.p.c.), ed un attesoindirizzo della Corte di Cassazione, in questa Rivista, 1996, 298 s. E. FAZZALARI, L’arbitrato, cit.,52 ss.; G.F. RICCI, sub art. 816 bis, in AA.VV., Arbitrato, Commento al titolo VII del libro IV delcodice di procedura civile - artt. 806-830, a cura di F. CARPI, cit., 427 ss.; M.F. GHIRGA, sub art.816 bis, in AA.VV., La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 188 ss.; F. CALIFANO, Le vicende dellodo: impugnazione e correzione in AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di G. VERDE,cit., 426 ss.; recentemente C. CONSOLO, Autonomia diretta delle parti vs discrezionalità deidifensori - e residualmente degli arbitri come mandatari - negli snodi dell’arbitrato quale giudizioisonomico, in Riv. dir. proc., 2015, 1358 ss.

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materia arbitrale dell’art. 1710 c.c., che impone al mandatario (5) di esercitareil mandato secondo la diligenza del buon padre di famiglia.

Dunque anch’essa è espressione di autonomia privata; autonomia delleparti nella nomina dell’arbitro ed adempimento degli arbitri al mandatoconferito attraverso, quando occorre, scelte discrezionali ispirate alla buonaesecuzione del mandato stesso (6) ma comunque espressione del principiodella libertà delle forme (7).

In giurisprudenza il principio di libertà delle forme, anche nel silenziodelle parti, è stato ripetutamente affermato, relativamente ai diversi aspettidella procedura arbitrale (8), mentre riguardo all’istruzione probatoria si è piùvolte rilevato che il limite al generale principio della libertà delle forme sia ilrispetto del principio del contraddittorio, anche relativamente alla valutazionedelle prove (9).

(5) Sulla configurazione del rapporto tra arbitri e parti si veda su tutti C. CECCHELLA,L’arbitrato, cit., 95 ss.; conf. C. CONSOLO, Autonomia delle parti e discrezionalità dei difensorinell’arbitrato, cit., 1369.

(6) Si veda sul punto C. CECCHELLA, op. ult. cit., 148 ss.(7) La regolamentazione disposta dagli arbitri costituirà limite al loro stesso potere di

determinare le regole del procedimento, secondo il principio della libertà delle forme, ogni-qualvolta quelle regole saranno dagli arbitri preventivamente determinate. La previa determi-nazione delle regole del procedimento non è infatti univocamente ritenuta necessaria, essendoanzi prevalente la tesi secondo cui gli arbitri possano stabilirle in occasione del compimento diciascun atto. Sul punto amplius, infra.

(8) Così, con riguardo all’atto introduttivo, cfr. Cass. civ. Sez. I, 11 luglio 2003, n. 10910,in Guida dir., 2003, 36, 74, secondo la quale “il giudizio arbitrale è regolato da libertà di forme,nel rispetto però degli ineludibili principi del contraddittorio e del diritto di difesa. Ne consegueche, contrariamente a quanto previsto per il giudizio ordinario, nel giudizio arbitrale la originariadomanda può essere ampliata e modificata [...]purché venga garantito alla controparte il dirittodi difendersi e di replicare sulla domanda stessa”(salvo che la domanda esorbiti dai limiti delvincolo arbitrale, nel quale caso troverà comunque applicazione l’art. 817 c.p.c. che preclude allaparte, che non abbia eccepito, nel corso del giudizio arbitrale, che le conclusioni dellacontroparte esorbitassero dai limiti del compromesso o della clausola compromissoria, diimpugnare per tale motivo il lodo); con riguardo alla forma dell’atto introduttivo, cfr. Cass. 21luglio 1978, n. 3622, in Rep Foro It., 1978, voce Arbitrato, n. 43; tra i precedenti in sede arbitraleColl. arb. 5 ottobre 1989, in Arch. giur. oo.pp., 1991, 570, che ha affermato che l’atto introduttivodel giudizio arbitrale è soggetto ad un’interpretazione molto più elastica dell’art. 163 c.p.c. Sullapossibilità della mutatio libelli si veda anche Coll. arb. 6 febbraio 1990, in Arch. giur. oo.pp.,1991, 635; cfr anche Coll. arb. 7 luglio 1986, in Arch. giur. oo.pp., 1987, 619; Coll arb. 13 giugno1985 in Arch. giur. oo. pp., 1986, 1215; Coll. arb. 3 luglio 1984, in Arch. giur. oo. pp., 876. Siregistra per la verità un’isolata pronuncia di segno contrario, che ritiene che le norme del codicedi rito debbano trovare necessaria applicazione al processo arbitrale se non vi è contrariavolontà delle parti o esplicita disposizione del collegio arbitrale che chiarisca le diverse normeche intenda applicare, cfr. App. Roma 6 novembre 1995, n. 3198, in questa Rivista, cit. Conriferimento alla precisazione delle conclusioni cfr. Cass. 10 novembre 1999, n. 12543, che escludeche nell’arbitrato debba esservi necessariamente un’udienza di precisazione delle conclusioni. Èstato altresì affermato che “nel procedimento davanti agli arbitri non esiste un fascicolo d’ufficioche abbia analoga funzione di quello previsto nel procedimento avanti l’autorità giudiziariaordinaria dagli art. 168, 347 e 359 c.p.c.”, cfr. Cass. 3 ottobre 1972, n. 2838, in Rep. Foro It., 1972,voce Arbitrato, n. 43.

(9) Deve dunque essere dato modo alle parti di conoscere le prove fornite dallacontroparte e di poter replicare, cfr. Cass. 27 ottobre 2004, n. 20829, in Guid. dir., 2004, 47, 56;App. Napoli, 11 febbraio 1991, in Giust. civ., 1992, I, 532. Riguardo ai precedenti in sedearbitrale cfr. Coll arb. 27 aprile 1993, in Arch. giur. oo.pp., 1994, 1296; per un’applicazione del

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La giurisprudenza esalta dunque il principio della libertà delle forme, conl’unico limite esplicito costituito dal rispetto del principio del contraddittorio,e non mancano pronunce che, pur riferendosi al contraddittorio, ne chiari-scono le ragioni dell’inderogabilità in quanto principio di ordine pubblicoprocessuale (10).

2. La (non) residualità della disciplina dettata dal c.p.c. — È parimentiinterpretazione diffusa e decisamente prevalente quella secondo la qualelibertà delle forme, al di là del necessario rispetto del principio del contrad-dittorio, significa estraneità all’arbitrato delle norme del codice di rito, a menoche le parti non le impongano agli arbitri o questi non ne stabiliscanol’applicazione (11).

Ciononostante, in dottrina, vi è chi ritiene che la libertà delle forme,almeno rispetto agli arbitri, debba intendersi limitata alle norme strettamente

principio anche nell’arbitrato irrituale cfr. Cass. 5 marzo 1992, n. 2650 in questa Rivista, 1993,48, con nota di E. FAZZALARI; Trib. 14 maggio 1985, in Giust. civ., 1985, I, 2041. Con riferimentoal contraddittorio nella valutazione della prova cfr. Cass. 12 aprile 2001, n. 5498, in Foro It.,2001, I, 2524, secondo cui le parti devono essere messe « in condizione di conoscere i risultatidell’attività istruttoria svolta e di articolare le proprie difese in relazione ad essa, attraverso ladiscussione del’esaustività e della valenza probatoria dei medesimi in correlazione con le rispettivedomande ed eccezioni; conf. Cass. 16 maggio 2000, n. 6288 in Mass. Giur. It., 2000. In sensorestrittivo, nel senso che la violazione del contraddittorio sulla prova rilevi solo quando incidasu fatti e circostanze « dal cui esame critico è scaturita la ratio decidendi » cfr. Cass. 9 dicembre1974, n. 4114, in Rep Foro It., 1974, voce Arbitrato, n. 28. Esclude del tutto il contraddittorionella formazione della prova Cass. 22 ottobre 1970, n. 2095, in Foro It., 1970, I, 2683, secondola quale non comporta vizio di nullità la mancata trasmissione alle parti del verbale diun’ispezione giudiziale.

(10) Cfr. Cass. 8 aprile 2004, n. 6950, in Mass. Giur. It, 2004; Cass. 23 giugno 2000, n. 8540;Cass. 29 agosto 1997, n. 8177, in Mass. Giur. It., 1997.

(11) Cfr. Da ultimo Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2014, n. 4808, secondo la quale “nelprocedimento arbitrale, ispirato al principio delle libertà delle forme, gli arbitri non sono tenutiall’osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario dicognizione non espressamente richiamate all’atto del conferimento dell’incarico arbitrale, con ilsolo limite dell’osservanza delle norme di ordine pubblico, come il principio del contraddittorio”;Sulla facoltà per gli arbitri di discostarsi dalle prescrizione del codice di rito cfr. anche Cass. civ.Sez. I, 10-07-2013, n. 17099; Cass. civ. Sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3917; Cass. 26 settembre 2007,n. 19949, in Mass. Giur. It., 2007. Cfr. anche Cass. 21 luglio 2000, n. 9583, in Mass. Foro It., 2000,secondo cui « ove gli arbitri non abbiano predeterminato espressamente ed univocamente,all’inizio del procedimento, la procedura dell’arbitrato con riferimento al complesso delladisciplina del processo ordinario, al procedimento arbitrale non sono applicabili le regole di quelprocesso ». Contra, trattandosi ad ogni modo di pronunce risalenti, Cass. 25 giugno 1979, n.3523, in Giust. civ. 1979, I, 1862; App. Roma 6 novembre 1995, n. 3198, in questa Rivista, 1996,317 ss., con nota di A. FUSILLO, Norme processuali applicabili al processo arbitrale, oltre adalcune isolate pronunce rese in sede arbitrale. Una afferma « l’applicabilità al processo arbitraledel codice di procedura civile ordinario, in assenza di contraria volontà espressa dalle parti »,Arb. Roma 7 ottobre 1995, in Giust. civ., 1996, I, 1181, con nota di G. GIACOBBE ma in realtà,trattandosi di pronuncia favorevole all’ammissibilità nell’arbitrato del giuramento suppletorio,detta affermazione deve intendersi come possibilità per gli arbitri, nella loro libertà, di sceglierel’utilizzo delle forme processuali del codice di rito. Dello stesso tenore Arb. 6 novembre 1995,in questa Rivista, 1995, 317. Sulla libertà degli arbitri in caso di mancata predeterminazione delleregole processuali cfr. anche, questa volta in senso conforme a quanto sostenuto nel testo, Cass.7 marzo 1995, n. 2657 in Società, 1995, 1285, con nota di SOAVE; Cass. 11 gennaio 1988, n. 64, inRep Foro It., 1988, voce Arbitrato, n. 87.

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processuali, quelle relative al « regime degli atti propulsivi del procedimento »,essendo ciò desumibile dal riferimento del codice di procedura civile (origi-nariamente art. 816, comma 2, dopo la novella del 1994 art. 816, comma 3,dopo la riforma del 2006 art. 816 bis) allo « svolgimento del giudizio », che nonavrebbe lo stesso dominio del « diritto processuale » (12).

Tale tesi ha un senso soltanto se si ritiene che le norme di dirittoprocessuale civile dettate per la regolamentazione del procedimento giurisdi-zionale costituiscano una disciplina residuale rispetto a quelle in materia diarbitrato, e che l’(odierno) art. 816 bis rappresenti una deroga a dettaresidualità.

Si tratta della contrapposizione tra chi ritiene che innanzi agli arbitri, sinoa disposizione contraria (della legge speciale dell’arbitrato, delle parti, degliarbitri), si debba applicare la legge processuale ordinaria, e chi ritiene, invece,che l’arbitrato non abbia niente a che vedere, sino a disposizione contraria,con il processo statuale (13).

(12) Cfr. E. RICCI, La prova nell’arbitrato rituale, Milano, 1974, 74. Peraltro si tratta diun’interpretazione che non ha trovato decise conferme nella dottrina successiva. Per un suorichiamo si veda F. DANOVI, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv.dir proc., 2008, 21 ss., spec. 25, che dopo aver chiarito che l’art. 816 bis riguarda le « regole circail modus procedendi del giudizio », e che ciò induca a « domandarsi quali siano in concreto lerelative modalità di azione e di estrinsecazione, [...]con specifico riferimento ai principi in temadi prova » analizzando, come ragione di discrimine per l’applicazione o meno della disposizioneai principi di diritto delle prove, il problema del carattere processuale o sostanziale di quello,sembra dar rilievo alla distinzione terminologica tra « svolgimento del giudizio », che costitui-rebbe l’oggetto della libertà degli arbitri, e norme del procedimento, che invece costituirebbel’oggetto della libertà delle parti, considerando il primo limitato alle « regole di mera tecnicaprocessuale »; analogamente D. GIACOBBE, La prova, in Arbitrato, ADR, conciliazione, a cura diM. RUBINO-SAMMARTANO, cit., 739. Non danno peso, invece, a tale diversità terminologica, S. LA

CHINA, L’arbitrato, cit., 122 ss.; L.P. COMOGLIO, Note sulla determinazione della sede e sulle regoleprocessuali nell’arbitrato rituale, in questa Rivista, 2003, 682 ss.; dello stesso Autore Le provecivili, cit., 162; G. DELLA PIETRA, Il procedimento, in Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 163 s., ilquale individua come unico limite ulteriore del potere degli arbitri rispetto alla libertà delleparti di determinare le regole processuali quello desumibile dall’art. 829, n. 7, c.p.c., e su cuisupra, nel testo. Parla in modo espresso, riguardo alla libertà degli arbitri, di determinazionedelle regole processuali, così dimostrando di superare l’impasse dovuto alla distinzione tra« norme del procedimento » e « svolgimento del giudizio »; C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 148s., che tuttavia individua un elemento di differenziazione nell’estensione delle due diverse« autonomie », quella delle parti e quella degli arbitri, nel riferimento codicistico, solo per laseconda, all’« opportunità » (« nel modo che ritengono più opportuno »), da cui l’Autorededuce una restrizione dell’ambito dell’autonomia degli arbitri « in coerenza con il rapporto dimandato », nel senso che gli arbitri « esercitano in realtà un potere discrezionale, perché vincolatoalla finalità che è quella, attraverso il giudizio finale, di rendere giustizia ». Dello stesso tenore R.MARENGO, Lo svolgimento del processo nell’arbitrato, in questa Rivista, 1997, 302 ss., cheriguardo all’autonomia degli arbitri pure si riferisce alla determinazione delle regole delprocesso arbitrale e pure ne sottolinea la natura di « dovere discrezionale ».

(13) Detta contrapposizione è chiara già in Satta, che, criticando uno scritto di A.PARRELLA (La contumacia nel giudizio arbitrale, in Riv. dir. proc. civ., 1928, I, 305 ss., spec. 311s., richiamato da S. SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., 42, nota 1), afferma cheegli commette l’errore di « ritenere normale [nell’arbitrato] il caso del giudizio secondo le formeprocessuali, e quindi come una dispensa da queste forme la fissazione autonoma del procedi-mento da parte degli arbitri ». Satta, come noto, ritiene invece che le norme processuali sianoestranee all’arbitrato essendo quello dell’arbitro un mero arbitrio che esclude il processo — cfr.

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La dottrina più recente sembra orientata per questa seconda solu-zione (14). Si è così sostenuto come vada escluso che « l’applicabilità dellenorme del c.p.c. debba imporsi come tale, con i caratteri di un residualeautomatismo » (15), al più residuando la spazio per « un mero richiamo ana-logico » (16). Tuttavia non mancano opinioni contrarie (17).

S. SATTA, op. ult. cit., spec. 34 ss. — ma si è ben consapevoli che, proprio alla luce di taliconclusioni estreme ed oggi generalmente non condivise, l’insegnamento dell’Autore deveessere inteso cum grano salis. Pure nel senso che le « norme della procedura ufficiale non sianoapplicabili, di regola, ai giudizi innanzi agli arbitri » G. MORTARA, Commentario del codice edelle leggi di procedura civile, III, cit., 147; ancora prima M. AMAR, Dei giudizi arbitrali, Torino,1868, 170 s., secondo il quale “la legge di procedura ordinaria sta davanti a loro [i compromit-tenti] quale tipo che possono di loro moto adottare senza variazioni o con quelle che loro sianosuggerite dalle formatesi convinzioni; ma, in difetto di loro espressa volontà la presunzione chedeve predominare sulla istruzione del giudizio arbitrale, è quella della libertà delle forme, purchéforme vi esistano”. La convinzione che le norme regolanti il processo ordinario innanzi algiudice statuale costituiscano uno ius commune che debba essere applicato, salvo deroghe,anche all’arbitrato, è poi ben presente in E. Ricci, che dedica un’intera parte della suamonografia sulla prova nell’arbitrato alle problematiche emergenti dall’applicazione residualedelle norme comuni al processo arbitrale. Cfr. E. RICCI, La prova nell’arbitrato rituale, cit., 73ss.

(14) Cfr. C. CECCHELLA, op. ult. cit, 159, il quale, analizzando la trattazione nell’arbitrato,osserva che « il modello giurisdizionale costituisce niente più che una possibile alternativa allelibere determinazioni dell’autonomia delle parti o in mancanza degli arbitri ». Si veda anche G.F.RICCI, sub art. 816 bis, in Arbitrato, Commento al titolo VII del libro IV del codice di proceduracivile - artt. 806-830, a cura di F. CARPI, cit., 436 ss. Secondo l’Autore citato, che sul puntoconferma l’opinione già espressa nelle precedenti edizioni dell’opera citata, anche a commentodell’art. 816, comma 3, c.p.c. (precedente alla riforma di cui al D.lgs. n. 40/2006) « né nell’art. 816bis né in alcuna altra norma del codice che regola l’arbitrato, è stabilito che per quantoespressamente non previsto si debba rinviare alle norme del procedimento ordinario di cogni-zione » e che « ogni riferimento al giudizio ordinario non solo non è previsto, ma non sembraneppure voluto dal legislatore » e ancora che salvo il rispetto del principio del contraddittorio ilgiudizio arbitrale “non debba affatto ricalcare le forme del processo di cognizione”. Si vedainoltre A. FUSILLO, Norme processuali applicabili al processo arbitrale, cit., 317 ss., il quale,annotando una pronuncia della Corte d’Appello di Roma, critica l’interpretazione della corte dimerito, che afferma l’applicabilità del codice di procedura civile ordinario in assenza dicontrarie volontà espresse dalle parti, prima dell’inizio del procedimento arbitrale, o dagliarbitri (che l’Autore ritiene a ragione voler significare che « le norme del codice di rito sono [...]un corpus unitario, derogabile ad opera delle parti nell’arbitrato, ma che, mancando tale volontàdi derogare, trova piena ed integrale applicazione nell’arbitrato ») sostenendo che: 1) non vi èalcuna norma del codice di rito da cui si ricavi l’applicabilità delle norme dettate per il processostatale all’arbitrato, salva contraria volontà delle parti; 2) Data la formulazione dell’art. 816c.p.c. « occorre [...] risolvere i vari problemi che possono sorgere nel corso del processo arbitralecon la sola ed esclusiva guida del principio del contraddittorio e della natura contrattualedell’arbitrato ». Critico nei confronti della pronuncia del giudice di merito romano è anche L.P.COMOGLIO, Note sulla determinazione della sede e sulle regole processuali nell’arbitrato, cit., spec.691. Ancora nel senso della non applicabilità residuale delle norme processuali ordinarie M.MAFFUCCINI, Le regole del procedimento arbitrale, in G. FICHERA-M. MAFFUCCINI, I procedimenticamerali nel diritto societario e fallimentare. L’arbitrato, Torino, 2008, 434.

(15) Cfr. L.P. COMOGLIO, Note sulla determinazione della sede e sulle regole processualinell’arbitrato rituale, cit., 691.

(16) L.P. COMOGLIO, op. ult. cit., 691. Sul punto, amplius, infra.(17) Cfr. S. LA CHINA, L’arbitrato il sistema e l’esperienza, cit., 186, che riguardo

all’istruttoria afferma che « non può porsi in dubbio che la legge regolatrice dei profili proce-durali della istruttoria in un arbitrato avente sede in Italia è il codice di procedura civile italiano ».In ogni caso l’Autore sembra ritenere l’appartenenza al diritto sostanziale delle norme dettatein materia di prova dal codice civile (Id, 188). Sembra invece accogliere il punto di vista della

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Senza poter in questa sede indugiare oltre sulle contrapposte interpreta-zioni, pochi dubbi sussistono sul fatto che nell’esperienza arbitrale il « pro-cesso » viene in gioco solo e soltanto in relazione al rispetto dell’ordinepubblico, e anche se ciò è ritenuto, a ragione, sufficiente a far rientrare ilprocedimento arbitrale nella species del processo, non vi è dubbio che, salvoil rispetto di dette norme imprescindibili, l’arbitrato è regolato dall’autonomiadei privati.

E l’autonomia privata, per sua definizione, o meglio, ai sensi dell’art. 1322c.c., è dominata dal principio di atipicità e non incontra alcun vincolo se non,appunto, quello dell’ordine pubblico. La corrispondenza tra il limite all’auto-nomia privata nella determinazione del diritto sostanziale ed il limite allatutela privata di dette situazioni (ordine pubblico sostanziale, il primo, ordinepubblico processuale, il secondo) è stata messa in evidenza da autorevoledottrina (18).

Le regole processuali valevoli innanzi al giudice statuale debbano per-tanto valere necessariamente anche innanzi agli arbitri solo nei limiti deiprincipi di ordine pubblico processuale, imprescindibili anche nel giudizioarbitrale (19).

necessaria distinzione, quanto all’applicazione della disciplina comune, tra principi cogenti einsopprimibili e norme dettate per scelta del legislatore, pur con la convinzione di fondo cheogni scostamento da queste debba trovare autonoma giustificazione F. DANOVI, L’istruzioneprobatoria nella nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 21 ss., il quale afferma che « si evidenzia unapossibile distinzione tra principi cogenti, insopprimibili e pertanto necessariamente applicabiliall’arbitrato, malgrado qualsiasi differente (e contraria) volontà delle parti, e ulteriori principi,pur generali e comuni ma dotati di minore rilevanza a livello sistematico, sui quali viene pertantoa incidere la flessibilità che generalmente informa il modello arbitrale » (Id., 23). Ancora sullaresidualità delle norme del codice di rito rispetto all’arbitrato, con particolare riferimentoall’istruzione probatoria, cfr. R. MARENGO, Lo svolgimento del processo nell’arbitrato, cit., 311;Nel senso che le norme probatorie dettate dal legislatore per il giudizio ordinario debbanoessere recepite « in guisa di jus commune » per il procedimento arbitrale, « benché nel designodell’arbitrato racchiuso nel codice manchi una norma di rinvio espresso alle regole del processocivile ordinario », F. AULETTA, L’istruzione probatoria, in AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale,2ª ed., a cura di G. Verde, cit., 197. Più dubitativo appare G. VERDE, Lineamenti di dirittodell’arbitrato, Torino, 2004, 103 s., che tuttavia conclude nel senso della residualità delladisciplina comune, anche se ammettendo che « non è possibile dare una risposta certa ».Tuttavia l’Autore, dopo aver così concluso l’indagine sull’esistenza di uno ius commune, almenoper quanto riguarda il diritto probatorio, costituito dalle norme del codice civile e di proceduracivile, « scavalca » la questione affermando che « il vero problema è, tuttavia, un altro. Si trattadi vedere se le parti e gli arbitri possono derogare al modello dei codici e fino a quale punto ». Siosserva tuttavia che, come si è cercato di argomentare nel testo, se si parte dal concetto diderogabilità si è già deciso che le norme ordinarie costituiscono la disciplina di default.

(18) C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 23 ss. Riprendendo l’insegnamento di Satta sulfondamento del fenomeno arbitrale si è poi, altrettanto autorevolmente, sostenuto che « lospazio sociale, nel quale non ha ragione d’essere il monopolio statale del diritto, è quello in cuinon è coinvolto un interesse primario dello Stato. È uno spazio di autonomia privata, che restatale perché non nasconde alcun pericolo per il pubblico, per quei principi e quelle norme chevengono ricompresi nella formula « ordine pubblico » », cfr. C. PUNZI, L’arbitrato: fecondità eattualità dell’insegnamento di Salvatore Satta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 749 ss.

(19) Cfr. C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, cit., che osserva come la libertàdel processo arbitrale incontri il limite del rispetto del principio del contraddittorio e delprincipio di imparzialità dell’arbitro; C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 186 ss., che accanto all’au-

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Salvi, dunque, i limiti derivanti di principi dell’ordine pubblico, l’imposi-zione di eventuali forme processuali, se non proveniente dalle parti o dagliarbitri, deve derivare espressamente dalla legge.

Da quest’ultimo punto di vista, l’analisi del diritto positivo dimostracome, salve alcune disposizioni speciali, la legge non imponga la generaleosservanza delle norme del codice di rito, ma anzi codifichi il principio dellalibertà delle forme.

3. La regolamentazione dello svolgimento del processo da parte degliarbitri. Necessaria individuazione in limine litis? — Come detto gli arbitri,nell’esecuzione del mandato loro conferito, in assenza di indicazioni delleparti sulle regole del procedimento, potranno essi stessi determinarne leregole, al fine del miglior svolgimento del mandato stesso.

Problema controverso, soprattutto in dottrina, è quello se gli arbitri,nell’esercizio del loro potere/dovere, suppletivo rispetto alla facoltà delleparti, di regolamentazione del procedimento, debbano necessariamente de-terminare, come è imposto alle parti (20), le regole processuali in limine litis,ovvero ciò possano fare durante tutto il corso del processo.

Contraria alla prevalente interpretazione (21), secondo la quale solo le

tonomia delle parti e degli arbitri individua come unica altra fonte regolamentare del fenomenoarbitrale le « regole dettate dall’ordine pubblico »; G. F. RICCI, sub art. 816 bis, cit., 438, che osservacome la necessaria osservanza dell’ordine pubblico processuale comporta che « quando si dice chel’arbitro o gli arbitri, in difetto di formazione pattizia ad opera delle parti, sono liberi di modellareil processo come meglio credono, si vuole solo sancire la non necessità di un rinvio al modello dicognizione ordinaria ex art. 163 ss. c.p.c.: ma non anche escludere o pretendere di abolire [...] tuttele prescrizione generali che governano la giustizia civile »; cfr. anche G. DANOVI, L’istruzioneprobatoria nella nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 23, che individua come principi cardine delprocesso ed inderogabili il contraddittorio e l’imparzialità del giudice; di rispetto dei principigenerali dell’ordinamento, oltre che del contraddittorio parla E. FAZZALARI, Processo arbitrale,in Enc. dir., XXXVI, Milano, s.d., 308. Sul principio di imparzialità del giudicante si veda ancheF. ZICCARDI, Il ruolo dell’ordine pubblico nel processo arbitrale, in Arbitrato, ADR, conciliazione,a cura di M. RUBINO-SAMMARTANO, Torino, 2009. Sull’imparzialità dell’arbitro si veda anche E.FAZZALARI, L’etica dell’arbitrato, in questa Rivista, 1992, 1 ss.; in senso critico del disposto dell’art.815 c.p.c., nel testo precedente all’ultima riforma, L. SALVANESCHI, Sull’imparzialità dell’arbitro,in Riv. dir. proc., 2004, 409 ss. Per l’applicazione dei principi del contraddittorio e dell’imparzialitàdell’arbitro anche all’arbitrato irrituale cfr. F. CARPI, Il procedimento nell’arbitrato irrituale, in Riv.trim. dir. e proc. civ., 1991, 389 ss. Vi è infine chi consiglia di sostituire al concetto di ordine pubblicoprocessuale, considerato « nebuloso », la Costituzione nel suo insieme, cfr. E. FAZZALARI, Ancorain tema di svolgimento del processo arbitrale, in questa Rivista, 2004, 666. Alla stessa conclusioneproposta nel testo si giunge analizzando il problema dal punto di vista delle fonti del diritto: sel’arbitrato è espressione dell’autonomia privata, non può essere contestato che, ai sensi dell’art.1322 c.c., « le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti impostidalle legge ».

(20) La giurisprudenza ammette ad ogni modo una scelta tardiva delle parti, purché gliarbitri vi acconsentano, essendo la norma dettata nell’interesse degli arbitri a conoscerepreviamente le regole che dovranno osservare e far osservare. Cfr. Cass. 4 maggio 2011, n. 9761.Sul punto, in dottrina, C. CONSOLO, Autonomia delle parti e discrezionalità dei difensorinell’arbitrato, cit., 1368 s.

(21) In giurisprudenza cfr. Cass. 21 settembre 1999, n. 10192, in questa Rivista, 1999, 701,secondo la quale « se le parti non abbiano determinato le regole del giudizio arbitrale, esso resta

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parti hanno l’onere di predeterminare le regole processuali prima dell’iniziodel procedimento, è la nota interpretazione di Elio Fazzalari (22), secondo laquale gli arbitri, come le parti, qualora spetti loro la determinazione delleregole del procedimento, debbano farlo in limine litis (23).

Se così non è, ecco che il codice di procedura resta l’unica disciplinapossibile, che secondo l’illustre Autore deve essere applicata analogicamente,analogia che però viene in gioco non come strumento di risoluzione di singolie concreti dubbi interpretativi relativi ai provvedimenti degli arbitri, ma comefonte di applicazione in blocco della disciplina codicistica anche all’arbi-trato (24).

Detta interpretazione si fonda sul richiamo al principio del contradditto-rio: per garantire l’ordine pubblico sarebbe, infatti, necessario, per gli arbitri,predeterminare le regole del procedimento, così come è espressamente im-posto alle parti dall’art. 816 bis c.p.c., poiché « il contraddittorio e il diritto alladifesa » non possono « vivere... alla giornata » (25).

In altre parole, secondo tale interpretazione, il contraddittorio imponeagli arbitri di determinare prima dell’inizio del giudizio arbitrale le regole delprocedimento; l’assenza di previa regolamentazione crea una lacuna nelladisciplina del processo; l’analogia legis interviene ad imporre l’applicazionedelle norme del codice di rito.

Ma è proprio vero che il principio del contraddittorio imponga la prede-terminazione di tutte le regole processuali? Non è sufficiente prevedere lapossibilità di svolgere le proprie difese e replicare alle difese della contro-parte? Ed il modus operandi di detta regola deve seguire necessariamente ilcodice di rito, ai sensi degli artt. 180 ss. c.p.c.?

Ragionando a contrario, sembra possibile prospettare che il principio delcontraddittorio imponga soltanto il rispetto ...del principio del contraddittorio,

caratterizzato dal principio dell’assoluta libertà delle forme disponibili e modificabili dall’arbitrodurante il suo svolgimento ». In parte contraria la già citata Cass. 21 luglio 2000, n. 9583, che peril (solo) caso del richiamo da parte degli arbitri delle norme relative al procedimento ordinariopretende che esso avvenga “espressamente ed univocamente, all’inizio del procedimento”.

(22) Cfr. E. FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 55 s.; ID., Sulla « libertà di forme » del processoarbitrale, in questa Rivista, 1999, 637 ss., spec. 640.

(23) Nello stesso senso cfr. C. CECCHELLA, Disciplina nel processo dell’arbitrato, cit., 213ss., spec. 215 ss., che ritiene che la necessità di previa determinazione delle norme per losvolgimento del processo arbitrale da parte degli arbitri sia dovuta, nel silenzio della disposi-zione, oltre che da ragioni sistematiche dettate dalla violazione, in difetto, del principio delcontraddittorio, anche per “simmetria” rispetto allo speculare obbligo in capo alle parti; Id,L’arbitrato, 149 s. Cfr. anche R. MARENGO, Lo svolgimento del processo nell’arbitrato, cit., 303.L’Autore individua tuttavia un termine diverso per gli arbitri, rispetto a quello imposto alleparti, per la scelta della norme processuali applicabili, che coinciderebbe con l’inizio dellatrattazione. Contra, nel senso che non è necessario che le regole dettate dagli arbitri sianoenunciate in modo espresso si veda G.F. RICCI, sub art. 816 bis, cit., 363 s., oltre agli ulterioririferimenti di cui supra e infra, nel testo e nelle note.

(24) Cfr. E. FAZZALARI, Sulla « libertà di forme » del processo arbitrale, in questa Rivista,1999, cit., 640.

(25) E. FAZZALARI, loc. ult. cit.

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che non necessariamente ha la veste del codice di procedura civile, essendodesumibile tra l’altro da altre fonti dell’ordinamento (si pensi all’art. 6C.E.D.U (26) ed all’art. 111 Cost.) (27).

A proposito riteniamo di condividere l’opinione di chi ha osservato che inmancanza di esplicito accordo delle parti e di un atto formale del collegioarbitrale, che decida quali regole saranno applicate al processo, non resta chefar riferimento, per la disciplina del rito, alle singole ordinanze degli arbitri,contenenti la disciplina dello svolgimento del processo, ed alle norme diordine pubblico processuale (28).

Pertanto non potrà mai affermarsi la totale carenza di una determina-zione degli arbitri sulle norme processuali da applicare, poiché i provvedi-menti ordinatori degli arbitri, per quanto possano essere scarni ed elementari,dovranno pur contenere una minima disciplina del processo e saranno sempresoggetti a controllo per quanto riguarda il rispetto delle norme di ordinepubblico processuale (29).

4. Libertà dalle preclusioni. — Aspetto che, anche alla luce di unarecente pronuncia (30), merita particolare attenzione, è il rapporto tra l’arbi-trato ed il principio di preclusione.

In ossequio al principio di libertà delle forme vi è copiosa ed unanimegiurisprudenza che esclude che, in difetto di diversa volontà delle parti, gliarbitri siano tenuti a fare applicazione delle nome del codice di rito sullepreclusioni processuali.

Al contrario, questi, ove le parti non li abbiano vincolati all’osservanzadelle norme del codice di rito, possono consentire alle stesse di modificare ed

(26) Sui rapporti tra detta norma ed il processo arbitrale si veda C. CONSOLO, L’equoprocesso arbitrale nel quadro dell’art. 6§ 1 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv.dir. civ., 1994, I, 453 ss.

(27) In senso conforme, nel senso cioè che gli arbitri non sono tenuti, a differenza delleparti, alla predeterminazione delle regole del processo arbitrale cfr. G. RUFFINI, sub art. 816 bisc.p.c., 1711, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. CONSOLO, III, 3ª ed., Milano,2013; S. LA CHINA, L’arbitrato, cit., 127; R. CAPONI, Determinazione delle regole ed aspetti delcontraddittorio nel processo arbitrale, in Foro it., 2005, I, 1771, secondo il quale sulla basedell’argomento proposto da FAZZALARI, su cui cfr. supra nel testo, “si dovrebbe allora criticareanche l’efficacia immediata delle leggi processuali sopravvenute nei processi statali, come prin-cipio di diritto intertemporale”. L’Autore ritiene sufficiente che il canone della previa fissazionedelle regole processuali in ipotesi di mancata determinazione delle parti “è da applicare conriferimento al singolo segmento della sequenza procedimentale e si traduce nel divieto che gliarbitri adottino un criterio di valutazione post facto” dell’ammissibilità di un atto per requisiti diforma, che non può che essere dichiarata sulla base di “disposizioni congruamente fissate e resenote alle parti prima del compimento dell’atto”.

(28) Cfr. A. FUSILLO, op. cit., 321(29) Cfr. A. FUSILLO, loc. ult. cit. Lo stesso E. FAZZALARI in uno scritto successivo

riconosce la centralità dell’autonomia privata nell’arbitrato, ne ribadisce la natura privatistica eauspica che in concreto le parti non si limitino al rinvio alle norme del codice di procedura maesercitino concretamente il potere di determinare le regole della procedura, cfr. E. FAZZALARI,Ancora in tema di svolgimento del processo arbitrale, cit., 661 ss., spec. 665 s.

(30) Cass. Cass. civ. Sez. I, 21 gennaio 2016, n. 1099, cit.

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ampliare le iniziali domande o di formulare istanze di prova, senza che trovinoapplicazione le disposizioni del codice di procedura che sanciscano unapreclusione alle attività assertive o probatorie, purché sia osservato il principiodel contraddittorio (31). Si rinvengono poi numerose pronunce che attribui-scono contenuto alla generale affermazione di detto ultimo principio. Ilriferimento più frequente è alla formulazione dell’art. 816, comma 4, c.p.c.,precedente all’ultima novella (e, prima della novella del 1994, all’equivalenteart. 816, comma 3, c.p.c.), ossia è unanime l’affermazione che gli arbitridebbano in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documentied esporre le loro repliche (32). Altre pronunce aggiungono, affinché sia

(31) Cfr. tra le ultime Cass. civ. Sez. I, 21 gennaio 2016, cit.; Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio2014, n. 4808, in Banche dati Deagostini; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2717 in Mass. Giur. It., 2007;Cass. 3 maggio 2004, n. 8320, in Dvd e cd Rom Foro It., 1987-2004; si vedano anche Cass. 4 luglio2000, n. 8937; Cass 16 giugno 2000, n. 8231, in Cd Rom Foro It., 1987-2000, che precisa che ilcontraddittorio « si riferisce essenzialmente al momento di chiusura della trattazione »; Cass. 14febbraio 2000, n. 1608, in Cd Rom Foro It., 1987-2000; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1620, in CdRom Foro It., 1987-2000; Cass. 13 luglio 1994, n. 6579, in Rep. Foro It., 1994; Cass. 7 dicembre1993, 12517, in Mass. Foro It., 1993. Secondo Cass. 17 gennaio 1985, n. 107, in Rep. Foro It., 1985,voce Arbitrato, n. 83, l’accettazione del contraddittorio su domande nuove proposte nel corsodel procedimento può avere luogo in modo implicito. Ancor più copiosa le decisioni dei collegiarbitrali pubblicate, cfr. Arb. Roma 26 febbraio 2002, in Arch. giur. oo.pp., 2002, 168; Conf. Arb.Roma 18 maggio 2000, in Arch. giur. oo.pp., 2000, 1364, che espressamente esclude l’applica-zione del regime delle preclusioni all’arbitrato; Arb. Roma 26 febbraio 1998, in Arch. giur.oo.pp., 2000, 129; Arb. Roma 19 maggio 1998, in Arch. giur. oo.pp., 2000, 286; Coll. Arb. Roma1º agosto 1996, in Arch. giur. oo.pp., 1998, 1003 ss.; Coll. Arb. Roma 17 luglio 1996, in Arch. giur.oo.pp., 1998, 908 ss. secondo il quale « nel giudizio arbitrale non occorre osservare imprescin-dibilmente le forme della procedura ordinaria »; Coll. Arb. 11 maggio 1993, in Arch. giur. oo.pp.,1994, 1323 ss.; Coll. Arb. 22 maggio 1992, in Arch. giur. oo.pp, 1993, 445; Coll. arb. 6 giugno1991, in Arch. giur. oo.pp., 1992, 278.; Coll. arb. 11 luglio 1191, in Arch. giur. oo.pp., 1992, 1059ss.; Coll. arb. Torino 22 dicembre 1992, in Giur. It., 1993, I, 2, 487, che afferma come nel giudizioarbitrale la mutatio libelli sia consentita con maggiore elasticità rispetto al giudizio ordinario.Circa la ripercussione della libertà delle forme sul principio della corrispondenza tra il chiestoed il pronunciato, alla cui osservanza gli arbitri non sono tenuti, nei limiti del rispetto delprincipio del contraddittorio cfr. Coll arb. 12 febbraio 1985, in Arch. giur. oo. pp., 1986, 111;Coll. arb. 27 settembre 1983, in Arch. giur. oo. pp., 1984, 620; Coll. arb. 27 settembre 1983, inArch. giur. oo. pp., 1984, 635; Coll. arb. 23 dicembre 1978, in Arch. giur. oo. pp., 1979, III, 21;si veda anche Coll arb. 15 ottobre 1979, in Arch. giur. oo. pp., 1979, III, 502, secondo la quale« l’arbitrato, per sua intima natura, è improntato a libertà di forme e non tollera rigide preclusioni,sempre che sia rispettata l’inderogabile esigenza del contraddittorio »; Coll arb. Roma 15 giugno1967, in Arbitrati e appalti, 1970, 41; cfr. anche Coll. arb. Roma 1 luglio 1967, in Arbitrati eappalti, 1970, 49, secondo cui è ammessa nell’arbitrato la mutatio libelli ma a patto che tra lanuova domanda e quella originaria vi sia « un minimo di correlazione ». Contra, nel senso dellatardività della richiesta contenuta nella memoria conclusionale ma che non risulta contenutanell’atto introduttivo cfr. Coll. arb. 28 febbraio 1984, in Arch. giur. oo. pp., 1984, 1435; Coll arb.29 marzo 1979, in Arch. giur. oo. pp., 1979, I, 145, che limita la possibilità di mutatio a mereprecisazioni e la subordina comunque al fatto che la controparte « mostri di accettare ilcontraddittorio »; sull’onere di proporre le eventuali domande nuove prima della costituzionedel collegio cfr. Coll arb. Roma, 30 maggio 1967, in Arbitrati e appalti, 1969, 103.

(32) Cfr. tra le più recenti Cass. civ. Sez. II, 26 maggio 2015, n. 10809, in Banche datiDeagostini; Cass. 21 settembre 2004, n. 18918, in Mass. Giur. It., 2004; si veda anche Cass. 19febbraio 2003, n. 2472, in Foro It., 2003, I, 746. Per precedenti nelle pronunce rese in sedearbitrale e pubblicate cfr. Coll arb. 27 aprile 1993, in Arch. giur. oo.pp., 1994, 1296; cfr. ancheCass. 19 agosto 1983, n. 5408, in Rep Foro It., 1983, voce Arbitrato, n. 92; Cass. 18 marzo 1981,n. 1595, in Arch. giur. oo. pp., 1981, II, 102; Cass. 4 maggio 1981, n. 2702, in Rep Foro It., 1981,

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rispettato il contraddittorio, che le parti debbano essere messe in condizionedi prendere visione in tempo utile delle istanze e delle richieste avversarie (33).

5. Libertà delle preclusioni. — La libertà delle forme non vale tuttaviasolo “in negativo”, ossia ad escludere che determinati istituti processuali sianodi necessaria applicazione nell’arbitrato, ma anche “in positivo”, consentendoun richiamo a quegli istituti, salvo espressa esclusione da parte delle leggespeciale dell’arbitrato e salva compatibilità con la particolare natura dell’ar-bitrato (34).

Da questo secondo punto di vista, niente vieta agli arbitri di scegliere unadisciplina del procedimento governata dal principio di preclusione, e ciò è, siritiene, quanto accade quando gli stessi arbitri, se non lo hanno fatto prima leparti, sanciscano l’applicazione delle regole processuali previste dal codice dirito per il procedimento ordinario di cognizione.

La recente pronuncia cui si è già fatto cenno (35) si è peraltro soffermatasui limiti di detta libertà “positiva”, ed ancora una volta, nel solco dell’inter-pretazione prevalente e già richiamata, il limite è stato individuato nellacorretta applicazione del principio del contraddittorio (36).

È in ossequio a detto principio, infatti, che la detta pronuncia ha sancito

voce Arbitrato, n. 94. Non sono tuttavia, in un non recente passato, mancate pronunce che, adispetto del dato letterale, con interpretazione senza dubbio restrittiva e limitativa del principiodel contraddittorio, hanno affermato che « in materia di arbitrato, la prescrizione dell’art. 816, 3ºcomma, c.p.c., richiede solo che si assicuri in modo idoneo il contraddittorio delle parti; pertantonon è indispensabile, a tal fine, che vengano assegnati termini per presentare documenti ememorie, purché, con altre modalità, l’arbitro abbia provveduto a mettere le parti in condizionedi presentare le loro osservazioni o di fare le richieste ritenute opportune » (Cass. 22 novembre1974, n. 3760, in Rep Foro It., 1974, voce Arbitrato, n. 26). Ancor più estremo un altroprecedente, che nega addirittura carattere cogente al principio del contraddittorio, sulla basedel fatto che la violazione del disposto dell’(allora) art. 816, comma 3, c.p.c. non costituirebbemotivo di nullità del lodo perché la disposizione non detta una condizione per la sua validità,pur temperando l’affermazione in senso analogo alla pronuncia ultima richiamata (cfr. Cass. 23novembre 1973, n. 3171, in Giust. civ., 1974, I, 437). Secondo Cass. 4 febbraio 1972, n. 269, inRep. Foro It., 1972, voce Arbitrato, n. 42, si è fuori dal campo di applicazione del principio delcontraddittorio « quando risulti che l’istruttoria si sia svolta solo su questioni ben isolate rimasteestranee al processo formativo de lodo e che quest’ultimo sia fondato sulla risoluzione di questionidiverse dibattute tra le parti ».

(33) Cfr. Cass. 27 ottobre 2004, n. 20829, in Guid. dir., 2004, 47, 56; Cass. 2 febbraio 2001,n. 1496, in Mass. Giur. It., 2001.

(34) Cfr. T. CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Noviss. Dig. It., I, 2, Torino, 1958, 886,il quale osserva come la volontà delle parti o degli arbitri “non ha la forza d’ottenerel’osservanza di tutte le norme del codice di rito, restandone ovviamente escluse quelle che sianoin aperto contrasto non soltanto con esplicite disposizioni di legge sull’arbitrato, ma anche con lasua natura e la sua dinamica strutturale”, portando ad esempio, quanto al primo profilo, il casodel lodo non sottoscritto dalla minoranza degli arbitri ai sensi dell’art. 823 c.p.c., che allecondizioni stabilite dalla norme è valido a differenza della sentenza, quanto al secondo profilol’inapplicabilità dell’art. 128 c.p.c. relativo alla pubblicità dell’udienza a pena di nullità, dispo-sizione all’evidenza incompatibile con la natura privata dell’arbitrato (cfr. T. CARNACINI, loc ult.cit.).

(35) Cass. 1099/2016, cit.(36) Cfr. Cass. Cass. civ. Sez. I, 21 gennaio 2016, n. 1099, cit.

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che gli arbitri non possono considerare perentori, in applicazione delle normedel codice di rito, i termini concessi alle parti per la formulazione delle istanzeistruttorie, se non vi è alcuna previsione in tal senso nella convenzioned’arbitrato o in un atto scritto separato, né la previa qualificazione dei terminicome perentori nel regolamento processuale che gli arbitri si siano dati, nécomunque una specifica avvertenza al riguardo rivolta alle parti al momentodella concessione di quei termini.

Tale interpretazione appare assolutamente in linea con quella, prevalente,della giurisprudenza, sull’estensione e sul significato della “libertà delle forme”.

Perché tale pronuncia da una parte stabilisce che gli arbitri sono liberi dideterminare le regole del procedimento e la natura dei termini concessi,dall’altra conferma che l’applicazione delle forme processuali previste dalcodice di rito, in particolare quelle sulle preclusioni processuali, non è né dinecessaria né di residuale applicazione, poiché in difetto di esplicita menzioneda parte degli arbitri sulla natura perentoria dei termini, non troveranno asilole norme relative alle preclusioni processuali.

Non si concorda appieno, pertanto, con chi ha ritenuto, in questa Rivista,a commento della citata pronuncia, che questa esprima un favor versol’introduzione di decadenze processuali nel processo arbitrale, nonostante che“l’idea stessa della preclusione” (37) sia “estranea all’arbitrato” (38).

Del resto detto ultimo assunto non pare trovare decisi riscontri indottrina, la quale ha sì individuato dei casi di norme processuali “ordinarie”incompatibili con l’arbitrato (39), ma non con riferimento alla sussistenza didecadenze per le attività assertive e probatorie, che pare invece la naturalesoluzione nel caso di richiamo, delle parti o degli arbitri, delle norme dettateper i procedimenti ordinari (40).

(37) Sul rapporto tra perentorietà dei termini e principio di preclusione cfr. S. MENCHINI,Principio di preclusione e auto responsabilità processuale, in Giusto proc. civ., 2013, 979 ss., spec.1020 ss. L’Autore osserva come “i termini perentori sono il rovescio della medaglia dellapreclusione; questa è lo strumento di cui si avvale l’ordinamento per rendere effettive le norme cheistituiscono quelli”, Id, 1023.

(38) Cfr. F. LOCATELLI, Preclusioni nell’arbitrato nel rispetto del principio di previaconoscibilita contro le decadenze “a sorpresa”, ma con una clausola di salvaguardia e senzatimore di usare rigore nei casi di abuso, cit., 463. Al contrario, riteniamo, la pronuncia citataconferma la prevalente interpretazione della giurisprudenza, tanto di legittimità quanto dimerito, secondo cui le norme del codice di rito non costituiscono una disciplina residuale epertanto non sono applicabili se non per espresso richiamo da parte delle parti o degli arbitri;quanto in particolare alle preclusioni, che in difetto di specifica e preventiva menzione dellanatura dei termini questi, in ossequio al principio della libertà delle forme ed all’esclusione delladetta residualità, dovranno essere considerati non perentori. Del resto la citata pronuncia cassala sentenza della Corte d’Appello di Napoli che aveva invece considerato i termini concessi alleparti come perentori in difetto di preventiva ed espressa menzione della loro natura. Peraltrosi è dato atto di alcune isolate e peraltro datate pronunce che lasciano sottendere una sorta diincompatibilità tra arbitrato e preclusioni (cfr. Coll. arb. 15 ottobre 1979, cit.), tuttavia si trattacome detto di interpretazioni isolate.

(39) Cfr. T. CARNACINI, op. ult. cit., 886; sul punto supra, in nota.(40) Cfr., sia pur con riferimento alle preclusioni “ridotte a ben poca cosa dopo la riforma

del 1950”, di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. nella formulazione cui fa riferimento il citato scritto,

803

Né, salve alcune isolate pronunce rese perlopiù in sede arbitrale (41),trova riscontro in giurisprudenza, la quale, come visto, ha sempre costante-mente chiarito la non necessaria applicazione del principio di preclusionenell’arbitrato, salvo che le parti, o, in difetto, gli arbitri, non abbiano stabilitodi fare applicazione delle norme del codice di rito: si tratta, come detto,dell’effetto “negativo” della libertà delle forme, che esclude che norme eprincipi che non appartengano all’ordine pubblico processuale siano di neces-

T. CARNACINI, op. ult. cit., 886, il quale osserva come esse non trovino applicazione nel caso leparti o, in subordine, gli arbitri non facciano “ricorso alle norme dettate per i processi ordinari”;mentre, in caso di richiamo, totale o parziale, di quelle norme, le disposizioni individuanti deitermini decadenziali non sono affatto portate ad esempio quali norme incompatibili conl’arbitrato (Ibid.). Analogamente E. FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 55, secondo il quale gli arbitrinon potrebbero prevedere preclusioni « diverse ed indipendenti da quelle del processo statale »,salva la possibilità di superare detto limite in caso di accordo tra le parti; C. CECCHELLA,L’arbitrato, cit., 159, spec. note 27 e 28, secondo il quale, nel caso di rinvio al modello adottatoin sede giurisdizionale (rito ordinario o del lavoro) dovranno essere “scrupolosamente osservatii termini decadenziale ed è legittima la dichiarazione di inammissibilità di una produzione al difuori dei termini dell’art. 184 c.p.c.”, mentre il regime della libertà dalle preclusioni dovrà essereapplicato “nel caso di mancata previsione per consenso delle parti e degli arbitri di un sistema apreclusioni”. Cfr. da ultimo L. SALVENESCHI, Procedimento arbitrale, cit., 1272 ss., la quale ricordacome sia sempre stato pacifico che quantomeno le parti possano imporre agli arbitri un modelloprocessuale a preclusioni, e come gli stessi arbitri, secondo un’interpretazione assolutamenteconsolidata in dottrina anche se non generalmente condivisa, possano, anche in difetto diconvenzione delle parti, regolare il procedimento arbitrale secondo il sistema a scadenzeprevisto per il rito di cognizione ordinario. Per quest’ultima interpretazione cfr. C. PUNZI,Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 28; L. SALVANESCHI, sub art. 816 bis, in Arbitrato,Commentario a cura di C. CHIARLONI, Bologna, 2014, 407. Contra G. F. RICCI, sub art. 816 bis,cit., 437 s., che, pur in senso meno perentorio rispetto alle precedenti edizioni dello scritto,afferma che gli arbitri non sarebbero dotati del potere di imperio necessario a dettare terminia pena di decadenza, e perciò non potrebbero applicare nel procedimento le preclusioni ex artt.183 ss. c.p.c., così come non possono fissare termini perentori, ostando, oltre alla mancanza diius imperii, la lettera dell’art. 152 c.p.c. secondo cui i termini perentori debbono essereespressamente previsti dalla legge, tuttavia lo stesso G. F. RICCI conferma che a soluzioneopposta si deve giungere se le parti impongano il rispetto delle norme processuali ordinarie sullepreclusioni; sul fatto che laddove la previsione di termini provenga dalle parti “non si porrà ilproblema della natura dei termini, che troveranno in tale residuale ipotesi espressa disciplina” cfr.L. DITTRICHT, I termini nell’arbitrato rituale, in Riv. dir. proc., 2009, 53 ss., spec. § 2; lo stessoAutore ritiene invece che, indipendentemente che gli arbitri recepiscano le norme dettate nelcodice di rito (per il procedimento statuale) o dettino regole ad hoc, la natura e la vincolativitàdelle forme processuali si porrà nello stesso identico modo in quanto nel primo caso sitratterebbe di “un fenomeno di importazione volontaria del modello processuale ordinario,trasformato in regola arbitrale”, Ibid; prosegue lo stesso Autore ritenendo che il regime deitermini perentori dettato dal codice di rito sia incompatibile con l’arbitrato in quanto l’art. 152c.p.c. prevede che un termine perentorio sia espressamente previsto dalla legge come tale econclude affermando ad ogni modo che gli arbitri potranno prevedere termini a pena didecadenza, e che “l’origine di tale potere deve individuarsi direttamente nella convenzionearbitrale, in virtù della quale le parti si sono sottoposte al potere direttivo del giudice privato”; ID.,spec. § 3, 4, 5; sull’inapplicabilità, invece, dell’art. 152 c.p.c. all’arbitrato, che riguarderebbe soloil processo statale, con la conseguenza che gli arbitri sono liberi di fissare termini perentori cfr.S. LA CHINA, L’arbitrato, cit., 127 s. In giurisprudenza, già prima di Cass. 21 gennaio 2016, n.1099, per la libertà degli arbitri di adottare uno schema a preclusioni facendo riferimento allenorme del codice di rito dettate per il procedimento ordinario cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent.,14/02/2014, n. 3558; per un riferimento all’art. 183, comma 6, c.p.c., App. Firenze Sez. I, Sent.,10/08/2011, in Banche Dati De Agostini.

(41) Cfr. ancora Coll arb. 15 ottobre 1979, cit.

804

saria applicazione nell’arbitrato, che si accompagna all’effetto “positivo”, diconsentire, con gli stessi limiti caratterizzati dal necessario rispetto dei principiimprescindibili del processo, la scelta delle norme processuali da applicare.

Invero una parte della dottrina ha sostenuto, non senza autorevoli vocicontrarie, che gli arbitri, laddove non facoltizzati dalle parti, non potrebberoconcedere termini processuali a pena di decadenza (mentre assai più timidasul punto è sempre apparsa la giurisprudenza).

Ciò discenderebbe in particolare dall’applicazione dell’art. 152 c.p.c. cheal primo comma prevede da una parte che “i termini per il compimento degliatti del processo sono stabiliti dalla legge”, dall’altra che “possono esserestabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permetteespressamente” nonché, comunque, dalla mancanza di ius imperi in capo agliarbitri.

Secondo una tesi che possiamo definire intermedia la possibilità per gliarbitri di concedere termini a pena di decadenza dovrebbe intendersi limitataal caso in cui le parti o gli stessi arbitri facciano applicazione delle norme delcodice di rito, essendo in tal modo superato l’ostacolo rappresentato dall’ap-plicazione dell’art. 152 c.p.c. con la necessaria individuazione di una fontenormativa del “permesso” alla previsione di tali termini (42).

Ad ogni modo, per quanto si è detto, non pare sia mai stata sostenutaun’incompatibilità assoluta tra preclusioni ed arbitrato.

Chiarito che il principio di preclusione non è mai stato del tutto estraneoall’arbitrato, in caso di richiamo da parte delle parti o degli arbitri delle normedel codice di rito, è interessante evidenziare come secondo la più recenteinterpretazione della Suprema Corte sia ammesso espressamente che gliarbitri, a prescindere da un richiamo espresso alle norme del codice diprocedura civile dettate per il procedimento ordinario (43), sanciscano terminia pena di decadenza.

Ciò comporta quindi un superamento, da parte degli arbitri, dello stessoart. 152 c.p.c. (44), discendendo dal fatto che nell’arbitrato non è la legge, masono le parti, o, in loro difetto, gli arbitri, che stabiliscono le regole delprocedimento e quindi anche i termini per il compimento degli atti all’interno

(42) Cfr. ancora L. SALVENESCHI, Procedimento arbitrale, cit., 1272 ss.; ID., sub art. 816 bis,in Arbitrato, Commentario a cura di C. CHIARLONI, Bologna, 2014, 40; C. PUNZI, Disegnosistematico dell’arbitrato, cit., 28.

(43) Che invece normalmente si riscontra nei precedenti giurisprudenziali che hannoaffermato la libertà degli arbitri di stabilire termini a pena di decadenza. Così per un riferimentoall’art. 184 c.p.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile) cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent.,14/02/2014, n. 3558, cit.; per un riferimento all’art. 183, comma 6, c.p.c., App. Firenze Sez. I,Sent., 10 agosto 2011, cit., che conferma un lodo che aveva ritenuto tempestivo un depositoeffettuato entro il giorno ma oltre l’orario previsto dagli arbitri per il deposito delle memorie exart. 183, comma VI, c.p.c., essendo stato l’atto comunque ricevuto dall’ufficio.

(44) Cui, come si è giustamente osservato, la citata Cass. n. 1099/2016 non fa menzione,in quanto la libertà delle forme ha come unico limite il rispetto del principio del contraddittorio.Cfr. L. SALVANESCHI, loc. ult. cit.

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dello stesso, per cui, si è osservato, il principio posto dall’art. 152 c.p.c. è“surrogato in arbitrato da un’altra disposizione di legge” (45) (l’art. 816 bisc.p.c.).

Indirettamente pare confermata anche l’interpretazione prevalente dellagiurisprudenza sul fatto che le regole processuali non debbano essere neces-sariamente individuate dagli arbitri in limine litis, e che questi, sempre conriferimento alla perentorietà dei termini, potranno stabilirne di volta in voltala natura, a patto che la loro perentorietà sia chiarita al momento della loroconcessione (46). Tale ultima condizione appare doversi infatti ritenere suffi-ciente ai fini del rispetto del principio del contraddittorio.

Da tale punto di vista, infatti, non è una novità che la giurisprudenzaritenga non necessaria, per gli arbitri (nel caso le parti non li vincolino adeterminate regole processuali), una scelta preventiva verso le forme delprocedimento ordinario ovvero verso forme alternative: nonostante i dubbiavanzati da una parte, autorevole ma minoritaria, della dottrina, sulla com-patibilità di tale schema con il principio del contraddittorio (cfr. supra, § 3),sarà possibile per gli arbitri, con provvedimenti ordinatori, durante tutto ilcorso del procedimento, stabilire le regole applicabili ai successivi atti delprocedimento, richiamando o meno istituti processuali previsti per il processoordinario, e quindi, quanto alle conseguenze del mancato rispetto di untermine concesso, stabilire che ciò comporti o meno la perdita della relativafacoltà processuale.

6. Segue: in particolare, sulla necessaria previa qualificazione dei terminicome perentori. — La pronuncia cui si è fatto riferimento (47) individua comedetto nel principio del contraddittorio un limite alla libertà degli arbitri dideterminazione di termini decadenziali per le attività difensive delle parti.

Secondo tale pronuncia, in particolare, a tutela del legittimo affidamentodelle parti e quindi del loro diritto alla difesa e al contraddittorio, in difetto diespressa indicazione circa la perentorietà dei termini questi (non applicandosiresidualmente o analogicamente le norme del codice di rito) dovranno con-siderarsi non perentori.

(45) L. SALVANESCHI, loc. ult. cit., la quale osserva che “l’art. 152 c.p.c. è posto in uncontesto in cui i termini del procedimento sono scanditi dalla legge; l’art. 816 bis c.p.c. in unmondo retto dal principio di libertà della regolamentazione dei termini stessi che è affidata alladiscrezionalità degli arbitri. Si tratta quindi di due mondi opposti e incompatibili”. Alla stessaconclusione si giunge abbracciando l’idea della non residualità delle norme dettate dal codice dirito all’arbitrato, per cui, in caso le parti o, in loro difetto, gli arbitri, ne determininol’applicazione, la fonte della perentorietà dei termini sarà data dalla stessa legge processualeordinaria, mentre laddove le parti o in loro difetto gli arbitri regolino altrimenti lo svolgimentodel processo, non troverà applicazione l’art. 152 c.p.c., in ossequio al principio della libertà delleforme.

(46) La pronuncia in discorso fa infatti riferimento alla necessità, quanto alla natura deitermini concessi, che la regola sia resa nota alle parti “nel modo e nel tempo congruo” Cfr. Cass.1099/2016, cit.

(47) Cass. 1099/2016, cit.

806

Vale in effetti la pena soffermarsi sulla necessità, confermata dallapronuncia da ultimo citata, che gli arbitri chiariscano se i termini per l’esple-tamento delle attività difensive siano o meno concessi a pena di decadenzadelle relative facoltà.

Da questo punto di vista il riferimento della sentenza è, come detto, alprincipio del contraddittorio, ed in effetti pochi dubbi possono esservi sul fattoche stabilire delle decadenze “a sorpresa” sia contrario al diritto di difesa delleparti (48).

A ben vedere, tuttavia, che la perdita della facoltà difensiva non eserci-tata non possa prescindere da una previa indicazione delle decadenze cuirischiano di incorrere le parti è intrinseco allo stesso meccanismo dellepreclusioni.

La preclusione conseguente ad una decadenza (49) si fonda infatti sulprincipio di autoresponsabilità della parte, che pur sapendo di dover esercitareun certo potere processuale entro un determinato termine, a pena di deca-denza, ciò non faccia violando così la relativa norma e meritando pertanto lasanzione decadenziale, rimanendo quindi preclusa la relativa facoltà (50).

In dottrina vi è ampio riscontro sul fatto che le preclusioni delle facoltàassertive e probatorie interne al processo consistano in sanzioni processualiper “l’inottemperanza delle parti alle norme che regolano l’ordine, il tempo ele modalità delle loro attività” (51).

Concependo quindi la ratio delle preclusioni delle attività difensive, quale

(48) Cfr. L. SALVANESCHI, Procedimento arbitrale, cit., spec. 1274 s.; F. LOCATELLI, op. cit.,469 ss.

(49) Sulla configurazione della decadenza come perdita di una facoltà processuale e dellapreclusione, conseguentemente, come impossibilità di esercizio di tale facoltà, siccome si èdecaduti cfr. M. TARUFFO, voce Preclusioni (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., Agg. I, 1997, 795.

(50) Cfr. S. MENCHINI, Principio di preclusione e autoresponsabilità processuale, cit., spec.987 ss. e 1020 ss. Secondo L’Autore, posto che l’autoresponsabilità “si ricongiunge ad unacondotta difforme rispetto alla previsione della legge, da cui discendono effetti sfavorevoli, dicarattere sanzionatorio, per il soggetto agente” (Id. 995), si può ricondurre all’autoresponsabilità(processuale) il fenomeno delle preclusioni, posto che “l’inosservanza di un termine perentorio,stabilito a pena di preclusione, presenta tutti gli elementi costitutivi di questa categoria giuridica”(Id, 1026). Detta ricostruzione si rifà all’insegnamento tradizionale in merito al concetto diautoresponsabilità, secondo il quale, perché la nozione abbia effettiva utilità, non è sufficientefarla coincidere con la necessità di subire gli effetti degli atti posti in essere, ma è necessario chesi possa riscontrare una deviazione dalla norma, sia pure con riferimento ad un determinatoonere, e correlativamente si possa prospettare un determinato tipo di conseguenza, “checostituisce essa medesima una deviazione dalla norma”, cfr. S. PUGLIATTI, voce Autoresponsabi-lità, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, 457 ss.

(51) Cfr. M. TARUFFO, voce Preclusioni (dir. proc. civ.), cit., 795; A. CARRATTA, Ilfondamento del principio di preclusione nel processo civile, in Il principio di preclusione nelprocesso penale, Torino, 2012, 16 ss.; S. MENCHINI, Principio di preclusione e autoresponsabilitàprocessuale, cit., spec. 987 ss. e 1026 s., il quale, con riferimento agli effetti del meccanismopreclusivo, osserva come “il pregiudizio, subito dal titolare [...], presenta i caratteri della sanzionein senso proprio”, Id., 1026. Per una critica all’equivalenza tra decadenza e sanzione processualecfr. C.E. BALBI, La decadenza nel processo di cognizione, Milano, 1983, 18 ss., il quale fariferimento, tra le altre cose, alla configurazione della decadenza come scelta di inattività.

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“sanzione processuale” (52), è evidente come questa non possa applicarsiladdove la previsione della decadenza non sia precedente al comportamentosanzionato (53).

In definitiva si ritiene che il motivo per il quale la natura perentoria di untermine, e più specificatamente la decadenza dalla relativa facoltà processualequale conseguenza del suo mancato rispetto, deve essere chiarita al momentodella sua concessione, sta, ancor prima che nel rispetto del principio delcontraddittorio, nella stessa ragione giustificatrice dell’effetto decadenziale equindi preclusivo quale sanzione processuale (la decadenza) e conseguenzadella sanzione stessa (la preclusione).

(52) Se invece si mette in dubbio la ricostruzione, che oggi appare maggioritaria, dellapreclusione quale sanzione processuale, allora può essere configurabile la perdita di una facoltàdifensiva anche se il termine non è espressamente previsto a pena di decadenza: sul punto cfr.E. BALBI, La decadenza nel processo civile, Milano, 1983, ibid.

(53) Con specifico riferimento alla concessione da parte degli arbitri di termini perentorigiunge alla stessa conclusione S. LA CHINA, op. cit., 128, il quale osserva che gli arbitri devono“espressamente enunciare che il termine che essi vanno a fissare deve essere rispettato a pena didecadenza, e ciò sia per esigenza di lealtà verso le parti, sia per il principio generale del dirittosanzionatorio che la sanzionabilità di qualunque comportamento deve essere resa nota prima cheesso venga posto in essere”.

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L’imparzialità nei tribunali ICSID fra rimedio preventivo edimpugnazione della decisione

TOMMASO BUZZELLI

1. L’imparzialità degli arbitri nei sistemi arbitrali di risoluzione dellecontroversie e nei tribunali ICSID. Rilievi introduttivi. — Indipendenza edimparzialità sono considerate, in ogni sistema normativo, caratteristiche im-prescindibili dell’attività di giudizio arbitrale.

Anche in prospettiva internazionalistica, i due termini sono spesso legatil’uno all’altro, tanto che sovente le due espressioni sono accorpate in modo daindividuare un unico singolo requisito. Tuttavia è ormai pacifica, tanto indottrina quanto in risalenti pronunce in primo luogo di tribunali arbitrali, ladifferenza tra i due concetti (1). È stato infatti giustamente affermato che ladependence di un arbitro nei confronti di una parte riguarda esclusivamentequestioni relative ad un rapporto dell’arbitro con la parte stessa, non neces-sariamente di natura economica. Il concetto di impartiality è invece assente incaso di presunto o reale pregiudizio dell’arbitro. L’imparzialità è dunque dariferirsi ad uno stato mentale e prescinde da oggettivi rapporti con le parti (2).Altri autori concordano sul punto essenziale dell’elemento soggettivo suffi-ciente a configurare l’imparzialità dell’arbitro, in contrapposizione alla neces-saria presenza di legami oggettivi con la parte affinché possa configurarsiindipendenza (3).

Si delinea quindi evidente la differenza tra il concetto di independence,che attiene ad una sfera di oggettività, con particolare riferimento a relazionie rapporti tra l’arbitro ed una parte, e quello di impartiality, che consiste in unrequisito di carattere soggettivo, relativo ad una condotta dell’arbitro che sia

(1) Si veda, ad es., BORN, International Commercial Arbitration, Wolters Kluwer, 2009,1462: secondo tale Autore, con independence ci si riferisce all’assenza di relazioni o legami tral’arbitro ed una parte o il suo legale, mentre la sussistenza di impartiality implica che un arbitroesercita le proprie funzioni in modo obiettivo e non è maldisposto nei confronti di una parte,indipendentemente dalla sussistenza o meno di reali collegamenti con la parte stessa.

(2) Si veda REDFERN & HUNTER, International Arbitration, Oxford, 2009, 268.(3) Cfr. BOUCHARD, GAILLARD, GOLDMAN, International Commercial Arbitration, Kluwer

Law International, 1999, 564; LARS HEUMAN, Arbitration Law of Sweden: Practice and Proce-dure, Juris Publishing, 2003, 224.

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equanime, a prescindere da eventuali rapporti esistenti con le parti. Peraltrorisulta evidente lo stretto legame tra i due requisiti: generalmente infatti sichiede indipendenza agli arbitri come garanzia, importante anche se da solacertamente non sufficiente, ai fini dell’esercizio imparziale delle propriefunzioni.

Nelle pagine che seguono ci si propone di analizzare il requisito dell’im-parzialità dell’arbitro in quello specifico sistema di risoluzione arbitrale dellecontroversie legate al diritto internazionale degli investimenti che è il sistemaICSID.

Come è noto, l’ICSID (International Centre for Settlement of InvestmentDisputes), istituito con la Convenzione di Washington del 1965, è un’istitu-zione della Banca Mondiale che fornisce servizi per la conciliazione e l’arbi-trato in relazione alle controversie tra gli Stati firmatari della convenzionestessa e cittadini degli altri Stati contraenti, relative ad investimenti effettuatida questi ultimi nel territorio dei primi (4). L’Istituzione è dotata di un sistemadi risoluzione arbitrale di tali controversie, previsto dalla Convenzione ecompletato da norme ad hoc che regolano lo svolgimento della proceduraarbitrale (5).

L’articolo 14, comma 1, dell’anzidetta Convenzione di Washington, sta-bilisce che i componenti degli Elenchi da cui vengono tratti i membri ditribunali arbitrali e Commissioni di Conciliazione ICSID « devono godere dialta considerazione morale, essere profondamente competenti nel campo giu-ridico, commerciale, industriale o finanziario, e dare ogni garanzia d’indipen-denza nell’esercizio delle rispettive funzioni. (...) » (6). Gli arbitri eventual-mente nominati al di fuori degli Elenchi debbono possedere le qualitàdescritte dall’art. 14 (cfr. articolo 40 della Convenzione).

L’art. 14 fa esplicito riferimento al requisito dell’indipendenza (indepen-dence) e non parla di imparzialità, diversamente dal testo in spagnolo dellaConvenzione che si riferisce proprio all’imparzialità (7).

Ai nostri fini, occorre dunque verificare in che modo per l’arbitro ICSIDvenga in rilievo lo specifico requisito della imparzialità, tenendo comunquepresente che, considerata la natura dei due requisiti sopra descritta, l’indipen-denza costituisce una garanzia finalizzata all’esercizio imparziale delle fun-zioni arbitrali.

Al di là dei riscontri formali nei diversi testi ufficiali della Convenzione,la questione è quasi retorica.

(4) ICSID Convention, Regulations and Rules, International Centre for Settlement ofInvestment Disputes, 2006.

(5) ICSID Convention, cit., 22-29; Rules of Procedure for Arbitration Proceedings,International Centre for Settlement of Investment Disputes, 2006.

(6) Convenzione ICSID, cit., art. 14(1).(7) Si veda BOTTINI, Should Arbitrators Live on Mars? Challenge of Arbitrators in

Investment Arbitration, in Suffolk Transnational Law Review 32(2), 2009, 341.

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Diverse pronunce di tribunali ICSID hanno sottolineato come l’elementodell’imparzialità costituisca un requisito chiave dell’arbitro, insieme all’indi-pendenza, ai sensi dell’articolo 14 (8). In particolare il Tribunale nel caso Suezv. Argentina ha ritenuto applicabili entrambi i concetti di indipendenza eimparzialità, stabilendo che l’imposizione del doppio requisito « accords with[the approach] found in many arbitration rules which require arbitrators to beboth independent and impartial » (9). A sostegno di tale interpretazione, ilTribunale fa riferimento al testo dell’articolo nella versione in lingua spagnoladella Convenzione, nel quale si parla di una persona che sia in grado di« ...inspira[r] plena confianza en su imparcialidad de juicio ». In questo caso ilTribunale applica direttamente il testo in lingua spagnola, in quanto versioneautentica della Convenzione, per stabilire la sussistenza del requisito diimparzialità (10). Tale orientamento è confermato dalla giurisprudenza deitribunali ICSID, anche in riferimento al testo in inglese della disposizione.Nella cosiddetta decisione PIP (11), il Tribunale ha rilevato che « [l]a notiond’indépendance contenue à l’article 14(1) de la Convention CIRDI s’entend dudevoir d’indépendance et d’impartialité .... » (12).

Va sottolineato come nel non menzionare esplicitamente l’elementodell’imparzialità dell’arbitro il testo ICSID si discosti dalla maggior parte dellealtre istituzioni arbitrali internazionali. L’articolo 11 delle 2010 UNCITRALArbitration Rules recita: « when a person is approached in connection with hisor her possible appointment as an arbitrator, he or she shall disclose anycircumstances likely to give rise to justifiable doubts as to his or her impartialityor independence. (...) » (13). Allo stesso modo, sulla base delle SCC Arbitra-tion Rules, “every arbitrator must be impartial and independent” (14). Pari-menti, le norme della London Court of International Arbitration (LCIA), cosìcome quelle della American Arbitration Association (AAA), richiamanoesplicitamente il doppio requisito di indipendenza ed imparzialità (15).

(8) Cfr. BERNASCONI-OSTERWALDER, JOHNSON, MARSHALL, Arbitrator Independence andImpartiality: Examining the dual role of arbitrator and counsel, in IV Annual Forum forDeveloping Country Investment Negotiators, 2010, 11, che richiamano le seguenti decisioni:Compañía de Aguas del Aconquija S.A. & Vivendi Universal v. Argentine Republic (ICSID CaseNo. ARB/97/3), par. 14; Alpha Projektholding GMBH v. Ukraine (ICSID Case No. ARB/07/16), par. 35.

(9) Suez, Sociedad General de Aguas de Barcelona S.A., and InterAguas ServiciosIntegrales del Agua S.A. v. Argentine Republic (ICSID Case No. ARB/03/17), par. 27. Si vedain merito NOAH RUBINS & BERNHARD LAUTERBURG, Independence, Impartiality and Duty ofDisclosure in Investment Arbitration, Eleven International Publishing, 2010, 157.

(10) Vedi Suez v. Argentina, par. 28.(11) Participaciones Inversiones Portuarias SARL v. Gabonese Republic, ICSID Case.

No. ARB/08/17.(12) PIP v. Gabon, par. 21; vedi anche Alpha Projektholding GMBH v. Ukraine (ICSID

Case No. ARB/07/16).(13) UNCITRAL Arbitration Rules, art. 11.(14) SCC Arbitration Rules, 2010, art. 14(1),(15) LCIA Arbitration Rules, 2014, Art. 5.3; American Arbitration Association, Com-

mercial Arbitration Rules and Mediation Procedures, 2016, R-18.

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Appare quindi condivisibile la ricostruzione di quanti desumono dallagiurisprudenza dei tribunali ICSID la volontà di avvicinare l’interpretazionedel testo ICSID alla visione prevalente nel quadro dell’arbitrato internazio-nale che fonda la legittimità della nomina di un arbitro sul doppio requisitodella indipendenza e imparzialità (16).

Stabilito il fondamento normativo del requisito dell’imparzialità degliarbitri ICSID, la prima questione che occorre approfondire è vedere se, e inquale misura, l’assenza di tale imparzialità (lack of impartiality) possa costi-tuire il presupposto per un’istanza di rimozione di un membro di un tribunalearbitrale. Successivamente si verificherà se il mancato rispetto del requisitodell’imparzialità possa costituire il presupposto, sulla base delle disposizioniICSID applicabili, anche per l’impugnazione del lodo.

2. La mancanza di indipendenza e imparzialità come fondamento per larimozione dell’arbitro. — L’articolo 57 della Convenzione istitutiva dell’IC-SID autorizza una parte a chiedere ad una commissione di conciliazione o a untribunale arbitrale la rimozione di uno dei suoi stessi membri, in ragione di« any fact indicating manifest lack of the qualities required by paragraph(1) » (17). Nel caso in cui la commissione o il tribunale ritenga fondato ilricorso, l’arbitro (o conciliatore) deve obbligatoriamente essere sostituito (18).Nell’ipotesi di un’istanza che punti a rimuovere un arbitro unico o la maggio-ranza dei membri di un tribunale, essa viene presentata al presidente dell’Ad-ministrative Council dell’istituzione, il quale decide in merito. In quest’ultimaipotesi, si potrebbe ipotizzare una maggiore obiettività nel giudizio, conside-rando che negli altri casi è il tribunale stesso che deve giudicare dell’idoneitàdi uno dei suoi membri. Tale circostanza è stata da taluno invocata pergiustificare, forse semplicisticamente ma con un qualche fondamento di verità,l’elevato tasso di rigetto di istanze relative alla rimozione di un membro di untribunale, che costituiscono la larga maggioranza dei casi esaminati (19).

In ogni caso, in tutte le ipotesi di istanze di ricusazione di un arbitroICSID, sono i soggetti interni all’istituzione a deciderne le sorti, senza alcunintervento da parte del giudice statale. Il sistema ICSID creato dalla Conven-zione di Washington è completamente “autosufficiente”, in quanto durante ilprocedimento arbitrale, fino all’adozione del lodo, non vi è alcuna interazionetra l’attività del tribunale arbitrale e i sistemi nazionali (20). La mancatapossibilità per le parti di richiedere la ricusazione di un arbitro ad un giudice

(16) DE BRABANDERE, Investment treaty Arbitration as Public International Law - proce-dural aspects and implications, Cambridge University Press, 2014, 81.

(17) Convenzione ICSID, art. 57.(18) Convenzione ICSID, art. 58.(19) Vedi in proposito DAELE, Challenge and Disqualification of Arbitrators in Interna-

tional Arbitration, Kluwer, 2012.(20) Si veda ATTERITANO, L’enforcement delle sentenze arbitrali del commercio interna-

zionale: Il principio del rispetto della volontà delle parti, Torino, 2009, 65 e ss.

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nazionale non è altro che uno degli elementi della radicale autonomia delsistema ICSID rispetto agli ordinamenti nazionali, che si manifesta altresìnella assoluta autonomia della costituzione del tribunale, nel potere cautelareesclusivo che non lascia al giudice nazionale alcun margine di interferenzadurante il procedimento arbitrale (21) e nell’assenza di controllo impugnatorioad opera delle giurisdizioni statuali.

La questione centrale, affrontata più volte dai tribunali investiti diun’istanza ex art. 57, attiene alla reale portata del requisito di imparzialità e aitermini nei quali esso può giustificare la sostituzione di un arbitro. In viapreliminare occorre sottolineare che, come si vedrà nell’analisi della giuri-sprudenza arbitrale sulla questione, indipendenza e imparzialità sono spessoconsiderati dai tribunali unitariamente: questo per la ovvia complementaritàdi esse e per la già citata strumentalità del primo elemento ai fini delladeterminazione del secondo.

Al riguardo, il punto di partenza non può che essere la disposizione su cuisi fonda la richiesta di disqualification. Nell’autorizzare una parte a proporrela rimozione di un arbitro, l’articolo 57 opera un espresso riferimento allequalità previste dall’articolo 14. La giurisprudenza arbitrale si è più voltepronunciata sul testo della disposizione, al fine di stabilire la natura e lecaratteristiche di tale requisito. Come evidenziato da diversi contributi dot-trinali in materia (22), tradizionalmente i tribunali nelle loro decisioni pongonol’accento sulla necessaria manifest lack di uno o più tra gli elementi previstidalla norma, stabilendo requisiti per l’accoglimento di un’istanza di rimozionepiuttosto difficili da soddisfare, spesso anche sulla base di autorevoli contributidottrinali (23). In particolare, il Tribunale ICSID nel caso Suez v. Argentina,relativo all’istanza di sostituzione di un membro del Tribunale, nell’interpre-tare la disposizione prevista dall’articolo 14 ha affermato: « the term “mani-fest” means “obvious” or “evident” » (24). La giurisprudenza in questo caso haritenuto che la circostanza in base alla quale la mancanza di uno dei requisitiex art. 14 debba essere “manifesta”, implica un onere della prova particolar-mente impegnativo per la parte che propone la rimozione.

Come nel caso dei requisiti relativi alla nomina di un arbitro, il testo

(21) Vedi artt. 37, 38, 39, 40 e 47 della Convenzione ICSID.(22) Vedi BERNASCONI-OSTERWALDER, JOHNSON, MARSHALL, Arbitrator Independence and

Impartiality: Examining the dual role of arbitrator and counsel, IV Annual Forum for Develo-ping Country Investment Negotiators, 2010; cfr. anche VASANI & PALMER, Challenge andDisqualification of Arbitrators at ICSID: A New Dawn?, 2014, 194-216.

(23) Si veda in particolare SCHREUER, The ICSID Convention: A Commentary, Cam-bridge, Cambridge University Press, 2001, 1200 (par.16), il quale sottolinea che la parola“manifest” nel testo ICSID comporta una “relatively heavy burden of proof on the party makingthe proposal...”.

(24) Suez, Sociedad General de Aguas de Barcelona S.A., and InterAgua ServiciosIntegrales del Agua S.A. v. Argentine Republic (ICSID Case ARB/03/17 and ARB/03/19), par.29; sulla stessa linea interpretativa vedi anche Participaciones Inversiones Portuarias SARL v.Gabonese Republic, (ICSID Case No. ARB/08/17), par. 22.

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ICSID si differenzia da altre istituzioni arbitrali, quali l’UNCITRAL, le cuiArbitration Rules consentono la rimozione di un arbitro ove il tribunale abbia“justifiable doubts” in merito alla mancanza di uno dei requisiti previsti per lasua nomina (25). Ciò che il requisito per la rimozione di un arbitro ICSIDsembra avere in comune con il sistema UNCITRAL è la necessaria oggettivitàdella valutazione sulle qualità dell’arbitro, come affermato in una delledecisioni relative al caso Vivendi v. Argentina (26). Qui, affinché venisserilevata la manifesta mancanza di indipendenza di un arbitro, si è affermata lanecessità che le circostanze rilevanti prese in considerazione fossero tali danegare o porre in dubbio in maniera evidente l’apparenza di tale indipen-denza (27).

La necessaria oggettività della valutazione in merito ai presupposti chegiustificano la sostituzione di un arbitro è legata, nella ricostruzione deitribunali, ad un onere della prova in capo alla parte che propone l’istanza (28).Secondo tale ricostruzione, il testo ICSID « places a heavy burden of proof [...]to establish facts that make it obvious and highly probable, not just possible,that [the challenged arbitrator] is a person who may not be relied upon toexercise independent and impartial judgment » (29). Nel caso EDF v. Argentina,il Tribunale ha affermato che un’istanza di rimozione fondata sulla mancanzadi indipendenza ed imparzialità, affinché possa avere successo, deve basarsi suuna relazione che vada al di là di rapporti de minimis tra l’arbitro ed una delleparti (30).

La linea interpretativa fin qui delineata è stata ampiamente contestata daicommentatori, nonché smentita da ulteriori pronunce arbitrali, che hannoevidenziato come essa finisca per rendere ammissibili relazioni tra arbitro eparte del procedimento arbitrale, considerate inaccettabili nella maggior partedelle legislazioni nazionali, nonché nell’arbitrato commerciale privato (31). Viè chi, dopo aver ripercorso le tappe che hanno portato alla Convenzione diWashington, ha affermato che i tribunali che hanno interpretato il termine“manifest” di cui all’articolo 57, concentrandosi sulla gravità della mancanza

(25) Si vedano le UNCITRAL Arbitration Rules, United Nations Commission onInternational Trade Law, 2010, Rule 10.

(26) Compañía de Aguas del Aconquija S.A. and Vivendi Universal S.A. v. ArgentineRepublic (ICSID Case No. ARB/97/3), 24 settembre 2001.

(27) Vivendi cit., par. 26.(28) Cfr. BERNASCONI-OSTERWALDER, JOHNSON, MARSHALL, Arbitrator Independence and

Impartiality: Examining the dual role of arbitrator and counsel, IV Annual Forum for Develo-ping Country Investment Negotiators, 2010, p. 12.

(29) Suez, Sociedad General de Aguas de Barcelona S.A. and InterAguas ServiciosIntegrales del Agua S.A (ICSID Case No. ARB/03/17), par. 29; vedi anche Amco Asia Corp. v.Indonesia (ICSID Case ARB/81/1).

(30) EDF International S.A., SAUR International S.A. and León Participaciones Argen-tinas S.A. v. Argentine Republic (ICSID Case No. ARB/03/23), parr. 132-33.

(31) Vedi VASANI & PALMER, cit., 197; vedi anche KAHALE III, Is Investor-State ArbitrationBroken?’, TDM Journal, 2012.

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del requisito richiesto, avrebbero frainteso le reali intenzioni dei redattori deltesto ICSID (32).

Secondo l’opinione dello stesso Autore, le disposizioni ICSID relativealla challenge nei confronti di un arbitro non erano state ideate come mezzoper rendere estremamente complicato l’accoglimento della relativa istanza. Larisalente interpretazione del termine manifest ai sensi dell’art. 57, cozzerebbecon l’obiettivo generalmente riconosciuto alle modalità di risoluzione deiconflitti ICSID: fornire strumenti di risoluzione delle controversie che offranole maggiori garanzie possibili di legalità, giustizia e imparzialità (33).

Sulla stessa linea diversi tribunali hanno interpretato lo standard della“manifest lack” in maniera non difforme rispetto ai “justifiable doubts” delleregole UNCITRAL, allargando dunque lo spettro delle possibili istanze diricusazione (34).

Particolarmente rilevante è il contributo apportato dalla decisione rela-tiva all’istanza di ricusazione nei confronti del presidente della AnnulmentCommittee nel caso Vivendi v. Argentina (35). La decisione ha criticamentemesso in discussione la tradizionale visione della “manifest lack” cosi comeinterpretata in Amco Asia Corp. v. Indonesia (1982), sottolineando che taleimpostazione era già stata a ragione più volte ritenuta inadeguata a risolvereil problema del conflitto di interesse degli arbitri (36). Secondo l’interpreta-zione del Tribunale, nei casi di consulenze affidate da un arbitro ad una delleparti, l’argomento secondo cui, affinché sia salva l’indipendenza, e, conseguen-temente, l’imparzialità dell’arbitro, è sufficiente la non attinenza della consu-lenza rispetto all’oggetto della presente lite, non è convincente. La solaesistenza di tale rapporto basta a creare “reasonable concern as to indepen-dence”, a meno che esso sia davvero da considerarsi, sulla base delle circo-stanze, “minor and wholly discrete” (37). Il Tribunale prosegue nel richiamareil principio, diverso da quello seguito dall’interpretazione precedente, secondocui se l’analisi dei fatti conduce il collegio giudicante ad avere « some reaso-nable doubt as to the impartiality of the arbitrator or member », l’istanza dirimozione dovrebbe essere accolta (38).

In questo caso dunque il criterio interpretativo applicato si avvicina moltodi più a quello relativo alle regole UNCITRAL piuttosto che all’interpreta-zione restrittiva del testo ICSID già analizzata precedentemente. Lo standard

(32) DAELE, Challenge and Disqualification of Arbitrators in International Arbitration,Kluwer Law International, 2012.

(33) Vedi DAELE, cit., parr. 5-005, 5-007.(34) Si veda ad esempio Hrvatska Elektroprivreda, d.d. v. Republic of Slovenia (ICSID

Case No. ARB/05/24).(35) Compañía de Aguas del Aconquija S.A. & Vivendi Universal v. Argentine Republic

(ICSID Case No. ARB/97/3).(36) Vivendi v. Argentina (2001), cit. parr. 20, 21.(37) Vivendi v. Argentina (2001), cit. par. 22.(38) Vivendi v. Argentina (2001), cit. par. 25.

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dei reasonable doubts è stato utilizzato anche in EDF v. Argentina, in quantoil Tribunale, incaricato di decidere in merito alla presunta mancanza diimparzialità di uno dei suoi membri, ha affermato: « if reasonable doubts existon this matter, she (the arbitrator) should cease to serve in these proceedings ».Nell’interpretazione del Tribunale sarebbe sufficiente anche la sola esistenzadi ragionevoli dubbi circa il possesso dei requisiti ex art. 14, affinché l’arbitrovenga rimosso dal collegio arbitrale (39).

Alla luce di quanto esposto, emergono due diverse linee interpretative ingiurisprudenza, le quali differiscono circa il grado di evidenza che la mancanzadi imparzialità deve avere affinché un’istanza di rimozione ex art. 57 possa essereaccolta. Vi è però sostanziale concordia, seppur con differenziazioni termino-logiche, nel rilevare la necessità di una valutazione il più possibile oggettiva dellecircostanze, al fine di stabilire se l’istanza possa essere accolta o meno.

Il caso Blue Bank v. Venezuela (2013) ha rappresentato un momentoimportante per l’evoluzione della giurisprudenza in materia (40): questa voltal’istanza di rimozione presentata dal Venezuela nei confronti del membro delTribunale nominato dalla controparte ha avuto successo e ciò in ragione delfatto che questi aveva svolto il ruolo di legale per l’investitore in un altroprocedimento arbitrale. La decisione pare invertire una tendenza per lo menostatistica che, sulle precedenti 36 challenges non conclusesi con la rinunciadell’arbitro al proprio ruolo, aveva visto solo un’istanza accolta a fronte di 35rigettate (41). Un ulteriore elemento di interesse è costituito dal fatto che, aseguito di questa decisione, nel giro di pochi mesi, altre due istanze dirimozione sono state accolte (42). Si registra un’inversione di tendenza che hacondotto negli ultimi anni, in maniera condivisibile a giudizio di chi scrive,all’affermarsi di un nuovo orientamento fondato su una interpretazione deirequisiti ex art. 57 della Convenzione meno penalizzante per la parte propo-nente l’istanza di rimozione.

Alcuni commentatori si sono spinti più in là, sostenendo che la decisionenel caso Blue Bank potrebbe indicare che il sistema ICSID sta andando nelladirezione del “reasonable doubts test” tipico, come visto, della maggior partedei sistemi istituzionali di arbitrato commerciale (43).

(39) EDF International S.A., SAUR International S.A. and León Participaciones Argen-tinas S.A. v. Argentine Republic (ICSID Case No. ARB/03/23). parr. 132-133.

(40) Blue Bank International & Trust (Barbados) Ltd v. Bolivarian Republic of Vene-zuela, ICSID Case No ARB/12/20. 12 novembre 2013).

(41) Cfr. VASANI & PALMER, cit., p. 195. L’unica istanza precedentemente accolta era statain Vıctor Pey Casado and President Allende Foundation v. Republic of Chile, ICSID Case NoARB/98/2, 21 febbraio 2006.

(42) Vedi i casi di Burlington Resources, Inc v. Republic of Ecuador, ICSID Case NoARB/08/5 e Caratube International Oil Company LLP and Devincci Salah Hourani v. Republicof Kazakhstan, ICSID Case No ARB/13/13.

(43) Vedi DAELE, The Standard for Disqualifying Arbitrators Finally Settled and Lowered,in 29 ICSID Rev-FILJ, 296, 2014, 302, il quale afferma che « by doing so, the ICSID Chairmanappears to return to the reasonable doubts test as it was applied in the earlier 2000’s ».

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Entrando nel merito della decisione, il Tribunale ha affermato che, ai finidel giudizio di indipendenza, gli articoli 57 e 14 della Convenzione nonrichiedono la prova di corruzione o dipendenza nei confronti di una parte; èsufficiente invece “l’apparenza” della sussistenza di tale situazione. Tuttavia,affinché tale apparenza venga stabilita, è necessaria una valutazione ragione-vole basata su di un “objective standard”, e non su di una valutazionepuramente soggettiva. Il Tribunale si è riferito alle Linee Guida dell’Inter-national Bar Association (IBA Guidelines) in materia di conflitti di inte-resse (44), allontanandosi dal tradizionale approccio restrittivo che richiedevanecessariamente l’ovvietà ed evidenza della violazione affinché la condizioneposta dall’articolo 57 potesse essere soddisfatta (45).

Il caso Blue Bank e le successive ulteriori pronunce arbitrali hannosenz’altro segnato una svolta nella giurisprudenza in materia di rimozione diun arbitro ICSID per difetto di indipendenza e imparzialità. Tale orienta-mento è stato confermato dagli sviluppi giurisprudenziali successivi, come lediverse decisioni susseguitesi nel caso Conoco v. Venezuela, relative allarichiesta da parte del Respondent State di ricusare prima la maggioranza deltribunale (46), e successivamente un singolo membro dello stesso (47). In talipronunce, si è riaffermato il duplice concetto della apparente bias o depen-dence come sufficiente a motivare la rimozione dell’arbitro, da un lato, e lanecessaria oggettività della valutazione che deve essere basata “on a reaso-nable evaluation of the evidence”, dall’altro. Da ultimo, la recente decisionerelativa al caso BSG v. Guinea, riprende e conferma tale orientamento: inquesto caso il Tribunale si è riferito al testo in spagnolo della Convenzione perribadire che l’imparzialità costituisce requisito essenziale dell’arbitro ex art.14. Viene inoltre confermata la teoria dell�“objective standard” (48).

L’attuale interpretazione del requisito, basata essenzialmente su di unalettura meno stringente della “manifest lack” ex art. 14, secondo cui la solaapparenza di relazioni con una parte o di parzialità è sufficiente a condurrealla rimozione dell’arbitro, combinata con l’oggettività della valutazione daparte del collegio decidente, va integralmente condivisa. In particolare, l’in-terpretazione tradizionalmente restrittiva dei requisiti previsti dall’articolo 14risulta contraria, non solo alle norme applicate nelle altre istituzioni arbitrali

(44) IBA Guidelines on Conflicts of Interest in International Arbitration, InternationalBar Association, 2014.

(45) Blue Bank (2013), parr. 59-62.(46) ConocoPhillips Petrozuata B.V., ConocoPhillips Hamaca B.V. and ConocoPhillips

Gulf of Paria B.V. v. Bolivarian Republic of Venezuela (ICSID Case No. ARB/07/30), Cono-coPhillips Hamaca B.V. and ConocoPhillips Gulf of Paria B.V. v. Bolivarian Republic ofVenezuela (ICSID Case No. ARB/07/30), ConocoPhillips Hamaca B.V. and ConocoPhillipsGulf of Paria B.V. v. Bolivarian Republic of Venezuela (ICSID Case No. ARB/07/30).

(47) ConocoPhillips Petrozuata B.V., ConocoPhillips Hamaca B.V. and ConocoPhillipsGulf of Paria B.V. v. Bolivarian Republic of Venezuela (ICSID Case No. ARB/07/30).

(48) BSG Resources Limited, BSG Resources (Guinea) Limited and BSG Resources(Guinea) SARL v. Republic of Guinea, (ICSID Case No. ARB/14/22, parr. 52-58.

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internazionali (UNCITRAL, SCC), ma anche quelle che disciplinano i dirittinazionali (49). La recente tendenza giurisprudenziale risulta inoltre giustifi-cata, oltre che dalla comparazione con altri sistemi, soprattutto da unamotivazione di più ampio respiro, legata alla ragione stessa dell’istituzioneICSID. Essa nasce ovviamente come strumento per la risoluzione di contro-versie da parte di un’autorità terza ed indipendente, la quale, proprio in virtùdi tali requisiti, dovrebbe essere la più autorevole ad assolvere tale compito,fuori dall’influenza dei giudici nazionali (50). Coerentemente con questa im-postazione, anche solo il rischio che l’esercizio di tale funzione non siaintegralmente contraddistinto da terzietà ed obiettività nel giudizio, autorizzala preventiva rimozione di chi è gravato da tale sospetto, purché tale valuta-zione venga compiuta considerando oggettivamente le circostanze e nonbasandosi sulle mere assunzioni della parte proponente la domanda di rimo-zione. Un’interpretazione meno rigorosa, che consenta ad un arbitro, neiconfronti del quale, sulla base delle circostanze, penda un forte sospetto dimancanza di obiettività, di rimanere nel collegio giudicante, finirebbe persfavorire una delle due parti, nella maggior parte dei casi lo Stato convenutonel procedimento arbitrale. D’altra parte non può tacersi come non manchinoopinioni critiche nei confronti dell’istituzione, in particolare dal mondo acca-demico, che contestano alla radice lo strumento dei Trattati di Investimentononché il procedimento arbitrale ICSID, per l’asserito squilibrio che la loroesistenza ed applicazione comporterebbe a vantaggio degli investitori privatie a danno degli Stati, penalizzando il diritto di questi ultimi di disciplinarenell’interesse dei propri cittadini le attività e relazioni economiche che sisvolgono nel proprio territorio (51).

3. La mancanza di indipendenza e imparzialità come presupposto perl’impugnazione del lodo. — L’articolo 52 della Convenzione ICSID disciplinai presupposti e la procedura per proporre un’istanza di annullamento di unlodo ICSID al cospetto di un comitato ad hoc istituito per decidere sul-l’istanza. Il primo comma della disposizione elenca i motivi sulla base dei qualiuna parte può proporre la domanda al Segretario Generale dell’istituzione.Esso stabilisce che “ciascuna Parte può chiedere, per scritto, al Segretariogenerale l’annullamento della sentenza per uno qualsiasi dei motivi seguenti: a.vizio nella costituzione del Tribunale; b. abuso manifesto di potere del Tribu-nale; c. corruzione d’un membro del Tribunale; d. inosservanza grave d’unaregola fondamentale di procedura; e. infondatezza” (52).

(49) Cfr. nota n. 3.(50) Vedi DAELE (n. 6), cit.(51) Si veda in particolare il Public Statement on the International Investment Regime,

Osgoode Hall Law School, York University, 2010, pubblicato a firma di diversi giuristi sullostatus del diritto internazionale degli investimenti.

(52) Convenzione ICSID, art. 52.

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Come evidenziato precedentemente, il fondamento normativo che richiedeindipendenza ed imparzialità agli arbitri si rinviene nell’articolo 14, disposizionerichiamata espressamente dall’articolo 57 (53). Al contrario, leggendo l’articolo52, non vi è un esplicito riferimento alla norma che tratta di indipendenza del-l’arbitro, sicché motivare l’annullamento di un lodo già emesso per mancanzadi imparzialità sembra a prima vista un’operazione più complessa.

Il punto d) del primo comma della disposizione autorizza la proposizionedell’istanza nel caso in cui « ... there has been a serious departure from afundamental rule of procedure » (54). Come è stato evidenziato in autorevolicontributi dottrinali (55), sovente la parte proponente l’istanza sulla basedell’art. 52(1)(d) ha lamentato una lack of impartiality nella condotta degliarbitri precedente alla decisione o nel lodo stesso (56). I ricorrenti hannospesso richiamato l’articolo 14 quale norma procedurale a cui fare riferimentoper l’ottenimento dell’annullamento.

Tuttavia, va rilevato che quasi tutte le istanze presentate nel corso deglianni sulla base di tale motivo sono state respinte (57); diversamente domandefondate su altri motivi, come quella di cui alla lettera e della disposizione (thatthe award has failed to state the reasons on which it is based (58)), hanno avutobuon esito in diverse occasioni (59), nonostante l’ambito di applicazione al-l’apparenza più ristretto.

Al fine di comprendere le ragioni dello scarso successo dei ricorsi fondati,tra gli altri motivi, su lack of impartiality, occorre in primo luogo esaminare lastruttura della disposizione. Essa stabilisce che, affinché un’istanza possaavere esito positivo, la norma inosservata da parte del tribunale debbanecessariamente essere “fundamental”, e la sua violazione “serious”. Nelledecisioni dei tribunali, tale doppio requisito è stato più volte valorizzato perinterpretare la norma in senso piuttosto restrittivo. In MINE v. Guinea, ilComitato ad hoc ha affermato che « [...] the text of Article 52(1)(d) makes [it]clear that not every departure from a rule of procedure justifies annulment; itrequires that the departure be a serious one and that the rule of procedure befundamental in order to constitute a ground of annulment » (60). In questa,

(53) Vedi Convenzione ICSID, cit., art. 57.(54) Convenzione ICSID, cit., art. 52(1)(d).(55) Si veda ad esempio SCHREUER, The ICSID Convention: A Commentary, Second

Edition, Cambridge University Press, 2009, 984.(56) Vedi tra le altre Klockner v. Cameroon, Decision on Annulment, 3 May 1985, parr.

93-113.(57) L’unica istanza accolta è quella relativa al caso Fraport AG v. Republic of the

Philippines, ICSID Case No. ARB/03/25 (Annulment Proceedings), Decision of December 23,2010.

(58) Convenzione ICSID, art. 52(1)(e).(59) Vedi in proposito SCHERER, ICSID Annulment Proceedings Based on Serious De-

parture from a Fundamental Rule of Procedure, Czech (& Central European) Yearbook ofArbitration, 2010.

(60) Maritime International Nominees Establishment (MINE) v. Government of Guinea(Guinea), ICSID Case No. ARB/84/4, Decision on Annulment, 6 gennaio 1988, par. 4.06.

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come in altre decisioni (61), è stato affermato che incombe alla parte cherichiede l’annullamento dimostrare che l’inosservanza della regola in que-stione sia stata talmente sostanziale da privare la parte stessa della protezioneche quella norma le avrebbe normalmente garantito. In taluni casi gli arbitrisi sono spinti oltre, stabilendo che, ai fini dell’accoglimento della domanda, laparte ricorrente deve dimostrare che la mancata osservanza della regola hacondotto il tribunale ad addivenire ad una decisione diversa (substantiallydifferent) da quella che avrebbe adottato se la norma fosse stata rispettata (62).Nonostante quest’ultima ricostruzione non sia generalmente accettata, è in-dubbio che la giurisprudenza arbitrale maggioritaria abbia applicato in mododecisamente rigoroso l’articolo 52(1)(d), con la conseguente tendenza a riget-tare le istanze di annullamento fondate su tale motivo.

La premessa generale relativa all’articolo 52(1)(d) è fondamentale percomprendere il caso specifico di richieste presentate sull’assunto della man-canza di imparzialità da parte del tribunale o di membri dello stesso. Tra i casirisalenti, uno tra i più rilevanti ai fini della nostra indagine è Klockner v.Cameroon, tra le prime annulment decisions nell’ambito del sistema IC-SID (63). La decisione a cui ci si riferisce è la cosiddetta Klockner I, in quanto,pochi anni dopo, vi è stata una ulteriore pronuncia di annullamento (KlocknerII). Nella prima decisione, il comitato ad hoc ha annullato il lodo arbitralesulla base di un diverso motivo ex art. 52(1), ovvero per abuso manifesto dipotere, ma ha comunque risposto alle osservazioni della parte proponente cheincludevano una “obvious lack of impartiality” (64). Il Comitato, prima dianalizzare le argomentazioni addotte in merito, ha affermato il principiosecondo cui qualsiasi mancanza in tema di imparzialità di un arbitro costitui-sce il presupposto per una “serious departure from a fundamental rule ofprocedure” ex art. 52(1)(d) (65). L’articolo 14 della Convenzione che richiedeimparzialità e indipendenza agli arbitri rientra tra le disposizioni fondamen-tali. Nella ricostruzione di taluni autori, questo passaggio implicherebbe cheanche una violazione all’apparenza irrilevante della disposizione rispetto almerito del giudizio diverrebbe serious e dunque giustificherebbe l’annulla-mento (66). Quanto al merito degli addebiti mossi al tribunale di primo grado,

(61) Si veda CDC Group v. Republic of Seychelles, ICSID Case No. ARB/02/14, Decisionon Annulment, 29 giugno 2005, parr. 48-49; Wena Hotels Limited v. Arab Republic of Egypt,ICSID Case No. ARB/98/4, Decision on Annulment, 5 febbraio 2002.

(62) Wena Hotels v. Egypt, par. 58; vedi anche Enron Creditors Recovery Corp. andPonderosa Assets, L.P. v. Argentine Republic, ICSID Case No. ARB/01/3, Decision on theApplication for Annulment of the Argentine Republic, 30 luglio 2010, par. 71.

(63) Klöckner Industrie-Anlagen GmbH v. Republic of Cameroon, ICSID Case No.ARB/81/2, Decision on Annulment, 3 maggio 1985; per un’analisi approfondita dell’evoluzionestorica dei casi di annulment, cfr. SCHREUER, Three Generations of ICSID Annulment Procee-dings, Wordpress, 1986.

(64) Klockner v. Cameroon I, parr. 93-113.(65) Ibid., par. 95.(66) SCHREUER, The ICSID Convention: A Commentary, cit., 983.

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il Comitato ha escluso l’ipotesi di parzialità, stabilendo che quanto deciso nellodo dal Tribunale, seppur criticabile all’apparenza, non è sufficiente perstabilire che vi sia stato un difetto di imparzialità dovuto ad una mancanza diindipendenza, in quanto il Tribunale avrebbe potuto raggiungere quelleconclusioni “in all conscience and neutrality” (67). In questo caso il Comitatoad hoc, seppur riconoscendo che alcuni elementi del lodo (tra cui il wordingdi alcuni suoi passaggi) siano tali da generare un legittimo sospetto nella partericorrente, ha adottato un’interpretazione restrittiva dell’art. 52(1)(d), eviden-ziando come non si possa stabilire lack of impartiality sulla base delle soleconclusioni espresse nel lodo, le quali nella fattispecie riflettono invece l’ideadel Tribunale circa i doveri di reciproca cooperazione tra le parti, cui la partericorrente era venuta meno (68).

Un altro caso relativo alla prima « generazione » di decisioni relative arichieste di annullamento è il cosiddetto Amco I, nel quale l’Indonesia, inqualità di Respondent State nel procedimento di fronte al Tribunale, avevapresentato una richiesta di annullamento al comitato ad hoc, fondando la suadomanda principalmente su un difetto di imparzialità da parte del Tribu-nale (69). Tale mancanza di imparzialità, sollevata su più versanti dallo Statoricorrente, è stata rigettata dal Comitato principalmente su motivi di naturafattuale (70). Ciò che accomuna i casi Klockner I e Amco I è l’interpretazioneche non rinviene automaticamente lack of impartiality, ai sensi dell’art.52(1)(d), nella presenza di trattamenti apparentemente parziali o ineguali neiconfronti di una parte. Espressioni critiche nei confronti di una parte odisparità nello spazio garantito alle stesse per presentare i rispettivi argomenti,nell’interpretazione dei due tribunali, non sono sufficienti a stabilire la provadi pregiudizio da parte del collegio (71).

Una decision on annulment più recente che si è confrontata conun’istanza fondata su mancanza di imparzialità ex art. 52(1)(d) è quellarelativa al caso CDC Group v. Seychelles (72). La Repubblica delle Seychelleslamentava parzialità da parte di un membro del Tribunale durante il proce-dimento arbitrale, sostenendo che questi, durante le audizioni delle parti,aveva posto domande alle stesse in un modo che lasciava intendere una suabenevola predisposizione nei confronti dell’investitore. Lo Stato ricorrentesosteneva inoltre che alcuni passaggi dello stesso lodo rivelavano in generale

(67) Klockner v. Cameroon I, par. 110.(68) Vedi in merito RAYFUSE, ICSID Reports: Volume 2: Reports of cases Decided Under

the Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of OtherStates, 1965, Cambridge University Press, 1994, 131.

(69) Amco Asia Corporation and others v. Republic of Indonesia, Decision on Annul-ment, May 16 1986.

(70) Ibid., parr. 30, 91, 122, 123-124.(71) Vedi SCHREUER, The ICSID Convention: A Commentary, cit., 986.(72) CDC Group plc v. Republic of the Seychelles, Decision on Annulment, ICSID case

No. ARB/02/14, 25 giugno 2005.

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una mancanza di imparzialità da parte del Tribunale (73). Il Comitato, nelrigettare l’istanza, si sofferma su un punto preliminare di particolare diinteresse in questa sede. Esso imputa alla parte ricorrente di non aversollevato la mancanza di imparzialità dell’arbitro ex art. 57 della ConvenzioneICSID e art. 9 delle Arbitration Rules, prima che il lodo fosse emesso.L’istanza di rimozione dell’arbitro, secondo il Comitato, risulta il rimedio piùappropriato nel caso in cui la condotta che avrebbe violato la regola proce-durale sia stata posta in essere durante l’udienza preliminare delle parti (74). IlComitato, a supporto delle proprie argomentazioni, si riferisce alla Note B. toICSID Arbitration Rule 9 (75), la quale stabilisce che le istanze di rimozione diun arbitro devono essere presentate “promptly” (prima possibile) rispetto almomento in cui la parte interessata apprende dell’esistenza di motivi perproporre la rimozione. Nel caso in cui essa riceva l’informazione troppo tardiper poter proporre un’azione ex art. 57, il rimedio esperibile diviene larichiesta di annulment ex articolo 52. Seguendo tale ragionamento, il Comitatoarriva a sostenere che, non avendo sollevato la richiesta di rimozione dell’ar-bitro nel tempo intercorso tra la fine delle audizioni preliminari e l’adozionedel lodo, la parte ricorrente ha tacitamente rinunciato a sollevare una que-stione di imparzialità, e dunque l’istanza ex art. 52 non può essere accet-tata (76). Il Comitato ha poi rigettato la richiesta di annulment sulla base dellecircostanze relative al comportamento dell’arbitro, giudicato nei fatti impar-ziale (77).

La decisione sembra dunque stabilire un rapporto di stretta interdipen-denza tra l’istanza di rimozione di un arbitro e quella di impugnazione del lodo,laddove il motivo addotto sia in entrambi casi la lack of impartiality. Lo strettolegame individuato dal Comitato ad hoc in CDC, sulla base del quale la mancatachallenge nei confronti di un arbitro per fatti conosciuti prima dell’adozione dellodo rende perlomeno dubbia la legittimità ad impugnare il lodo, lascia inten-dere che vi è sostanziale unicità dei concetti di imparzialità e indipendenza, aprescindere dal tipo di azione esperita. Al di là della questione temporale, percui l’impugnazione del lodo rimane l’unico strumento utilizzabile solo nel casoin cui l’eventuale violazione della norma fondamentale non sia precedente al-l’adozione del lodo, il concetto di imparzialità sembra in entrambi i casi esserelo stesso, pacifico anche in ambito internazionale, di pregiudizio soggettivo diun arbitro nei confronti di una parte, che si riflette in un comportamento nonequo all’interno della procedura arbitrale (78).

(73) Ibid., par. 51.(74) Ibid., par. 53.(75) Nota pubblicata nel 1975 come parte de “ICSID Regulations and Rules”.(76) CDC v. Seychelles, par. 53.(77) Ibid., parr. 54-55.(78) REDFERN & HUNTER, cit., 268.

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