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ISSN 1122-0147 ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXV - N. 2/2015 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina

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ISSN 1122-0147

ASSOCIAZIONEITALIANAPER L’ARBITRATO

Pubblicazione trimestraleAnno XXV - N. 2/2015Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

RIVISTADELL’ARBITRATOdiretta da

Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina

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già diretta da ELIO FAZZALARI.

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La Direzione e la Redazione della Rivista hanno sede presso l’Associazio-ne Italiana per l’Arbitrato, in Roma, Via Barnaba Oriani, 34 (c.a.p. 00197) tel. 06/42014749 - 06/42014665; fax 06/4882677; www.arbitratoaia.orge-mail: [email protected]’Amministrazione ha sede presso la Casa Editrice, in Milano (c.a.p. 20151),Via Busto Arsizio, 40 - Internet: http://www.giuffre.ite-mail: [email protected]

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INDICE

DOTTRINA

ANTONIO BRIGUGLIO, Class Arbitration in Italia: spunti di metodo per la(eventuale) prosecuzione delle indagini ............................................... 219

LAURA SALVANESCHI, I motivi di impugnazione del lodo: una razionaliz-zazione? .................................................................................................... 233

MICHELE FORNACIARI, Gli effetti del lodo e il falso problema della naturanegoziale oppure giurisdizionale dell’arbitrato ................................... 247

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) Comunitaria e Italiana

Sentenze annotate:

Corte di Giustizia dell’UE 13 maggio 2015, C-536/13, con nota di E. D’A-LESSANDRO, Volli, sempre volli, fortissimamente volli: la Corte di giu-stizia si pronuncia sul caso Gazprom ................................................... 283

Cass. Sez. Un. 25 ottobre 2013, n. 24153, con nota di L. BERGAMINI,Eccezione di patto per arbitrato estero: un nuovo revirement dellaCorte di Cassazione, tra disciplina interna e Convenzione di NewYork .......................................................................................................... 307

Cass. Sez. I. 3 giugno 2014, n. 12370, con nota di F. RIGANTI, Clausolacompromissoria binaria e arbitrato con pluralità di parti ................. 335

App. Roma 29 agosto 2013, con nota di M. DE SANTIS, La rilevabilitàd’ufficio dell’inesistenza della convenzione d’arbitrato per consun-zione (a causa di altro lodo su medesima domanda) ........................ 355

Trib. Piacenza 10 dicembre 2014, con nota di E. GABELLINI, Brevi notesulla compromettibilità delle controversie tra socio e cooperativa diproduzione e lavoro; art. 40 c.p.c. e connessione tra giudizio arbitralee giudizio ordinario ................................................................................ 365

III

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GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) Italiana

Lodi annotati:

Coll. arb. Bologna 16 dicembre 2014 (*)...................................................... 385

RASSEGNE E COMMENTI

GIORGIO DE NOVA, Arbitrato e consulenza tecnica: individuazione dellevoci di danno contrattuale ..................................................................... 389

MARCO F. CAMPAGNA, Obbligo del requisito di forma e compromesso ... 393LAURA BARISON, Un’indagine statistica sull’impugnazione del lodo arbi-

trale nazionale ......................................................................................... 403

DOCUMENTI E NOTIZIE

Le nuove IBA Guidelines on Conflicts of Interest in InternationalArbitration ............................................................................................... 411

(*) La decisione è annotata da E. GABELLINI congiuntamente alla precedente Trib.Piacenza 10 dicembre 2014

IV

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Class Arbitration in Italia: spunti di metodo per la(eventuale) prosecuzione delle indagini (*)

ANTONIO BRIGUGLIO (**)

1. Premessa. — 2. Oscillazioni e questioni oltre Atlantico. — 3. Gli spazi apertinell’ordinamento italiano.

1. Ormai ben approfondita negli Stati Uniti, per intuibili ragioni edin seguito a pronunciamenti giurisprudenziali di notevole peso e di segnoanche vivacemente dialettico, la riflessione teorico-pratica sul class arbi-tration è da noi ai primissimi vagiti.

Assodato l’interesse dei contributi che alcuni giovani autori hannodedicato al tema (1) e scontata l’utilità di documentarsi comunque sullaevoluzione della esperienza americana e se del caso di altre, mi chiedo ecerco di rispondere brevemente qui di seguito se l’orto meriti in Italia diesser coltivato.

Non sono affatto sicuro delle risposte, come dubitativo mi appare indefinitiva, circa la “trasferibilità” in Italia del class arbitration, anchequello, fra i cennati primi scritti, che si è dedicato alla questione (2).

Sarebbe già questa ragione sufficiente per indagare ancora.Ed intendo ovviamente prescindere dal nolle prosequi più facile e

avventato: ma quando mai accadrà in Italia? Ciò che è pure sommamenteimprobabile è però sempre possibile, e la riflessione deve in realtà prece-dere l’azione non viceversa. In ogni caso la rarità statistica del class

(*) Questo scritto è destinato agli Studi in onore di Diego Corapi.(**) Professore ordinario nella Università di Roma “Tor Vergata”.(1) Cfr. CASONI, Recenti sviluppi sulla class action arbitration negli Stati Uniti, in questa

Rivista, 2011, 118 ss.; ID., Le prospettive della class action arbitration alla luce delle ultimepronunce della Corte Suprema americana, in Obbligazioni e contratti, 2012, 537 ss.; GABOARDI,Arbitrato e azione di classe, in Riv. dir. proc., 2014, 987 ss.; Francesca BENATTI, In fuga versol’arbitrato: la crisi (ir)reversibile della class action statunitense, in Rassegna di diritto civile, 2014,500 ss.. Brevi quanto acuti riferimenti all’“arbitrato di classe” sono stati recentemente dedicati,pur in trattazione di altro contesto, anche dal Maestro cui è dedicato questo scritto (v. CORAPI,Appunti in tema di arbitrato societario, in Riv. dir. comm., 2015, 1 ss., spec. 16 ss.).

(2) Mi riferisco a GABOARDI, op. cit., pur orientato tendenzialmente in senso affermativo.

DOTTRINA

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arbitration o delle questioni ad esso comunque relative (a partire dallaeventuale “eccezione di compromesso” di fronte a giudice ordinarioinvestito di una azione di classe ex art. 140 bis cod. cons.) è una rarità daconsiderarsi sempre, già in altri lidi e soprattutto nei nostri, in terminirelativi rispetto alla stessa eccezionalità dello strumento class action inquanto tale.

2. I termini comparatistici del problema, rispetto al versante statu-nitense come anche ad eventuali altri, ma direi i termini stessi delproblema in assoluto, devono naturalmente prescindere dalle situazioni —per altri versi problematiche e degne di considerazione ma evidentementeben diverse — di collective arbitration o mass proceedings in arbitrato —in cui si tratti di semplice litisconsorzio facoltativo plurimo, ed assainumeroso, in arbitrato, ovvero ancora si tratti (più verosimilmente) digruppi molto cospicui di consumatori rappresentati o anche solo “orga-nizzati” e supportati in arbitrato da un unico soggetto (come è accadutonell’ormai arcinoto caso ICSID Abaclat v. Argentina (3), ove pure lequestioni processuali discusse hanno coinvolto, ma solo per ragioni diempirica assonanza, le tematiche da un lato del class arbitration americanoe, dall’altro, della esistenza e da quando e in che modi, in Italia, di unprocesso consumeristico collettivo (4)).

Del pari deve restare per il momento fuori dalla riflessione, o megliopresupposta, la questione della validità ed efficacia della clausola compro-missoria nei contratti con i consumatori, nel senso che qualunque aperturaal class arbitration, in direzione cioè della estensione oggettiva dellaconvenzione arbitrale fino ricomprendervi la possibilità che da essa sca-turisca un giudizio di classe, sconta ovviamente la esigenza previa che laconvenzione arbitrale sia in assoluto valida ed efficace dal punto di vistadel diritto dei consumatori. Il che, in Europa soprattutto, potrebbe ridurredi molto la portata concreta di quella estensione oggettiva almeno quandoil consumatore fosse attore di classe innanzi al giudice ordinario e laclausola arbitrale fosse fatta valere in via di eccezione (se invece ilconsumatore attiva l’arbitrato di classe, di regola ogni questione sullavalidità ed efficacia della clausola riconnessa alla tutela del consumatoremedesimo risulterà superata).

Mentre è sintomatico che negli Stati Uniti i fautori della estensioneoggettiva della causa arbitrale fino a ricomprendervi l’azione di classe sisiano mossi sempre in ottica della maggior tutela possibile del consuma-tore, nell’ottica dunque secondo la quale il class arbitration è elemento,

(3) Vedi la decisione sulla giurisdizione del Tribunale arbitrale ICSID del 4 agosto 2011in questa Rivista, 2012, 159 ss., con nota della DE LUCA, L’arbitrato ICSID e l’azione collettiva.

(4) Nel caso Abaclat gli attori erano un foltissimo gruppo di piccoli investitori italiani.

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ben inteso opzionale, ma significativo di quella tutela, e gli ostacolifrapposti alla deferibilità ad arbitri della class action, anzitutto in sede diinterpretazione e ricostruzione della portata oggettiva della convenzionearbitrale, finiscono col depotenziare la protezione di consumatori e utenti.

Posto ciò, i termini elementari rilevanti desumibili dal dibattito sta-tunitense mi sembrano i seguenti:

a) È o non è deferibile ad arbitri la class action?La risposta della giurisprudenza americana appare sul punto da

svariati decenni sicuramente affermativa (5) sia sotto il profilo della og-gettiva arbitrabilità, sia almeno in astratto sotto quello della assenza diostacoli di ordine soggettivo e connessi al carattere bilaterale dell’arbitra-tion agreement, atteso che l’adesione degli altri membri della classe allainiziativa arbitrale promossa dal costumer che abbia a suo tempo sotto-scritto l’agreement comporta adesione a quest’ultimo come pure allanomina dell’arbitro ed al risultato finale dell’arbitrato (“insofar as theother class members agree to proceed in class arbitration” (6)).

La correlata esperienza concreta del class arbitration si è sviluppata inmisura non indifferente, al punto che l’American Arbitration Associationha pubblicato nel 2005 le Supplementary Rules for Class Arbitration (7).

b) Quali sono i margini di interpretazione estensiva, anzitutto daparte dell’arbitro, di una arbitration clause silent on class arbitration? Puòcioè avviarsi un “arbitrato di classe” anche ove l’accordo compromissorionon lo preveda espressamente?

In proposito vi è stata — per farla breve — una nota inversione ditendenza della Corte Suprema. Dalla sentenza Bazzle del 2003 (8), espo-nenziale di un favor già affiorato in alcune corti statali verso una inter-pretazione estensiva che valorizzasse, in modo da ricomprendervi anche ilclass arbitration, perfino il semplice (e per noi alquanto usuale e generico)riferimento nella clausola ad “all disputes, claims or controversies arisingfrom or relating to this contract or the relationship which result from thiscontract” (9), non esente per altro da critiche anche aspre in dottrina (10),

(5) Vedi ulteriori utili riferimenti, oltre che negli scritti cit. alla nota 1, in PARK, Lajurisprudence américaine en matière de class arbitration, in Revue de l’arbitrage, 2012, 1 ss.

(6) Così la sentenza della Corte Suprema Green Tree Financial Corp. v. Bazzle, 539 v.s.444 (2003). Il che presuppone però la sostituzione dell’opt in all’opt out.

(7) Su di esse v. ampiamente CASONI, Recenti sviluppi, cit. 120 ss. Le Rules dell’A.A.A.contemplano, anche per la class action deferita agli arbitri, una fase preliminare di ammissibilitàda definirsi con clause determination award ed analoga a quella prevista dalla Rule 23 delleFederal Rules of Civil Procedure (v. invece quanto si dirà infra, 3, sul versante italiano riguardoalla inevitabile evaporazione della fase di ammissibilità in eventuale class arbitration).

(8) V. la nota 6.(9) O simili espressioni.(10) Un quadro generale in SMIT, Does a « Silent » Arbitration Clause Preclude a Class

Action? In 20 American Review Int’l’Arbitration, 2009.

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si è passati a Stolt-Nielsen S.A. v. Animal Feeds Int’l Corp. (11) del 2010, incui la Corte Suprema ha sostanzialmente mutato d’avviso (12). In StoltNielsen si è ritenuto infatti che arbitrato e clausole bilaterali siano a talpunto incoerenti rispetto al class action proceeding da impedire (se nonl’arbitrabilità in astratto della class action) per lo meno e di regola unainterpretazione estensiva della arbitration clause silent on class arbitra-tion (13).

La operatività di un class arbitration diviene dunque, in rigorosoossequio al Federal Arbitration Act, “a matter of consent” e necessita di unconsenso sufficientemente esplicito nell’arbitration agreement.

c) Sono valide le clausole compromissorie class arbitration waivers? Sipuò cioè espressamente escludere la attivabilità di una class action dal-l’ambito oggettivo di una clausola compromissoria, con la conseguenzache la medesima clausola non potrà essere opposta alla promozione dellaclass action davanti al giudice?

L’iniziale favore per l’interpretazione estensiva delle clausole silenton class arbitration induceva il mondo imprenditoriale a precostituireclausole espressamente escludenti il ricorso all’“arbitrato di classe”. Al-cune corti statali avevano sanzionato di invalidità parziale tali clausolepresumendole vessatorie per lo meno nell’ambito dei contratti predispo-sti (14).

In logica armonia con Stolt-Nielsen del 2010 e con la affermatatendenziale necessità che la clausola compromissoria menzioni espressa-mente la attivabilità del class arbitration affinché questo possa davverofondarsi sull’accordo compromissorio e sul consenso delle parti, la Su-preme Court federale nel 2011 ha ridimensionato drasticamente un taleapproccio, affermando, sempre in linea tendenziale, la legittimità di unalibera manifestazione della autonomia privata che si concretizzi in clausola“class action waiver” e cioè nella esplicita esclusione compromissoria delricorso alla class action di fronte agli arbitri (15).

(11) 559 U.S. 662(2010). Vedila anche in questa Rivista, 2011, 115 ss., annotata da CASONI,con lo scritto già cit. (Recenti sviluppi).

(12) In realtà la Corte Suprema in Stolt-Nielsen si sforza di diminuire la portata dell’o-verruling, discorrendo di un fraintendimento (da parte del collegio arbitrale da cui il caso avevapreso origine) della effettiva (e limitata) portata della sentenza Bazzle (in proposito v. ancheCASONI, Recenti sviluppi, cit., 121).

(13) In arg., ed a commento di Stolt-Nielsen, v. STRONG, Does Class arbitration “changethe Nature” of Arbitration?, in Haward Negotiation Law Review, 2012.

(14) V. soprattutto la Corte Suprema della California in Discover Bank, 36 Cal, 4th 148,113 P-3d 1100, del 2005, che ha inaugurato la c.d. Discover Bank Rule, su cui diffusamenteGABOARDI, op. cit., 995 ss..

(15) Si tratta di AT & T Mobility LLc v. Concepcion, 563 U.S. 321(2011). Più di recentela Corte Suprema (in Amex v. Italian Colors Restaurant, 470 U.S. n. 12-133-2013) ha confermatola tendenza consacrando la validità di una clausola arbitrale la quale non solo impedivaespressamente la possibilità di attivare in arbitrato “claims on a class action basis”, ma vietavaqualsiasi forma o meccanismo di riunione di diversi procedimenti arbitrali e si prospettava,

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d) Resta ancora e tutto sommato incerta sul versante giurispruden-ziale, ma ben avvertita in dottrina, una ulteriore questione (16): unaarbitration clause che non autorizzi la devoluzione ad arbitri della classaction, o perché non sufficientemente esplicita (secondo i dettami diStolt-Nielsen) o perché waiver e cioè esplicita in senso contrario, può avereper il consumatore un effetto preclusivo della class action davanti algiudice statuale ancorandolo in definitiva alla sola azione individualedavanti agli arbitri? (17). Non esito a ritenere che 99 giuristi italiani su 100risponderebbero un secco “no”. I giuristi americani il problema se lopongono, anche se la risposta negativa mi sembra ben più argomentata edargomentabile. Solo che essa è data, occasionalmente, in termini cosìassoluti (“class action in court cannot be contractually excluded, whetherdirectly, by a clause to that effect, or indirectly, by a clause providing forarbitration that excluded a class action. A contract cannot legally modifyprocedures prescribed by the law for adjudication of class-actionsclaims”) (18) da lasciare aperta altra prospettiva evolutiva: quella deldoppio binario per la class action, e cioè quella secondo cui neppure laarbitration clause, la quale (lungi dall’esser silent o waiver) espressamentedeferisca ad arbitri l’eventuale giudizio di classe, sia idonea a precludereal consumatore la scelta della class action davanti al giudice (19).

3. Veniamo al nostro art. 140 bis cod. cons.A me pare che l’azione di classe ivi prevista sarebbe, nella sua

struttura essenziale ed in prima approssimazione, deferibile ad arbitri.Ciò è dirsi sia quanto agli oggetti, per come individuati dal c. II (diritti

contrattuali o diritti risarcitori nei confronti del produttore o derivanti dapratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali), sicu-ramente disponibili ed anzi transigibili (20) (come attesa a scanso di ogni

dunque, come particolarmente scomoda rispetto alla gestione di contenziosi a numerositàaccentuata. Riguardo a tale sentenza v. le interessanti osservazioni di Diego CORAPI, op. cit., 16,nota 19, che ricorda come essa abbia poi provocato richieste di intervento della SEC affinchénegli statuti delle società da questa sorvegliate fosse o imposta l’adozione di una clausolacompromissoria più flessibile e più adatta alla gestione di liti collettive ovvero vietato tout courtil ricorso all’arbitrato, e svolge ulteriori interessanti comparazioni con la situazione (per certiversi meno problematica) relativa al nostro arbitrato societario.

(16) Esattamente colta da CASONI, Recenti sviluppi, cit. 125.(17) In realtà una risposta affermativa si è già avuta di recente dalla Corte Suprema

proprio nella cennata pronuncia American Express v. Italian Colors del 2013 (la analizzaattentamente sotto tale profilo Francesca BENATTI, In fuga, cit., 510). Ma si tratta di decisionecriticatissima e comprensiva di una feroce dissenting, in ragione di una ragionevole espansionedel principio della effective vindication of rights, e forse non tale da rappresentare davverol’ultima parola.

(18) Smit, AT & T Mobility v. Conception: Can Class Actions be brought in Arbitration?citato da CASONI, op. lc. cit.

(19) Un cenno al possibile doppio binario dovrà farsi anche a proposito del versanteitaliano (infra nota 33).

(20) Risultando, dunque, in proposito indifferente l’ampliamento dell’area della com-

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equivoco l’ultimo comma dell’art. 140 bis), sia quanto alla compatibilitàfra il suo modo di esercizio e gli effetti della relativa pronuncia, da un lato,ed il fondamento volontaristico dell’arbitrato dall’altro. Poiché l’aderentenon è parte, la sua scelta volontaria di prenotare, pur da estraneo alprocesso, gli effetti positivi o negativi della decisione è di per sé sufficientee compatibile con il carattere bilaterale dell’accordo compromissorio edell’arbitrato.

Quella scelta a) non necessita di trovare un qualche riscontro nellacostituzione dell’organo arbitrale (e non dà luogo dunque ad alcuno deiproblemi concernenti l’arbitrato con pluralità di parti); b) non può essererifiutata dalle parti della convenzione arbitrale ove quest’ultima deferiscaab origine agli arbitri una lite aperta alla “adesione”, ma non alla “parte-cipazione” al giudizio, di terzi ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 140 bis,e neppure dagli arbitri che sulla base di quella convenzione abbianoaccettato l’incarico (21). In altri termini: la struttura soggettivamente com-plessa del giudizio si atteggia, nel caso della class action, in modo tale danon risultare refrattaria rispetto ad una volontà compromissoria origina-riamente bilaterale.

Se ci si potesse fermare qui quanto alla astratta compromettibilità, siporrebbe poi in termini “americani” il problema della clausola compro-missoria (22) silent on class arbitration.

E dal nostro punto di vista si contrapporrebbero: nel senso dellaestensione, indubbiamente oggi favorita dal tenore dell’art. 808 quaterc.p.c., una ragionevole configurabilità della nostra class action come sem-plice forma (alternativa) di tutela dei diritti soggettivi derivanti dai con-tratti dei consumatori, sì che potrebbe dirsi implicita la ricomprensione diquella forma ove la convenzione arbitrale, menzionando “tutte le contro-versie derivanti o comunque connesse” (o similia), si riferisca a tutti i dirittiderivanti o comunque connessi in qualsiasi forma tutelabile salvo appuntoi limiti della arbitrabilità o della generale compatibilità con i poteri degliarbitri (23); ed in senso opposto l’argomento empirico, o sociologico se sivuole, secondo cui ricondurre a “clausola silente”, e perciò sottrarre algiudice, la nostra class action potrebbe considerarsi conclusione fin troppo

promettibilità (ammesso che via sia stato) nel passaggio dal “vecchio” art. 806 c.p.c. al nuovotesto entrato in vigore nel 2006. Giustamente si è osservato (GABOARDI, op. cit., 1003) che,invece il passaggio della legittimazione ad agire dalla associazione consumeristica al singoloconsumatore quale attore di classe (nella versione dell’art. 140 bis cod. cons. definitivamentevarata dopo le note vicissitudini) “sembra esaltare la portata dispositiva del diritto fatto valeredal class representative e rendere, in tal modo, pienamente ammissibile la compromettibilità”.

(21) Non si avrebbe insomma l’esigenza di accettazione di una vera e propria volontàcompromissoria ex post manifestata dal terzo con effetti modificativi della partecipazione algiudizio arbitrale, come accade ai sensi dell’art. 816 quinquies, c. I, c.p.c.

(22) Verosimilmente con riguardo alle sole controversie di cui all’art. 140 bis, c. II, lett.a) (v. anche oltre nel testo).

(23) Escluse dunque le forme della tutela cautelare o monitoria non gestibili dagli arbitri.

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ardita e perfino vessatoria dal punto di vista della tutela effettiva delconsumatore e/o della classe di appartenenza (si pensi ad una interpreta-zione estensiva à la manière della sentenza Bazzle applicabile a clausoleidentiche accessorie a contratti seriali, con preclusione, dunque, di fatto diuna class action giudiziale per i diritti derivanti da quella serie di con-tratti).

Il perché tuttavia non dobbiamo prospettarci il problema delle “clau-sole silenti” nei predetti termini è presto detto.

Vi è infatti un argomento che esclude la possibilità di deferire agliarbitri il giudizio e proprio quel giudizio ex art. 140 bis cod. cons. Noncerto la competenza funzionale ratione materiae stabilita dal c. IV di talearticolo (24), ma sì invece il dato ineludibile che la domanda dell’attore diclasse deve essere, ai sensi del c. V dell’art. 140 bis, obbligatoriamentenotificata al P.M. onde consentirgli l’esercizio della facoltà di interventolimitatamente alla fase di ammissibilità, nonché la stessa struttura dellafase di ammissibilità comprensiva di un reclamo alla corte d’appello.

Mi sembrano, questi, elementi che rendono non già incomprometti-bile, sotto il profilo dell’oggetto, il giudizio risarcitorio di classe, bensìincompatibile con l’arbitrato — per ragioni di lex specialis e cioè derivantidall’art. 140 bis e non dall’art. 806 c.p.c. — il particolare giudizio di classequale interamente e specificamente disciplinato dall’art. 140 bis e cioè inquanto articolato in una prima fase di ammissibilità ed in una successivafase di merito con tutto quel che a ciò segue. Né si può superare taleradicale incompatibilità immaginando che l’arbitrato prosegua o si arrestia seconda che il pubblico ministero scelga o meno di intervenire e che incaso di intervento la fase di ammissibilità si svolga in doppio grado davantialla giurisdizione ordinaria, la quale poi restituirebbe la palla per il meritoagli arbitri (25).

Insomma, è la stessa previsione di una fase di ammissibilità connotatadalla doverosa notifica dell’atto introduttivo al P.M. e dalla opportunitàconcessa a costui di intervenire in tale fase a risultare radicalmenteinconciliabile con l’arbitrato (26).

Ma a questo punto vi è da chiedersi se le parti compromissoriamentepossano, pur deferendo agli arbitri il giudizio di classe, rinunciare alla sua

(24) Si tratta di un falso problema come efficacemente spiega GABOARDI, op. cit., 1004.(25) Così invece GABOARDI, op. cit. 1009. Ma l’espediente appare palesemente imprati-

cabile perfino in epoca di translatio facilitata.(26) L’argomento dunque non può essere eluso solo perché l’intervento del P.M. in fase

di ammissibilità della class action è facoltativo e non necessario. Quel che conta è che siaobbligatoria la comunicazione al P.M. e che sia cioè obbligatorio consentirgli di intervenire.

Prescindendo qui dal se la previsione di un intervento necessario del P.M. sia, come taluniritengono (v. ad es. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2012, I, 402), “sintomo” diindisponibilità e perciò di incompromettibilità (ciò che non credo: l’indisponibilità — daverificarsi caso per caso in relazione all’oggetto della controversia e perciò anche a quello dellecontroversie singolarmente individuate dall’art. 70, c. I, c.p.c. — o vi è o non vi è, senza bisogno

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sola fase di ammissibilità come rinunciano, per ciò stesso che compromet-tono in arbitri, ad altre forme o fasi del giudizio apud iudicem (il doppiogrado di merito, le pronunce monitorie in assenza di contraddittorioecc....), fermo ed inalterato l’ambito dei diritti soggettivi la cui tutela siastata legittimamente, dal punto di vista della disponibilità e perciò dellaastratta compromettibilità, sottratta al giudice e devoluta agli arbitri.

Non vedo ragioni per differenziare le situazioni e perciò tali daescludere una risposta senz’altro affermativa. Tanto più — sul piano dellasostanza — che la fase di ammissibilità della class action non è, nella logicadell’art. 140 bis e nel sistema in cui esso si inserisce, un usbergo di schiettoordine pubblico e protettivo in primo luogo di interessi superindividuali(come accadeva ad esempio, in ben altro contesto, quanto alla fase diammissibilità dell’azione di responsabilità contro lo Stato-giudice ex l. n.117/1988), bensì un presidio-filtro immaginato a difesa anzitutto delleimprese, quale argine alle azioni di classe puramente provocatorie opretestuose.

Secondariamente quel presidio è posto anche a protezione degli altriconsumatori o utenti appartenenti alla classe, rispetto all’eventualità diuna azione pretestuosa destinata al sicuro rigetto nel merito o comunquea pregiudizievole combine e perciò rispetto alla preclusione di altrasuccessiva azione di classe coincidente.

Ma proprio una tale preclusione è da escludersi, come fra breve sidirà, ove il giudizio di classe sia affidato ad arbitri, mentre la difesa delleimprese rispetto alle azioni provocatorie e temerarie è in definitiva affarloro: è difesa cui esse possono tranquillamente abdicare in una conl’abdicazione a quell’effetto preclusivo.

di sintomi), è lo stesso coinvolgimento del P.M., quando espressamente voluto dal legislatore,che può rappresentare un limite speciale alla arbitrabilità diverso dalla indisponibilità (prospet-tiva questa cui altri hanno più volte fatto cenno).

Che vi sia o no un tale limite ulteriore dipende allora dal modo in cui il legislatoreconfigura il coinvolgimento del P.M. e non di per sé dal carattere necessario o meno dell’in-tervento. E così il disposto dell’ultimo comma dell’art. 70 non crea problemi perché la merafacoltà di intervento ad esclusiva iniziativa del P.M. che ravvisi sua sponte un pubblico interesseanche in causa avente ad oggetto diritti disponibili non può costituire limite di sorta all’arbi-trabilità (ne deriverebbe assurdamente la preclusione della compromettibilità di qualunquecontroversia, in qualunque controversia essendo in astratto ravvisabile un pubblico interesse),e dunque la conclusione non può che essere quella inversa secondo cui l’intervento facoltativoex art. 70, u.c. non è ovviamente esercitabile in arbitrato posta la radicale inconcepibilità di unaadesione compromissoria anche ex post di una parte pubblica al giudizio arbitrale. Viceversal’imposizione normativa di un obbligo di comunicazione o di notifica dell’atto introduttivo alP.M. rappresenta di per sé una modalità limitatrice della arbitrabilità, vuoi che essa siafunzionale (come accade secondo l’art. 71, c. I, c.p.c. all’esercizio dell’intervento necessario),vuoi che essa sia funzionale (come accade ex art. 140 bis, c. V, cod. cons.) all’esercizio di unamera facoltà di intervento, perché è il legislatore che determinatamente vuole, ed a priori, cheil P.M. sia comunque obbligatoriamente coinvolto (pur quando lasci a lui la scelta se intervenireo meno).

Il fatto poi che questo coinvolgimento, nel caso della azione di classe, si riferisca solo edesclusivamente alla fase di ammissibilità, lascia aperto — vista la sicura disponibilità dei dirittiin contesa — il discorso “intermedio” che si sta per svolgere nel testo.

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Sarà dunque libera scelta dell’impresa compromittente di rinunciarealla fase di ammissibilità, nel proprio personale calcolo di costi-benefici,così come ogni compromittente in arbitri rinuncia ad esempio alla parti-colare garanzia, che il giudizio ordinario offre, data dal fatto che itestimoni sono lì (e solo lì) minacciati dall’eventualità di macchiarsi delreato di falsa testimonianza, ed a tante altre cose; rinunce bilanciateappunto dai (sempre da considerarsi ponderatamente caso per caso e maida darsi per scontati e men che meno in ossequio alla moda) vantaggidell’arbitrato.

Pare insomma lecito concludere che in Italia sia deferibile ad arbitrinon esattamente l’azione di classe secondo il compiuto ed integraleparadigma dall’art. 140 bis cod. cons., ma sì un’azione di classe ed unatutela di classe rimodellate, per sottrazione della fase di ammissibilità; lafunzione filtrante e protettiva della quale, oltretutto, ha maggior senso inun giudizio pubblico piuttosto che in un giudizio privato (27).

Il che vale a dire però ed invariabilmente che la convenzione arbitraledovrà fare riferimento esplicito al giudizio di classe (anche medianteindicativa relatio al modello ex art. 140 bis o in altro modo). La clausola“silente” non avrà insomma valenza estensiva rispetto ad un giudizio e aduna forma di tutela che, per come puntualmente disciplinati dall’art. 140bis (fase di ammissibilità inclusa), non sono ricomprensibili nel generico“tutte le controversie”.

Occorrerà che sia evidente la volontà dell’impresa da un lato e delconsumatore o utente dall’altro di affidare agli arbitri, oltre alle litipuramente bilaterali derivanti dal contratto, anche una eventuale azionedel consumatore o utente quale attore di classe e perciò aperta alleadesioni volontarie di altri membri della classe, ed al contempo di accet-tare effetti della decisione estesi agli eventuali aderenti; quel che gliaderenti accetteranno poi anch’essi, compromissoriamente e pur senzadivenire parti del giudizio, con la adesione.

Purché ciò sia chiaro, nella convenzione arbitrale potranno inveceritenersi implicite da un canto la esclusione della possibilità per il consu-matore compromittente della possibilità di agire davanti all’AGO ex 140bis (esclusione idonea — vista la identità sostanziale, anche se nonformale, tra la tutela affidata agli arbitri e quella dettagliata dall’art. 140bis — a conferire il maggior effetto utile possibile alla pattuizione com-promissoria esplicita nei termini sopra detti); d’altro canto l’affidamento

(27) L’assenza di una autonoma fase di ammissibilità nel procedimento arbitrale “diclasse” non dovrebbe significare che l’arbitro non possa chiudere “in rito” il giudizio applicando— analogicamente ovvero quali norme di materielles Prozessrecht intrinseche alla disciplinadell’azione dichiaratamente esercitata quale azione di classe — i criteri contemplati dall’art. 140bis, c. VI, seconda parte; salvo quello della “manifesta infondatezza”, la cui operatività comeragione di inammissibilità piuttosto che di reiezione nel merito si giustifica appunto solo in virtùdella presenza di una fase di ammissibilità distinta da quella di merito.

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agli arbitri (rilevante ex art. 816 bis, c.p.c.) del compito di organizzare ilclass arbitration — per quanto di ragione e per quanto non ulteriormenteprevisto dall’accordo compromissorio (28) — sulla base del residuo para-digma dell’art. 140 bis.

La pendenza del class arbitration ed il lodo che lo definisca nonpotranno in ogni caso spiegare l’effetto preclusivo rispetto alle altre azionidi classe (per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa) stabilitodall’art. 140 bis, c. XIV, né sarà concepibile davanti agli arbitri la riunionedi altre azioni di classe non fondate su di una apposita volontà compro-missoria (29). Ciò è a dirsi del tutto a prescindere dalla individuabilità di untermine di “scadenza per le adesioni”, che il giudice fissa con l’udienza diammissibilità e che gli arbitri potrebbero fissare ex art. 816 bis anche al difuori dalla insussistente, innanzi a loro, fase di ammissibilità. Gli effettidescritti dall’art. 140 bis, c. XIV sono però effetti ultra partes giammairiconducibili all’arbitrato ed al lodo, bensì solo al giudizio ordinario e allasentenza del giudice e per espressa ed eccezionale volontà normativa.

Che invece il lodo “faccia stato anche nei confronti degli aderenti” eche sia “fatta salva l’azione individuale dei soggetti che non aderisconoall’azione collettiva” (così lo stesso c. XIV dell’art. 140 bis) dipenderàinvariabilmente, nel caso del class arbitration, dalla portata dell’accordocompromissorio che appunto ipotizzi in termini sufficientemente esplicitiil deferimento ad arbitri di un giudizio di classe esposto ad adesioni, lequali comportino per i volontari aderenti l’estensione degli effetti dellapronuncia arbitrale. La salvezza delle azioni individuali dei non aderenti,e la speculare preclusione di quelle azioni per gli aderenti, non è che uncomplemento ovvio, pressoché superfluamente esplicitato già nella logicadell’azione ex art. 140 bis innanzi al giudice, a fortiori nella logica dell’ar-bitrato di classe.

La disposizione (art. 140 bis, c. XII) secondo cui la sentenza dicondanna che accoglie l’azione di classe diviene esecutiva decorsi cento-ottanta giorni dalla pubblicazione è in assoluto sicuramente derogabile, edessa può perciò essere espressamente esclusa o modificata dalle particompromittenti in caso di class arbitration. Nel silenzio non si può esclu-dere una sua applicazione analogica, a questo punto però con riguardonon al lodo puro e semplice ma al decreto di omologa ex art. 825 che lorende esecutivo, e perciò con decorrenza del termine dal deposito

(28) L’accordo compromissorio potrebbe, ad esempio, specificare le modalità di pubbli-cità concernenti la iniziativa attorea al fine di sollecitare le adesioni o le stesse modalità formalidelle adesioni. Altrimenti siffatte specificazioni rientreranno nei poteri degli arbitri ex art. 816bis c.p.c..

(29) Se fossero fondate anch’esse su volontà compromissoria e perciò sfociate in distintiarbitrati, vi sarebbero comunque i noti problemi della riunione di giudizi arbitrali, la quale è indefinitiva possibile solo su apposita base consensuale.

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di tale decreto. Del pari analogicamente applicabile dovrà allora ritenersila disposizione che esenta i pagamenti spontanei entro il periodo di graziada ogni maggiorazione accessoria (v. sempre l’art. 140 bis, c. XII).

Ancor più sicura mi parrebbe l’applicazione analogica — da partedella Corte d’appello investita della impugnazione del lodo e della istanzadi inibitoria ex art. 830, u.c., c.p.c. — dell’art. 140 bis, c. XIII, con i potericautelativi e la indicazione di massima (“tiene conto altresì dell’entitàcomplessiva della somma gravante sul debitore”) ivi previsti in relazionealla inibitoria ex art. 283 c.p.c.

Infine è da sottolineare che un ipotetico arbitrato di classe italianofondato su clausola compromissoria contrattuale parrebbe poter riguar-dare i soli “diritti contrattuali di una pluralità di consumatori” di cui dicel’art. 140 bis, c. II lett. a) (30).

Naturalmente occorrerà che una pattuizione compromissoria siffatta,se opposta dal convenuto ad azione di classe promossa innanzi al-l’AGO (31), superi indenne il vaglio ex artt. 33 ss. cod. cons. E ciò — al dilà delle ancora non del tutto risolte questioni in ordine alla riconducibilitàed in che termini delle clausole arbitrali alla presunzione di vessatorietà exart. 33. c. II, lettera t) — potrà avvenire non tanto in ragione di unatrattativa individuale (assolutamente irrealistica in caso di clausole com-promissorie identiche inserite in contratti seriali, che è poi l’unico modoper l’impresa che lo voglia di congegnare un utile confinamento inarbitrato della possibile class action), bensì attraverso la dimostrazionedella assenza di “significativo squilibrio”. Profilo questo in relazione alquale un ruolo non indifferente potrebbero giocare (32) (non è dettoovviamente che sempre giochino), rispetto al caso della “normale” clau-sola compromissoria, il fatto che l’alternativa arbitrale tiene luogo di ungiudizio ordinario “di classe” il quale fino ad ora non ha meritato parti-

(30) In teoria — e se si considera con un po’ di coraggio il fondamento privatistico evolontaristico dell’arbitrato e con un po’ di favore la forza espansiva della autonomia privata —non dovrebbe neppure escludersi che il class arbitration sia voluto dalle parti anche al di fuoridei limiti oggettivi di cui all’art. 140 bis, c. II lett. a), b) e c). In fondo, e se si segue l’impostazioneprospettata nel testo, non si tratterebbe di estendere impropriamente l’ambito applicativodell’art. 140 bis (ciò che di fronte al giudice non potrebbe certo farsi), ma solo di costruirecompromissoriamente, nel quadro della disponibilità, un giudizio privato con effetti estensividella decisione, da un lato non interdetti espressamente (come accade per gli “effetti cautelari”),d’altro lato ragionevolmente attingibili anche in dimensione privata e volontaria per il tramiteappunto della loro previsione compromissoria originaria e della successiva adesione.

(31) Per il caso di azione promossa dal consumatore innanzi agli arbitri vedi invecequanto si è già osservato retro al par. 2.

(32) Oltre ad eventuali meccanismi di calmieramento preventivo dei costi di arbitratoanche mediante il ricorso all’arbitrato amministrato; un cenno significativo a questo tema, inrelazione alla più generale prospettiva dei procedimenti arbitrali comunque connotati da“numerosità” e con riferimento al c.d. (ed essai problematico in assenza di esplicita regolamen-tazione) arbitration funding, in CORAPI, op. cit., 17.

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colare abnegazione e favore da parte dei nostri tribunali, ed il fatto chescegliendo la via arbitrale l’impresa rinuncia — come si è sopra eviden-ziato — al vantaggio di alcune delle preclusioni ex art. 140 bis, c. XIV (33).

Sembra estremamente improbabile, invece, che una azione di classerelativa ai rapporti non contrattuali, di cui alle lettere b) e c) dell’art. 140bis c. II, possa essere deferita ad arbitri sulla base della nuova convenzionedi arbitrato (pro futuro) “in materia non contrattuale” introdotta dall’art.808 bis c.p.c.. Ci vorrà piuttosto un apposito compromesso; eventualitàquesta che, pur nell’ambito del remoto esotismo che per ora connota iltrapianto in Italia dell’arbitrato di classe, non appare affatto inverosimileed anzi, forse, è l’ipotesi meno inverosimile di concreto avvio di unarbitrato di classe. Di fronte alla prospettiva di un contenzioso serialederivante da fatto o condotta determinati e già verificatisi, l’impresa,soprattutto nella interlocuzione con associazione consumeristica poten-zialmente rappresentativa di attore di classe (ed in realtà potenzialepromotrice di azione di classe), potrebbe a certe condizioni ed in certecircostanze, da valutarsi bilateralmente con prudenza estrema, trovareconveniente — e trovare in ciò consenziente l’associazione — il deferi-mento ad arbitri di quella lite collettiva ed il presumibile o auspicatoconfinamento in essa di un numero significativo di adesioni (con altret-tante sottrazioni allo stillicidio di azioni individuali seriali innanzi ai nostribeneamati e folklorici giudici di pace).

Va soggiunto che le linee teoriche appena abbozzate non mutereb-bero probabilmente ove dovesse diventare legge la semisciagurata riformadella class action (con trasferimento della relativa disciplina dal codice delconsumo al c.p.c.) recentissimamente varata alla Camera. Vi sarebberocomunque, sul piano del fatto, da un lato una incentivazione a ragionareancora sul class arbitration a motivo della estensione del parterre degliattori al di là della cerchia dei consumatori e utenti, d’altro lato unaincentivazione a lasciar definitivamente perdere a motivo della farraginosae fortemente “giudiziarizzata” disciplina delle adesioni e di altre compli-cazioni.

The author explores whether, in the wake of the US experience, a class actionin Italy may be referred to arbitration.

(33) In questa prospettiva, ed al fine di attestare l’assenza di “significativo squilibrio”, laclausola compromissoria da inserire nei contratti seriali potrebbe essere finalizzata al deferi-mento ad arbitri della sola eventuale class action, con espressa salvezza, per il consumatore,dell’azione individuale davanti al giudice salvo il caso in cui egli aderisca a class arbitrationavviato da altri.

Il “significativo squilibrio” sarebbe all’evidenza evitato ove poi, quanto specificamentealla azione di classe, la clausola lasciasse il consumatore libero di avviarla avanti al giudice oavanti all’arbitro (v. in proposito anche retro, par. 2 sub d)). Ma diminuirebbero così fortementei possibili profili di convenienza ed appetibilità per l’impresa.

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The article introduces the question by briefly analyzing the main difficultieswith class action arbitrations which have arisen in US case law and also traces theevolution of such case law over time.

With respect to Italian law, the author’s view is that a class action can bearbitrated. However, it would not be possible for the arbitration proceedings to alsoinclude the separate special phase deciding the admissibility of the application, asforeseen by Article 140 bis of the Consumers Code.

The article goes on to analyze the main legal issues which may arise — both forthe purposes of the signing of the arbitration clause and for the conduct of theproceedings — in the referral of a class action to arbitration.

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I motivi di impugnazione del lodo:una razionalizzazione? (*)

LAURA SALVANESCHI (**)

1. La razionalizzazione dell’impugnazione per nullità come criterio guida conriferimento alle censure per errori di diritto. — 2. Segue: profili critici di dirittotransitorio. — 3. La razionalizzazione dell’impugnazione per nullità come criterioguida con riferimento all’esito del giudizio successivo alla pronuncia rescindente.— 4. Per una razionalizzazione dei motivi non rinunciabili di impugnazione pernullità.

1. Parlare oggi dei motivi di impugnazione del lodo arbitrale, conaccento posto sul profilo della loro razionalizzazione, rende istintiva lacreazione di un ponte immaginario tra la legge delega 14 maggio 2005, n.80, che ha condotto all’ultima incisiva riforma del diritto dell’arbitrato nelnostro Paese, e il nuovissimo Disegno di legge delega (1) che potrebbepreludere a una nuova rivisitazione dell’intero codice di rito e con questadel suo segmento normativo dedicato all’arbitrato. Entrambe le direttiveposte al legislatore in materia, a dieci anni di distanza l’una dall’altra,fanno infatti della razionalizzazione il loro fulcro. È allora immediata lariflessione che o quella razionalizzazione del sistema delle impugnazionidel lodo che doveva guidare la riforma del 2006 non è stata esauriente,oppure il sistema si è evoluto nell’ultimo decennio in modo tale da renderenuovamente attuale l’esigenza di un nuovo intervento di razionalizza-zione.

(*) Questo scritto è destinato agli Scritti in onore di Giorgio De Nova e costituisceintegrazione e rielaborazione del testo della relazione tenuta in occasione dell’incontro distudio “Il rinnovato profilo dell’impugnazione del lodo nell’arbitrato interno”, svoltosi pressola Camera arbitrale di Milano il 9 aprile 2015.

(**) Professore ordinario nella Università Statale di Milano.(1) Mi riferisco alla Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo

civile presentata alla Camera l’11 marzo 2015 dalla Commissione presieduta dal dott. GiuseppeBerruti, che prevede quale criterio direttivo il “potenziamento dell’istituto dell’arbitrato, ancheattraverso l’eventuale estensione del meccanismo della translatio judicii ai rapporti tra processoe arbitrato, nonché attraverso la razionalizzazione della disciplina dell’impugnativa del lodoarbitrale”.

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Che il legislatore del 2006 sia stato chiamato a un’opera di raziona-lizzazione delle impugnazioni arbitrali risulta di particolare evidenza dalladoppia invocazione di questo principio contenuta nella legge delega n.80/2005. L’impulso alla razionalizzazione è richiamato infatti sia nelpreambolo delle regole volte a disciplinare il futuro arbitrato, tese, in viagenerale, a “riformare in senso razionalizzatore la disciplina dell’arbi-trato”, che dalla specifica direttiva in tema di impugnazione per nullità,tendente a “una razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti diimpugnazione per nullità secondo i seguenti principi: 1) subordinare lacontrollabilità del lodo ai sensi del 2º comma dell’art. 829 del codice diprocedura civile alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa previ-sione di legge e salvo il contrasto con i principi fondamentali dell’ordina-mento giuridico; 2) disciplinare il procedimento, prevedendo le ipotesi dipronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione per nullità”.L’istanza di razionalizzazione che ha fatto da sfondo all’ultima riformadell’arbitrato non tendeva quindi in via immediata a modificare i novemotivi di impugnazione per nullità non rinunciabili allora previsti dall’art.829 cod. proc. civ., ma era diretta, come suo punto focale, alla inversionedel rapporto tra regola ed eccezione dell’impugnazione per inosservanzadelle regole di diritto allora previsto dal secondo comma della norma chedisciplina i motivi di impugnazione per nullità. L’intervento normativoauspicato aveva quindi di mira la razionalizzazione di un unico motivo diimpugnazione del lodo, quello relativo alla violazione di norme sostan-ziali; a ciò si accompagnava una direttiva tesa alla rivisitazione del giudiziorescissorio affidato alla Corte d’appello e, in particolare, alla delimitazionedelle sue ipotesi.

Sotto il primo profilo l’intervento del legislatore delegato è stato nettoe specifico. Come è noto, il sistema è passato dall’ammissione dell’impu-gnazione per nullità “se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato leregole di diritto, salvo che le parti ... avessero dichiarato il lodo nonimpugnabile”, alla regola opposta per cui “L’impugnazione per violazionedelle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa seespressamente disposta dalle parti o dalla legge”.

Pur continuando a lasciare la volontà delle parti signora della fatti-specie, l’inversione tra regola ed eccezione ha dunque operato una vera epropria rivoluzione concettuale del sistema, in cui il silenzio delle parti, dasintomo della volontà di un doppio grado di giudizio sull’applicazione deldiritto alla fattispecie concreta, è divenuto invece emblema di un intentodi chiusura all’impugnazione per violazione di norme sostanziali. Si ètradotto così in norma di legge un disegno di modello di impugnazione pernullità doppiamente limitata del tutto differente dall’appello, che si con-trappone a questo mezzo ordinario di impugnazione sia per uno schemaspecifico e vincolato di motivi di impugnazione, sia per la normale esclu-sione del motivo di censura riguardante la violazione di norme di diritto.

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Questa modifica, in vigore dal 2006, risponde a una scelta di fondo dellegislatore nel senso della valorizzazione dell’arbitrato quale giudizio diprimo grado il cui risultato è tendenzialmente stabile (2). Nonostante lepiù moderne tendenze a una certa restrizione anche dell’appello, la veradistinzione tra il giudizio arbitrale e quello ordinario in sede giurisdizio-nale sta ancora oggi nell’intervento operato sul motivo di impugnazione dicui all’attuale art. 829, c. 3, cod. proc. civ. Il lodo arbitrale, che partecipaoggi pienamente della natura e degli effetti della sentenza (3), si caratte-rizza tuttavia rispetto a quest’ultima per una differente stabilità, perché lasua impugnazione è limitata al punto da consentire la tendenziale quali-ficazione dell’arbitrato come giudizio one-shot, mentre il procedimentoche si svolge davanti al giudice togato è ancora tendenzialmente a doppiogrado.

Se si riflette su questa caratterizzazione, che il legislatore delegante hariportato a un principio di razionalizzazione dell’istituto, una volta rico-nosciuto come un valore quello dell’equiparazione tra lodo e sentenza,occorre immediatamente sgombrare il campo dalla suggestione che ladistinzione possa dipendere da un giudizio di prevalenza qualitativa dellodo sulla sentenza, come se nella storica corsa del giudizio arbitrale dietroa quello statale il primo avesse alla fine superato il secondo. Questasuggestione, per chi creda nel canone di uguaglianza dei due giudizi, nonpuò evidentemente essere seguita e occorre allora ricercare le ragioni diquesto fenomeno in altro contesto.

La maggiore stabilità del lodo rispetto alla sentenza riposa a mioavviso su ragioni che trovano le loro origini in ambito internazionale.L’arbitrato ha per sua natura maggiore attitudine rispetto al giudiziostatale a essere utilizzato per la soluzione di controversie transnazionali.Quando le parti appartengono a ordinamenti diversi e sono prive di undiritto comune sono infatti maggiormente portate a rivolgersi all’arbitratopiuttosto che al giudice dell’uno o dell’altro Stato, perché in questo modopossono affidarsi a organi giudicanti di formazione mista e imparziale. Èallora normale che nel contesto internazionale si sia sviluppata una fortetendenza a favorire la stabilità dei lodi, con limitazione del loro controlloda parte di quel giudice togato, che appartiene necessariamente all’uno oall’altro ordinamento giuridico. Viene quindi dal contesto internazionalela consolidata tendenza dei singoli legislatori nazionali a favorire sistemi di

(2) Cfr. S. MENCHINI, Impugnazioni del lodo “rituale”, in questa Rivista, 2005, pag. 843 eseg., in particolare pag. 857-858.

(3) Il riferimento è, oltre al dettato dell’art. 824 bis cod. proc. civ., alle note pronuncedella Corte costituzionale 17 luglio 2013, n. 223 e della Cassazione, Sez. Un., ordinanza 25ottobre 2013, n. 24153.

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controllo che prevedono motivi tassativi di impugnazione e non dannorilievo all’errore di diritto, se non laddove quest’ultimo si estrinseca in unaviolazione dell’ordine pubblico (4).

È in quest’ambito che vanno quindi ricercate le ragioni per cui ilnostro legislatore, nel tentativo notorio di rendere l’Italia sede maggior-mente appetibile di arbitrato per operatori non nazionali, ha suggerito eoperato la svolta che nel 2006 ha caratterizzato l’impugnazione per nullitàper violazione di regole di diritto. La maggiore stabilità così acquisita invia generale (5) dai lodi arbitrali rispetto alla sentenza merita dunque diessere approvata perché si iscrive in una linea di tendenza sovranazionale.La regola stessa trova poi giustificazione sul piano interno in due circo-stanze specifiche proprie del giudizio arbitrale: la sua tendenziale specia-lizzazione e la sua prevalente collegialità.

La specializzazione è un dato connaturale dell’arbitrato, legato allamancanza di precostituzione del giudice; in quest’ambito la scelta dell’or-gano giudicante è normalmente libera e può dunque essere calibratarispetto alle esigenze del caso concreto (6). La collegialità è invece un datostatistico tendenziale degli organi arbitrali — nelle forme tra l’altro di unacollegialità piena in quanto riferita anche allo svolgimento dell’istruzioneprobatoria — che trova la sua maggiore giustificazione nella figura del-l’arbitro c.d. di parte, ma si spiega anche attraverso ragioni storiche eculturali; essa contribuisce sicuramente ad aumentare il grado di affida-bilità del giudizio finale degli arbitri, che nasce nel confronto dialettico trapiù opinioni.

Quanto precede non significa che un lodo arbitrale sia di necessitàstatisticamente più corretto di una sentenza, ma solo che la scelta delnostro legislatore di rimarcare tra i criteri di razionalizzazione dellamateria quello della restrizione del controllo del lodo, con normaleesclusione dei motivi di diritto, risponde in pieno all’esigenza cui si voleva

(4) Per questo tema sia consentito il rinvio, anche per ulteriori riferimenti, a A.CARLEVARIS, L’impugnazione dei lodi arbitrali, in Commentario breve al diritto dell’arbitratonazionale e internazionale, a cura di M. Benedettelli - C. Consolo - L. Radicati di Brozolo,Padova, 2010, pag. 967 e seg.

(5) Cioè anche dai lodi che non presentano elementi di estraneità, avendo com’è noto ilnostro legislatore proprio nel 2006 abrogato anche il capo normativo prima specificamentededicato all’arbitrato internazionale.

(6) E ciò vale non solo laddove impera la fiduciarietà perché sono le parti a designare gliarbitri, ma anche quando le scelte eteronome siano affidate a organismi capaci di calibrare lanomina in relazione al tipo di controversia in atto, com’è proprio dell’arbitrato amministrato. Inproposito va riconosciuto che i nuovi giudici specializzati designati per alcune materie stannodando oggi ottime prove, a dimostrazione che la specializzazione dell’organo giudicante è unvalore da perseguire, ma la differenza rimane legata alla circostanza che l’arbitrato può semprefare di una scelta ponderata sulle esigenze del caso concreto il suo vessillo, mentre il giudicetogato specializzato è legato a una competenza per materia, al di fuori della quale, molto spesso,il giudice ordinario è costretto a decidere su una congerie di materie che non è umanamentepossibile approfondire tutte a livello specialistico.

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venire incontro, quella cioè di razionalizzare il sistema, rendendolo piùfunzionale attraverso la creazione di un giudizio di primo grado più stabilein quanto portato a compimento da un organo tendenzialmente specializ-zato e collegiale.

Perché la restrizione sia anche legittima sul piano delle garanzie, illegislatore ha però voluto che la sua scelta fosse discrezionale: la volontàdelle parti è sovrana in materia (7), chi preferisce quindi il controllogiurisdizionale può liberamente optare per la sua piena inclusione.

L’insieme della riforma dell’art. 829 cod. proc. civ. è per questa parteequilibrata e non credo dunque che un nuovo intervento modificatore siaopportuno. Se qualcosa per questo aspetto c’è ancora da fare non èdunque sul piano normativo, ma su quello della diffusione della culturadell’arbitrato, capace di portare con sé anche una crescita di consapevo-lezza della libertà di scelta che deriva dal dettato dell’articolo 829 cod.proc. civ. Non sempre si ha infatti la sensazione che il silenzio serbato dalleparti in materia sia accompagnato da piena consapevolezza del suosignificato attuale.

2. Se l’attuazione della direttiva del legislatore delegante è perquesta parte avvenuta nel rispetto delle sue finalità, non risponde invecea un criterio di razionalizzazione del sistema il coordinamento intertem-porale tra il vecchio e il nuovo realizzato nel 2006.

In proposito è noto che la norma di diritto transitorio che ha disci-plinato l’entrata in vigore dell’ultima riforma dell’arbitrato ha previsto chela nuova disciplina dell’impugnazione per nullità dovesse applicarsi “aiprocedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata propostasuccessivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (8),con ciò dimenticando che le clausole compromissorie sono convenzioni diarbitrato che regolano tipicamente liti future. Chi ha stipulato il pattoarbitrale prima della riforma, con il suo silenzio ha apposto il sigillo sullapropria volontà di poter fruire del motivo di impugnazione per violazionedi regole di diritto relative al merito della controversia e non su quellacontraria.

Ne è nato così un sistema tutt’altro che razionale e di difficilecompatibilità con elementari principi di rango costituzionale (9), ponendo

(7) Non per nulla, il Maestro cui cui questo scritto è dedicato, segnala l’art. 829, 3ºcomma, cod. proc. civ., tra le norme particolarmente degne di nota in tema di autonomia privatanei suoi rapporti con l’arbitrato. Cfr. G. DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomiaprivata, in questa Rivista, 2006, pag. 423 e seg., in particolare pag. 430.

(8) Cfr. art. 27 d l. n. 40/2006 in relazione all’art. 24.(9) In proposito cfr. C. PUNZI, Luci ed ombre nella riforma dell’arbitrato, in Riv. trim. dir.

e proc. civ., 2007, pag. 395 e seg., in particolare pag. 435 e seg.; P.L. NELA, Contro l’applicazionedell’art. 829, comma 3º c.p.c. alle convenzioni arbitrali concluse prima della riforma, in Riv. dir.proc., 2009, pag. 919 e seg.

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in improvvisa impossibilità di censurare il lodo per motivi di diritto chiaveva scelto, all’epoca della redazione della clausola compromissoria, unsistema aperto, ma ha poi iniziato l’arbitrato in un momento successivoall’entrata in vigore della riforma.

A superare i non trascurabili dubbi di legittimità della normativa è poiintervenuta la Cassazione che, con una nota sentenza (10), ha ampiamenteargomentato nel senso dell’applicabilità della disciplina previgente e nondi quella di nuovo conio alle convenzioni di arbitrato stipulate anterior-mente alla riforma. Ad avviso della Corte, infatti, poiché le clausolecompromissorie sono atti negoziali, costituisce principio generale delnostro ordinamento, discendente dall’applicazione dell’art. 11 preleggi,quello per cui le condizioni di efficacia e gli effetti delle stesse, in quantoespressione di una valida manifestazione di volontà delle parti, sonodisciplinate dalla legge in vigore al momento in cui le convenzioni diarbitrato sono adottate, senza che i loro effetti possano essere modificatida una legge successiva. Così, il principio di irretroattività della legge,unito alla mancata previsione di una norma che abbia decretato l’invali-dità delle clausole previgenti, ha portato la Cassazione a concludere che lenuove regole restrittive dell’impugnazione non devono essere applicate aipatti di arbitrato conclusi prima dell’entrata in vigore della nuova legge,anche se il giudizio arbitrale è stato introdotto in data successiva, madevono in questo caso applicarsi comunque le disposizioni vigenti inmateria al momento della redazione della convenzione di arbitrato.

La Corte di legittimità, insomma, nel conflitto tra il principio diirretroattività della legge applicabile ai rapporti negoziali e quello noto colbrocardo tempus regit actum tipico dei fenomeni processuali, ha fattoprevalere il primo, evitando così l’intervento della Consulta da più partiinvocato, a fronte di un’eccezione che appare altrimenti fondata. È infattievidente la disparità di trattamento che deriverebbe dall’applicazioneletterale dell’art. 27 d.l. n. 40/2006 tra chi si vede modificati d’imperio dauna legge successiva gli effetti della propria volontà negoziale e chi invece,avendo stipulato il patto dopo l’entrata in vigore della riforma, puòprevedere, quale effetto tutelato dall’ordinamento, l’impugnabilità dellodo per violazione delle regole di diritto; nonché, addirittura, la disparitàdi trattamento tra tutti coloro che hanno ugualmente stipulato la conven-zione di arbitrato in epoca antecedente alla rivisitazione dell’art. 829 cod.proc. civ., ma ricevono poi un trattamento diverso a seconda della data dipromozione del giudizio arbitrale. La disciplina transitoria, così comeletteralmente costruita, appare poi violare l’art. 24 Cost., perché com-prime indebitamente il diritto delle parti alla piena tutela giurisdizionaledel diritto di impugnazione, sottraendo loro quel motivo di gravame chepur avevano voluto.

(10) Cfr. Cass. 19 aprile 2012, n. 6148.

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Come accade negli ordinamenti sottratti per ragioni costituzionali aivincoli del precedente, su questo argomento la Cassazione ha poi peròcambiato idea più di una volta (11), pur prevalendo alla fine la tesi piùtranquillizzante. Confido allora che, essendo l’ultima sentenza in materiarecentissima (12) e ancora una volta nel segno del rispetto della volontàdelle parti, non siano necessari in materia interventi autentici del legisla-tore. Però, se il dubbio interpretativo dovesse riproporsi o permanere, mipare certo che il nuovo legislatore delegato, nel razionalizzare ulterior-mente il sistema dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, nonpotrebbe fare a meno di chiarire che, se la volontà delle parti in materiaè sovrana, alle clausole ante 2006 non può che applicarsi il vecchio sistemain qualunque momento sia iniziato l’arbitrato, salvo che si voglia inveceimporre una rivisitazione espressa delle vecchie clausole, con onere delleparti di esplicitare la loro intenzione.

3. Venendo alla seconda direttiva del legislatore delegante del 2005,essa imponeva, quale ulteriore criterio guida di razionalizzazione delsistema, che venisse disciplinato “il procedimento prevedendo le ipotesi dipronuncia rescissoria da parte del giudice dell’impugnazione per nullità”.Inoltre, la legge delega, nel prevedere la soppressione del capo dedicatoall’arbitrato internazionale, disponeva la tendenziale estensione dellarelativa disciplina all’arbitrato interno, salvi gli opportuni adattamenti.

Entrambe le direttive si sono tradotte in norma di legge. La prima hacomportato una profonda variazione concettuale del sistema previgenteche riservava sempre la decisione rescissoria alla corte d’appello “salvovolontà contraria di tutte le parti”, introducendo invece un sistema acarattere misto, che distingue tra le ipotesi in cui alla corte è affidato il sologiudizio rescindente e quelle in cui è tenuta anche a provvedere alrescissorio, salva sempre la diversa volontà delle parti. La seconda hainvece trasfuso nell’attuale seconda parte del 2º comma dell’articolo 830cod. proc. civ. la regola, prima vigente per l’arbitrato internazionale,dell’esclusione dell’affidamento del giudizio rescissorio al giudice, delimi-tando però l’operatività della disposizione al solo caso in cui una delle

(11) Cfr. Cass. 17 settembre 2013, n. 21205, per la quale “L’art. 829 c.p.c., nel suo nuovotesto, si applica a norma dell’art. 27, comma 4, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, ai procedimentiarbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entratain vigore del predetto decreto, pur se riferita a clausola compromissoria stipulata in epocaanteriore” e successivamente Cass. 3 giugno 2014, n. 12379, ove si legge in motivazione che laCorte ha inteso “dare seguito alla pronunzia di questa Corte n. 6148 del 2012, la quale,muovendo da una ricostruzione teleologico-sistematica della norma processuale posta dalD.Lgs. 40 del 2006, art. 27, comma 4, ma con precipua attenzione all’insuperabile dato valorialecostituito dalla precedentemente espressa volontà delle parti, ha offerto una soluzione rispet-tosa della esigenza di attendibilità delle norme ... e pertanto ha fornito una lettura secundumconstitutionem della norma transitoria stessa”.

(12) Cfr. Cass. 19 gennaio 2015, n. 748.

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parti, alla data della sottoscrizione della convenzione di arbitrato, risiedao abbia la propria sede effettiva all’estero e non quindi anche quandodebba essere eseguita all’estero una parte rilevante delle prestazioninascenti dal rapporto al quale la controversia si riferisce, come disponevail previgente art. 832 cod. proc. civ. per l’arbitrato internazionale.

Nelle sue linee direttive e principali il sistema risultante dalla riformadel 2006 ha istituito dunque una distinzione tra lodo interno e lodo dotatodi elementi di estraneità. In relazione al primo, la direttiva di razionaliz-zazione è stata attuata prevedendo che, salvo che le parti non abbianodisposto diversamente con la convenzione di arbitrato o con accordosuccessivo, la corte d’appello decide la controversia nel merito se il lodo èstato annullato per uno dei motivi indicati dall’art. 829, 1º comma, numeri5, 6, 7, 8, 9, 11 e 12, nonché nei casi indicati nel 3º, 4º e 5º comma dellanorma da ultimo richiamata.

Negli altri casi, invece, la corte d’appello non può emettere la pro-nuncia rescissoria e, una volta definito il giudizio di impugnazione pernullità con la pronuncia rescindente, riprende vigore l’originaria conven-zione di arbitrato e la vicenda deve essere rimessa dalle parti che voglianoottenere una nuova pronuncia ad arbitri che verranno nominati appli-cando l’originaria convenzione di arbitrato (13). Tutto ciò purché l’annul-lamento non sia avvenuto per invalidità o inefficacia della convenzione diarbitrato, nonché in quella di non compromettibilità della controversia.Per avere una nuova soluzione della lite le parti dovranno poi di necessitàrivolgersi al giudice togato quando la lite sia stata dichiarata non arbitra-bile, mentre potranno invece tornare dagli arbitri previa stipulazione di unnuovo e valido patto arbitrale nei casi in cui il vizio abbia avuto incidenzasulla convenzione di arbitrato (14).

La distinzione tra le ipotesi in cui il giudizio rescissorio è affidato allacorte d’appello e quelle in cui il potere decisorio torna a essere degliarbitri, risiede nella maggiore o minore incidenza del vizio sullo svolgi-mento del giudizio arbitrale concluso con il lodo annullato: laddove il viziosia stato tale da doversi ritenere che il giudizio non abbia avuto luogo, siprevede una sorta di rimessione della causa allo stato originario, perché ilgiudizio arbitrale possa svolgersi (15); nei casi in cui, invece, il giudizioarbitrale vi sia stato e meriti solo una correzione, la causa passa per ilrescissorio alla corte d’appello.

(13) Si dovrà trattare di arbitri diversi da quelli che hanno già pronunciato, creandosialtrimenti un’ipotesi di incompatibiità.

(14) Cfr. S. MENCHINI, Impugnazioni del lodo “rituale”, cit., pag. 864 e seg.(15) Cfr. MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, Milano, 2009,

pagg. 13-14, che propone l’idea di una simmetria con il giudizio di rinvio e la sua funzionerestitutoria ovvero prosecutoria, riservando quindi a nuova decisione arbitrale le ipotesi in cuila precedente fase processuale non abbia avuto i requisiti minimi indispensabili per essereconsiderata conclusa.

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Quanto al lodo dotato di elementi di estraneità la corte d’appellodecide invece la controversia nel merito solo se le parti hanno così stabilitonella convenzione di arbitrato o ne fanno concorde richiesta.

Questa pur sommaria descrizione, rende ragione dell’idea che ri-spetto a questa parte della disciplina vi sia spazio per un nuovo interventodi razionalizzazione del sistema, perché quello già intervenuto non èesauriente e vi può essere dunque un miglioramento.

Senza entrare nel merito dei singoli motivi di impugnazione e delleconseguenze specifiche che derivano dal loro accoglimento, basta qualcheesempio a chiarire che la previsione delle ipotesi di pronuncia rescissoriada parte del giudice dell’impugnazione per nullità non ha seguito sempreil criterio di razionalizzazione cui doveva essere ispirata.

Quando il lodo è annullato ai sensi dell’art. 829, 1º comma, n. 8 cod.proc. civ. la corte d’appello decide la causa nel merito, ma la logica e ilfunzionamento di questa pronuncia rescissoria creano un problema. Nonè infatti dubbio che qualora nel giudizio arbitrale vengano prodotti unaprecedente sentenza o un precedente lodo passati in giudicato gli arbitridebbano pronunciare una declinatoria in rito per precedente giudicato.Molto più logico sarebbe stato allora ricondurre l’ipotesi in esame traquelle in cui la corte d’appello svolge la sola funzione rescindente,rimanendo il rapporto sostanziale regolato dalla precedente sentenzadefinitiva o dal precedente lodo. Allo stato, dato che l’ipotesi stessa èinvece tra quelle in cui la corte d’appello svolge anche funzione rescisso-ria, non rimane che ritenere che la corte stessa abbia il dovere dipronunciare in conformità della precedente pronuncia passata in giudi-cato (16), pena la pronuncia di una sentenza nuovamente viziata perviolazione di un precedente giudicato con tutte le conseguenze che nederivano.

Quando il lodo è annullato ai sensi dell’art. 829, 1º comma, n. 10, cod.proc. civ., la regola è invece quella per cui il giudizio della corte d’appelloè meramente rescindente e ciò perché un giudizio arbitrale non c’è statoe occorre quindi, nella prospettiva accolta dal legislatore, che vi sia. Nullada dire in proposito se si pensa che la logica sottesa a questa disposizioneè quella della salvaguardia della volontà compromissoria delle parti, chemerita di essere rispettata attraverso l’instaurazione di un nuovo giudiziodi merito in via arbitrale. Tuttavia, la stessa fattispecie, quando si verificadavanti al giudice togato, non dà luogo in via generalizzata e salvo i casiespressamente previsti dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. alla rimessionedella causa al giudice di primo grado, ma è disciplinata in modo tale daaffidare il giudizio sostitutivo direttamente al giudice d’appello. La rego-

(16) Cfr. E. MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, Milano, 2009,pag. 202 e seg. Nel senso che il giudizio sia in questo caso comunque solo rescindente S.MENCHINI, Impugnazioni del lodo “rituale”, cit., pag. 868.

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lamentazione dei casi in cui il giudizio arbitrale si sia chiuso con un’erratapronuncia di rito potrebbe dunque anche essere diversamente pensata,pur salvaguardando la volontà compromissoria delle parti, che nelloscegliere l’arbitrato hanno accettato anche quale suo esito normale l’im-pugnazione per nullità davanti al giudice togato (17).

Quando il lodo è annullato ai sensi dell’art. 829, 1º comma, n. 6, cod.proc. civ. la corte d’appello decide nel merito perché, parrebbe, gli arbitrinon sono stati capaci di rispettare il termine per l’adempimento, quindi ilgiudizio passa alla corte d’appello che sostituisce il lodo. Eppure anche inquesto caso c’era una volontà compromissoria originaria che potrebbeessere rispettata (18), disciplinando diversamente l’esito dell’impugna-zione.

Sono solo esempi, che chiariscono tuttavia che, anche volendo man-tenere un sistema misto quale quello introdotto nel 2006, un nuovointervento razionalizzatore della disciplina che regola gli esiti del giudiziodi nullità potrebbe essere immaginato.

Ma, se dobbiamo riflettere sul futuro, la nuova istanza di razionaliz-zazione potrebbe anche portare a scegliere schemi del tutto diversi inordine agli esiti dell’impugnazione per nullità, con completo abbandonodel sistema attuale e introduzione di regole nuove.

Se si guarda alle scelte effettuata da altri Paesi (19), si comprende adesempio che, sul piano comparato, ancor prima di discutere se il giudiziorescissorio debba essere affidato alla corte d’appello oppure a nuoviarbitri, sono stati ideati esiti dell’impugnazione del lodo del tutto diversi,che non provocano una pronuncia rescindente da parte del giudice, madanno invece luogo al rinvio della causa agli arbitri affinché loro stessieliminino il vizio riscontrato (20). Il giudice non adotta quindi in questocaso alcun provvedimento né di rigetto né di accoglimento dell’impugna-

(17) Con ciò non intendo concludere che il motivo di cui al n. 10 dell’art. 829 cod. proc.civ. meriterebbe di essere accompagnato dal giudizio rescissorio della corte d’appello, ma solosegnalare che anche questa ipotesi è passibile di una diversa regolamentazione a seconda delpeso che il legislatore intende dare all’effettivo svolgimento di un giudizio arbitrale di merito inprimo grado.

(18) E infatti il sistema va ricostruito nel senso che se gli arbitri che abbiano ricevuto lanotifica di cui all’art. 821 cod. proc. civ. pronunciano un lodo di estinzione, come prescritto dallanorma stessa, il lodo sarà corretto e non impugnabile, pur rimanendo in vita la convenzione diarbitrato, con la conseguenza che le parti dovranno iniziare un nuovo arbitrato da capo. Solo nelcaso in cui gli arbitri avessero invece pronunciato erroneamente nel merito si applicherà invecela disposizione richiamata nel testo. Sul punto sia consentito il rinvio al mio volume Arbitrato,in Commentario del cod. proc. civ. a cura di S. Chiarloni, Bologna 2014, sub art. 821, pag. 726e seg.

(19) Cfr. E. MARINUCCI, Esito ed effetti dell’impugnazione giudiziaria del lodo arbitrale:note di diritto comparato, Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, pag. 1327 e seg., ove l’Autrice compieun’amplissima analisi comparativa.

(20) Cfr. E. MARINUCCI, Esito ed effetti dell’impugnazione giudiziaria, cit., che ricorda inproposito lo schema dell’art. 34, comma 1, della Model Law, che prevede la domanda diannullamento come unico mezzo di impugnazione del lodo, ammettendo poi al comma 4, come

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zione, ma percorre una nuova strada, reinvestendo gli arbitri della proce-dura arbitrale con il compito di rimuovere loro stessi i vizi riscontrati. Conquesto sistema si salvaguarda quindi al contempo sia la volontà compro-missoria delle parti che la celerità del giudizio, perché l’impugnazionesfocia in un procedimento di integrazione e correzione del lodo, nellacooperazione tra il giudice togato e gli arbitri.

Accanto a questo modello del rinvio, vengono poi segnalati, oltre aschemi misti o sostitutivi, una prevalenza di ordinamenti che hannooperato una scelta di impugnazione con funzione puramente rescindente,che tende ad affermarsi come impugnazione-tipo del lodo arbitrale anchea seguito della sua adozione da parte della Model Law Uncitral (21) e deiPaesi che a quest’ultima hanno ispirato la loro legislazione.

Anche il legislatore italiano, dunque, se chiamato a una nuova operadi razionalizzazione dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, potràe dovrà riflettere in primo luogo sul modello che vorrà adottare, nonessendo affatto sicuro che quello misto oggi prescelto sia il migliore.Comparando pregi e difetti delle diverse opzioni si potrebbe ancheadottare un sistema puramente rescindente o, ancora meglio sul pianodella concentrazione e della durata dell’intero iter di risoluzione dellacontroversia in via arbitrale, il sistema del mero rinvio agli arbitri. Si trattadi scelte di fondo importanti e da ben meditare, ma che, se correttamentecostruite, potrebbero portare, nel rispetto della volontà delle parti e dellaconvenzione di arbitrato, a dare una più moderna struttura all’impugna-zione per nullità e con questa nuova linfa all’arbitrato.

4. Da ultimo, i dodici motivi di impugnazione per nullità oggiprevisti dal 1º comma dell’art. 829 cod. proc. civ. meritano in via dirazionalizzazione una riduzione. Dodici motivi di impugnazione non ri-nunciabili sono infatti troppi e si scontrano con la già richiamata tendenzainternazionale alla stabilizzazione del lodo.

Anche questo punto, se si intende riaprire la porta alla riforma delprocesso civile e con questa a quella dell’arbitrato, merita un ripensa-mento, rispetto al quale, ancora una volta, può fungere da criterio ispira-tore la Model Law Uncitral (22), che a sua volta ricalca i motivi di diniegodel riconoscimento della convenzione di New York (23). A grandi lineequesti motivi riguardano l’invalidità della convenzione di arbitrato, anche

esito possibile dell’impugnazione stessa, il rinvio agli arbitri, nonché altre disposizioni analoghecontenute sia nel concordato svizzero per l’arbitrato, che nell’Arbitration Act britannico, che,ancora, nella legge statunitense.

(21) Cfr. ancora lo studio di E. MARINUCCI citato nelle note precedenti.(22) Cfr. art. 34.(23) Cfr. art. V e anche per ulteriori riferimenti A. CARLEVARIS, L’impugnazione dei lodi

arbitrali, cit., pag. 985 seg.

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derivante dalla incapacità delle parti (24); l’irregolare composizione ocostituzione dell’organo arbitrale (25); il mancato rispetto di regole proce-durali convenute tra le parti o disciplinate come imperative dal dirittodella sede dell’arbitrato (26); la violazione del contraddittorio (27); la noncompromettibilità della controversia (28) o l’esorbitanza del lodo rispettoai limiti della convenzione di arbitrato (29). Tutto ciò, ferma restando laregola della normale non impugnabilità del lodo in relazione agli errori didiritto, delimitata dal necessario rispetto dell’ordine pubblico (30).

Verrebbero così riprodotti i punti essenziali degli attuali motivi diimpugnazione per nullità regolati dall’art. 829, 1º comma, cod. proc. civ.,ma il sistema complessivo ne uscirebbe più snello e maggiormente con-forme ai dettami sovranazionali, a tutto vantaggio della promozionedell’arbitrato con sede in Italia anche con riferimento alle controversiedotate di elementi di estraneità.

The guiding criterion of Delegated Law No. 80/2005 (which led to the 2006reform) was to rationalise the grounds for challenging arbitration awards for nullity.The same purpose of rationalisation is today invoked as the future guiding criterionfor the next legislator in the new bill of delegated law which was presented in 2015to the Chamber of Deputies by the ad hoc commission set up for arbitration reform.

This article analyses the contributions made by the 2006 reform and suggestspotential additional modifications.

According to the 2005 Delegated Law, the very first step in implementing thisrationalisation drive was to make the court’s control of the award for violation ofrules of law conditional on the parties having included an express provision in thisrespect. The 2006 reform subsequently reversed the relationship between the rule andits exception (see Article 829 of Italy’s Civil Procedure Code). Before the reform, anaward could generally be challenged for violation of rules of law, unless the partiesstipulated otherwise. Following the reform, the award can be challenged for viola-tion of rules of law only if the parties so stipulated. In making this change the Italianlegislator has brought Italian arbitration in line with the international arbitrationtrend in which arbitrations are seen as one-shot proceedings, with limited court’scontrol of the award for violation of rules of law, but, at the same time, has preserved

(24) Cfr. Model Law art. 34 (2) (a) (i).(25) Cfr. Model Law art. 34 (2) (a) (iv).(26) Sul punto la Model Law riconosce prevalenza alle regole convenute tra le parti,

salvo che le stesse siano incompatibili con norme imperative dello Stato ove è la sededell’arbitrato [art. 34 (2) (a) (iv)].

(27) La Model Law e le leggi alla stessa ispirate prevedono su questo punto che il lodopuò essere annullato quando la parte non sia stata debitamente informata della designazionedell’organo arbitrale o della pendenza del procedimento, o comunque si è trovata nell’impos-sibilità di far valere le proprie ragioni [art. 34 (2) (a) (ii)].

(28) Cfr. Model Law art. 34 (2) (b) (i).(29) Cfr. Model Law art. 34 (2) (a) (iii).(30) Cfr. Model Law art. 34 (2) (b) (ii).

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the parties’ guarantees and their freedom to make a different choice. In a judicialsystem in which arbitration awards have the same legal effect as court decisions, thereal difference between the two types of proceedings is the greater stability of theaward, combined with the parties’ freedom to provide the possibility to challenge anaward for violation of rules of law. The 2006 reform therefore achieved its goal ofcreating a well-balanced system, in line with the international trend in the arbitrationfield. In this specific respect, the 2006 reform deserves full endorsement but theinter-temporal regime should be better clarified, as caselaw correctly did, by statingthat the new rules apply solely to arbitration clauses which were agreed on after thelaw entered into force.

Moreover, the Delegated Law imposes two rationalisation-driven guidelines,both of which have been implemented: first, in certain cases the judge dealing withthe challenge proceedings can issue a rescissory ruling. Second, the heading of theCode of Civil Procedure concerning international arbitration is abrogated, extend-ing its principles to domestic arbitration, subject to appropriate adjustments. Thefirst guideline was implemented by providing for a mixed system which assigns to theCourt of Appeal, in certain cases, not only the annulment ruling but also therescissory phase on the merits, whilst in certain other cases it obliges the court to limititself to issuing an annulment ruling, unless the parties elect otherwise. The secondguideline was implemented by providing that a challenge against an award contain-ing “external elements” (with respect to a purely domestic one) would lead to anannulment ruling only and would not lead to rescissory phase on the merits beforethe Court of Appeal, again unless the parties elect otherwise. In doing so, adistinction was established between domestic awards and awards with “externalelements”.

The system is not entirely clear or consistent as to whether cases in whichproceedings to rule on the merits after the award is annulled are to be assigned to theCourt of Appeal and a reconsideration might be needed with this respect. A goodexample can be drawn from foreign laws, which suggest cases of interest havingdifferent outcomes to proceedings brought to challenge an arbitration award fornullity.

In conclusion, the existing 12 grounds for challenging an arbitration award fornullity in which the award can always be challenged regardless of any waiver by theparties, need to be reduced. A good solution could be to follow the template offeredby the Uncitral Model Law, which provides for grounds for challenge concerning,in general terms, the invalidity of the arbitration agreement, the irregularities of thearbitral proceeding, the non arbitrability of the dispute and the violation of theadversarial principle.

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Gli effetti del lodo e il falso problema della naturanegoziale oppure giurisdizionale dell’arbitrato

MICHELE FORNACIARI (*)

1. Introduzione. — 2. Gli orientamenti in merito alla negozialità/giurisdizionalitàdell’arbitrato. — 3. L’assunto, secondo il quale l’arbitrato irrituale, avendo naturanegoziale, non dà luogo ad un accertamento, ma si concreta nell’estinzione delrapporto in essere e nella costituzione di uno nuovo. — 4. L’assunto, secondo ilquale, avendo l’arbitrato (rituale e/o irrituale) natura negoziale, il lodo produceeffetti di minor portata rispetto a quelli della sentenza del giudice. — 5. L’assunto,secondo il quale l’arbitrato rituale, avendo il relativo lodo effetti di sentenza, hanatura giurisdizionale. — 6. Gli effetti della definizione consensuale della contro-versia e del lodo rispetto a quelli della sentenza del giudice: necessità di specificareil problema. — 7. Segue: la definizione consensuale della controversia ed il lodo,non solo rituale, ma anche irrituale, danno vita ad un vero accertamento. — 8.Segue: l’intensità, e più in generale la forza, dell’accertamento delle parti edell’arbitro, rituale e irrituale. — 9. Segue: la resistenza allo ius superveniensretroattivo, l’efficacia verso terzi, il coinvolgimento nel giudicato del rapportogiuridico fondamentale, la riflessione dello stesso sui rapporti dipendenti. — 10.Conclusioni sulla negozialità/giurisdizionalità.

1. L’arbitrato, nelle sua duplice, tradizionale, incarnazione di arbi-trato rituale ed arbitrato irrituale, o libero (1), offre un punto di vista assaistimolante per riflettere intorno a temi di grande importanza, vuoi dellascienza processuale, vuoi, più in generale, della scienza giuridica toutcourt. Collocato, com’è, a cavallo fra le manifestazioni più tipiche del-l’operare giuridico dei privati e di quello del giudice, vale a dire, rispetti-vamente, l’attività innovativa (per tale intendendo quella volta a produrreuna modificazione nell’attuale assetto dei diritti/obblighi delle parti) equella accertativa (per tale intendendo quella volta viceversa a fissare ilmodo di essere del predetto assetto, prospettato come preesistente) (2),

(*) Magistrato nel Tribunale di Lucca.(1) Nel prosieguo dello scritto verrà adoperata la prima espressione, vuoi perché a mio

avviso più incisiva della seconda, vuoi in ragione del suo recepimento nella rubrica dell’art.808-ter cpc.

(2) Per maggiori dettagli sull’innovatività e sull’accertatività, nonché sulla loro distin-

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esso, al pari di tutti i territori di confine, rappresenta infatti un osserva-torio privilegiato per verificare le effettive differenze fra i due settori e perindividuare dunque quali siano gli elementi realmente caratterizzanti diquesti ultimi.

Nell’ambito della riflessione in materia, un ruolo fondamentale rive-ste, com’è ovvio, l’indagine in merito alle analogie/differenze delle sud-dette incarnazioni, vuoi fra loro, vuoi rispetto al processo davanti algiudice. Ed a tale proposito, ad apparente dimostrazione del ruolo delquale si è appena detto, una delle questioni più dibattute, in chiave nonsolo sistematica, ma anche più concretamente applicativa, è quella relativaalla natura negoziale oppure giurisdizionale degli arbitrati ed alla mag-giore o minore assimilabilità degli effetti del lodo a quelli della sentenzadel giudice o invece alla loro più o meno marcata differenza da questiultimi (3).

Si tratta, com’è noto, di una disputa antica. Essa, infatti, era già incorso sotto il vigore dei codici del 1865 ed è proseguita sia sotto il vigoredi quelli del 1942, sia a seguito della duplice riforma del 1983 e del 1994,sia, ancora, a seguito di quella del 2006, che pure, dettando per la primavolta una disciplina di carattere generale dell’arbitrato irrituale, sembravasulla carta destinata a chiarire finalmente le cose ed a risolvere dunque ilproblema (4).

La constatazione di tanta continuità, ed ancor più di tanta resistenzaalle modifiche normative, sembrerebbe confermare che quella in discorsoè in effetti una questione centrale e decisiva. A mio parere, invece — siadetto subito in modo chiaro ed esplicito — essa è ora (5), ed è sempre

zione da altre categorie, prossime, ma non coincidenti, prima fra tutte la dispositività, si rinviaa M. FORNACIARI, Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento giuridico, Torino, 2002, 69ss.

(3) Le citazioni sul punto sono veramente superflue, trattandosi di un argomento che èaffrontato in qualunque trattazione relativa all’arbitrato.

(4) Per una sintesi storica del dibattito v. G. BARBIERI-E. BELLA, Il nuovo dirittodell’arbitrato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.GALGANO, Padova, 2007, 53 ss., 269 ss. e 395 ss.; V. BERTOLDI, Commento all’art. 808 ter, inCodice di procedura civile commentato, III, Artt. 633-840. Disposizioni per l’attuazione. Ap-pendice4, diretto da C. CONSOLO, Milano, 2010, 1613 ss.; S. BOCCAGNA, Commento all’art. 824 bis,ibidem, 1694 ss.; G. BONATO, La natura e gli effetti del lodo arbitrale. Studio di diritto italiano ecomparato, Napoli, 2012, 1 ss.; M. BOVE, Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc., 1999,691 ss.; F. CARPI, Commento all’art. 824-bis, in Arbitrato2, commentario diretto dallo stessoAutore, Bologna, 2007, 587 ss.; E. MARINUCCI, Commento all’art. 824 bis, in L.P. COMOGLIO-C.CONSOLO-B. SASSANI-R. VACCARELLA, Commentario del codice di procedura civile, VII, 4, Articoli796-840, Torino, 2014, 645 ss.; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I2, Padova, 2012, 57ss. e 220 ss.; ID., Disegno sistematico dell’arbitrato, II2, Padova, 2012, 392 ss.; L. SALVANESCHI,Arbitrato, in Commentario del Codice di Procedura Civile, a cura di S. CHIARLONI, Libro quarto:Procedimenti speciali art. 806-840, Bologna, 2014, 795 ss.

(5) Sulla scarsa importanza della questione, quanto all’arbitrato rituale, ma solo inconseguenza della sempre più puntuale regolamentazione della materia da parte del legislatore,v. E. MARINUCCI, Commento, cit., 652, e P.L. NELA, Commento all’art. 824 bis c.p.c., in Le recentiriforme del processo civile, Commentario diretto da S. CHIARLONI, II, Bologna, 2007, 1844.

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stata, priva di una reale rilevanza. Non, beninteso, che quello relativo alleanalogie ed alle differenze fra arbitrato rituale, arbitrato rituale e processodavanti al giudice sia un problema secondario. Al contrario, esso rivestesenz’altro un’importanza fondamentale. Non credo però che per venirne acapo risulti risolutivo continuare a dibatterne in termini di negozialità/giurisdizionalità e di effetti di negozio/effetti di sentenza.

In primo luogo va infatti notato che tanto della prima (vale a diredella negozialità/giurisdizionalità), quanto dei secondi (vale a dire deglieffetti di negozio/effetti di sentenza), si parla spesso senza che vengaadeguatamente chiarito quali sarebbero il significato, la portata e leimplicazioni delle categorie in questione, e dunque, in definitiva, la diffe-renza fra l’adesione all’una oppure all’altra delle opzioni in questione. Aquesto si aggiunge poi, quanto alla negozialità/giurisdizionalità, che l’al-ternativa non è univoca, nel senso che, come constateremo (6), essa puòfondarsi su una pluralità di criteri, eterogenei fra loro, quanto agli effettidi negozio/effetti di sentenza, che non sempre si distingue adeguatamenteda un lato fra ciò che attiene agli effetti e ciò che attiene invece al regimedelle pronunce dell’arbitro e del giudice (7), dall’altro fra l’accertamentoquale verifica storica e l’accertamento quale effetto giuridico. Quello inquestione è cioè un dibattito che ruota spesso intorno a concetti genericie ondivaghi. Esso rischia dunque di risolversi in una disputa meramenteterminologica, inidonea a fornire validi strumenti interpretativi ed espli-cativi del fenomeno indagato (8).

Con questo, sia chiaro, non si vuole sostenere che, per quanto inparticolare concerne l’alternativa negozialità/giurisdizionalità, non sipossa prendere posizione (per quanto concerne l’alternativa effetti dinegozio/effetti di sentenza credo invece effettivamente che essa non abbiaragion d’essere, fra gli effetti del negozio e quelli della sentenza nonessendovi in realtà, in linea di principio e salve ovviamente le scelte didiritto positivo, alcuna differenza (9)). Al riguardo, tanto vale anzi dichia-rare fin da subito che l’opinione di chi scrive è nel senso della naturanegoziale dell’arbitrato, non solo nella sua modalità irrituale, ma anche inquella rituale. Tutto sta però ad attribuire a questa — così come aqualunque altra — opzione, un significato esclusivamente classificatorio,dipendente dal criterio di distinzione fra negozialità e giurisdizionalità che

(6) V. i §§ 3, 4 e 10.(7) Sul punto v. anche il § 5 e, più specificamente, sulla necessità di distinguere

attentamente fra ciò che attiene all’efficacia e ciò che attiene alla validità della pronuncia, il §8.

(8) Sulla possibilità di un “ripensamento del dilemma, rectius della contrapposizione, fragiurisdizionalità e contrattualità dell’arbitrato” e sulla consistenza, “almeno per certi versi,meramente terminologic[a]”, del perpetuarsi delle relative questioni, v. C. PUNZI, Disegnosistematico dell’arbitrato, I, cit., 148.

(9) Sul punto v. anche il § 2 e, più in dettaglio, i §§ 7-9.

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si ritenga di adottare, senza pretendere di attribuire all’opzione medesimaun rilievo ed un significato diverso ed ulteriore, tantomeno per ciò checoncerne l’identificazione degli effetti del lodo.

Tanto premesso, e manifestate dunque nettamente le convinzioni allabase delle presenti considerazioni, obiettivo di queste ultime vorrebbeessere, in uno con la dimostrazione dell’irrilevanza della disputa in meritoalla negozialità/giurisdizionalità dell’arbitrato, la messa a fuoco dei veritermini del problema relativo agli effetti del lodo, non peraltro senzafornire in proposito, sia pure in termini generali e senza pretesa dicompletezza, alcune indicazioni in merito alla relativa soluzione.

2. Da lungo tempo, come detto, si discute in merito alla naturanegoziale oppure giurisdizionale dell’arbitrato ed all’assimilabilità o menodegli effetti del lodo a quelli della sentenza del giudice.

Allo stato attuale, all’esito dell’ultima riforma (quella, citata, del2006) ed alla luce in particolare degli attuali artt. 808-ter, 824-bis e 825 cpc,l’orientamento maggioritario (pur, com’è ovvio, al suo interno variamentearticolato e sfumato) può essere riassunto nel senso che, mentre all’arbi-trato rituale, essendo stati espressamente riconosciuti al lodo, fin dalla suasottoscrizione, gli effetti della sentenza del giudice (eccezion fatta solo perl’efficacia esecutiva, subordinata all’exequatur del Tribunale), dovrebbeormai essere senz’altro riconosciuta natura giurisdizionale (10), all’arbi-

(10) In tal senso v. G. BARBIERI-E. BELLA, Il nuovo diritto dell’arbitrato, cit., 53 ss., 269 ss.e 395 ss.; P. BIAVATI, Commento all’art. 808-ter, in Arbitrato2, commentario diretto da F. CARPI,Bologna, 2007, 163 e 168; M. BOVE, Note, cit., 734 ss.; C. CONSOLO, Il processo di primo grado ele impugnazioni delle sentenze dopo la legge n. 69 del 2009, Padova, 2009, 608 s., 614, 615 e 639;E. D’ALESSANDRO, Commento all’art. 824-bis, in Commentario alle riforme del processo civile, acura di A. BRIGUGLIO e B. CAPPONI, III, 2, Arbitrato, Padova, 2009, 967 s.; E. MARINUCCI,Commento, cit., 655 ss.; L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 145 ss. e 790 ss.; G. VERDE, Arbitratoirrituale, in La riforma della disciplina dell’arbitrato (L. n. 80/2005 e D. lgs. n. 40/2006), a curadi E. FAZZALARI, Milano, 2006, 12 s. e 16, e in questa Rivista, 2005, 670 e 674; ID., Lineamenti didiritto dell’arbitrato3, Torino, 2010, 16 ss. e 38.

Alla giurisdizionalità si sono da ultimo convertite, com’è noto, anche le Sezioni Unite. Dopoche nel 2000 avevano sostenuto la natura negoziale dell’arbitrato rituale (cfr. Cass., SU, 3 agosto2000, n. 527, in Foro it., 2001, I, 839, con osservazione di C.M. BARONE, Giur. it., 2001, 1107, connota di G. CANALE, Arbitrato irrituale e tutela cautelare: i soliti problemi tra vecchie soluzioni e nuoveprospettive, Giust. civ., 2001, I, 761, con nota di G. MONTELEONE, Le sezioni unite della Cassazioneaffermano la natura giuridica negoziale e non giurisdizionale del c.d. “arbitrato rituale”, Riv. dir.proc., 2001, 254, con nota di E.F. RICCI, La “natura” dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlanole sezioni unite, Corr. giur., 2001, 51, con note di G. RUFFINI, Le sezioni unite fanno davverochiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione?, e di M. MARINELLI, Le sezioni unite fannodavvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione?, in questa Rivista, 2000, 699, con notadi E. FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla “natura” dell’arbitrato, Foro pad., 2001, 34, connota di M. RUBINO SAMMARTANO, Vittoria di Tappa - Arbitrato irrituale come processo: un sognoimpossibile?, ibidem, 251, con nota di M. CURTI, Sulla natura dell’arbitrato: l’ultima posizione delleSezioni Unite sulla teoria generale dell’arbitrato), nel 2013 esse hanno infatti mutato opinione,sostenendo appunto la natura giurisdizionale dell’istituto (cfr. Cass., SU, 25 ottobre 2013, n. 24153(ord.), in Foro it., 2013, I, 3407, con osservazione di E. D’ALESSANDRO, Le sezioni unite mutanoopinione sulla natura dell’eccezione di arbitrato estero, Corr. giur., 2014, 84, con nota di G. VERDE,

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trato irrituale, in quanto fenomeno negoziale, non potrebbero invece cheessere ricollegati effetti a loro volta negoziali, come tali diversi da quellidella sentenza (11).

Secondo altri, invece, la giurisdizionalità — o se non altro la giurisdi-zionalità in senso proprio — dovrebbe essere esclusa, non solo perl’arbitrato irrituale, ma anche per quello rituale.

Su tale, comune, presupposto, però, mentre secondo taluno questoimplicherebbe che neppure al lodo rituale potrebbero essere realmentericonosciuti i medesimi effetti della sentenza (12), secondo altri, invece, lanon giurisdizionalità dell’arbitrato non inciderebbe in alcun modo suglieffetti del lodo, che non vi sarebbe ragione di differenziare da quelli dellasentenza (13) (14).

Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 169,con nota di A. GIUSSANI, Intorno alla deducibilità ex art. 41 cod. proc. civ. dell’eccezione contestatadi compromesso per arbitrato estero).

Nel senso che “già prima dell’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c. l’efficacia, tra le parti, delladecisione arbitrale rituale era equiparabile a quella della sentenza”, v. poi Cass., 26 maggio2014, n. 11634, in Foro it., 2014, I, 2845, con nota di E. D’ALESSANDRO, Lodo arbitrale rituale edart. 1306 c.c.

(11) In tal senso v. G. BARBIERI-E. BELLA, Il nuovo diritto dell’arbitrato, cit., 395 ss.; P.BIAVATI, Commento, cit., 163 ss.; M. BOVE, Note, cit., 688 ss.; C. CONSOLO, Il processo di primogrado, cit., 644; P.L. NELA, Commento, cit., 1634 nota 10 e 1635 ss.; L. SALVANESCHI, Arbitrato,cit., 153 s. e 177; G. TOTA, Commento all’art. 808-ter, in Commentario alle riforme del processocivile, a cura di A. BRIGUGLIO e B. CAPPONI, III, 2, Arbitrato, Padova, 2009, 547 e 549; G. VERDE,Arbitrato irrituale, cit., 12 e 16, e in questa Rivista, 2005, 670 e 674; ID., Lineamenti, cit., 38.

(12) In tal senso v. C. PUNZI, Disegno sistematico, I, cit., 116 ss.; ID., Disegno sistematico,II, cit., 401 ss. (dello stesso Autore v. anche, da ultimo, Le nuove frontiere dell’arbitrato, in Riv.dir. proc., 2015, 1 ss.); E. ODORISIO, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, inRiv. dir. proc., 2006, 253 ss., 267 ss.; G. BONATO, La natura, 171 ss.

(13) In tal senso v. F.P. LUISO, L’art. 824-bis, in questa Rivista, 2010, 235 ss. Nel senso che“‘la forza di legge tra le parti’ non ha molto di diverso dalla sostanza precettiva dell’accerta-mento ‘contenuto nella sentenza passata in giudicato’ (art. 2909 c.c.) e quindi del lodo c.d.rituale”, e che “la differenza evidentemente si apprezza (non sul terreno dell’effetto sostanziale,quanto piuttosto) sul terreno del regime dell’atto produttivo di tali effetti e, per conseguenza,sulla disciplina processuale di questi”, v. anche B. SASSANI, Commento all’art. 808 ter, in L.P.COMOGLIO-C. CONSOLO-B. SASSANI-R. VACCARELLA, Commentario del codice di procedura civile,VII, 4, Articoli 796-840, Torino, 2014, 116.

(14) Più genericamente nell’ottica dell’esclusione della giurisdizionalità v. inoltre: nelsenso che l’assimilazione, sotto il profilo degli effetti, non implica necessariamente la giurisdi-zionalità dell’arbitrato rituale, P.L. NELA, Commento, cit., nota 24; nel senso che l’equiparazionefra lodo e sentenza non implica la loro totale coincidenza e che gli arbitri rituali non esercitanola funzione giurisdizionale (ma nondimeno ius dicunt), F. CARPI, Commento, cit., 594 ss. in part.596; nel senso che l’efficacia di sentenza, di cui all’art. 824-bis c.p.c., “non può essere quelladescritta dall’art. 2909 c.c., ma bensì la sua efficacia processuale, correttamente intesa comesottrazione alle ordinarie impugnazioni negoziali ed assoggettamento alle impugnazioni pro-cessuali ed alla procedura di correzione degli errori materiali disciplinate dal codice di rito”, G.RUFFINI, Patto compromissorio, in La riforma della disciplina dell’arbitrato (L. n. 80/2005 e D.lgs. n. 40/2006), a cura di E. FAZZALARI, Milano, 2006, 51 e 59 ss., e in questa Rivista, 2005, 711e 719 ss.; nel senso che “l’attività degli arbitri è esercizio privato di una attività di giudizio egiustizia, di generale e pubblica utilità, ma non è giurisdizione”, S. LA CHINA, L’arbitrato3,Milano, 2007, 24; fermamente per la negozialità dell’arbitrato rituale, al punto da ritenereincostituzionale l’art. 824-bis c.p.c., E. FAZZALARI, Questione di legittimità costituzionale, in Lariforma, cit., 3 ss., e in questa Rivista, 2005, 661 ss.

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Non manca poi chi sostiene che, a seguito della sempre più stringenteregolamentazione del fenomeno da parte del legislatore, il problema dellaqualificazione dell’arbitrato rituale ha perso quantomeno parte della suarilevanza (15).

Così sintetizzato, ed a prescindere, com’è ovvio, dell’adesione all’unaoppure all’altra delle riferite ricostruzioni, il panorama delle opinioni inmateria sembrerebbe se non altro chiaro. A ben vedere, invece, non è cosìe questo dipende dal fatto che l’alternativa effetti di sentenza/effetti dinegozio non dice in realtà nulla di concreto. Finché non venga chiaritoquale sarebbe la diversa consistenza delle due tipologie di effetti, nonsappiamo infatti quali differenti, tangibili, conseguenze determinerebbe,per le parti, il fatto che al lodo vengano attribuiti i primi oppure i secondi.Ed il punto è che tale diversa consistenza non emerge né spesso né inmodo netto dalle indagini in materia.

Al netto delle analisi, nell’ambito delle quali ci si limita a far riferi-mento all’un tipo di effetti oppure all’altro, dando per scontata la lorodiversità e senza concretizzare i termini di quest’ultima, esistono, in effetti,diversi tentativi di ricostruzione dell’arbitrato, e del suo atto finale, intermini alternativi rispetto al processo davanti al giudice, ed alla relativasentenza. In tal senso si è variamente parlato, nel corso dei decenni, conformule note a chiunque abbia un minimo di confidenza con la materia, dimandato a transigere o ad accertare, di arbitraggio della transazione o delnegozio di accertamento, di negozio/contratto per relationem e così via.

Tali formule non sono però risolutive. Più precisamente, con riferi-mento ad esse può osservarsi quanto segue: laddove si fa riferimento allatransazione, esse sono palesemente in contrasto con la volontà delle parti,e dunque con la realtà del fenomeno, dal momento che, quando sirivolgono ad un arbitro, i litiganti non vogliono affatto transigere, bensìvedere riconosciuta la propria ragione; laddove invece si fa riferimento alnegozio di accertamento, esse risultano generiche, nella misura in cui nonviene chiarito quali sarebbero gli effetti dell’accertamento in questione;laddove infine si fa riferimento al negozio per relationem, esse risultanoparimenti generiche, nella misura in cui non viene chiarito quale sarebbeil negozio posto in essere dall’arbitro, al quale le parti rinviano (mentrepoi, laddove venga invece specificato che in questione sarebbe una tran-sazione oppure un negozio di accertamento, vale, ovviamente, quantoappena detto per le rispettive ipotesi).

In sostanza, cioè, le ricostruzioni in discorso o sono manifestamenteartificiose, o non forniscono alcuna reale spiegazione in merito alla con-creta diversità degli effetti del lodo rispetto alla sentenza del giudice.

Non tutte le indicazioni, che emergono dalle trattazioni in materia,

(15) In tal senso v. E. MARINUCCI e P.L. NELA, opp. e locc. citt. nella nota 5.

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sono peraltro di questo tipo. Concentrandoci dunque su quelle più con-crete, e cercando di schematizzare, mi pare che possano identificarsi dueimpostazioni.

Secondo la prima, gli effetti di negozio, anziché di sentenza, siconcreterebbero in ciò, che il lodo irrituale (la tesi, quantomeno direcente, è stata sostenuta unicamente con riferimento a quest’ultimo) nondarebbe luogo ad un accertamento in senso proprio. Al contrario, ilfenomeno dovrebbe essere ricostruito in termini innovativi, e precisa-mente estintivo-costitutivi: con il patto compromissorio le parti elimine-rebbero il rapporto in essere, dopodiché l’arbitro ne creerebbe unonuovo (16).

Secondo la seconda impostazione, il lodo, darebbe bensì vita ad unaccertamento, ma per un qualche verso di rango inferiore, rispetto aquello, al quale dà vita la sentenza del giudice. In particolare, per quantoconcerne l’arbitrato rituale (ma il problema si pone ovviamente anche perquello irrituale) si è sostenuto che il lodo: — non resisterebbe allo iussuperveniens retroattivo; — non avrebbe effetti nei confronti dei terzi; —non coinvolgerebbe il rapporto fondamentale; — non si rifletterebbe suirapporti dipendenti (17).

In un caso, la differenza concernerebbe dunque il “tipo” di effetto(innovativo, ed in particolare estintivo-costitutivo, anziché accertativo),nell’altro la sua “portata”.

Queste essendo, in termini più che succinti, limitati ciò che è stretta-mente indispensabile ai presenti fini, le posizioni in campo (18), essepossono essere condensate nei seguenti quattro assunti, sicuramente sche-matici e riduttivi, ma, a quanto mi pare, capaci di sintetizzare efficace-mente i tratti essenziali delle varie impostazioni:

a) l’arbitrato irrituale, avendo natura negoziale, non dà luogo ad unaccertamento, ma si concreta nell’estinzione del rapporto in essere e nellacostituzione di uno nuovo;

b) avendo l’arbitrato (rituale e/o irrituale) natura negoziale, il lodoproduce effetti di minor portata rispetto a quelli della sentenza delgiudice;

(16) In tal senso M. BOVE, Note, cit., 731, secondo il quale, più precisamente, “le parti, col[...] patto [compromissorio,] stipulano un contratto di soluzione della lite che già incide suldiritto sostanziale, eliminando il rapporto tra di loro esistente, e, quindi, si affidano ad un terzo,che a questo punto non può essere altro che un arbitratore, per determinare quale sarà il nuovorapporto tra di loro intercorrente”; ID., Commento all’art. 808 ter, in La nuova disciplinadell’arbitrato. Commentario agli artt. 806-840 c.p.c. Aggiornato alla legge 18 giugno 2009 n. 69,a cura di S. MENCHINI, Padova, 2010, 78; M. MARINELLI, La natura dell’arbitrato irrituale. Profilicomparatistici e processuali, Torino, 2002, 103 ss.

(17) Per tali profili (che mi paiono quelli più significativi), nonché per le relative citazioni,v. G. BONATO, La natura, 266 ss. e 288 ss.; E. D’ALESSANDRO, Commento, cit., 963 ss. e 973 ss.;F.P. LUISO, L’art. 824-bis, cit., 238 ss.

(18) Per maggiori dettagli v. le opere citate nella nota 4.

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c) l’arbitrato rituale, avendo il relativo lodo effetti di sentenza, hanatura giurisdizionale;

d) pur non avendo l’arbitrato (né rituale né irrituale) natura giuri-sdizionale, il lodo produce effetti di portata in linea di principio analoga aquella degli effetti della sentenza del giudice.

A mio avviso, l’assunto corretto è senz’altro il quarto. Credo cioè che,come del resto già anticipato (19) fra il lodo irrituale, quello rituale e lasentenza del giudice non vi sia, in linea di principio, in punto di effetti —o meglio: in punto di efficacia di accertamento (20) — alcuna differenza.Questo rappresenta però uno sviluppo successivo (21). Il primo stadiodell’indagine consiste infatti nella dimostrazione che, come detto (22), lasoluzione del problema degli effetti del lodo, rituale come irrituale, nondipende ora, e non è mai dipeso, dalla negozialità/giurisdizionalità dell’ar-bitrato.

A tal fine, occorre dunque sottoporre distintamente ad analisi i primitre degli assunti che precedono.

3. La negozialità dell’arbitrato irrituale più che un dato pacifico,rappresenta, nella considerazione comune, una sorta di caratteristicaontologica del fenomeno. Un dato iscritto, se così di può dire, nel suo dna.Essa non costituisce, cioè, semplicemente una classificazione, per quantounanime, di un istituto, in sé sicuramente presente nel panorama deglistrumenti di risoluzione delle controversie esistenti nell’ordinamento,bensì, più in radice, la giustificazione stessa di tale presenza.

Le origini dell’arbitrato irrituale sono note. Esso nasce ufficialmentecon una sentenza della Cassazione di Torino del 1904 (23) e la motivazionedel suo riconoscimento da un lato sottolinea la differenza rispetto all’ar-bitrato rituale, escludendo che l’arbitrato irrituale dia vita ad un “vero eproprio giudizio contenzioso” e tenda ad una sentenza e ad un titoloesecutivo, dall’altro fa leva, per legittimare il ricorso a questo strumentoatipico, sul potere delle parti di risolvere convenzionalmente le contro-versie che le riguardano. Se questo è possibile — afferma la Cassazionetorinese — non si vede per quale ragione le parti non dovrebbero potersirimettere alla soluzione dettata da persone di loro fiducia, “obbligandosia considerar[e tale soluzione] come stabilit[a] convenzionalmente fraloro”. La legge — prosegue infatti la Corte — “non vieta in guisa alcunaquesto consenso anticipato a ciò che venisse da altri stabilito”.

(19) V. il § 1.(20) Sulla necessità di distinguere fra l’effetto di accertamento e gli altri effetti, accessori

e/o collaterali al primo, v. i §§ 4, 5 nota 3 e 6.(21) V. in proposito i §§ 7-9.(22) V. il § 1.(23) Cass. Torino 27 dicembre 1904, in Foro it., 1905, I, 366, e Riv. dir. comm., 1905, II,

45, con nota di P. BONFANTE, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi deiloro rapporti ma non esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi.

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In effetti, proprio questo è, da sempre, il punto: le parti, le quali nonintendano rivolgersi al giudice statale, hanno già a disposizione l’arbitratorituale; l’unica via (secondo alcuni percorribile, secondo altri no) perdelegare ad altri privati la risoluzione della controversia, senza sottostarealle regole di quest’ultimo, non può dunque essere se non quella dipuntare sui poteri sostanziali delle parti medesime, vale a dire sulla libertànegoziale.

Questa prospettiva, se da un lato offre una soluzione alternativa allestrettoie imposte dalla regolamentazione dell’arbitrato rituale, dall’altropone però, abbastanza intuitivamente, un problema di compatibilità fra ilrisultato perseguito e il mezzo adoperato per raggiungerlo. Il negozio,infatti, è lo strumento tramite il quale i privati dispongono, innovativa-mente, dei propri interessi. Difficilmente esso sembra dunque prestarsi adessere adoperato in funzione accertativa.

Né, com’è ovvio, le cose mutano laddove in questione sia una solu-zione della controversia non dettata direttamente dalle parti, ma delegataad un terzo. Laddove tale delega si incanali nelle forme dell’arbitratorituale, può infatti anche sostenersi che il terzo, pur se nominato dalleparti, in quanto oggetto di una specifica previsione e disciplina normativa,esercita una giurisdizione privata, eccentrica rispetto ai poteri delle parti.Ma quando, non volendo sottostare alla suddetta disciplina, ci si affida agliistituti generali del diritto privato, il potere delegato al terzo non può cheessere il medesimo che le parti avrebbero speso, laddove avessero definitola controversia direttamente.

Per uscire da quest’impasse — vale a dire quella dell’incompatibilitàfra il risultato perseguito e lo strumento adoperato per raggiungerlo —sembrerebbe esistere un’unica possibilità: ammettere che la definizioneprivata delle controversie, sia essa autonoma (vale a dire dettata diretta-mente dalle parti), sia essa eteronoma (vale a dire rimessa ad un terzo),non dà mai luogo ad un accertamento del precedente modo di essere delrapporto controverso, ma si risolve sempre nel dettarne una nuova disci-plina. Sebbene lo scopo perseguito dalle parti sia proprio quello di metterecapo al suddetto accertamento, e sebbene quest’ultimo sia preceduto,quando le parti si rivolgono ad un terzo, da una fase contenziosa, nel corsodella quale ciascuna si adopererà per cercare di far prevalere il propriopunto di vista, il tutto si traduce, giuridicamente, in una cosa affattodifferente, vale a dire nell’eliminazione del rapporto preesistente e nellacreazione di uno nuovo. Le parti, cioè, pur volendo accertare, in realtà daun lato estinguerebbero il rapporto controverso, dall’altro ne costituireb-bero un altro, o delegherebbero tale costituzione ad un terzo.

Di accertamento, in ambito privatistico, ed in particolare con riferi-mento all’arbitrato irrituale, potrebbe insomma parlarsi solo in sensoimproprio e tenendo appunto presente lo scopo perseguito dalle parti.

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Tecnicamente, l’utilizzo in proposito di uno strumento innovativo — ilnegozio — reagirebbe giocoforza sulla spiegazione del fenomeno, nelsenso indicato.

Il ragionamento appena riassunto, apparentemente, non fa una piega:i privati, quando agiscono sul piano del diritto privato — e dunque anchel’arbitro irrituale — compiono un’attività negoziale; l’attività negoziale èinnovativa; l’accertamento privato non è vero accertamento, ma si con-creta, innovativamente, appunto, nell’estinzione del vecchio rapporto enella costituzione di uno nuovo.

A ben vedere, tale ragionamento risulta invece fallace. Più esatta-mente, esso — anche al netto di altre considerazioni (24) — si rivelaarbitrario, ed anzi doppiamente arbitrario.

In primo luogo è infatti arbitrario affermare che l’attività negozialesia per definizione innovativa. Certo, in genere lo è. Ma dalla prevalenzastatistica di tale modalità alla sua necessaria esclusività c’è, manifesta-mente, un salto logico. Anche volendo stare alla definizione di negozio —per quanto possano valere le definizioni — in essa non si rinviene infattialcunché che implichi immancabilmente un’attività innovativa: dire, perstare alla nozione tradizionale, che il negozio è “una manifestazione [...] divolontà privata diretta a produrre effetti che l’ordinamento giuridicoriconosce e tutela” (25), non implica assolutamente nulla, in merito al tipodi effetti in questione, ed è dunque pienamente compatibile con un effettoaccertativo (26).

Ma non solo. In realtà, infatti, anche ammesso che l’attività negoziale

(24) La ricostruzione in discorso è a mio avviso artificiosa sotto diversi profili:— in primo luogo in quanto, come appena detto, le parti non vogliono affatto rinunciare

alla propria precedente situazione; al contrario, esattamente allo stesso identico modo diquando si rivolgono ad un arbitro rituale o ad un giudice, ne vogliono l’accertamento (ingenerale sul fatto che l’elaborazione teorica in materia di arbitrato irrituale ha finito perstravolgere l’istituto, rispetto a quanto voluto dalle parti, v. B. SASSANI, L’arbitrato a modalitàirrituale, in questa Rivista, 2007, 27 testo e nota 8, e ID., Commento, cit., 115 testo e nota 32);

— in secondo luogo in quanto le parti rinuncerebbero al rapporto preesistente e però ladisciplina di quello nuovo dovrebbe essere dettata proprio sulla base della verifica del modo diessere del primo;

— in terzo luogo in quanto, in caso di clausola compromissoria, la rinuncia al rapportopreesistente mi pare difficile da costruire (le parti rinunciano fin da subito alla situazione cheviene creata con il contratto, contenente la clausola? rinunciano condizionatamente al verificarsidi una lite? si obbligano a rinunciare e poi l’avvio dell’arbitrato contiene una rinunciaimplicita?).

Non meno artificioso è poi il corollario, secondo il quale, in caso di arbitrato irrituale,l’unico tipo di tutela cautelare esperibile — ed anche quella non senza difficoltà — sarebbequella anticipatoria (cfr. M. BOVE, Commento, cit., 96 ss.; per la critica di tale limitazione v.ancora B. SASSANI, L’arbitrato, cit., 34 ss., e ID., Commento, cit., 130 ss.).

(25) In tal senso v. L. BIGLIAZZI GERI-U. BRECCIA-F.D. BUSNELLI-U. NATOLI, Diritto civile,I, 2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, 461, cui si rinvia anche per ulteriori indicazioni.

(26) Per più ampie considerazioni sulla non necessaria innovatività del negozio si rinviaa M. FORNACIARI, Lineamenti, cit., 156 ss., e ID., Il negozio di accertamento, in I contratti dicomposizione delle liti, a cura di E. GABRIELLI-F.P. LUISO, I, Torino, 2005, 26 ss.

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sia per definizione innovativa, risulta comunque arbitraria la prima affer-mazione, vale a dire quella per la quale l’operato dei privati — e dunqueanche dell’arbitro irrituale — sarebbe per definizione negoziale. Perquanto tale limitazione possa sembrare scontata, in realtà essa non soloinfatti non è ontologica, ma da un lato non sta scritta in alcun luogo,dall’altro non pare neppure derivare, in termini cogenti, da alcun principiodi carattere generale (27).

Né, si aggiunga — venendo così a ciò che qui maggiormente interessa— le cose migliorano, laddove si pretenda di dimostrare gli assunti inesame facendo leva sulla distinzione fra l’area della negozialità e quelladella giurisdizionalità, sostenendo cioè: per un verso che l’operato delleparti e dell’arbitro irrituale sarebbe per definizione negoziale in quantol’attività giurisdizionale è riservata al giudice ed eventualmente all’arbitrorituale (per chi reputa giurisdizionale l’operato di quest’ultimo); per altroverso che l’attività negoziale sarebbe per definizione innovativa in quantol’accertamento è riservato all’attività giurisdizionale.

In tale argomentazione si passa infatti, abbastanza manifestamente,da una concezione soggettiva della distinzione fra negozialità e giurisdi-zionalità, ad una contenutistica: se l’operato delle parti e dell’arbitroirrituale è per definizione negoziale in quanto l’attività giurisdizionale èriservata al giudice ed eventualmente all’arbitro rituale, questo significa,evidentemente, che il criterio per stabilire se siamo in presenza dell’unaoppure dell’altra attività è soggettivo; che, cioè, un’attività è giurisdizio-nale oppure negoziale a seconda che provenga, rispettivamente, dal giu-dice ed eventualmente dall’arbitro rituale oppure dalle parti e dall’arbitroirrituale; se viceversa l’attività negoziale è per definizione innovativa inquanto l’accertamento è riservato all’attività giurisdizionale, questo signi-fica, altrettanto evidentemente, che il criterio per stabilire se siamo inpresenza dell’una oppure dell’altra attività è contenutistico; che, cioè,un’attività è giurisdizionale oppure negoziale a seconda che sia, rispetti-vamente, accertativa oppure innovativa.

Ebbene, posto che il criterio da adoperare può essere il primo o ilsecondo (come diremo (28), non vi sono, in proposito, soluzioni obbligateed in realtà i criteri possibili sono anche altri), ma non entrambi, delle duel’una: o il criterio è di tipo soggettivo, ed allora, però, nulla impone chel’attività negoziale possa essere solo innovativa, ben potendo viceversaessere anche accertativa; oppure il criterio è di tipo contenutistico, ed

(27) Nel senso che quello del monopolio dell’attività giurisdizionale in capo allo Stato èun dogma e che “non deriva da alcuna necessità logico-giuridica che ai privati sia dato solo ilpotere di negoziare” v. del resto lo stesso M. BOVE, Note, cit., 705.

Sul tramonto del monopolio statale della giurisdizione v. da ultimo C. PUNZI, Le nuovefrontiere, cit., 1 ss.

(28) V. il § 10.

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allora, però, nulla impone che l’operato delle parti e dell’arbitro irritualepossa essere solo negoziale, ben potendo viceversa essere anche giurisdi-zionale. In un caso come nell’altro cade dunque l’assunto dell’impossibi-lità, per le parti e per l’arbitro irrituale, di porre in essere un accertamento:o perché, pur potendo essi compiere solo attività negoziale, questa puòanche essere accertativa; o perché, pur essendo l’attività negoziale soloinnovativa, le parti e l’arbitro irrituale possono compiere anche attivitàgiurisdizionale.

A tutto questo si potrebbe obiettare che, se i privati vogliono dar vitaad un accertamento, hanno già a disposizione l’arbitrato rituale.

Tale obiezione non coglie tuttavia nel segno. Che la presenza dell’ar-bitrato rituale esaurisca lo spazio concesso all’accertamento dei privati po-trebbe, infatti, astrattamente, anche essere (verificheremo poi in concretoche non è così (29)). Questo attiene però ad un profilo diverso da quello quiin esame. In questione, nella prospettiva della riferita obiezione, è infatti unlimite di diritto positivo (laddove si ritenga che la previsione dell’arbitratorituale debba essere intesa quale espressione della volontà del legislatore dilimitare a tale strumento la possibilità, per i privati, di ottenere un accer-tamento alternativo a quello del giudice) o di concreta utilità (qualora siritenga che, a prescindere dalla volontà del legislatore, la previsione del-l’arbitrato rituale renda superfluo un arbitrato irrituale accertativo).

Ciò che qui è in discussione è invece la non risolutività, ed anzil’irrilevanza tout court della disputa in merito alla negozialità/giurisdizio-nalità dell’arbitrato. Obiettivo delle attuali considerazioni non è, cioè,dimostrare già ora, in positivo e compiutamente, la possibilità, per le partie per l’arbitro irrituale, di far luogo ad un accertamento (30), bensìappunto, più limitatamente ed in negativo, di sgomberare il campo dallasuddetta disputa.

Quanto precede, di per sé, non significa dunque che quello delle partie dell’arbitro irrituale sia senz’altro un accertamento. E non significaneppure, si noti, che la risposta al relativo interrogativo debba esserenecessariamente unica ed omogenea per le prime (le parti) e per ilsecondo (l’arbitro irrituale). In realtà, nulla esclude, in astratto, alcunacombinazione. Può dunque essere che tanto le parti quanto l’arbitroirrituale possano accertare, oppure, all’opposto, che ciò non sia possibilené ai primi né al secondo. Ma può anche essere che le parti possano farloe altrettanto non possa invece l’arbitro irrituale (perché deve ritenersi chela via dell’accertamento eteronomo non giudiziale passa necessariamentedall’arbitrato rituale), oppure, al contrario, che sia l’arbitro irrituale apoter accertare, mentre le parti, in prima persona, non possano (perchédeve ritenersi che l’accertamento presupponga necessariamente la verificastorica circa il modo di essere della realtà accertanda).

(29) V. il § 7.(30) Di questo ci occuperemo più avanti: v. il § 7.

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Le considerazioni svolte significano però, secondo appunto quantodetto, che, nella ricerca della suddetta risposta è inutile continuare adaffannarsi ed a scontrarsi sulla negozialità/giurisdizionalità dell’arbitrato.In realtà, il problema va completamente ribaltato. In primo luogo occorrechiedersi, evitando di incartarsi sull’alternativa negozialità/giurisdiziona-lità, se vi sono o meno valide ragioni, per le quali le parti e/o l’arbitroirrituale non potrebbero dar vita ad un accertamento. Chiarito questo, edammesso che la risposta sia, in tutto o in parte, negativa, a tal punto,quello relativo alla negozialità oppure alla giurisdizionalità di tale attivitàè unicamente un problema classificatorio, che dipende dal criterio, in baseal quale si ritenga di dover distinguere fra tali due ambiti: per rimanerealle ipotesi, sopra prospettate (come avvertito e come vedremo, ne sonoimmaginabili anche altre), laddove si ritenga che tale criterio sia sogget-tivo (vale a dire che un’attività sia giurisdizionale oppure negoziale aseconda che provenga, rispettivamente, dal giudice/arbitro rituale oppuredalle parti/arbitro irrituale), si dirà che l’accertamento delle parti e/odell’arbitro irrituale è espressione di un’attività negoziale (fermo restandoche l’attività negoziale può avere tanto una dimensione innovativa quantouna accertativa); laddove invece si ritenga che il criterio sia contenutistico(vale a dire che un’attività sia giurisdizionale oppure negoziale a secondache sia, rispettivamente, accertativa oppure innovativa), si dirà che l’ac-certamento delle parti e/o dell’arbitro irrituale è espressione di un’attivitàgiurisdizionale (fermo restando che l’attività giurisdizionale può proveniretanto dal giudice/arbitro rituale quanto dalle parti/arbitro irrituale).

Ciò detto, è peraltro ovvio (ma è bene precisarlo, a scanso di equi-voci) che, laddove le parti effettivamente vogliano eliminare il rapportopreesistente e crearne uno nuovo (cosa, peraltro, realisticamente destinataad accadere più che altro in un’ottica transattiva, vale a dire di ricerca diuna soluzione intermedia fra le opposte prospettazioni, e non in una diverifica circa l’effettiva fondatezza di queste ultime (31)), possono senz’al-tro farlo. Ammesso che le parti e/o l’arbitro irrituale possano far luogo adun accertamento, questa è infatti solo una possibilità, che certo noncancella quella innovativa in discorso, ma si aggiunge ad essa. Le duesoluzioni non sono cioè in alcun modo incompatibili, ma rappresentanopiuttosto diversi strumenti di risoluzione non giudiziale delle controversie,alternativi fra loro (32).

4. Con riferimento al secondo assunto [quello secondo il quale, data

(31) Sull’artificiosità della prospettiva della costituzione del nuovo rapporto sulla basedella verifica circa il modo di essere di quello preesistente, rinunciato, v. la nota 24.

(32) Sul fatto che l’art. 808-ter c.p.c. (interpretato in chiave accertativa) non preclude inalcun modo la possibilità, per le parti, di demandare a terzi l’integrazione di una volontàdispositiva incompleta v. B. SASSANI, L’arbitrato, cit., 32 s., e ID., Commento, cit., 128.

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la natura negoziale dell’arbitrato (rituale e/o irrituale), il lodo produr-rebbe effetti di minor portata rispetto a quelli della sentenza del giudice]vale in sostanza, mutatis mutandis, quanto appena detto per il primo.

Al pari di quanto visto a proposito dell’asserita, ontologica, innova-tività dell’attività negoziale, che gli effetti del negozio siano per defini-zione di minor portata rispetto a quelli della sentenza (segnatamente sottoi profili, sopra ricordati (33), della resistenza allo ius superveniens retroat-tivo, degli effetti nei confronti dei terzi, del coinvolgimento del rapportofondamentale, della riflessione sui rapporti dipendenti) non sta infattiscritto da nessuna parte.

Sostituita la prospettiva della minore portata a quella dell’innovati-vità, si possono dunque ripetere in toto le considerazioni svolte conriferimento alla seconda, e cioè: per un verso che risulta doppiamentearbitrario affermare, sia che l’operato delle parti e dell’arbitro (rituale e/oirrituale) sarebbe per definizione negoziale, sia, appunto, che gli effetti delnegozio sarebbero per definizione di minor portata rispetto a quelli dellasentenza; per altro verso che la differenza fra negozialità e giurisdiziona-lità si rivela, quale giustificazione di tali affermazioni, una copertastretta (34).

Di nuovo, occorre peraltro chiarire che tali rilievi, in sé, non preten-dono di dimostrare che gli effetti dell’accordo delle parti e/o del lodo(rituale e/o irrituale) abbiano portata analoga a quella degli effetti dellasentenza del giudice: ciò a cui, più limitatamente, essi mirano, qui come là,è di mostrare che la soluzione del problema non passa dall’alternativanegozialità/giurisdizionalità e che occorre piuttosto ribaltare i termini delproblema medesimo. Ciò che bisogna chiedersi, lasciando perdere lasuddetta alternativa, è cioè se vi siano o meno valide ragioni, per le qualigli effetti dell’accordo delle parti e/o del lodo (rituale e/o irrituale)dovrebbero essere di minor portata rispetto a quelli della sentenza delgiudice. Dopodiché, ancora una volta, qualora la risposta sia negativa, lanegozialità/giurisdizionalità rappresenta un problema meramente classifi-catorio: laddove si ritenga che il criterio di distinzione fra negozialità egiurisdizionalità sia soggettivo [vale a dire che un’attività sia giurisdizio-nale oppure negoziale a seconda che provenga dal giudice (e per alcunianche dall’arbitro rituale) oppure dalle parti/arbitro (per alcuni soloirrituale, per altri anche rituale)], si dirà che l’accordo delle parti e/o il

(33) V. il § 2.(34) Per quanto in particolare concerne l’arbitrato rituale, a tali considerazioni si ag-

giunge inoltre l’ulteriore, non secondario, ostacolo, rappresentato dall’espresso riconoscimentoal lodo degli effetti di sentenza. Non, sia chiaro, che tale previsione — per quanto indubbia-mente assai netta ed univoca — non necessiti di essere interpretata e che, più in generale, ilproblema dell’effettiva identità o meno fra gli effetti del lodo rituale e quelli della sentenza nonesista. Il punto è però quello dell’irrilevanza, in proposito, della disputa in merito allanegozialità/giurisdizionalità dell’arbitrato, secondo quanto diremo subito nel testo.

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lodo (rituale e/o irrituale) sono espressione di un’attività negoziale (fermorestando che l’attività negoziale dà vita ad effetti di portata analoga aquella degli effetti dell’attività giurisdizionale); laddove invece si ritengache il predetto criterio sia di tipo contenutistico [vale a dire che un’attivitàsia giurisdizionale oppure negoziale a seconda che dia o meno vita adeffetti (di quel certo tipo e) di quella certa portata], si dirà che l’accordodelle parti e/o il lodo (irrituale e/o rituale) sono espressione di un’attivitàgiurisdizionale [fermo restando che l’attività giurisdizionale può proveniretanto dal giudice quanto dalle parti/arbitro (irrituale e/o rituale)].

Unicamente, si tenga già fin da ora presente che, nella suddettaindagine, in merito agli effetti dell’accordo delle parti e/o del lodo (ritualee/o irrituale), occorre evitare di fare confusione fra l’effetto di accerta-mento e gli altri effetti, accessori e/o collaterali al primo.

5. Il terzo assunto (quello secondo il quale l’arbitrato rituale, dati glieffetti di sentenza del lodo, avrebbe natura giurisdizionale) richiede, dinuovo, un discorso più articolato.

Per quanto apparentemente scontato, esso si presta infatti a diversirilievi critici.

Preliminarmente è bene intanto chiarire che spesso la natura giuri-sdizionale, desunta dalla previsione relativa agli effetti di sentenza dellodo, rappresenta la premessa di conseguenze, che attengono in realtà nonagli effetti, bensì al regime del lodo medesimo o alle regole del processoarbitrale.

Non, beninteso, che questo sia in sé sbagliato. Ammesso che lasequenza logica (dagli effetti di sentenza alla giurisdizionalità, dalla giu-risdizionalità alle ulteriori conseguenze) fosse valida (così non è, comevedremo, ma questo è un discorso diverso), essa potrebbe infatti verosi-milmente trovare applicazione non solo agli effetti del lodo, ma anche alsuo regime o alle regole del processo arbitrale; la asserita giurisdizionalitàpotrebbe cioè ragionevolmente riflettersi tanto sui primi quanto sul se-condo e sulle terze. La precisazione risulta tuttavia ugualmente impor-tante, quale premessa delle considerazioni che seguiranno, in quanto ladistinzione fra gli effetti ed il regime degli atti rappresenta uno dei puntinevralgici della materia, relativamente al quale sono frequenti i frainten-dimenti (35).

Chiarito questo, e venendo ai rilievi critici veri e propri, questi sonoschematizzabili in quattro punti:

a) Da un primo, generalissimo, punto di vista, non può intanto nonrilevarsi che, con la medesima logica dell’assunto in esame (poiché il lodo

(35) Sul punto v. già il § 1, e poi, più specificamente, sulla distinzione fra efficacia evalidità dell’atto, contenente l’accertamento, il § 8.

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ha effetti di sentenza, l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale), sipotrebbe sostenere che, poiché il contratto ha forza di legge, esso hanatura normativa. Il che, credo, nessuno si sognerebbe mai di soste-nere (36).

b) Da un secondo punto di vista, va poi notato che l’affermazione,per la quale, avendo il lodo effetti di sentenza, l’arbitrato rituale ha naturagiurisdizionale, dà per scontato che gli effetti in questione siano incom-patibili con la natura negoziale; che il negozio non potrebbe cioè avereeffetti di questo tipo, ma solo effetti diversi o di minor portata; il che però,come già detto (37), è in realtà arbitrario.

c) Da un terzo punto di vista, bisogna inoltre considerare che, perquanto l’assunto sembri legare strettamente effetti di sentenza e giurisdi-zionalità, in realtà il lodo rituale non ha tutti gli effetti della sentenza.Esso, infatti, non è, di per sé, esecutivo, necessitando, all’uopo, dell’exe-quatur del giudice.

Alla luce di tale constatazione, delle due dunque l’una. O per potersipredicare la natura giurisdizionale occorre la presenza di tutti gli effettidella sentenza, ed allora l’assunto è falso: anche il lodo rituale, non avendotutti gli effetti della sentenza, deve ritenersi avere natura negoziale (na-tura negoziale, si aggiunga, la quale, a tal punto, non ci dice evidentementenulla circa l’identità/differenza di effetti fra il lodo rituale, da un lato, el’accordo delle parti ed il lodo irrituale, dall’altro). Oppure, se per potersipredicare la natura giurisdizionale non occorre la presenza di tutti glieffetti della sentenza, nulla impedisce allora che anche l’accordo delleparti ed il lodo irrituale, ammesso e non concesso che abbiano effetti inparte diversi da quelli del lodo rituale, abbiano natura giurisdizionale(natura giurisdizionale, parimenti si aggiunga, la quale, a tal punto, rimanea sua volta totalmente muta in merito alla suddetta identità/differenza).Mentre poi, a fronte di un’ipotetica selezione degli effetti rilevanti ai finidell’attribuzione di tale natura, sarebbe facile obiettare che qualunqueselezione non può che risultare arbitraria, e comunque soggettiva.

d) Da un quarto punto di vista, occorre ancora osservare che, ingenere, la qualificazione in termini di giurisdizionalità non è fine a sestessa, bensì, come già accennato poco sopra, rappresenta la premessa perderivarne poi ulteriori conseguenze, siano esse in punto di effetti del lodo,di regime dello stesso o di regole del processo arbitrale, e questo cambiaparecchio le cose.

Finché infatti tale qualificazione ha una valenza solo descrittivo-classificatoria, poco male: giusta o sbagliata che sia, si tratta di un’opera-zione innocua. Quando ad essa si pretende invece di attribuire delle

(36) Per un consimile rilievo v. F. CARPI, Commento, cit., 596.(37) V. il § 3 (quanto alla diversità) ed il § 4 (quanto alla minor portata).

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ricadute concrete in punto di disciplina del fenomeno, non può evidente-mente dirsi altrettanto. Occorre dunque verificare se tale operazione siacorretta, il che, come subito vedremo, non è, per varie ragioni.

aa) In primo luogo, per quanto in particolare concerne le conse-guenze in punto di effetti del lodo, l’argomento si risolve, abbastanzamanifestamente, in una petizione di principio, in quanto la giurisdiziona-lità, desunta dall’attribuzione al lodo degli effetti di sentenza, reagisce suquesti ultimi, con un’evidente inversione del rapporto causa-effetto, ve-nendo utilizzata per individuare la latitudine degli effetti medesimi. Qui siha cioè un ente (la giurisdizionalità), il quale da un lato, in quanto vienederivato da un altro (gli effetti di sentenza), rappresenta la conseguenza diquest’ultimo, dall’altro, in quanto viene utilizzato per determinare laconsistenza dello stesso, ne rappresenta però, al tempo stesso, il presup-posto. Detto ancora diversamente, in questo modo si pretende di adope-rare quale criterio interpretativo di una previsione, una caratteristicadesunta dalla previsione medesima.

bb) In secondo luogo, e più in generale, con riferimento cioè aqualunque tipo di conseguenza, vuoi in punto di effetti del lodo, vuoi inpunto di regime dello stesso, vuoi in punto di regole del processo arbitrale,la giurisdizionalità, quale fonte di tali conseguenze, rappresenta in realtàun medio inutile. Delle conseguenze in discorso non ve n’è infatti alcuna,a quanto mi pare, che non sia ugualmente derivabile, con l’utilizzo degliordinari strumenti interpretativi, ed essenzialmente dell’analogia, già sullabase della previsione relativa agli effetti di sentenza. La giurisdizionalitànon aggiunge cioè, a tale previsione, alcuna connotazione ulteriore, taleche, in sua assenza, le implicazioni della previsione medesima dovrebberoritenersi per un verso o per l’altro minori.

cc) In terzo luogo, qualora così non fosse, qualora cioè vi fosseroeffettivamente conseguenze, che la previsione relativa agli effetti di sen-tenza di per sé non supporta, e per le quali la giurisdizionalità rappresentadunque una condicio sine qua non, in tali limiti quest’ultima si risolve-rebbe in una sorta di moltiplicatore delle ricadute della suddetta previ-sione, al quale non mi pare possa essere riconosciuta validità. Ancheammesso che la previsione relativa agli effetti di sentenza giustifichi laqualificazione in termini di giurisdizionalità, quest’ultima, in quanto deri-vata da tale previsione, ha infatti in essa i suoi confini e i suoi limiti, e nonpuò quindi essere utilizzata per amplificarne gli effetti.

Mutatis mutandis, e riprendendo il parallelo effettuato poc’anzi, sa-rebbe un po’ come se, desunto che il contratto, avendo forza di legge, hanatura normativa, da tale qualificazione si pretendesse poi di sostenere, adesempio, che i suoi effetti si producono, di regola, dopo 15 giorni dallastipulazione (se non dalla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale): ancheammessa la validità del primo passaggio, è evidente che il secondorisulterebbe ultroneo, proprio in quanto scollegherebbe il riconoscimentodella natura normativa dalla previsione dalla quale discende e dipende.

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Delle due, insomma, l’una: finché in questione sono conseguenze, chepossono già derivarsi dalla previsione relativa agli effetti di sentenza, ilmedio della giurisdizionalità è inutile [questa l’obiezione sub bb)]; laddoveviceversa in questione dovessero essere conseguenze diverse ed ulteriori,il suddetto medio risulterebbe artificioso, e dunque inutilizzabile [questal’obiezione sub cc)].

Tirando le fila dei rilievi che precedono, la conclusione, anche conriferimento all’assunto in esame, non può dunque che essere analoga aquella già raggiunta con riferimento ai precedenti. Alla luce delle consi-derazioni svolte è cioè evidente che l’asserita giurisdizionalità dell’arbi-trato rituale rappresenta una connotazione priva di rilevanza concreta. Ilproblema vero, l’interrogativo che occorre porsi, accantonando tale con-notazione, è quali siano gli effetti del lodo rituale, ed in particolare se essisiano o meno realmente uguali a quelli della sentenza del giudice, vuoiquanto a tipologia, vuoi quanto a portata (38). Appurato questo, a talpunto la giurisdizionalità o meno dell’arbitrato rituale rappresenta, alsolito, un problema esclusivamente classificatorio, dipendente dal criterioche si ritenga di adottare in merito alla distinzione fra negozialità egiurisdizionalità.

Ribadita tale conclusione, e terminata in tal modo la parte criticadella presente indagine, veniamo ora a quella propositiva.

6. Per la definizione di una controversia esistono due canali: quellopubblico e quello privato. Il primo è quello del processo davanti al giudice.All’interno del secondo si danno tre possibilità (la prima autonoma, laseconda e la terza eteronome): l’accordo delle parti; l’arbitrato irrituale;l’arbitrato rituale.

Per ciò che attiene alle condizioni di accesso a tali strumenti, esisteuna differenza essenziale fra il canale pubblico e quello privato: mentre ilprimo può essere utilizzato liberamente, il secondo presuppone invece ilconsenso delle parti [quanto alla prima prospettiva (l’accordo delle parti),direttamente sulla soluzione da adottare; quanto alla seconda ed alla terza(l’arbitrato irrituale e quello rituale), sulla devoluzione della controversiaad un terzo].

In punto di effetti — che è ciò a cui si riferiscono le presenticonsiderazioni — il problema che tale ventaglio di prospettive pone è segli atti, nei quali esse si traducono o sfociano, vale a dire l’accordo delleparti, il lodo, rituale o irrituale, e la sentenza del giudice, abbiano tutti imedesimi effetti, oppure no. Formulato in questi termini, il problema

(38) Vale ovviamente anche qui quanto anticipato in fine del § 4, a proposito dellanecessità di distinguere fra l’effetto di accertamento e gli altri effetti, accessori e/o collaterali alprimo.

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risulta peraltro eccessivamente ampio e generico. Preliminarmente ricor-data e ribadita, in generale, la necessità di mettere da parte la tematicadella negozialità/giurisdizionalità dei vari strumenti, esso va dunque in-tanto delimitato e poi tradotto in interrogativi più specifici.

Dal primo punto di vista, occorre distinguere nettamente, secondoquanto già anticipato (39) fra l’effetto di accertamento e gli altri effetti,accessori e/o collaterali al primo, possibilmente ricollegati ad un atto voltoa risolvere una controversia (e, si aggiunga, dipendenti non dal contenutodi tale atto, bensì da circostanze estrinseche a questo, quali la sua prove-nienza da un pubblico potere o meno, la sua natura di atto pubblicooppure di scrittura privata non autenticata, o anche solo la scelta di dirittopositivo del legislatore (40)), quali l’efficacia di titolo esecutivo, la possi-bilità di dar luogo a trascrizione o ad annotazione, l’allungamento deltermine delle prescrizioni brevi (41).

Operata tale distinzione, e chiarito che quello che qui interessa èunicamente l’effetto di accertamento, dal secondo punto di vista (necessitàdi specificare il problema), gli interrogativi che, alla luce di quanto dettonei paragrafi precedenti, gradatamente si pongono sono: a) se — fermarestando la possibilità, autonomamente o tramite terzi, di eliminare ilvecchio rapporto e di crearne uno nuovo — i privati possano anche darvita ad un accertamento ed eventualmente se possano farlo solo autono-mamente, solo tramite terzi o in entrambi i modi; b) ammesso che larisposta al primo interrogativo sia positiva, se tale accertamento abbiaeffetti di portata analoga a quella dell’accertamento del giudice.

Ciò chiarito, e premesso, da un lato che di tali interrogativi vana-mente, a mio avviso si ricercherebbe la risposta nel diritto positivo (perunanime riconoscimento equivoco ed imperfetto) (42), dall’altro che que-sta non può e non vuol essere una trattazione compiuta ed esaustiva (non

(39) Cfr. i §§ 4 e 5 nota 3.(40) Sul punto, da prospettive opposte, v. F. AULETTA, Commento all’art. 824 bis, in La

nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario agli artt. 806.840 c.p.c. Aggiornato alla legge 18giugno 2009 n. 69, a cura di S. MENCHINI, Padova, 2010, 420 ss., e F.P. LUISO, L’articolo 824-bis,cit., 247.

(41) Su quest’ultima, con riferimento all’arbitrato rituale, v. F. AULETTA, Commento, cit.,427; G. BONATO, La natura, 259 ss.; F. CARPI, Commento, cit., 595; E. D’ALESSANDRO, Commento,cit., 960 ss.; L. SALVANESCHI, Arbitrato, cit., 814.

(42) Rapidissimamente, noto:— quanto agli “effetti di sentenza”, di cui all’art. 824-bis, ed alla “determinazione

contrattuale”, di cui all’art. 808-ter, che essi in tanto potrebbero avere assumere un significatodi una qualche consistenza in punto di effetti (e non si riferiscano invece al regime degli atti inquestione), in quanto gli effetti della sentenza fossero diversi da quelli del negozio, il che, comestiamo cercando di dire, è però dubbio, e comunque va dimostrato;

— quanto al fatto che la pattuizione di un arbitrato irrituale avvenga “in deroga a quantodisposto dall’art. 824-bis”, che quest’ultimo non può essere considerato isolatamente; essorappresenta infatti la premessa del complesso normativo che, al termine di quello relativo allaregolamentazione del processo arbitrale, disciplina il prodotto dell’arbitrato, dettando appuntola regola di carattere generale, relativa all’immediata efficacia di massima del lodo, salva la

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solo degli effetti tout court, ma neppure, più limitatamente) dell’effetto diaccertamento dei vari atti in questione (trattazione per la quale sarebbeevidentemente necessario uno spazio ed un impegno assai maggiori), quidi seguito ci si soffermerà soprattutto sul primo interrogativo. Quantoinvece al secondo, ci si limiterà ad una trattazione di carattere piùgenerale, principalmente volta a chiarire i termini del problema ed adistinguere fra loro i diversi profili, dai quali quest’ultimo risulta compo-sto; non per questo mancando peraltro di manifestare l’opinione di chiscrive in merito alla soluzione preferibile (soluzione che, come del restogià anticipato (43), sarà senz’altro nel senso di una tendenziale equipara-zione fra gli effetti dei vari atti in questione).

7. Il primo, fondamentale, interrogativo consiste, come appenadetto, in ciò: se quello, con il quale le parti e/o l’arbitro, rituale, masoprattutto irrituale (il problema, come riferito (44), si pone, allo stato,solo per il secondo), definiscono una controversia, sia o meno un accer-tamento. L’alternativa, come visto (45), è quella, secondo la quale ladefinizione in discorso si realizzerebbe tramite un meccanismo innovativo,consistente nell’eliminazione del rapporto preesistente e nella creazione diuno nuovo.

La risposta a tale interrogativo sembrerebbe presupporre che prima sichiarisca in cosa consiste l’accertamento. A parte il fatto che, in generale,di nessun ente può predicarsi l’appartenenza oppure l’estraneità ad unacategoria, se prima non si sia definita quest’ultima, la necessità di talechiarimento sembrerebbe risultare nella fattispecie particolarmente evi-dente, proprio tenendo conto dei termini della riferita alternativa. Lad-dove l’effetto di accertamento, in generale, consistesse nell’eliminazionedel rapporto, che ne è oggetto, e nella creazione di uno nuovo, il problemanon avrebbe, infatti, ragion d’essere: semplicemente, non esisterebbealcun effetto di accertamento, diverso da quello, in ipotesi ricollegabileall’accordo delle parti e/o al lodo, dal quale quest’ultimo effetto potrebbediscostarsi.

Peraltro, se veramente, per fornire risposta all’interrogativo di cuisopra, occorresse previamente identificare l’effetto di accertamento, tantovarrebbe lasciar perdere. Quello, relativo a tale effetto, rappresentainfatti, notoriamente, un tema estremamente complesso e controverso,che non può certo essere affrontato incidentalmente, nell’ambito della

deroga di cui all’art. 825, per quanto concerne l’efficacia esecutiva, e ferme restando leimpugnazioni di cui agli artt. 827 ss.; l’“in deroga a quanto disposto dall’art. 824-bis” va dunquea mio avviso inteso come riferito, più comprensivamente, a tale complesso normativo.

(43) V. il § 2.(44) V. il § 2.(45) V. i §§ 2 e 3.

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presente, limitata, indagine (46). Per fortuna, un siffatto approfondimentonon è realmente necessario. Proprio da quanto appena detto emergeinfatti che ciò che qui interessa non è stabilire con precisione come operil’accertamento, bensì, assai più limitatamente, porre appunto l’alternativafra un modello estintivo-costitutivo ed uno di diverso tipo, senza necessitàdi approfondire quale sia, più specificamente, il meccanismo di quest’ul-timo.

Dopodiché, si aggiunga, neppure tale alternativa necessita, in questasede, di essere effettivamente sciolta. Dati tali due modelli, infatti, qualorasi ritenga che l’accertamento, in generale, operi secondo il primo di essi, ildiscorso, come detto, è chiuso in partenza, l’ipotetico meccanismo opera-tivo dell’accordo delle parti e/o del lodo non differendo in nulla da quellodella sentenza del giudice, nel comune segno dell’innovatività della defi-nizione della controversia. Il modello da prendere in considerazione èdunque senz’altro il secondo, solo in tale prospettiva ponendosi il pro-blema se veramente l’accordo delle parti e/o il lodo operino secondo unmeccanismo diverso da quello, quale che sia, della sentenza del giudice.

Specificando, alla luce di quanto appena detto, l’interrogativo sopraposto, questi, dunque, in sintesi e più esplicitamente, i termini del pro-blema: ammesso che l’accertamento non si concreti, in generale, nell’eli-minazione del rapporto preesistente e nella creazione di uno nuovo, bensìoperi altrimenti, si tratta di un effetto che può essere prodotto anche dalleparti e/o dall’arbitro, oppure la definizione della controversia da parte diquesti ultimi avviene per forza tramite il modello innovativo in discorso?

Questo essendo l’interrogativo, la risposta, come già detto (47), non ènecessariamente unitaria per la soluzione autonoma (vale a dire dettatadirettamente dalle parti) e per le due eteronome (vale a dire dettatedall’arbitro rituale e dall’arbitro irrituale). A parte le prospettive, opposte,di una soluzione generalizzatamente negativa e di una generalizzatamentepositiva, potrebbe infatti anche essere, come appunto detto, che, dovendoritenersi essenziale, per potersi avere un accertamento, la verifica storicacirca il modo di essere della realtà accertanda, solo la definizione dellacontroversia ad opera dell’arbitro, rituale o irrituale, sia un vero accerta-mento, mentre quella ad opera delle parti operi innovativamente; oppurepotrebbe essere che, dovendo ritenersi che lo spazio dell’accertamentoeteronomo non giudiziale sia esaurito dall’arbitrato rituale, di accerta-mento vero possa parlarsi solo per la definizione della controversia ad

(46) Personalmente, ritengo, come in altre sedi sostenuto (cfr. M. FORNACIARI, Linea-menti, cit., 221 ss., in part. 270 ss., e ID., Il negozio di accertamento, cit., 37 ss., in part. 52 ss.),che l’effetto di accertamento consista nel vincolo, per il giudice, di attenersi alla configurazionedella realtà, contenuta nell’accertamento medesimo. Ai presenti fini, come subito vedremo, talericostruzione non riveste tuttavia una specifica rilevanza.

(47) V. il § 3.

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opera delle parti e appunto dell’arbitro rituale, e non anche per quella adopera dell’arbitro irrituale (48). Questo, è bene dirlo subito, vale peraltroesclusivamente in astratto. In concreto, come subito vedremo, non esisteinfatti alcuna valida ragione per la quale tanto le parti direttamente,quanto l’arbitro, rituale come irrituale, non dovrebbero poter dar vita adun vero accertamento.

In linea generale occorre intanto notare che non si vede in nome dicosa ai privati dovrebbe essere preclusa la possibilità di porre in essere taleeffetto e/o di delegare a terzi il compito di farlo. Al di là di altreconsiderazioni, più tecniche, in punto di collegamento fra il potere didisporre dei propri interessi e quello di accertare, svolte altrove ed allequali si rinvia (49), proprio questo è infatti, di fondo, il punto, e cioè che laritrosia e la cautela nei confronti dell’accertamento privato non hannoalcuna ragion d’essere: posto che, pacificamente, i privati sono arbitri deipropri interessi, perché mai, oltre che disporre dei loro diritti, non do-vrebbero poterne anche accertare la sussistenza e la consistenza?

(48) Per quanto concerne la prospettiva, secondo la quale solo l’arbitrato rituale darebbevita ad un vero accertamento, la definizione della controversia ad opera delle parti e dell’arbitroirrituale avendo invece natura innovativa, essa si fonda, come visto (cfr. il § 3), sulla distinzionefra negozialità e giurisdizionalità, che, come parimenti visto (cfr. ancora il § 3 e più in generalei §§ 3-5), non fornisce però alcun reale ausilio per la soluzione dei problemi in esame. Questaprospettiva risulta, cioè, senz’altro già esclusa e non necessita, dunque, di essere ulteriormentepresa in considerazione.

(49) V. M. FORNACIARI, Lineamenti, cit., 332 ss., e ID., Il negozio di accertamento, cit., 61s. In estrema sintesi, l’argomento in questione consiste in ciò, che il vincolo alla libertà digiudizio del giudice — nel quale si risolve, a mio avviso, come detto (v. la nota 46), l’effetto diaccertamento — lungi dal dover essere considerato come un fenomeno anomalo e preoccu-pante, rappresenta in realtà la conseguenza normale di qualunque atto di disposizione. Non sivede, dunque, per quale ragione non dovrebbe essere ammesso che esso possa rappresentare,anziché l’effetto collaterale di un atto, principalmente rivolto ad altri scopi, l’obiettivo princi-pale, perseguito dalle parti.

Contra, nel senso che “l’accertamento giurisdizionale costituisce un unicum nell’ordina-mento giuridico”, che “un risultato perfettamente corrispondente a quello che si raggiunge conil processo — l’incontrovertibile accertamento di un diritto soggettivo, di uno status o di altraposizione giuridica soggettiva — non può assolutamente ottenersi sul piano extraprocessuale”e che “se è vero [...] che il negozio giuridico assolve una funzione di modificazione dei rapportipreesistenti tra le parti, non si può ritenere che la funzione di mero accertamento sia compresanelle più ampia funzione dispositiva”, in quanto “l’accertamento è un’entità essenzialmentediversa dell’atto di disposizione e non ne costituisce un semplice facoltà accessoria”, v. M.MARINELLI, La natura, cit., 112 ss., le cui argomentazioni peraltro non mi convincono. Al di làdell’assunto, aprioristico, come già detto (v. il § 3), secondo il quale il negozio sarebbe perdefinizione dispositivo, una cosa è infatti dire che accertare i diritti sia attività diversa daldisporne e non compresa nella relativa facoltà, un’altra, non necessariamente implicata, chedalla spettanza, ai privati, del potere di disporre dei propri diritti non si possa argomentare laspettanza agli stessi anche di quello di accertarli. Il fatto che il secondo potere non faccia partedel primo non significa, cioè, che dalla sussistenza di questo non si possano trarre argomentilogico-giuridici a sostegno della sussistenza anche di quello. Né, per altro verso, diversamenteda quanto mostra di ritenere l’Autore, mi pare che dimostri alcunché, nella direzione voluta, laconsiderazione, secondo la quale “l’accertamento opera rispetto al caso concreto come lexspecialis”. Non si vede infatti per quale motivo (che non sia il pregiudizio di cui diremo subitonel testo) la formulazione di tale lex specialis dovrebbe essere riservata al giudice e nondovrebbe invece essere consentita anche ai privati.

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Del resto, se, com’è indiscusso — e rappresenta anzi, come visto, laricostruzione alternativa del fenomeno — essi possono eliminare il rap-porto preesistente e crearne uno nuovo, tale che l’assetto dei proprirapporti corrisponda a quello che si avrebbe in forza del rapporto elimi-nato, per quale ragione non dovrebbero poter più semplicemente edirettamente accertare quest’ultimo? O ai privati si preclude di produrreeffetti retroattivi, e dunque, appunto, di creare ex novo una situazioneanaloga a quella derivante da un rapporto preesistente, oppure non hasenso precludergli la possibilità di accertare quest’ultimo.

Né, da altro punto di vista, si potrebbe sostenere che lo Stato debbaavere il monopolio dell’accertamento. Quello che lo Stato deve assicurareè infatti che chiunque possa ottenere tale accertamento, anche in assenzadel consenso della controparte (50). Ma quando questo consenso vi sia,pretendere di dover comunque coinvolgere lo Stato non ha senso. A benvedere, l’accertamento privato sta a quello pubblico non diversamente dacome l’adempimento spontaneo sta all’esecuzione forzata: tanto sul pianodella cognizione, quanto su quello dell’esecuzione, si tratta, da parte delloStato, di mettere a disposizione dei privati uno strumento “coattivo”, nondipendente cioè dal consenso della controparte, tale che chi lo vogliapossa imporre al proprio avversario da un lato un giudizio, dall’altrol’esecuzione della prestazione. Ma questo vale appunto in assenza delconsenso della controparte. Laddove viceversa tale consenso vi sia, pre-tendere che, per avere un accertamento, il privato sia costretto a ricorrerecomunque allo Stato sarebbe come pretendere che, a fronte della dispo-nibilità dell’obbligato ad eseguire la prestazione, si dovesse comunquericorrere all’esecuzione forzata.

Ciò premesso, come detto in linea generale, per il resto non mi pareche vi siano argomenti specifici, che giustifichino una conclusione di segnodiverso per quanto in particolare concerne l’accordo delle parti e/ol’arbitrato irrituale.

Da un primo punto di vista, è probabilmente vero che, finché l’arbi-trato rituale non omologato non aveva alcun tipo di effetto (51), difficil-mente l’arbitrato irrituale, posto che fosse ammissibile (52), avrebbe po-tuto essere configurato in termini accertativi. La scelta normativa, nelsenso di confinare il ruolo dell’arbitro rituale ad una fase meramenteprodromica e preparatoria, non autonomamente rilevante prima ed inassenza del recepimento della pronuncia da parte dello Stato, era infattiindice assai chiaro della volontà del legislatore di riservare alla dimensione

(50) Come detto (v. il § 6), la differenza fra il canale pubblico e quello privato didefinizione delle controversie consiste proprio in questo, che il secondo presuppone il consensodelle parti.

(51) Sul punto v. da ultimo C. PUNZI, Le nuove frontiere, cit., 8 testo e nota 26.(52) Sulla natura eversiva del fenomeno v. M. BOVE, Note, cit., 692.

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pubblica la funzione accertativa. Tale ostacolo è però sicuramente venutomeno già a partire dalla riforma del 1983. Né, per altro verso, in taleriforma, o nelle successive, vi sono segni univoci di una volontà dellegislatore di restringere al solo arbitrato rituale la possibilità, per i privati,di ottenere un accertamento senza passare per il giudice.

Da un secondo punto di vista, di certo non si può poi affermare chel’arbitrato irrituale, ove costruito in termini accertativi, risulterebbe super-fluo (53). Per un verso, infatti, fra i due arbitrati sussiste tutt’oggi, in puntodi effetti, la fondamentale differenza che — quantomeno di regola (54) —solo il primo può, tramite l’omologazione, acquisire efficacia esecutiva, edunque imporre l’esecuzione della prestazione prima della verifica giudi-ziale della sua validità (55). Per altro verso, ed ancor più decisivamente (ladifferenza in punto di esecutività è contingente e può venire meno in ognimomento, in generale oppure con riferimento a casi particolari (56)), fra idue arbitrati sussiste una profonda differenza di regime. Anche ammessoche un domani essi fossero perfettamente sovrapponibili in punto di effetti,la loro coesistenza risulterebbe dunque ugualmente giustificata, proprio inragione di tale differenza. Non diversamente, si aggiunga, da come il fattoche l’arbitrato rituale abbia i medesimi effetti della sentenza non lo rendeinutile; o da come, in altro ambito, il fatto che la servitù coattiva, ove co-stituita volontariamente, non sia diversa da quella costituita dal giudice nonrende inutile la relativa costituzione volontaria.

Certo, nella scelta dell’arbitrato rituale invece che del processo da-vanti al giudice, così come in quella della costituzione volontaria dellaservitù invece che di quella giudiziale, rilevano anche altri aspetti, quali, inparticolare, nel primo caso la maggiore rapidità dell’arbitrato e la possibilemaggiore competenza dell’arbitro, nel secondo caso del pari la maggiorerapidità della soluzione contrattuale e la sua maggiore economicità. Per unverso la presenza di questi ulteriori aspetti non toglie peraltro che fra lepossibili ragioni del ricorso all’arbitrato rituale ed alla costituzione volon-taria della servitù vi sia anche il diverso regime di tali soluzioni. Per altroverso, e più in generale, quello che con gli esempi addotti si vuoledimostrare è che l’identità di effetti fra due strumenti non basta, di per sé,a far ritenere uno dei due superfluo (57).

Da un terzo punto di vista, neppure può inoltre sostenersi che,

(53) In tali termini v. M. BOVE, Note, cit., 715 s. e 743, e ID., Commento, cit., 71 s. e 101.(54) V. la nota 56.(55) Sull’importanza di tale caratteristica (oltre che di quella della presenza, solo nel-

l’arbitrato rituale, di un termine di decadenza per far valere l’invalidità) nella scelta delle partia favore dell’uno o dell’altro strumento, v. F.P. LUISO, Diritto processuale civile, V7, Milano,2013, 113 s.

(56) Come, già attualmente, quelli di cui agli artt. 4124 e 412-quater10 c.p.c.(57) A scanso di equivoci, è bene ricordare che, come già detto in precedenza (v. il § 3),

i privati rimangono liberi, se lo preferiscano, di optare per una soluzione non accertativa, ma

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concependo l’arbitrato irrituale in termini accertativi, anziché innovativi,questo farebbe sì il giudice, in presenza di una convenzione d’arbitratoirrituale, dovrebbe rigettare la domanda in rito e che questo cozzerebbecontro il divieto di creare presupposti processuali innominati (58). Correttala premessa, relativa alla necessità di rigetto in rito, in presenza di unaconvenzione d’arbitrato irrituale (59), per quanto concerne il fatto chequesto sarebbe impedito dal divieto di creare presupposti processualiinnominati, è abbastanza agevole replicare che, anche ammesso che taleostacolo sussistesse in precedenza (60), esso è oggi sicuramente venutomeno, dopo che, a seguito della riforma del 2006, l’arbitrato irrituale haricevuto espresso riconoscimento quale istituto di carattere generale.

Da un quarto, ed ultimo, punto di vista, scarsamente efficace sirivelerebbe, infine, l’invocazione della necessità, per aversi un accerta-mento, della previa verifica storica circa il modo di essere della realtàaccertanda. Anche ammesso, infatti, che tale impostazione fosse cor-retta (61), essa potrebbe tutt’al più precludere l’accertamento delle parti,ma non quello dell’arbitro irrituale, della cui attività la verifica storica èsenz’altro componente essenziale e caratterizzante, non meno che diquella del giudice e dell’arbitro rituale (62). Né, si noti, potrebbe sostenersiche questo valga solo per l’arbitrato rituale e non anche per quelloirrituale. Scopo del secondo, al pari che del primo, è infatti di statuire inmerito alla ragione ed al torto delle parti, non di cercare una soluzione dicompromesso. L’arbitro irrituale, non diversamente da quello rituale, ècioè, a tutti gli effetti e nello stesso identico modo, giudice (non statale) enon arbitratore della transazione (63).

consistente nell’eliminazione del rapporto preesistente e nella creazione di uno nuovo. Dunque,la configurazione dell’arbitrato irrituale in termini accertativi non riduce in alcun modo le loropossibilità di scelta, ma semmai le arricchisce.

(58) In tal senso v., ancora, M. BOVE, Note, cit., 729 s., e ID., Commento, cit., 77.(59) Su tale tematica v., se vuoi, M. FORNACIARI, Natura, di rito o di merito, della questione

circa l’attribuzione di una controversia ai giudici statali oppure agli arbitri, in Corr. giur., 2003,463 ss.

(60) Contra, ed a mio avviso correttamente, nel senso che già prima del 2006, in virtù dei,pur settoriali, riferimenti all’arbitrato irrituale, questo doveva considerarsi un istituto presentein generale nel nostro ordinamento, v. però C. CECCHELLA, L’arbitrato nelle controversie dilavoro, Milano, 1990, 419.

(61) Contra v. però M. FORNACIARI, Lineamenti, cit., 75 ss., e ID., Il negozio di accerta-mento, cit., 9 ss., dove per un verso si evidenzia la netta distinzione fra accertamento qualeverifica storica e accertamento quale effetto, per altro verso si chiarisce che la prima, purpossibilmente necessaria in relazione a specifiche incarnazioni dell’accertamento (così, sicura-mente, per quello giudiziale), non è, in generale, requisito imprescindibile dello stesso, qualeistituto di carattere generale.

(62) In quest’ottica — che, si ripete, non è condivisibile, l’accertamento non richiedendoimprescindibilmente la verifica storica — l’accertamento non giudiziale sarebbe cioè un feno-meno al quale i privati potrebbero dar vita solo tramite terzi.

(63) In contrario non appaiono convincenti le considerazioni di M. BOVE, Note, cit., 708ss. e 716 ss., in merito al diverso significato che assumerebbe il giudizio nell’ambito dell’attivitàgiurisdizionale, da un lato, e di quella negoziale, dall’altro.

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Sotto ogni possibile profilo, risulta insomma senz’altro confermatoche, quantomeno tramite terzi (ma a mio avviso anche direttamente (64)),i privati possono senz’altro dar vita ad un accertamento. Da questoconsegue dunque che la definizione della controversia da parte dell’arbi-tro, non solo rituale (ciò che, come detto (65), è allo stato pacifico), maanche irrituale, è senz’altro accertativa e non innovativa (66).

8. Passando a questo punto al secondo degli interrogativi, sopraposti (67), vale a dire quello se l’accertamento delle parti e/o dell’arbitro(irrituale e/o rituale) abbia effetti della medesima portata di quello delgiudice, ricordato che, come avvertito (68), a questo proposito le presenticonsiderazioni sono finalizzate più ad un inquadramento di caratteregenerale della materia che alla ricerca di una soluzione compiuta edesaustiva delle varie questioni, occorre innanzitutto evidenziare che iltema presenta una pluralità di profili. Alcuni di questi sono già emersi (69),vale a dire: la resistenza allo ius superveniens retroattivo; l’efficacia versoterzi; il coinvolgimento nel giudicato del rapporto giuridico fondamentale;la riflessione dello stesso sui rapporti dipendenti.

Preliminarmente a tali profili, occorre tuttavia a mio avviso affron-tarne un altro, di solito non al centro dell’attenzione degli studiosi e

Al netto del riferimento alla tematica della giurisdizionalità/negozialità, come visto privadi effettiva rilevanza (cfr. i §§ 3-5), e parlando piuttosto di attività accertativa ed attivitàinnovativa, è senz’altro vero, infatti, che il giudizio ha, in tali due attività, ruoli differenti: verificastorica circa il modo di essere della realtà esistente, volta a dare contenuto all’atto di fissazionedi tale realtà, nel caso dell’attività accertativa; valutazione di convenienza, volta a darecontenuto ad una modifica della suddetta realtà, nel caso dell’attività innovativa. È altrettantovero, però, ed emerge chiaramente da quanto appena detto, che la differenza, oltre e prima chenei ruoli, è anche nei contenuti: verifica storica nel primo caso, valutazione di convenienza nelsecondo.

Pretendere, in nome dell’assunto (arbitrario, come detto in precedenza: v. il § 3) circa lanecessaria (negozialità, e dunque) innovatività dell’attività (delle parti e) dell’arbitro irrituale,di attribuire a quella che è, inequivocabilmente, una verifica storica circa il modo di essere dellarealtà esistente, il ruolo di porre la base di una modifica di tale realtà, camuffandola davalutazione di convenienza, non può dunque funzionare.

In realtà, è abbastanza evidente — o quantomeno a me pare che lo sia — che ilragionamento deve essere esattamente ribaltato: anziché partire dalla qualificazione comenecessariamente innovativa dell’attività (delle parti e) dell’arbitro irrituale, e poi, in ragione ditale qualificazione, manipolare il dato di realtà (le caratteristiche della valutazione compiuta dalsuddetto arbitro), occorre partire da quest’ultimo e, una volta preso atto che in questione è,come detto, una verifica storica, concludere che nulla osta, da questo punto di vista, a qualificarequella dell’arbitro irrituale quale attività accertativa.

(64) L’unico possibile ostacolo alla possibilità di un accertamento autonomo (ma non aquella di un accertamento eteronomo) si avrebbe, come appena visto, ritenendo che l’accerta-mento implichi necessariamente la verifica storica circa il modo di essere della realtà accertanda.Tale impostazione — sia detto ancora una volta — non è però, a mio avviso, corretta.

(65) V. il § 2 e poi all’inizio del presente paragrafo.(66) In tal senso v. B. SASSANI, L’arbitrato, cit., 39 s., e ID., Commento, cit., 133 s.(67) V. il § 6.(68) V. ancora il § 6.(69) V. il § 2.

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nondimeno a mio avviso di importanza fondamentale, per comprendereappieno il problema degli effetti dell’accertamento. Mi riferisco al pro-blema dell’intensità di questi ultimi.

Premesso che un accertamento in tanto può configurarsi come unfenomeno giuridico e non come una mera opinione, in quanto produca unqualche tipo di vincolo, quest’ultimo può nondimeno essere più o menostringente. Banalmente, una cosa è un accertamento non contestabile inalcun modo ed in alcuna sede, un’altra uno che determini soltantoun’inversione dell’onere della prova: tanto nel primo caso quanto nelsecondo la libertà di valutazione del soggetto, chiamato a nuovamentericostruire quella certa realtà, giuridica o fattuale (l’accertamento puòavere ad oggetto tanto situazioni giuridiche quanto situazioni di fatto: sipensi alla querela di falso (70)), incontra un limite; questo è però in un casoassoluto, nell’altro assai blando.

Per fornire le coordinate di un accertamento è dunque fondamentaleidentificare che tipo di vincolo esso produca.

A tale proposito, a suo tempo avevo creduto di poter identificarequattro livelli: vincolo fino a prova contraria; vincolo fino ad una deter-minata prova contraria; vincolo fino a rimozione dell’accertamento tra-mite uno specifico mezzo giuridico; vincolo assoluto (71).

Melius re perpensa, ritengo che tale classificazione vada rivista. Nonperché essa sia tout court errata, ma in quanto il quadro è in realtà piùarticolato. E soprattutto — aspetto sul quale va posto fortemente l’ac-cento — in quanto è fondamentale distinguere in modo netto ciò cheattiene all’efficacia dell’accertamento da ciò che attiene alla validitàdell’atto che lo contiene (72). Altro è infatti il problema se un accerta-mento vincoli in assoluto, oppure, ad esempio, solo fino a che esso nonrisulti contrario all’ordine pubblico, altro è quello se la nullità dell’atto,che contiene l’accertamento, possa essere fatta valere solo tramite impu-gnazione entro un certo termine, oppure in ogni sede ed in ogni tempo: ilprimo profilo attiene all’efficacia dell’accertamento e le due ipotesi indi-viduano due diversi livelli di tale efficacia; il secondo attiene invece allavalidità dell’atto e le due ipotesi, pur individuando due diversi livelli diquella che potremmo genericamente indicare quale “forza” dell’accerta-mento, non incidono sulla sua efficacia; detto diversamente, dati due atti,aventi contenuto di accertamento, la cui invalidità possa essere fattavalere in tempi e modi tanto radicalmente differenti quanto quelli ipotiz-zati, sarebbe comunque errato affermare che, in ragione di questo, l’effi-cacia dei relativi accertamenti è diversa.

(70) Sull’accertamento di fatti v. M. FORNACIARI, Lineamenti, cit., 215 ss., e ID., Il negoziodi accertamento, cit., 36 s.

(71) V. M. FORNACIARI, Lineamenti, cit., 82, 226 ss., 280 e 338, e ID., Il negozio diaccertamento, cit., 39 s.

(72) Più in generale sulla necessità di non fare confusione fra ciò che attiene agli effettidi un atto e ciò che attiene al suo regime, v. già i §§ 1 e 5.

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Il punto è essenziale ed occorre chiarirlo bene.A fronte di un atto, il quale contenga un accertamento, possono porsi

due domande: — se ed in quali limiti esso osti ad una diversa ricostruzionedi quella certa realtà, giuridica o fattuale, oggetto dell’accertamento; — seed in quali limiti sia possibile farne valere l’invalidità.

Per quanto entrambi i versanti concorrano a determinare quella cheabbiamo poc’anzi indicato quale “forza” dell’accertamento, nondimenoessi sono indiscutibilmente diversi e non sovrapponibili. Non è dunquecorretto pretendere di valutare se un certo atto abbia o meno efficacia digiudicato sostanziale, in base al fatto che esso sia più o meno ampiamenteattaccabile in punto di validità (73). Il giudicato sostanziale attiene infattial primo dei predetti versanti, vale a dire al vincolo alla ricostruzione dellarealtà, oggetto dell’accertamento, contenuto in quel certo atto. In tantopotrà dunque negarsi che quest’ultimo abbia la suddetta efficacia, inquanto la suddetta ricostruzione sia liberamente disattendibile. Laddovecosì non sia, il giudicato esiste, per quanto ampia possa essere la possibilitàdi contestare la validità dell’atto. Tale contestabilità, per quanto, appunto,possibilmente ampia, non potrà infatti mai consentire di mettere indiscussione il contenuto dell’accertamento.

Del resto, immaginiamo che domani il legislatore abroghi l’art. 161cpc e che dunque l’invalidità della sentenza non sia più soggetta ai tempied alle forme delle impugnazioni: diremmo forse che l’efficacia di giudi-cato delle sentenze si è affievolita? Ovviamente no — ritengo — e laragione è appunto quella detta: in questione non sarebbe, appunto,l’efficacia della sentenza, bensì i tempi ed i modi di far valere la suainvalidità; ed il giudice, adito successivamente, per quanto potesse valu-tare liberamente la validità della precedente pronuncia, una volta ritenu-tala valida non potrebbe sindacare il contenuto dell’accertamento conalcuna maggiore ampiezza di quanto possa farlo attualmente (altrettantovale, senza bisogno di addurre in proposito uno specifico esempio, lad-dove, anziché dei tempi e dei modi per far valere l’invalidità, fosse inquestione l’ampliamento dei vizi della sentenza, che la determinano).

Chiarito quanto precede, e tornando dunque a quanto dicevamosopra a proposito dei livelli di efficacia, credo che, volendo essere com-pleti, non sia possibile stilare, in proposito, una classificazione unica, da unvincolo minore ad uno progressivamente maggiore, ma occorra tenereconto di una pluralità di punti di vista. Per l’esattezza, tali punti di vistasono individuati, a quanto mi pare, dai seguenti interrogativi:

a) se il contenuto dell’accertamento possa essere messo in discus-sione in qualunque sede oppure solo con un determinato mezzo giuridico(es.: un certo mezzo d’impugnazione);

(73) Sul punto, a proposito della transazione, v. F.P. LUISO, L’articolo 824-bis, cit., 241.

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b) se il contenuto dell’accertamento possa essere messo in discus-sione senza limiti di tempo oppure solo entro un certo termine;

c) se il contenuto dell’accertamento possa essere messo in discus-sione sotto qualunque profilo oppure solo con riferimento a determinatiaspetti (es.: rilevanza di qualunque violazione di legge oppure solo dellacontrarietà all’ordine pubblico);

d) se, in punto di fatto, l’accertamento lasci immutato l’onere dellaprova oppure ne determini un’inversione;

e) se, sempre in punto di fatto, l’accertamento consenta l’utilizzo diqualunque mezzo di prova contraria oppure determini in proposito unarestrizione.

Questi essendo i punti di vista, è evidente che: laddove l’accertamentopossa essere messo in discussione in qualunque sede, senza limiti di tempo,sotto qualunque profilo, senza inversione dell’onere della prova e senzarestrizione dei mezzi di prova contraria utilizzabili, esso non determinaalcun vincolo e dunque, in sostanza, non è un accertamento; laddove,all’opposto, l’accertamento non possa essere messo in discussione in alcunmodo e con riferimento ad alcun aspetto, esso determina un vincoloassoluto. All’interno di questa forbice si danno tutte le varie forme ed ivari gradi di vincolo, a seconda della combinazione dei diversi punti divista.

Per completezza, e per una migliore comprensione della materia,mette conto segnalare che quanto detto vale, mutatis mutandis, anche inpunto di validità. Anche con riferimento a tale versante si dà cioè unapluralità di punti di vista, in parte analoghi ai precedenti, a loro voltaindividuati, sempre a quanto mi pare, dai seguenti interrogativi:

a) se un determinato vizio provochi o meno l’invalidità dell’atto,contenente l’accertamento;

b) se l’invalidità dell’atto, contenente l’accertamento, possa esserefatta valere in qualunque sede oppure solo con un determinato mezzogiuridico (es.: un certo mezzo d’impugnazione);

c) se l’invalidità dell’atto, contenente l’accertamento, possa esserefatta valere senza limiti di tempo oppure solo entro un certo termine;

d) se l’invalidità dell’atto, contenente l’accertamento, possa esserefatta valere con riferimento a qualunque vizio (di quelli che provocanol’invalidità) oppure solo con riferimento a taluno di essi (es: rilevanza solodella violazione del contraddittorio, oppure di qualunque nullità, ancheformale).

Ribadito che il regime della validità non incide sull’efficacia dell’ac-certamento, e che pertanto, per quanto ampia possa essere la possibilità difar valere l’invalidità dell’atto, questo di per sé lascia del tutto immutatala suddetta efficacia, volendo ragionare, più comprensivamente, di “forza”dell’accertamento (per tale intendendo, secondo quanto sopra chiarito, lasintesi della resistenza in punto di efficacia e di quella in punto di validità),

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dovrà dunque dirsi che quest’ultima va valutata su due distinti versanti(quello della validità e quello dell’efficacia, appunto) e, all’interno diciascuno di essi, in base ad una pluralità di punti di vista.

Posto che quanto precede sia corretto, per quanto concerne il con-fronto fra la sentenza del giudice, il lodo, rituale come irrituale, e l’accordodelle parti, è allora abbastanza evidente, rapidamente concludendo sulpunto e senza bisogno di scendere nei dettagli, che i relativi accertamentisono dotati — beninteso: positivamente e contingentemente, non già perintrinseca necessità (74) — di “forza” differente, tanto in punto di validitàquanto in punto di efficacia.

Per non portare in proposito che un solo esempio, relativo a quest’ul-tima — che è quella che qui principalmente interessa — mentre perquanto concerne l’arbitrato rituale la contrarietà all’ordine pubblico puòessere fatta valere solo nei modi e nei tempi dell’impugnazione pernullità (75) (il che non toglie, è forse il caso di sottolinearlo, che quello inquestione, in quanto relativo alla correttezza o meno dell’accertamento, ènondimeno, chiaramente, un profilo di efficacia), per quanto concernequello irrituale, ammesso, come credo, che la previsione dei motivi diannullabilità di cui all’art. 808-ter2 c.p.c. non ne precluda la rilevanza qualecausa di nullità (76), essa può essere fatta valere in ogni tempo ed in ognisede.

9. Per quanto concerne gli altri profili, relativi alla portata dell’ac-certamento, vale a dire la resistenza allo ius superveniens retroattivo,l’efficacia verso terzi, il coinvolgimento del rapporto giuridico fondamen-tale e la riflessione sui rapporti dipendenti (77), il discorso sarà assai piùbreve.

Premesso che, in generale, mi riesce difficile comprendere per qualeragione l’accertamento delle parti e/o dell’arbitro (rituale e/o irrituale)dovrebbe comportarsi, con riferimento alle tematiche in questione, diver-samente da quello del giudice, nello specifico osservo, telegraficamente,quanto segue.

(74) Sul fatto che fra negozio e sentenza non vi sono, in punto di effetti, differenzeontologiche, v. già retro, §§ 1 e 2.

(75) Nel senso che la contrarietà all’ordine pubblico determina l’inesistenza del lodo epuò dunque essere fatta valere indipendentemente dalle forme e dai termini dell’azione dinullità, v. peraltro G. BONATO, La natura, 259 ss., ed ivi ulteriori indicazioni.

(76) In tal senso v. F.P. LUISO-B. SASSANI, La riforma del processo civile. Commentariobreve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2006, 264; B. SASSANI,L’arbitrato, cit., 32; ID., Commento, cit., 120; G. TOTA, Commento, cit., 559 s.

(77) Come già si disse (v. il § 2), si tratta di profili emersi con riferimento all’arbitratorituale, ma in relazione ai quali il problema si pone anche per quello irrituale. Né, si aggiunga,vi sono a mio avviso ragioni per differenziare le relative analisi. Come subito vedremo, sottonessuno dei detti profili l’accertamento privato in genere si differenzia infatti rispetto a quellodel giudice.

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Per quanto concerne lo ius superveniens retroattivo, la migliorereplica, a chi sostiene che l’accertamento delle parti e/o dell’arbitro(rituale e/o irrituale) ne verrebbe travolto, è rappresentata dalla giurispru-denza (78) e dalla normativa (79) in punto di resistenza della transazione alsuddetto ius superveniens. Come già da altri notato (80), tale giurispru-denza testimonia, in modo eloquente, che in questo tipo di questioni èsemplicistico porre a confronto la sentenza con il negozio, genericamenteinteso, il parallelo dovendo invece essere effettuato fra la prima e, piùspecificamente, l’accordo (impregiudicata la sua natura negoziale o giuri-sdizionale (81)), il quale abbia, quale propria causa, la risoluzione dellacontroversia. Dopodiché è del tutto evidente — o almeno così pare a me— che, proprio in ragione di tale causa (l’accordo per la risoluzione dellacontroversia svolge esattamente la medesima funzione della sentenza:definire una volta per tutte la questione), non vi è ragione per la quale unsiffatto accordo dovrebbe essere meno resistente allo ius superveniensretroattivo di quanto lo sia una sentenza.

Per quanto concerne l’efficacia verso terzi, il problema esiste o meno,a seconda di quello che si ritenga a proposito del c.d. valore assoluto dellasentenza.

Per chi ritenga che la sentenza abbia senz’altro, generalizzatamente,effetti verso terzi, non c’è dubbio che, sotto questo profilo, fra sentenza, daun lato, ed accordo delle parti e lodo, tanto irrituale quanto rituale,dall’altro, sussista una differenza. Una siffatta estensione soggettiva deglieffetti è infatti pacificamente estranea ai secondi.

Altrettanto non può invece dirsi laddove si ritenga che in realtàneppure la sentenza produca, in linea di principio, effetti verso terzi e checiò si verifichi (oltre che per gli aventi causa dopo la litispendenza) solo inpresenza di una struttura sostanziale, tale che il rapporto coinvolgente ilterzo rimanga soggetto a qualunque modifica, quale che ne sia la fonte, diquello, pregiudiziale, coinvolgente la parte; solo, cioè, laddove un’altret-tale estensione soggettiva avrebbe anche l’accordo delle parti (82).

(78) Cfr. Cass. 17 gennaio 2001 n. 576; Cass. 4 luglio 1992 n. 8174; Cass. 23 marzo 1991n. 3270, in Giur. it., 1992, I, 1, 1139; Cass. 10 giugno 1988 n. 3956, in Arch. loc., 1989, 78; Cass.19 giugno 1984 n. 3634; Cass. 28 luglio 1984 n. 4496, in Giust. civ., 1985, I, 820, con nota di F.SALARIS, Diritto di ripresa, esclusione della proroga legale e controversie giudiziarie instaurateprecedentemente alla legge n. 203 del 1982. Più in generale sull’identità di effetti fra transazionee cosa giudicata materiale (talché anche l’exceptio rei transactae è rilevabile anche d’ufficio insede di legittimità), v. T. Padova 6 dicembre 2004, in Dejure.

(79) Cfr. l’art. 53 l. 3 maggio 1982 n. 203.(80) V. F.P. LUISO, L’articolo 824-bis, cit., 238 ss., al quale si rinvia anche per altre

considerazioni sul punto.(81) Sul punto v. retro, §§ 3-5 e infra, § 10.(82) In tal senso, e in generale sul problema, v. F.P. LUISO, L’articolo 824-bis, cit., 244 ss.,

e, più ampiamente, ID., Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi,Milano, 1981, in part. 80 ss.

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Poiché personalmente ritengo corretta la seconda impostazione (laimpone, in modo che francamente ritengo difficile contrastare, il principiodel contraddittorio), a mio avviso il problema non sussiste.

Per quanto concerne il coinvolgimento del rapporto giuridico fonda-mentale e la riflessione sui rapporti dipendenti, confesso di non riuscire acomprendere come possa anche solo ipotizzarsi una minor portata del-l’accertamento delle parti e/o dell’arbitro, irrituale e/o rituale, rispetto aquello del giudice.

Mi sembra infatti ovvio che l’accordo delle parti, a seconda dei casi,si estenda al rapporto fondamentale o si rifletta su quello dipendente. Pernon portare in proposito che due esempi, da un lato si immagini che,insorta controversia fra Tizio, quale venditore, e Caio, quale compratore,in merito ad un vizio della cosa venduta, Tizio, si impegni a ripararla,oppure a sostituirla: è pensabile che in seguito Caio, ottenuta la ripara-zione o la sostituzione, si rifiuti di pagare il corrispettivo, sostenendo chesi trattava di una donazione? Dall’altro lato si immagini che, insortacontroversia in merito alla proprietà di un bene, Tizio e Caio si accordinonel senso della proprietà del primo: è pensabile che in seguito, reclamandoTizio da Caio il risarcimento del danno per avere il secondo danneggiatoil bene, questi possa sostenere che il bene non è di Tizio?

Ebbene, posto da un lato che in entrambi i casi la risposta non può amio avviso che essere negativa, dall’altro che, se questo è vero perl’accordo delle parti, non vedo come altrettanto potrebbe non valere peril lodo, rituale e/o irrituale, ne consegue che sotto questo profilo nonsussiste alcuna differenza fra tali atti e la sentenza del giudice (83).

10. Quelli che precedono sono, a mio avviso, i reali termini nei quali,sfrondato dell’ingannevole ed illusoria prospettiva della negozialità/giuri-sdizionalità, si pone il problema degli effetti dell’arbitrato.

Quanto poi a tale alternativa, si tratta, come detto (84), di questionemeramente classificatoria, che dipende dal criterio di distinzione franegozialità e giurisdizionalità, che si ritenga di adottare.

A tale proposito, di fondo, come parimenti detto (85), si danno duecriteri, uno soggettivo ed uno contenutistico. In base al primo è giurisdi-zionale l’attività posta in essere dal giudice e negoziale quella posta inessere dai privati. In base al secondo è giurisdizionale l’attività accertativae negoziale quella innovativa.

Sono peraltro pensabili anche altre opzioni. Ad esempio, si potrebberitenere che qualificante della giurisdizionalità sia la produzione della

(83) Per considerazioni consimili v. F.P. LUISO, L’articolo 824-bis, cit., 242 ss.(84) V. i §§ 3-5.(85) V. i §§ 3 e 4.

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totalità degli effetti della sentenza e che dunque un’attività possa definirsigiurisdizionale solo se l’atto conclusivo produca appunto tutti tali effetti,nessuno escluso. Oppure si potrebbe pensare che a tal fine siano deter-minanti solo alcuni degli effetti medesimi e che, dunque, pur rimanendonell’ottica del medesimo tipo di criterio, le maglie della giurisdizionalitàsiano più larghe. Sempre in punto di effetti, ma in una prospettiva (anche)qualitativa, anziché (od oltre che) quantitativa, si potrebbe poi ipotizzareche connotato della giurisdizionalità sia la produzione di effetti altrettantoforti, od altrettanto intensi (86), di quelli della sentenza (in questionedebbano poi essere tutti gli effetti in questione oppure solo alcuni di essi).Diversamente, si potrebbe ancora sostenere che il criterio distintivo franegozialità e giurisdizionalità — di fatto coincidente con quello soggettivo,ma solo contingentemente — sia dato dalla necessità o meno del consensodelle parti per investire della controversia quel certo soggetto (o piùdirettamente, nel caso dell’accordo delle parti, per individuare la solu-zione della controversia).

Dal punto di vista del significato etimologico di giurisdizione (iurisdictio), sembrerebbe doversi adottare il criterio contenutistico (87). In talcaso, dovrebbe peraltro accettarsi che (non solo l’arbitro rituale, ma)anche l’arbitro irrituale, ed anche le parti, quando definiscono diretta-mente la controversia, danno luogo ad attività giurisdizionale, cosa chenon so quanti siano disposti ad accettare. Tenendo conto delle sentenzecostitutive, che hanno un contenuto (anche) innovativo (oltre che accer-tativo), sembrerebbe viceversa doversi adottare il criterio soggettivo. Intal caso, anche l’operato dell’arbitro rituale, oltre che quello dell’arbitroirrituale e delle parti, dovrebbe però essere “retrocesso” ad attivitànegoziale, contrariamente a quella che abbiamo constatato essere, allostato, la convinzione prevalente (88). Volendo continuare, anche a soste-gno delle altre opzioni potrebbero poi probabilmente rinvenirsi dellebuone ragioni a favore ed altre contro.

La questione non necessita peraltro di essere, in questa sede, non solorisolta, ma neppure approfondita. Ai fini del presente lavoro, come detto,essa è infatti irrilevante. Neppure più in generale essa mi appare peraltroparticolarmente appassionante. Quelli in discorso sono infatti punti divista tutti legittimi, la scelta fra i quali si risolve in definitiva in un fatto dipreferenza personale (per quanto mi riguarda, propendo per il criteriosoggettivo (89) e dunque, come anticipato (90), per la negozialità dell’arbi-trato, tanto irrituale quanto rituale).

(86) Per la differenza fra la forza e l’intensità degli effetti v. il § 8.(87) Sul fatto che gli arbitri ius dicunt (e però negando la giurisdizionalità dell’attività

degli arbitri) v. F. CARPI, op. e loc. cit. nella nota 14.(88) V. il § 2.(89) Un po’ più ampiamente sul punto v., se vuoi, M. FORNACIARI, Natura, cit., 466 s.(90) V. il § 1.

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L’importante è essere chiari in merito a quello prescelto e consapevolidella relatività del punto di vista che esso esprime. Ma soprattutto, siaconsentito ribadirlo ancora una volta, evitare, vuoi con riferimento aglieffetti del lodo, rituale come irrituale, vuoi con riferimento al regime dellodo medesimo, vuoi con riferimento alle regole del processo arbitrale, dinuovo rituale come irrituale, di ragionare in chiave di negozialità/giurisdi-zionalità, facendo della qualificazione in un senso o nell’altro la premessadi qualsivoglia conclusione. Il punto, come già detto (91), non è la nego-zialità/giurisdizionalità, bensì l’utilizzo degli abituali canoni interpretativi,ed in particolare dell’analogia.

Del resto, la stessa Corte costituzionale, nell’ammettere l’arbitrorituale a sollevare la questione di costituzionalità, non solo non si èappellata alla presunta giurisdizionalità del processo arbitrale, ma, tuttoall’opposto, ha espressamente chiarito la non necessità, per la relativadecisione, di affrontare tale problema (92). Né, si aggiunga, nella piùrecente pronuncia di incostituzionalità dell’art. 819-ter c.p.c., che ha intro-dotto la traslatio iudicii fra giudice ed arbitro (93), la Corte ha mutatoapproccio. Anche in tale sentenza, infatti, nulla viene detto in merito allanatura, giurisdizionale o meno, dell’arbitrato, puntandosi piuttosto —analogamente a quanto fatto nel precedente intervento — sulla fungibilitàfra il giudizio davanti al giudice e quello davanti all’arbitro. Ecco, proprio

(91) V. il § 5.(92) Cfr. Corte cost. 28 novembre 2001 n. 376, in Foro it., 2002, I, 1648, con osservazione

di R. ROMBOLI, Giur. it., 2002, 689, con nota di G. CANALE, Anche gli arbitri rituali possonosollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma, Giust. civ., 2001, I, 2883, con notadi R VACCARELLA, Il coraggio della concretezza in una storia decisione della Corte costituzionale,Riv. dir. proc., 2002, 351, con nota di E.F. RICCI, La “funzione giudicante” degli arbitri el’efficacia del lodo (un grand arrêt della Corte costituzionale), Corr. giur., 2002, 1009, con notadi M. FORNACIARI, Arbitrato come giudizio a quo: prospettive di una possibile ulteriore evolu-zione, in questa Rivista, 2001, 657, con nota di A. BRIGUGLIO, Merito e metodo nella pronunciadella Consulta che ammette gli arbitri alla rimessione pregiudiziale costituzionale, Riv. amm.,2001, 965, con nota di D. GIACOBBE, Brevi osservazioni sulla legittimazione degli arbitri asollevare la questione di costituzionalità in via incidentale: un contrasto tra la corte costituzionalee la corte di cassazione, Foro amm. CDS, 2002, 36, con osservazione di R. IANNOTTA.

Dato tale espresso chiarimento, non mi pare dunque possa affermarsi che, in talesentenza, la Corte abbia “abbracciato le tesi giurisdizionalistiche” (così L. SALVANESCHI, Arbi-trato, cit., 146) o si sia “oggettivamente allineata alle posizioni giurisdizionaliste” (così P.BIAVATI, Commento, cit., 162).

(93) Cfr. Corte cost. 23 luglio 2013 n. 223, in Foro it., 2013, I, 2690, con note di E.D’ALESSANDRO, Finalmente! La Corte costituzionale sancisce la salvezza degli effetti sostanzialie processuali della domanda introduttiva nei rapporti tra arbitro e giudice, M. ACONE, “Translatioiudicii” tra giudice ed arbitro: una decisione necessariamente incompiuta o volutamente pilate-sca?, R. FRASCA, Corte cost. n. 223 del 2013 e art. 819 ter c.p.c.: una dichiarazione di incostitu-zionalità veramente necessaria?, Giur. it., 2014, 1381 (solo massima), con nota di P. BUZZANO,Estensione della translatio iudicii ai rapporti tra giudizio ordinario e arbitrato rituale, e C.ASPRELLA, Translatio iudicii nei rapporti tra arbitrato e processo, in questa Rivista, 2014, 81, concommenti di M. BOVE, A. BRIGUGLIO, S. MENCHINI e B. SASSANI, Corr. giur., 2013, 1107, con notadi C. CONSOLO, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenzacon piena translatio fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa.

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tali precedenti rappresentano, mi pare, la migliore riprova del fatto che lesvariate questioni poste dall’arbitrato, rituale come irrituale, possonoessere tranquillamente risolte senza bisogno di coinvolgere l’inaffidabiletematica della negozialità/giurisdizionalità.

The writing considers the issue of the effects of both “rituale” and “irrituale”arbitration award. In the first part, the Author makes it clear that, with regard to thestudy, the never-ending dispute about the “negoziale” or “giurisdizionale” nature ofarbitration is not to be taken into account. After clearing the field of this dispute, inthe second part the Author claims that the settlement of the dispute by both “rituali”and “irrituali” arbitrators (as well as the one by the parties themselves) occursthrough a real declaration, whose effects have generally the same range as those ofthe judicial judgment.

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I) COMUNITARIA E ITALIANA

Sentenze annotate

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA (Grande Sezione), sentenzapregiudiziale 13 maggio 2015, C-536/13; SKOURIS Pres.; SAFJAN Est.; WATHELET Avv.Gen.; Gazprom (avv. Audzvedičius).

Regolamento (CE) n. 44/2001 - Ambito di applicazione - Arbitrato - Art. 1, lett. d)- Esclusione - Riconoscimento ed esecuzione di lodi arbitrali stranieri -Provvedimento inibitorio dell’avvio o della prosecuzione di un procedimentogiurisdizionale dinanzi al giudice di uno Stato membro pronunciato da uncollegio arbitrale - Compatibilità.

Il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concer-nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioniin materia civile e commerciale dev’essere interpretato nel senso che non osta a cheil giudice di uno Stato membro riconosca ed esegua, né a che si rifiuti di riconoscereed eseguire, un lodo arbitrale che vieti ad una parte di presentare talune domandedinanzi ad un giudice di tale Stato membro, in quanto detto regolamento nondisciplina il riconoscimento e l’esecuzione, in uno Stato membro, di un lodoarbitrale emesso da un collegio arbitrale in un altro Stato membro.

CENNI DI FATTO. — La società Gazprom, operativa nel settore del gas, con unaccordo di compravendita di azioni siglato in data 24 gennaio 2004 acquisisce unapartecipazione del 37% nel capitale della Lietuvos dujos AB, società per azioni didiritto lituano, la cui attività economica consiste nell’acquistare gas dallaGazprom. Tra gli altri azionisti della Lietuvos dujos AB figura, per il 17%, anchela Repubblica lituana, operativa attraverso il proprio Ministero dell’energia.L’accordo di compravendita, sottoposto al diritto lituano, prevede che gli azionistidebbano mirare ad assicurare il mantenimento della fornitura a condizionireciprocamente accettabili e vantaggiose. Nell’accordo (vincolante per tutti gliazionisti, incluse Gazprom e la Repubblica lituana, i.e. il Ministero dell’energialituano) è inserita una clausola compromissoria, la quale prevede che ognidomanda relativa all’accordo, alla violazione, validità ed efficacia del medesimodebba essere sottoposta ad arbitrato, avente sede a Stoccolma e da svolgersi inlingua inglese, ai sensi del regolamento dell’Arbitration Institute della Camera di

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

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commercio di Stoccolma. Nel febbraio 2011 il Ministero dell’energia lituano sirivolge al direttore generale della Lietuvos dujos AB, nonché a due membri delconsiglio di amministrazione della società, nominati dalla Gazprom, per conte-stare loro di non aver agito nell’interesse della azienda lituana in occasione dellemodifiche apportate alla formula di calcolo della tariffa inserita nel contratto difornitura di gas a lungo termine. Per effetto di tale modifica, il prezzo al quale laLietuvos dujos AB acquistava gas dalla Gazprom, era divenuto iniquo. Il mesesuccessivo, il Ministero dell’energia agisce dinanzi al tribunale regionale di Vilniuscitando in giudizio la Lietuvos dujos AB, nonché i due membri del consiglio diamministrazione nominati dalla Gazprom per chiedere che sia avviata unainchiesta sull’attività della società lituana. Si chiede inoltre la rimozione dei dueconsiglieri di amministrazione nominati da Gazprom nonché di obbligare laLietuvos dujos AB ad avviare un negoziato con Gazprom al fine di contrattare unequo prezzo per la fornitura di gas. Nell’agosto 2011 la Gazprom, reputando taleiniziativa in contrasto con la clausola compromissoria, propone domanda diarbitrato nei confronti del Ministero dell’energia lituano davanti alla cameraarbitrale di Stoccolma. Medio tempore, nel dicembre 2011, il Ministero dell’ener-gia modifica le richieste originariamente formulate dinanzi al tribunale regionaledi Vilnius, segnatamente abbandonando quella di rimozione dei due amministra-tori ma mantenendo quella con la quale si chiedeva di obbligare la Lietuvos dujosAB ad avviare un negoziato con Gazprom. Con lodo arbitrale pronunciato nelluglio 2012 il tribunale arbitrale dichiara che il procedimento instaurato dinanzi altribunale di Vilnius viola parzialmente la clausola compromissoria contenuta nelpatto tra azionisti e contestualmente ordina al Ministero degli esteri lituano dirinunciare alla domanda con la quale si chiedeva di obbligare la Lietuvos dujosAB ad avviare un negoziato con Gazprom. Il mese successivo il tribunaleregionale di Vilnius accoglie la domanda del Ministero degli esteri e nomina lacommissione di inchiesta. La decisione viene impugnata dinanzi alla Corted’appello e, quindi, dinanzi alla locale corte di cassazione. Contestualmente laGazprom domanda il riconoscimento e l’esecuzione in Lituania del lodo emessodal tribunale arbitrale di Stoccolma. La richiesta è rigettata sulla base dimolteplici argomentazioni, incluse la circostanza per cui trattasi di lodo reso sucontroversia non arbitrabile ai sensi del diritto lituano e quella per cui il lodo,limitando la capacità dello Stato lituano di agire in giudizio dinanzi alla localeautorità giurisdizionale e negando la potestas dei giudici lituani a pronunciarsisulla propria competenza, viola l’ordine pubblico lituano. Il provvedimento didiniego del riconoscimento del lodo è impugnato dinanzi al giudice lituano diultima istanza, il quale effettua un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte digiustizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale vertesull’interpretazione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicem-bre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecu-zione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un ricorso proposto dalla« Gazprom » OAO (in prosieguo: la « Gazprom »), società con sede a Mosca(Federazione russa), avverso il diniego di riconoscimento e di esecuzione inLituania di un lodo arbitrale reso il 31 luglio 2012.

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[...]

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3. Il regolamento n. 44/2001 è stato abrogato dal regolamento (UE) n.1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concer-nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle deci-sioni in materia civile e commerciale (GU L 351, pag. 1), applicabile dal 10 gennaio2015. Tuttavia, il regolamento n. 44/2001 continua ad applicarsi a fattispecie comequelle oggetto del procedimento principale.

4. Dal considerando 2 del regolamento n. 44/2001 emergeva che quest’ul-timo era volto, nell’interesse del buon funzionamento del mercato interno, adadottare « disposizioni che consentano di unificare le norme sui conflitti di com-petenza in materia civile e commerciale e di semplificare le formalità affinché ledecisioni emesse dagli Stati membri vincolati dal presente regolamento sianoriconosciute ed eseguite in modo rapido e semplice ».

5. I considerando 7 e 11 di detto regolamento enunciavano quanto segue:« (7) Si deve includere nel campo d’applicazione del presente regolamento la

parte essenziale della materia civile e commerciale, esclusi alcuni settori bendefiniti.

(...)(11) Le norme sulla competenza devono presentare un alto grado di preve-

dibilità ed articolarsi intorno al principio della competenza del giudice del domi-cilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in alcuni casirigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia delleparti giustifichi un diverso criterio di collegamento (...) ».

6. L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, lettera d), di detto regolamento, collocato nelcapo I, intitolato « Campo d’applicazione », disponeva quanto segue:

« 1. Il presente regolamento si applica in materia civile e commerciale,indipendentemente dalla natura dell’organo giurisdizionale. Esso non concerne, inparticolare, la materia fiscale, doganale ed amministrativa.

2. Sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento:(...)d) l’arbitrato ».7. L’articolo 71, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001 così disponeva:« Il presente regolamento lascia impregiudicate le convenzioni, di cui gli Stati

membri siano parti contraenti, che disciplinano la competenza giurisdizionale, ilriconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materie particolari ».

Diritto lituano

8. Il capo X della parte II del secondo libro del codice civile è intitolato« Inchiesta sulle attività di una persona giuridica » e comprende gli articoli da 2.124a 2.131.

9. L’articolo 2.124 del codice civile, intitolato « Oggetto dell’inchiesta sulleattività di una persona giuridica », dispone quanto segue:

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« Le persone di cui all’articolo 2.125 (...) hanno la facoltà di chiedere algiudice di nominare esperti che esaminino se una persona giuridica o gli organiamministrativi di una persona giuridica o i suoi membri abbiano agito in modocorretto e, nel caso di constatazione di attività inappropriate, di applicare le misurespecificate all’articolo 2.131 (...) ».

10. Ai sensi dell’articolo 2.125, paragrafo 1, punto 1, di detto codice, uno opiù azionisti che detengano almeno 1/10 delle azioni della persona giuridicapossono presentare tale ricorso.

11. Le misure previste all’articolo 2.131 di questo stesso codice includono, inparticolare, l’annullamento delle decisioni adottate dagli organi amministratividella persona giuridica, l’esclusione o la sospensione temporanea dei poteri deimembri dei suoi organi e la possibilità di obbligare la persona giuridica adintraprendere o meno talune azioni.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12. Dalla decisione di rinvio e dal fascicolo a disposizione della Corte risultache, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, i principali azionisti della« Lietuvos dujos » AB (in prosieguo: la « Lietuvos dujos ») erano la E.ONRuhrgas International GmbH, società di diritto tedesco titolare del 38,91% delcapitale sociale, la Gazprom, che deteneva il 37,1% del capitale sociale, e lo Statolituano che ne deteneva il 17,7%.

13. Il 24 marzo 2004 la Gazprom ha concluso un patto fra azionisti (inprosieguo: il « patto fra azionisti ») con la E.ON Ruhrgas International GmbH e loState Property Fund (Fondo dei beni dello Stato), che agiva per conto dellaLietuvos Respublika (Repubblica di Lituania), il quale è stato sostituito successi-vamente dalla Lietuvos Respublikos energetikos ministerija (Ministero per l’E-nergia della Repubblica di Lituania; in prosieguo: la « ministerija »). Tale patto fraazionisti conteneva, all’articolo 7.14, una clausola compromissoria secondo cui« [o]gni domanda, controversia o obiezione relativa al presente patto, o allaviolazione, alla validità, all’efficacia o alla risoluzione del medesimo, è sottopostaad arbitrato ».

14. Il 25 marzo 2011, la Lietuvos Respublika, rappresentata dalla ministe-rija, ha depositato dinanzi al Vilniaus apygardos teismas (tribunale regionale diVilnius) un ricorso in cui si chiedeva l’apertura di un’inchiesta sulle attività di unapersona giuridica.

15. Questo ricorso riguardava la Lietuvos dujos nonché il sig.Valentukevičius, direttore generale della società, e i sigg. Golubev e Seleznev,cittadini russi membri del suo consiglio di amministrazione, nominati dallaGazprom. Con il citato ricorso, la ministerija ha anche chiesto l’applicazione ditalune misure correttive previste dall’articolo 2.131 del codice civile lituano, se taleinchiesta avesse stabilito che le attività della società stessa o delle persone citateerano inappropriate.

16. Ritenendo che tale ricorso violasse la clausola compromissoria previstaall’articolo 7.14 del patto fra azionisti, il 29 agosto 2011 la Gazprom ha presentatopresso l’istituto arbitrale della camera di commercio di Stoccolma una domanda diarbitrato nei confronti della ministerija.

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17. La Gazprom ha chiesto in particolare al collegio arbitrale costituitodall’istituto arbitrale della camera di commercio di Stoccolma di ordinare allaministerija di porre fine all’esame della controversia pendente dinanzi al Vilniausapygardos teismas.

18. Con lodo del 31 luglio 2012, detto collegio arbitrale ha rilevato laviolazione parziale della clausola compromissoria contenuta nel patto fra azionistie ha ingiunto alla ministerija, in particolare, di ritirare o ridurre talune delledomande presentate dinanzi a detto giudice (in prosieguo: il « lodo arbitrale del 31luglio 2012 »).

19. Con ordinanza del 3 settembre 2012, il Vilniaus apygardos teismas haordinato l’apertura di un’inchiesta sulle attività della Lietuvos dujos. Ha altresìrilevato che la domanda di inchiesta sulle attività di una persona giuridicarientrava nella propria competenza e in virtù del diritto lituano non potevacostituire oggetto di arbitrato.

20. La Lietuvos dujos nonché i sigg. Valentukevičius, Golubev e Seleznevhanno impugnato tale decisione dinanzi al Lietuvos apeliacinis teismas (Corted’appello della Lituania). Inoltre la Gazprom, nell’ambito di un altro procedi-mento, ha adito questo stesso giudice chiedendo il riconoscimento e l’esecuzionein Lituania del lodo arbitrale del 31 luglio 2012.

21. Con una prima ordinanza del 17 dicembre 2012, il Lietuvos apeliacinisteismas ha respinto quest’ultima domanda. Il giudice lituano ha ritenuto, da unlato, che il collegio arbitrale che aveva emesso il citato lodo arbitrale non potessedecidere su una questione già sollevata dinanzi al Vilniaus apygardos teismas edesaminata da quest’ultimo e, dall’altro lato, che, pronunciandosi su tale questione,il collegio arbitrale non avesse rispettato l’articolo V, paragrafo 2, lettera a), dellaconvenzione concernente il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitralistraniere conclusa a New York il 10 giugno 1958 (Recueil des traités des Nationsunies, vol. 330, pag. 3; in prosieguo la « convenzione di New York »).

22. Inoltre, il Lietuvos apeliacinis teismas ha rilevato che, con il lodoarbitrale del 31 luglio 2012, di cui sono stati chiesti il riconoscimento e l’esecu-zione, detto collegio arbitrale non solo ha limitato la capacità della ministerija diagire dinanzi al giudice lituano per l’avvio di un’inchiesta sulle attività di unapersona giuridica, ma ha altresì negato a questo giudice nazionale il potere, di cuidispone, di pronunciarsi sulla propria competenza. In tal modo, lo stesso collegioarbitrale avrebbe violato la sovranità nazionale della Repubblica di Lituania, incontrasto con l’ordine pubblico lituano e internazionale. Secondo il Lietuvosapeliacinis teismas, il diniego di riconoscimento del lodo era fondato anchesull’articolo V, paragrafo 2, lettera b), della citata convenzione.

23. Con una seconda ordinanza del 21 febbraio 2013, il Lietuvos apeliacinisteismas ha respinto l’appello della Lietuvos dujos nonché dei sigg.Valentukevičius, Golubev e Seleznev avverso la decisione del Vilniaus apygardosteismas, del 3 settembre 2012, di avviare un’inchiesta sulle attività della Lietuvosdujos. Ha inoltre confermato la competenza dei giudici lituani ad esaminare lacontroversia.

24. Le due ordinanze della Lietuvos apeliacinis teismas, del 17 dicembre2012 e del 21 febbraio 2013, sono state entrambe oggetto di ricorso per cassazionedinanzi alla Lietuvos Aukščiausiasis Teismas (Corte suprema della Lituania).Quest’ultima ha deciso, con ordinanza del 20 novembre 2013, di sospendere il

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giudizio sul ricorso avverso la seconda di tali ordinanze, fino alla decisione delricorso concernente il riconoscimento e l’esecuzione del lodo arbitrale del 31 luglio2012.

25. Il giudice del rinvio si chiede, alla luce della giurisprudenza della Cortein materia e dell’articolo 71 del regolamento n. 44/2001, se il riconoscimento el’esecuzione del citato lodo arbitrale, da lui qualificato come « anti-suit injun-ction », possano essere negati in base al rilievo che, in seguito ad un tale ricono-scimento e a una tale esecuzione, l’esercizio da parte di un giudice lituano delpotere di pronunciarsi sulla propria competenza a decidere della domanda di avviodi un’inchiesta sulle attività di una persona giuridica risulterebbe limitato.

26. Alla luce di quanto sopra, il Lietuvos Aukščiausiasis Teismas ha decisodi sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le questioni pregiudizialiche seguono:

« 1) Qualora un collegio arbitrale pronunci una “anti-suit injunction” chevieta ad una parte di presentare determinate domande dinanzi ad un giudice diuno Stato membro, il quale, ai sensi delle norme sulla competenza del regolamento[n.44/2001], è competente a conoscere il merito della causa civile, se il giudice delloStato membro abbia il diritto di negare il riconoscimento di un simile lodoarbitrale perché esso limita il diritto del giudice di pronunciarsi esso stesso sullapropria competenza a conoscere della causa, ai sensi delle norme sulla competenzadel regolamento [n. 44/2001].

2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se ciò valga anche nelcaso in cui la “anti-suit injunction” pronunciata dal collegio arbitrale imponga aduna parte del procedimento di limitare le sue domande in una causa pendente inun altro Stato membro, sulla quale il giudice di quest’ultimo Stato membro ècompetente ai sensi delle norme sulla competenza del regolamento n. 44/2001.

3) Se un giudice nazionale, che intenda garantire la prevalenza del dirittodell’Unione europea e la piena applicazione del regolamento [n. 44/2001], possanegare il riconoscimento del lodo di un organo arbitrale qualora esso limiti ildiritto del giudice nazionale di pronunciarsi sulla propria competenza e sui propripoteri, in una causa che rientra nell’ambito di applicazione del regolamento [n.44/2001] ».

Sulle questioni pregiudiziali

27. Con le sue questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, ilgiudice del rinvio chiede, in sostanza, se il regolamento n. 44/2001 debba essereinterpretato nel senso che osta a che il giudice di uno Stato membro riconosca edesegua, o a che detto giudice si rifiuti di riconoscere ed eseguire, un lodo arbitraleche vieti ad una parte di proporre talune domande dinanzi ad un giudice di taleStato membro.

28. Occorre anzitutto precisare che detto regolamento, all’articolo 1, para-grafo 2, lettera d), esclude l’arbitrato dal proprio ambito di applicazione.

29. Per stabilire se una controversia rientri nell’ambito di applicazione delregolamento n. 44/2001, deve essere preso in considerazione soltanto l’oggetto ditale controversia (sentenza Rich, C-190/89, EU:C:1991:319, punto 26).

30. Per quanto concerne l’oggetto del procedimento principale, occorreprecisare che dalla decisione di rinvio si ricava che il Lietuvos Aukščiausiasis

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Teismas è investito di un ricorso avverso l’ordinanza del Lietuvos apeliacinisteismas che ha negato il riconoscimento e l’esecuzione del lodo arbitrale, qualifi-cato dal giudice di rinvio come « anti-suit injunction », con cui un collegio arbitraleha ingiunto alla ministerija di ritirare o ridurre talune delle domande formulatedinanzi ai giudici lituani. Parallelamente, il giudice del rinvio è anche investito diun ricorso avverso un’ordinanza del Lietuvos apeliacinis teismas che ha confer-mato la decisione del Vilniaus apygardos teismas di avviare un’inchiesta sulleattività della Lietuvos dujos, che, secondo il giudice del rinvio, rientra nellamateria civile ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001.

31. Secondo il giudice del rinvio, un lodo arbitrale che vieti ad una parte dipresentare talune domande dinanzi ad un giudice nazionale potrebbe pregiudicarel’effetto utile del regolamento n. 44/2001, nel senso che potrebbe limitare l’eser-cizio, da parte di un tale giudice, del potere di pronunciarsi esso stesso sullapropria competenza ad esaminare una controversia rientrante nell’ambito diapplicazione di detto regolamento.

32. A tal proposito, è opportuno ricordare che la Corte, nella sua sentenzaAllianz e Generali Assicurazioni Generali (C-185/07, EU:C:2009:69), ha ritenutoche un provvedimento inibitorio emesso da parte di un giudice di uno Statomembro che vieti ad una persona di ricorrere ad un procedimento diversodall’arbitrato nonché di continuare il procedimento dinanzi ad un giudice di unaltro Stato membro, competente ai sensi del regolamento n. 44/2001, è incompa-tibile con detto regolamento.

33. Infatti, un provvedimento inibitorio emesso da un giudice di uno Statomembro che obblighi la parte di un arbitrato a non continuare un procedimentodinanzi ad un giudice di un altro Stato membro non rispetta il principio generaleelaborato dalla giurisprudenza della Corte secondo cui ciascun giudice aditoaccerta esso stesso, in forza delle disposizioni applicabili, la propria competenza apronunciarsi sulla controversia sottopostagli. Al riguardo si deve ricordare che ilregolamento n. 44/2001 non autorizza, salvo limitate eccezioni, il sindacato dellacompetenza di un giudice di uno Stato membro da parte di un giudice di un altroStato membro. Tale competenza è determinata direttamente dalle norme stabiliteda detto regolamento, tra cui quelle riguardanti il suo ambito di applicazione. Ungiudice di uno Stato membro non è quindi in nessun caso più qualificato apronunciarsi sulla competenza del giudice di un altro Stato membro (v. la sentenzaAllianz e Generali Assicurazioni Generali, C-185/07, EU:C:2009:69, punto 29).

34. In particolare, la Corte ha ritenuto che un ostacolo, attraverso un taleprovvedimento inibitorio, all’esercizio da parte di un giudice di uno Stato membrodei poteri che lo stesso regolamento gli attribuisce vada in senso opposto allafiducia che gli Stati membri accordano reciprocamente ai loro sistemi giuridici ealle loro istituzioni giudiziarie e possa impedire, al ricorrente che considerasse unaccordo arbitrale caduco, inoperante o inapplicabile, l’accesso al giudice nazionaleda lui nondimeno adito (v., in tal senso, sentenza Allianz e Generali AssicurazioniGenerali, C-185/07, EU:C:2009:69, punti 30 e 31).

35. Nella presente causa, tuttavia, il giudice del rinvio interroga la Corte nonsulla compatibilità con il regolamento n. 44/2001 di un tale provvedimento inibi-torio emesso da un giudice di uno Stato membro, ma sulla compatibilità con taleregolamento dell’eventuale riconoscimento ed esecuzione, da parte di un giudicedi uno Stato membro, di un lodo arbitrale che contenga un provvedimento

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inibitorio che obbliga una parte di un procedimento arbitrale a ridurre la portatadelle domande formulate nell’ambito di un procedimento pendente dinanzi a ungiudice di questo stesso Stato membro.

36. A tal proposito, occorre innanzitutto ricordare che, come indicato alpunto 28 della presente sentenza, l’arbitrato non rientra nell’ambito di applica-zione del regolamento n. 44/2001, il quale si limita a disciplinare i conflitti dicompetenza tra gli organi giurisdizionali degli Stati membri. Poiché i collegiarbitrali non sono organi giurisdizionali statali, non si configura, nel procedimentoprincipale, un tale conflitto ai sensi di detto regolamento.

37. In secondo luogo, riguardo al principio di reciproca fiducia, che gli Statimembri accordano ai rispettivi sistemi giuridici e alle rispettive istituzioni giudi-ziarie, il quale si traduce nell’armonizzazione delle regole di competenza degliorgani giurisdizionali, sulla base del sistema stabilito dal regolamento n. 44/2001,occorre rilevare che, nelle circostanze del procedimento principale, poiché ilprovvedimento inibitorio è stato pronunciato da un collegio arbitrale, non siconfigura una violazione di detto principio per l’ingerenza di un giudice di unoStato membro nella competenza di un giudice di un altro Stato membro.

38. Analogamente, in tali circostanze, il divieto emesso da un collegioarbitrale e rivolto ad una parte di presentare talune domande dinanzi ad un giudicedi uno Stato membro non può privare questa parte della protezione giurisdizionalecui si fa riferimento al punto 34 della presente sentenza, dato che, nell’ambito dellaprocedura di riconoscimento ed esecuzione di tale lodo arbitrale, da un lato, dettaparte potrebbe opporsi a questo riconoscimento e a questa esecuzione e, dall’altro,il giudice adito dovrebbe determinare, sulla base del diritto processuale nazionalee del diritto internazionale applicabili, se si debba o meno procedere al riconosci-mento e all’esecuzione di tale lodo arbitrale.

39. Così, in dette circostanze, né il citato lodo arbitrale, né la decisione concui, se del caso, il giudice di uno Stato membro lo riconosce, sono idonei apregiudicare la reciproca fiducia tra i giudici dei diversi Stati membri su cui sifonda il regolamento n. 44/2001.

40. Infine, a differenza del provvedimento inibitorio contestato nel proce-dimento che ha dato luogo alla sentenza Allianz e Generali Assicurazioni Generali(C-185/07, EU:C:2009:69, punto 20), il mancato rispetto del lodo arbitrale del 31luglio 2012 da parte della ministerija nell’ambito del procedimento relativo all’av-vio di un’inchiesta sulle attività di una persona giuridica non comporta l’irroga-zione, contro quest’ultima, di sanzioni da parte di un giudice di un altro Statomembro. Ne consegue che gli effetti giuridici di un lodo arbitrale quale quello dicui al procedimento principale si distinguono dagli effetti del provvedimentoinibitorio di cui al procedimento che ha dato luogo alla citata sentenza.

41. Pertanto, la procedura di riconoscimento ed esecuzione di un lodoarbitrale quale quello di cui al procedimento principale è regolata dal dirittonazionale e dal diritto internazionale applicabili nello Stato membro in cui talericonoscimento e tale esecuzione sono richiesti, e non dal regolamento n. 44/2001.

42. Nelle circostanze di cui al procedimento principale, quindi, l’eventualelimitazione dei poteri attribuiti ad un giudice di uno Stato membro investito di unacontroversia parallela di pronunciarsi sulla propria competenza potrebbe derivareunicamente dal riconoscimento e dall’esecuzione da parte di un giudice dellostesso Stato membro di un lodo arbitrale, come quello di cui al procedimento

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principale, ai sensi del diritto processuale di tale Stato membro e, se del caso, dellaconvenzione di New York, che regolano questa materia esclusa dall’ambito diapplicazione del regolamento n. 44/2001.

43. Poiché la convenzione di New York disciplina un settore escluso dal-l’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001, essa non è relativa, segnata-mente, ad una « materia particolare », ai sensi dell’articolo 71, paragrafo 1, di dettoregolamento. Infatti, l’articolo 71 di detto regolamento disciplina solamente irapporti tra lo stesso e le convenzioni relative alle materie particolari che rientranonell’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 (v., in tal senso, sentenzaTNT Express Nederland, C-533/08, EU:C:2010:243, punti 48 e 51).

44. Come emerge dall’insieme delle suesposte considerazioni, occorre ri-spondere alle questioni sollevate dichiarando che il regolamento n. 44/2001 de-v’essere interpretato nel senso che non osta a che il giudice di uno Stato membroriconosca ed esegua, né a che si rifiuti di riconoscere ed eseguire, un lodo arbitraleche vieti ad una parte di presentare talune domande dinanzi ad un giudice di taleStato membro, in quanto detto regolamento non disciplina il riconoscimento el’esecuzione, in uno Stato membro, di un lodo arbitrale emesso da un collegioarbitrale in un altro Stato membro.

Volli, sempre volli, fortissimamente volli: la Corte di giustizia si pronunciasul caso Gazprom.

1. Nel procedimento pregiudiziale che ha dato origine alla sentenzain epigrafe, la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sullacompatibilità con il sistema della cooperazione giudiziaria in materiacivile, rectius con il regolamento n. 44/2001, di un provvedimento inibito-rio emesso da un collegio arbitrale nei confronti di una delle parti tenutedalla convenzione di arbitrato, con il quale si ordinava di ridurre l’oggettodi un procedimento pendente dinanzi al giudice di uno Stato membro,segnatamente quello lituano. Ciò sul presupposto che si trattasse di uncomportamento lesivo del patto di arbitrato.

In precedenza, lo si ricorderà, la Corte era intervenuta due volte sutematiche analoghe: dapprima nella causa Turner c. Grovit (1), nella quale

(1) Corte di giustizia, 27 aprile 2004, causa C-159/02 (ECLI:EU:C:2004:228I), Turner c.Grovit, secondo cui è incompatibile con il sistema di Bruxelles l’emissione, da parte di ungiudice di uno Stato membro, di un provvedimento inibitorio diretto a vietare ad una personadi iniziare o proseguire un procedimento dinanzi alle autorità giurisdizionali di altro Statomembro. La Corte di giustizia era stata sollecitata a pronunciarsi in riferimento ad unafattispecie in cui l’anti-suit injunction era stata utilizzata per impedire ad una parte di iniziare oproseguire un processo dinanzi ad un’autorità giurisdizionale di altro Stato membro, inpendenza di un giudizio inglese. La decisione è commentata (in maniera adesiva) da MERLIN, Leanti-suit injunctions e la loro incompatibilità con il sistema processuale comunitario, in Int’l Lis,2005, 14 ss. nonché in CONSOLO, DE CRISTOFARO, Il diritto processuale internazionale visto da Int’lLis dal 2002 ad oggi, Milano, 2006, 1174 ss.; ANDREWS, Abuse of process and obstructive tacticsunder the Brussels jurisdictional system: Unresolved problems for the European authorities ErichGasser GmbH v MISAT srl Case C-116/02 (9 dicember 2003) and Turner v Grovit Case C-159/02

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si era pronunciata nel senso dell’incompatibilità dell’istituto inglese delleanti-suit injunctions emesse a tutela della giurisdizione con il sistema della(all’epoca vigente) Convenzione di Bruxelles del 1968 e, quindi, nellavicenda West Tankers (2). In questa seconda occasione, la Corte di giusti-zia, pur essendo l’arbitrato escluso dall’ambito di applicazione del rego-lamento n. 44/2001, ha reputato incompatibili con il c.d. effetto utile delregolamento le anti-suit injunctions pronunciate dal giudice inglese aprotezione (non già di un procedimento giurisdizionale ma, invece) di unarbitrato avente sede in tale Stato membro.

Due gli elementi che differenziano il caso Gazprom dalla vicendaWest Tankers e che, pertanto, hanno determinato la necessità di un nuovorinvio pregiudiziale:

1) nella vicenda Gazprom il provvedimento inibitorio non era statoemesso da un’autorità giurisdizionale di altro Stato membro ma, viceversa,da un tribunale arbitrale, costituito nel contesto di un arbitrato ammini-strato dalla camera arbitrale di Stoccolma (3);

(27 April 2004), in Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 2005, 8 ss.; DUTTA, HEINZ, Prozess-führungsverbote im englischen und europäischen Zivilverfahrensrecht, in ZEuP, 2005, 428 ss.;KRUGER, The Anti-Suit Injunction in the European Judicial Space: Turner v Grovit, in Interna-tional and Comparative Law Quarterly, 2004, 570 ss.; RAUSCHER, Unzulässigkeit einer anti-suitinjunction unter Brüssel I, in IPRax, 2004, 405 ss.

(2) Corte di giustizia, 10 febbraio 2009, causa C-185/07 (ECLI:EU:C:2009:69), Allianzs.p.a. e Generali assicurazioni s.p.a. c. West Tankers, in questa Rivista, 2009, 74 ss. con ns. nota,La Corte di giustizia dichiara le anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato inglese incompatibilicon il sistema del reg. n. 44/2001; in Int’l Lis, 2009 123 ss. con nota di FRADEANI, Le anti-suitinjunctions, anche a “protezione” dell’arbitrato internazionale, tra incompatibilità con il sistemaprocessuale comunitario e riconoscimento quale legittimo rimedio a salvaguardia delle clausole dideroga alla giurisdizione; in Riv. dir. proc., 2009, 971 ss. con nota di MERLIN, Proroghe pattiziee principio di « pari autorità » nell’accertamento della competenza internazionale nel Reg. CE44/2001; in Revue de l’arbitrage, 2009, 413 ss. con nota di BOLLÉE; in Rev. critique droitinternational privé, 2009, 815 ss. con nota di MUIR WATT; in Journal du droit international(Clunet), 2009, 1285 ss. con nota (senza titolo) di AUDIT; in Journal of international arbitration,2009, 891 ss. con nota di GRIERSON, Comment on West Tankers Inc. v. RAS Riunione adriaticadi sicurta s.p.a. (The Front Comor) ed altresì commentata (senza pretesa di completezza) daFENTIMAN, Arbitration and Antisuit Injunctions in Europe, in The Cambridge Law Journal, 2009,278 ss.; ILLMER, Anti-suit injunctions zur Durchsetzung von Schiedsvereinbarung in Europa- derletzte Vorhang ist gefallen, in IPRax, 2009, 312 ss.; MARONGIU BUONAIUTI, Emanazione diprovvedimenti inibitori a sostegno della competenza arbitrale e reciproca fiducia tra i sistemigiurisdizionali degli Stati membri dell’Unione europea, in questa Rivista, 2009, 245 ss.; DUTTA-HEINZ, Anti-suit injunctions zum Schutz von Schiedsvereinbarungen, in RIW, 2007, 411 ss.;PERILLO, Arbitrato comunitario e anti-suit injunctions nella sentenza West Tankers della Corte digiustizia, in Dir. comm. int., 2009, 351 ss. THERY, Aux frontières du règlement 44/2001: arbitrage,injonction et confiance mutuelle, in Rev. trim. droit civil, 2009, 357 ss.

Nel caso de quo, come ricordato nel testo, la Corte di giustizia reputò incompatibile conl’allora vigente regolamento n. 44/2001 l’emissione, da parte di un giudice di uno Stato membro,di un provvedimento inibitorio diretto a vietare ad una persona di avviare o proseguire unprocedimento instaurato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro, in violazione unaconvenzione di arbitrato.

(3) Come noto, si controverte in dottrina in riferimento alla possibilità, per gli arbitri, dipronunciare quelle che comunemente sono denominate anti-suit injunctions, rectius ordinifinalizzati ad inibire le parti dal cominciare o proseguire un procedimento giurisdizionale in

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2) nella vicenda Gazprom l’inibitoria non era una anti-suit injunctiondisciplinata dal diritto inglese, la cui caratteristica, come ricordato dallaCorte di giustizia al punto 40 della sentenza in epigrafe, consiste:

spregio ad una convenzione di arbitrato (non necessariamente regolata dal diritto processualeinglese ovvero di un ordinamento di common law che tale istituto contempli). In arg. si vedano,ex multis, CLAVEL, Antisuit injunctions et arbitrage, in Rev. arb., 2001, 669 ss., spec. 699-700;GAILLARD (a cura di), Anti-Suit Injunctions in International Arbitration, New York, 2005, 1 ss.;spec. 237, il quale si pronuncia a favore di una siffatta potestas, ancorandola al potere degliarbitri, previsto inter alia da molti regolamento arbitrali, di adottare le misure più appropriateper garantire l’effettività del futuro lodo arbitrale; ID., Il est interdit d’interdire: réflexions surl’utilisation des anti-suit injunctions dans l’arbitrage commercial international, in Rev. arb., 2004,47 ss.; LÉVY, Anti-Suit Injunctions Issued by Arbitrators, in GAILLARD (a cura di), Anti-SuitInjunctions in International Arbitration, cit., 115 ss.; SERIKI, Injunctive Relief and InternationalArbitration, New York, 2015, 81 ss, e, da ultimo, VISHENEVSKAYA, Anti-suit Injunctions fromArbitral Tribunals in International Commercial Arbitration: A Necessary Evil?, in Journal ofInternational Arbitration, 2015, 173 ss., spec. 175 ss., ove si afferma che il potere degli arbitri dipronunciare una simile injunction si deve basare sull’accordo diretto delle parti (segnatamente,l’accordo deve contemplare la facoltà, per gli arbitri, di pronunciare interim measures), oppuremediato, i.e. tramite adesione delle medesime ad un regolamento arbitrale che consenta agliarbitri di pronunciare misure provvisorie a garanzia dell’effettività dell’arbitrato, e, in viaresiduale, sulla legge processuale applicabile, la quale assumerà un rilievo decisivo soprattuttonel caso in cui una delle parti non si adegui spontaneamente all’order. A fronte di siffattaeventualità, segnatamente, occorrerà valutare se l’ordinamento in cui ha sede l’arbitratopreveda, per tale fattispecie, degli strumenti di coazione applicabili anche ove si tratti diprovvedimenti pronunciati non già dall’autorità giurisdizionale ma, piuttosto, dall’arbitro.

Nei paesi che hanno conformato la propria normativa sull’arbitrato all’UNCITRALModel Law, la possibilità, per gli arbitri, di pronunciare provvedimenti inibitori sussiste ai sensidell’art. 26 della versione 2010 delle Rules (in precedenza, art. 17), nella parte in cui si consenteal tribunale arbitrale di ordinare ad una delle parti « to take action that would prevent, or refrainfrom taking action that is likely to cause.....prejudice to the arbitral process itself ». In propositov. BINDER, Analytical Commentary to the UNCITRAL Arbitration Rules, London, 2013, 241 ss.

Ove, invece, non sia consentita la possibilità di pronunciare siffatti orders, ovvero quandol’inibitoria sia stata pronunciata ma non sia stata osservata dalla parte o dalle parti destinatarie,a seconda della legge che regola l’arbitrato, si potrà fare impiego di un ulteriore strumento atutela dell’operatività della convenzione di arbitrato conosciuto, ad esempio, dall’ordinamentoinglese (e tuttavia meno efficace poiché trattasi di rimedio esperibile ex post, a convenzione giàviolata), il quale consiste nel concedere tutela risarcitoria (da parte dell’arbitro o del giudice)nell’ipotesi in cui una delle parti adisca l’autorità giurisdizionale in spregio all’accordo arbitrale:sul tema v. DUTSON, Breach of an Arbitration or Exclusive Jurisdiction Clause: The LegalRemedies it if Continues, in Arbitration International, 2000, 89 ss. e, da noi, C. GAMBINO, Lalegittimità delle azioni risarcitorie per violazione di clausole compromissorie dopo la giurispru-denza West Tankers, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, 949 ss. In tema v. anche la nota 87 delleconclusioni dell’avv. gen. WATHELET, presentate il 4 dicembre 2014, ove si reputa compatibilecon il sistema di Bruxelles la facoltà di un arbitro o di un giudice statale di condannare, surichiesta della controparte, il soggetto che ha instaurato un procedimento dinanzi al giudice inviolazione dell’accordo compromissorio al risarcimento dei danni per un importo « pari allesomme alle quali avrebbe eventualmente condannato la parte lesa », argomentando dal fattoche ciò è quanto si verifica nell’ordinamento inglese. L’avv. gen. cita, a sostegno della propriaposizione, anche il considerando M della risoluzione del Parlamento europeo del 7 settembre2010 sull’attuazione e la revisione del regolamento n. 44/2001 il quale auspicava che continuas-sero ad essere disponibili « i vari meccanismi processuali nazionali sviluppati per tutelare lagiurisdizione arbitrale (« anti-suit injunctions » nella misura in cui sono conformi alla liberacircolazione delle persone e ai diritti fondamentali, dichiarazioni di validità di una clausolacompromissoria, concessione di risarcimenti del danno per violazione di clausole compromis-sorie, effetto negativo del principio « Kompetenz-Kompetenz », ecc.) ».

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i) per un verso, nel fatto di essere destinata alle parti del procedi-mento straniero, comunque soggette (anche) alla giurisdizione inglese;

ii) per altro verso, nel fatto che la sua effettività è garantita dallasanzione, parimenti emessa dal giudice anglosassone, del contempt ofcourt (4).

Segnatamente, nel caso di specie l’inibitoria arbitrale (almeno cosìrisulta dal testo della sentenza in epigrafe) era rivolta al Ministero del-l’energia lituano, parte del procedimento arbitrale, ma non era assistitadalla possibilità di ottenere un provvedimento giurisdizionale coercitivoemesso da un giudice di altro Stato membro e finalizzato a garantirnel’attuazione (5).

In altri termini, l’attuazione dell’inibitoria restava rimessa alla liberavolontà della parte destinataria, ossia, come ricordato, il Ministero del-l’energia lituano. Tuttavia, essendo tale parte quella che aveva instauratoil procedimento giurisdizionale, in mancanza di una efficace sanzione peril suo inadempimento, un suo volontario abbandono del giudizio lituano(rectius come richiesto dal lodo, almeno una riduzione dell’oggetto dellacontroversia in tale sede proposta) era difficilmente immaginabile. Ciòinduce conseguentemente a chiedersi perché Gazprom abbia cionono-stante insistito per l’ottenimento di un siffatto dictum.

Invero, come risulta dal testo del lodo arbitrale emesso il 31 luglio2012 (6) in primis la Gazprom, in data 13 giugno 2011, aveva iniziato unexpedited arbitration finalizzato ad ottenere che l’emergency arbitrator,individuato nella persona del prof. van den Berg, ordinasse al Ministero

In Italia, un tentativo in siffatta direzione è stato compiuto da Trib. Verona, 22 novembre2012, www.altalex.it., il quale ha condannato per lite temeraria l’attore che aveva agito ingiudizio in violazione di un patto compromissorio.

(4) In proposito cfr. il punto 14 delle Conclusioni dell’avv. gen. KOKOTT nella causa WestTankers presentate il 4 settembre 2008 (ww.curia.europa.eu, ricerca per numero di causa)nonché il punto 65 delle Conclusioni dell’avv. gen. WATHELET nella causa Gazprom presentateil 4 dicembre 2014.

(5) Come nota LAYTON, Anti-arbitration Injunctions and Anti-suit Injunctions: An Anglo-European Perspective, in F. FERRARI (a cura di), Forum Shopping in the International Commer-cial Arbitration Context, Munich, 2013, 131 ss., spec. 144 « of course, an arbitrator’s anti-suitaward will only have contractual force and hence will not have the same teeth as a courtinjunction, which can be enforced by processes of contempt ». L’A. si domanda altresì —ponendosi un quesito che il Ministero dell’energia lituano non aveva formulato nella vicenda inesame e che il giudice evidentemente non aveva ritenuto di sollevare d’ufficio — se un siffattointerim award sia riconoscibile ai sensi della Convenzione di New York del 1958, rispondendoche un tale lodo « is probably non enforceable under the New York Convention ».

La circostanza per cui l’attuazione dei provvedimenti inibitori emessi dal tribunalearbitrale è in buona sostanza rimessa alla volontà delle parti, anche ove si applichi la leggemodello dell’Uncitral, a meno che l’ordinamento della sede dell’arbitrato non consenta algiudice statale di intervenire per favorire l’attuazione della misura arbitrale sanzionare era statamessa in luce anche da BINDER, International Commercial Arbitration and Conciliation inUNCITRAL Model Law Jurisdictions, 3 Ed., London, 2010, 236 ss.

(6) Disponibile all’indirizzo web: http://globalarbitrationreview.com/cdn/files/gar/article-s/Gazprom_v_Lithuania_Final_Award.pdf.

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dell’energia lituano (7) « to (i) move for a stay of the Initial Claim pendingthe rendering of a final award by the tribunal to be constituted pursuant tothe SCC Rules to hear the present dispute, and (ii) refrain from any furtheractions before the Vilnius court or any State court in relation to the disputedescribed above pending the rendering of a final award by the tribunal to beconstituted pursuant to the SCC Rules ».

Si sarà peraltro notato che, pur essendo l’inglese la lingua del proce-dimento, non viene mai utilizzata l’espressione anti-suit injunction benchéessa sia convenzionalmente impiegata, anche dalla dottrina, in riferimentoall’arbitrato internazionale. Nel contesto dell’arbitrato internazionale,segnatamente, il sostantivo è utilizzato per denominare il potere dell’ar-bitro di inibire alle parti l’instaurazione o la prosecuzione di un procedi-mento giurisdizionale, in maniera cioè svincolata dal necessario riferi-mento al diritto processuale inglese ovvero al diritto processuale di unordinamento di common law che tale istituto contempli (ad esempio: StatiUniti, Canada, Australia).

Nel caso in esame, l’emergency arbitrator aveva rigettato la richiestadella Gazprom a motivo della carenza del requisito dell’urgenza (« mainlyin the light of the lack of urgency »), osservando tuttavia che la societàrussa aveva, a suo giudizio, una « reasonable possibility of success on themerits ».

Successivamente, il 29 agosto 2011, la Gazprom aveva proposto unadomanda di arbitrato, dinanzi alla medesima camera, da svolgersi ai sensidelle SCC Arbitration Rules (regolamento dell’Arbitration Institute dellaCamera di commercio di Stoccolma). La legge applicabile al merito dellacontroversia era quella lituana. Tale legge disciplinava anche la validitàdella clausola compromissoria. Su tale punto, del resto, non era mai sortacontroversia tra le parti.

Nel corso del procedimento arbitrale la Gazprom aveva rinnovato larichiesta finalizzata ad ottenere un provvedimento arbitrale che ordinasseal Ministero dell’energia lituano di rinunciare agli atti del provvedimentogiurisdizionale pendente in Lituania.

La Gazprom sosteneva che il collegio arbitrale aveva il potere diemettere una siffatta inibitoria, la quale sarebbe stata the « most appro-priate remedy in the event of a breach of arbitration agreement » edinvocava a sostegno della propria tesi la prassi, in tal senso orientata, degli

(7) Pare opportuno precisare che il Ministero dell’energia lituano, che agiva per contodella Repubblica lituana era anch’esso vincolato alla convenzione di arbitrato (la quale, comenoto, riguardava tutti gli azionisti della Lietuvos dujos AB) in ragione del fatto che laRepubblica lituana deteneva un pacchetto di azioni di tale società. Non a caso al punto 81 dellamotivazione del lodo del 31 luglio 2012 si trova scritto che « it is undisputed that Gazprom andthe Ministry are bound by an arbitration agreement ».

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arbitrati ICSID. In particolare, era citato il provvedimento inibitoriocontenuto nel lodo ICSID emesso nel caso ATA v. Jordan (8).

In effetti, nel lodo del 31 luglio 2012 il Tribunale arbitrale, constatatoche il Ministero dell’energia non aveva contestato il potere degli arbitri diemanare provvedimenti inibitori, e dopo aver dichiarato che la sua inizia-tiva di instaurare e coltivare un procedimento giurisdizionale in Lituaniaparzialmente costitutiva una violazione dell’accordo compromissorio(« was partially in breach of the arbitration agreement »), aveva ordinato almedesimo « to withdraw its requests under points 1.1., 1.3 and 1.4 of itsRevisited Claim, dated December 9, 2011 and to limit its request under point1.6 of such Revisited Claim to measures that would no jeopardize the rightsand the obligations established in the SHA ».

Il sostantivo anti-suit injunction non ricorre nel lodo arbitrale. Esso èutilizzato, per la prima volta, dal giudice di vertice lituano al momento incui si è trattato di formulare il quesito interpretativo da sottoporre allaCorte di giustizia. Il giudice a quo, a sua volta, lo ha preso a prestito dalledifese del Ministero dell’energia, il quale aveva per l’appunto sostenutoche tale lodo si sostanziava in una anti-suit injunction.

L’espressione « anti-suit injunction » è stata quindi ripresa dall’avvo-cato generale Wathelet nelle sue conclusioni presentate il 4 dicembre2014 (9).

La Corte di giustizia, invece, più propriamente (analogamente aquanto aveva fatto nelle sentenze Turner e West Tanker, nel cui disposi-tivo, sia nella versione italiana che in quella inglese, non compare l’espres-sione anti-suit injunction) si esprime in termini di « lodo arbitrale che vietiad una parte di presentare talune domande dinanzi ad un giudice » di unoStato membro (anche nella versione inglese: « an arbitral award prohibi-

(8) Nella vicenda de qua, con lodo del 18 maggio 2010 (ICSID Case No. ARB/08/2) iltribunale arbitrale aveva ordinato « that the ongoing Jordanian court proceedings in relation tothe Dike No. 19 dispute be immediately and unconditionally terminated, with no possibility toengage further judicial proceedings in Jordan or elsewhere on the substance of the dispute ».

Segnatamente, nel contesto dell’arbitrato ICSID la possibilità di emanare injunctions èfatta derivare dalla possibilità, per il tribunale, di concedere interim measures finalizzate adassicurare l’effettività dell’arbitrato. In proposito v. KERAMEUS, Anti-suit Injunctions in ICSIDArbitration, in GAILLARD (a cura di), Anti-suit Injunctions in International Arbitration, cit., 136ss.; SERIKI, op. cit., 81 ss. nonché l’opinione critica di BACHAND, The UNCITRAL Model Law’sTake on Anti-Suit Injunctions, ivi, 101 ss., spec. 102, nota n. 32.

(9) L’avv. gen., tuttavia, si era domandato se si vertesse effettivamente in presenza di unaanti-suit injunction (ivi, punti 62 ss.), tale e quale a quelle conosciute dalla common law. Dopoaver condiviso le affermazioni del governo francese, il quale aveva osservato che, a differenzadelle anti-suit injunctions il lodo in questione, nell’ipotesi di una sua inosservanza, non avrebbecomportato l’applicazione di alcuna misura coercitiva, né da parte degli arbitri, né da parte delgiudice svedese (luogo della sede dell’arbitrato), l’avv. gen. aveva sostenuto che, essendo ilprovvedimento inibitorio pronunciato dagli arbitri potenzialmente idoneo a distogliere ilMinistero dell’energia lituano dal proseguire la causa dinanzi all’autorità giurisdizionale, essorisultava in linea di principio in grado di pregiudicare l’effetto utile del regolamento n. 44/2001,analogamente alle anti-suit injunctions inglese prese ad esame nella vicenda West Tankers.

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ting a party from bringing certain claims before a court of that MemberState »), sottolineando, anche a mo’ di distinguishing, che gli effetti dellodo arbitrale emesso a Stoccolma si differenziano da quelli della anti-suitinjunction inglese, a cui faceva riferimento la pronuncia West Tankers, perle ragioni in precedenza indicate sub 2ii) ed, in particolare, per il fatto dinon essere (almeno nel caso di specie) la sua inosservanza accompagnabileda una misura coercitiva emessa da un’autorità giurisdizionale di altroStato membro, quale il contempt of court.

2. Nella vicenda in esame, il rinvio pregiudiziale interpretativo cheha dato origine alla decisione della Corte di giustizia era stato effettuatodalla Corte di vertice lituana nel corso del procedimento finalizzatoall’ottenimento del riconoscimento e della esecuzione del lodo in Lituaniaai sensi della Convenzione di New York del 1958.

La domanda di riconoscimento ed esecuzione del lodo era statarigettata in prime cure vuoi ai sensi dell’art. V, paragrafo 2, lettera a, didetta Convenzione (10), ossia perché il patto compromissorio risultavaessere invalido per la legge lituana, vertendo su materia non compromet-tibile (ciò, sebbene il tribunale arbitrale di Stoccolma, parimenti appli-cando al merito della controversia la legge lituana, fosse giunto ad oppostaconclusione), vuoi ai sensi dell’art. V, paragrafo 2, lettera b, della Con-venzione, in quanto il lodo era stato reputato contrario all’ordine pubblicolituano, per via del fatto che esso (indirettamente) negava la competenzadei giudici lituani e, con essa, il principio dell’indipendenza delle autoritàgiudiziarie.

Nel giudizio di legittimità, instaurato a seguito della proposizione diun’impugnazione da parte di Gazprom, il Ministero dell’energia lituanoaveva equiparato il lodo emesso a Stoccolma ad una anti-suit injunction esosteneva che, perciò, il suo riconoscimento e la sua esecuzione sarebberorisultati contrari al regolamento n. 44/2001 perché idonei a limitare ildiritto del giudice lituano a pronunciarsi sulla propria competenza e,conseguentemente, a decidere la causa. Su questo punto veniva effettuatoil rinvio pregiudiziale. Le questioni sottoposte all’attenzione della Corte digiustizia erano le seguenti tre:

1) quando un collegio arbitrale pronunci una anti-suit injunction chevieta ad una parte di presentare determinate domande dinanzi ad ungiudice di uno Stato membro, il quale, ai sensi delle norme del regola-mento n. 44/2001 è competente a conoscere il merito della causa civile, seil giudice dello Stato membro abbia il diritto di negare il riconoscimentodi un simile lodo perché esso limita il diritto del giudice di pronunciarsi

(10) A cui commento v., per tutti, NACIMIENTO, in KRONKE, OTTO, PORT, Recognition andEnforcement of Foreign Arbitral Awards, Alphen aan den Rijn, 2010, 205 ss.

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esso stesso sulla propria competenza a conoscere della causa, ai sensi dellenorme sulla competenza del regolamento;

2) in caso di risposta affermativa alla prima questione, se ciò valgaanche nel caso in cui la anti-suit injunction pronunciata dal collegioarbitrale imponga ad una parte del procedimento di limitare le suedomande in una causa pendente in un altro Stato membro, sulla quale ilgiudice di quest’ultimo Stato è competente ai sensi delle norme delregolamento n. 44/2001;

3) se un giudice nazionale, che intenda garantire la prevalenza deldiritto dell’Unione europea, possa negare il riconoscimento del lodo di unorgano arbitrale, qualora esso limiti il diritto del giudice nazionale dipronunciarsi sulla propria competenza e sui propri poteri, in una causa cherientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001.

In considerazione del tenore dell’art. 267 del Trattato sul funziona-mento dell’UE, che limita l’operatività del rinvio pregiudiziale interpre-tativo alle fattispecie in cui dinanzi al giudice nazionale occorra applicaredelle norme di diritto (nel caso di specie processuale) dell’Unione euro-pea, il primo problema che si poneva nella vicenda in esame era quellodella ricevibilità del rinvio pregiudiziale.

La questione si presentava in quanto il riconoscimento e l’esecuzionedel lodo in Lituania sarebbero dovuti avvenire esclusivamente ai sensidella Convenzione di New York del 1958, e non già in base ad un attonormativo dell’Unione europea. Il giudice lituano, dunque, da questopunto di vista, nel corso del procedimento dinanzi a lui pendente, non sitrovava nella necessità di applicare una normativa europea, sul cui con-tenuto nutriva dubbi interpretativi.

A dire il vero, come ricorda l’avvocato generale Wathelet nelle sueconclusioni (11), il giudice di rinvio riteneva che il suo quesito rientrassenell’ambito di operatività dell’art 267 del Trattato sul funzionamentodell’UE in considerazione del fatto che, a suo avviso, si sarebbero dovutiapplicare congiuntamente sia la Convenzione di New York del 1958 che ilregolamento n. 44/2001, in particolare l’art. 71, par. 2, 2º comma. Talenorma prevede(va) che « se una convenzione relativa ad una materiaparticolare di cui sono parti lo Stato membro di origine e lo Stato membrorichiesto determina le condizioni del riconoscimento e dell’esecuzionedelle decisioni, si applicano tali condizioni ».

Trattavasi, però, di una erronea convinzione posto che, come pron-tamente sostenuto dal governo tedesco e da quello svizzero, e comeribadito dalla Corte di giustizia (12), la previsione di cui all’art. 71 delregolamento n. 44/2001 si riferisce alle fattispecie in cui esiste una con-

(11) Punto 70 e ss.(12) Sia nella sentenza in epigrafe che nella decisione 4 maggio 2010, causa C-533/08

(ECLI:EU:C:2010:243), TNT Express Nederland, punti 48 e 51 della motivazione.

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venzione bilaterale che disciplina il riconoscimento e l’esecuzione didecisioni suscettibili di circolare (anche) ai sensi del regolamento n.44/2001 (per le controversie instaurate a partire dal 10 gennaio 2015: aisensi del regolamento n. 1215/2012). Il che non accadeva nel caso dispecie, considerato che la circolazione dei lodi arbitrali è pacificamenteesclusa sia dall’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 che daquello del regolamento n. 1215/2012.

Ciononostante, benché non si trattasse di una controversia in cuiavrebbe dovuto applicarsi il regolamento n. 44/2001, e dunque, benché arigore non fossero propriamente integrati gli estremi dell’art. 267 delTrattato sul funzionamento dell’UE, la Corte di giustizia ha deciso egual-mente di rispondere al quesito interpretativo sottopostole (13).

Verosimilmente, la Corte ha scelto di rispondere alla questioneinterpretativa per via del c.d. effetto utile del regolamento n. 44/2001. Inaltri termini: poiché la giurisdizione del giudice lituano per la decisionedella controversia instaurata nei confronti della Lietuvos dujos AB e deidue membri del consiglio di amministrazione nominati dalla Gazprom(questi ultimi domiciliati nella Federazione Russa) era fondata, rispetti-vamente, sugli artt. 2 e 4 del regolamento n. 44/2001, vi era l’ipoteticorischio che il riconoscimento del lodo finisse per compromettere — siapure indirettamente — la giurisdizione del giudice lituano, anche sel’inibitoria arbitrale non poteva contare su misure coercitive (emesse daun’autorità giurisdizionale di altro Stato membro) in grado di assicurarnel’effettività ma soltanto sulla sua spontanea attuazione da parte delMinistero dell’energia. Si trattava, mutatis mutandis, di una situazione incui, in linea di principio (ma molto meno da un punto di vista « concreto »)avrebbe potuto essere messo a repentaglio quel medesimo effetto utile delregolamento che, nella vicenda West Tankers, aveva indotto i giudici delLussemburgo a considerare contrarie al sistema di Bruxelles le anti-suitinjunctions a tutela dell’arbitrato.

3. Nelle proprie conclusioni, l’avv. gen. Wathelet ha tentato disuperare la lettura che dei rapporti tra anti-suit injunctions a tutela

(13) L’avv. gen. WATHELET, ai punti 58-61 delle proprie conclusioni, si poneva anche unproblema di mancata integrazione di un ulteriore requisito a cui costantemente la Corte digiustizia subordina la ricevibilità nel merito della richiesta di pronuncia interpretativa, ossia laconcreta rilevanza del quesito ai fini della decisione della causa nazionale. In arg. per tutti v.BRIGUGLIO, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996, 43 ss. e, si vis, D’ALES-SANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia, Torino, 2012,spec. 37 ss. Il problema era in effetti sussistente posto che, a prescindere dalla soluzione data alquesito, ad avviso delle autorità giurisdizionali lituane il lodo sarebbe stato comunque irrico-noscibile per integrazione del requisito ostativo di cui all’art. V, paragrafo 2, lett. a, dellaConvenzione di New York. Anche questo aspetto, che avrebbe potuto condurre ad unairricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, non è stato preso in considerazione dallaCorte di giustizia.

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dell’arbitrato e spazio giudiziario europeo ha dato la pronuncia WestTankers, in considerazione delle critiche avanzate nei confronti di taledictum da parte della dottrina, in specie quella inglese.

L’apprezzabile tentativo esegetico ispirato ad un favor arbitrati postoin essere dall’avv. gen. Wathelet fa leva sul sopraggiunto testo del rego-lamento n. 1215/2012 (non applicabile ratione temporis alla vicenda dequa) il quale, pur escludendo l’arbitrato dal suo ambito di applicazione,senza soluzione di continuità rispetto alla Convenzione di Bruxelles e alregolamento n. 44/2001, per un verso precisa — al suo art. 73, par. 2, — cheil regolamento n. 1215/2015 lascia impregiudicata l’operatività della Con-venzione di New York del 1958 e, per altro verso, al suo considerando n.12, prevede che la decisione dell’autorità giurisdizionale di uno Statomembro relativa alla nullità, inoperatività o inapplicabilità di una conven-zione arbitrale non dovrebbe essere assoggettata alle disposizioni delregolamento n. 1215/2012 (14).

Secondo l’avv. gen. tale ultimo inciso sta a significare che « fatta salvala nullità o inapplicabilità manifesta della convenzione arbitrale, le partidebbono essere tenute a rispettarla » e debbono essere pertanto rinviatedavanti al tribunale arbitrale (arg. ex art. II, par. 3, Convenzione di NewYork).

In base a tale argomentazione, Wathelet afferma che sia le autorità

(14) Circa i rapporti tra l’arbitrato e il regolamento n. 1215/2012 alla luce del conside-rando n. 12, il cui significato non appare propriamente chiaro, in dottrina v. BERTOLI, Arbitra-tion, the Brussels I recast and the need for european arbitration law, in Dir. un. eur., 2014, 81 ss.;BOLLÉE, L’arbitrage et le nouveau réglement Bruxelles I, in Revue de l’arbitrage, 2013, 979 ss.;CAMILLERI, Recital 12 of the Recast Regulation: a new hope?, in International and ComparativeLaw Quarterly, 2013, 899 ss.; CARBONE, Gli accordi di proroga della giurisdizione e le conven-zioni arbitrali nella nuova disciplina del regolamento (UE) 121572012, in Dir. comm. int., 2013,651 ss.; CARDUCCI, The New EU Regulation 1215/2012 of 12 December 2012 on Jurisdiction andInternational Arbitration, in Arbitration International, 2013, 467 ss.; CELLERINO, LA MATTINA,L’arbitrato e il nuovo regolamento (UE) 1215/2012: vecchie questioni e nuovi problemi aperti, inDir. comm. int., 2014, 551 ss.; CONSOLO, Brussels I Regulation, Arbitration and parallel procee-dings: a discussion of the Heidelberg proposal (in the light of West Tankers and Endesa), inSull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 245 ss.; FERNÁNDEZ ROZAS, ElReglamento Bruselas I revisado y el arbitraje: crónica de un desencuentro, in La Ley UniónEuropea, 2013, 5 ss.; HARTLEY, The Brussels I Regulation and Arbitration, in International andComparative Law Quarterly, 2014, 1 ss.; HAUSER, Brüssel I-VO reloaded: Torpedoschutz fürSchiedsverfahren?, in Ecolex, 2013, 526 ss.; IZZO, L’arbitrato nello spazio giuridico europeo allaluce del regolamento (UE) n. 1215/2012, in Giusto proc. civ., 2014, 879 ss.; LEFÈVRE, VAN DER

HAEGEN, Arbitration and Brussels I Regulation: before and after West Tankers, in Hommage àGuy Keutgen pour son action de promotion de l’arbitrage, a cura di FLAMÉE e LAMBRECHT,Bruylant, 2012, 285-302; MALATESTA, Il nuovo regolamento Bruxelles I-bis e l’arbitrato: verso unampliamento dell’arbitration exclusion, in Riv. dir. int. priv. proc., 2014, 5 ss.; RASIA, Il nuovoregolamento UE n. 1215 del 2012 e l’arbitrato: A storm in a teacup, in Riv. trim. dir. proc. civ.,2014, 193 ss.; SALERNO, Il coordinamento tra arbitrato e giustizia civile nel regolamento (UE) n.1215/2012, in Riv. dir. int., 2013, 1146 ss.; R. TREVES, Post West Tankers Strategies and theBrussels I Recast, in Dir. comm. int., 2014, 65 ss.; ZARRA, Il ricorso alle anti-suit injunctions perrisolvere i conflitti internazionali di giurisdizione e il ruolo dell’international comity”, in Riv. dir.int. priv. proc., 2014, 561 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Giudice italiano ed exceptio compromissiper arbitrato estero, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 741 ss.

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giurisdizionali, nella loro qualità di giudici di sostegno all’arbitrato, sia gliarbitri, possono pronunciare anti-suit injunctions, in quanto trattasi dimisure finalizzate a garantire il rispetto della convenzione di arbitrato.Senza che a ciò ostino le norme sulla cooperazione giudiziaria in materiacivile.

Inoltre, secondo l’avv. gen., quando le misure inibitorie siano pronun-ciate nel contesto di un arbitrato, un ulteriore argomento a sostegno dellaconclusione de qua è costituito dal fatto che gli arbitri non possono esserevincolati al principio della reciproca fiducia sancito dal regolamento (inpassato dal regolamento n. 44/2001, attualmente dal regolamento n. 1215/2012), posto che quest’ultimo riguarda unicamente le autorità giurisdizio-nali.

Per Wathelet, insomma, il testo del regolamento n. 44/2001 avrebbedovuto essere applicato al caso di specie ma alla luce delle novità conte-nute nel regolamento n. 1215/2012.

La Corte di giustizia, però, non ha ritenuto di fare propria questainterpretazione pro arbitrato che si sarebbe sostanziata in un revirementrispetto alla decisione West Tankers e, timidamente, ha preferito risolvereil quesito interpretativo in modo più semplice, ossia:

— per un verso, valorizzando le differenze sussistenti tra la vicendaWest Tankers e quella Gazprom (supra, § 1), in primis la mancanza di unprovvedimento coercitivo emesso dal giudice di un altro Stato membro asostegno dell’inibitoria pronunciata dagli arbitri, il quale avrebbe (vero-similmente) indirettamente inciso sulla potestas decidendi delle autoritàgiurisdizionali lituane;

— per altro verso, valorizzando la circostanza per cui il lodo arbitralereso a Stoccolma, non era concretamente idoneo a limitare la possibilità diconoscere la causa da parte del giudice lituano e non soltanto per man-canza di strumenti coercitivi finalizzati a rendere effettiva l’inibitoria maanche perché il lodo, per sortire un siffatto risultato (15), avrebbe dovutoessere in primo luogo dichiarato produttivo di effetti in Lituania.

Come già segnalato, il riconoscimento e l’esecuzione in territoriolituano del lodo emanato dalla camera arbitrale di Stoccolma, risultanosubordinati alla mancata integrazione di alcuno dei requisiti ostativi di cuiall’art. V della Convenzione di New York del 1958.

Nel caso di specie, è ragionevole ritenere che la corte di legittimitàlituana, davanti alla quale proseguirà il giudizio di riconoscimento edesecuzione del lodo, confermerà la precedente pronuncia di diniego diefficacia, a tacer d’altro a causa dell’integrazione del requisito di cui all’art.V, paragrafo 2, lettera a, di detta Convenzione, ossia per invalidità del

(15) La sentenza in epigrafe, al punto 42, fa riferimento alla esecuzione del lodo da partedel giudice. Più propriamente si tratterebbe, invece, di una esecuzione del lodo ad opera delleparti destinatarie del medesimo.

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patto compromissorio, in quanto relativo a materia non compromettibileai sensi legge lituana. Non a caso, proprio in considerazione di questoaspetto, l’avv. gen. Wathelet aveva espresso dubbi a proposito dellaconcreta rilevanza nel giudizio a quo del quesito interpretativo sottopostoalla Corte di giustizia.

È in base a questi due argomenti che i giudici del Lussemburgo sonogiunti alla condivisibile conclusione per cui il riconoscimento di un siffattolodo è questione indifferente al sistema della cooperazione giudiziaria inmateria civile, in quanto totalmente riservata alla Convenzione di NewYork del 1958. Gli arbitri, cioè, non sono tenuti a rispettare il principiodella reciproca fiducia contenuto, ad oggi, nel regolamento n. 1215/2012,inapplicabile alla fattispecie de qua (16).

La risultante è che, nella vicenda in esame, non soltanto il giudicelituano non doveva (ne dovrà) applicare alcuna disposizione di dirittodell’Unione europea al fine di decidere il giudizio sul riconoscimento el’esecuzione del lodo reso a favore di Gazprom in Lituania ma, inconcreto, non doveva né dovrà neppure avere a che fare con il c.d. effettoutile su cui si fondava la pronuncia West Tankers.

Ex post, pertanto, non si può che constatare che si verte totalmente aldi fuori dell’ambito di operatività dell’art. 267 del Trattato sul funziona-mento dell’UE.

4. La conclusione a cui giunge la Corte di giustizia in riferimento allapeculiare fattispecie de qua è condivisibile, a prescindere dai dubbi chesuscitava la quaestio dal punto di vista della sua ricevibilità e alla riscon-trata mancata volontà di prendere posizione circa il modo con cui l’avv.gen. aveva ricostruito i rapporti tra arbitrato e sistema della cooperazionegiudiziaria in materia civile. Non v’è dubbio che la vicenda che ha datoorigine al rinvio pregiudiziale si differenziasse dal caso West Tankers e,dunque, giustificasse un distinguishing. Si ha però la sensazione che se nonla Corte di giustizia, quantomeno l’avv. gen. Wathelet fosse consapevoledel fatto che qualcos’altro è cambiato rispetto al momento storico in cui fupronunciata la sentenza West Tankers e che, pertanto, ben al di là di quel

(16) Viene da chiedersi se la soluzione sarebbe stata la medesima nel caso in cui la leggeprocessuale del luogo (in ipotesi uno Stato membro diverso da quello in cui risultava pendenteun procedimento giurisdizionale) in cui era radicato l’arbitrato avesse consentito alla parteinteressata, in caso di inosservanza dell’inibitoria, di rivolgersi all’autorità giurisdizionale perottenere un provvedimento coercitivo, finalizzato a garantirne l’effettività. In una fattispecie dital fatta, a creare problemi di compatibilità con l’effetto utile del regolamento n. 1215/2012, nonsarebbe tanto il lodo arbitrale (per le ragioni espresse nella decisione in epigrafe), quanto,piuttosto, il correlato provvedimento inibitorio emesso dall’autorità giurisdizionale di altroStato membro, in riferimento al quale, salvo futuri ripensamenti della Corte di giustizia (v. § 4)ad oggi appaiono estensibili le argomentazioni di West Tankers.

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distinguishing vi fossero i germi già maturi per un futuro overruling delladecisione sulla vicenda siracusana.

In primo luogo è stato emanato ed è entrato in vigore il regolamenton. 1215/2012, il quale, con soluzione di continuità rispetto a quantoprevisto dal regolamento n. 44/2001, cerca anche di evitare che una delleparti, sfruttando l’operare della norma sulla litispendenza, ostacoli ilpratico funzionamento di un patto attributivo della giurisdizione ad undeterminato giudice statale ubicato in uno Stato membro. Il riferimento èall’art. 31, par. 2, del regolamento n. 1215/2012 (17). Secondo l’avv. gen.,come si è detto, lo stesso atteggiamento protettivo nei confronti dellacomune volontà delle parti sarebbe tenuto proprio dal considerando n. 12nei confronti della convenzione arbitrale.

In secondo luogo, per effetto della emanazione della pronunciaGothaer (18), non è più vero che — come affermato nella pronuncia WestTankers — ciascun giudice ubicato in uno Stato membro è in ogni casolibero di valutare in autonomia la sussistenza della propria potestasdecidendi. Ciò in considerazione della idoneità a circolare nello spaziocomune (con vincolo anche sui motivi portanti della decisione) delledecisioni declinatorie della giurisdizione per sussistenza di una validaclausola attributiva della giurisdizione disciplinata vuoi dai regolamenti n.

(17) In proposito, giova forse ricordare che la Cour de cassation francese, già nel 2009(nello stesso anno in cui fu pronunciata la sentenza West Tankers), relativamente ad unafattispecie esorbitante rispetto all’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 avevaaffermato che un’anti-suit injunction emessa dal giudice statunitense a tutela di una clausolaattributiva della giurisdizione a favore del foro americano è da reputare compatibile con ilsistema della cooperazione giudiziaria civile europea, posto che essa mira ad impedire laviolazione di un preesistente obbligo contrattuale, liberamente sorto tra le parti, e non già alimitare la libertà del giudice francese di valutare la sussistenza della propria potestas decidendi.Ci riferiamo a Cour de cassation, 1 ch. civ., 14 ottobre 2009, N. 08-16369/08-16549, in Int’l Lis,2009, 122 con nota di FRADEANI, Le anti-suit injunctions, cit.

(18) Corte di giustizia, 15 novembre 2012, causa C-456/11 (ECLI:EU:C:2012:9520),Gothaer Allgemeine Versicherung, la quale ha chiarito che, per un verso le decisioni declinatoriedella giurisdizione, benché di rito, sono idonee a circolare nello spazio giudiziario europeo aisensi degli artt. 32 e segg. del regolamento n. 44/2001 (attualmente artt. 34 e segg. delregolamento n. 1215/2012) e, per altro verso, che la pronuncia, passata in giudicato, con la qualeil giudice di uno Stato membro ha dichiarato la carenza della propria giurisdizione sulla basedella sussistenza, di una valida clausola attributiva di tale competenza vincola i giudici dellospazio giudiziario europeo sia per la sua parte negativa, sia in riferimento all’accertamento dellavalidità della clausola, benché contenuto nella motivazione del provvedimento. La pronunciaGothaer è pubblicata in Int’l Lis 2014, 16 con nota di DALFINO, Un giudicato “europeo” sullacompetenza giurisdizionale?, e postilla di CONSOLO, PENASA, STELLA; in Foro it., 2013, IV, 32 ss.con nota di D’ALESSANDRO, Pronunce declinatorie di giurisdizione: la Corte di giustizia imponelimiti di efficacia europei; in EuZW 2013, 56 con nota di BACH, Deine Rechtskraft? MeineRechtskraft!; in Rev. cr. dr. int. privé, 2013, 690, con nota (senza titolo) di NIOCHE. La decisioneè altresì criticamente commentata da ROTH, Europäischer Rechtskraftbegriff im Zuständig-skeitsrecht?, in IPRax, 2014, 136 ss., da LOPES PEGNA, Quali effetti ai sensi del regolamento« Bruxelles I » della decisione con cui il giudice adito dichiara la propria incompetenza?, in Riv.dir. int., 2013, 154 ss. e da TORRALBA-MENDIOLA e RODRÍGUEZ-PINEAU, Two’s company, three’s aCrowd: Jurisdiction, Recognition and Res Judicata in the European Union, in Journal of PrivateInternational Law, 2014, 403 ss.

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44/2001 o 1215/2012, vuoi dalla Convenzione di Lugano; clausola attribu-tiva della giurisdizione che condivide con la convenzione di arbitrato lanatura di negozio processuale ed inoltre (se esclusiva) la circostanza percui attribuisce la potestas decidendi ad una sola e determinata autorità chein quel caso è giurisdizionale (ed è invece privata, nell’ipotesi dell’arbi-trato).

La Corte di giustizia ha limitato la portata della pronuncia Gothaeragli accordi attributivi della giurisdizione (e, del resto, non avrebbe potutofare diversamente, in primo luogo in considerazione del tenore del quesitorimessole) e la ha basata sul principio della fiducia reciproca che devesussistere tra giudici di differenti Stati membri valorizzando la circostanzaper cui gli accordi attributivi della giurisdizione sono disciplinati in ma-niera uniforme dai regolamenti n. 44/2001 o 1215/2012, ovvero dallaConvenzione di Lugano. Tuttavia, come non si è mancato di osservare,l’argomentazione non è di quelle « a tenuta stagna » considerato che i dueregolamenti (e parimenti la Convenzione) non disciplinano in modoeurounitario i requisiti di validità (sostanziale) dell’accordo, i.e. i requisitidi efficacia diversi da quelli formali e da quello consistente nella elezionedi un foro ubicato in uno Stato membro (19). In proposito, segnatamente,il regolamento n. 44/2001 taceva (e la materia è altresì esclusa dalla sferadi operatività del regolamento Roma I), mentre il regolamento n. 1215/2012, al suo art. 25, espressamente stabilisce che la validità sostanzialedell’accordo è disciplinata dalla legge dell’ordinamento in cui è ubicata lacorte a cui è attribuita giurisdizione esclusiva (20). Dimodoché, per fareoperare il dispositivo della sentenza Gothaer, ossia al fine di ammettere,senza eccezione alcuna, la vincolatività per gli altri giudici dell’Unione disentenze declinatorie della giurisdizione fondate sulla sussistenza di unvalido accordo attributivo della potestà decisionale, occorre necessaria-mente postulare che la regola del mutual trust non riguardi soltanto ilmodo con cui i giudici dei singoli Stati membri applicano le normeuniformi contenute (oggi) nell’art. 25 del regolamento n. 1215/2012 ovveronella Convenzione di Lugano ma, piuttosto, si estenda anche all’applica-zione che il giudice adito ha fatto della legge sostanziale dell’ordinamentoal quale appartiene l’autorità giurisdizionale menzionata dalla clausolaattributiva della giurisdizione, al fine di vagliarne la validità sotto il profilosostanziale.

(19) DALFINO, loc. ult. cit.; LOPES PEGNA, Quali effetti, cit., 152; TORRALBA-MENDIOLA eRODRÍGUEZ-PINEAU, Two’s company, cit., spec. 411 ss.

(20) Peraltro, non è chiaro se il riferimento alla legge dello Stato membro dell’autoritàgiurisdizionale prescelta sia da intendersi come valevole anche ai fini della valutazione dellacapacità delle parti ovvero se, per apprezzare quest’ultima, si debba fare piuttosto riferimentoad un’altra legge nazionale, ossia quella dello Stato di nazionalità dei contraenti. In ambedue icasi, per ciò che qui rileva, a venire in gioco sarà comunque una normativa nazionale e non giàeurounitaria.

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Se è così, allora, diventa un poco più difficile spiegare in manieraconvincente perché (e l’opinione dell’avv. gen. Wathelet pare esprimerequesto disagio):

— una pronuncia declinatoria della giurisdizione per sussistenza diun accordo attributivo della giurisdizione non emessa per effetto dell’ap-plicazione di sole norme uniformi di diritto europeo e che impedisce algiudice di altro Stato membro di valutare autonomamente la sussistenzadella propria giurisdizione sia compatibile con il sistema di Bruxelles (invirtù della prevalente esigenza di evitare conflitti negativi di giurisdi-zione);

— viceversa non lo sia — per contrasto con il c.d. effetto utile delregolamento — la decisione (non già arbitrale, poiché essa, come coeren-temente sostenuto dalla decisione in epigrafe è in linea di principioammissibile, ma invece) giurisdizionale che reputa valido un accordocompromissorio e che, sulla base di tale presupposto, invita le parti a noncontinuare un procedimento giurisdizionale pendente in altro Stato mem-bro.

Anche in questo secondo caso si priva il giudice di altro Stato membrodella facoltà di valutare autonomamente la sussistenza della propriapotestas decidendi in base alla applicazione di una normativa non uniformeed anche in questo secondo caso la finalità è quella di evitare un diniegodi giustizia e, parimenti, di salvaguardare l’effettività di un accordonegoziale, che, nel caso di specie, è quello compromissorio.

ELENA D’ALESSANDRO

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CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite civili, ordinanza 25 ottobre 2013, n. 24153;ROVELLI Pres.; SEGRETO Est.; Luxury Goods International SA c. Swaili DiffusioniS.r.l. in liquidazione.

Arbitrato estero - Convenzione di New York del 1958 - Accordo compromissorio- Eccezione dinanzi al giudice italiano - Eccezione di giurisdizione - Regola-mento preventivo di giurisdizione - Ammissibile.

L’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessiva-mente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lostabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo siconfigura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartengaalla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quellasostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o conta-bile, dà luogo ad una questione di giurisdizione.

In presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione dicompromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudiceordinario da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza della disciplina comples-sivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogoad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivodi cui all’art. 41 c.p.c., precisandosi, peraltro, che il difetto di giurisdizione nascentedalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato inqualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbiaespressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque soloqualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza.

In tema di arbitrato internazionale, nel sistema delineato dalla convenzione diNew York del 10 giugno 1958, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 19gennaio 1968, n. 62, spetta al giudice adito, in via assolutamente preliminare, senzaefficacia di giudicato e sulla base della domanda della parte che invochi l’esistenzadi una clausola arbitrale, verificarne la validità, l’operatività e l’applicabilità e,all’esito positivo, rimettere le parti dinanzi agli arbitri, mentre solo qualora egliritenga, affermandola, la propria giurisdizione, la decisione sulla validità del pattoavrà efficacia di giudicato.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. La società di diritto svizzero, Luxury GoodsInternational SA, si è opposta davanti al tribunale di Firenze ad ingiunzionechiesta da Swaili Diffusioni s.r.l. per Euro 229.613,59 per compensi portati da 4fatture. Luxury ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano, essendostata inter partes pattuita la clausola (art. 14) di compromesso per arbitri, discipli-nato dalle regole della CCIA del Cantone Ticino. Si è opposta a tale eccezione laSwaili Diffusioni s.r.l. in liquidazione.

La Luxury Goods International SA ha proposto regolamento preventivo digiurisdizione, al quale resiste la Swaili, eccependo l’inammissibilità dello stesso,non essendo la questione di competenza arbitrale estera una questione di giuri-sdizione ed in ogni caso eccependo la nullità della clausola compromissoria.

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2.1. Secondo la ricorrente nella fattispecie sussisterebbe non la giurisdizionedel giudice italiano, ma quella del collegio arbitrale svizzero individuato secondole regole del CCIA del cantone Ticino, stante l’espressa clausola in questo senso,con cui le parti nel contratto avevano derogato alla giurisdizione italiana.

2.2. Ritengono, anzitutto queste Sezioni unite, rimeditando il proprio pre-cedente orientamento, che non sia inammissibile il regolamento di preventivo digiurisdizione in presenza di compromesso (o clausola compromissoria) che pre-veda che le controversie siano devolute alla decisione di arbitri, e quindi anche inipotesi di arbitrato estero, come nella fattispecie in esame.

2.3. Secondo l’originaria giurisprudenza di questa Corte, anteriore all’arre-sto S.U. n. 527 del 2000, il compromesso per arbitrato estero, che valesse asottrarre al giudice italiano una determinata controversia, implicava, in mancanzadi una diversa norma di legge o convenzione internazionale, il difetto di giurisdi-zione del medesimo giudice italiano, e ciò anche sul ricorso per accertamentotecnico preventivo inerente a detta controversia (Cass. S.U. 5049/1985; n. 6017/1979; n. 9380/1992). Ciò comportava che era ammissibile il regolamento preven-tivo di giurisdizione (Cass. S.U. n. 5397/1995; n. 58/2000).

2.4. Invece, con riferimento alla clausola compromissoria per arbitratorituale italiano, si riteneva che l’exceptio compomissi configurasse una questione dicompetenza.

La contestazione delle attribuzioni del giudice ordinario, sotto il profilo delladevoluzione della controversia alla cognizione di arbitri in forza di compromessoo clausola compromissoria, non implicava un problema di giurisdizione, bensì dicompetenza, in quanto riguarda una ripartizione di compiti nell’ambito del mede-simo ordine giurisdizionale, e, pertanto, non era deducibile con istanza di regola-mento preventivo di giurisdizione (Cass. S.U. n. 2149/84; n. 5568/1982; n. 1471/1976; n. 4360/81, n. 242/80; 1303/1987; n. 3767/1988).

2.5. In modo più articolato si era giunti a sostenere che dalla naturagiurisdizionale (e sostitutiva della funzione del giudice ordinario) dell’attività degliarbitri rituali (il cui lodo, una volta reso esecutivo dal pretore, equivaleva, finchénon ne fosse pronunciato l’annullamento, ad una sentenza avente efficacia esecu-tiva) conseguiva che, mentre lo stabilire se una controversia appartenesse allacognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configurava come questione dicompetenza, lo stabilire se una controversia appartenesse alla competenza giuri-sdizionale del giudice ordinario, e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitrirituali, ovvero a quella del giudice amministrativo configurava, invece, una que-stione di giurisdizione. (Cass. S.U. n. 4360/1981).

3.1. A fronte di detto orientamento costante, le S.U. di questa Corte consentenza del 3.8.2000, n. 527, hanno effettuato un revirement per effetto del qualela pronunzia arbitrale ha assunto natura di atto di autonomia privata e correlati-vamente il compromesso si è configurato quale deroga alla giurisdizione. Pertanto,il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una controversia per essere questadevoluta, per legge, alla giurisdizione di legittimità o esclusiva del giudice ammi-nistrativo costituisce questione, non già di giurisdizione in senso tecnico, ma dimerito, in quanto inerente alla validità del compromesso o della clausola compro-missoria.

3.2. Per effetto di questo orientamento è inammissibile anche il regola-mento preventivo di giurisdizione rivolto a far valere la carenza di giurisdizione del

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giudice adito, così come di ogni altro giudice della Repubblica Italiana, a frontedella presenza di un compromesso, o di una clausola compromissoria, che preve-dano il ricorso ad un arbitrato estero, determinandosi in tal caso l’insorgere di unaquestione, non già di giurisdizione (posto che il “dictum” arbitrale è un atto diautonomia privata, non esercitando gli arbitri funzioni giurisdizionali), ma dimerito, inerente all’accertamento, da effettuarsi dal giudice fornito di giurisdizionesecondo i normali criteri di sua determinazione, della validità del patto prevedentel’arbitrato estero, il quale comporta la rinuncia ad ogni tipo di giurisdizione, siaessa italiana o straniera (Cass. S.U., 5.1.2007, n. 35; Cass. S.U. 28.1.2005, n. 1735;Cass. Sez. Unite, 18.4.2003, n. 6349; Cass. Sez. Unite, 22.07.2002, n. 10723; n.10896/2003; Cass. 21.10.2009, n. 22236).

4.1. Ritiene questa Corte che tale orientamento vada rimeditato, anche allaluce delle ultime modifiche legislative. La tesi sulla natura negoziale del lodorituale, e così anche sulla “unitarietà” del fenomeno arbitrale, è stata accolta dallagiurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. S U., 3.8.2000, n. 527, seguita damolte sentenze successive che ha definito il procedimento di arbitrato rituale)come attinente ad istituto “ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale”perché formato sulla “rinunzia all’azione giudiziaria”. Rimane, secondo questofilone giudiziario, un tratto distributivo tra le due figure di arbitrato. Con l’arbi-trato rituale le parti vogliono un negozio suscettibile di divenire esecutivo con leforme e gli effetti di cui agli artt. 825 ss. c.p.c., mentre nell’arbitrato libero “esseintendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lostrumento negoziale”. La soluzione in chiave schiettamente negoziale del dictumarbitrale nell’arbitrato rituale (mettendo fuori gioco la tradizionale dicotomia traarbitrato rituale/sostitutivo del giudizio statale ed arbitrato libero/negozio) è valsaa risolvere in senso negativo la questione concernente l’ammissibilità del regola-mento di competenza, che prima del revirement giurisprudenziale la nostragiurisprudenza ammetteva, anche se esclusivamente contro la sentenza con cui ilgiudice statale declinava la propria competenza in favore del foro arbitrale,nonché l’ammissibilità del regolamento di giurisdizione.

4.2. Osserva questa Corte che la spinta alla ricostruzione in chiave esclusi-vamente privatistica del dictum arbitrale (nell’arbitrato rituale) nasce dalla preoc-cupazione che soltanto questa mette l’istituto al riparo da rischio di incostituzio-nalità ex art. 102 Cost..

Il problema che si pone è se il legislatore possa equiparare a certe condizionile pronunce arbitrali che rispettino un determinato iter processuale alle sentenzedei giudici civili, giurisdizionalizzandole, senza collidere con i principi costituzio-nali, in tema di tutela dei diritti.

4.3. Su questa premessa, anche dopo che il legislatore, con la riforma del1994, ha compiuto il passo decisivo per riconoscere agli arbitri, nell’ambito dellefacoltà loro attribuite dalle parti, poteri (inequivocabilmente) giurisdizionali,autorevole dottrina ribadisce che “poiché l’arbitrato è un valore irrinunciabiledella moderna esperienza giuridica, per salvarlo nella vigenza della Costituzionedel 1948, occorre ricostruirlo in chiave rigorosamente privatistica”.

4.4. Senonché con sentenza 14.7.1977, n. 127 la Corte costituzionale harilevato che “il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera sceltadelle parti: perché solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi didisporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24 Cost., comma 1) può

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derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost.”. Ciò, in effetti, soggiunge laCorte “corrisponde al criterio di interpretazione sistematica del testo costituzio-nale (nel quale la portata di una norma può essere circoscritta soltanto da altrenorme dello stesso testo (...); e corrisponde anche alla garanzia costituzionaledell’autonomia dei soggetti (...) autonomia che, mentre ad altro proposito ètutelata dagli artt. 41-44 Cost., nella materia che ne occupa e per le situazioni divantaggio compromettibili è appunto garantita dall’art. 24 Cost., comma 1”.

Si specifica così che la “fonte dell’arbitrato non può più ricercarsi e porsi inuna legge ordinaria o più generalmente, in una volontà autoritativa: ed il principiofissato dall’art. 806 c.p.c. (...) (le parti possono far decidere da arbitri le contro-versie fra loro insorte ...) assume il carattere di principio generale, costituzional-mente garantito, dell’intero ordinamento”.

4.5. In primo luogo, va sottolineata la correlazione necessaria fra potere diazione e giurisdizione che porta al coordinamento dell’art. 102 con l’art. 24 Cost.,comma 1. In secondo luogo va valorizzato il rapporto di complementarietàindividuato fra comma 1 e comma 2 dell’art. 102, talché il monopolio dellagiurisdizione statale, non va inteso in senso assoluto, ma nel quadro del divieto diistituzione di giudici straordinari o speciali. Se la Corte avesse insistito sulla naturasoltanto negoziale e privata dell’attività arbitrale, in quel caso paradossalmente,avrebbe finito per legittimare arbitrati obbligatori non sostenuti dalla “concordevolontà” delle parti, e per eludere così, la “sostanza” del precetto costituzionale.Il nucleo fondamentale che si estrae dalla sentenza, è dunque l’affermazione dicompatibilità dell’istituto dell’arbitrato con il monopolio della giustizia statale neilimiti in cui esso non sia obbligatorio.

4.6. Si può trarre la conclusione che, come regola, la funzione giurisdizio-nale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, essendo tuttavia consentito alleparti, nell’esercizio di una libera ed autonoma scelta, di derogare a tale regolaagendo “a tutela dei propri diritti” davanti a giudici privati, riconosciuti tali dallalegge, in presenza di determinate garanzie. L’autonomia delle parti si manifestaqui, non già (come è ovviamente possibile, e come avviene nell’arbitrato “con-trattuale”) come atto di disposizione del diritto, ma come atto incidente sull’eser-cizio del potere di azione che a quel diritto è connesso.

L’autonomia delle parti, nel settore dei diritti disponibili, opera come pre-supposto del potere, loro attribuito, di far decidere controversie ad arbitri privati,nelle forme e secondo le modalità stabilite dall’ordinamento giuridico.

Sulla base di questa premessa di compatibilità costituzionale, affinché ilricorso all’arbitrato possa considerarsi legittimo, occorre: a) che la deroga consa-crata da volontà concorde delle parti su diritti disponibili operi nei confronti di unacontroversia conoscibile dal giudice ordinario; b) che l’arbitrato sia disciplinato danorme di legge che assicurino idonee garanzie processuali, non soltanto sul pianodell’imparzialità dell’organo giudicante, ma anche del rispetto del contraddittorio;c) la possibilità di impugnativa (nei limiti in cui l’ordinamento processuale tipizzafattispecie di nullità) davanti agli organi della giurisdizione ordinaria.

Tali caratteri appaiono, per l’arbitrato rituale, tali da integrare i requisiti(attitudine dell’organo, ancorché diverso da una struttura giudiziaria, ad espletareuna funzione giudiziaria assicurando alle parti una “soluzione giurisdizionale dellacontroversia”) richiesti dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo per rispettare il6 della Convenzione di Roma del 4 novembre 1950.

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4.7. La normativa, in parte introdotta con la L. n. 25 del 1994 ed in parte conil D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, pare contenere sufficienti indici sistematici perriconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale, e per soddisfare quelle indi-cazioni, (sopra riportate) sui limiti entro i quali la scelta di un giudice diverso daquello statale può essere, dall’ordinamento, affidata alla autonomia dei privati. Inbase alla riforma del 1994, la proposizione dei mezzi di impugnazione non è più(art. 827 c.p.c., comma 2) condizionata dall’emanazione del decreto di esecutivitàdel lodo. È dunque quest’ultimo, e non la “sentenza arbitrale” (“in due pezzi”),oggetto dell’impugnazione prevista dalla legge processuale avanti agli organi dellagiurisdizione ordinaria.

Il termine per la proponibilità dell’impugnazione per nullità, se il lodo ènotificato, è quello “breve” di novanta giorni dalla notificazione, altrimenti èquello annuale decorrente dalla data dell’ultima sottoscrizione. Il lodo rimaneautonomamente impugnabile, con l’azione di nullità, indipendentemente dall’exe-quatur, in virtù della stessa efficacia della sentenza pronunziata dall’AutoritàGiudiziaria, fin dal momento in cui interviene l’ultima sottoscrizione (art. 824 bisc.p.c.). Il deposito del lodo, peraltro, si ricollega, oltre che alla sua esecutività (edattitudine all’iscrizione ipotecaria, in virtù dell’art. 2819 c.c.) anche alla suatrascrivibilità, e conseguente efficacia anche verso terzi (v. art. 824 bis — efficaciadella sentenza — ed art. 825 c.p.c. — deposito ed esecutività del lodo).

4.8. Correlativamente si sono concesse, contro il lodo, anche la revocazionestraordinaria e l’opposizione di terzo sia ordinaria che revocatoria; si è concentratanella Corte d’Appello la competenza funzionale a conoscere dell’impugnazioneper nullità, estesa, oltre che all’inosservanza del principio del contraddittorio,all’ipotesi di contrarietà del lodo a sentenza passata in giudicato o ad altroprecedente lodo, non più impugnabile. Sulla scorta del modello francese, si ècondizionata la potestas iudicandi del giudice dell’impugnazione per nullità, nellafase rescissoria, e a decidere così nel merito la controversia, alla assenza di“concorde volontà contraria delle parti”.

4.9. Il mutamento è di grande rilievo, e addirittura decisivo, per ciò cheattiene al regime di impugnabilità del lodo, prima del deposito. Ma esso è tale daescludere, in radice, l’eventualità di una duplice natura del lodo stesso, negoziale,in un primo tempo, giurisdizionale dopo la dichiarazione di esecutività.

L’assimilazione in toto, alla domanda giudiziale, attribuita all’atto introdut-tivo dell’arbitrato, quanto alla prescrizione e alla trascrizione delle domandegiudiziali, postulano l’equiparazione alla domanda giudiziale (esercizio dell’azionegiudiziaria) dell’atto di promovimento del processo arbitrale, e l’attribuzione allodo dell’attitudine non di efficacia negoziale, ma dell’efficacia e della autoritàdella cosa giudicata.

5.1. Quanto alla trascrizione, occorre considerare che l’effetto anticipatorio,conferito alla trascrizione dell’atto di promovimento del giudizio arbitrale, ri-guarda sia le fattispecie contemplate all’art. 2652 c.c. che quelle riguardate dall’art.2653 c.c. (ai sensi della L. 5 gennaio 1994, art. 26, che ha aggiunto un ultimo commaai due articoli del cod. civ.).

Entrambe le norme concernono l’efficacia dell’accertamento contenuto nellodo verso terzi, laddove ogni atto che trova la sua base esclusivamente sullavolontà pattizia e dispositiva delle parti di un negozio, vale esclusivamente fra leparti ed è sfornita di efficacia nei rapporti dipendenti. Entrambe le norme si

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radicano alla nozione ed alla teoria dell’azione e coprono tutto lo spazio, copertosia dalla azione come mera aspirazione ad una sentenza di merito, sia dalla azionein senso sostanziale, riferita cioè a situazioni che presuppongono fondata l’azione,ed alle norme tese ad evitare che la durata del processo ridondi in dannodell’attore, che ha ragione.

5.2. Nel caso dell’art. 2652 c.c., la disciplina sulla trascrizione si muove, nonsolo sul piano degli effetti sostanziali della domanda giudiziale, ma anche su quellodegli effetti del giudicato sui rapporti dipendenti, e verso i terzi. L’attribuzione allodo di questa efficacia, non limitata alle parti, ma estesa ai terzi, non può chepostulare la sua equiparazione a una sentenza dei giudici dello Stato, e, in ognicaso, ad una pronuncia giurisdizionale. E, come tale, viene considerato il lodo chel’art. 831 c.p.c. novellato sottopone al rimedio giurisdizionale (presso la stessaCorte d’Appello competente per l’azione di nullità) dell’opposizione di terzo,anche ordinaria (art. 404, comma 1, codice). Ciò che presuppone, appunto,l’efficacia del lodo pronunciato inter alios, verso il terzo titolare di una situazionesoggettiva che presenta elementi di identità con il rapporto oggetto della decisionearbitrale.

5.3. Nel caso dell’art. 2653 c.c., la norma sulla trascrizione della domanda,fornisce il mezzo tecnico che consente al processo di proseguire fra le partioriginarie, valendo la sentenza anche nei confronti del successore a titolo parti-colare, (che sia) rimasto estraneo al processo.

Ed è norma che va ad integrare quella, fondamentale, dell’art. 2909 c.c.definendo i limiti dell’estensione soggettiva della cosa giudicata sostanziale, estabilisce che l’accertamento e le statuizioni contenute nel giudicato, si estendonoall’avente causa, anche se il fatto costitutivo del suo acquisto è anteriore allasentenza, se vi è anteriorità della trascrizione della domanda giudiziale, rispetto aquella del titolo di acquisto.

5.4. Anche per ciò che riguarda la prescrizione, il novum è dato non tantodalla espressa previsione che la prescrizione è interrotta dall’atto introduttivo delgiudizio arbitrale (in base all’emendamento portato all’art. 2943 c.c.), quanto dallaattribuzione (testo novellato dell’art. 2945 c.c., u.c.), alla notifica dell’atto dipromovimento del giudizio arbitrale, dell’effetto interruttivo-sospensivo (o diinterruzione permanente fino all’acquisto di stabilità del lodo, o al passaggio ingiudicato formale della sentenza resa sull’impugnazione) che è proprio soltantodella domanda giudiziale, e che integra un tipico effetto sostanziale dell’atto diesercizio dell’azione giudiziaria, “neutralizzando” l’incidenza della durata delprocedimento di cognizione, che si conclude con pronuncia di merito (favorevoleo meno all’attore) ai fini del decorso del termine prescrizionale del dirittoazionato.

Soltanto il riconoscimento della “giurisdizionalita” del processo arbitraleconsente di estendere l’effetto interruttivo della domanda al termine di decadenza,anche in quella vasta area di fattispecie in cui la decadenza è impedita non con ilsemplice esercizio del diritto, ma con l’esercizio dell’azione in giudizio.

5.5. Inoltre rilevano, al riguardo: l’art. 816 quinquies che statuisce sull’am-missibilità dell’intervento volontario di terzi nel giudizio arbitrale e sull’applica-bilità allo stesso dell’art. 111 cod. proc. civ. in tema di successione a titoloparticolare nel diritto controverso e l’art. 819 bis c.p.c., al comma 1, n. 3, cheprevede la possibilità per gli arbitri di rimettere alla Corte costituzionale una

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questione di legittimità costituzionale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23.Ciò denota che gli arbitri esercitano una funzione giurisdizionale.

5.6. L’art. 819 ter c.p.c. nel disciplinare il rapporto tra cause devolute algiudizio degli arbitri e cause proposte davanti al giudice ordinario individua ilrapporto fra i due processi in termini di “competenza”; e riconosce espressamentel’impugnazione con regolamento di competenza avverso la sentenza emessa dalgiudice (non — invece — nell’ipotesi di declaratoria sulla competenza pronunziatadall’arbitro).

Ciò sta, bensì, a significare che l’opzione in favore del giudizio arbitrale,rispetto alla tutela davanti al giudice ordinario, implica, un “diverso modo” diesercizio dell’azione.

5.7. L’art. 824 bis c.p.c. equipara gli effetti del lodo, dalla data della suaultima sottoscrizione, a quelli della sentenza passata in giudicato.

A questo proposito anche l’art. 829 c.p.c., n. 8, esprime chiaramente taleattribuzione dell’attitudine del lodo a fare dell’oggetto del proprio giudizio una rescognita, laddove, introducendo come motivo di nullità la violazione del giudicato(esterno) equipara completamente alla “sentenza passata in giudicato” il “lodonon più impugnabile”.

5.8. Va, infine segnalato che recentemente la stessa Corte Costituzionale,con sentenza n. 223 depositata il 19.7.2013 ha rilevato che “con la riforma attuatacon il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il legislatore ha introdotto una serie di normeche confermano l’attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutivadella giustizia pubblica. Anche se l’arbitrato rituale resta un fenomeno checomporta una rinuncia alla giurisdizione pubblica, esso mutua da quest’ultimaalcuni meccanismi al fine di pervenire ad un risultato di efficacia sostanzialmenteanaloga a quella del dictum del giudice statale. Se, quindi, il legislatore, nell’eser-cizio della propria discrezionalità in materia, struttura l’ordinamento processualein maniera tale da configurare l’arbitrato come una modalità di risoluzione dellecontroversie alternativa a quella giudiziale, è necessario che l’ordinamento giuri-dico preveda anche misure idonee ad evitare che tale scelta abbia ricadutenegative per i diritti oggetto delle controversie stesse”.

Sulla base dell’acclarata natura giurisdizionale e non negoziale dell’arbitratorituale, la corte costituzionale ha dichiarato, pertanto, l’illegittimità costituzionaledell’art. 819-ter c.p.c., comma 2, nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapportitra arbitrato e processo, di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50 c.p.c.,ferma la parte restante dello stesso art. 819-ter.

5.9. Affermata, quindi, la natura giurisdizionale e non negoziale dell’arbi-trato rituale e, ne consegue che (giusto il precedente orientamento di questa Corte(cfr., ex pluribus, sentt. nn. 4475 del 1997, 7013 del 1995, n. 6556 del 1987, 7315 del1986), nei casi in cui una legge o un atto autoritativo predisponga un arbitratorituale per la risoluzione di determinate controversie insorte fra le parti, ovvero inpresenza di compromesso o clausola compromissoria in arbitrato rituale italiano,il contrasto circa l’attribuzione della cognizione della controversia al collegioarbitrale italiano o al giudice ordinario integra una questione di competenza (enon di giurisdizione) sulla base della nota tesi del “convogliamento” dell’arbitratonell’ambito del giudizio ordinario per tutte le ragioni sopra esposte.

Dalla natura giurisdizionale, e sostitutiva della funzione del giudice ordinario,dell’attività degli arbitri rituali consegue che, mentre lo stabilire se una contro-

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versia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configuracome questione di competenza (e ciò a prescindere dal fatto che il rimedio delregolamento di competenza sia previsto ex art. 819 ter c.p.c. solo nei confronti dellasentenza del giudice ordinario, ma ciò non sposta il fondo della questione, comenell’ipotesi di cui all’art. 46 c.p.c., che pure esclude il regolamento per le sentenzedei giudici di pace che attengano alla competenza), lo stabilire se una controversiaappartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, e, in tale ambito,a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativoo contabile configura, invece, una questione di giurisdizione (Cass. S.U. n. 4360 del4.7.1981; Cass. S.U., n. 3195 del 1969).

6.1. Affermato quanto sopra in via di necessario quadro generale, puòpassarsi all’esame dello specifico punto, presupposto di questo ricorso, e cioè se, inpresenza di clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compro-messo dia luogo a questione di merito o a questione di giurisdizione, poiché solonel secondo caso sarebbe ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione.

Come si è detto l’attuale giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 6349/2003, con riferimenti anche alla precedente pronuncia Cass. S.U. n. 10723/2002)ritiene che, poiché la pronuncia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata ...per cui il lodo non è assimilabile ad una pronuncia giurisdizionale, anche allorchési tratti di patto per arbitrato estero, l’eccezione di compromesso dà luogo aquestione di merito piuttosto che di giurisdizione: “in tal caso, infatti, le partihanno rinunciato ad ogni tipo di giurisdizione, sia essa italiana o stranieri”.

6.2. Sennonché, una volta affermata in via generale la natura giurisdizionaledell’arbitrato rituale, quale conseguenza delle varie novelle susseguitesi, ed essen-zialmente D.Lgs. n. 40 del 2006, ciò va affermato anche per l’arbitrato estero, perla cui natura giurisdizionale militano — anzi — ulteriori elementi, con conseguenteammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione.

Anzitutto va osservato che l’oggetto della questione sottoponibile medianteregolamento di giurisdizione non “è se la controversia debba essere decisa dalgiudice italiano o da quello straniero”.

Al contrario la questione è sempre quella dei limiti della giurisdizioneitaliana.

6.3. Il combinato disposto della L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2 e art. 11equipara la deroga convenzionale alla giustizia italiana in favore di arbitrato esteroalla deroga in favore di un giudice straniero, entrambe inserendo fra i limiti allagiurisdizione italiana definiti dal Titolo 2^ della legge e perciò fra i casi di difettodi giurisdizione.

Infatti la L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2, espressamente dispone che “Lagiurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di ungiudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e lacausa verte su diritti disponibili”.

6.4. Allo stesso modo viene in rilievo la previsione dell’art. 11 della leggerichiamata, secondo cui “il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualun-que stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbiaespressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana”.

Orbene, dal combinato disposto della L. n. 218 del 1995, art. 4 e art. 11, siricava che il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausolacompromissoria in favore di arbitrato estero può essere rilevato in qualsiasi stato

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e grado del processo, a condizione che il convenuto non abbia espressamente otacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora il convenutoabbia eccepito nel suo primo atto difensivo il difetto di giurisdizione del giudiceitaliano.

6.5. Come rilevato dalla dottrina, se si ritenesse la natura negoziale dell’ar-bitrato estero, la relativa eccezione sarebbe di merito e non di rito, con laconseguenza che la pronuncia del giudice statuale sulla validità o invalidità,efficacia o inefficacia dell’accordo compromissorio spiegherebbe, per i suoi effettidi giudicato sostanziale, insuperabile vincolo potenzialmente destinato alla espor-tazione in altri ordinamenti ed ivi spiegare effetti vincolanti per arbitri o giudiciesteri. L’affermazione per la quale l’eccezione fondata sull’accordo compromisso-rio per arbitrato estero non rappresenta, per il giudice italiano, una eccezione didifetto di giurisdizione è, dunque, cosa intrinsecamente errata, perché non puòessere vero in assoluto ... che con quel patto le parti hanno “rinunciato ad ogni tipodi giurisdizione sia essa italiana o straniera”. La verifica di una simile totalerinuncia dovrebbe passare, volta per volta, attraverso l’analisi dell’ordinamentostraniero in cui l’arbitrato è destinato a radicarsi ed il lodo è destinato a produrrei suoi effetti originari; dovrebbe cioè presupporre che anche l’ordinamento stra-niero nel suo complesso consideri il suo arbitrato ed il suo lodo ... avulsi eradicalmente alternativi alla giurisdizione e non solo rispetto alla organizzazionegiudiziaria statuale. Altrimenti non potrà certo ritenersi che le parti, con quell’ac-cordo compromissorio per arbitrato estero, abbiano rinunciato anche alla giuri-sdizione italiana”.

6.6. Ciò comporta che l’eccezione di arbitrato estero deve restare a pienotitolo nel novero delle eccezioni di rito, e quindi, in base al combinato dispostodella L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2 e art. 11 e dell’art. 41 c.p.c., potrà “esseresottoposta alla Cassazione mediante regolamento preventivo di giurisdizione”(non essendo ipotizzabile nei confronti dell’arbitro estero una questione di com-petenza, che invece è ipotizzabile solo tra giudice ordinario ed arbitro italiano).

7.1. Né si può sostenere che la questione sia di merito e non di rito, poichél’art. 2, comma 3 della Convenzione di New York del 1958, ratificata dall’Italia conL. n. 62 del 1968 impone al giudice interno l’esame sulla validità, operatività edapplicabilità della clausola arbitrale in via preliminare rispetto alla verifica dellagiurisdizione.

A parte il rilievo effettuato da attenta dottrina, secondo cui nella specie laquestione è di rito, per analogia logico-funzionale tra l’analisi preventiva compiutadal giudice ex art. 2 della Convenzione e quella indicata dalla L. n. 218 del 1995,art. 7 in tema di cd. litispendenza internazionale, va osservato, quanto al sistemadi arbitrato estero retto dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958, chela questione è normativamente risolta, dalla formula dell’art. 2, comma 3, dellaConvenzione, laddove dispone che “Le tribunal d’un Etat contractant, saisi d’unlitige sur une question au sujet de laquelle les parties ont conclu une convention ausens du present article, renverra les parties à l’arbitrage, a la demande de l’uned’elles, à moins qùil ne constate que ladite convention est caduque, inoperante ounon susceptible d’etre appliquee”. Quindi il giudice investito di una lite su unamateria al cui riguardo le parti hanno concluso una convezione arbitrale “rinvia”le parti all’arbitrato, su domanda di una di esse, a meno che non constati che la

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convenzione è nulla, inoperante o non suscettibile di essere devoluta ad arbitrato.All’espressione usata dalla Convenzione (“renverra les parties à l’arbitrage; neltesto inglese, “shall ... refer the parties to arbitration”) viene, infatti, riconosciutoun significato generico, anche se spesso si afferma che il riconoscimento dellavalidità, operatività e applicabilità della clausola arbitrale comporta la sospensionedell’esame del merito da parte del giudice adito (stay of court proceedings on themerits).

7.2. In proposito è stato a volte sostenuto che la verifica dei presupposti perl’esistenza della competenza arbitrale straniera, proprio perché — secondo ilsistema processuale italiano, art. 819 ter c.p.c., u.c., — rientrante nella decisionedella causa nel merito (tuttavia per l’ipotesi di controeccezione v. Cass. n.17019/2011), dovrebbe presupporre la giurisdizione del giudice italiano adito.

In altre parole, il giudizio sulla validità, operatività e applicabilità dellaclausola arbitrale dovrebbe essere compiuto soltanto dal giudice fornito di giuri-sdizione. Tale soluzione, però, non appare in armonia col meccanismo previsto dalcitato art. 2, comma 3, della Convenzione di New York, che attribuisce a qualun-que giudice adito — sulla base della domanda di una parte che invoca l’esistenzadi una clausola arbitrale — il potere-dovere di verificare preliminarmente lavalidità, operatività e applicabilità di tale clausola e, solo ad esito favorevole di taleverifica, di rimettere le parti dinanzi agli arbitri ed in caso negativo pronunziarsisulla giurisdizione propria.

7.3. È vero che per pronunziarsi sulla validità, efficacia ed operatività dellaclausola compromissoria il giudice adito ricorre spesso a regole appartenenti aldiritto sostanziale, ma è altrettanto vero che ciò accade egualmente allorché debbagiudicare sulla sua potestà giurisdizionale a fronte di una deroga convenzionale afavore di giudici stranieri (L. n. 218 del 1995, ex art. 4, comma 2), senza che si formidi norma al riguardo alcun giudicato ex art. 2909 c.c. sulla mera questionepregiudiziale di merito (validità dell’accordo) che si pone come premessa per lasoluzione di una questione pregiudiziale di rito, facente da filtro per l’accessoall’unico vero accertamento di merito (insomma rispetto alla Hauptsache), desti-nato solo esso a fare stato come giudicato materiale (sul principio secondo cuisussiste la competenza del giudice nazionale a decidere circa l’esistenza stessa deglielementi costitutivi del contratto, v. Cass. 14.12.1992, n. 13196, nonché CorteGiustizia CE decisione 4 marzo 1982, n. pos. 104365 nella causa n. 38 del 1981).

In altri termini, come già affermato da Cass. S.U. n. 412 del 12.1.2007, questaprima decisione del giudice nazionale in merito alla validità della clausola com-promissoria ai fini del “rinvio” della causa all’arbitrato straniero, secondo l’art. 2della convenzione di New York non vincola successivamente gli arbitri sullavalidità civilistica del patto, o in caso di esclusione di validità, il giudice straniero,eventualmente individuato come dotato di giurisdizione, rimanendo impregiudi-cata ogni loro decisione sul punto.

7.4. Ne consegue che in questi termini può essere risolta l’apparente incon-gruenza che emerge dall’applicazione della norma (art. 2, comma 3) di cui allaConvenzione in questione, per cui il giudice nazionale è chiamato a valutare lavalidità della clausola compromissoria, prima ancora di decidere sulla sua giuri-sdizione.

Pertanto nel sistema delineato dalla convenzione di New York del 10 giugno1958, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 19 gennaio 1968, n. 62, spetta al

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giudice adito, in via assolutamente preliminare, e senza alcuna efficacia di giudi-cato, sulla base della domanda della parte che invoca l’esistenza di clausolaarbitrale, verificare validità, operatività ed applicabilità di tale clausola, ed all’esitopositivo, rimettere le parti dinanzi agli arbitri.

Solo ove il giudice adito ritenga la propria giurisdizione, la decisione sullavalidità del patto, essendo presa da giudice che ha affermato la sua giurisdizione,avrà efficacia di giudicato. Per quanto sotto il profilo sistematico-cronologico i duemomenti decisionali siano unificati in un unico apparato argomentativo, sotto ilprofilo ontologico (e quindi anche degli effetti) essi conservano la loro differenza.

7.5. In questi termini è anche la decisione della Corte giustizia Comunitàeuropee, n. 185 del 10.2.2009 in Causa C-185/07, secondo cui nel sistema dicompetenze del regolamento n. 44/2001 non può essere impedito al giudicenazionale di esaminare egli stesso la questione preliminare di validità o diapplicabilità dell’accordo arbitrale, altrimenti una parte potrebbe sottrarsi alprocedimento, limitandosi ad eccepire detto accordo; e il ricorrente, che conside-rasse quest’ultimo caduco, inoperante o inapplicabile, si vedrebbe in tal modoimpedire l’accesso al giudice nazionale da lui adito ai sensi del regolamento n.44/2001 e sarebbe pertanto privato di una forma di tutela giurisdizionale alla qualeha diritto.

8.1. A questo punto si pone il problema di esaminare se nella fattispecie laclausola compromissoria sia nulla, come assume la parte resistente, perché l’art. 14del contratto inter partes, costituito sulla base dei contratti standars utilizzati, purprevedendo la deroga della giurisdizione in favore di arbitrato svizzero, non è stataoggetto di specifica approvazione per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c..

Secondo la resistente tale clausola è vessatoria ex art. 1341 c.c., con laconseguenza che è nulla per mancanza di specifica approvazione secondo lesuddette norme del codice civile italiano.

8.2. Rileva preliminarmente questa Corte che ai fini dell’accertamento dellavalidità ed efficacia della clausola compromissoria che deroga la giurisdizione infavore di arbitri stranieri, occorre anzitutto stabilire quali siano le norme che ilgiudice debba applicare per tale esame, allorché, come nella fattispecie il contrattorisulta stipulato tra una persona giuridica di diritto italiano ed una personagiuridica di diritto svizzero.

Per il combinato disposto della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 57, secondo laquale le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla convenzione diRoma 19 giugno 1980 (senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, inquanto applicabili), e dell’art. 3, comma 1, di detta convenzione, “il contratto èregolato dalla legge scelta dalle parti, le quali possono designare la legge applica-bile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso” (Cass. 8360 del21/04/2005).

8.3. Nella fattispecie, l’art. 14 del contratto in questione, stabilisce che ilcontratto stesso è “disciplinato ed interpretato secondo il diritto svizzero, indipen-dentemente dai principi delle norme di conflitto. Tutte le controversie che deri-vassero dal presente contratto o fossero comunque allo stesso ricollegabili sarannorisolte in via definitiva da uno o più arbitri nominati secondo il regolamentod’arbitrato di Lugano, edito dalla CCIQA del Canton Ticino. Il tribunale arbitraleavrà sede a (Omissis)”.

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8.4. Ne consegue che nella fattispecie, non essendo applicabile il dirittoitaliano, non trova applicazione la pretesa nullità della clausola compromissoriaper violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c..

8.5. Infondata è anche l’eccezione di inefficacia della clausola, poiché fa-rebbe riferimento al regolamento d’arbitrato di Lugano e non al “regolamentosvizzero d’arbitrato internazionale di Lugano”.

Una volta esclusa la giurisdizione del giudice italiano, per effetto della derogain favore di arbitrato straniero, il procedimento di nomina di detti arbitri e leregole che tali arbitri dovranno adottare nella decisione esulano dalla questione digiurisdizione ormai conclusa con declaratoria di insussistenza della stessa in favoredel giudice italiano, rientrando invece esclusivamente nella giurisdizione degliarbitri stranieri.

9. In definitiva va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.Stante il mutamento della consolidata giurisprudenza, esistono giusti motivi

per compensare le spese di questo regolamento.(Omissis).

Eccezione di patto per arbitrato estero: un nuovo revirement della Cortedi Cassazione, tra disciplina interna e Convenzione di New York.

1. Con l’ordinanza in commento (1) le Sezioni Unite tornano “al-l’antico” (2): abbandonano l’inquadramento negoziale dell’arbitrato (do-mestico e straniero) (3) e riconducono l’eccezione di patto per arbitrato

(1) Pubblicata anche in Foro It., 2013, I, 3407 con nota di D’ALESSANDRO, Le sezioni unitemutano opinione sulla natura dell’eccezione di arbitrato estero; in NGCC, 2014, 169 con nota diGIUSSANI, Intorno alla deducibilità ex art. 41 cod. proc. civ. dell’eccezione contestata di compro-messo per arbitrato estero; in Riv. Dir. Int., 2014, 811 con nota di LEANDRO, Regolamentopreventivo di giurisdizione e arbitrato estero: riflessioni sul nuovo orientamento della cassazioneitaliana; in Corr. Giur., 2014, 84 con nota di VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unitetornano all’antico. Si veda anche ZUCCONI GALLI FONSECA, Giudice italiano ed exceptio compro-missi per arbitrato estero, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2014, 741; PUNZI, Dalla crisi delmonopolio statale della giurisdizione al superamento dell’alternativa contrattualità-giurisdizio-nalità dell’arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 2014, 1.

(2) VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, cit.(3) Inaugurato, rispettivamente, da Cass. Sez. Un. 3 agosto 2000 n. 527 e 22 luglio 2002

n. 10723. Cass. Sez. Un. 3 agosto 2000 n. 527 è pubblicata, fra l’altro, in questa Rivista, 2000, 699con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla “natura” dell’arbitrato; in Riv. Dir. Proc.,2001, 254, con nota di E.F. RICCI, La “natura” dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlanole Sezioni unite; in Corr. Giur., 2001, 51, con nota di RUFFINI - MARINELLI, Le sezioni unite fannodavvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione?; in Giust. Civ., 2001, I, 761, con notadi MONTELEONE, Le sezioni unite della Cassazione affermano la natura negoziale e non giurisdi-zionale del cosiddetto “arbitrato rituale”. Cass. Sez. Un. 22 luglio 2002 n. 10723, si trovapubblicata, fra l’altro, in Foro It., 2003, I, 1832 (v. anche il commento di CONSOLO - MARINELLI,La Cassazione e il “duplice volto” dell’arbitrato in Italia, in Corr. Giur., 2003, 678 e 827).Seguono la soluzione inaugurata da Cass. Sez. Un. 22 luglio 2002 n. 10723, ex pluribus, Cass. Sez.Un. 18 aprile 2003 n. 6349 (in questa Rivista, 2004, 39 con nota di BRIGUGLIO, Le sezioni unitee l’eccezione fondata su accordo compromissorio per arbitrato estero; in Corr. Giur., 2004, 919con nota di CONSOLO, Soprassalti delle sezioni unite intorno all’eccezione di arbitrato estero e allaconvenzione di New York quanto all’ordine delle questioni di rito e di doppio merito e riflessioni

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estero al difetto di giurisdizione (4). Varie decisioni hanno già consolidatoil nuovo orientamento della Corte (5).

Dopo aver brevemente ripercorso la motivazione dell’ordinanza (par.2), ci soffermeremo sul regime dell’eccezione di accordo per arbitratoestero, in particolare, sull’interpretazione dell’art. II della Convenzioneper il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri, firmata a New Yorkil 10 giugno 1958 (6) (di seguito “Convenzione”) (par. 3 e 4). Si esaminerà,poi, la soluzione data dalla Corte al caso concreto (par. 5).

2. Con l’ordinanza n. 24153/2013, le Sezioni Unite decidono delricorso ex art. 41 c.p.c. proposto dalla società (di diritto svizzero) LuxuryGoods International SA (di seguito “LG”) nell’ambito di un giudizio exart. 645 c.p.c.

LG aveva eccepito il difetto di giurisdizione deducendo che il con-tratto stipulato con controparte (la società italiana Swaili Diffusioni S.r.l.,di seguito “SD”) conteneva una clausola per arbitrato estero (7). A suavolta, SD aveva dedotto: (i) l’inammissibilità del regolamento preventivodi giurisdizione; (ii) la nullità della clausola compromissoria (in quantonon approvata per iscritto ex artt. 1341 e 1342 c.c.); e (iii) la sua inefficacia(in quanto riferita al “regolamento d’arbitrato di Lugano e non al ‘rego-lamento svizzero di arbitrato internazionale di Lugano’”).

sull’art. 4 l. n. 218/1995; in Int’l Lis, 2004, 38 con nota di CONSOLO, La recente tesi della cassazioneitaliana sull’eccezione di arbitrato estero come eccezione di merito e la sua compatibilità con laConvenzione di New York; in Riv. Dir. Proc., 2005, 269 con nota di ATTERITANO, La qualifica-zione dell’eccezione di compromesso per arbitrato estero quale eccezione di merito: problemati-che connesse di diritto interno e di diritto internazionale); Cass. Sez. Un. 5 gennaio 2007 n. 35(pubblicata in Riv. Dir. Proc. 2007, 1293 con nota di E.F. RICCI, La cassazione si pronunciaancora sulla “natura” della convenzione di arbitrato rituale: tra l’attaccamento a vecchi schemi equalche incertezza concettuale); Cass. Sez. Un. 27 febbraio 2008 n. 5090. In giurisprudenza, siveda anche Cass. Sez. Un. 12 gennaio 2007 n. 412 (secondo cui l’art. II, co. 3, Conv. prescriveal giudice di delibare sommariamente l’efficacia del patto arbitrale senza che la decisionesull’eccezione — qualificata come eccezione di merito — vincoli arbitri e giudici stranieri).

(4) In questo senso, ex pluribus, Cass. Sez. Un. 12 gennaio 1982 n. 124; Cass. Sez. Un. 7agosto 1992 n. 9380, in questa Rivista, 1993, 615 con nota di SALVANESCHI, Sui rapporti fraistruzione preventiva e procedimento arbitrale; Cass. 17 maggio 1995 n. 5397; Cass. 10 marzo2000 n. 58, in Foro It., 2000, I, 2226.

(5) V. Cass. Sez. Un. 20 gennaio 2014 n. 1005 e Cass. Sez. Un. 23 settembre 2014 n. 19981,consultabili su dejure.it.

(6) Ratificata dall’Italia con L. 19 gennaio 1968 n. 62. La bibliografia sul tema è ampia,per tutti, BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, Padova, 1999; MINOLI, L’entrata in vigore della Conven-zione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, in Riv. Dir.Proc., 1969, 539; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, The Hague,1981. V. anche PICOZZA, La convenzione di deroga alla giurisdizione italiana a favore di arbitratoestero, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2005, 321 (anche per riferimenti).

(7) L’art. 14 del contratto stabiliva, fra l’altro, “tutte le controversie che derivassero dal ...contratto o fossero comunque allo stesso ricollegabili saranno risolte in via definitiva da uno o piùarbitri nominati secondo il regolamento d’arbitrato di Lugano, edito dalla camera di commerciodel Canton Ticino. Il tribunale arbitrale avrà sede a Lugano”. La clausola riprende (salvo che perl’ultimo inciso) la clausola modello edita dalla Camera di Commercio del Canton Ticino(consultabile sul sito http://www.cc-ti.ch).

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In via preliminare, le Sezioni Unite si interrogano sull’ammissibilitàdel regolamento preventivo di giurisdizione (par. 2.2-7.5).

A tal fine esaminano la natura dell’arbitrato rituale in base alladisciplina positiva e alla giurisprudenza (8) (par. 2.3-5.8) concludendo cheesistono “sufficienti indici sistematici per riconoscere natura giurisdizio-nale” al lodo rituale (par. 4.7) e che l’esistenza di un accordo compromis-sorio integra una questione di competenza (par. 5.9) (9). Soltanto inseconda battuta, la Corte si interroga sulla natura dell’eccezione di ac-cordo per arbitrato estero concludendo, in base alla disciplina interna(par. 6.1-6.6) e internazionale (par. 7.1-7.5), che l’eccezione attiene aldifetto di giurisdizione (e non al merito della controversia) (10).

In particolare, secondo la Corte, “una volta affermata in via generalela natura giurisdizionale dell’arbitrato” rituale, la stessa natura deve essere“affermat[a] anche per l’arbitrato estero” (par. 6.2). Inoltre, secondo l’or-dinanza, l’inquadramento dell’eccezione nell’ambito del difetto di giuri-sdizione è coerente con l’oggetto dell’indagine cui il giudice è chiamato(ossia verificare i “limiti della giurisdizione italiana”, par. 6.2) e con ildisposto dell’art. 4 L. n. 218/1995 (par. 6.3-6.4). La Corte esclude poi didover attribuire natura di merito all’eccezione per il fatto che il giudicel’esamina alla stregua di norme sostanziali (11) e prima di ogni altra

(8) Questione, a rigore, irrilevante dato che l’accordo richiamava un arbitrato con sedeall’estero, v. supra nt. 7.

(9) La Corte, ricordando la “nota tesi del convogliamento dell’arbitrato nell’ambito delgiudizio ordinario” (par. 5.9), conclude che l’arbitrato rituale costituisce “esercizio di giurisdi-zione” (per un’analisi critica del ragionamento seguito dalla Corte, ZUCCONI GALLI FONSECA,Giudice italiano ed exceptio compromissi, cit., 745 ss. sottolineando l’eterogeneità dell’arbitratorispetto al “servizio-giustizia dello Stato”; v. anche PUNZI, Dalla crisi del monopolio statale, cit.,e VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, cit.). Secondo la Corte,attribuire natura giurisdizionale all’arbitrato rituale è conforme agli artt. 24 e 102 Cost., i qualiconsentono di derogare alla “regola” secondo cui “la funzione giurisdizionale sui diritti siesercita davanti ai giudici ordinari” purché: (i) la deroga corrisponda a una “concorde volontàdelle parti” e riguardi una lite “relativa a diritti disponibili” “conoscibile dal giudice ordinario”;(ii) l’arbitrato sia disciplinato da “norme di legge” che offrono “idonee garanzie sul pianodell’imparzialità dell’organo giudicante e del contraddittorio”; e (iii) il lodo possa essereimpugnato dinanzi alla giurisdizione ordinaria “nei limiti in cui l’ordinamento processualetipizza la fattispecie di nullità”) (par. 4.6). Peraltro, l’ordinanza rileva che l’arbitrato con lecaratteristiche sub (i)-(iii) è conforme all’art. 6 Convenzione EDU (par. 4.6). Sulla possibileresponsabilità degli Stati nel caso in cui disciplinino l’arbitrato senza rispettare l’art. 6 dellaConvenzione EDU, BESSON, Arbitration and Human Rights, in ASA Bull., 2006, 402 ss.;JARRONSON, L’arbitrage et la convention européenne des Droits de l’Homme, in Rev. Arb., 1989,591. Sui rapporti tra l’art. 6 della Convenzione EDU e l’arbitrato, per tutti, CONSOLO, L’equoprocesso arbitrale nel quadro dell’art. 6 § 1 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, inRiv. Dir. Civ., 1994, 453; sull’applicabilità dell’art. 6 CEDU all’arbitrato non obbligatorio, ECJ,Regent Company v. Ukraine (Application No. 773/03), 3 aprile 2008.

(10) La Corte rileva, fra l’altro, l’incoerenza insita nel ricostruire l’accordo per arbitratoestero come una “rinuncia a ogni tipo di giurisdizione” a prescindere dal suo effetto nell’ordi-namento di origine, ma anche il rischio che la decisione (in quanto di merito) possa acquisireefficacia di giudicato e circolare all’estero, vincolando arbitri e giudici stranieri.

(11) Anche la deroga convenzionale alla giurisdizione implica un’indagine di dirittosostanziale — rileva la Corte — senza che nessuno dubiti della sua natura processuale o

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difesa (12). Piuttosto, secondo la Corte, l’art. II, co. 3, Conv. conferisceall’eccezione natura processuale dato che prescrive di esaminare la vali-dità dell’accordo in base alla domanda, “in via assolutamente preliminare”e “senza alcuna efficacia di giudicato” vincolante per gli arbitri o i giudicistranieri (par. 7.4). Avendo ricondotto l’eccezione al difetto di giurisdi-zione, la Corte dichiara ammissibile il ricorso ex art. 41 c.p.c.

Da ultimo, la Corte esamina la validità della clausola compromissoriainserita nel contratto tra LG e SD (par. 8.1-8.5) rigettando l’eccezione:

(i) di nullità ex artt. 1341 e 1342 c.c. perché ritiene la clausola soggettaal diritto svizzero ex artt. 57 L. n. 218/1995 e 3 Convenzione di Roma(secondo cui “il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti”) ed ex art.14 del contratto (par. 8.2-8.4);

(ii) di inefficacia perché “una volta esclusa la giurisdizione del giudiceitaliano, per effetto della deroga in favore di arbitrato straniero, il procedi-mento di nomina di detti arbitri e le regole che tali arbitri dovranno adottarenella decisione esulano dalla questione di giurisdizione oramai conclusacon declaratoria di insussistenza ... rientrando ... esclusivamente nellagiurisdizione degli arbitri” (par. 8.5).

3. Come notato, l’ordinanza segna un (nuovo) revirement nel tor-mentato inquadramento dell’eccezione di accordo per arbitratoestero (13).

La soluzione prospettata dalla Corte (che riconduce l’eccezione fra

dell’inidoneità al giudicato ex art. 2909 c.c. della relativa decisione (in quanto attinente a una“questione pregiudiziale di merito (validità dell’accordo) che si pone come premessa per lasoluzione di una questione pregiudiziale di rito, facente da filtro per l’accesso all’unico veroaccertamento di merito”, par. 7.3).

(12) Secondo la Corte, infatti, la norma: (i) contempla un’“analisi preventiva” analoga(dal punto di vista “logico-funzionale”) a quella prevista dall’“art. 7 l. n. 218/1995 in tema dilitispendenza internazionale” (par. 7.1); (ii) prescrive al giudice di “rinviare” le parti ad arbitrato(i.e., sospendere l’esame del merito) quando constati l’esistenza di un valido patto arbitrale (par.7.1); (iii) “attribuisce a qualunque giudice adito [e non soltanto al giudice munito di giurisdi-zione] — sulla base della domanda di una parte che invoca l’esistenza di una clausola arbitrale— il potere-dovere di verificar[ne] preliminarmente la validità, operatività e applicabilità ... e, solo... in caso negativo pronunziarsi sulla giurisdizione”, par. 7.2).

(13) Spesso influenzato dal dibattito sulla natura dell’arbitrato rituale domestico più chedall’esame delle norme relative all’arbitrato estero (v., ad es., Sez. Un. 18 aprile 2003 n. 6349,cit., che trascura di esaminare l’art. 4 L. n. 218/1995). Anche l’ordinanza n. 24153/2013 desumela natura dell’arbitrato estero, inter alia, dalla natura dell’arbitrato rituale (par. 6.2, v. supra par.2; ma anche par. 2.3-5.9). L’argomentazione non persuade poiché i due istituti sono soggetti aleggi differenti e nessuna norma ne prescrive l’assimilazione a prescindere dal (o persino contro)l’inquadramento nell’ordinamento di origine. Del resto, anche l’ordinanza n. 24153/2013 rico-nosce rilevanza all’inquadramento dell’arbitrato nell’ordinamento di origine, negando, su talepresupposto, che l’accordo arbitrale costituisca rinuncia a ogni giurisdizione (supra nt. 10). Inogni caso, l’assimilazione tra arbitrato estero e giurisdizione straniera, se ammessa, indeboli-rebbe la tesi dell’inapplicabilità all’arbitrato estero delle norme relative ai rapporti fra giuri-sdizione italiana e straniera (ad es., l’art. 7 L. n. 218/1995, fino ad oggi applicato soltanto aiprocedimenti dinanzi a “giudici” stranieri, ad es., Cass. 25 settembre 2009 n. 20688).

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“quelle di rito” perché attinente a “una questione di giurisdizione”) merita,in linea di principio, approvazione. Essa, infatti, consente di superare ilimiti impliciti nell’inquadramento negoziale dell’eccezione (tempestiva-mente evidenziati dalla dottrina) (14) ed è coerente con il dato positivo,interno e internazionale (15).

In particolare, l’art. 4, co. 2, L. n. 218/1995 caratterizza l’effetto del pattoper arbitrato estero come deroga alla giurisdizione italiana, attribuendoall’eccezione una rilevanza processuale non autonoma (in quanto assimilata— per effetto — al difetto di giurisdizione) (16). Peraltro, come rileva laCorte, la circostanza che il giudice sia chiamato a valutare la validità delpatto in base a norme di diritto sostanziale non può, di per sé, escludere larilevanza processuale dell’eccezione. La natura di una difesa dipende, in-fatti, soltanto dal rapporto in cui essa si pone rispetto alla tutela richiestanel giudizio (17). Inquadrare l’eccezione compromissoria in base ad un cri-terio diverso introdurrebbe un’(immotivata) incoerenza nel sistema.

Suscitano, però, perplessità taluni passaggi argomentativi dell’ordi-nanza.

Innanzitutto, non convince l’affermazione secondo cui l’art. II, co. 3,Conv. (18) prescriverebbe di attribuire natura di rito e di difetto di giuri-

(14) L’ordinanza riprende (pressoché letteralmente) le osservazioni di BRIGUGLIO, Le se-zioni unite e l’eccezione fondata su accordo compromissorio per arbitrato estero, cit., e CONSOLO,Soprassalti delle sezioni unite intorno all’eccezione di arbitrato estero, cit.). V. supra nt. 10.

(15) La Corte (correttamente) applica al caso di specie l’art. II Conv., non l’art. VI dellaconvenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale (firmata a Ginevra il 21 aprile1961 e resa esecutiva in Italia con L. 10 maggio 1970 n. 418, di seguito “Convenzione diGinevra”). Quest’ultimo trattato, infatti, si applica soltanto ad accordi e lodi fra “physical orlegal persons having, when concluding the agreement, their habitual place of residence or theirseat in different Contracting States” (art. I) e, pertanto, non può applicarsi alle controversie conparti elvetiche dato che la Svizzera non l’ha ratificato (in questo senso App. Trieste 2 luglio1982, in Giur. It., 1983, 170 con nota di FRANCHI, contra, Cass. 16 ottobre 1985 n. 5071, in ForoIt., 1985, I, 2872).

(16) Sottolinea “l’autonomia concettuale” dell’eccezione che non le consente di essere “inalcun modo ricondotta nell’ambito né della competenza né della giurisdizione”, ZUCCONI GALLI

FONSECA, Giudice italiano ed exceptio compromissi, cit., 746.(17) Si v. CONSOLO, L’arbitrato con sede estera, la natura della relativa eccezione e

l’essenziale compito che rimane affidato al regolamento transnazionale della giurisdizioneitaliana (parte seconda), in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009, 955 (notando che giurisprudenza edottrina attribuiscono natura processuale all’eccezione di deroga convenzionale alla giurisdi-zione e di inesistenza del credito dedotta per contestare la legittimazione del creditore neiconfronti del debitor debitoris, benché entrambe le eccezioni siano decise in base a normesostanziali). Data la struttura della questione compromissoria, potrebbe però dubitarsi che ilregolamento di competenza (ex art. 819-ter c.p.c.) e il regolamento di giurisdizione (ex artt. 37e 41 c.p.c.) siano strumenti adeguati per deciderne. Entrambi gli strumenti sono, infatti,modellati per risolvere questioni pregiudiziali interne al processo, non questioni preliminariidonee a produrre un autonomo accertamento; pone la questione, VERDE, Obsolescenza dinorme processuali: la disciplina della giurisdizione, in Riv. Dir. Proc., 2014, 849.

(18) L’art. II Conv., nell’attuale formulazione, fu introdotto in una fase molto avanzatadelle negoziazioni (circostanza da cui dipendono i difetti di coordinamento con le altredisposizioni convenzionali, SCHRAMM, GEISINGER, PINSOLLE, Article II, in Recognition and Enfor-cement of Foreign Arbitral Awards: A Global Commentary on the New York Convention a cura

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sdizione (in particolare) all’eccezione di accordo per arbitrato estero (par.7.1 e 7.4 dell’ordinanza).

La formulazione generica della norma non sembra, in realtà, imporrealcuno specifico inquadramento dell’eccezione (19). L’art. II, co. 3,Conv. (20) si limita, infatti, a prescrivere agli Stati di dare effetto agliaccordi compromissori disinteressandosi dei meccanismi “processuali”attraverso cui raggiungere il risultato (21). In particolare, la norma descrivecon un’espressione atecnica (“refer the parties to arbitration” (22)) le

di Kronke e Nacimiento, Kluwer Law International, 2010, 39 s.). Secondo l’interpretazione mag-gioritaria, l’art. II Conv. si applica soltanto agli accordi per arbitrato “estero” ex art. I, co. 1 (pertutti, POUDRET - BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, Bâle, 2002, 441 e ss.; in questosenso, recentemente, ex pluribus, Corte Suprema israeliana, Siemens AG and Siemens Israel Ltd.v. Israeli Electric Cooperation Ltd., 3331/14, 13 agosto 2014; Tribunale Federale svizzero n.4A_436/2007, 9 gennaio 2008). Anche la giurisprudenza italiana ha applicato l’art. II, co. 3, Conv.soltanto agli accordi relativi ad arbitrato con sede all’estero o senza sede (v. Tribunale Palmi, 9luglio 1998, in Giur. It., 1999, 1212 con nota di GENNARI; cfr. Cass. 16 novembre 2000, n. 14860,in Riv. Dir. Int. Priv. e Proc., 2001, 693, negando l’applicazione della Convenzione all’arbitrato(italiano) internazionale). Autorevole, pur minoritaria, dottrina ritiene, invece, che l’art. II, co.3, Conv. sia applicabile anche ai patti, ritenuti domestici dallo Stato richiesto del riconoscimento,che abbiano caratteri di internazionalità (per soggetti e controversia coinvolti) (per tutti, MINOLI,L’Italie et la Convention de New York pour la reconnaissance et l’exécution des sentences arbitralesétrangères, in International Arbitration Liber Amicorum for Martin Domke, Sanders (ed.), TheHague, 1968, 203; VAN DEN BERG, The New York Convention of 1958: an Overview, 9 disponibilesul sito www.arbitration-icca.org (consultato in febbraio 2015)). Si sottolinea, in particolare, chel’art. I Conv. fa riferimento soltanto al riconoscimento del lodo estero e che estenderne l’appli-cazione all’accordo compromissorio frustrerebbe il fine perseguito dalla Convenzione (promuo-vere l’arbitrato commerciale internazionale); nella giurisprudenza straniera, v., fra le altre,Smith/Enron Cogeneration Ltd. v. Smith Cogeneration International Inc., 8 dicembre 1999 (198F.3d 88), par. 22 ss.; Fred Freudensprung v. Offshore Technical Services Inc. and others, 9 agosto2004, 03-20226; Delhi High Court, Gas Authority of India Ltd. v. SPIE-CAPAG SA and others,15 ottobre 1993, par. 88.

(19) Così (in motivazione) anche Cass. 18 aprile 2003 n. 6349, cit., e Cass. Sez. Un. 12gennaio 2007 n. 412, cit. (par. 6.4). Cfr. art. VI Convenzione di Ginevra, v. infra nt. 24. Indottrina, BRIGUGLIO, Le sezioni unite e l’eccezione fondata su accordo compromissorio perarbitrato estero, cit., 41; ma anche VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958,cit., 131 nt. 22 (secondo cui “the question whether the referral to arbitration affects the competenceor the jurisdiction of the court depends on the law of the forum”).

(20) L’art. II, co. 3, Conv. prevede che il giudice, investito di una questione oggetto diaccordo compromissorio, “shall, at the request of one of the parties, refer the parties to arbitration,unless it finds that the said agreement is null and void, inoperative or incapable of being performed”.

(21) BRIGUGLIO, Le sezioni unite e l’eccezione fondata su accordo compromissorio perarbitrato estero, cit., 41. Data l’eterogeneità dei sistemi processuali nazionali si preferì lasciareagli Stati ampia libertà di regolare il riconoscimento degli accordi compromissori e dei lodi (cosìda favorire una più ampia adesione alla Convenzione). Sulla genericità dell’art. II, co. 3, Conv.v., ad es., Cass. Sez. Un. 26 giugno 2001 n. 8744 (secondo cui l’art. II, co. 3, Conv. non prescrive“l’adozione di formule sacramentali” per l’eccezione compromissoria né “la proposizione di unaespressa istanza di rinvio delle parti all’arbitrato”).

(22) I testi francese e spagnolo, parimenti ufficiali, stabiliscono che il giudice “renverra lesparties à l’arbitrage, à la demande de l’une d’elles” e “remitirá a las partes al arbitraje, a instanciade una de ellas”. Enfatizza l’atecnicità dell’espressione “renvoyer les parties à l’arbitrage”,POUDRET - BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, cit., 445. L’espressione “shallrefer” sembrerebbe suggerire meccanismi di esecuzione in forma specifica dell’accordo com-promissorio (Redfern and Hunter on International Arbitration, a cura di Blackaby, Kluwer LawInternational, 2009, par. 1.11), che però non sono stati adottati dalla maggior parte degli

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conseguenze che un valido accordo arbitrale produce sul giudizio sta-tale (23) e non regola il trattamento che l’accordo deve ricevere nelgiudizio statale (se non per taluni, specifici, profili) (24). Peraltro, l’art. II,co. 3, Conv. non sembra neppure presupporre la natura processualedell’eccezione. Infatti:

(i) la circostanza che “qualsiasi” giudice abbia il “potere-dovere diverificare preliminarmente la validità, l’operatività e applicabilità dellaclausola” (25) (più che prescrivere la natura di rito dell’eccezione) sembraesprimere, genericamente, l’obbligo per gli Stati di dare effetto al patto(ciascuno nel modo ritenuto opportuno) (26).

(ii) L’obbligo di “rimettere” le parti ad arbitrato in presenza di unvalido patto arbitrale implica soltanto l’obbligo per il giudice di nondecidere il merito della controversia (27), un risultato raggiungibile siaattribuendo all’eccezione rilevanza di rito (eventualmente autonoma (28))che di “merito” (sull’esistenza di un valido accordo compromissorio (29)).

ordinamenti (VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, cit., 129). L’ese-cuzione dell’accordo viene, infatti, prevalentemente assicurata in via indiretta (ossia privando leparti della possibilità di proseguire il giudizio statale). V,. però, Sez. 4 Chp. 1, 206 Chp. 2 e 303Chp. 3 del Federal Arbitration Act USA che consentono al giudice di sospendere il giudizioinstaurato in violazione dell’accordo arbitrale ma anche di disporre un “order compelling”l’arbitrato (interno o estero; v. Kulukundis Shipping Co. S/A v. Amtorg Trading Corp., 2 marzo1942, 126 F.2d 978, 987).

(23) In particolare, chiusura o sospensione del giudizio in attesa della decisione arbitrale,per tutti, BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, Il sistema delle Convenzioni internazionali, Padova, 1999,165 s.; CONSOLO, L’arbitrato con sede estera, la natura della relativa eccezione, cit., 955 (auspi-cando, de jure condendo, una modifica dell’art. 4 L. n. 218/1995 “in conformità alla impostazionegarantistica, e così attendista, dell’art. 7 stessa legge”); BORN, International Commercial Arbitra-tion, Kluwer Law International, 2014, 1278 ss.

(24) Fra cui la rilevabilità ex parte dell’eccezione compromissoria e l’obbligo per il giudicedi astenersi dal decidere il merito della controversia in presenza di un valido accordo compro-missorio (“internationally uniform rules” processuali, VAN DEN BERG, The New York ArbitrationConvention of 1958, cit., 135 e s.). Cfr. art. VI della Convenzione di Ginevra che contiene una piùdettagliata disciplina dell’accordo compromissorio (“a plea as to the jurisdiction of the court madebefore the court seized by either party to the arbitration agreement, on the basis of the fact that anarbitration agreement exists shall, under penalty of estoppel, be presented by the respondent beforeor at the same time as the presentation of his substantial defence, depending upon whether the lawof the court seized regards this plea as one of procedure or of substance”).

(25) Par. 7.2 dell’ordinanza.(26) Cfr. art. VI Convenzione di Ginevra (supra nt. 24) che espressamente fa salva la

discrezionalità degli ordinamenti statali di qualificare l’eccezione come rito o merito (si noti chela Convenzione di Ginevra richiama, nel preambolo, la Convenzione di New York ponendosi,rispetto a essa, in funzione integrativa).

(27) Le espressioni “shall refer” “renverra” sembrano escludere la facoltatività del rinvioagli arbitri, precludendo norme statali che autorizzino i giudici a decidere sulla lite nonostantel’esistenza di un valido accordo arbitrale (VAN DEN BERG, The New York Arbitration Conventionof 1958, cit., 135 ss.).

(28) E.g., Sect. 3 FAA e Sect. 9 UK Arbitration Act, che tipizzano l’eccezione di accordocompromissorio attribuendole rilevanza ed effetti autonomi rispetto al difetto di giurisdizione(prevedendo la sospensione del giudizio in luogo della sua chiusura in rito).

(29) È, infatti, opinione condivisa che la Convenzione non conferisce al tribunalearbitrale competenza esclusiva o prioritaria per decidere della validità dell’accordo compro-missorio, per tutti POUDRET - BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, cit., 443.

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Inoltre, contrariamente a quanto sembra suggerire l’ordinanza, l’art.II, co. 3, Conv. non prescrive neppure di esaminare l’eccezione compro-missoria in via “assolutamente preliminare” (rispetto alla giurisdizione,par. 7.1 e 7.4) (30) e prima facie (“sulla base della domanda” della parte cheinvoca la clausola, par. 7.2 e 7.4) (31).

Infatti, da una parte, l’obbligo di rimettere le parti ad arbitratoquando il giudice constati l’esistenza di un valido patto arbitrale potrebbeimplicare l’obbligo di trattare e decidere l’eccezione prima di ogni altra,soltanto se l’art. II, co. 3, Conv. regolasse il rapporto fra l’eccezione e leulteriori questioni che possono insorgere nel giudizio statale (ossia losvolgimento di quest’ultimo). Tale circostanza (oltre a non essere dimo-strata) sembra smentita (i) dallo scopo della Convenzione (disciplinare ilriconoscimento degli accordi arbitrali e dei lodi stranieri, soltanto), (ii) dalsuo modus procedendi (evitare, per quanto possibile, ingerenze nellediscipline processuali statali) nonché (iii) dalla possibilità di dare attua-zione all’art. II Conv. sospendendo il giudizio statale (32). Introducendo unrigido ordine di trattazione, infatti, la Convenzione prescriverebbe (irra-gionevolmente) agli Stati di sospendere il giudizio senza poter verificareche questo possa, una volta riassunto, giungere a una decisione di merito.Spetta quindi a ciascuno Stato disciplinare l’ordine di trattazione (edecisione) delle eccezioni nel giudizio, inclusa l’eccezione compromisso-ria.

Dall’altra, la norma descrive la verifica da svolgere sul patto conespressioni (“find”, “constate”, “compruebe”) che non definiscono il tipodi cognizione da effettuare (33) (come conferma l’attuazione eterogenea

(30) Al più, dal favor arbitrati sotteso alla Convenzione potrebbe dedursi che il “dubbio”sull’esistenza del patto arbitrale deve protrarsi per “il minor tempo possibile” (BRIGUGLIO,L’arbitrato estero e l’ordinamento processuale italiano, Roma, 2004, 149 e 153 secondo cui,peraltro, se l’eccezione attenesse al difetto di giurisdizione “nessun ordine logico plausibile ...potrebbe stabilirsi fra le due [questioni]”). Cfr., però, Cass. 10 marzo 2000 n. 58, cit., par. 3.1(secondo cui l’esistenza di un valido accordo compromissorio è questione logicamente “priori-taria” dato che l’“(eventuale) disciplina contrattuale con la rimessione agli arbitri stranieripotrebbe derogare alla disciplina legale della giurisdizione”).

(31) L’ordinanza riprende pressoché testualmente Cass. Sez. Un. 18 aprile 2003 n. 6349,cit., e Cass. Sez. Un. 12 gennaio 2007 n. 412, cit., par. 6.6.

(32) V. anche par. 7.1 dell’ordinanza.(33) Ad esempio il verbo “find” è impiegato in espressioni che indicano tanto un esame

sommario (“find on a prima facie basis”) che una decisione a cognizione piena (“make afinding”), cfr. BORN, International Commercial Arbitration, cit., 1054 s. (contra ritenendo che lanorma prescriva un esame prima facie dell’accordo compromissorio, BARCELÓ, Who Decides theArbitrators’ Jurisdiction? Separability and Competence-Competence in Transnational Perspec-tive, Vand. J. Transnat’l L., 2003, 1135; VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of1958, cit., 169). L’art. II, co. 2, lett. (b) della “Hypothetical Draft Convention on the InternationalEnforcement of Arbitration Agreements and Awards” (proposta da van den Berg nel 2009)prescrive di verificare la validità dell’accordo prima facie (v. Comparison of Texts: Proposal forRevisions to the 1958 New York Convention, ICCA Congress Series, 2009, Kluwer LawInternational, 2009, 670).

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che la previsione ha ricevuto nei diversi Stati (34)). Peraltro, se l’art. II, co.3, Conv. prescrivesse effettivamente una cognizione prima facie sul pattoarbitrale, lascerebbe perplessi la conclusione circa l’esperibilità del rego-lamento preventivo di giurisdizione (una conclusione, peraltro, motivatarapidamente, per rinvio alla qualificazione dell’eccezione (35), senza veri-ficare l’effettiva compatibilità dei due istituti (36)). Benché, infatti, ilregolamento ex art. 41 c.p.c. consenta una decisione in tempi più rapidi diquelli imposti dallo svolgimento di tre gradi di giudizio (in linea con ilfavor arbitrati sotteso alla Convenzione), esso dà luogo a una cognizionepiena sui confini internazionali della giurisdizione. La Corte è, infatti,chiamata a deciderne esaminando: (i) tutti i fatti rilevanti (i.e., anche i fattiallegati da chi deduce il difetto di giurisdizione — ad es., l’esistenza di unpatto arbitrale — e le eventuali controdeduzioni (37) — ad es., l’invalidità,inoperatività o inapplicabilità del patto); (ii) le prove fornite rispetto aifatti rilevanti estranei al merito della lite (ad es., la rinuncia all’accordocompromissorio) (38).

(34) Alcuni Stati prescrivono un controllo sommario e superficiale sulla validità del patto(v. ad esempio, art. 1448, co. 1, N.C.P.C. applicabile anche all’accordo per arbitrato estero), altriinvece ne decidono a cognizione piena. Così, ad esempio, la giurisprudenza svizzera ritiene chel’art. II, co. 3, Conv. prescriva un accertamento pieno e definitivo sulla validità dell’accordo perarbitrato estero (Tribunale Federale, 29 aprile 1996, ASA Bull., 1996, 530; Tribunale Federale,16 gennaio 1994, in ASA Bull., 1995, 507), mentre svolge un esame prima facie del patto perarbitrato interno (ad es., Tribunale Federale, 4A_119/2012, 6 agosto 2012, par. 3.2; TribunaleFederale, 13 settembre 2004, in ASA Bull., 2005, 145, secondo cui la decisione pregiudiziale concui il giudice statale ammette la propria competenza vincola anche l’arbitro svizzero che dovessesuccessivamente venir chiamato a determinarsi sulla medesima questione); cfr., nella giurispru-denza inglese, Court of Appeal (Civil Division), Ahmad Al-Naimi v. Islamic Press Agency, 28gennaio 2000, [2000] Lloyd’s Rep. 522 (applicando la Sez. 9 dell’Arbitration Act relativa adarbitrati interni ed esteri). In dottrina, negano che l’art. II, co. 3, Conv. imponga un controlloprima facie della validità dell’accordo ex pluribus, DIMOLITSA, Separability and Kompetenz-Kompetenz, ICCA Congress Series, 1999, 237 ss., POUDRET - BESSON, Droit compare del’arbitrage international, cit., 443.

(35) Peraltro, come noto, la decidibilità ex art. 41 c.p.c. della giurisdizione internazionaledel giudice italiano era discussa (stante l’abrogazione dell’art. 37, co. 2, c.p.c. da parte dell’art.73 L. n. 218/1995), GIUSSANI, Intorno alla deducibilità, cit.; GASPERINI, Le ripercussioni dell’abro-gazione dell’art. 37, 2º comma, sull’art. 41 c.p.c.: le sezioni unite “salvano” il regolamento digiurisdizione, in Giust. Civ., 1999, 1635. In giurisprudenza, motiva in favore dell’esperibilità delrimedio (in un caso in cui era stata eccepita anche l’esistenza di una clausola compromissoria),Cass. 10 marzo 2000 n. 58, cit. (par. 2.2). Per le incisive critiche di costituzionalità, si rinvia, pertutti, CIPRIANI, Il regolamento di giurisdizione, Napoli, 1977, 312 ss.

(36) VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, cit., 97. V. anchesupra nt. 17.

(37) Per tutti, LUPOI, La contestazione in fatto del criterio di collegamento giurisdizionaleed il regolamento di giurisdizione, in Foro It., 1977, V, 301 s.

(38) Seppur la validità, operatività ed efficacia dell’accordo compromissorio si prestino aessere documentalmente provate, non può escludersi la necessità di acquisire prove costituende(si pensi, ad es., alla prova per testi o interrogatorio formale della circostanza che, durante lenegoziazioni di una clausola, le parti ne avevano espressamente escluso l’applicazione ad alcunitipi di controversie). Come noto, la Corte ha dichiarato inammissibile il regolamento quando haritenuto insufficiente la prova fornita, Cass. Sez. Un. 28 marzo 2006 n. 7035 con nota di GIOIA,La prova nei regolamenti di giurisdizione, in Riv. Dir. Proc., 2006, 1452 e in Giur. It., 2007, con

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Infine, l’inquadramento processuale dell’eccezione non sembra nep-pure desumibile dalla circostanza che “nel sistema delineato dalla conven-zione” il giudice deve verificare la validità del patto arbitrale “senza alcunaefficacia di giudicato” e senza “vincolare” gli arbitri o giudici stranieri (par.7.4 e 7.3 dell’ordinanza). La Convenzione, invero, non disciplina (espres-samente o implicitamente) l’efficacia della determinazione ex art. II, co. 3,Conv. (39) Né l’ordinanza offre elementi per dimostrare il contrario.Piuttosto, ciascuno Stato può regolare, come ritiene opportuno, l’efficaciadella valutazione resa ex art. II Conv. e la riconoscibilità della determi-nazione emessa, agli stessi fini, da un giudice straniero (40).

In ogni caso, lascia perplessi la conclusione secondo cui la determi-nazione sulla validità del patto esplica “efficacia di giudicato” se il giudiceitaliano trattiene la giurisdizione (41) (non se la declina (42)) (43). L’ido-

nota di RONCO, Regolamento preventivo e prova costituenda dei fatti rilevanti per determinare lagiurisdizione, in Giur. It., 2007, 1212.

(39) POUDRET - BESSON, Droit comparé de l’arbitrage international, cit., 472 e ss.(40) Cfr. Court of Appeal, National Navigation Co. v. Endesa Generacion SA, 17

dicembre 2009 (2009) EWCA Civ. 1397, che ha ritenuto vincolante (in base al Regolamento n.44/2001) la sentenza con cui un giudice spagnolo aveva affermato la propria giurisdizione stantel’invalidità dell’accordo arbitrale eccepito dalla convenuta (notando che “[i]t is quite true that theUnited Kingdom as a party to the Convention has an obligation to recognise and enforcearbitration agreements where they exist, but it does not follow that the courts of this country havea duty to examine the question for themselves whenever it is alleged that the parties have enteredinto an agreement of that kind. Whether they have done so in any given case is a question which,for the purposes of the New York Convention, may be determined by any court of competentjurisdiction, there being nothing in the Convention itself which precludes the application ofestablished rules of estoppel by record”, par. 123; al par. 118 precisando che il vincolo si estendeagli arbitri tenuti ad applicare la legge inglese).

(41) Par. 7.3 dell’ordinanza, riprendendo pressoché letteralmente Cass. Sez. Un. 12gennaio 2007 n. 412, cit., par. 6.6 (che però attribuiva all’eccezione natura di merito). Sipotrebbe quindi immaginare che la decisione contenga un accertamento autonomo extrapro-cessuale in materia di arbitrato, cui non sarebbe applicabile la disciplina dei regolamenti europeinn. 44/2001 e 1215/2012 in base ai rispettivi artt. 1 (cfr., però, Court of Appeal, NationalNavigation Co. v. Endesa Generacion SA, 17 dicembre 2009, cit., supra nt. 40), ma la disciplinanazionale. Come noto, la dottrina riteneva, invece, che il regolamento n. 44/2001 si applicassealla sentenza che avesse valutato la validità del patto compromissorio ai fini della giurisdizione(conf. in West Tankers, in questa Rivista, 2009, con nota di D’ALESSANDRO, La Corte di giustiziadichiara le anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato inglese incompatibili con il sistema del Reg.n. 44/2001, ivi, 67; contra Appel Paris, 15 giugno 2006, Legal Department du Ministère de laJustice de la République d’Irak v Sociétés Fincantieri Cantieri Navali Italiani, in Rev. Arb., 2007,87 con nota di BOLLÉ) e alla sentenza che avesse deciso del merito della controversia dopo averrigettato l’eccezione compromissoria (per tutti, AMBROSE, Arbitration and the Free Movement ofJudgments, in Arb. Int’l, 2003, 3 e s.; AUDIT, Arbitraton and the Brussels Convention, in Arb. Int’l,1993, 1; CONSOLO, Raccordi o antifone fra arbitrato e giudizio ordinario? Profili comparatistici etransnazionali, in Contr. e Impr., 2004, 595 s.; MARINELLI, Eccezione arbitrale non sollevata orespinta e circolazione delle sentenze nelle Convenzioni di Bruxelles/Lugano, in Int’l Lis, 2002,138 e s.; VAN HOUTTE, May Court Judgments that Disregard Arbitration Clauses and Awards BeEnforced under the Brussels and Lugano Conventions?, in Arb. Int’l, 1997, 85; la dottrina sidivideva però sulla possibilità di riesaminare la validità del patto in sede di riconoscimento dellasentenza di merito (favorevole al riesame nell’ambito del controllo dell’ordine pubblico o ex art.27, n. 4 Conv. Bruxelles, per tutti, BRIGUGLIO, L’arbitrato estero e l’ordinamento processualeitaliano, cit., 96 e ss.; contra, per tutti, CONSOLO, L’arbitrato con sede estera, la natura dellarelativa eccezione (I), cit., nt. 9)). Il considerando n. 12 del Regolamento n. 1215/2012 esclude

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neità al giudicato non sembra, infatti, coerente né con l’obbligo (asserita-mente imposto dall’art. II Conv.) di valutare la validità dell’accordo primafacie e “senza efficacia di giudicato” (44) né con l’inquadramento proces-suale dell’eccezione. Se, infatti, la validità dell’accordo è una “questionepregiudiziale di merito... che si pone come premessa per la soluzione di unaquestione pregiudiziale di rito” (45), la decisione su di essa, più che idoneaal giudicato, sembrerebbe assorbita nella statuizione definitiva sulla giu-risdizione (46). Una diversa soluzione, in quanto extra ordinem, avrebbedovuto essere (quanto meno) puntualmente motivata.

Peraltro, l’ordinanza non contiene alcun riferimento alla sentenzaGothaer (47) con cui, come noto, la Corte di Giustizia ha affermatol’idoneità al giudicato dell’accertamento (sulla validità di un accordo di

l’applicazione del regolamento alle decisioni sulla “nullità, inoperatività o inapplicabilità di unaconvenzione arbitrale ... adottate ... in via principale o in via incidentale”, ma non alle sentenzedi merito emesse a seguito di una valutazione di invalidità del patto (pur precisando che taleprevisione non esclude la riconoscibilità del lodo in base alla Convenzione di New York “cheprevale sul ... regolamento”). La dottrina è divisa circa la riconoscibilità in base al Regolamenton. 1215/2012 della sentenza che decida della validità dell’accordo compromissorio e del merito(nonché sul vincolo alla valutazione effettuata dal giudice straniero), favorevoli, i.a., MOURRE -NIOCHE, Le Règlement Bruxelles I “refondu” évite le risque d’une régionalisation de l’arbitrage,in Les cahiers de l’arbitrage, 2013, 577 ss.; RASIA, Il nuovo regolamento Ue n. 1215 del 2012 el’arbitrato: a storm in a tea cup, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2013, 193, nt. 43; ZUCCONI GALLI

FONSECA, Giudice italiano ed exceptio compromissi per arbitrato, cit., 761 ss.; contra escludendoche la sentenza, nel suo complesso, possa circolare in base al regolamento, MENÉTREY - RACINE,L’arbitrage et le Règlement Bruxelles I bis, in Le nouveau Règlement Bruxelles I bis a cura diGuinchard, Bruxelles, 2014, 42 ss.); ritengono, invece, che possa circolare in base al regolamentosoltanto il capo relativo al merito, NUYTS, La refonte du règlement Bruxelles I, in Rev. Cr. Dr. Int.Privé, 2013, 1 (che fa salva la riconoscibilità del capo relativo alla validità del patto in base alladisciplina statale) e BOLLÉ, L’arbitrage et le nouveau règlement Bruxelles I, in Rev. Arb., 2013,985.

(42) Par. 7.3 dell’ordinanza; contra Cass. 13 luglio 1988 n. 4592, in Giur. It., 1989, 690 (connota critica di FRANCHI), secondo cui esplica efficacia di giudicato (vincolante in sede diriconoscimento del lodo) la decisione con cui il giudice dichiari la validità del patto arbitrale edeclini la propria potestas iudicandi (contra, BOVE, Sulla produzione della convenzione conte-nente la clausola compromissoria, in questa Rivista, 1993, 225); v. anche Cass. 15 gennaio 1992n. 405 (in motivazione).

(43) Analoga soluzione è adottata in Svizzera e Germania (POUDRET - BESSON, Droitcomparé de l’arbitrage international, cit., 472 e ss.). Non convince, però, la motivazione posta asostegno dell’idoneità al giudicato della decisione sulla validità del patto (ossia l’essere resa “dagiudice che ha affermato la sua giurisdizione”, par. 7.4 dell’ordinanza). Non soltanto, infatti, unadecisione non è idonea al giudicato solo perché resa da un giudice munito di giurisdizione(essendo, di principio, necessaria una domanda di parte), ma, in ogni caso, la giurisdizionesull’azione principale non implica giurisdizione sulla validità del patto (che è allocata in base acriteri autonomi, CONSOLO, L’arbitrato con sede estera, la natura della relativa eccezione II, cit.).

(44) Par. 7.4 dell’ordinanza.(45) Par. 7.3 (riprendendo pressoché letteralmente Cass. Sez. Un. 12 gennaio 2007 n. 412,

cit., par. 6.5 e CONSOLO, Soprassalti delle sezioni unite, cit., 928).(46) VERDE, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico, cit., 98.(47) ECJ Case C-456/11, Gothaer Allgemeine Versicherung AG e altri c. Samskip GmbH,

15 novembre 2012, pubblicata, fra l’altro, in Foro It., 2013, IV, 42 con nota di D’ALESSANDRO

(Pronunce declinatorie di giurisdizione la Corte di giustizia impone limiti di efficacia europei); inDir. Comm. Int., 2013, 1085, con nota di HENKE (Verso una nozione europea di res iudicata:l’efficacia extraprocessuale della declinatoria di giurisdizione e il giudicato sui motivi). Sulla

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giurisdizione) inserito nella motivazione di una sentenza (dichiarativadell’irricevibilità di un’azione) (48). Un richiamo alla decisione avrebbe,invece, potuto essere opportuno. Si sarebbe, infatti, potuto immaginareche la conclusione dovesse applicarsi anche alle decisioni ex art. II, co. 3,Conv. data: (i) l’applicabilità del regolamento n. 44/2001 alle cause il cuioggetto principale ricade nell’ambito di applicazione del regolamento (49)e (ii) l’assimilazione tra patto di deroga alla giurisdizione e accordocompromissorio (prospettata anche dall’ordinanza). In altri termini, inbase alla decisione Gothaer, si sarebbe potuto immaginare che, nellospazio europeo, la sentenza resa da un giudice (astrattamente munito digiurisdizione sulla controversia) vincoli gli altri giudici europei anche sullavalidità del patto arbitrale. Contro l’idoneità al giudicato della determi-nazione sul patto arbitrale, sembrerebbe però muovere la constatazioneche la decisione Gothaer si fonda su peculiarità del regolamento n. 44/2001insuscettibili di estendersi al patto arbitrale. L’“esigenza di applicareuniformemente” (50) il regolamento, infatti, sussiste nel caso di derogaconvenzionale alla giurisdizione perché il diritto europeo ne regola, inmaniera uniforme, la validità. La stessa esigenza non sembrerebbe sussi-stere rispetto all’accordo compromissorio poiché quest’ultimo non è di-sciplinato dal regolamento (così che giudici e arbitri possono legittima-mente valutarne la validità in base a differenti leggi) (51).

4. Sia consentita una notazione più ampia. Nella prospettiva adot-tata dalla Corte, il patto compromissorio dà vita a due eccezioni autonome(competenza e giurisdizione) a seconda che l’arbitrato abbia sede in Italiao all’estero.

Questa soluzione, oltre a fondarsi sulla discutibile tesi del “convoglia-mento dell’arbitrato” nella giurisdizione statale (52), trascura un dato con-creto. L’effetto (che le parti vogliono sia) prodotto da un accordo com-promissorio non è diverso a seconda della sede (eventualmente) indicataper l’arbitrato. Si intende sempre sottrarre alcune liti alla potestas iudi-

riconoscibilità in base al Regolamento n. 1215/2012 delle decisioni — di rito o di merito — chesi pronuncino sulla validità dell’accordo compromissorio, v. supra nt. 41.

(48) Ibidem, par. 39.(49) V. supra nt. 41.(50) Par. 39 della sentenza Gothaer.(51) Sulle prospettive di revisione del Regolamento n. 44/2001 e del diritto europeo, v.,

ex pluribus, BENEDETTELLI, “Communitarization” of International Arbitration: A New Spectrehaunting Europe?, in Arb. Int’l, 2011, 583; RADICATI DI BROZOLO, L’arbitrato e la proposta direvisione del Regolamento di Bruxelles I, in questa Rivista, 2011, 187. Peraltro, l’idoneità algiudicato non potrebbe trarsi neppure dalla Convenzione di New York, che non disciplina ilriconoscimento delle sentenze straniere (relative ad accordi arbitrali o lodi) e non consacra ilprincipio di “reciproca fiducia” fra gli Stati membri (154, alla data di febbraio 2015), nonprecludendo il riesame nel merito delle sentenze straniere in materia di arbitrato.

(52) V. supra nt. 9.

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candi del giudice per attribuirle alla cognizione arbitrale (53). Peraltro, lasoluzione prospettata dalla Corte non evita complicazioni. Si pensi, adesempio, alla difficoltà di inquadrare l’eccezione compromissoria quandonon sia individuata la sede dell’arbitrato (54) ovvero di giustificare comeun giudice possa declinare la competenza ex art. 819-ter c.p.c. quando nonabbia giurisdizione (55).

Si sarebbe forse potuto provare a ricondurre ad unità la fattispeciecompromissoria enfatizzandone l’identità di scopo (56). Un’impostazione,che sembra suggerita anche dal legislatore quando, nell’art. 4 L. n.218/1995, mette l’accento sugli effetti prodotti dall’accordo compromisso-rio sulla potestas del giudice italiano.

In questa prospettiva, si potrebbe ravvisare, nell’art. 4, co. 2, L. n.218/1995, un’esplicitazione dell’effetto tipico di ogni patto arbitrale e, nelcombinato disposto degli artt. 4 e 11 L. n. 218/1995, la matrice del regimeapplicabile alle eccezioni con cui si deduce la carenza di potere del giudicein favore di soggetti estranei al sistema giudiziario italiano. La riforma del2006 avrebbe introdotto un regime speciale (parzialmente derogatorio diquello generale) per l’arbitrato domestico (in ragione delle sue peculia-rità). Non avrebbe però modificato la “natura” della relativa eccezionedato che, come autorevolmente rilevato in dottrina, l’art. 819-ter c.p.c. nonqualifica l’eccezione compromissoria come difetto di competenza ma, piùmodestamente, assoggetta le due eccezioni a un regime, per taluni profili,analogo (57).

Se così fosse, la disciplina ex artt. 4 e 11 L. n. 218/1995 potrebbe essereapplicata (in via estensiva o analogica) a ogni fattispecie compromissorianon specificamente regolata, nonché all’accordo per arbitrato domestico(per gli aspetti non disciplinati da norme “speciali”) (58). Inversamente, la

(53) Gli ordinamenti stranieri di più consolidata tradizione attribuiscono all’eccezioneuna stessa natura ad arbitrato interno, internazionale o estero (pur, talvolta, differenziandonela disciplina; v. supra nt. 34).

(54) Ex art. 816 c.p.c. le parti possono fissare la sede dell’arbitrato nella convenzionearbitrale o successivamente (eventualmente tramite l’intervento dell’istituzione arbitrale, v., adesempio, art. 18, co. 1, Reg. ICC); in mancanza, provvedono gli arbitri.

(55) Si immagini che il convenuto abbia eccepito l’esistenza del patto arbitrale senzadedurre il difetto di giurisdizione italiana in base ai criteri legali. Peraltro, non si potrebbeneppure immaginare che il convenuto abbia tacitamente accettato la giurisdizione italiana noneccependo il difetto di giurisdizione dato che questi ha dimostrato di non volersi assoggettarealla potestas del giudice italiano eccependo l’esistenza del patto arbitrale.

(56) Ritiene che l’esistenza di un valido accordo arbitrale implichi un difetto assoluto digiurisdizione, ex pluribus, LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2013, V, 168; v. anche BOVE,Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir. civ., 2002, 417 ss. (enfatizzando l’opportunità di unregime unico).

(57) Ex pluribus, LUISO, Diritto processuale civile, cit., 167 ss.; RUFFINI, Sub art. 819-ter, inLa nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, 372 ss.

(58) Ipotizza l’applicabilità dell’art. 4, co. 3, L. n. 218/1995 all’arbitrato domestico,rilevando che la norma interviene in un ambito non regolato dalla riforma del 2006, BOVE,Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice statale, in questa Rivista, 2007, 375 e s. La constatazione

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disciplina speciale non sarebbe applicabile oltre i ristretti confini per cui èprevista (dati il principio lex specialis derogat generali e il divieto diapplicazione analogica ed estensiva delle norme speciali). Con la conse-guenza, ad esempio, che l’eccezione di arbitrato estero non potrebbeessere soggetta ai termini decadenziali previsti ex art. 819-ter (59), maanche che la decisione ex art. II, co. 3, Conv. non dovrebbe essereimpugnabile con regolamento di competenza (60) (quanto meno qualora sicontinui ad ammettere la deferibilità della questione alla Suprema Cortetramite regolamento preventivo di giurisdizione).

5. Da ultimo, alcune notazioni sulla soluzione data dalla Corte alcaso concreto.

Come ricordato, la Cassazione ha negato l’invalidità dell’accordocompromissorio (ex artt. 1341 e 1342 c.c.) perché ha ritenuto applicabile ildiritto svizzero ex art. 57 L. n. 218/1995.

Stupisce che l’ordinanza abbia individuato la normativa applicabileattraverso una norma di conflitto interna, senza verificare l’eventualedisciplina contenuta nella Convenzione (61).

In particolare, la Corte avrebbe potuto confrontarsi con l’art. II, co. 2,Conv. che disciplina la validità formale del patto arbitrale (62) e stabilisce

che legislatore ha individuato uno strumento specifico per sottoporre alla Corte di Cassazionela questione dell’esistenza di un valido accordo compromissorio (il regolamento di competenza)può, invece, far dubitare della proponibilità del regolamento preventivo di giurisdizione inrelazione a tale accordo.

(59) Così invece BRIGUGLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controllo ed arbitrato estero,in questa Rivista, 2011, 581, nt. 21. In questo senso sembra anche Cass. Sez. Un. 23 settembre2014 n. 19981 (che, senza motivare, ritiene preclusa l’eccezione di difetto di giurisdizione perarbitrato estero perché non formulata “nel rispetto dell’art. 819-ter, co. 1, 3º e 4º inciso” c.p.c.,par. 3.5).

(60) Ipotizza l’impugnabilità con regolamento di competenza della sentenza che decidedella carenza di potestas iudicandi del giudice in ragione di un accordo per arbitrato estero,BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 704 e s. V., però,Cass. Sez. Un. 23 settembre 2014 n. 19981, cit., che, pur affermando l’applicabilità dell’art.819-ter, co. 1, c.p.c. all’eccezione di patto per arbitrato estero, non esclude l’ammissibilitàrispetto ad essa del regolamento preventivo di giurisdizione.

(61) La disciplina internazionale prevale, infatti, sulla normativa interna anche ex art. 2,co. 1, L. n. 218/1995 secondo cui “le disposizioni della presente legge non pregiudicanol’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”.

(62) V. Cass. 10 marzo 2000 n. 58, cit., par. 3.1 (che verifica la validità formale dellaclausola compromissoria soltanto alla stregua della Convenzione), v. anche giurisprudenzacitata nella nt. 64; v., però, Cass. Sez. Un., 19 maggio 2009 n. 11529 (sui rapporti tra art. 4 L. n.218/1995 e art. II Conv.; e Cass. 17 marzo 1982 n. 1727 individuando i requisiti formali di validitàdel patto in base ai criteri stabiliti dall’art. 26 delle preleggi). L’art. II Conv. non regola, invece,la validità sostanziale dell’accordo compromissorio, che pertanto è governata, secondo laricostruzione prevalente, da una legge nazionale (da individuarsi, secondo i più, nella leggeindicata dall’art. V, co. 1, lett. a), Conv. applicabile analogicamente (per tutti, POUDRET-BESSON,Droit comparé de l’arbitrage international, cit., 273 e s. che richiama ampia giurisprudenza)secondo altri nella lex fori, BERNARDINI, Arbitration Clauses: Achieving Effectiveness in the LawApplicable to the Arbitration Clause, in 40 Years of Application of the New York Convention,Kluwer Law International, 1999, 200. Secondo una soluzione minoritaria, invece, il giudice deve

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un “maximum” “international form requirement” applicabile in tutti gliStati membri (63). Avrebbe così potuto negare l’invalidità del patto rile-vando che la Convenzione: (i) (e non il diritto svizzero) non prescrive laspecifica sottoscrizione dell’accordo arbitrale ai fini della sua validità (64),e (ii) non consente di applicare i più severi requisiti di forma eventual-mente previsti dalle legislazioni nazionali.

Quand’anche il riferimento all’art. II, co. 2, Conv. non fosse statodecisivo, la Corte avrebbe potuto verificare l’eventuale previsione (nellaConvenzione) di norme di conflitto applicabili alla validità del patto.Stante il silenzio dell’art. II, co. 3, Conv., l’ordinanza avrebbe potutoconfrontarsi con l’art. V, co. 1, lett. (a) Conv. per valutarne l’applicabilitàanalogica in sede di giudizio ex art. II Conv. Per tale via avrebbe potutoindividuare una norma di conflitto affine a quella posta dall’art. 57 L. n.218/1995 (dato che l’art. V. lett. (a) Conv. assoggetta la validità del pattoarbitrale alla legge scelta dalle parti o, in mancanza, alla legge del luogo incui il lodo è reso, ossia la sede dell’arbitrato).

Si noti, infine, che, dato il principio dell’autonomia della clausolacompromissoria, la scelta della legge svizzera come legge applicabile alcontratto (inserita nell’art. 14 dello stesso) non costituirebbe, di per sé,scelta della legge applicabile all’accordo arbitrale (65). Sarebbe stato,comunque, semplice argomentare in favore di una scelta implicita dellalegge svizzera dato che le parti (prevedendo l’applicazione della leggeelvetica non soltanto al contratto ma anche all’eventuale procedura arbi-trale (66)), hanno chiaramente indicato di voler ancorare i diversi aspettidel loro rapporto a un unico ordinamento.

valutare la validità dell’accordo arbitrale in base a standard internazionali, indipendenti dallepeculiarità delle legislazioni nazionali, per tutti, BORN, International Commercial Arbitration,cit., 840; in questa direzione sembrano orientate anche la giurisprudenza francese (v. Cass.,Municipalité de Khoms El Mergeb c. Société Dalico, 20 dicembre 1993, in Rev. Arb., 1994, 116)e statunitense (secondo sono invalidi gli accordi affetti da una “internationally recognizeddefense such as duress, mistake, fraud, or waiver”; Bautista v. Star Cruises, 396 F.3d 1289, inYearbook Comm. Arb’n, 2005, 1084; Ledee v. Ceramiche Ragno, 684 F.2d 184, in YearbookComm. Arb’n, 1984, 473; Azhar Ali Khan et others v. Parsons Globale Services and others, 30marzo 2007 e 11 aprile 2008, in Yearbook Comm. Arb’n, 2009, 911).

(63) Per tutti, BORN, International Commercial Arbitration, cit., 667 e ss. (con ampiriferimenti di giurisprudenza e dottrina). È discusso se i requisiti di forma prescritti dall’art. IIConv. (e, indirettamente, dall’art. IV Conv.) siano derogabili (ex art. VII Conv.) da disposizioninazionali meno onerose (ad es. che autorizzino la stipulazione di accordi in forma non scritta,v., ad es. art. 1507 N.C.P.C., secondo cui la “convention d’arbitrage n’est soumise à aucunecondition de forme” e art. 7, co. 1, New Zealand Arbitration Act, art. 7 Legge ModelloUNCITRAL, seconda opzione), contrari, per tutti, VAN DEN BERG, The New York Convention,cit., 178 e ss.; favorevoli, per tutti, BORN, International Commercial Arbitration, cit., 670;BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 129 ss.

(64) Così, fra le altre, Cass. Sez. Un., 22 maggio 1995 n. 5601; Cass. Sez. Un. 20 novembre1992 n. 12385; Cass. Sez. Un. 9 ottobre 1984 n. 5028; v. anche Cass. 16 novembre 1992 n. 12268e Cass. 15 gennaio 1992 n. 405 (in questa Rivista, 1992, 689 con commento di PIETRANGELI) rese,però, in un giudizio per il riconoscimento del lodo.

(65) Cfr. artt. 808, co. 2, c.p.c. e 178, co. 3, LDIP.(66) V. art. 14 del contratto, correttamente citato dalla Corte nella sua integralità.

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Oltre a rigettare l’eccezione di invalidità, la Corte rifiuta di dichiarareinefficace la clausola compromissoria. Secondo la Corte, infatti, “il proce-dimento di nomina” degli arbitri e le regole da adottare nell’arbitrato“esulano dalla questione di giurisdizione”. L’affermazione sembra condi-visibile, purché non generalizzata. A priori, infatti, non può escludersi cheil rinvio a un regolamento o un’istituzione inesistente possa, in particolaricircostanze, pregiudicare la possibilità di svolgere l’arbitrato e/o l’efficaciadel patto arbitrale, due profili ricompresi nell’ambito del controllo ex art.II, co. 3, Conv.

L’ordinanza non riporta il contenuto delle difese dedotte dalle parti.Non è, pertanto, possibile verificare se SD avesse motivato l’inefficaciadella clausola indicando che le parti avevano richiamato un regolamentoal tempo non più in vigore (perché sostituito dal regolamento svizzerod’arbitrato internazionale) ovvero che il regolamento richiamato era stato“abrogato” dopo la stipulazione dell’accordo. In entrambi i casi, la Corteavrebbe dovuto valutare, in base al diritto svizzero, il possibile riflessosull’efficacia della clausola. In tale valutazione, non avrebbero potuto nonavere rilevanza (in favore di una possibile efficacia del patto): (i) l’art. 1del regolamento svizzero di arbitrato internazionale (che ne prescrivel’applicazione quando la convenzione arbitrale fa riferimento “ai Regola-menti d’arbitrato delle Camere di commercio e dell’industria di ... Ti-cino”) (67) e (ii) il favor arbitrati a cui si ispira la giurisprudenza svizzeraquando esamina gli effetti di clausole compromissorie patologiche (68) edella successione di regolamenti arbitrali nel tempo (69).

LAURA BERGAMINI

(67) Sul regolamento svizzero di arbitrato internazionale, SCHERER, Revised Swiss Rulesof International Arbitration Enter Into Force, 31 maggio 2012, consultabile su www.kluwerar-bitrationblog.com.

(68) La giurisprudenza svizzera dà ampio effetto alla volontà arbitrale pur se espressa inclausole patologiche, ispirandosi al principio in favorem arbitrati implicito nell’art. 178, co. 2,LDIP. Ad esempio, il Tribunale Federale ha negato che la scelta dell’istituzione arbitrale sia unelemento essenziale dell’accordo compromissorio, dando effetto a una clausola riferita adun’istituzione inesistente (BGE 129 III 675, v. par. 2.3) o che non poteva amministrare laprocedura (Tribunale Federale, 4A_246/2011, 7 novembre 2011, in ASA Bull., 2012, 157, concommento di BEFFA, Decision 4A_246/2011 or the Leniency of the Swiss Federal TribunalTowards Pathological Clauses).

(69) Cfr. Tribunale Federale, Komplex v. Voest-Alpine Stahl, 14 giugno 1994 (in ASABull. 1994, 226, con nota di BESSON) secondo cui, in caso di modifica del regolamento arbitraledopo la stipula dell’accordo compromissorio, quest’ultimo rimane valido dovendosi applicare ilregolamento in vigore al momento della proposizione della domanda arbitrale (salvo modificheessenziali e imprevedibili).

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 3 giugno 2014, n. 12370; SALMÈ

Pres.; SCALDAFERRI Est.; DEL CORE P.G. (concl. conf.); Re Roberto (avv. Ghisolfi)c. Re Guerino e Ciocca Carla (avv.ti Romanelli e Morlotti).

Arbitrato - Arbitrato con pluralità di parti - Clausola compromissoria - Clausolacompromissoria binaria - Operatività.

Ai fini della compatibilità astratta tra clausola compromissoria binaria epluralità di parti, è necessario che si realizzi uno spontaneo raggruppamento degliinteressi in gioco in due gruppi omogenei tra loro distinti e contrapposti, restandoirrilevante, nel caso di mancata configurabilità di detta struttura bipolare, ognieventuale coincidenza delle posizioni difensive di parti contrapposte.

Innanzi ad una clausola, quale quella di prelazione, che traducendo innanzi-tutto l’interesse organizzativo dell’agire corporativo, assume una funzione specifi-camente sociale, anche la società è da considerarsi soggetto portatore di un propriointeresse autonomo e distinto da quello individuale dei soci e quindi parte interessataalla risoluzione della controversia.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. I due ricorsi, proposti avverso la medesimasentenza, debbono essere riuniti a norma dell’art. 335 cod. proc. civ. 2. Occorreinnanzitutto esaminare il ricorso incidentale, con il quale R.G. e C.C. censurano,sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 808c.p.c.) e sotto quello del vizio di motivazione, il rigetto della loro eccezione didifetto di giurisdizione in relazione alle domande aventi ad oggetto la violazionedel diritto di prelazione, che insistono nel ritenere devolute ad arbitri dallaclausola compromissoria contenuta nell’art. 27 dello statuto sociale della Calce-struzzi s.r.l. Sostengono che la struttura « binaria » di tale clausola non è incom-patibile con la pluralità dei soggetti coinvolti nella controversia, tenendo presenteche la nozione di parte va assunta nella accezione di centro di imputazione diinteressi; e che, una volta esclusa la attribuzione alla Calcestruzzi s.r.l. della qualitàdi parte nella controversia sulla cessione di quota sociale, i centri di interessecoinvolti si polarizzano in due soli gruppi sostanzialmente omogenei, rispettiva-mente il ricorrente R.R. che intende esercitare la prelazione ed essi controricor-renti che hanno interesse a conservare il negozio di cessione. 2.1. La doglianza èinfondata. È vero che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte dilegittimità, deve escludersi una incompatibilità, in via di principio, tra clausolacompromissoria binaria e pluralità di parti, richiedendosi piuttosto, ai fini dellacompatibilità, che si sia in effetti realizzato lo spontaneo raggruppamento degliinteressi in gioco in due gruppi omogenei e in concreto contrapposti. Tuttavia,secondo la stessa giurisprudenza richiamata, occorre anche che la specifica liteconcretamente promovenda avanti al collegio arbitrale sia di per sé compatibilecon la clausola: ove invece la pretesa azionata introduca, secondo la generale edastratta previsione del legislatore, un litisconsorzio necessariamente caratterizzatodalla presenza di più di due centri autonomi di interesse, non riconducibili a dettaprevisione bipolare, resta irrilevante ogni eventuale coincidenza delle posizionidifensive di parti contrapposte, derivante da valutazioni contingenti estranee allastruttura ed alla regolamentazione normativa della pretesa stessa, incontrandol’autonomia delle parti il limite della fattispecie legale (cfr. tra molte: Cass. n.

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2983/88; n. 14788/07; n. 1090/14). 2.2. La corte di appello ha correttamenteapplicato tali principi, avendo rilevato la presenza di una pluralità di parti,ciascuna portatrice di specifici interessi tra di loro confliggenti. Né vale opporreche la società resta estranea ad una controversia avente ad oggetto il contratto dicessione delle quote sociali, perché qui non è della cessione in sé che si contro-verte, ma della violazione della clausola statutaria di prelazione. Clausola il cuiinserimento nell’atto costitutivo assume il chiaro significato di attribuire ad essa —al pari di qualsivoglia altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individualidei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente — anche un valore rilevante perla società, la cui organizzazione ed il cui funzionamento l’atto costitutivo e lostatuto sono destinati a regolare. In tal modo, la clausola assume anche (oltre allafunzione di regolare le posizioni soggettive di soci o di terzi ai quali la società, inquanto tale, resti estranea) una rilevanza organizzativa, ovvero una funzionespecificamente sociale, venendo ad incidere sul rapporto tra l’elemento capitali-stico e quello personale della società, nel senso di accrescere il peso del secondoelemento rispetto al primo nella misura che i soci ritengano di volta in volta piùadatta alle esigenze dell’ente. È sulla base di tali considerazioni che la giurispru-denza ormai consolidata di questa Corte (cfr. tra molte: Sez. I n. 691/05; n.12012/98; n. 7614/96; n.7859/93) riconosce nella clausola statutaria di prelazione —accanto al carattere pattizio, connesso con l’interesse individuale dei soci stipulanti— il carattere sociale dell’interesse (organizzativo) sotteso alla clausola stessa, cheè evidentemente proprio della società come tale e trascende l’interesse individualedi ciascuno dei soci. Tale natura di regola organizzativa, del resto, costituisce laragione per la quale si afferma che gli effetti della clausola statutaria di prelazionesiano opponibili anche al terzo acquirente: perché, appunto, si tratta di una regoladel gruppo organizzato alla quale non potrebbe non sottostare chiunque volesseentrare a far parte di quel gruppo. 2.3. Pertanto, anche ad ammettere che cedentee cessionario costituiscano, nella presente controversia, una parte sostanzialmenteunica quale centro unitario di imputazione di interessi, dovrebbe aggiungersi nonsolo il socio pretermesso ma anche, alla stregua della sopra indicata valutazionedella natura intrinseca della domanda stessa, la società in quanto portatrice di unproprio interesse autonomo e distinto da quello individuale dei soci. Sicché la liteacquista una consistenza almeno tripolare, ostativa alla applicabilità del meccani-smo binario di nomina degli arbitri. Il rigetto del ricorso incidentale ne deriva dinecessità. (Omissis).

Clausola compromissoria binaria e arbitrato con pluralità di parti.

1. Pur foriera di indiscutibili vantaggi operativi (1), è noto come larisoluzione arbitrale delle controversie non risulti immune da alcuneproblematiche tecniche che, presentandosi come « rovescio della meda-

(1) In tal senso v. CAPONI, L’arbitrato amministrato dalle camere di commercio in Italia,in questa Rivista, 2000, 670 ss., richiamato da LUISO, L’arbitrato amministrato nelle controversiecon pluralità di parti, in questa Rivista, 2001, 605 ss.

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glia » (2) di un procedimento notoriamente snello e celere, interferisconocon il corretto funzionamento del meccanismo arbitrale, rischiando così diminare, alla base, il rispetto di quei canoni volontaristici e di liberadeterminazione dell’organo giudicante, elementi caratterizzanti dell’isti-tuto di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c.

Tra i tanti possibili esempi individuati dagli studiosi della materia,quello di cui si intende brevemente discutere in tal sede, a commento dellapronuncia di cui in epigrafe, è quello, di storia lunga e articolata (3), delc.d. « arbitrato multiparte » o « multiparti » (4) e, più nello specifico, delleproblematiche scaturenti dal (mancato) funzionamento della clausolacompromissoria a struttura binaria — cioè architettata sull’assunto di unalite necessariamente bipolare, e quindi tendenzialmente inadatta a diri-mere questioni coinvolgenti più centri d’interesse — a fronte di unapluralità di soggetti interessati alla risoluzione della lite compromessa (5).

La querelle in oggetto, di sicuro nota in virtù delle sue ricadutepratiche, che riguardano trasversalmente sia l’arbitrato comune che quellosocietario (6), ha, da tempo, interessato tanto la giurisprudenza, di meritoe legittimità (7), quanto la dottrina (8), impegnate entrambe, seppur su

(2) In tali termini si esprime LUISO, op. cit., 605.(3) Così SALVANESCHI, sub 816 quater c.p.c., in CHIARLONI (a cura di), Dell’Arbitrato.

Commentario al codice di procedura civile, Bologna, 2014, 452.(4) Per una panoramica dei problemi legati all’arbitrato multiparti si rimanda, innanzi-

tutto, a SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti (una pluralità di problemi), in Riv. dir.proc. 2002, 458 ss., e alla bibliografia ivi citata. Proprio secondo l’autore in ultimo citato,l’espressione utilizzata è senza dubbio ampia, essendo idonea a « indicare una serie di situazionitra loro eterogenee » potendosi immaginare una pluralità di parti protagoniste nel procedimentoarbitrale « in tutte le ipotesi che, rapportato al giudizio ordinario, darebbero luogo ad unprocedimento litisconsortile, a carattere originario o successivo, ma anche in quelle, probabil-mente anch’esse per la gran parte destinate a ricadere nella tipologia della connessione, che nelprocedimento ordinario darebbero luogo ad una lite litisconsortile facoltativa, in cui il collega-mento contrattuale può rendere opportuna la trattazione congiunta di una materia del contenderedi per sé analizzabile anche in singoli giudizi arbitrali ».

(5) Per un approfondimento generale della materia si vedano, in dottrina, BERNINI,L’arbitrato, Bologna, 1993, 230 ss., richiamato da ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessionesulla clausola binaria con pluralità di parti, nota a Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 23ottobre 1996, n. 4821, in questa Rivista, 1997, 743 ss. Sempre in argomento, e nella vastitàdell’esame dottrinale, si rimanda a BERNINI, L’arbitrato. Diritto interno. Convenzioni interna-zionali, Bologna, 1993; ID., Le clausole compromissorie, in GALGANO (diretto da), Trattato, Icontratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Torino, I, 1995, 173 ss.;BERNARDINI, Arbitrato con pluralità di parti e designazione degli arbitri: uguaglianza delle partie imparzialità degli arbitri, nota a Cour de Cassation, I chambre civile, sentenza 7 gennaio 1992,in questa Rivista, 1992, 99 ss.; LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Torino, 1995;MURONI, Clausola compromissoria « binaria » e pluralità di parti, in questa Rivista, 1998, 137;LUISO, op. cit.

(6) In tal senso vedi POLINARI, Pluralità di parti e pluralità di convenzioni di arbitrato,nota a Lodo reso in Roma il 17 maggio 2006, in questa Rivista 2006, 541. Pur non essendooggetto del presente approfondimento, si rimanda tra gli altri, ai fini di un’analisi introduttivadella materia, a LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. process., 2003, 705 ss. e RICCI,Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 20013, 217 ss.

(7) Indirizzata, in un primo tempo, ad affermare la nullità della convenzione arbitralebinaria, incapace di portare alla costituzione di un giudice imparziale — così App. Torino, 4

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fronti differenti, a identificare il corretto bilanciamento tra esigenze diordine teorico-sistematico — indirizzate alla salvaguardia dell’eguale par-tecipazione delle parti alla nomina del giudice privato, principio di ordinepubblico (9) posto a baluardo dell’imparzialità del collegio giudicante (10)— e risvolti pratici, focalizzati, di contro, sulla necessità di individuarepossibili alternative in caso di mancato funzionamento di un patto com-promissorio in tal senso strutturato.

Proprio di tali riflessioni, e in virtù della persistente rilevanza degli

gennaio 1951, in Giust. civ., 1951, I, 494, con nota di BIANCO, Clausola compromissoria percontroversie sociali e predeterminazione del numero degli arbitri; Trib. Cuneo, 16 gennaio 1952,in Foro it, 1952, I, 661 ss.; Trib. Verbania, 2 luglio 1952, in Temi, 1953, 131 ss.; App. Torino, 15luglio 1955, in Temi, 1955, 328 ss.; Cass. 20 dicembre 1992, n. 7049, in Rep. Foro it, 1982, voce« Arbitrato » n. 73 — e orientata, successivamente, a salvare la validità di una siffatta previsionein presenza di uno « spontaneo raggruppamento degli interessi in gioco in due soli gruppiomogenei e in concreto contrapposti, cioè in due sole parti » — in tal senso v. Trib. Milano, 16aprile 1984, in Soc., 1984, 1150 s.; Trib. Milano, 9 febbraio 1989, in Soc., 1989, 708 ss., con notaparz. diff. di TAURINI, Clausola arbitrale binaria nelle controversie sociali; con riferimento agliinterventi di legittimità ci si riferisce invece a Cass. sez. un. 11 ottobre 1957, in Temi, 1957, 581;Cass., 11 ottobre 1957, n. 3758, in Giust. civ., 1958, I, 66; Cass. 15 marzo 1983, n, 1900, in Giur.comm., 1983, 829 ss., con nota adesiva di SILINGARDI, e a Cass. 15 aprile 1988, n. 2983, in Soc.,1988, 583 —. Più recentemente, e nel senso di affermare la validità della clausola compromis-soria binaria in presenza di una pluralità di parti interessate alla risoluzione della lite si segnalaCass. sez. I, 6 luglio 2000, n. 9022, in Giust. civ., Mass., 2000, 1504; Cass. sez. I, 26 giugno 2007,n. 14788, in Giust. civ., Mass., 2007, 6; Cass. sez. I, 20 gennaio 2014, n. 1090, in Giust. civ., Mass.,2014 e in Foro it., Le banche dati, Archivio Cassazione civile.

(8) Oltre agli approfondimenti richiamati sub note 3 e 5, ci si riferisce, tra gli altri, aNOBILI, L’arbitrato delle associazioni commerciali, Padova, 1957; POLINARI, op. cit.; ID., sub art.816 quater c.p.c., in BENEDETTELLI, CONSOLO, RADICATI DI BROZOLO (diretto da), Commentariobreve al diritto dell’arbitrato nazionale ed internazionale; RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’ar-bitrato, Padova, 2006, 412 ss.; ID., Il diritto dell’arbitrato. Disciplina comune e regimi speciali,Padova, 2010, 370 ss.; ROVELLI, Società commerciali, clausola binaria e il nuovo testo dell’art. 809c.p.c., in La riforma dell’arbitrato, reperibile su www.csm.it; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato,Milano, 1988; SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, Padova, 1999; ID., sub art. 816quater c.p.c., in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 249; ID.,sub 816 quater c.p.c., op. cit.; VECCHIONE, Impossibilità di nomina degli arbitri e nullità di clausolecompromissorie per pluralità di parti, in Foro pad., 1952, III, 77 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Laconvenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004; ID., sub art. 806, in CARPI (diretto da),Arbitrato, Bologna, 2012.

(9) Come sottolineato da ROVELLI, op. cit., « la dottrina, anche la più risalente » — v.CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, I, 522; REDENTI, Diritto proces-suale civile, 954, III, 546; ANDRIOLI, in Riv. dir. comm., 1942, II, 34; VECCHIONE, L’arbitrato nelsistema del processo civile, Milano, 1971, 278 — « è pressoché concorde » — eccezion fatta peralcuni autori, tra cui v. GUARINO, Nomina degli arbitri rimessa ad una delle parti, in Dir. e Giur.,1954, 119 — « nel ritenere di ordine pubblico il principio c.d. della par condicio nella nominadegli arbitri », venendo supportata tale ricostruzione anche dalla giurisprudenza di legittimità— sul punto pacifica sin da Cass. 20 febbraio 1951, n. 419, in Giur. compl. cass. civ., 1951, I, 563— secondo cui la cooperazione di tutte le parti alla scelta dell’arbitro è coessenziale alla naturastessa dell’arbitrato. Per un’interessante approfondimento, tanto più di portata comparata, circala natura « pubblicistica » di tale principio e sulle conseguenti ricadute di tale configurazione sirimanda, altresì, a BERNARDINI, op. cit., 104 ss.

(10) Sul punto si vedano, richiamati in nota da ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 745,CECCHELLA, L’arbitrato, Bologna, 1990, 11 ss.; ID., Il processo arbitrale, in questa Rivista, 1995,219 e 228 ss.; FAZZALARI, L’imparzialità del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, 193 ss.; RICCIARDI, Lascelta degli arbitri e la costituzione del collegio arbitrale: deontologia e prassi, in questa Rivista,1992, 793 ss.

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argomenti trattati, di rinnovato interesse tanto più a seguito della sentenzadi legittimità di cui si discute, si intende fornire al lettore la seguente brevetrattazione, con l’intento di evidenziare, in primis, i tratti salienti e iperimetri applicativi della disciplina di cui in oggetto e offrire, in secundis,e a mero titolo propositivo, alcuni spunti di riflessione circa l’attualequadro giuridico di riferimento, così come risultante a seguito dell’inter-vento riformatore del 2006.

2. Prima di addentrarci in un più analitico esame della materia,risulta opportuno riassumere, per maggiore chiarezza e seppur per sommicapi, i fatti posti alla base dell’intervento di legittimità oggetto del pre-sente commento (11).

Nello specifico, la controversia di cui si discute, pur portando all’af-fermazione di principi di indiscussa rilevanza pratica e riflesso teorico, traeorigine da una vicenda tendenzialmente « semplice », che gravita princi-palmente, e per ciò che rileva in tal sede (12), intorno all’inoperatività,ritenuta dal giudice di primo grado innanzitutto (13), e confermata dallaCorte di Appello poi (14), della clausola compromissoria di cui all’art. 26dello Statuto sociale — avente all’epoca struttura binaria, in quantodevolveva la controversia alla decisione di tre arbitri, due dei quali danominare da ciascuna delle parti ed il terzo, in caso di disaccordo, dalpresidente del Tribunale — ad una controversia inerente la violazione deldiritto di prelazione in caso di trasferimento delle partecipazioni sociali.

Più in particolare, per il tramite del ricorso incidentale proposto avversola « doppia conforme » sopra menzionata, veniva richiesto ai giudici di le-gittimità di censurare il rigetto dell’eccezione del difetto di giurisdizione,sollevato in relazione alle domande riguardanti la violazione del diritto diprelazione di cui in oggetto, e ciò in considerazione del fatto che, innanzi aduna previsione riguardante il trasferimento delle quote della società, si ve-

(11) Per completezza, si segnala che Cass. sez. I, 3 giugno 2014, n. 12370, oggetto dellapresente nota è già stata pubblicata in Foro it.; 2014, 10, 1, 2826, in www.giustiziacivile.com, connota di AMENDOLAGINE, I requisiti di validità della clausola compromissoria binaria nellecontroversie plurilaterali, e in Diritto & Giustizia, 1, 2014, 188 ss., con nota di BRUNO.

(12) Pur risultando desumibili dal testo del provvedimento citato, si segnala che i motividedotti nel ricorso principale riguardano i) la ritenuta esclusione del diritto di riscatto in casodi violazione del diritto di prelazione previsto dall’art. 7 dello statuto; ii) la nullità della sentenzaimpugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c.; iii) la censura, sotto il profilo della violazione e falsaapplicazione di norme di diritto (art.1226 cod. civ.) e sotto quello del vizio di motivazione, delrigetto dell’appello incidentale proposto avverso il rigetto della domanda di risarcimento deldanno; iv) la censura, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art.92 c.p.c.) e sotto quello del vizio di motivazione, della statuizione relativa alla compensazioneintegrale delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, motivata dalla Corte di meritocon riferimento alla « natura della causa, al dibattito aperto in dottrina sulle questioni prospettatecon argomentazioni puntuali, e all’esito del giudizio ».

(13) Ci si riferisce a Trib. Pavia, 4 giugno 2004.(14) Ci si riferisce a App. Milano, 12 ottobre 2007, n. 2705.

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nissero a configurare non più di due centri di interesse contrapposti (15), cosìrisultando applicabile, senza dubbio alcuno, il meccanismo compromissorioa struttura binaria contenuto nel contratto sociale.

Posizione, quest’ultima, rigettata senza indugi dall’esame della Cortedi Cassazione che, lungi dal prendere posizione (16) sulla possibile dichia-razione di nullità delle clausole compromissorie statutarie redatte, comenel caso in esame, ante 1º gennaio 2004 (17) — così avallando, parrebbe

(15) Rispettivamente il soggetto interessato ad operare la prelazione e quelli intesi aconservare il negozio di cessione.

(16) Con riferimento alle problematiche sottese alla validità delle clausole binarienell’ambito societario, si rimanda, tra gli altri e per un’introduzione generale e una panoramicadelle principali questioni a MIRANDA, La clausola compromissoria: applicazione ed invalidità, inSoc., 2010, 288 ss. Al fine di un approfondimento più specifico sull’argomento si vedano, inoltre,favorevoli all’inserimento di una clausola compromissoria di diritto comune anche a livellostatutario: AULETTA, La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34 d.lgs. 17gennaio 2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-)orientamenti del notariato, in questa Rivista, 2004,361 ss.; CERRATO, Arbitrato societario e doppio binario: una svolta?, in Giur. it., 2007, 907 ss.; ID.,Arbitrato societario: nuove conferme per il « doppio binario », in Giur. it., 2007, 2240 ss.; ID.,Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune: una convivenza ancora difficile, in Giur. comm.,2006, II, 513 ss.; ID., Arbitrato societario, clausola non conforme e « doppio binario », nota aCass. 9 dicembre 2010, n. 24867, in Giur. comm., 5, 2011, 1080; MERONE, Le due forme d’arbitratoe la materia societaria: un rapporto da ricostruire in termini di alternatività, in Giur. mer., 2006,119 ss.; RECCHIONI, L’arbitrato in materia societaria fra clausola compromissoria preesistente e iussuperveniens (nota a Coll. arb. Biella, 24 maggio 2004), in questa Rivista, 2004, 777 ss.; SALAFIA,Alcune questioni di interpretazione del nuovo arbitrato societario, in Soc., 2004, 1457; posizioni,queste, supportate in giurisprudenza da App. Torino, 4 settembre 2007, in Guida dir., 2007, 47,50; Trib. Bari, 2 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 2237; Trib. Ravenna, 13 febbraio 2006, inGiur. Merito, 2006, 6, 10; Trib. Bologna, 25 maggio 2005, in Giur. it., 2006, 1640; Trib. Genova,7 marzo 2005, in Giur. comm., II, 500; Trib. Torino, 27 settembre 2004, in Soc., 2005, 899 ss.Sempre in dottrina, favorevoli alla nullità della clausola compromissoria si vedano, tra gli altri,BIANCHINI, Osservazioni in tema di (in)validità delle clausole compromissorie non adeguate allanuova disciplina dell’arbitrato c.d. « endo-societario », in Giur. comm., 2006, I, 410 ss.; BOGGIO,Le clausole compromissorie statutarie alla luce dell’art. 34, 2º comma, d.lgs. n. 5 del 17 gennaio2003, in questa Rivista, 2005, 199 ss.; CORSINI, La nullità della clausola compromissoria statutariae l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, I, 809 ss.; RICCIO, La sorte dellevecchie clausole compromissorie societarie dopo l’entrata in vigore dell’art. 34, 2º comma, d.lgs.n. 5 del 2003, in Contr. imp., 2006, 35 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Modelli arbitrali e controversiesocietarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 516 ss., nonché, in giurisprudenza, oltre alla citataCass. 9 dicembre 2010, n. 24867, Trib. Salerno, 12 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, 4, II, 865,con nota di CORSINI, Società di persone, clausola compromissoria statutaria ed arbitrabilità dellecontroversie in materia di scioglimento del rapporto sociale; App. Torino, 4 agosto 2006, in Giur.it., 2007, 398; Trib. Tortona, 3 agosto 2004, in Giur. comm., 2006, II, 498; Trib. Milano, 25 giugno2005, in Giur. it., 2006, 1639; Trib. Milano, 4 maggio 2005, in Giur. it., 2005, 1653 ss.; Trib.Catania, 26 novembre 2004, in Corr. giur., 2005, 1131; Trib. Latina, 22 giugno 2004, in Soc., 2005,93. Tra la giurisprudenza arbitrale si rimanda poi ad Arb. Genova, 29 aprile 2005, in questaRivista, 2006, 169, con nota di SOLDATI, Arbitrato societario e nullità della clausola arbitralebinaria; Arb. Bologna, 15 ottobre 2004, in Soc., 2005, 1176, con nota di POZZEBON, Nuovoarbitrato societario: la sorte delle « vecchie » clausole compromissorie statutarie. Per una indica-zione ancor più analitica dei riferimenti dottrinali e giurisprudenziali in tema di veda AMENDO-LAGINE, op. cit., 12.

(17) Per contrasto con norma imperativa sopravvenuta, e cioè per mancata conformitàagli artt. 34, comma 2 (« La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degliarbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggettoestraneo alla società »), e 35 (rubricato « Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale »)del d.lgs. 5 del 2003.

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potersi dedurre, la tesi volta a sostenerne la validità —, individua, invece,come intrinsecamente ricorrente nella fattispecie in esame almeno unatriplicità di centri di interessi coinvolti, risultando anche la società (tantopiù a fronte di una clausola quale quella di prelazione, che traduceinnanzitutto l’interesse organizzativo dell’agire corporativo, così assu-mendo una funzione specificamente sociale) essere soggetto portatore « diun proprio interesse autonomo (...) distinto da quello individuale dei soci »e quindi parte interessata alla risoluzione della controversia.

Nello specifico, il ragionamento sviluppato dalla Corte poggia ilproprio argomentare su due linee guida differenti, la prima volta adidentificare, in sintonia con i precedenti giurisprudenziali sul punto, lacorretta portata applicativa del termine parte del procedimento arbitrale,la seconda indirizzata a riconfigurare la natura del diritto di prelazionestatutaria e, conseguentemente, (il numero de)gli interessi omogenei —rectius (del)le parti — intorno a quest’ultimo gravitanti.

È infatti per il tramite di tale doppio esame che i giudici di legittimitàgiungono così ad escludere l’applicabilità, al caso in esame, del meccani-smo di nomina scaturente da una clausola compromissoria binaria ed è ditali questioni, e delle problematiche ad esse sottese, che si intende oraproseguire con l’ulteriore breve seguente approfondimento.

3. Come noto, l’insorgere di liti coinvolgenti una pluralità di parti hatradizionalmente costituito un ostacolo alla possibilità di adire la viaarbitrale per la risoluzione di controversie (18).

In particolare, le tematiche derivanti dalla suddetta fattispecie pluri-soggettiva non riguarderebbero esclusivamente la problematica, di naturaprettamente tecnica, relativa alla formazione di un collegio dispari diarbitri, ma abbraccerebbero, più in generale, la necessità di addivenire allaformazione di un collegio imparziale (19), nonostante il numero plurimodelle parti (20).

Risolta cioè la quaestio preliminare — a detta di autorevole dottrina,fin scontata (21), nel caso in cui la lite de qua risulti ab initio plurisogget-tiva (22) — intesa a verificare che tutte le parti interessate abbiano sceltodi percorrere la via arbitrale rinunciando, così, alla giurisdizione ordina-

(18) In tali termini POLINARI, op. cit., 537. Ma vedi anche SALVANESCHI, L’arbitrato conpluralità di parti, una pluralità, cit., 458 ss.

(19) In tal senso BERNARDINI, op. cit., 101.(20) Così SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità di parti, cit., 184.(21) Così LUISO, L’arbitrato amministrato, cit., 605.(22) Come afferma POLINARI, op. cit., 538, la questione assume però soverchia rilevanza nel

caso in cui, solo in un secondo tempo, il procedimento arbitrale assuma le vesti litisconsortili. Perun’analisi generale della materia si rimanda a ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale,cit., 143 ss. Sul tema specifico del litisconsorzio successivo si rinvia, tra gli altri, a FAZZALARI, Ledifese del terzo rispetto al lodo rituale, in questa Rivista, 1992, 613; RUFFINI, L’intervento nel giudizioarbitrale, in questa Rivista, 1995, 645; ID., Il giudizio arbitrale con pluralità di parti, in Studi in onore

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ria (23), ciò che risulta infatti indispensabile è l’individuazione di unmeccanismo di nomina che dia seguito ai principi d’imparzialità e paritàdelle parti (24), così garantendo la formazione di un collegio arbitraleequidistante e in nulla suspectus, formato, come previsto per legge, da unnumero dispari di componenti.

Più in particolare, il nodo cruciale della materia, consistente nellanecessità di garantire l’eguale cooperazione delle parti nella costituzionedel tribunale arbitrale — che proprio in tale simmetrico agire troverebbela garanzia della propria imparzialità (25) — aprirebbe, poi, le porte a dueulteriori sotto-questioni, di indiscussa rilevanza teorica e ricaduta pratica.

Se infatti, da un lato, risulta necessario chiedersi a cosa corrisponda ilcontenuto del diritto riconosciuto alle parti di cooperare nella formazionedel collegio giudicante, è indiscutibile come dall’altro, e preliminarmente,sia essenziale un esame volto a delimitare a chi tale diritto debba esserericonosciuto, potendo quindi legittimamente essere identificato comeparte in caso di arbitrato plurisoggettivo.

Orbene, con riferimento al primo argomento, pare opportuno, innan-zitutto, richiamare quanto affermato in dottrina (26), e sottolineare comeil diritto all’eguale cooperazione delle parti nella costituzione del tribunalearbitrale non significhi, di per sé, diritto alla nomina del proprio arbitro,quanto piuttosto diritto alla nomina del proprio arbitro nella misura in cuitale facoltà venga riconosciuta all’altra parte in gioco.

In altre parole, il principio in commento richiede che ogni partepartecipi alla formazione del collegio giudicante alla pari delle altre, senzache nessuna eserciti un ruolo predominante, e ciò finanche nell’ipotesilimite in cui queste rinuncino liberamente e in modo condiviso alla nominadell’arbitro o del collegio, che verrà in tal caso demandata ad un terzo (27).

di Luigi Montesano, Padova, 1997, 669 ss.; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova,2000, 564. Dottrina, questa, richiamata da POLINARI, op. cit., 538.

(23) Opportuno rammentare, come fa TAURINI, op. cit., 711, che ogni pattuizione dideroga alla competenza del giudice naturale ordinario deve essere sottoposta ad una interpre-tazione restrittiva. In tal senso v., tra le altre, Cass. 27 gennaio 1981, n. 628, in Giur. comm., 1981,II, 888.

(24) In tal senso, tra gli altri, vedi LUISO, L’arbitrato amministrato, cit., 2001; SALVANESCHI,L’arbitrato con pluralità di parti, una pluralità, cit., 458 ss.; POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c.,cit., 208.

(25) In tali termini ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessione, cit., 749 ss.(26) Ci si riferisce a ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessione, cit., 749, che richiama

BERNARDINI, op. cit., 107, che sottolinea come « l’impostazione della giurisprudenza italiana (...)fa salva la clausola binaria ritenendo che questa soddisfi il principio di uguaglianza delle partiinteso come diritto di ciascuna parte in conflitto di partecipare alla nomina dell’arbitro e non comediritto di designare un arbitro ».

(27) Come sottolinea MURONI, op. cit., 139, « la condizione di parità tra le parti in lite nellanomina degli arbitri, se non è funzionale a garantire l’obiettività di ogni arbitro » — per i quali,anzi, pare ammissibile riconoscere quella sorta di « parzialità presunta », cui si riferisce RUBINO

SAMMARTANO, op. ult. cit., 372, che richiama ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessione, cit., 743

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Ecco quindi che la cooperazione di cui si discute (28), che traduce ilprincipio di eguaglianza dei contendenti, assume contenuto variabile,venendo di volta in volta richiamata al fine di tutelare un agire specularedei soggetti coinvolti nella lite, così garantendo, in primis, il principio diautonomia delle parti, (punto di riferimento del procedimento arbitrale)ed in secundis, la formazione di un judex equidistante e, cioè, oggettiva-mente indipendente e soggettivamente imparziale.

Con riferimento, invece, al secondo profilo, che potremmo definire diportata soggettiva, ma che ha un’immediata ricaduta pratica sulla forma-zione del collegio arbitrale (29), diverse sono poi le problematiche di cuitenere conto.

Innanzitutto — e dando per assunta la nozione di parte intesa in sensosostanziale, così come affermata dagli arresti giurisprudenziali di cui sitratterà nel paragrafo seguente — i primi due argomenti di cui è neces-sario discutere sono infatti quello relativo (i) al momento in cui la pluralitàdei soggetti in gioco, e cioè dei litisconsorti, si concretizza nel procedi-mento arbitrale, nonché quello riguardante (ii) il rapporto tra questiintercorrente.

Se infatti, in base alla sezione temporale in cui tale concorso simanifesta, possono verificarsi problematiche ulteriori in ordine all’inter-vento o alla chiamata del terzo pretermesso (30), è con riferimento alrapporto esistente tra le parti in lite che occorre soffermarsi ulteriormente,essendo essenzialmente due le soluzioni potenzialmente concretizzabili:l’una, caratterizzata dalla circostanza che i soggetti coinvolti abbianoposizioni tra loro inconciliabili — c.d. litisconsorzio reciproco o liti stel-lari (31) —, l’altra, connotata, di contro, da una tendenziale omogeneitàdelle pretese invocate, tendenzialmente catalizzabili attorno a due solicentri di interesse tra loro confliggenti e quindi riconducibili, nella loro

— « tende comunque, in via mediata, a determinare l’imparzialità del collegio nel suo com-plesso ».

(28) Che è coessenziale alla natura dell’arbitrato. Per tutte, v. Cass. 20 febbraio 1951, n.419, cit.

(29) In tal senso si veda POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c., cit., 208, che richiama, tra glialtri, MURONI, op. cit., 143 ss.; RUFFINI, Il giudizio arbitrale, cit., 689; SALVANESCHI, L’arbitrato conpluralità di parti, cit., 166; ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessione, cit., 757; LUISO, L’arbi-trato amministrato, cit., 605 ss.

(30) Si tenga presente che le problematiche in tal sede sollevate hanno trovato parzialerisoluzione a seguito della riforma del 2006, che pur ha lasciato aperte alcune questioni cosìcome descritto nei paragrafi seguenti. Si tenga però fin da ora conto della posizione delladottrina — v. POLINARI, Pluralità di parti, cit., 538, che richiama REDENTI, Il giudizio civile conpluralità di parti, 1960, Milano, 5 — che ha « posto in evidenza come le modalità di formazionedi collegi arbitrali rispettosi dei principi di imparzialità e di parità delle parti debbano esserediversi a seconda che ci si trovi di fronti a situazioni di litisconsorzio semplice o reciproco ».

(31) In tal senso MENCHINI, Il processo litisconsortile: struttura e poteri delle parti, Milano,1993, 84, richiamato da POLINARI, Pluralità di parti, cit., 540.

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rinnovata qualità di parti, ad uno schema di lite bipolare, idonea asottostare ad una clausola compromissoria a meccanismo binario di no-mina del collegio arbitrale.

Orbene, la discussione che segue intende occuparsi proprio di taliultimi argomenti, offrendo una sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale edottrinale sui temi in oggetto nonché del quadro legale di riferimento aseguito dell’intervento riformatore del 2006.

4. Come anticipato, i profili in ultimo richiamati offrono lo spuntoper passare in rassegna le posizioni nel tempo emerse, tanto in giurispru-denza quanto in dottrina, circa la conciliabilità di una controversia pluri-soggettiva con uno schema di nomina arbitrale binario, per definizionediretto ad una lite semplice o bipolare.

Nello specifico, lo sforzo interpretativo cui gli studiosi sono stati neltempo chiamati è consistito, principalmente, nella necessità di coordinareil corretto coinvolgimento di tutti i contendenti nel caso in cui questi sifossero trovati innanzi ad un meccanismo di nomina del tribunale arbitraleinteso a riconoscere, da un lato, e ad entrambe le parti — necessariamentenon più di due — il diritto di nomina del proprio arbitro, nonché adaffermare, dall’altro, il dovere di quest’ultimo, in cooperazione con l’ar-bitro di parte nominato dall’altro litigante, di identificare un terzo sog-getto che, in quanto presidente del collegio, avrebbe garantito imparzialitàed equidistanza nel giudizio.

Procedimento di nomina, questo, che poggiava e poggia ancora lapropria indiscussa « superiorità » in particolare sulle modalità di selezionedel terzo arbitro, individuate come « chiave di volta della struttura colle-giale » nonché « culmine e garanzia dello spirito di imparzialità che la deveanimare » (32), e che entrava irrimediabilmente in crisi laddove correlatoad una fattispecie plurisoggettiva, comportando una nomina in tal sensostrutturata l’inevitabile conseguenza di escludere, in evidente contrastocon il principio di paritarietà, una o più parti dalla formazione del collegiogiudicante (33).

Orbene, in relazione a tale inceppamento nel meccanismo di sele-zione, due furono, nel tempo, le posizioni emerse in sede giurispruden-ziale: l’una, estremamente rigida, volta a negare finanche la validità dellaclausola compromissoria non operativa, l’altra, più funzionale, intesa adichiararne la semplice inapplicabilità al caso di specie.

Più in particolare, ed in un primo momento, dal meccanismo diselezione di cui si discute e dalla sua irrimediabile incapacità, o per meglio

(32) LA CHINA, op. cit., 78.(33) Per un’analisi sintetica di tali argomentazioni si veda, inter alia, POLINARI, sub art. 816

quater c.p.c., cit., 208.

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dire « costituzionale inidoneità » (34) ad assolvere alla propria funzione —quella di nomina del tribunale arbitrale — venne infatti dedotta la nullitàdel patto compromissorio per contrarietà al principio — giova ricordarlo,essenziale al procedimento arbitrale, nonché di ordine generale in quantovolto all’imparzialità del tribunale tutto (35) — di parità delle parti nellaformazione del collegio arbitrale (36).

Posizione, questa (37), che, poiché eccessivamente rigorosa nella pra-tica e intrinsecamente contraddittoria nella teoria (38), venne fin da subitoriformata da un’antitetica corrente giurisprudenziale che — più per ungenerale principio di conservazione che per un vero e proprio favorarbitratus (39) — risultava, e risulta ad oggi, intesa, di contro, a preservarela validità della clausola compromissoria in tal senso pattuita, fermarestando la sanzione di inefficacia nel caso in cui detta previsione, per imotivi strutturali di cui sopra, risulti inidonea ad assicurare una correttacomposizione del tribunale arbitrale (40).

(34) In tal senso si esprime ROVELLI, op. cit., 2.(35) In tal senso MURONI, op. cit., 138.(36) Tale impostazione è quella emersa dalle citate App. Torino, 4 gennaio 1951, in

Giust. civ., 1951, I, 494, con nota di BIANCO Clausola compromissoria per controversie sociali epredeterminazione del numero degli arbitri; Trib. Cuneo, 16 gennaio 1952, in Foro it., 1952, I, 661ss.; Trib. Verbania, 2 luglio 1952, in Temi, 1953, 131 ss.; App. Torino, 15 luglio 1955, in Temi,1955, 328 ss.; Cass. 20 dicembre 1992, n. 7049, in Rep. Foro.it, 1982, voce « Arbitrato » n. 73.

(37) Per la verità, da subito contestata da quella dottrina — v. SCHIZZEROTTO, op. cit., 345e NOBILI, op. cit., 307 — che, invece, sottolineava la possibilità di « salvare » il procedimentoarbitrale delegando direttamente al Presidente del Tribunale, in caso di pluralità di parti, lanomina dell’intero collegio. Posizione, questa, combattuta da chi, contrariamente, e forse inmaniera un po’ forzata, vedeva nella pattuizione di una clausola compromissoria binaria,l’implicita volontà delle parti di escludere la « via arbitrale » in ogni caso di arbitrato multiparti— così TAURINI, op. cit., 711 —.

(38) Come affermato in dottrina, ex multis ROVELLI, op. cit., 2, la sanzione della nullitàrisulterebbe inadeguata per eccesso, non potendosi affermare la validità o meno di unadisposizione a seconda della fattispecie che regola ed essendo invece corretto, così come fannoCass. 11 gennaio 1956, n. 16, in Foro it., Mass., 1956, 4 e Cass. 25 maggio 1956, n. 1789, ivi, 1956,326, dichiarare l’invalidità di una tale clausola solo laddove essa sia strutturata in modo tale dapregiudicare sempre e con riferimento a qualsiasi fattispecie controversa la essenziale parete-ticità delle parti.

(39) Mai particolarmente avvertito dai nostri giudici. In tal senso, MURONI, op. cit., 139.(40) Vasta, e ormai pacifica, è la giurisprudenza sul punto. Oltre alle citate v. Trib.

Milano, 16 aprile 1984, in Soc., 1984, 1150 s.; Trib. Milano, 9 febbraio 1989, in Soc., 1989, 708ss., con nota parz. diff. di TAURINI, Clausola arbitrale binaria nelle controversie sociali; conriferimento agli interventi di legittimità ci si riferisce invece a Cass. sez. un. 11 ottobre 1957, inTemi, 1957, 581; Cass., 11 ottobre 1957, n. 3758, in Giust. civ., 1958, I, 66; Cass. 15 marzo 1983,n, 1900, in Giur. comm. 1983, 829 ss., con nota adesiva di SILINGARDI, e a Cass. 15 aprile 1988,n. 2983, in Soc., 1988, 583; Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 23 ottobre 1996, n. 4821,con nota di ZUCCONI GALLI FONSECA, Qualche riflessione, cit. Più recentemente, e nel senso diaffermare la validità della clausola compromissoria binaria in presenza di una pluralità di partiinteressate alla risoluzione della lite si segnala Cass. sez. I, 6 luglio 2000, n. 9022, in Giust. civ.,Mass., 2000, 1504; Cass. sez. I, 26 giugno 2007, n. 14788, in Giust. civ., Mass., 2007, 6; Cass. sez.I, 20 gennaio 2014, n. 1090, in Giust. civ., Mass., 2014 e in Foro it., Le banche dati, ArchivioCassazione civile. In dottrina si rimanda, tra gli altri, a NOBILI, op. cit., 307; RUBINO SAMMARTANO,

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Più nello specifico, tale soluzione, « volta ad assicurare il massimo dioperatività possibile della clausola, con il limite insuperabile del rispetto delprincipio di cooperazione di tutte le parti alla nomina degli arbitri » (41),passerebbe attraverso l’abbandono, per i fini specifici di cui in oggetto enel solo caso di giudizio plurisoggettivo, del concetto formale di parte, cheandrebbe invece rivisto in chiave sostanziale, e cioè non come singoloindividuo — sia esso persona fisica o giuridica — bensì come « gruppo disoggetti il cui aggregarsi spontaneo » — valutabile in relazione al petitumed alla causa petendi e solo per il tramite di un esame ex post, (e con tuttele conseguenze negative che tale giudizio successivo può comportare) (42)— « intorno ad un nucleo di interessi convergenti » traduce il diritto diesprimere un’unica ed unitaria nomina arbitrale (43).

In sintesi, e per riassumere, solo laddove il concreto atteggiarsi degliinteressi in gioco risultasse quindi assimilabile ad una lite semplice —venendosi cioè spontaneamente (44) a creare, a monte dell’iter arbitrale,due soli centri di interessi tra loro contrapposti (45) — sarà pertantopossibile attivare il meccanismo di nomina binario, dovendosi altrimenti

Il diritto dell’arbitrato, Padova, 2005, 391; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV,2, Milano, 1971, 250; SCHIZZEROTTO, op. cit., 342.

(41) V. ROVELLI, op. cit., 3.(42) Si pensi, ad esempio, all’incertezza circa il funzionamento della clausola compro-

missoria de qua, il cui concreto operare potrà essere verificato solo per il tramite di un ricorsoall’Autorità giudiziale nonché alle difficoltà, che emergono soprattutto nel caso di arbitrati conpluralità di parti, che si incontrano nel garantire la parità delle parti nella fase iniziale delprocedimento arbitrale (così MURONI, op. cit., 139) e cui solo un deciso intervento del legislatorepotrebbe porre rimedio. Oppure all’incertezza sulla inattaccabilità della decisione arbitrale, cosìcome sottolinea BERNARDINI, op. cit., 107.

(43) In tal senso vedi, tra gli altri, SALVANESCHI, Dell’arbitrato, cit., 451.(44) Come è noto, non è riscontrata in capo al giudice la facoltà di procede ex officio al

raggruppamento delle parti in lite. Nondimeno, è però riconosciuto — sebbene a fronte diqualche perplessità: sul punto si segnalano i ragionamenti di SALVANESCHI, L’arbitrato conpluralità, cit., 178 ss. — all’Autorità giudiziaria — a tutela, si direbbe, dei principi generalisottesi alle norme processual-civilistiche — il potere di dissociare le parti sostanziali giàcostituite. Il problema è rilevante soprattutto nel caso in cui i litiganti si trovino in posizione taleda dare vita ad un litisconsorzio necessario. La possibilità di salvare comunque l’operativitàdella clausola binaria pare infatti essere condizionata, oltre che dalla spontanea aggregazionedelle parti, anche dalla natura del litisconsorzio: solo nei casi di litisconsorzio facoltativo laformazione dei due poli sarà legittima, laddove nei casi di litisconsorzio necessario, il collegioarbitrale dovrà, rilevata la natura del rapporto sottostante, dichiarare il proprio difetto digiurisdizione. Certo è che la valutazione della domanda dedotta in giudizio per verificare labipolarizzazione della lite deve essere svolta dal giudice con particolare accortezza, dovendoegli verificare la possibilità di raggruppamento non solo in relazione al thema decidendum, il piùvolte contraddistinto da un cumulo di domanda, ma anche in relazione alle eventuali questionipregiudiziali di rito. Così MURONI, op. cit., 142, che richiama TAURINI, op. cit., 713.

(45) E si tenga presente, così come sottolineato dalla Corte, che « ove invece la pretesaazionata introduca, secondo la generale e astratta previsione del legislatore, un litisconsorzionecessariamente caratterizzato dalla presenza di più di due centri di interesse, non riconducibilia detta previsione bipolare, resta irrilevante ogni eventuale coincidenza delle posizioni difensivedi parti contrapposte, derivante da valutazioni contingenti estranee alla struttura ed alla regola-mentazione normativa della pretesa stessa, incontrando l’autonomia delle parti il limite dellafattispecie legale ».

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decretare, in tutti gli altri casi — ivi compreso quello di un litisconsorziofacoltativo in cui, però, non avviene la richiesta bipolarizzazione sponta-nea delle posizioni in gioco (46) — l’inoperatività della clausola compro-missoria in tal senso pattuita tra le parti (47).

5. Dai ragionamenti sopra esposti è rimasto senza dubbio affasci-nato il legislatore della riforma (48) che, conscio delle problematichesottese alla materia in esame, è intervenuto, in un quadro di razionaliz-zazione generale della disciplina dell’arbitrato, apportando, nello specificoe per la prima volta, una disciplina tailor made per il giudizio plurisogget-tivo (49).

Volendo infatti tralasciare un più puntuale esame delle considerazionisvolte dai giudici di legittimità con riferimento alla clausola statutaria diprelazione (50) — la cui indiscussa rilevanza organizzativa ha condotto, daun lato, all’attribuzione della qualità di parte anche alla società, e consa-crato, dall’altro, la consistenza almeno tripolare della lite de qua —, ildiscorso che si ritiene opportuno affrontare in tal sede è quello relativoall’attuale quadro normativo post-riforma, non potendosi d’altronde nonsottolineare come la stessa quaestio giuridica sottoposta allo scrutiniodella Corte — laddove sorta in epoca successiva — avrebbe forse potutotrovare una disciplina ad hoc, specificamente intesa — sebbene con i limitidi cui si dirà a breve — a regolare il caso dell’arbitrato plurisoggettivo.

Disciplina, occorre aggiungere, intrinsecamente ispirata, ora, al ri-

(46) E quindi passibile di giudizio ordinario o di molteplici giudizi arbitrali distinti — cosìVECCHIONE, op. cit., 80; SCHIZZEROTTO, op. cit., 343; RUBINO SAMMARTANO, op. ult. cit., 394. Conriferimento, invece, al litisconsorzio necessario si veda quanto brevemente affermato alla nota40.

(47) Ex multis v. POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c., cit., 209.(48) Ci si riferisce al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.(49) Chiaro è in tal senso il dettato della legge 14 maggio 2005, n. 80, di delega al governo

per la modifica del codice di procedura civile in materia di giudizio di cassazione e di arbitrato,che all’art. 1, comma 2, lett. b) preveda, inter alia, la necessità di una « riforma in sensorazionalizzatore » della disciplina dell’arbitrato. Per un approfondimento sulla materia si veda,tra gli altri, RICCI, La delega sull’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005, 951 ss. e PUNZI, Ancora sullalegge delega in tema di arbitrato: riaffermazioni della natura privatistica dell’istituto, in Riv. dir.proc., 2005, 963.

(50) Pur non essendo, nello specifico, oggetto del presente approfondimento — essendola clausola in oggetto niente più che il « casus belli » da cui origina l’intervento di legittimità dicui si discute —, si rimanda, tra gli altri e per un esame generale della materia a CARDARELLI,Gradimento e prelazione: funzionalità organizzativa della compagine sociale, in Soc., 1998, 3, 284ss.; CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Questioni in tema di prelazione statutaria, Studio n.158-2012/1; FARENGA, Spunti ricostruttivi in tema di prelazione convenzionale societaria, in Riv.dir. comm., 1989, II, 267 ss.; GUERRIERI, Questioni aperte in tema di prelazione statutaria, in Giur.comm., 2011, I, 828 ss. e STABILINI, L’interpretazione e l’applicazione delle clausole di prelazionestatutarie, in Soc., 2014, 1, 100. Con riferimento all’esame giurisprudenziale della clausola diprelazione si vedano, in ultimo, Cass. 3 giugno 2014, n. 12370, in www.iusexplorer.it, Trib.Napoli, 3 dicembre 2013, in www.iusexplorer.it e Trib. Napoli, Ord. 21 novembre 2013, in Soc.,2014, 3, 355.

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spetto della libera determinazione delle parti, sia questa « originaria osuccessiva » (51), nella formazione del collegio giudicante, così comeemerge, limpidamente (52) da un dettato, quale quello codicistico, che, peril tramite del suo art. 816-quater e nei limiti del possibile, fissa inderoga-bilmente il carattere volontaristico della procedura arbitrale, così trac-ciando una netta linea di confine con l’arbitrato c.d. societario, inteso dicontro a imporre, a pena di nullità della clausola compromissoria, il notomeccanismo eteronomo di nomina arbitrale, affidando ad un terzo estra-neo alla società la decisione concernente il collegio giudicante (53).

Nello specifico, e con riferimento, quindi, al quadro attuale, ciò cherisulta importante evidenziare è, in primis, come la norma in questione,sebbene « rea », a detta di alcuni (54), di dettare una disciplina eccessiva-mente statica — concernente la conformazione che la convenzione d’ar-bitrato deve avere per consentire l’instaurazione di una lite con pluralitàdi parti — e anzi in nulla dinamica — cioè intesa a sopperire in itinere adeventuali improcedibilità dell’arbitrato — della fattispecie in esame, abbiail merito indiscusso di apportare un seppur timido bilanciamento ad unsistema, quale quello di selezione arbitrale, storicamente costruito perrispondere alle esigenze di una lite bipolare — come d’altronde eviden-ziato, ancor oggi, dalla formulazione dell’art. 810 c.p.c. —, così risolvendo,almeno in parte, quelle difficoltà di funzionamento dell’arbitrato plurisog-gettivo, a tal punto note, da essere ormai parte integrante della storiadell’istituto de quo.

Difficoltà di funzionamento, è bene sottolineare, cui il D. Lgs. 40 del2006 ha cercato di dare pronta risposta per il tramite di due soluzioniprecise consistenti, la prima, nella regolamentazione delle modalità di

(51) POLINARI, sub 816 quater c.p.c., cit., 213.(52) Sebbene apportando una disciplina non immune da critiche. In tal senso si veda il

par. 6 che segue. Ma giova fin da ora sottolineare, preliminarmente, le problematiche scaturentidal regime transitorio dettato dall’art. 27 del decreto 40 del 2006.

(53) SALVANESCHI, sub 816 quater c.p.c., cit., 454. Evidenzia le diversità strutturali del-l’arbitrato di diritto comune e dell’arbitrato societario MERONE, in PICARDI, sub 816 quater c.p.c.,in Codice di Procedura Civile, Milano, 2008, 3700. Più in generale sulla nuova disposizione sivedano, tra gli altri, Bove, la nuova disciplina dell’arbitrato, in BOVE-CECCHELLA, Il nuovoprocesso civile, Milano, 2006, 75; CORSINI, Riflessioni a prima lettura sulla riforma dell’arbitrato,in www.judicium.it, 2006; MARENGO, Processo arbitrale, in FAZZALARI (a cura di), La riformadella disciplina dell’arbitrato, Quaderno dell’Associazione Italiana per l’Arbitrato, Milano,2006.

(54) V. SALVANESCHI, sub 816 quater c.p.c., cit., 450, secondo cui « le ragioni dell’omissionedi ogni disciplina dinamica del vizio in esame sono da ricercare nella indiscutibile mancanza dipoteri coercitivi nell’organo arbitrale, ma ciò non significa, tuttavia, che anche in quest’ambitonon ci siano margini di correzione dell’errore iniziale che meritino di essere indagati ». Nellospecifico, l’Autore evidenzia come l’articolo in commento non contenga alcuna regolamenta-zione del procedimento arbitrale litisconsortile eventualmente iniziato da o nei confronti dialcuni soltanto dei litisconsorti necessari, dovendo rinvenirsi i dettagli applicativi di taledisciplina dal coordinamento dell’articolo in oggetto con la regola contenuta nel successivo art.816-quinquies laddove si richiede che nel novellato procedimento arbitrale sia sempre ammessol’intervento del litisconsorte necessario pretermesso.

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nomina degli arbitri con una compiuta serie di ipotesi volte a garantire laterzietà e la parità delle parti nell’ambito del procedimento, e identifica-bile, la seconda, nella individuazione delle ricadute pratiche scaturentidalla violazione delle regole procedurali in tal senso predisposte.

Più in particolare, e dato inoltre per assunto il requisito — condiciosine qua non (sebbene anch’esso non scevro da critiche di cui si dirà nelparagrafo seguente) dell’arbitrato plurisoggettivo — consistente nellasottoposizione dei soggetti litiganti alla medesima convenzione di arbi-trato (55), il disposto dell’art. 816-quater affida infatti la celebrazione di ununico procedimento arbitrale a un’autonoma scelta delle parti che rece-pisca, però, i sistemi di nomina prescritti, affermando di contro, e nel casoin cui ciò non si verifichi, o l’improcedibilità dell’arbitrato e la necessariariaffermazione del processo ordinario nel caso di litisconsorzio necessa-rio (56), o la scissione della procedura in tanti procedimenti quanti sono leparti, in caso di litisconsorzio facoltativo.

Soluzioni, quest’ultime prospettate, che senza dubbio recepiscono icanoni ermeneutici-giurisprudenziali sopra esposti, lasciando così la portaaperta a quello spontaneo raggruppamento di interessi che garantirebbe,in ogni modo, il funzionamento della clausola compromissoria binaria, eche parrebbe per altro limpidamente richiamato dallo stesso dettatolegislativo, laddove si identifica, tra le condizione di procedibilità dell’ar-bitrato plurisoggettivo, il meccanismo di nomina volto a far sì che le « altreparti », dopo che la prima ha nominato l’arbitro o gli arbitri, « d’accordo(tra loro) » — così raggruppandosi, si parrebbe dedurre, in un unico polod’interesse omogeneo sotto il punto di vista processuale e non necessa-riamente anche sostanziale (57) — « nomin(i)no un ugual numero di arbitrio ne affidino a un terzo la nomina ».

Modalità di selezione, quest’ultima, di sicuro maggiormente funzio-nale e rispettosa dei canoni volontaristici sopra citati, ma a sua volta nondel tutto esente da alcune perplessità.

(55) Scelta legislativa, questa, da alcuni critica. In tal senso v. SALVANESCHI, sub art. 816quater c.p.c., in MENCHINI, cit., 237 e POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c., cit., 208. Entrambi gliautori sottolineano come la disposizione in oggetto, applicandosi solo alle ipotesi in cui le partisiano vincolate alla medesima convenzione di arbitrato (e oltre ad evidenti svantaggi economicie di sistema), lasci fuori tutte quelle fattispecie in cui le parti siano vincolate da distinteconvenzioni di arbitrato presenti in contratti variamente collegati tra di loro e sussista tra lediverse liti un vincolo di connessione.

(56) Come sottolineato in dottrina, v. RUBINO SAMMARTANO, op. cit., 375, tale situazionepresuppone che il litisconsorte necessario non abbia partecipato alla convenzione arbitrale onon abbia aderito alla necessaria aggregazione per la nomina degli arbitri. Ove invece egli abbiapartecipato alla convenzione arbitrale, ma non sia stato coinvolto nel procedimento, si dovràprocedere all’integrazione del contraddittorio.

(57) Sul punto v. SALVANESCHI, sub art. 816 quater c.p.c., in MENCHINI (a cura di), cit., 245,che richiama RICCI, op. cit., 448.

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6. Una lettura attenta e propositiva della sentenza in esame offresenza dubbio lo spunto per qualche considerazione mirata circa la bontàdell’intervento riformatore del 2006.

Nello specifico, e come appena anticipato, in quanto diffusamentesottolineato in dottrina, il disposto dell’art. 816-quater (58) lascerebbeaperte diverse questioni e non risulterebbe in grado di fornire « quellachiarezza che ci si attendeva » da un’opera riformatrice, anzi responsabile« di non contemplare alcune importanti ipotesi di litisconsorzio inizialenell’arbitrato » e di non apportare alcuna distinzione tra « i diversi tipi diconnessione sussistenti tra le posizioni soggettive di cui le parti si affermanotitolari » (59).

In particolare, due, inter alia, sarebbero i profili problematici cheemergono da una lettura attenta della norma in oggetto: il primo — legatoper materia alla vicenda esaminata dall’intervento della Corte — riguar-dante le possibili conseguenze derivanti dalla novità dell’estensione dellarichiamata regola anche alle cause litisconsortili necessarie (60); il secondo— di cui si intende dare atto in quanto di indiscussa rilevanza pratica —relativo alla necessaria, e a onor del vero limitante, ricorrenza di un’unicaconvenzione d’arbitrato tra le parti in gioco.

Orbene, volendo esaminare brevemente i due suddetti profili proble-matici, è da sottolineare, innanzitutto e preliminarmente, come « l’infeliceformulazione della norma » (61) comporti senza dubbio la necessità dirifarsi, ancor oggi e al fine di maggiore chiarezza e praticità, a quei criteriinterpretativi finora descritti, i quali assumono, in tal senso, rinnovataattualità ogni qual volta ci si trovi innanzi a questioni di tal genere.

Più in particolare, e con riferimento al primo argomento delineato, icui ragionamenti assumono specifico interesse anche ai fini della vicendade qua, il richiamo agli approfondimenti elaborati nel corso del tempo in

(58) Per comodità, si riporta il disposto dell’articolo menzionato, ai sensi del quale« Qualora più di due parti siano vincolate dalla stessa convenzione d’arbitrato, ciascuna parte puòconvenire tutte o alcune delle altre nel medesimo procedimento arbitrale se la convenzioned’arbitrato devolve a un terzo la nomina degli arbitri, se gli arbitri sono nominati con l’accordodi tutte le parti, ovvero se le altre parti, dopo che la prima ha nominato l’arbitro o gli arbitri,nominano d’accordo un ugual numero di arbitri o ne affidano a un terzo la nomina. Fuori dei casiprevisti nel precedente comma il procedimento iniziato da una parte nei confronti di altre si scindein tanti procedimenti quante sono queste ultime. Se non si verifica l’ipotesi prevista nel primocomma e si versa in caso di litisconsorzio necessario, l’arbitrato è improcedibile ».

(59) POLINARI, Pluralità di parti, cit., 543, e POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c., inBENEDETTELLI, CONSOLO, RADICATI DI BROZOLO (diretto da), cit., 213, il quale, tra i tantimenzionati, porta l’esempio del litisconsorzio unitario, caratterizzato, pur a fronte della facol-tatività dell’istituto, da un medesimo petitum e causa petendi e tendenzialmente dimenticatodalla previsione del legislatore, che « evidentemente presuppone che la facoltatività del litiscon-sorzio sia sempre indice di liti sul piano sostanziale ».

(60) Per un esame approfondito si veda SALVANESCHI, sub art. 816 quater c.p.c., inMENCHINI (a cura di), cit., 244 ss.

(61) POLINARI, op. ult. cit., 213.

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sede giurisprudenziale e dottrinale risulterebbe indispensabile innanzi aquelle criticità nascenti dall’estensione della norma in commento alleipotesi di litisconsorzio necessario e individuabili soprattutto nella (i)tendenziale facilità con cui la via arbitrale rischierebbe di venir sabotatadal comportamento delle parti in lite e nella (ii) condanna di improcedi-bilità del giudizio arbitrale in tutti i casi in cui, a fronte di una plurisog-gettività vincolata, non si versi nelle ipotesi previste dal comma 1 dellanorma ora in esame.

Nello specifico — e fermo restando l’indiscusso pregio da riconoscersialla norma di aver ammesso in linea di principio la compatibilità traaggregazione di interessi (processuali e/o sostanziali) e litisconsorzio ne-cessario — è infatti opportuno segnalare come il dettato codicistico, cosìcome formulato, nel consentire a più soggetti portatori di interessi sostan-ziali disomogenei di riunirsi sotto il profilo processuale al solo fine dipermettere la fisiologica formazione del collegio arbitrale, lasci apertal’ipotesi patologica consistente nel fatto che più titolari di un unicointeresse sostanziale decidano — in chiara violazione del dovere di lealecollaborazione delle parti nell’attività di costituzione del collegio giudi-cante — di non dare luogo ad un’aggregazione processuale, non effet-tuando un’unica nomina e così rendendo improcedibile la via arbi-trale (62), necessariamente abbandonata a favore del ricorso al giudiceordinario.

Ipotesi, quest’ultima, che chiaramente denota un’eccessiva debolezzadella previsione in commento, in tale ambito talmente attenta a tutelare lavolontà dei contendenti da sembrare quasi incapace di trovare il giustomezzo tra autonomia delle parti e certezza — e quindi affidabilità — delprocedimento tutto (63).

In altre parole, l’eccessiva elasticità del dettato del codice parrebbepermettere un richiamo fin troppo facile ad una sanzione, quella diimprocedibilità, di sicuro eccessivamente drastica nell’arbitrato, tipica-mente ed essenzialmente connotato dell’autonomia negoziale, così sotto-ponendo il buon esito — nonché l’essenza stessa — della procedura tutta

(62) Così SALVANESCHI, op. ult. cit., 245. Si tenga però conto dell’osservazione emersa indottrina — v. MURONI, op. cit., 141 — secondo cui anche nel caso di litisconsorzio necessario sidovrebbe verificare in concreto se veramente ognuna delle parti abbia interessi distinti econtrastanti con quelli delle altri parti, stante che « la ricorrenza di un’ipotesi di litisconsorzionecessario di per sé non significa che le diverse parti formali abbiano ciascuna un interessesostanziale all’esito della lite diverso dalle altre ». Di contro, il comune interesse sostanziale nonsempre è coincidente ad una comune linea difensiva: si pensi al caso in cui entrambe le partichiedano il rigetto o l’accoglimento di un ricorso, pur sulla base di interessi sostanzialisottostanti tra loro non omogeni.

(63) Molte sono infatti le ipotesi che condannano l’arbitrato all’improcedibilità: si pensi,ad esempio, al caso del litisconsorte necessario pretermesso che, a prescindere dal mero datotemporale legato al suo ingresso nella procedura (che potrebbe ben essere arrivata alle suebattute conclusive), non presti il suo consenso al collegio già costituito, così condannando glialtri contendenti ad abbandonare la via arbitrale a favore del giudizio ordinario.

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non solo (i) all’avveramento delle condizioni procedurali delineate alcomma 1 dell’art. 816-quater ma anche (ii) a strumentalizzazioni e appli-cazioni distorsive da parte dei soggetti sottoposti alla medesima conven-zione.

Il secondo profilo critico, relativo, invece, alla sottoposizione delleparti ad un’unica convenzione arbitrale, presenta, poi, ulteriori ed innu-merevoli problematiche teoriche e pratiche, di cui è necessario — perl’indiscussa centralità dalle stesse rivestita e seppur nella brevità delpresente scritto — dare sommariamente atto in tal sede.

Come è noto, in quanto disinteressata — così come chiaramentestatuito dal comma 1 dell’articolo in commento, il quale come fattispecietipo pone il caso in cui « più di due parti siano vincolate dalla stessaconvenzione d’arbitrato » — a tutte le ipotesi in cui un giudizio con piùsoggetti nasca da più contratti tra di loro collegati e connotati da diversipatti compromissori, la previsione in esame parrebbe comportare laconseguenza di rendere impossibile la realizzazione del cumulo di giudizinei casi in cui la plurisoggettività derivi, per esempio, da diverse clausolecompromissorie contenute in contratti collegati o avente medesimo con-tenuto e sottoscritti dal medesimo contraente, seppur tra loro non colle-gati (64).

Tale scelta del legislatore — non obbligata da un punto di vistasistemico e, soprattutto, non esente da dubbi interpretativi (65), tanto piùa fronte della presunta inderogabilità che la connota — implicherebbel’impossibilità di addivenire ad una possibile soluzione congiunta delle liti,con la conseguenza, tanto potenziale quanto rischiosa, di trovarsi innanzia decisioni arbitrali non coerenti o anzi, addirittura, contraddittore in tuttiquei casi in cui, tanto per un’esigenza di armonia di sistema quanto perbuon senso economico, una trattazione congiunta offrirebbe una soluzionemigliore rispetto a quella prospettata dal dettato della legge.

Ecco dunque che anche in tal caso, e tanto più a fronte di linee

(64) Per approfondire il tema, si rimanda, innanzitutto, a ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub806 c.p.c., in CARPI, (diretto da), Arbitrato, Bologna, 2007, 61 ss. Nello specifico l’Autoreapprofondisce analiticamente l’argomento, suddividendo il campo d’indagine in diverse edistinte fattispecie, prendendo in considerazione le quattro seguenti casistiche: (i) presenza dicontratti collegati tra medesime parti; (ii) presenza di contratti collegati fra parti diverse; (iii)ricorrenza di una convenzione arbitrale propria, nello specifico, ad uno solo dei contratticollegati; (iv) ricorrenza di più convenzioni arbitrali, contenute nei contratti collegati, fra loroincompatibili. Sempre in tema di veda ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale eefficacia della clausola compromissoria: il leasing e altre storie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000,1120 ss.

(65) Ci si riferisce a NELA, Art. 816-quater c.p.c., in CHIARLONI (a cura di), Le recentiriforme del processo civile, Bologna, 2007, 1742, n. 2. Nello specifico l’autore amplia l’ambitoapplicativo della disposizione affermando che la stessa « si applica non solo ai casi di stipula-zione congiunta di una convenzione arbitrale ad opera di più parti, ma anche a casi in cui lapluralità di sogetti tenuti alla convenzione si è verificata per fatti o atti sopravvenuti allaconclusione della convenzione ».

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interpretative a tal punto rigorose (66) da intravedere nel dettato di cuiall’art. 816-quater non solo la disciplina positiva dell’arbitrato litisconsor-tile ma anche la volontà generale del legislatore di impedire l’instaura-zione di arbitrati multiparti tra litisconsorti non vincolati dal medesimoaccordo compromissorio (67), « l’infelice formulazione della norma » sopramenzionata non potrà che richiedere, al fine di garantire fino in fondo ilrispetto dei canoni volontaristici citati e la corretta evoluzione del giudizioarbitrale, il costante ricorso agli escamotage già elaborati in giurisprudenzae dottrina, essendo questi i punti di riferimento migliori cui affidarsi tantonel silenzio della previgente normativa, quanto nella confusione derivantedal quadro post-riforma (68).

7. Al termine di questa breve disamina, e forti delle posizioni fatteproprie dal giudizio di legittimità, pare corretto sottolineare come lamateria dell’arbitrato multiparte e, più nello specifico, dell’applicazionedel meccanismo di nomina binario a fronte di più litiganti, vada senzadubbio letta sotto una duplice angolazione, l’una volta a evidenziare imeriti di un’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale capace, come ènoto, di identificare soluzioni operative tanto nel silenzio della norma,quanto, in seguito, nella confusione dalla stessa derivante, l’altra indiriz-zata a individuare i diversi margini di miglioramento di un dettato nor-mativo senza dubbio connotato da alcune debolezze e difficoltà interpre-tative.

In particolare, da una lettura attenta del dettato della Cassazione edei ragionamenti intorno allo stesso gravitanti, è dato riscontrare come, afronte di un intervento giurisprudenziale e dottrinale sul punto costante,preciso e puntuale, l’intervento riformatore del 2006 — che di talepercorso avrebbe dovuto porsi a coronamento — non risulti invecesufficientemente coraggioso nell’affrontare un tema, quale quello litiscon-sortile, che proprio in sede di procedimento arbitrale, indirizzato perdefinizione a dare risposta a quelle esigenze di libertà ed efficienza delleparti cui il giudizio ordinario non è in grado di dare piena espressione,dovrebbe trovare una più compiuta disciplina.

(66) Così LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile, Milano 2006, 289; RICCI, op. cit.,447 e 449.

(67) Che sarà invece ugualmente percorribile, disciplinata dai principi elaborati indottrina e giurisprudenza. Così nello specifico, e più in generale sul tema del collegamentocontrattuale v. POLINARI, Pluralità di parti e pluralità di convenzioni d’arbitrato, cit., 544 ss.

(68) Sul punto vedi poi POLINARI, sub art. 816 quater c.p.c., cit., 213 e SALVANESCHI, sub 816quater, cit., 237, nt. 7, che richiama sia Cass. 25 maggio 2007, n. 12321, con riferimento all’ipotesidi contratti collegati contenenti clausole compromissorie di identico contenuto da cui nascanocontroversie connesse e risolto nel senso della ammissibilità dell’instaurazione di un unicoprocedimento arbitrale pur in presenza di una duplicità di patti compromissori, sia, e per unesame più approfondito, ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, inwww.judicium.it.

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Più nello specifico, ammettere che la disposizione di cui all’art.816-quater sia sufficiente al fine di disciplinare tutte le varie ipotesi di liticon pluralità di parti, oltre che risultare incongruente da un punto di vistasistematico (si ricordi, a tal proposito, la scelta molto criticata di lasciareal di fuori del campo d’azione dell’articolo in oggetto tutte le ipotesi in cuile parti non siano sottoposte alla medesima convenzione d’arbitrato),parrebbe a chi scrive in disaccordo con la volontà generale, espressa dallalegge delega, di assicurare una più compiuta razionalizzazione della disci-plina in esame e di garantire quella volontà originaria o successiva delleparti del giudizio arbitrale, che al di fuori delle ipotesi tassative edinderogabili di cui al primo comma dell’articolo in esame vedrebberodrasticamente lesa (soprattutto in caso di litisconsorzio necessario e dellaconseguenze improcedibilità della via arbitrale) la propria intenzione diaddivenire ad un’unica soluzione della controversia in essere; e ciò, senzastare a ribadire le varie conseguenze problematiche di cui si è discusso nelcorso dell’approfondimento.

Ecco dunque che, innanzi ad un tale contesto di riferimento, ancor piùvalore parrebbe ricoprire l’intervento di legittimità in commento, inquanto capace di ribadire con forza e chiarezza — e sebbene nei limiti diuna fattispecie ante-riforma — l’assoluta attualità e centralità delle rifles-sioni e delle soluzioni operative emerse nel tempo in tema di arbitratoplurisoggettivo, anche e soprattutto a fronte di un dettato normativo che,per quanto di recente formulazione, non risulta ancora in grado di scrivereil lieto fine alla querelle oggi brevemente esaminata.

FEDERICO RIGANTI

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CORTE D’APPELLO DI ROMA, sentenza 29 agosto 2013; SORACE Pres.; DELL’ERBA

Est.; F.S. S.r.l. c. N.P. S.p.A.

Lodo - Impugnazione per nullità - Eccezione di giudicato - Carenza di potestasiudicandi - Inefficacia della convenzione d’arbitrato - Rilevabilità d’ufficio.

È nullo, per difetto di potestas iudicandi degli arbitri, il lodo che decide sullamedesima domanda che è stata oggetto di un precedente lodo passato in giudicato,in quanto quel lodo ha consumato il potere degli arbitri di decidere derivante dallaclausola compromissoria. Tale questione è rilevabile d’ufficio dalla Corte d’appelloadita ai sensi dell’art. 829 c.p.c., alla quale è tuttavia precluso il passaggio alla faserescissoria mancando in radice la potestas decidendi degli arbitri, ed è deducibile exnovo e rilevabile d’ufficio anche innanzi alla Cassazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con atto di citazione notificato in data 28 aprile2006 F.S. proponeva impugnazione avverso il lodo in epigrafe che, in parzialeaccoglimento della propria domanda, aveva condannato N. P. S.p.A. al pagamentoin suo favore della somma di “EUR 756.000,00 in relazione ai risultati finali delcontratto Dw., in adempimento alle disposizioni contenute nel Sale Of BusinessAgreement e nell’atto di integrazione e conformemente ai principi stabiliti nellodo arbitrale 2003”, l’impugnante deduceva che la pronuncia traeva origine da uncontratto di cessione di azienda e relativo atto integrativo conclusi fra le parti il 23dicembre 1998 ed il 10 dicembre 1999, con cui F.S. aveva acquistato da N.P.l’azienda S., comprendente due importanti contratti conclusi con la società brasi-liana P.bras. e con la società siriana Dw.; che nell’atto integrativo le parti avevanostabilito un aggiustamento del prezzo di cessione originariamente convenuto inbase ai criteri stabiliti nel contratto, impegnandosi a rinviare l’analisi dei risultatidei due contratti al momento della definitiva chiusura delle commesse e adaddivenire, di conseguenza, ad un ulteriore successivo adeguamento del prezzo dicessione; che insorta controversia fra le parti su tale adeguamento del prezzo dicessione, in data 2 dicembre 2003, F.S. aveva adito il Collegio Arbitrale sulla scortadella clausola compromissoria prevista nel contratto; che il giudizio si era conclusocon la liquidazione della somma di LIRE 494.000.000 in favore di F.S. conriferimento al contratto P.bras e con riferimento al contratto Dw., i cui risultatinon erano stati considerati finali, non essendo all’epoca chiusa la commessa, ilCollegio aveva stabilito che tutte le differenze avrebbero dovuto essere congua-gliate tra le parti una volta divenuti definitivi ed incontestati i risultati del contrattoe sulla base degli stessi criteri indicati nel lodo con riferimento al contratto P.bras;che detto lodo non era stato impugnato dalle parti ed era divenuto definitivo evincolante; che una volta divenuti definitivi ed incontestati i risultati del contrattoDw, F.S. aveva chiesto a N.P. il conguaglio del prezzo in suo favore e, poiché N.P.si era rifiutata di adempiere alla sua obbligazione, F.S. aveva instaurato un nuovoprocedimento arbitrale, conclusosi con il lodo in questione.

(Omissis).Con il quarto motivo di impugnazione F.S. lamentava la nullità del lodo per

contrarietà/difetto di motivazione/eccesso di potere (art. 829 n. 4 c.p.c.)/perviolazione degli artt. 822, 115 e 112 c.p.c. (829 co. 2 c.p.c.), per contrasto con lastatuizione del lodo del 2003 (art. 829 n. 8 c.p.c.).

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(Omissis).Si costituiva N.P. S.p.A. che contestava i motivi di impugnazione proponeva

a sua volta impugnazione incidentale, deducendo la nullità del lodo per avere ilCollegio accolto domande di F.S. improponibili, perché già respinte con il lodo2003 (art. 829 co. n. 8 c.p.c.) e per l’error in judicando (art. 829 co. 2 c.p.c.).

N.P. deduceva che il lodo del 2003 non conteneva alcuna condanna nell’ancon riferimento alle perdite asseritamente patite per la commessa Dw., per cui illodo del 2006 in esame non avrebbe dovuto emettere una pronuncia di condannanel quantum) mancando la disposizione.

(Omissis).Come rilevato dal Collegio nell’ordinanza del 4 ottobre 2012 il lodo arbitrale

impugnato dev’essere, in limine, dichiarato nullo per difetto di potestas judicandidegli arbitri, in quanto, avendo il Collegio nel 2003 già pronunciato un lododefinitivo sulla medesima domanda, passato in giudicato perché non impugnato(circostanza pacifica), ha consumato il potere di decidere in ordine alla medesimasulla scorta della clausola compromissoria contenuta nel contratto in atti e nonpoteva essere adito una seconda volta sulle stesse questioni già risolte in modoirrevocabile.

Tale questione può ben essere sollevata d’ufficio dalla Corte adita ai sensidell’art. 829 c.p.c. poiché il giudice dell’impugnazione del lodo è tenuto a verificareanche d’ufficio che gli arbitri siano stati effettivamente investiti dalla potestesjudicandi sulla base di un valido compromesso per arbitrato rituale ed inoltre lequestioni relative all’esercizio da parte degli stessi arbitri di un potere loro nonattribuito (ossia relativo all’usurpazione della funzione giurisdizionale) è deduci-bile ex novo e rilevabile d’ufficio, con il solo limite del giudicato, anche innanzi allaCassazione (Cfr Cass. civ. 8410/98).

Il caso in esame è equiparabile ad un’ipotesi di esercizio della funzionegiurisdizionale in assenza di clausola arbitrale, poiché quella contenuta nel con-tratto fra le parti ha esaurito la sua efficacia, con riferimento alla controversia inquestione, con la pronuncia arbitrale del 2003. La circostanza che la questione siastata sollevata da N.P. davanti agli arbitri, sia stata respinta e non più ripropostain sede di impugnazione ex art, 829 c.p.c., non implica poi che si sia formato sullamedesima alcun giudicato né preclusione, poiché l’impugnazione del lodo non siconfigura come giudizio di gravame, bensì di nullità e quindi si tratta di un giudizioin unico grado avente ad oggetto la validità del lodo (Cfr Cass. civ. n. 5358/99, n.12031/04, n. 9394/11).

Pertanto il giudicato può formarsi soltanto in ordine alle statuizioni dellasentenza emanata dalla Corte ex art. 829 c.p.c.

Nelle ipotesi quali quelle in esame è poi precluso alla Corte d’Appello ilpassaggio alla fase rescissoria, mancando in radice la potestas decidendi e confi-gurandosi appunto l’eventuale pronuncia degli arbitri come una vera e propriausurpazione di potere (Cfr. Cass. civ. 22083/09, n. 16977/06, n. 2598/06, n. 19994/04).

Alla nullità del lodo consegue l’accoglimento della domanda, proposta daN.P., di ottenere la restituzione di quanto pagato in conseguenza del lodo annul-lato.

(Omissis).

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La rilevabilità d’ufficio dell’inesistenza della convenzione d’arbitrato perconsunzione (a causa di altro lodo su medesima domanda).

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma, innanzialla quale è proposta impugnazione per nullità ex art. 828 ss c.p.c., dichiarain limine nullo un lodo arbitrale per carenza di potestas iudicandi degliarbitri che l’hanno pronunciato.

Gli arbitri si sarebbero pronunciati sulla medesima domanda propo-sta nell’ambito di un precedente procedimento arbitrale, sfociato in unlodo passato in giudicato perché non impugnato, quindi avrebbero con-dotto e concluso definitivamente un arbitrato sulla base di una clausolacompromissaria, la stessa originante il primo arbitrato, spirata.

I casi arbitrali, a monte della vicenda giurisdizionale che qui sicommenta, nascevano da una clausola compromissoria inserita in uncontratto di cessione d’azienda concluso, nel dicembre del 1998, tra duesocietà italiane attive nel settore dell’oil & gas. Oggetto di tale cessioneerano anche due contratti, il primo con una società brasiliana e il secondocon una società siriana, le cui commesse erano decisive ai fini delladeterminazione del prezzo dell’azienda ceduta, tanto che, con atto inte-grativo, le parti si erano impegnate ad adeguare quel prezzo, originaria-mente convenuto in base a determinati criteri indicati nel contratto dicessione d’azienda, al momento della definitiva chiusura di dette com-messe.

Il primo arbitrato, sorto nel dicembre 2003 sull’adeguamento delprezzo di cessione, si era concluso con un lodo definitivo che avevaliquidato, a titolo di conguaglio, e solo con riferimento al contrattobrasiliano, una certa somma a favore della società cessionaria; con riferi-mento a quello siriano, i cui risultati non erano ancora definitivi, lamedesima domanda di condanna era stata, anche nella sua formulazionesubordinata di condanna generica, respinta, limitandosi allora il collegioarbitrale a dichiarare che (solo) « quando i risultati del contratto sianodiventati finali ed indiscutibili, le parti dovranno procedere ad un’analisidegli stessi, secondo criteri indicati in questo lodo in relazione al contratto[brasiliano] ».

Il secondo arbitrato, conclusioni nel 2006 con lodo dichiarato nullocon le sentenza in epigrafe, veniva instaurato, ancora dal cessionario,quando, divenuti quei risultati definitivi, il cedente si era ancora rifiutatodi adempiere l’obbligazione del pagamento del conguaglio del prezzo. Illodo, in parziale accoglimento della domanda dell’istante, aveva condan-nato il cedente al pagamento di una certa somma, applicando i principiprescritti dal lodo del 2003, oltre che quelli stabiliti nel contratto dicessione. Il cessionario impugnava il lodo deducendo, insieme ad altri vizi,il contrasto col primo lodo passato in giudicato, ex art. 829, comma 1, n. 8,

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c.p.c., per non aver il secondo rispettato i parametri fissati dal primo e lìindicati come vincolanti. Proponeva impugnazione incidentale il cedente,anche questo invocando il n. 8 dell’art. 829 c.p.c., deducendo la nullità dellodo, pronunciatosi sul quantum in assenza di una disposizione sull’an, noncontenuta nella precedente statuizione arbitrale.

Ebbene, per la Corte d’appello di Roma quel secondo lodo è nullonon perché contrario « ad altro precedente lodo non più impugnabile » (exart. 829, comma 1, n. 8, c.p.c.) bensì, ancor più radicalmente, per carenzadi potestas iudicandi degli arbitri. Questi si sarebbero pronunciati sullamedesima domanda introduttiva del giudizio arbitrale conclusosi con lodopassato in giudicato, quindi in forza di una clausola che aveva esaurito lasua efficacia. Tale nullità, rilevata d’ufficio dalla Corte d’appello in sede diimpugnazione, era peraltro stata già vagliata e respinta dal collegioarbitrale e non riproposta come motivo di impugnazione.

Nella presente nota si analizzerà la decisione della Corte in ordinealla rilevabilità d’ufficio di tale nullità, come indiretta conseguenza del-l’inquadramento dell’impugnazione come « giudizio in un unico grado » edella, ancora conseguente, mancata applicazione a detto giudizio delprincipio della conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione.Non senza, preliminarmente, aver considerato che per la Corte d’appellodi Roma un lodo passato in giudicato soffoca la clausola in forza del qualeè stato pronunciato così impedendo un nuovo giudizio arbitrale sullamedesima quindi che l’eccezione di giudicato arbitrale dissimuli unaquestione di competenza (1).

2. Che la questione del giudicato, in arbitrato, dissimuli una que-

(1) La Corte d’appello di Roma, frustrando del tutto il risultato arbitrale (e la stessascelta delle parti a favore dell’arbitrato, che dovrebbe avere tra i suoi vantaggi la celerità e lastabilità del suo risultato, a fronte dei suoi ingenti costi) ha impiegato sette anni per pronunciarsinei termini supra. Nel lasso di tempo intercorso dalla data di inizio del secondo arbitrato aldeposito della sentenza che qui si commenta, è intervenuta una importante riforma (quella perd.lgs. 40/2006), per molti suoi aspetti non applicabile ratione temporis al caso di specie, ma,soprattutto, mutato non di poco il quadro giurisprudenziale dell’arbitrato. Dato, quest’ultimo,che non agevola l’analisi, analisi che crediamo comunque utile già solo per una migliorecomprensione del dato positivo attuale. Che la Corte d’appello necessiti poi di una « iniezionedi rapidità ed efficienza », lo ha notato recentemente anche FABBI, Sulla discutibile reclamabilitàdel provvedimento che conceda o neghi l’inibitoria del lodo, in Giur. it., 2015, 439 ss., nelcommentare un’ordinanza della medesima sezione (App. Roma, sez II, 10 luglio 2014), cheammette la reclamabilità dell’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c., facendo leva sull’assi-milazione del procedimento volto all’inibitoria ex art. 830, ultimo comma, c.p.c. e quellocautelare, che, a sua volta, muove dalla considerazione (la stessa da cui muove la decisione chequi si commenta) per cui l’impugnazione per nullità non configura un giudizio di secondo grado:ciò che giustifica la non estensione delle inibitorie previste per le sentenze e, nel caso in esame,l’applicazione del principio di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame. Nel caso inesame la sospensiva non era stata disposta e lo stesso impugnante principale (cessionario) si èvisto condannato, dopo sette anni, al pagamento in favore dell’impugnante incidentale (ce-dente) di quanto il secondo aveva già pagato al primo, a titolo di conguaglio, in conseguenza dellodo poi annullato, oltre alla rivalutazione monetaria.

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stione di competenza, rectius di potestas iudicandi degli arbitri, nonconvince. La Corte, aderendo alla teoria processuale del giudicato (2),riconduce l’ipotesi de qua entro il motivo di cui al n. 4 dell’art. 829 c.p.c.,pur non richiamandolo direttamente, e non entro il motivo di cui al n. 8invocato dalle parti, assumendo che gli arbitri abbiano deciso il merito inun caso in cui il merito non poteva essere deciso. Più esattamente, per laCorte d’appello di Roma gli arbitri, del secondo arbitrato, hanno pronun-ciato il merito pur in presenza di una questione processuale impediente,quale è, secondo la ricostruzione processualistica dell’effetto di ne bis inidem, l’esistenza di una precedente decisione arbitrale (sulla medesimadomanda) divenuta incontrovertibile. Il testo della norma di cui all’art.829, comma 1, n. 4, c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie inesame, anteriore alle modificazioni introdotte dal d.lgs. 40/2006, avvol-geva, sia pur in via interpretativa, quei medesimi « altri » casi.

Tuttavia, come correttamente rilevato dalla dottrina che ha calato iltema del giudicato nel contesto arbitrale e della sua impugnativa (3), se cosìfosse, il motivo di cui al n. 8 (in forza del quale un lodo è impugnabile se « ècontrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedentesentenza passata in giudicato tra le parti » anche nella sua formulazione anteriforma) sarebbe svuotato della sua portata applicativa bastando la fatti-specie delineata dal n. 4 (« se il lodo [...] ha deciso il merito della controversiain ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso ») a coprirel’ipotesi de qua. Nell’intentio legis c’era invece l’esigenza di separare e,quindi, di distinguere gli effetti dell’uno o dell’altro: infatti, ai sensi dell’art.830, comma 2, c.p.c., nel caso in cui la Corte d’appello annulli il lodo per ilmotivo di cui al n. 4, la Corte d’appello, nel rispetto del principio del doppiogrado di giudizio, si deve arrestare alla fase rescindente annullando il lodoe rimettendo le parti in primo grado; mentre nel caso in cui il lodo vengaannullato per il motivo di cui al n. 8, la Corte, secondo quanto previstosempre dall’art. 830, comma 2, c.p.c., anche in un’ottica di economia pro-cessuale, prosegue nel merito decidendo conformemente a quanto decisonel precedente lodo, così garantendo una pronuncia di merito alle parti. Talesecondo effetto si riscontra sia nel caso, più ovvio, di giudicato pregiudizialerispetto alla seconda decisione, sia nel caso di giudicato formatosi su unadecisione avente lo stesso oggetto (perché originante dalla medesima do-manda) del lodo annullato (4).

(2) Per tutti si veda, CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale, Torino, 2014, 341 ss.(3) MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma: motivi ed esito,

Milano, 2009, 198 ss.(4) Così anche, MARINUCCI, L’impugnazione del lodo, 201. Nel senso del testo, pur senza

qui enfatizzare il dato positivo della norma introdotta nel 2006, solo confermativa di un datoesistente, e ratione temporis non applicabile al caso in esame, AULETTA, Sub art. 824-bis c.p.c.,in MENCHINI (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, in Le nuove leggi civili commentate,Padova, 2007, 420 ss., per il quale gli arbitri non sono soggetti al divieto di bis in idem (che viene

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Se poi la teoria processuale del giudicato consente la riconduzione delmotivo n. 4, di là dell’interpretazione dell’intentio legis nella sistemazionedel meccanismo impugnatorio del lodo, più difficoltosa, ma anche questaconsentita dalla cornice normativa, è la sussunzione dell’ipotesi dell’esau-rimento dell’efficacia della clausola per sopraggiunto giudicato entro ilmotivo di cui al n. 1, che pur copre l’ipotesi di convenzione d’arbitrato« invalida » e non, almeno letteralmente, di convenzione « expirée » (5). Ilrichiamo fatto dal motivo di cui al n. 1 dell’art. 829 c.p.c. all’art. 817 c.p.c.,come modificato dalla novella del 2006 (6), dove una espressa menzioneall’ipotesi di inefficacia della clausola, quindi il combinato disposto delledue norme, consente la sussunzione del caso di specie entro il motivo dequo, tollerando che il giudicato sceso su un lodo privi di efficacia laclausola compromissoria da cui origina « con riferimento [resta inteso] alla[sola] controversia in questione », quindi includendovi l’ipotesi di ineffi-cacia sopravvenuta (7). E per consolidata giurisprudenza anche il vecchiomotivo di cui al n. 1, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame,pur nella sua breviloquenza (« se il compromesso è nullo »), ricompren-deva tanto la nullità quanto la inefficacia della clausola compromissoriaquindi può valere il medesimo argomento (8).

Non ravvisiamo poi, a differenza dei giudici romani che lo hannoinvece visto, o quantomeno intravisto, alcun rapporto di causa-effetto tral’esaurimento dell’efficacia della clausola e la sua inesistenza, giungendo lasentenza sin ad affermare l’integrazione di una situazione di inesistenzadella clausola compromissoria (e del lodo, visto il richiamo giurispruden-ziale) quindi di usurpazione del potere da parte degli arbitri (9).

dall’« autorità » di giudicato, e non dall’effetto del giudicato proprio del lodo arbitrale, su cuiinfra) ma al potere delle parti che danno loro mandato: solo così si spiega l’art. 829, comma 1,n. 8, c.p.c., in forza del quale non è più necessaria l’eccezione di giudicato per ottenerel’annullamento del lodo ma solo l’acquisizione del lodo nel procedimento.

(5) Cfr., di utile comparazione, il motivo n. 1 dell’art. 1484 NCPC francese (ante riformadel 2011) che apriva il recours en annulation avverso il lodo arbitrale quando « l’arbitre a statuésans convention d’arbitrage ou sur convention nulle ou expirée », poi sostituito con la più ampiaformula « s’est déclaré à tort compétent ou incompétent » (art. 1492 CPC). Si legga anche l’art.34 c.p.c. del Codice del 1865 ai sensi del quale il compromesso « cessa[va] » ad esempio« stabilito nel compromesso » per la scadenza del termine. V. infra nota 7.

(6) Che tuttavia è ratione temporis non applicabile al caso di specie per via delladisciplina transitoria dettata dal d.lgs. 40/2006.

(7) L’espressione utilizzata dalla Corte d’appello di Roma è simile a quella che si ritrovanell’art. 816-septies c.p.c. dove si afferma che se le parti non provvedono all’anticipazione dellespese del procedimento arbitrale nel termine indicato dagli arbitri, queste non sono piùvincolate alla convenzione di arbitrato « con riguardo alla controversia che ha dato origine alprocedimento arbitrale ».

(8) FESTI, La clausola compromissoria, Milano, 2001, 366, dove ampio richiamo digiurisprudenza.

(9) Afferma la Corte: « il caso in esame è equiparabile ad un’ipotesi di esercizio dellafunzione giurisdizionale in assenza di clausola arbitrale » e richiama giurisprudenza sull’inesi-stenza della convenzione d’arbitrato e del lodo (non derivante dal giudicato ma da ipotesidiverse: v. infra): Cass. civ., 25 agosto 1998, n. 8410 (su cui infra); nonché, sull’esito non

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L’effetto causale dell’usurpazione del potere, per inesistenza dellaclausola compromissoria, consente, tuttavia, alla Corte, nell’ambito dellastruttura bifasica dell’impugnazione per nullità del lodo, di fermarsi allafase rescindente, nonché di sostenere la rilevabilità d’ufficio del vizio (10).

A ben leggere dunque nemmeno la Corte trae la sua conclusioneaderendo alla teoria del cd. giudicato processuale ed assumendo quindiche gli arbitri abbiano erroneamente deciso nel merito in spregio alpresupposto processuale del ne bis in idem, ma dalla assunta radicaleinesistenza della clausola, venendo, esattamente da questa seconda circo-stanza, la carenza di potestas iudicandi degli arbitri.

3. La categoria giuridica dell’« inesistenza », ammesso che, dopo lanuova formulazione dell’art. 817 c.p.c. richiamato dall’art. 829 comma 1,c.p.c., abbia ancora una sua autonoma rilevanza dalla nullità sotto ilprofilo impugnatorio, viene in rilevo innanzi a situazioni ictu oculi ben piùgravi e radicali di quella occorsa nel caso di specie, che peraltro richie-de(va) un giudizio di identità di domande, di competenza degli arbitri, chenon può richiedersi a un lodo asseritamente inesistente. Scomodarla nelcaso di specie — come che fosse una categoria in cui far residualmenteconfluire i vizi atipici del lodo — in un caso cioè cui l’inesistenza dellaconvenzione arbitrale e del lodo deriverebbero da un precedente giudi-cato sulla medesima convenzione d’arbitrato, di là che per trarne la nonproseguibilità nella fase rescissoria, ci pare dunque una mera speculazionedel concetto stesso di inesistenza oltre a configurare una totale deminutiodell’operato arbitrale.

È davanti agli arbitri che il difetto di potestas iudicandi può e deveessere fatto valere e sono questi a doversi pronunciare sull’identità didomande quando un’eccezione di giudicato è sollevata nel corso delprocedimento arbitrale, come nel caso concreto si è verificato: nel secondoprocedimento, l’eccezione di giudicato era stata sollevata dal cedente cheassumeva che le domande del cessionario, promuovente il secondo arbi-trato ancora per ottenere il conguaglio del prezzo, fossero già staterespinte col lodo precedente. Il collegio arbitrale aveva tuttavia rigettatotale eccezione e la stessa non veniva riproposta come motivo di impugna-zione.

L’inesistenza, la sola eventualmente rilevabile d’ufficio senza limititemporali — considerando che non ci si deve qui curare dell’art. 817 c.p.c.,come novellato nel 2006, quindi del cenno lì espresso alla categoriagiuridica della inesistenza — ricorre infatti, come anzidetto, in situazioni

rescissorio (oggi confermato dell’art. 830, comma 2, c.p.c.): Cass. civ., 7 ottobre 2004, n. 19994;Cass. civ., 25 luglio 2006, n. 16977; Cass. civ., 16 ottobre 2009, n. 22083.

(10) V. infra.

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diverse e più gravi (11), dovendosi, le altre meno gravi (come anche quelledi « radicale inidoneità del negozio compromissorio a produrre effetti »),ricondurre entro motivo di nullità di cui al n. 1, da dedurre come motivodi nullità e, quindi, di impugnazione della sentenza, e non anche per laprima volta innanzi alla Cassazione, applicandosi anche ai lodi arbitrali ilprincipio (art. 161, comma 1, c.p.c.) della conversione in motivi di gravamedelle cause di nullità della sentenza (12). Detta regola opera infatti per tuttigli atti idonei al giudicato e dunque si applica sugli stessi presupposti enegli stessi casi in cui vale la regola del giudicato formale (13).

La novella del 2006 è andata poi definitivamente in questo senso,ossia di una assimilazione della categoria della inesistenza a quella dellanullità, col solo limite della non arbitrabilità della controversia (14). L’ine-sistenza della clausola compromissoria, e la conseguente incompetenzadegli arbitri, devono essere eccepite nella prima difesa successiva all’ac-cettazione di questi, se si vuole per il medesimo motivo impugnare il lodo,lodo che rimarrà certamente impugnabile per contrarietà a precedentelodo passato in giudicato. Infatti, anche ammettendo che il giudicatoconsumi la clausola compromissoria, un secondo giudizio sulla medesimaclausola potrà sempre essere promosso: non dipendendo il secondo dalprimo, non dissimulando, come detto sin dall’inizio, la questione delgiudicato una questione di competenza (15).

(11) L’ipotesi in cui « risulti devoluta ad arbitri una controversia non rientrante nellagiurisdizione di giudice ordinario » (Cass. civ., 11 maggio 1998, n. 4738); la clausola compro-missoria non è riferibile alle parti della controversia (Cass. civ., 30 agosto 1995, n. 9162); lamateria non è compromettibile ex art. 806 c.p.c.: riassunte da GIORGETTI, Il difetto di potestasiudicandi degli arbitri rituali, in questa Rivista, 1999, 3, 460 ss., 470. Crediamo tuttavia che ilconcetto di inesistenza fosse più circoscritto di quello descritto dall’Autrice, anche nel vigoredella previgente disciplina; la stessa Autrice escludeva l’esperibilità del rimedio dell’impugna-zione per nullità avverso lodo inesistente e ammetteva la rilevabilità di detto vizio in ogni statoe grado del giudizio. Cfr. infra nota 18.

(12) Così, Cass. 11 maggio 1998, n. 4738 (cit.), di senso esattamente opposto, ma di solipochi mesi prima, di Cass. civ., 25 agosto 1998, n. 8410 (la sola citata dalla sentenza, che peraltrosi riferisce a un’ipotesi del tutto differente ossia quella di inesistenza della clausola per la suanon estensione a un contratto collegato) che invece sottolinea le peculiarità di regime del viziodel lodo pronunciato da arbitri privi di potestas iudicandi di fatto affermando si tratti di lodoinesistente. V. la nota di GIORGETTI, Il difetto di potestas iudicandi, cit., 460 ss.

(13) Dimostrava il contrario, anche dal confronto col lodo inesistente, NELA, Riflessioniminime sull’inesistenza del lodo arbitrale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 4, 1381 ss., per il quale« la regola della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame ha un senso in un sistemain cui sussistono impugnazioni che istituzionalmente e storicamente hanno ad oggetto l’ingiu-stizia della sentenza anziché la sua invalidità [...]. Ove invece simili impugnazioni non esistano,viene meno alla radice ogni esigenza di affrontare il problema ed a fortiori di dettare la regoladella conversione. ».

(14) Così, AULETTA, Sub art. 824-bis, cit., 422, per il quale, anche nel caso in cui manchila convenzione d’arbitrato, la via per sottrarsi al lodo è l’impugnazione per nullità.

(15) V. AULETTA, Sub art. 824-bis c.p.c., cit., 431, il quale giunge alla medesima conclu-sione, della non anteriorità logica del lodo passato in giudicato rispetto al secondo giudizio,dalla dipendenza degli arbitri dalle (sole) parti, nel caso qui, instauranti il secondo giudizio. Cfr.nota 18.

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Ancora, la rilevabilità d’ufficio del giudicato, di moda nella piùrecente giurisprudenza (non arbitrale) (16), deve intendersi recepita eassorbita, dallo stesso legislatore della materia arbitrale, nella modifica delmotivo n. 8 che oggi non richiede più che l’eccezione di giudicato sia« dedotta » nel giudizio arbitrale ma solo che il lodo o la sentenza passatain giudicato « sia[no] stat[i] prodotti nel procedimento ». Oltre questaconsiderazione non si può andare: se il contrasto col giudicato non è fattovalere dalle parti come causa di nullità del lodo, questo non può essererilevato d’ufficio dal giudice dell’impugnazione perché oltre la volontàdelle parti non si può andare (17).

4. Tutta la sentenza muove poi da una errata, o quantomeno supe-rata, considerazione di fondo, che si pone peraltro in aperta contraddi-zione col concetto stesso di « giudicato arbitrale » sulla quale si fonda,ossia che l’impugnazione per nullità « non si configura come giudizio digravame, bensì di nullità e quindi si tratta di un giudizio in un unico gradoavente ad oggetto la validità del lodo ». La stessa sentenza affermativa diquel principio, richiamata dai giudici romani (Cass. civ., 1 luglio 2004, n.12031), poggia infatti sulla davvero poco contemporanea tesi della naturanegoziale dell’arbitrato (18).

L’impugnazione per nullità configura a tutti gli effetti un giudizio disecondo grado rispetto al decisum arbitrale, oltre che un rimedio proces-suale (e non negoziale) (19), in cui trova applicazione l’art. 161, comma 1,c.p.c. (20). Alla Corte d’appello, innanzi alla quale si propone l’impugna-zione, per la stessa struttura del mezzo impugnatorio proprio dell’arbi-trato, non è consentito esaminare motivi di nullità diversi da quelli

(16) Cfr. Cass. civ., S.U., 25 maggio 2001, n. 226, in Foro it., 2001, I, 2810; prima, Cass.civ., S.U., 23 ottobre 1995, n. 11018, in Riv. dir. proc., 1996, 824 ss., con nota di SCARSELLI, Notein tema di eccezione di cosa giudicata.

(17) MENCHINI, Impugnazioni del lodo rituale, in questa Rivista, 2005, 4, 819 ss., 853; nellostesso senso, V. AULETTA, Sub art. 824-bis c.p.c., cit., 432.

(18) Sul giudicato arbitrale, v. AULETTA, Sub art. 824-bis c.p.c., cit., ss., dove ancherichiamata la dottrina classica in tema di giudicato, il quale Autore riconosce l’effetto delgiudicato (tra le parti) al lodo arbitrale pur non riconoscendone l’« autorità », anche alla luce diuna interpretazione sistematica, oggi forse da innovare considerando le recenti pronunce chehanno investito l’istituto arbitrale tra cui quella che ha travolto l’art. 819-ter c.p.c.; si veda anche,sul tema, VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 155 ss.; BOCCAGNA, L’impu-gnazione per nullità, Napoli, 2005, 80 ss.

(19) Per una recente dimostrazione, alla luce del rinnovato sistema impugnatorio, siaconsentito rinviare a DE SANTIS, Il rinnovato profilo dell’impugnazione del lodo alla luce (direttao riflessa) di eterogene novità normative, in questa Rivista, 4, 2014, 741 ss. La conferma chel’impugnazione per nullità configuri un giudizio di secondo grado e non di unico grado vieneanche dal fatto che questa, e solo quando il lodo è rituale, si propone innanzi a un giudice disecondo grado, ossia quel giudice che, in assenza di clausola compromissoria, sarebbe statocompetente a conoscere l’impugnazione. Non è un argomento decisivo a favore della tesi testésostenuta, ma rafforzativo crediamo di sì, sicché un cambio di competenza, prospettato neidisegni più recenti, potrebbe riaccendere tale tesi.

(20) Cass. civ., 16 febbraio 2001, n. 2293.

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specificamente dedotti dalle parti (21). Ne consegue che la Corte d’appello,adita dell’impugnazione, non può, anche qualora abbia natura non pro-cessuale ma sostanziale (come l’inesistenza o l’inefficacia della conven-zione arbitrale), rilevare d’ufficio un vizio diverso da quelli denunciatidalle parti, essendosi questo, medio tempore, tradotto in motivo di impu-gnazione (22). Una non eccesiva ingerenza dei giudici, anche in sedeimpugnatoria, è del resto coerente con la stessa scelta arbitrale delle parti:ciò che ammette una loro maggiore autoresponsabilità (23).

La tesi sposata dalla sentenza in esame, ossia la rilevabilità d’ufficiodell’inesistenza della clausola compromissoria, di là del caso concreto —in cui crediamo non configurata, ancor prima, la fattispecie giuridica dequa non ponendosi nemmeno il dubbio circa l’esistenza o inesistenza dellavolontà delle parti di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia —era tuttavia celebrata anche in una serie di pronunce della Suprema Cortenella giurisprudenza ante riforma del 2006, che la stessa sentenza cita (24).

MICHELA DE SANTIS

(21) Cass. civ., 15 settembre 2000, n. 12165.(22) AULETTA, La nullità del lodo e del procedimento arbitrale nel sindacato della Corte di

cassazione, in Giust. civ., 2005, 6, cit., 1599, con richiamo a Cass. civ., 14 luglio 1983, n. 4832.(23) Nel caso in esame, del lodo impugnato veniva contestata, e rimessa a giudici

superiori, non già la carenza di potestas iudicandi degli arbitri, poi rilevata d’ufficio (senza chevi fossero altri interessi da tutelare oltre quelli delle parti), ma l’ingiustizia nel calcolo del prezzodi conguaglio, avendo l’impugnante principale interesse, dopo l’accertamento della nullità dellodo, a una nuova determinazione (al rialzo) di quel prezzo e l’impugnate incidentale a unapronuncia sull’an di quel prezzo (o il medesimo interesse dell’impugnante principale ma disegno opposto), e non a una pronuncia meramente ablatoria giustificata sull’asserita assenza diclausola compromissoria.

(24) Anche una recentissima sentenza della Suprema Corte, Cass. civ., S.U., 8 ottobre2014, n. 21215, ribadisce quel principio con riferimento a una fattispecie concreta cui eraapplicabile ratione temporis l’art. 829 c.p.c. nella sua precedente formulazione.

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TRIBUNALE DI PIACENZA, ordinanza 10 dicembre 2014; ARRIGONI G.U. ed Est.;Sig. X +2 (avv. Grassini) W +9 (avv.ti Guariso, Neri e Piccinini) e la CooperativaY (avv.ti Gregori e Angona).

Cooperativa di produzione e lavoro - Delibera di esclusione della compaginesocietaria e risoluzione del rapporto di lavoro - Compromettibilità - Art. 40c.p.c. connessione tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario.

Sussiste la competenza del Giudice del lavoro, in forza della connessione exart. 40, comma 3º, c.p.c. tra la domanda di illegittimità della risoluzione del rapportodi lavoro e quella di esclusione dalla compagine sociale di alcuni soci di unacooperativa di produzione e lavoro, nonostante che le stesse siano sorrette da unidentico motivo, non essendo detta ragione del tutto coincidente con lo scopomutualistico che radica la competenza del Giudice ordinario.

Sussiste la competenza del Tribunale in funzione del Giudice del lavoro aconoscere della controversia tra i soci e la cooperativa di produzione e lavoro,poiché la competenza arbitrale è ammissibile solo in forza di clausola compromis-soria prevista da contratti o accordi collettivi.

A scioglimento della riserva che precede,ritiene il Tribunale di Piacenza di essere competente a decidere la domanda

di esclusione della delibera assembleare alla stregua dei principi affermati nellarecente pronuncia della Suprema Corte (Ordinanza 21 novembre 2014, n. 24917)assunta in sede di regolamento di competenza.

La Corte di Cassazione ha infatti statuito che “nell’ipotesi di connessione tracause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, opera l’art. 40,terzo comma, cod. proc. civ., che fa salva l’applicazione del rito speciale quando unadi esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ.”. La fattispecieconcreta posta all’esame dalla Suprema Corte riguardava in effetti l’ipotesi —diversa da quella in esame — di soci-lavoratrici di una società esclusi dallacompagine sociale per asserita violazione degli obblighi statutari e licenziati pergiustificato motivo oggettivo.

Nondimeno, non può affermarsi che la competenza del Giudice del Lavorosussista nella sola ipotesi in cui la risoluzione del rapporto di lavoro sia determi-nata, oltreché dalla esclusione del socio, anche da un motivo autonomo cheattenga al solo rapporto di lavoro (come nel caso esaminato dalla Corte). Infatti,in base ad una disamina dei precedenti giurisprudenziali, risulta che la connessionetra le domande (di licenziamento e esclusione) sia ravvisabile anche nel caso —come in specie — di “risoluzione del rapporto di lavoro per effetto di esclusione”,e non già quando, oltre alla esclusione, sia stato irrogato il licenziamento per unmotivo autonomo.

Nel caso in esame, i ricorrenti risultano essere stati esclusi per condotteattinenti all’occupazione dei locali aziendali, al blocco della produzione ect. ect.Tali comportamenti sono, ad avviso di questo Giudice, riconducibili all’eserciziodel potere disciplinare del datore di lavoro, e ciò a prescindere dal richiamo agliscopi mutualistici presente nell’atto di esclusione.

Infatti, fermo il rilievo che il concetto di scopo “mutualistico” è assaicontroverso in dottrina e giurisprudenza, la Suprema Corte nell’ordinanza citata,

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ha definito tale scopo come “l’interesse a che l’attività d’impresa sia orientata alsoddisfacimento delle richieste di prestazioni (mutualistiche) ed alle condizioni piùfavorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella condotta dell’impresasociale ... realizzabile dal socio azionando i mezzi di tutela predisposti dal dirittosocietario, qualora la gestione dell’impresa sociale non sia improntata al rispettodello scopo mutualistico o abbia leso diritti del socio”.

Nel caso concreto, emergono, oltre profili che attengono alla gestione dellasocietà, anche altri profili più strettamente inerenti al comportamento disciplinar-mente rilevante del socio-lavoratore. Ragione per cui appare — nel quadrogiurisprudenziale che sta andando a delinearsi — preferibile la tesi della compe-tenza del Giudice del lavoro, in forza della connessione ex art. 40, 3 comma c.p.c.(esclusa l’operatività della connessione di cui al D.lvo 168/2003 art. 3, comma 3) trala domanda di illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro (licenziamento)e di quella di esclusione dalla compagine sociale, seppure esse siano sorrette da unidentico motivo, non essendo detto motivo del tutto coincidente con lo scopomutualistico che radica la competenza del G.O. (e quindi della sezione specializ-zata del Tribunale delle Imprese).

Sussiste la competenza dell’adito Tribunale in funzione di Giudice del lavoroa conoscere della controversia tra un socio e la cooperativa non essendo lacontroversia suscettibile di deroga a favore di arbitri a norma dell’art. 806 c.p.c. senon in forza di clausola compromissoria prevista da contratti e accordi collettivi, enon già in forza di clausola compromissoria contenuta soltanto nello statuto dellasocietà cooperativa di produzione e lavoro (cfr. Cassazione civile sez. lav. 21/08/2003 n. 1309).

Ciò posto, l’ammissibilità del rito introdotto dalla legge 92/2012 apparepreclusa dal dato normativo, atteso che l’art. 2 L. 142/2001 stabilisce che: “Ai socilavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare,col rapporto di lavoro, anche quello associativo”. (Omissis).

Brevi note sulla compromettibilità delle controversie tra socio e coopera-tiva di produzione e lavoro; art. 40 c.p.c. e connessione tra giudizioarbitrale e giudizio ordinario. (*)

1. Se non vi sono dubbi in merito alla applicabilità anche alle societàcooperative della disciplina dell’arbitrato societario (1), numerosi sono iproblemi esegetici relativi all’àmbito di applicazione della eventuale clau-sola compromissoria inserita all’interno dello statuto sociale.

Nelle cooperative di produzione e lavoro, come testimonia il caso di

(*) La decisione arbitrale parallela e relativa alla medesima vicenda, cui la Nota siriferisce, è pubblicata infra nella Rubrica “Giurisprudenza arbitrale”.

(1) Ex multis: Trib. Verona, 27 settembre 2004, in Giur. merito, 2005, 91, nota diCARBONE.

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specie, il panorama risulta ancòra più complesso alla luce di un incertodettato normativo.

Infatti sia il Tribunale di Piacenza che il Collegio arbitrale (2), chia-mati a pronunciarsi in merito alla domanda di esclusioni di alcuni soci,giungono a decisioni differenti. Per valutare il contenuto di entrambe lestatuizioni, è necessaria una breve analisi della fattispecie concreta.

Alcuni soci di una cooperativa di produzione e lavoro vengono esclusidalla compagine sociale per condotte attinenti all’occupazione dei localiaziendali e al blocco della produzione. A tale deliberazione consegue invia automatica il loro licenziamento.

In virtù della clausola compromissoria inserita nello statuto coopera-tivo, che devolve “tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali,comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, promosseda o contro i soci”, i soci esclusi impugnano detta delibera innanzi allaCamera arbitrale e di conciliazione della Cooperazione (3), eccependol’invalidità della clausola arbitrale e l’incompetenza degli arbitri a deci-dere della controversia in esame. Gli attori rilevano che la clausolacontenuta nello statuto sociale viola il dettato dell’art. 806 c.p.c., poichénelle ipotesi di controversie rientranti nell’art. 409 c.p.c., come quella dicui si discute, è possibile il ricorso al giudizio arbitrale solo se tale opzioneè contemplata dagli accordi o contratti collettivi.

Successivamente alcuni soci esclusi (4) si rivolgono anche al Giudicedel lavoro di Piacenza.

2. La decisione del Tribunale di Piacenza è precedente rispetto aquella del Collegio arbitrale.

Il Tribunale investito, si presume, della domanda di risoluzione delrapporto di lavoro (derivante dalla delibera di esclusione dalla compaginesociale) afferma la propria competenza anche in merito alla impugnativadi esclusione dalla compagine sociale, in virtù dell’art. 40, comma 3º, c.p.c.,

(2) Gli arbitri non qualificano la pronuncia. Dal suo contenuto sembrerebbe che si trattidi una ordinanza, poiché unitamente alla statuizione sull’eccezione di invalidità della clausolaarbitrale vi è l’assegnazione di termini per il deposito di memorie e la fissazione della successivaudienza (vedi infra in questo stesso fascicolo).

(3) Si tratta di un organismo arbitrale fondato da Confcooperative. Sul punto, amplia-mente: FOGLIA RONCHI, Guida breve all’arbitrato societario amministrato dalla camera arbitralee di conciliazione della cooperazione, in Quaderni di diritto societario, collana diretta daPaolucci, Bologna, 2007, 1 ss.

(4) Dalla lettura dei due provvedimento si desume che la parte attrice innanzi al Collegioarbitrale è costituita da 21 soggetti, mentre dinnanzi al Tribunale da 13 soggetti. Tuttavia si deveprecisare che nel corso di entrambi i procedimenti il numero costituente parte attrice èprogressivamente diminuito: nel giudizio arbitrale viene dato atto da parte della convenuta dellarinuncia della domanda nei confronti di 11 soggetti per intervenuta conciliazione, mentre nelgiudizio ordinario, il Giudice dichiara cessata la materia del contendere in relazione a tresoggetti per intervenuta conciliazione.

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ritenuto applicabile anche nell’ipotesi di connessione tra le domande dirisoluzione del rapporto di lavoro per effetto dell’esclusione.

Il giudicante non reputa che la ragione posta alla base della deliberadi esclusione sia del tutto coincidente con lo scopo mutualistico che radicala competenza del giudice ordinario. Infatti, pone in evidenza che nel casoesaminato emergono oltre a profili relativi alla gestione della società,anche aspetti più strettamente inerenti al comportamento disciplinare delsocio-lavoratore. Conseguentemente ritiene preferibile la tesi della com-petenza del Giudice del lavoro.

Afferma, infine, sembrerebbe tramite un obiter dictum (5), che lacontroversia non sia, invece, suscettibile di deroga a favore degli arbitrinonostante la clausola compromissoria inserita nello statuto sociale, poi-ché la stessa non è sorretta da una specifica previsione a livello dicontrattazione collettiva, così come prescrive l’art. 806 c.p.c. (6).

Al contempo, con una pronuncia di qualche giorno successiva, ancheil Collegio arbitrale si ritiene competente a statuire in merito alla impu-gnativa di esclusione dalla compagine sociale.

Quest’ultimo, aderendo alla tesi del c.d. doppio binario (7), affermache le violazioni degli obblighi di legge o statutari imputate ai soci esclusi,pur essendo direttamente o indirettamente riconducibili a una prestazionelavorativa, devono essere valutate nell’àmbito del rapporto mutualistico edella loro capacità di incidere sul medesimo. Pertanto, il Collegio si ritienecompetente a statuire sulla controversia in quanto inerente al rapportoassociativo e non a quello di lavoro.

Inoltre gli arbitri affermano di non essere obbligati a conformarsi alladecisione del Tribunale del lavoro di Piacenza, costituendo la medesimauna pronuncia di rito e come tale priva degli effetti del c.d. giudicatoesterno. Rilevano, infine, che in forza dell’art. 819 ter c.p.c. la pendenza delprocedimento arbitrale, radicatosi prima di quello instaurato innanzi alGiudice del lavoro, preclude la proposizione di domande giudiziali aventiad oggetto l’invalidità e l’inefficacia della convenzione arbitrale.

Ciò posto, a parere del Collegio, sussistono due diverse cognizioni:l’una arbitrale sulla idoneità dei comportamenti denunciati a costituirevalida ragione di esclusione dalla cooperativa e l’altra giudiziale lavoristicain merito alla idoneità dei medesimi fatti a costituire giusta causa dilicenziamento ex lege e/o ex contractu.

(5) Infatti, come è posto chiaramente in luce dagli arbitri, la questione relativa allavalidità della convenzione arbitrale è stata affrontata dal tribunale solo quale premessa per lasoluzione della questione preliminare di rito relativo alla competenza.

(6) Infine ritiene altresì preclusa, alla luce dell’art. 2, legge n. 142 del 2001, la possibilitàdi trattare la controversia in esame con il rito disciplinato dalla legge n. 92 del 2012.

(7) Cfr. infra.

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3. Le due pronunce commentante giungono a due diverse conclu-sioni, poiché attribuiscono una diversa valenza alla ragione posta alla basedella esclusione dei soci dalla compagine sociale.

Il Tribunale di Piacenza ritiene sussistere la propria competenza inmerito alla impugnativa di esclusione alla luce dei princìpi affermati in unarecente pronuncia della suprema Corte, che aderendo a una serie diprecedenti conformi, ritiene operante, nelle ipotesi di connessione tracause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello di lavoro, l’art.40, comma 3º, c.p.c.

Tale conclusione è avallata anche dal fatto che la controversia inesame non può essere suscettibile di deroga a favore degli arbitri, poichépresupposto per la competenza arbitrale è l’esistenza di una clausolacompromissoria prevista dai contratti o accordi collettivi.

Prima di entrare nel merito della decisione del Tribunale piacentino,cercando di esaminarla in parallelo con quella del Collegio arbitrale, èopportuno compiere una breve disamina in merito arbitrabilità delle liti dilavoro. Tale esame risulterà prezioso nella individuazione dei limiti dioperatività della convenzione arbitrale statutaria.

Il legislatore del 2006, innovando anche sulla disciplina previgente,stabilisce che le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., possono esseredevolute ad arbitri solo se l’arbitrato sia espressamente previsto dallalegge o dai contratti o accordi collettivi (8).

Oggi, a differenza del passato, non è più possibile mettere in dubbiol’arbitrabilità delle controversie di lavoro qualora siano rispettati i pre-supposti menzionati: criteri la cui mancata osservanza non determinacomunque l’inarbitrabilità della lite (9), ma l’impossibilità che il processoarbitrale possa giungere a una valida decisione.

Per comprendere tale assunto, a mio avviso, è necessaria una brevis-sima premessa sul rapporto tra compromettibilità e azione arbitrale.

Ai fini della corretta estensione del concetto di arbitrabilità occorreindividuare la peculiarità del fenomeno arbitrale, senza cercare inutil-mente di inserirlo all’interno di categorie precostituite.

(8) BOVE, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, in questa Rivista, 2005, 879 ss.;BORGHESI, L’arbitrato del lavoro dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2006, 821 ss.;ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 806 c.p.c. Le controversie arbitrabili, in La nuova disciplinadell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, 22 ss., osserva che emerge, quindi, un sistemain cui da una parte pur rimanendo centrale il ruolo della contrattazione collettiva, dall’altraattribuisce al legislatore il potere di derogarvi, prevedendo egli stesso il ricorso all’arbitrato;RUBINO SAMMARTANO, CASCIANO, in Arbitrato, Adr, conciliazione, diretto da Rubino Sammar-tano, Bologna, 2009, 151, osserva che il disposto dei due commi induce a ritenere che valgaanche per le liti di lavoro, il criterio generale della disponibilità dei diritti, senza alcunaspecificità derivante da esigenze di tutela differenziata.

(9) BOVE, op. cit., 881, il quale qualifica l’autorizzazione collettiva o ex lege comespecifiche cautele che incidono sulla valida esistenza della scelta arbitrale e non invece sullacompromettibilità del diritto (in senso difforme mi pare, invece, BORGHESI, op. cit., 823);ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 24.

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Infatti, l’arbitrato è un fenomeno eterogeneo rispetto al sistemagiustizia, poiché trova la propria legittimazione nell’incontro della volontàdelle parti.

La precostituzione del diritto alla via arbitrale, a differenza del-l’azione “tradizionale” nascendo dall’autonomia dei privati e non dallalegge (10), trova un limite insuperabile nella necessità di individuare,seppure in via indiretta, il rapporto sostanziale su cui si andrà a inci-dere (11). Per questo motivo l’art. 806 c.p.c. individua già ex ante qualisiano i diritti al cui servizio l’azione arbitrale è predisposta (12).

Tale peculiarità induce a qualificare l’azione arbitrale come “tipica”,ovvero non generica (13). Infatti seppure il patto compromissorio nonintervenga in alcun modo sul diritto sostanziale controverso, la scelta dellegislatore, chiaramente desumibile dall’art. 806 c.p.c., è quella di ancorarela convenzione arbitrale (da cui sorge l’azione arbitrale medesima) a unadeterminata situazione sostanziale sottostante, che per espressa volontàdel legislatore, deve qualificarsi come disponibile (14).

Conseguentemente, se da una parte l’azione arbitrale non può essereesperita qualora non vi sia un diritto disponibile, dall’altra essa risente deimeccanismi di protezione del diritto medesimo (15).

(10) La dottrina ancora discute se l’arbitrato trovi un proprio riconoscimento nella fontecostituzionale (sul punto si rimanda all’ampia ricostruzione compiuta da: VERDE, L’arbitrato ela giurisdizione ordinaria, in Diritto dell’arbitrato, a cura di Verde, Torino, 2005, 4 ss.; CERRI,Arbitrato e costituzione, in L’arbitrato. Fondamenti e tecniche, a cura di Caterini e Chiappetta,Napoli, 1995, 33; FADDA - IASELLO, L’arbitrato nella disciplina costituzionale, in AA.VV., L’ar-bitrato. Profili sostanziali, a cura di Alpa, I, Torino, 1999, 49 ss. A mio avviso, la legittimità dellaazione arbitrale non deve essere ricercata nel dettato dell’art. 24 Cost., ove si parla essenzial-mente di “giudizio”, ma bensì, come rileva acutamente una parte della dottrina (MONTESANO, Latutela dei diritti, Torino, 1994, 58), nella generica dizione dell’art. 102, comma 3º, Cost. Infatti,secondo l’intuizione dell’a. la menzionata norma sembrerebbe legittimare la partecipazione delpopolo alla giustizia.

(11) In questo senso: ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto aiterzi, Milano, 2004, 102, specialmente nota 269.

(12) REDENTI, voce Compromesso, in Noviss. dig. it, III, Torino, 1959, 787.(13) Non intesa in senso romanistico, bensì come rileva BETTI, Diritto processuale civile

italiano, 1936, I, 74 ss. e in particolare 84, ove si legge che “l’azione è un diritto processuale,coordinato come diritto-mezzo ad una determinata ragione da fare valere in giudizio, individua-lizzato da tale ragione e da un interesse ad ottenere il riconoscimento mediante una pronunciao una misura giurisdizionale (...)”. La ricostruzione compiuta dall’autore si ispira a quella trat-teggiata da PUGLIESE, Actio e diritto subiettivo, Milano, 1939, passim, e in part. 242 e 325 ss.

(14) Interessanti sono le osservazioni di LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I,Milano, 1984, 133, il quale osserva che “(...) in base all’art. 24 cost., è riconosciuto il potere diagire in giudizio, vi sono coloro che non tanto possono proporre una domanda qualsiasi, masono titolari di un vero diritto (...). Questo diritto è l’azione, la quale ha per garanziacostituzionale il generico potere di agire, ma per conto suo non è affatto generica, bensì fariferimento ad una concreta fattispecie (...)”. Diversamente, nell’azione arbitrale non si riscon-tra alcuna genericità: il potere di agire spetta unicamente a coloro che hanno stipulato il pattocompromissorio e l’azione necessariamente è connessa a un diritto sostanziale disponibile.

(15) Lo stesso Redenti afferma che il patto compromissorio non si ferma sul piano delprocesso, ma incide sul regime delle azioni in senso sostanziale (REDENTI, voce Compromesso,cit., 789).

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Se nel primo caso si può parlare propriamente di inarbitrabilità, nonè possibile farlo nel secondo. Infatti, con riferimento a questa ultimafattispecie è necessario compiere un passaggio successivo e verificare qualisiano le modalità entro cui l’azione arbitrale possa operare.

Nel caso delle liti di lavoro, a mio avviso, è possibile parlare di azionearbitrale “vincolata” (16).

Infatti, la protezione che le norme di diritto sostanziale (17) predi-spongono per la tutela del diritto che entra in gioco, si ripercuote sullatecnica del processo arbitrale, il quale potrà essere ammesso solo in forzadi una previsione della contrattazione collettiva o della legge.

Nel caso di specie, come emerge dall’ordinanza del Tribunale diPiacenza manca una previsione a livello di contrattazione collettiva.L’unico modo che avrebbe consentito alle parti di fare ricorso all’arbitratorelativamente alla controversia di lavoro, sarebbe stato quello di accedereai c.d. arbitrati (irrituali) ex lege (18).

Sul punto si rimanda a quanto si dirà nel prosieguo.

4. Quindi, se non possono essere sollevati dubbi sull’arbitrabilitàdelle liti di lavoro nei limiti sopra individuati, molto più complesso èverificare se tali controversie, nel caso di cooperative di produzione elavoro, ineriscano al rapporto sociale.

Tale problematica è strettamente connessa alla preventiva qualifica-zione giuridica del rapporto che si instaura tra socio-lavoratore e coope-

(16) In realtà tale affermazione richiederebbe una più ampia dimostrazione che in questasede non è possibile esperire. Si segnala unicamente che, partendo dalla dicotomia cara alsistema francese, tra ordine pubblico di protezione e ordine pubblico di direzione, i diritti deilavoratori possono essere ricondotti nella prima fattispecie. Si dovrà poi valutare come l’ordinepubblico di protezione vada a incidere sulla delimitazione del concetto di arbitrabilità. Sul puntomi permetto di rinviare al mio scritto, L’arbitrabilità dei diritti, tesi di dottorato, in www.air.u-nimi.it e a ZUCCONI GALLI FONSECA, Tutela arbitrale e tecnica del processo arbitrale: la clausolacompromissoria nei contratti di consumo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 999.

(17) Sul punto: BORGHESI, Conciliazione, norme inderogabili e diritti indisponibili, in Riv.trim. dir. e proc civ., 2009, 121; ZOPPOLI, Il declino della inderogabilità, in Diritto Mercati Lavoro,2013, 53 ss.

(18) Per una completa analisi di detti istituti si rimanda a: BORGHESI, L’arbitrato ai tempidel « collegato lavoro », in www.judicium.it; ID., Le nuove frontiere dell’arbitrato del lavorosecondo il disegno di legge n. 1441 quater, in Lav. e dir., 2009, 13 ss.; BOVE, ADR nel collegatolavoro (Prime riflessioni sull’art. 31 della legge 4 novembre 2010, n. 183), in www.judicium.it;DELLA PIETRA, Un primo sguardo all’arbitrato nel collegato lavoro; in www.judicium.it; CANALE,Arbitrato e « collegato lavoro », ivi; AULETTA, Le impugnazioni del lodo nel « Collegato lavoro »(Legge 4 novembre 2010, n. 183), in questa Rivista, 2010, 563 ss.; PUNZI, L’arbitrato per lasoluzione delle controversie di lavoro, in Riv. dir. proc., 2011, 1 ss.; BERTOLDI, L’arbitrato nellecontroversie di lavoro dalla duplice riforma del 1998 alla L. 4 novembre 2010, n. 183, in Riv. dir.proc., 2011, 834 ss.; ARRIGONI, Gli arbitrati delineati dal « collegato lavoro » e prime attuazioni,in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, 885 ss.; MURONI, La nuova disciplina della conciliazione edell’arbitrato nelle controversie di lavoro, in Corr. giur., 2011, 269 ss.

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rativa (19). Infatti, la mancanza di chiarezza in merito alla qualificazionesostanziale del rapporto si ripercuote in un dettato normativo processualenon affatto preciso (20), nonostante le numerose modifiche che hannoinciso sulla disciplina di tale istituto.

In mancanza di una chiara legislazione di riferimento, in passato, lagiurisprudenza maggioritaria riteneva che le controversie relative allaesclusione del socio e al conseguente licenziamento rientrassero nellacompetenza del giudice ordinario, poiché, non ravvisando due distinticentri di interesse, escludeva la possibilità di ricondurre i rapporti dequibus fra quelli disciplinati dall’art. 409 c.p.c. (21).

Al contempo non vi erano neppure dubbi sulla possibilità di devol-vere dette controversie al giudizio di arbitri: infatti, la suprema Corteconcludeva per la compromettibilità, sul rilievo che in questi casi laprestazione di lavoro è finalizzata al raggiungimento dello scopo sociale.Con l’esclusione, la cessazione del rapporto di lavoro è solo uno deglieffetti della rottura del contratto sociale, e resta quindi assorbita inquest’ultima (22).

In altre successive pronunce rimaneva il favor arbitrati, anche se lavalidità della clausola compromissoria era subordinata al fatto che laprestazione dei soci fosse connessa alla realizzazione dell’oggetto socialee non fosse riconducibile, invece, ad un rapporto di lavoro subordinatodistinto dal rapporto societario (23).

(19) Sul punto, ampliamente, RANIERI, Prestazione del socio lavoratore: problemi diqualificazione, in Dir. merc. lav., 2010, 103 ss.

(20) Così già poneva in evidenza M. BIAGI, Cooperative e rapporti di lavoro, Milano, 1983,361; nel medesimo modo, anche MELIANDO, Il lavoro nelle cooperative: tempo di svolte, in Riv.it. dir. lav., 2001, 58; VINCIERI, Sulla devoluzione ad arbitri delle controversie fra socio ecooperativa, in Giust. civ., 2004, 520.

(21) In questo senso: Cass., 14 gennaio 1985, n. 56, in Riv. giur. lav., 1985, 381 ss.; Cass.,17 gennaio 1989, n. 191, in Dejure; Cass., sez. un., 29 marzo 1989, n. 1530, ivi; Cass., 28 dicembre1994, n. 11328, in Corr. giur., 1995, 727, con nota di MESSINA; Cass., 22 ottobre 1994, n. 8687 inDejure; Cass., 16 dicembre 1991, n. 13553, ivi; Cass., 22 febbraio 1995, n. 2004, in Lav. giur., 1995,702; Pret. Ferrara, 5 febbraio 1993, in Nuove leggi civ. comm., 1993, 565, con nota di MATTAROLO;in senso difforme, Cass., 29 luglio 1994, n. 7109, in Orient. giur. lav., 1995, 531, ove la supremaCorte “non esclude che debbano attribuirsi al giudice del lavoro le controversie in cui il sociolavoratore abbia formulato la sua domanda facendo valere la lettura effettiva di lavorosubordinato del rapporto”, in senso conforme anche Cass., 27 marzo 1996, n. 2740, in Giur. it.,1996, 472; in dottrina condivide questo orientamento SANDULLI, In tema di collaborazioneautonoma continuata e coordinata, in Dir. lav., 1982, 253, il quale prospetta l’estensione anchealle situazioni interne al fenomeno cooperativo del rito del lavoro. Peraltro, è giusto ricordareche su tale aspetto si era pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 1992,n. 155, in Giust. civ., 1994, 110, con nota di TANFERNA) rigettando la questione di legittimitàcostituzionale sollevata in relazione all’art. 409 c.p.c., nella parte in cui non ricomprende tra irapporti soggetti al rito del lavoro anche quelli tra socio e cooperativa.

(22) Cass., 28 luglio 1951, n. 2188, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, 321 ss.(23) Cass., 20 dicembre 1985, n. 6561, in Giur. it., 1987, 310 ss.; Cass., 22 luglio 1992, n.

8847, in Dejure.

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Con la nota sentenza del 1996, le sezioni unite (24) avevano posto fineai dubbi interpretativi, affermando che le controversie attinenti alle pre-stazioni lavorative, ancorché offerte dal socio in adempimento dell’impe-gno assunto con il patto sociale per il conseguimento dei fini istituzionalidella cooperativa, dovessero essere devolute alla competenza del giudicedel lavoro. Osservava, infatti, che alla graduale applicazione al sociocooperatore della tutela sostanziale propria del lavoratore subordi-nato (25) dovesse corrispondere un’analoga estensione della tutela proces-suale.

Dopo tale arrêt, sopraggiungeva la legge del 3 aprile 2001 n. 142 cheintroduceva, alla luce della coesistenza in capo al socio lavoratore di dueautonomi e distinti rapporti (26), il c.d. doppio binario per la tutelaprocessuale (27).

La competenza del giudice del lavoro, peraltro, era affermata anchenel caso di domande plurime, e cioè relative sia all’esclusione del socio permotivi sociali sia alla risoluzione del rapporto di lavoro, in virtù del fattoche il rito laburistico è dotato di una vis attrattiva prevalente rispetto aquello ordinario (28).

Con riferimento alla disciplina arbitrale, invece, era previsto chel’arbitrato di diritto comune si applicasse quando la lite avesse ad oggettoil rapporto associativo, mentre qualora fosse in discussione il rapporto di

(24) Cass., sez. un., 30 ottobre 1998, n. 10906, in Foro it., 2000, I, c. 912 ss., con ampio eapprofondito commento di G.C. RICCI, Tendenze giurisprudenziali in materia di lavoro nellecooperative: qualificazione del rapporto, competenza giurisdizionale, trattamento retributivo,diritti sindacali; nel medesimo senso anche: Cass., 18 febbraio 1999, n. 1345, richiamata da Cass.,19 marzo 1999, n. 2526, in Dejure; Pret. Alessandria, 4 febbraio 1999, in Guida al lav., 1999, 26.

(25) Per un completo esame di detti interventi rimando alla disamina di G.C. RICCI,Ancora sulla giurisprudenza in materia di lavoro nelle cooperative: garanzie dei crediti, licen-ziamenti e mobilità, tutela previdenziale, fiscalizzazione degli oneri sociali, le prospettive de iurecondendo, in Foro it., 2000, I, c. 1095 ss.

(26) TULLINI, Identità e scomposizione della figura del datore di lavoro (una riflessionesulla struttura del rapporto di lavoro), in Arg. dir. lav., 2003, 93 ss., ove osserva che la relazionegiuridica tra socio lavoratore e cooperativa appare, infatti, del tutto diversa, se non “antitetica”,rispetto a quella tra datore di lavoro e lavoratore; MARESCA, Il rapporto di lavoro subordinatodel socio in cooperativa, in Lavoro e cooperazione tra mutualità e mercato, a cura di Montuschi- Tullini, Torino, 2002, 21 ss.

(27) BOLENGO, La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, inNuove leggi civ. comm., 2002, 260 ss.; FIORANI, Il nuovo lavoro in cooperativa. Tra subordina-zione e autonomia, in Gior. dir. lav. e rel. ind., 2002, 197 ss.; DE LUCA, Il socio lavoratore dicooperativa: la nuova normativa (l. 3 aprile 2001, n. 142), in Foro it., 2001, V, c. 233 ss.; ALLEVA,I profili giuslavoristici della nuova disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in Riv. giur. lav.,2001, 354; ANDREONI, La riforma della disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in Lav. giur.,2001, 205 ss.

(28) Cass., 18 gennaio 2005, n. 850, in Dejure; Trib. Genova, 12 novembre 2012, ivi; Trib.Milano, 12 dicembre 2002, ivi; Trib. Voghera, 5 luglio 2010, in Riv. crit. dir. lav., 2010, 907. Sulpunto: DE ANGELIS, L’esclusione e il licenziamento del socio lavoratore tra diritto e processo, inLav. giur., 2002, 605 ss.

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lavoro con la cooperativa, si dovesse fare ricorso all’arbitrato degli artt.416-ter e quater c.p.c. (29).

È intervenuto l’art. 9 legge del 14 febbraio 2003, n. 30 che ha riscrittol’art. 5, comma 2º, eliminando qualunque riferimento alla disciplina del-l’arbitrato e statuendo da una parte, che il rapporto di lavoro si estinguecon il recesso o l’esclusione del socio e dall’altra che le controversieconcernenti la prestazione mutualistica sono di competenza del giudiceordinario (30).

La novella, quindi, non ha chiarito se residua dello spazio per lacompetenza del giudice del lavoro, non avendo precisato se con il termine“prestazione mutualistica” abbia inteso esaurire la descrizione del rap-porto tra società e soci cooperatori, ovvero identificare una sola manife-stazione di tale rapporto, di per sé più complesso.

Gli interpreti si sono così divisi tra chi sostiene e condivide il venirmeno della stessa duplicità dei rapporti (31), anche confortati dalla riformadella disciplina positiva delle società cooperative, che sembra attenuare ledifferenze tra il ruolo di socio e di lavoratore (32) e chi, invece, ritiene chela l. 30 del 2003, per quanto abbia accentuato il vincolo associativo, nonescluda che “il contratto di lavoro costituisca ancor oggi il titolo, piùprossimo e diretto che vale a reggere l’attività lavorativa all’interno dellacomplessa fattispecie” (33).

(29) PAOLUCCI, La compromettibilità delle controversie in materia di cooperative e con-sorzi, in Soc., 2000, 1427, spec. 1430; Lodo arb. Pisa, 7 ottobre 1999, in questa Rivista, 1999, connota di LONGO, secondo cui “nel rapporto tra cooperativa e socio lavoratore viene sostanzial-mente meno l’aspetto caratterizzante il rapporto tra socio e società mentre prevale il rapportoconcernente la prestazione di lavoro subordinato, siccome previsto dall’art. 409 c.p.c.” epertanto “la clausola compromissoria prevista nello statuto della cooperativa per la risoluzionedei conflitti tra soci e società è radicamente nulla, perché configgente con il divieto di arbitratoprevisto dall’art. 806 c.p.c. in materia”.

(30) Si è parlato di una vera e propria “controriforma” CESTER, La nuova disciplina delsocio lavoratore di cooperativa: una controriforma? Alcune osservazioni sull’art. 9 della l. 14febbraio 2003, n. 30, in Le cooperative e il socio lavoratore, a cura di Montuschi - Tullini, Torino,2004, 1 ss.; GAROFALO, Gli emendamenti alla disciplina del socio lavoratore di cooperativacontenuti nel d.d.l. 848 B, in Lav. giur., 2003, 7 ss.; BUONCRISTIANI, Esclusione o licenziamento delsocio lavoratore di coopertiva, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1342 ss.; IENGO, Le cooperativedi lavoro e consumo, in La società cooperativa, a cura di Bonfante, Padova, 2014, 551 ss.; G.F.RICCI, Il lavoro nelle cooperative fra riforma e controriforma, in Dir. lav. merc., 2003, 24.

(31) In favore dell’assorbimento del rapporto di lavoro in quello associativo, TARTAGLIONE,Le modifiche alla disciplina del socio lavoratore in cooperativa, in Guida al lav., 2003, 10, 71 ss.;Trib. Milano, 28 aprile 2003, in Riv. crit. dir. lav., 2003, 735, Trib. Siena, 26 febbraio 2007, ivi, 2007,1298; contra Trib. Voghera, 2 ottobre 2003, ivi, 2003, 735; Cass., 6 dicembre 2010, n. 24692, in Foroit., 2011, I, c. 2264, la quale ritiene che la controversia sul licenziamento intimato in dipendenzao contestualmente all’esclusione del socio rientra nella competenza del tribunale ordinario.

(32) Cosicché, ove la cooperativa disponga, sulla base delle previsioni codicistiche ostatutarie, l’esclusione del socio, il provvedimento estingue ipso iure anche il rapporto di lavoro,senza la necessità di un autonomo atto di licenziamento (GRAGNOLI, Collegamento negoziale erecesso intimato al socio-lavoratore, in Lav. giur., 2007, 451 ss.; RATTI, Mutualità e scambio nellaprestazione di lavoro del socio di cooperativa, in Arg. dir. lav., 2008, 742 ss.).

(33) MELIANDÒ, Nuove incertezze per il lavoro in cooperativa, in Foro it., I, 2003, c. 134 ss.;ZOLI, Le modifiche alla riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, in

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Tale diversa lettura ha evidenti ricadute in tema di arbitrato.Se si ritiene di aderire alla tesi che opta per il rientro di tutte le

controversie nell’alveo del diritto societario, la soluzione sarebbe la pienacompromettibilità, in presenza di regolare clausola compromissoria, diogni e qualsivoglia controversia che possa sorgere fra socio lavoratore esocietà cooperativa, con conseguente applicazione dell’arbitrato societa-rio (34). Diversamente se si ritiene che ancòra sussista una duplicità dirapporti, allora bisognerà rifarsi all’art. 806 c.p.c, che esclude la possibilitàdi fare ricorso agli arbitri nelle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., a menoche l’arbitrato non sia previsto dalla legge o dagli accordi o contratticollettivi di lavoro (35).

5. L’esigenza di semplificazione e di economia processuale porte-rebbe a concludere, alla luce della novella del 2003, per una totaleattrazione delle controversie tra socio e cooperativa nell’alveo dell’arbi-trato societario da clausola compromissoria statutaria (36); e ciò prescin-dendo dal fatto che queste abbiano ad oggetto il rapporto di lavoro.

Al contempo, la disciplina dell’arbitrato societario è caratterizzata daelementi in grado di offrire potenzialmente una sufficiente tutela al sociolavoratore: infatti, oltre ad essere garantita l’imparzialità dell’organogiudicante, grazie alla previsione della nomina ad opera di un soggettoestraneo alla società, è escluso il giudizio secondo equità (37) ed è sancital’impugnativa per violazione delle regole di diritto. Quindi una tecnicaprocessuale idonea a garantire l’equilibrio sostanziale tra le parti.

Tuttavia, una simile lettura priva di rilevanza il rapporto di lavoro, ilquale, seppure in sèguito alla legge n. 30 del 2003 non possa essere più

La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro: l. n. 30 del 2003, a cura di Carinci,Milano, 2003, 283 ss. In giurisprudenza: Trib. Milano, 12 febbraio 209, in Riv. crit. dir. lav., 2009,556, con nota di BIAMONTE; Trib. Ravenna, 29 aprile 2009, ivi; Trib. Voghera, 5 luglio 2010, ivi2010, 907, con nota di MAFFUCCINI; Trib. Milano, 26 maggio 2006, in Dejure; Cass., 21 novembre2014, n. 24917, in Dejure; Cass., 3 maggio 2005, n. 9112, ivi.

(34) Sul punto si rimanda alle osservazioni di GENNARI, Le clausole compromissorie nellecooperative, in AA. VV., Le società cooperative, a cura di Paolucci, Milano, 2012, 92; Trib.Catania, 21 febbraio 2003, in Giust. civ., 2004, 519, con nota di VINCIERI.

(35) In questo senso: Cass., 21 agosto 2003, n. 12309, in Dejure; Trib. Bari, 15 febbraio2005, in Dejure, ove si stabilisce che la clausola compromissoria contenuta nello statuto socialenon sia in grado di assorbire le controversie di lavoro, sia perché nella specie ha àmbito limitatoalle controversie sul rapporto sociale, sia perché le liti di lavoro sono in ogni caso noncompromettibili in arbitrato rituale.

(36) IRRERA CATALANO, I limiti soggettivi ed oggettivi di operatività della clausola com-promissoria statutaria, in Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, a cura diAlpa e Vigoriti, Torino 2013, 1090; in termini simili, seppure in senso dubitativo: ZUCCONI GALLI

FONSECA, in Arbitrati speciali, cit., 115.(37) Peraltro nell’arbitrato irrituale di lavoro il giudizio secondo equità non è escluso, ma

si impone che il giudizio avvenga nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e deiprincìpi regolatori della materia, anche derivanti dagli obblighi comunitari.

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qualificato come autonomo, si affianca comunque a quello associa-tivo (38).

In altri termini, ancòra oggi, alla luce della disciplina positiva, conti-nua ad esistere un rapporto di dipendenza tra il vincolo mutualistico equello sociale.

A sostegno di tale interpretazione, oltre alla notazione testé menzio-nata, si pone anche l’art. 5, comma 2º, nella parte in cui prevede che il“rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio”.Conseguentemente, ove la cooperativa disponga, sulla base delle disposi-zioni codicistiche o statutarie, l’esclusione del socio, il provvedimentoestingue ipso iure anche il rapporto di lavoro, senza necessità di unautonomo atto di licenziamento (39). Questa previsione va poi coordinatacon quella contenuta all’art. 2, comma 1º, legge 142 del 2001, in base allaquale non è applicabile l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ogniqualvoltacol rapporto di lavoro venga a cessare anche quello associativo. A pre-scindere dalle critiche che tale previsione ha suscitato, la dottrina è parsaconcorde nel ritenere che la disciplina del momento estintivo costituisse ladimostrazione dello stretto legame che unisce i due rapporti (40).

In questa direzione si pone anche la circolare ministeriale n. 10 del2004, secondo la quale con “tale modifica viene ulteriormente confermatala preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro”, nonché“fugato ogni possibile dubbio sul fatto che il rapporto di lavoro siastrumentale al vincolo di natura associativa” (41).

Risulta, quindi, accentuato il collegamento dei due rapporti, dipen-dendo la sorte di quello lavorativo dalle vicende e dalle regole proprie diquello sociale.

Per siffatto motivo si può configurare tra i due rapporti l’esistenza diun collegamento negoziale funzionale (42): infatti è possibile rinvenire unrapporto di accessorietà, rectius un nesso funzionale di interdipendenza, inragione del quale il contratto di società costituisce presupposto inelimi-nabile per il sorgere stesso nonché per la regolamentazione del rapportodi lavoro del socio-lavoratore. Si tratta, tuttavia, salva diversa previsione

(38) DALMOTTO, L’arbitrato nelle società, Bologna, 2013, 126.(39) Per l’autonomia di tali atti, invece: Trib. Milano, 6 ottobre 2006, in Dejure; Trib.

Siena, 26 febbraio 2007, ivi. Diversamente, Cass., 6 dicembre 2010, n. 24692, cit. e ancheBUONCRISTIANI, op. cit., 1342, il quale ritiene che la cooperativa non possa adottare l’atto diesclusione senza previa contestazione degli addebiti e, quindi, procedere al licenziamento, sullabase della previsione statutaria che prevede l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro incaso di esclusione.

(40) BARBIERI, Il lavoro nelle cooperative, in Lavori e diritti dopo il decreto legislativo276/2003, a cura di Curzio, Bari, 2004, 360.

(41) DONDI, La disciplina della posizione del socio di cooperativa dopo la c.d. legge Biagi,in Arg. dir. lav., 2004, 66.

(42) RATTI, Mutualità e scambio nella prestazione di lavoro del socio di cooperativa, inArg. dir. lav., 2008, 742; contra: BUONCRISTIANI, op. cit., 1338 ss.

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statutaria alla luce dell’art. 2533 c.c., di un collegamento unidirezionale: lacostituzione e la vigenza del rapporto di lavoro del socio sarebberocondizionate dalla sussistenza del rapporto sociale ma non viceversa.Infatti, le vicende che investono il contratto accessorio (quello di lavoro)non si ripercuotono su quello principale (quello sociale), a meno che,come osserva la dottrina (43), non si “concretizzino delle circostanzefattuali giuridicamente rilevanti anche secondo la disciplina legale estatutaria applicabile a quest’ultimo” (44).

Ciò posto, il collegamento negoziale condiziona il potere di giudicaredegli arbitri, e quindi l’àmbito di operatività delle clausole arbitrali con-tenute nello statuto cooperativo (45). Al contempo, tuttavia, non si puòaffermare tout court che la clausola compromissoria inserita nello statutosociale possa anche coprire le controversie relative al rapporto di lavoro,essendo quest’ultimo, come già evidenziato, un rapporto distinto da quellosociale.

La dottrina (46) che si è accostata allo studio della relazione traclausola compromissoria statutaria e vincolo mutualistico ha individuatotre tipi diversi di clausole: quelle che fanno riferimento esclusivamentealle sole controversie “societarie” tra socio e cooperativa, quelle, invece,che fanno generico riferimento a “tutte le possibili controversie” chepossono sorgere tra socio e cooperativa, e, infine, quelle che fannoespressamente riferimento anche alle controversie nascenti dai singolirapporti mutualistici.

Nel primo caso ha escluso che la clausola compromissoria possaricomprendere anche le controversie relative allo scambio mutualistico,mentre con riguardo alle altre fattispecie ha ritenuto che la convenzionearbitrale statutaria possa abbracciare le controversie relative al suddettorapporto, solo qualora il soggetto operi una esplicita adesione all’esten-sione oggettiva della clausola statutaria e non certo per effetto della meraacquisizione della qualità di socio.

Con riguardo alle cooperative di produzione e lavoro tali conclusioninon possono automaticamente operare alla luce del peculiare rapporto

(43) PALLIDINI, Il rapporto di lavoro del socio di cooperativa dopo le riforme del 2003,inRiv. giur. lav., 2004, 207.

(44) Anche se viene correttamente rilevato che scopo della cooperativa è quello diassicurare continuità di occupazione e migliori condizioni economiche, sociali e professionali,nonché una adeguata remunerazione del capitale di rischio. Conseguentemente non avrebbealcuna giustificazione della permanenza del socio non più lavoratore nella cooperativa; sulpunto, BUONCRISTIANI, op. cit., 1137 ss.

(45) In questo àmbito rischia di riproporsi un tema di più ampio respiro relativo alrapporto tra clausola compromissoria e contratti collegati. Sul punto si rimanda a ZUCCONI

GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e arbitrato, in AA. VV., I collegamenti negoziali e leforme di tutela, Milano, 2007, 59 ss.; LUISO, Pluralità di clausole compromissorie e unicità delprocesso arbitrale, in questa Rivista, 2007, 601 ss.

(46) MURONI, Clausola compromissoria statutaria e rapporto mutualistico, in questaRivista, 2008, 58 e 60 ss.

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mutualistico che le caratterizza. Rapporto che presuppone, per espressaprevisione legislativa, particolari generi di cautele. Infatti in precedenzaho parlato, in relazione alla arbitrabilità delle liti di lavoro, di azionearbitrale “vincolata”, ovvero subordinata a specifici requisiti predetermi-nati dalla legge.

Tali presupposti devono essere rispettati anche nel caso di controver-sie di lavoro relative alle cooperative di produzione e lavoro.

La mancanza degli stessi impedisce il ricorso alla giustizia arbitrale ela configurazione di due distinte “competenze”: quella arbitrale per le litisocietarie e quella del giudice del lavoro per le controversie mutualistiche.

In questa direzione si pone anche il dettato normativo, prevedendoall’art. 819 ter c.p.c. che la competenza degli arbitri non sia esclusa dallapendenza della stessa causa davanti al giudice, né dalla connessione tra lacontroversia ad essi deferita ed una causa pendente innanzi al giudice.

In simili casi, però, non sarà possibile un coordinamento immediatotra i due giudizi arbitrale l’uno e statale l’altro, poiché ai sensi dell’art. 819ter c.p.c. è esplicitamente esclusa l’applicazione degli artt. 295 e 39 c.c. enon più solo della mera connessione ex art. 40 c.p.c.

Sarà invece ammissibile la tutela arbitrale qualora vengano rispettatii requisiti prescritti dall’art. 806 c.p.c, e cioè vi sia una espressa previsioneda parte della contrattazione collettiva o della legge.

6. In questo ultimo caso si porrà, invece, il problema di coordinarei due procedimenti arbitrali diversi al fine di individuare un unico foroarbitrale, preferibile ai fini sia della razionalità dei giudizi sia dell’econo-mia processuale.

Diverse sono le ipotesi che potrebbero configurarsi.a) Clausola compromissoria (per arbitrato rituale) inserita nel con-

tratto di scambio (rectius di lavoro), previa autorizzazione a livello dicontrattazione collettiva.

In una simile ipotesi non si pone alcun dubbio sulla arbitrabilità dellalite di lavoro, ma è opportuno, come suggerisce la dottrina (47), coordinareil contenuto della clausola compromissoria inserita nel contratto di scam-bio con quella predisposta all’interno dello statuto sociale al fine digarantire una unica cognizione arbitrale.

Come osserva correttamente la letteratura (48), la clausola inserita nelcontratto di lavoro non subirà alcuna sanzione di nullità ex art. 34 d.lgs. n.5 del 2003, qualora dovesse riconoscere alle parti in lite la facoltà dinominare i componenti del collegio. Tuttavia, ai fini del coordinamentodei giudizi, soprattutto nei casi di connessione forte (come nella fattispecie

(47) MURONI, op. cit., 66.(48) MURONI, op. cit., 67.

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in esame), sarebbe opportuno che detta clausola rinviasse all’arbitratoscelto nella clausola statutaria.

Non si ritiene che l’adesione alla tecnica dell’arbitrato societariopossa costituire un vulnus per il socio-lavoratore. Infatti, così come siprevede per l’arbitrato di diritto comune, nell’arbitrato societario è am-messa l’impugnativa del lodo per errore di diritto qualora l’arbitro abbiaconosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto delgiudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari. In similiipotesi, evidentemente, non potrà trovare ingresso il giudizio secondoequità (art. 829, comma 4º c.p.c.).

L’unico vero problema che si pone è quello relativo alla possibilitàper le parti di rinunciare preventivamente alla nomina degli arbitri, checostituisce, in questo caso, la vera differenza tra i due tipi di arbitrato.

Concordando con le conclusioni a cui è approdata la dottrina (49),ritengo ammissibile una simile rinuncia. Peraltro, nell’arbitrato societario,la previsione della scelta dell’arbitro/degli arbitri ad opera di un soggettoterzo costituisce ulteriore presidio della indipendenza, imparzialità eneutralità del giudicante.

Qualora, invece, mancasse il richiamo nella clausola compromissoriainserita nel contratto di scambio alla disciplina dell’arbitrato societario, laclausola inserita nel contratto di lavoro pur valida, non consentirebbe didare luogo al c.d. simultaneus processus. Con l’ovvia conseguenza dideterminare la nascita di due procedimenti arbitrali. L’eventuale conflittotra lodi potrà essere risolto mediante l’applicazione dell’art. 829, comma1º, n. 8, c.p.c. (50). Naturalmente detto motivo potrà essere fatto valere,alla luce del collegamento negoziale sopra illustrato, solo qualora il lodoreso in materia laburistica non sia conforme a quello pronunciato inmateria societaria.

b) Clausola compromissoria inserita nel contratto di lavoro richia-mante la disciplina dell’arbitrato di cui all’art. 10 l. 183 del 2010, ovvero ilc.d. arbitrato irrituale da clausola compromissoria certificata.

In questo caso è, a mio avviso, impossibile individuare un unico foroarbitrale. Le tecniche arbitrali sono sostanzialmente differenti.

Peraltro, un simile sforzo si rivelerebbe vano in caso di impugnativadi licenziamento, poiché l’art. 10 della menzionata legge vieta il ricorso

(49) MURONI, op. cit., 67, ove, peraltro, afferma che sarebbe possibile vincolare ilmedesimo soggetto anche per le nomine del collegio dell’arbitrato di diritto comune. Nellostesso senso, LUISO, op. cit., 610 e 611.

(50) La giurisprudenza appare restrittiva, esigendo che il fatto accertato contrario alsuccessivo sia il medesimo, ovvero un fatto incompatibile perché antitetico e non un meroantecedente logico contrastante; si escluderebbe pertanto i casi di pregiudizialità (ex multis,Cass., 7 ottobre 1996, n. 8761, in Foro amm., 1996, 1182). La dottrina prevalente è in sensoopposto: LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, 374; ATTARDI, Larevocazione, Padova, 1959, 207; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale, Napoli, 2006, 537.

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alla modalità arbitrale, così come delineata, relativamente alle controver-sie riguardanti la risoluzione del rapporto di lavoro.

In una simile ipotesi, quindi, sono configurabili due diverse compe-tenze: quella del tribunale ordinario in veste di giudice di lavoro per lacontroversia relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro e quellaarbitrale per la impugnativa della delibera di esclusione dalla compaginesociale.

Per quanto concerne l’ipotetico conflitto tra giudicati si rimanda aquanto si dirà nel § che segue.

c) Mancanza di una previsione a livello di contrattazione collettiva erinvio alla tecnica degli arbitrati ex lege (51).

Potrebbe, invece, mancare una previsione a livello di contrattazionecollettiva, come accade nella fattispecie in esame.

In un simile caso, l’unica via per accedere alla tutela arbitrale anchenelle liti di lavoro sarebbe quella di aderire ai c.d. arbitrati ex lege, ovverodisciplinati dagli artt. 412 e 412-quater c.p.c.

In tali ipotesi, però, non potrà mai operare, nonostante la volontàdelle parti, l’estensione oggettiva dalla clausola compromissoria statuaria,poiché la manifestazione della volontà compromissoria si realizza in modopeculiare negli arbitrati ex lege, peraltro sempre a controversia insorta.

Inoltre, negli arbitrati di lavoro regolati dalla legge, la tecnica delprocesso arbitrale è peculiare rispetto a quella delineata dall’arbitratosocietario, non solo relativamente alla disciplina del procedimento (52) masoprattutto per quanto riguarda gli effetti del lodo (53).

Non è possibile una rinuncia: derogare vorrebbe dire elidere il ri-chiamo compiuto dall’art. 806 c.p.c. all’arbitrato previsto dalla legge.

Pertanto, qualora sorga una controversia relativa sia all’esclusione delsocio che al relativo licenziamento, per potere accedere alla tutela arbi-trale per entrambe le controversie, è necessario che le parti, in materia dilavoro, scelgano, a lite insorta, una delle modalità disciplinate dagli artt.412 e 412-quater c.p.c.

Nonostante una simile scelta, non sarà mai possibile l’individuazionedi un unico foro arbitrale e neppure un coordinamento dei giudizi ex

(51) Le conclusioni delineate al termine di questo punto possono essere estese anche nelcaso in cui la clausola compromissoria richiami un arbitrato amministrato, come nella fattispeciein esame.

(52) Specialmente con riguardo all’arbitrato delineato dall’art. 412 quater c.p.c. la tecnicadel processo arbitrale è delineata in modo puntuale e si discosta profondamente per quantoriguarda la disciplina della nomina degli arbitri (il terzo arbitro deve essere scelto tra i professoriuniversitari in materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte dicassazione), l’iter procedimentale molto dettagliato e la disciplina del compenso.

(53) Infatti in entrambe le discipline richiamate si parla di lodo impugnabile ai sensidell’art. 808 ter c.p.c., il quale può divenire esecutivo se non è impugnato dalle parti. Nell’ar-bitrato societario, trovando applicazione le norme sull’arbitrato rituale, il lodo ai medesimieffetti della sentenza, ai sensi dell’art. 824 bis c.p.c.

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ante (54), a meno che non sia disposta la sospensione facoltativa ex art. 337c.p.c.

Sarà, invece, possibile un coordinamento posticipato così come illu-strato nel punto a).

d) Clausola compromissoria statutaria per arbitrato irrituale ed arbi-trati irrituali ex lege.

A diverse conclusioni si potrebbe, invece, giungere qualora lo statutosociale contenga una clausola compromissoria per arbitrato irrituale.

Come è noto, il tema dell’arbitrato irrituale societario è al centro diun ampio dibattito non ancòra sopito. Diverse sono le posizioni degliinterpreti (55).

Qualora si ritenesse ammissibile questa forma di arbitrato in materiasocietaria, si potrebbe immaginare un coordinamento tra i giudizi arbitrali.Tuttavia, la disciplina dell’arbitrato societario dovrebbe piegarsi alla di-sciplina dell’arbitrato irrituale ex lege: le parti dovrebbero stabilire, unavolta che è sorta la controversia avente profili inerenti sia al rapporto dilavoro che a quello sociale e sempre che la formulazione della clausola loconsenta (56), che l’arbitrato sia regolato dalle norme dell’arbitrato dilavoro ex lege con l’inevitabile conseguenza che il lodo, se non impugnato,divenga esecutivo.

Tirando le file delle osservazioni sopra compiute, l’unico modo peravere sia la sicurezza di potere accedere alla tutela privata che l’indivi-duazione di un unico foro arbitrale, è quello di inserire all’interno delcontratto di lavoro una clausola compromissoria per arbitrato rituale,richiamante la disciplina dell’arbitrato societario. Tuttavia, come ricor-dato, la possibilità di inserire siffatta convenzione opera unicamentequalora vi sia una preventiva autorizzazione a livello di contrattazionecollettiva.

(54) Una dottrina (MURONI, op. cit., 68) propone di potere coordinare i due giudizimediante l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. Tuttavia, nutro delle perplessità sia alla luce deldettato normativo che della natura eterogenea del giudizio arbitrale rispetto a quello statuale.

(55) Una parte degli interpreti esclude l’ammissibilità di un arbitrato irrituale da clausolacompromissoria statutaria (BIAVATI, Il procedimento nell’arbitrato societario, in questa Rivista,2003, 42 ss.; PIZZOFERRATO, Giustizia privata del lavoro, in Tratt. di dir. comm. e dir. pubb.dell’econom., diretto da Galgano, Padova, 2003, 181 ss.); altri, invece, rilevano che la riformasocietaria sarebbe intervenuta per azzerare la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale,disciplinando entrambi con le medesime forme (si rimanda sul punto a BOCCAGNA, Sub art. 34,in AA. VV., Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale e internazionale, a cura diBenedettelli, Consolo e Radicati di Brozolo, Padova, 2010, 405); possibilista, ZUCCONI GALLI

FONSECA, in Arbitrati speciali, cit., 112); altri ancòra sottolineano che la progressiva giurisdizio-nalizzazione dell’arbitrato avrebbe allontanato ancòra di più le due figure e legittimatoulteriormente l’esistenza di un arbitrato di alveo esclusivamente negoziale (E.F. RICCI, Il nuovoarbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 537).

(56) Con riguardo all’arbitrato rituale l’art. 816 bis c.p.c. prevede che le parti possono,anche con atto scritto separato rispetto alla convenzione d’arbitrato, stabilire le norme che gliarbitri debbono osservare nel procedimento. Regola che può facilmente trovare applicazioneanche nell’arbitrato irrituale.

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7. Alla luce di quanto esposto appaiono ovvie le conclusioni.Se da una parte si deve criticare l’interpretazione abbracciata dal

Tribunale di Piacenza, dall’altra, invece, si deve accogliere l’opzioneesegetica del Collegio arbitrale con le precisazioni di sèguito esposte.

Se, come si è cercato di dimostrare, all’interno delle cooperative diproduzione e lavoro coesistono due diversi rapporti, uniti da un nesso diaccessorietà, alla luce di un dettato normativo che non consente diaffermare il contrario, è necessario salvaguardare e garantire la loroautonomia.

Si deve quindi concludere per l’esistenza di due diverse competenza:una arbitrale per quanto concerne l’impugnativa della delibera di esclu-sione e una statuale con riferimento alla risoluzione del rapporto dilavoro.

Al contempo, non devono sorgere dubbi in merito alla arbitrabilitàdella fattispecie in esame: infatti, oggetto del processo arbitrale è l’impu-gnativa di esclusione dalla compagine sociale. Il licenziamento è solo uneffetto conseguente a tale deliberazione, che, come afferma il Collegioarbitrale, può essere oggetto di un autonomo giudizio (57).

Inoltre l’opzione esegetica del Tribunale piacentino determina unaingiusta compromissione della libertà della compagine societaria di addi-venire alla scelta arbitrale, peraltro in relazione a un diritto pienamentecompromettibile (58).

Ritengo, infatti, che come debba essere vietata la cognizione arbitralequalora non siano rispettati i presupposti previsti dalla legge, così deveessere garantita la sua attuazione nel caso in cui, invece, gli stessi sianosalvaguardati, pena la violazione della libertà delle parti, riconosciutadalla stessa Costituzione, di scegliere una giustizia diversa da quellaordinaria.

Seppure la giurisprudenza recente abbia sancito la piena identitàsostanziale tra il processo arbitrale e quello statuale, la scelta dellagiustizia arbitrale, specialmente nel contesto societario, risponde a speci-fiche esigenze delle parti, che devono essere rispettate (59), salvo che lascelta arbitrale si ponga in contrasto rispetto al dettato normativo.

(57) Giustamente il Collegio rileva la irrilevanza di un autonomo atto di licenziamento:il legislatore, infatti, ha previsto un rapporto di consequenzialità fra il recesso o l’esclusione delsocio e l’estinzione del rapporto di lavoro, che esclude la necessità, in presenza di comporta-menti che ledono il contratto sociale oltre il rapporto di lavoro, di un distinto atto dilicenziamento, così come le garanzie procedurali connesse all’irrogazione di questo ultimo (insenso conforme: Cass., 5 luglio 2011, n. 14741, in Dejure).

(58) La giurisprudenza è quasi unanime a riconoscere l’arbitrabilità delle impugnative diesclusione del socio dalla compagine sociale; ex multis: Cass., 2 marzo 2009, n. 5019, in Dejure;Trib. Bari, 7 febbraio 2007, ivi.

(59) In àmbito societario la scelta dello strumento arbitrale trova fondamento non soloin esigenze di celerità del giudizio, ma soprattutto risponde a ragioni di riservatezza. Esigenzeche non trovano risposta nella giustizia ordinaria, con il risultato di determinare spesso unainsanabile rottura fra le parti, oppure che le situazioni di conflitto provochino reazioni indirette,

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Inoltre il giudicante piacentino, ritenendo applicabile l’art. 40 c.p.c. alrapporto tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario, è contravvenuto alprincipio espresso chiaramente dall’art. 819 ter c.p.c., che non esclude lacompetenza arbitrale in caso di connessione tra la controversia deferitaagli arbitri e una causa pendente innanzi al giudice ordinario.

Alla luce della ricostruzione accolta del rapporto intercorrente tra laprestazione societaria e mutualistica appare, invece, condivisibile la solu-zione del Collegio arbitrale.

Tale opzione esegetica determina l’ovvia conseguenza di legittimaredue procedimenti paralleli (non sembrerebbe esserci stata l’opzione arbi-trale in un momento successivo, come ipotizzato nel § precedente, puntoc)), che potranno eventualmente essere coordinati solo ex post in caso didecisioni contrastanti.

Infatti, come ho indicato in precedenza, dipendendo la sorte delrapporto di lavoro dalle vicende e dalle regole proprie di quello sociale,una sentenza concernente la risoluzione del rapporto di lavoro di conte-nuto contrastante con quella del lodo relativo alla esclusione dalla com-pagine sociale potrà essere oggetto di impugnazione ex art. 395, n. 5,c.p.c. (60), oppure, come suggerisce la dottrina (61), si dovrebbe ritenereammissibile l’impugnazione per cassazione, per violazione di norme didiritto.

Diversamente nutro perplessità su alcuni aspetti delle argomentazioniadottate dal Collegio in merito alla questione concernente la validità oinefficacia della convenzione arbitrale.

Dalla lettura dell’ordinanza del Tribunale piacentino sembrerebbedesumersi che la statuizione concernente la validità della convenzionearbitrale sia oggetto di un mero obiter dictum (62).

Ciò posto, alla luce del noto principio della Kompetenz-Kompetenz, ilgiudice ordinario ha il potere di verificare la sussistenza o meno delproprio potere di giudicare sulla controversia: quello che il dettato nor-mativo, invece, vieta è la proposizione, in pendenza del giudizio arbitrale,

non volute ma inevitabili, una volta che i terzi siano a conoscenza dell’esistenza di determinaticontrasti.

(60) Ritengo applicabile detta fattispecie alla luce di una interpretazione estensiva delconcetto di “sentenza”, confermato dall’equiparazione tra lodo e sentenza operata dall’art. 824bis c.p.c. Sul punto già nella previdente disciplina TARZIA, Conflitti tra lodi arbitrali e conflitti tralodi e sentenza, in Riv. dir. proc., 1994, 645 ss.; E. RICCI, L’« efficacia vincolante » del lodoarbitrale dopo la legge n. 25 del 1994, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 819. La giurisprudenzasubordina la possibilità di fare ricorso a questo mezzo di impugnazione purché il precedentegiudicato verta tra le stesse parti, sullo stesso fatto o su fatto antitetico e non su un sempliceantecedente logico (Cass., 27 maggio 2009, n. 12348, in Dejure; Cass., 11 dicembre 1999, n. 13870ivi). In questo caso vi è una identità di fatto storici. Sul punto cfr. anche nota 50.

(61) TARZIA, op. cit., 645.(62) Cfr. nota 5.

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di domande concernenti la validità o l’efficacia della convenzione arbi-trale.

Tale domanda non è stata formulata innanzi al Giudice piacentino,come rilevato peraltro dallo stesso Collegio arbitrale. Tuttavia, quest’ul-timo, seppure affermi che la questione pregiudiziale in merito alla validitàdella clausola compromissoria sia stata affrontata solo quale premessa perla soluzione della questione preliminare di rito relativa alla competenza,rileva che nel caso di specie la pendenza del giudizio arbitrale precluda laproposizione di domande giudiziali relative alla validità della convenzionearbitrale.

ELENA GABELLINI

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I) ITALIANA

Lodi annotati

COLLEGIO ARBITRALE (Pizzoferrato Pres., Tibaldini, Fresca), nella controversiatra X + 20 (avv. Guarisco) e la Coperativa Y (avv.ti Gregori e Angona); ordinanzaresa in Bologna il 16 dicembre 2014. (*)

Cooperativa di produzione e lavoro - Delibera di esclusione della compaginesocietaria e risoluzione del rapporto di lavoro - Compromettibilità.

Le violazioni degli obblighi di legge o statutari imputabili ai soci esclusi di unacooperativa di produzione e lavoro pur essendo direttamente o indirettamentericonducibili allo svolgimento della prestazione lavorativa, devono essere valutatenell’ambito del rapporto mutualistico e della loro capacità di incidere o meno sullasopravvivenza del medesimo. Sussiste, quindi, la competenza arbitrale solo eunicamente sotto tale profilo, non per la loro eventuale rilevanza sul distinto,ancorché complementare, rapporto di lavoro.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Il Collegio Arbitrale, a scioglimento della riservaassunta a seguito della prima udienza di comparizione del 15.12.2014, ritiene dinon dover accogliere l’eccezione di invalidità della clausola arbitrale e di incom-petenza degli arbitri sollevata da parte attrice, ritenendo al contrario, sulla basedelle considerazioni di seguito esposte, la propria competenza a decidere in ordineall’opposizione presentata, ai sensi dell’art. 11 dello Statuto della Cooperativa Ydal Sig. X ed altri 20, avverso la delibera a mezzo della quale è stata dispostal’esclusione di questi ultimi da soci della predetta Cooperativa.

Osserva in primo luogo il Collegio come l’eccezione sollevata dalla parteattrice vada inquadrata e risolta quale questione preliminare di competenzaafferente al rapporto tra controversie devolute al giudizio arbitrale e causeproposte davanti al giudice ordinario (ciò anche in ossequio ai principi di recenteaffermati dalle SS.UU. della Corte di Cassazione — Ord. 25.10.2013, n. 24153 —

(*) La presente decisione è commentata da E. GABELLINI, con la Nota pubblicata retronella Rubrica “Giurisprudenza ordinaria”.

GIURISPRUDENZA ARBITRALE

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in merito al riconoscimento della giurisdizionalità del procedimento arbitralerituale).

Quella inerente al rapporto tra autorità giudiziaria ordinaria ed arbitrirappresenta, infatti, questione di competenza integrante eccezione preliminare dirito, così come confermato implicitamente dagli artt. 817, primo comma, e 819 ter,primo comma, del codice di procedura civile che, rispettivamente, affermano lacompetenza degli arbitri a decidere sulle contestazioni sollevate nel corso delgiudizio arbitrale in relazione alla validità, al contenuto o all’ampiezza dellaconvenzione di arbitrato, nonché l’impugnabilità mediante regolamento di com-petenza della sentenza con la quale il giudice affermi o neghi la propria compe-tenza in relazione ad una clausola compromissoria.

In considerazione del quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato,il Collegio — pur prendendo atto della statuizione richiamata dalla difesa di parteattrice a mezzo della quale il Tribunale di Piacenza in funzione di Giudice dellavoro al quale è stata pure devoluta la controversia oggetto del procedimentoarbitrale, ha affermato la propria competenza a conoscere la controversia (ordi-nanza in data 10-11/12/2014 resa nel proc. n. 751/2014 R.G.) — ritiene di non potercondividere i presupposti né le conseguenze di detta pronuncia rispetto alla qualenon reputa, peraltro, sussistere obbligo di conformarsi.

Osserva, infatti, il Collegio che — diversamente da quanto rilevato dalladifesa di parte attrice e sulla base, invece, delle contrarie argomentazioni prece-dentemente esaminate — la statuizione del Giudice del Lavoro di Piacenza integrapronuncia di rito in materia di competenza e come tale priva degli effetti del c.d.giudicato esterno.

Alla soluzione così individuata non osta la circostanza per cui il Giudice aditoabbia affermato che la controversia oggetto dei due procedimenti paralleli (quelloinnanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria e quello arbitrale) non sia suscettibile dideroga a favore degli arbitri ai sensi dell’art. 806 c.p.c. e ciò in quanto la questionepregiudiziale di merito afferente alla validità della clausola compromissoria è stataaffrontata dal Tribunale solo incidenter tantum (e, dunque, senza effetto digiudicato) quale premessa per la soluzione della questione preliminare di ritorelativa alla competenza.

Deve, peraltro, ulteriormente osservarsi come nel caso di specie la pendenzadel procedimento arbitrale (radicato in un momento antecedente rispetto aldeposito del ricorso giudiziale lavoristico) precluda — in forza del disposto di cuiall’art. 819 ter, terzo comma — la proposizione di “domande giudiziali aventi adoggetto l’invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato”.

Alla luce di quanto sopra dedotto, il Collegio ritiene sussistente la propriacompetenza a conoscere la controversia ad esso devoluta in quanto inerente alrapporto associativo e non a quello di lavoro.

Oggetto del giudizio arbitrale è, infatti, la domanda di annullamento dellapredetta delibera (e non l’impugnativa del licenziamento) avverso la quale parteattrice ha proposto opposizione innanzi al Collegio Arbitrale secondo quantoprescritto dal combinato disposto degli artt. 11 e 42 ss. dello statuto dellacooperativa in forza del quale avverso la delibera di esclusione il socio puòproporre opposizione nel termine di 60 giorni dalla comunicazione innanzi alCollegio Arbitrale alla cui competenza sono devolute “tutte le controversie aventi

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ad oggetto rapporti sociali, comprese quelle relative alla validità delle delibereassembleari, promosse da o contro i soci...”.

In tal senso, le violazioni ad obblighi di legge o statutari imputate ai sociesclusi, pur essendo direttamente o indirettamente riconducibili allo svolgimentodella prestazione lavorativa, sono valutate nell’ambito del rapporto mutualistico edella loro capacità di incidere o meno sulla sopravvivenza del rapporto mutuali-stico e sono, quindi, oggetto del sindacato del Collegio Arbitrale solo ed unica-mente sotto tale profilo, non per la loro eventuale rilevanza sul distinto, ancorchécomplementare, rapporto di lavoro.

Pertanto, a parere di questo Collegio, la circostanza della carenza dell’atto dilicenziamento è ininfluente, dovendosi prospettare due parallele cognizioni l’unaarbitrale sulla idoneità dei comportamenti denunciati a costituire valida ragione diesclusione ex art. 11 dello statuto della cooperativa, l’altra giudiziale lavoristica inmerito alla idoneità dei medesimi fatti denunciati a costituire giusta causa dilicenziamento ex lege e/o ex contractu con l’appropriata strumentazione lavoristicadi tutela.

Il Collegio, pertanto, respinge l’eccezione preliminare formulata da parteattrice dichiarando la procedibilità dell’arbitrato; rilevata allo stato attuale l’im-possibilità di esperire utilmente il tentativo di conciliazione tra le parti, fissa per laprosecuzione del giudizio, l’udienza del 20 marzo 2015 ad ore 10,30, concedendoalle parti i seguenti termini perentori a decorrere da oggi:

— termine di 30 giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisa-zioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni giàproposte;

— termine di ulteriori 30 giorni per replicare alle domande ed eccezioninuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conse-guenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi diprova e produzioni documentali;

— termine di ulteriori 20 giorni per le sole indicazioni di prova contraria.(Omissis).

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Arbitrato e consulenza tecnica: individuazione delle voci didanno contrattuale (*)

GIORGIO DE NOVA

1. È mio compito delineare, da un punto di vista giuridico, il tema dellevoci di danno contrattuale.

Le relazioni precedenti ci hanno detto come si accerta l’inadempimento,e la sussistenza di un danno risarcibile. Si tratta ora di verificare quali siano idanni, quali siano, appunto, le voci di danno.

In realtà il tema che dovrò trattare è più limitato, tenuto conto cheparliamo di arbitrato (e dunque rilevano solo le voci che ricorrono in relazioneai contratti che contengono clausole compromissorie — come appalti, SharePurchase Agreements, contratti di distribuzione) e di consulenza tecnica(quindi rilevano solo le voci idonee ad essere indagate da un consulentetecnico).

2. Una premessa è tuttavia necessaria. Oggi si ritiene che sia risarcibileil danno che deriva dall’aver concluso un contratto “sconveniente”, a causa diun comportamento scorretto dell’altra parte nel corso delle trattative, e altempo stesso si ritiene che la convenzione di arbitrato contenuta nel contrattopoi concluso copra anche una domanda di risarcimento di tal genere. Si ponequindi, anche qui, un problema di determinazione del danno risarcibile, sia perl’arbitro sia per il consulente: ed è centrale il quesito se il parametro diriferimento sia il mercato, o invece possa essere anche altro parametro.

3. Devo però concentrarmi sul danno da inadempimento delle obbliga-zioni nascenti dal contratto, e mi limito solo a soggiungere che la questione piùdelicata che si pone, nel rapporto arbitro/consulente tecnico, è determinarequali questioni siano di competenza del primo e quali possano invece esseredeferite al secondo.

Supponiamo che si tratti, come avviene di frequente, di un arbitrato intema di appalto. Ebbene, possiamo identificare questioni che sono tipica-

(*) Relazione al Convegno « La consulenza tecnica nel giudizio arbitrale: il caso deldanno da inadempimento contrattuale », Roma 17 aprile 2015.

RASSEGNE E COMMENTI

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mente devolute al giudizio del collegio arbitrale, come le seguenti: se le opereoggetto dell’appalto siano state interamente eseguite, se le riserve siano statetempestive e rispettose della procedura contrattuale, se l’appaltatore sia statoinadempiente per colpa grave.

Possiamo identificare questioni che sono tipicamente oggetto di consu-lenza tecnica, come le seguenti: se i lavori presentino difetti, se l’impiantoproduca meno del previsto contrattualmente, se l’impianto sia rispettoso dellaregolamentazione ambientale.

Possiamo identificare questioni che si collocano in una posizione me-diana, come le seguenti: chi sia responsabile per i ritardi, se quella parte deilavori in ritardo si trova sul percorso critico, se il ritardo abbia provocatodisruption.

E tra le questioni in posizione mediana vi ė proprio quella che oggi ciinteressa: quali siano i danni risarcibili, quale ne sia la misura.

4. Veniamo ora alla determinazione del danno risarcibile. Il principio,da tutti riconosciuto, è quello dell’integrale riparazione del danno: il risarci-mento deve porre il contraente deluso nella situazione economica in cui sisarebbe trovato se il contratto fosse stato adempiuto.

Si suole dire che il risarcimento così concepito ha ad oggetto l’interessepositivo.

Nella sua magistrale monografia sull’inadempimento e i rimedi del 2010Pietro Trimarchi si domanda se il contraente leso possa chiedere — invece delrisarcimento del danno corrispondente all’interesse positivo — il risarcimentocorrispondente all’interesse negativo (spese, e occasioni alternative trascuratee perdute in conseguenza della stipulazione del contratto) e conclude affer-mativamente per le spese, negativamente per le occasioni perdute (1).

Ma restiamo, secondo tradizione, all’interesse positivo.L’art. 1223 ci parla di perdita subita (o danno emergente) e di mancato

guadagno (o lucro cessante).La contrapposizione, tradizionale, appare in linea di principio netta. Ma

è stato osservato, ancora da Pietro Trimarchi (2), che se il bene è produttivodi redditi la differenza si attenua.

Il valore di un bene produttivo di reddito corrisponde all’attualizzazionedei flussi di cassa attesi, che costituiscono un lucro cessante.

Se il bene ha un prezzo di scambio accertabile sul mercato, il dannoderivante dalla sua perdita può essere determinato per questa via, in veste didanno emergente; se così non è, occorre stimare i redditi attesi, in veste dilucro cessante.

Sulla nozione di mancato guadagno conviene fermarsi un momento, perun confronto con la nozione — di common law — di “consequential damages”:

(1) Pietro TRIMARCHI, Il contratto. Inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 101 ss.(2) Op. cit., pag. 111.

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molti contratti oggetto di arbitrato hanno origine angloamericana, e in essitroviamo clausole che escludono dai danni risarcibili i consequential damages.È dunque essenziale tenere presente la distinzione all’interno dei lost profitstra i damages che possono considerarsi “direct”, e quelli che invece vannoconsiderati “consequential”, appunto molto spesso esclusi da una clausola dilimitazione di responsabilità. Il criterio tradizionale, per diritto di New York,fa leva sulla diversa fonte dei profitti perduti: i danni sono direct se i profittiperduti sarebbero derivati dal contratto inadempiuto, sono consequential sesarebbero derivati da contratti con terzi (American List Corp. V.U.S. Newsand World Report 75 NY2d 38 1989). Ma una recente decisione della Courtof Appeal di New York nel caso Biotronic v. Consor Medsystems Ireland(2014 WL 1237154 N.Y. March 27 2014) ha rimesso in discussione il criteriodistintivo, decidendo che è “direct” il danno che il distributore subisce per nonpotere rivendere a terzi il prodotto che non gli viene fornito in violazione delcontratto di distribuzione.

5. Una parola sui danni imprevedibili: non risarcibili, ex art. 1225, salvoil caso di dolo. Qui si pone il tema di cosa debba intendersi per dolo.

Se si ritenesse che sussiste dolo quando l’inadempimento è volontario econsapevole del danno che ne consegue (3) di fatto la regola sarebbe quelladella risarcibilità dei danni imprevedibili, perché la maggior parte degliinadempimenti integrali è volontaria.

Ciò in contrasto tra l’altro con l’art. 74 della Convenzione di Vienna chenon dispone la risarcibilità dei danni imprevedibili in caso di dolo.

Di qui l’interpretazione che limita il dolo a casi particolarmente riprove-voli di inadempimento (4).

6. Un cenno appena al riconoscimento da parte della Cassazione deldanno non patrimoniale da inadempimento: perché relativo ad ipotesi che bendifficilmente sono oggetto di arbitrato.

7. Dopo queste appena accennate premesse, ribadisco che il tema deldanno da inadempimento, in questo convegno, va affrontato in relazioneall’arbitrato e alla consulenza tecnica: inutile dunque parlare di danni dadeterminare in via equitativa, posto che il compito è riservato al collegioarbitrale, ed opportuno invece soffermarci su alcune voci di danno che spessosi incontrano in arbitrato.

Una voce di danno di tal genere è il danno da ritardo. Molti arbitrati sonoin tema di appalto, e negli appalti il ritardo domina.

Qui il metodo adottato dal CTU è decisivo: basti pensare agli esiti diversi

(3) Come sembra dare per scontato ALPA, Il Contratto in generale. Principi e problemi,Milano, 2014, 187, 194.

(4) Ancora TRIMARCHI, op. cit., pag. 179, riprendendo i risultati della monografia diMaurizio LUPOI, Il dolo del debitore nel diritto italiano e francese, Milano, 1969, 475 ss.

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cui può condurre, pur sempre nell’ambito di una analisi del percorso critico,l’adozione della cosiddetta Windows Analysis (che considera soltanto leattività critiche che si verificano durante uno specifico periodo prefissato delprogetto) piuttosto che l’adozione della cosiddetta Snapshot Analysis (checonsidera ogni attività critica di per sé, dal suo inizio alla sua fine, indipen-dentemente da una finestra temporale prefissata).

Una voce di danno che merita attenzione è il mancato guadagno. Parti-colare rilievo ha il tema in relazione al danno del venditore in caso diinadempimento del compratore. Se Venditore vende a Compratore, maCompratore non paga, si deve determinare il danno che Venditore ha subito.

Se, risolto il contratto, Venditore vende lo stesso bene allo stesso prezzoad un terzo, in prima battuta si potrebbe dire che non ha subito alcun danno,che non sopporta alcun mancato guadagno, perché ottiene dal terzo il prezzoche avrebbe dovuto ottenere dal primo. Ma non ė così: se Venditore era ingrado di vendere quel bene due volte, il mancato guadagno sussiste, ed è parial lucro che avrebbe ricavato dalla prima vendita, e che è venuto meno. Siamoqui in presenza della voce di danno che si suole indicare come lost volume delSeller, il mancato volume di vendite che avrebbe raggiunto il Seller, sulpresupposto che egli abbia prodotti senza limiti o capacità produttiva illimi-tata.

Giunti sin qui, si pone il problema della determinazione del mancatoguadagno: e ci si chiede se possa farsi riferimento al margine di contribuzione.

8. Accenno da ultimo ad una voce di danno che può sembrare assaibanale, il danno da inadempimento di una obbligazione pecuniaria. Tema inrealtà non banale, perché la riforma dell’art. 1284, con l’introduzione delcomma che prevede la misura dell’interesse legale dalla domanda pari al tassomoratorio della legge sui ritardi di pagamento induce a rimeditare la que-stione in modo radicale.

9. La conclusione, che può leggersi in filigrana, è che una buonaconsulenza nasce da un dialogo serrato e alla pari tra arbitro e consulente, eche un buon lodo ha spesso a riferimento una buona consulenza.

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Obbligo del requisito di forma e compromesso

MARCO F. CAMPAGNA

1. Il requisito di forma di cui all’art. 807 c.p.c.

A mente dell’art. 807 c.p.c. « Il compromesso deve, a pena di nullità, esserefatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia ».

La disposizione prescrive con chiarezza il requisito di forma che, a penadi invalidità, deve avere il contratto (1). Tuttavia, intorno a questa norma sisono agitati, da parte degli interpreti, non pochi dubbi.

Si è così posta in passato questione se il requisito di forma possa dirsirispettato anche quando la sottoscrizione del contratto di compromesso tra leparti non sia contestuale. Ove quest’ultimo lemma andrebbe inteso in sensoetimologico e starebbe a indicare prima, e più, l’unicità del testo, che lavicinanza temporale delle sottoscrizioni.

Tratto al di fuori dal contesto dell’arbitrato, il problema affonda le sueradici in un àmbito più ampio, che riguarda le modalità di conclusione deinegozi a forma vincolata. Giova al riguardo rimarcare la distinzione, posta già

(1) È notoriamente dibattuto l’inquadramento del compromesso all’interno del con-tratto o dell’accordo. La prima interpretazione ha, tuttavia, finito col prevalere. Senza pretesadi esaustività nell’elencazione, si vedano già: G. CHIOVENDA, Principii del diritto processualecivile, 3 ed., Napoli, 1923, 107: « la legge riconosce [..] un importantissimo contratto, cheappartiene propriamente al diritto privato »; E. REDENTI, Compromesso (dir. proc. civ.) inNoviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 791; G. SCHIZZEROTTO, L’arbitrato rituale nella giurisprudenza,Padova, 1969, 13 ss.; R. VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, 190.Più di recente G. VERDE, La convenzione d’arbitrato, in Diritto dell’arbitrato rituale (a cura diG. Verde), Torino, 2005, 71.

A testimonianza dell’antico dibattito sulla contrattualità o meno del patto compromissoriosi prenda F. CARNELUTTI, Arbitri e arbitratori, in Riv. dir. proc. civ., 1924, 128 e 129. L’illustre A.,in polemica con Scaduto, ponendo la distinzione tra transazione e compromesso, afferma: « ladifferenza fra la transazione ed il compromesso sta in ciò: che la transazione è l’incrocio di duevolontà dominate dal contrasto degli interessi; il compromesso è l’accordo di due volontàsospinte da un interesse medesimo. [..] Ciò significa che la transazione è un contratto, e ilcompromesso un accordo, cioè una specie di atto complesso » (corsivo dell’Autore). Laricostruzione del Carnelutti ha trovato l’adesione, con riferimento alla clausola compromissoria,di M. ZACCHEO, Contratto e clausola compromissoria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 425, n.4, il quale, notata la mancanza dell’elemento patrimoniale nel rapporto che si costituisce, lacolloca nella più ampia categoria — rispetto alla quale i contratti rappresentano una species —dei negozi bilaterali.

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dal Carnelutti, tra dichiarazione e documento: la prima attiene all’attività diformazione di una rappresentazione (il produrre), il secondo attiene allarappresentazione stessa (il prodotto) (2). La forma richiesta a pena d’invaliditàè quella che cade sulla dichiarazione, che deve essere messa per iscritto, e nonsul documento (3). Non rileva, dunque, il documento e la sua unicità, assumeimportanza lo scrivere le dichiarazioni (4). Poco conta che queste sianocontenute in un unico testo o in testi tra loro separati (5).

Il che rende possibile predicare la validità del patto compromissorio (6),al pari di ogni altro contratto, anche quando la rispettiva volontà delle partinon sia fermata in un unico documento (7).

Questa prima considerazione non sembra richiedere ulteriori particolariapprofondimenti, potendosi dare per pacificamente assunta. Sennonché, scor-rendo i repertori di giurisprudenza, è fatto d’imbattersi in un orientamentoche, almeno stando alle massime, reputa il requisito della forma scritta adsubstantiam soddisfatto anche attraverso lo scambio delle missive contenentila proposta e l’accettazione di remissione della controversia ad arbitri (8).

(2) F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1923, 549 ss.. Recen-temente la distinzione è riproposta da V. BARBA, La nozione di disposizione testamentaria, inRass. dir. civ., 2013, 568.

(3) N. IRTI, Il contratto tra faciendum e factum, in Idola Liberatis. Tre esercizi sulformalismo giuridico, Milano, 1985, 57: « la “forma del contratto” è espressione ellittica, che staper “forme” delle due o più decisioni prese dalle parti » (enfasi dell’Autore).

(4) N. IRTI, op. ult. cit., 60.(5) Soltanto questo passaggio spiega la posizione costante della giurisprudenza, espressa,

ex multis, in Cassazione civile sez. II 21 agosto 2012 n. 14584, in Guida al diritto, 2012, 44 ss.: « Aifini della configurazione di un contratto con forma scritta ad substantiam non è né richiesta,né necessaria la simultaneità della sottoscrizione dei contraenti. Non occorre, in particolare, chela volontà negoziale sia manifestata dai contraenti contestualmente e in un unico documento,dovendosi ritenere il contratto perfezionato anche qualora le sottoscrizioni siano contenute indocumenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora — sulla base di una valutazionerimessa al giudice di merito — si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegatoal primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo ».

(6) Si osservi che l’uso della locuzione “patto compromissorio”, come pure quella di« convenzione arbitrale », utilizzata nelle sentenze citate, raccoglie, senza distinzione alcuna,clausola compromissoria e compromesso. Nel prosieguo del testo le locuzioni saranno utilizzatefacendo riferimento al solo compromesso. Togliendo la definizione da una pagina di C. VOCINO,Schema di una teoria della clausola compromissoria, in Foro it., 1932, c. 1062, diremo che « ilcompromesso è un contratto intercorso fra due o più parti, pel quale i contraenti [..] commettonola risoluzione di certe controversie fra loro insorte, alla decisione di arbitri privati » (enfasidell’Autore).

(7) Cfr. Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2014, n. 15993, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass. civ., sez.I, 24 luglio 2007, n. 16332, in Giust. civ. Mass., 2007.

(8) Si veda, recentemente, Cass. civ., sez, I, 14 maggio 2014, n. 10436. Nello stesso sensoanche Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2007, n. 2256, in questa Rivista, 2007, 237 ss., n. di E.D’ALESSANDRO, Conclusione dell’accordo compromissorio mediante meri atti di nomina degliarbitri ?; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2000, n. 1989, in Foro it., 2001, I, cc. 1352 e ss.: « lastipulazione del compromesso deve ritenersi validamente verificata con lo scambio delle missivecontenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione di compromettere ad arbitri la decisionedella controversia insorta; la richiesta di costituzione di un collegio arbitrale infatti non puòessere interpretata diversamente, implicando necessariamente l’espressione della volontà dirimettere agli arbitri la decisione della controversia ».

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2. Lo scambio delle nomine d’arbitri e la conclusione del compromesso.

Dunque, per l’orientamento da ultimo richiamato, il compromesso sa-rebbe validamente stipulato con la richiesta di costituzione di un collegioarbitrale mediante nomina di un arbitro, a cui faccia seguito la nomina diarbitro dell’altra parte.

Al riguardo può non essere inutile ricordare che compromesso e con-tratto di arbitrato sono negozi distinti (9). Il rapporto tra le parti e gli arbitridiverge dal compromesso per soggetti, oggetto ed effetti (10). Anche nel casoin cui il compromesso contenga la designazione degli arbitri sarebbe comun-que necessaria la loro accettazione per far sorgere in capo a costoro l’obbligodi emettere la decisione (11). È stato autorevolmente rilevato che il contrattod’arbitrato si conclude con l’incontro di dichiarazioni di volontà — proposta eaccettazione — distinte rispetto alle dichiarazioni di volontà che servono aconcludere un patto compromissorio (rectius: il compromesso) (12). Si intuiscecosì che i due contratti, il compromesso e il contratto d’arbitrato, ancorchénecessariamente connessi, vanno considerati separatamente, sia da un puntodi vista formale, sia sotto il profilo sostanziale (13).

Poste queste premesse, risulta possibile comprendere che, ad avviso dellagiurisprudenza oggetto di analisi, la seconda nomina dell’arbitro sarebbe da« valutarsi [anche] come accettazione della proposta » di compromettere lalite (14). La nomina dell’arbitro rileverebbe, dunque, non per quanto in essadichiarato, ma come fatto concludente.

A dispetto del formalismo imposto dall’art. 807 c.p.c., vi è, infatti, unaopinione che, in modo più o meno esplicito, ritiene possibile concludere il

Questo orientamento, è appena da dire, merita analisi soltanto per i casi in cui chi nominagli arbitri abbia anche il potere di compromettere la lite. Sulla legittimazione per la stipulazionedei compromessi, in luogo di tanti, si veda C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, t. I,Padova, 2000, 268 e ss.

(9) Distinzione che è già tracciata compiutamente in F. CARNELUTTI, Istituzioni del nuovoprocesso civile italiano, Roma, 1951, 70 e 71. L’A. rileva che distinta è la « funzione, perchémentre il compromesso conferisce agli arbitri la potestà di giudicare, dal contratto [di arbitrato]discendono i loro obblighi e diritti verso le parti ».

(10) E. REDENTI, Compromesso, cit., 789.(11) Cfr. sul punto M. RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, Padova, 2006, 340.(12) E. REDENTI, loc. ult. cit.(13) Cfr. S. MARULLO DI CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008, 18 ss., il quale

mi sembra individuare la nota della connessione necessaria nell’osservazione che l’esistenzadell’accordo compromissorio è « uno dei dati di fatto, che compongono la fattispecie “contrattodi arbitrato” » (p. 20).

D’altro canto non pare che i due atti possano essere considerati all’interno di un’unicafattispecie a formazione progressiva. In questo senso anche M. RUBINO SAMMARTANO, op. ult. cit.,341. La fattispecie a formazione progressiva sembra esclusa proprio dall’indipendenza edautonomia degli effetti che dagli atti derivano. Sulla fattispecie a formazione progressiva sirinvia diffusamente a D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939.

(14) Così Cass. civ., sez, I, 14 maggio 2014, n. 10436, cit. Un’applicazione piana delmedesimo principio sembra fatta in particolare da Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2007, n. 2256, cit..

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patto compromissorio per fatti concludenti. Si avanza sommessamente l’ideache proprio questo pensiero va sottoposto ad esame critico, al fine di verifi-carne, alla luce del dato positivo, l’eventuale tenuta.

3. Inammissibilità della conclusione di un compromesso per fatto conclu-dente.

Un punto d’appiglio per ritenere che il patto compromissorio possa dirsiconcluso anche per fatti concludenti sarebbe offerto, a tutta prima, dal datopositivo.

Il lodo, è noto, può essere impugnato per nullità « se la convenzioned’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’art. 817, terzo comma » (art.829, c. 1, n. 1, c.p.c.). E, invero, il legislatore richiama impropriamente il terzocomma dell’art. 817 c.p.c., volendo evidentemente far riferimento all’ultimoperiodo del secondo comma, che prescrive: « la parte che non eccepisce nellaprima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questiper inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato, non puòper questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitra-bile » (15).

Proprio movendo da questo frammento di disposizione alcuni autori sonogiunti ad affermare che sarebbe ammesso, in materia di arbitrato, un modo diformazione del patto compromissorio per comportamenti concludenti (16). Allaprevisione generale di cui all’art. 807 c.p.c., che richiede la forma scritta per laconclusione del compromesso, si aggiungerebbe una previsione speciale,quella di cui al sopracitato art. 817 c.p.c., con la quale il legislatore ha valutoattribuire rilievo a un fatto concludente. Sarebbe, così, validamente conclusoil patto compromissorio ove il convenuto non eccepisse, nella prima difesasuccessiva all’accettazione degli arbitri, l’inesistenza, invalidità, inefficaciadello stesso (17).

La ricostruzione, a ben vedere, non appare del tutto convincente.Il comportamento concludente si appunta, a seconda della posizione

(d’indole più volontarista o dichiarazionista) che si assume rispetto al negozio

(15) Che il riferimento al comma terzo dell’art. 817 sia una svista del legislatore appareconfermato anche dal prosieguo dello stesso articolo 829 c.p.c., là dove, al n. 4), richiamal’inesistente quarto comma dell’art. 817 c.p.c.. La lettura coordinata delle due disposizioni portaa ritenere che quando l’art. 829 menziona il terzo e quarto comma dell’art. 817 c.p.c. voglia inrealtà far riferimento rispettivamente al secondo (ultimo periodo) e terzo comma.

(16) Sul punto si rinvia all’ampia analisi delle diverse posizioni emerse in dottrina svoltada L. SALVANESCHI, Arbitrato, in Comm. cod. proc. civ. (a cura di Chiarloni), sub art. 817,Bologna, 2014, 562 ss., la quale, pur avvertendo il problema in tutta la sua complessità, giungea ritenere che per il patto compromissorio « vi sia anche la possibilità di una stipulazione inmodo tacito e per comportamento concludente » (566).

(17) Una ricostruzione in questo senso è in E. D’ALESSANDRO, Conclusione dell’accordocompromissorio mediante meri atti di nomina degli arbitri ?, cit., 243. L’A. afferma che quelladell’art. 817 c.p.c., comma 2, è « una previsione speciale che si pone accanto all’art. 807 c.p.c.(che, invece, è lex generalis) ».

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giuridico, o sulla rivelazione di una presunta volontà della parte che lo pone inessere (18), oppure su di una valutazione sociale che ad esso fa assumere valoree funzione di dichiarazione (19).

Sembrerebbe, invece, che la fattispecie in esame contenga la tipizzazionedi un fatto (mancata contestazione dinanzi agli arbitri nella prima difesa utile)al quale riconduce direttamente degli effetti (l’opinione appena espostaritiene che effetto principe sia la valida stipulazione di un patto compromis-sorio, ma subito appresso se ne contesterà l’assunto), prescindendo dal rife-rimento a una presunta volontà o fittizia dichiarazione dell’interessato inat-tivo (20). A rigore pare che qui non si potrebbe parlare di fattoconcludente (21). Più corretto sarebbe dunque dire che, con l’art. 817, comma2, c.p.c., trova ingresso in materia di arbitrato una previsione che fa scaturireda un comportamento — tipico — determinati effetti (inoppugnabilità dellodo). Così a nulla rilevando presunzioni su di un’ipotetica volontà delle partio la valutazione sociale del comportamento come dichiarazione.

L’argomento che desume dall’art. 817, comma 2, c.p.c., la possibilità diconcludere un patto compromissorio per fatti concludenti, provando troppo, sidisvelerebbe invero fuorviante. Sarebbe un salto logico quello che, dalla fermatipicità del comportamento descritto dalla disposizione, apre alla sconfina-tezza atipica del qualunque fatto concludente. Che poi, sia detto per inciso, loscambio delle nomine, che si proporrebbe quale fatto concludente, sarebbeinvero adiaforo, non facendo desumere alcuna decisione compromissoria delleparti. Lo scambio delle nomine, in questo senso, è in quanto deve essere; nonlascia intravedere una volontà delle parti di far decidere dagli arbitri la loro

(18) In questo senso, si vedano: G. GIAMPICCOLO, Note sul comportamento concludente,Riv. trim. dir. e proc. civ., 1961, 779.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000,209.

(19) È la nota posizione di E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, rist., Napoli,2002, pp. 138 e ss., il quale fa riferimento alla valutazione sociale del comportamento comedichiarazione e denuncia « l’espediente ingenuo » di supporre una volontà per riuscire agiustificare gli effetti che deriverebbero dal fatto concludente (p. 148).

(20) Diversamente, ove il comportamento componesse un negozio, sarebbe assoggettatoa tutte le regole proprie del negozio. Così E. BETTI, op. ult. cit., 144.

Utili considerazioni, in linea con quelle del Betti, si rinvengono in A. ORMANNI, Forma delnegozio giuridico, Noviss. Dig. it., Torino, 1961, 567, che osserva: « non va confuso il silenziointeso siccome modo di essere di un negozio giuridico, col silenzio inteso siccome merainosservanza di un onere d’iniziativa, posto dalla legge [...] giacché in questo caso si tratta piùsemplicemente di statuizioni legali che fanno scaturire da un comportamento inerte del privatodeterminati effetti ».

(21) Si veda P. SCHLESINGER, Dichiarazione (Teoria generale), in Enc. dir., XII, Milano,1964, 384. L’A. osserva: « lo schema del comportamento concludente, poi, si trasforma addi-rittura in finzione, quando la norma detta rigidamente il complesso degli effetti ricollegati adun’azione [o ad una omissione] ». Nello stesso senso G. GIAMPICCOLO, Note sul comportamentoconcludente, cit., 799 e ss.; V. SCALISI, Manifestazione in senso stretto, in Enc. dir., XXV, Milano,1975, 520.

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controversia, rimanendo per tal profilo opaco e incolore (22). Non fosse altroperché è competenza del collegio decidere sulla validità della convenzione diarbitrato e così sulla propria competenza (23).

Sotto altro profilo, si osserva che il giudizio di comparazione tra le duenorme (quella di cui all’art. 807 e quella dell’art. 817, c. 2, c.p.c.), volto adefinire l’una generale e l’altra speciale, non può essere condotto. Manca trai due enunciati l’elemento comune (24). La prima disposizione così si converte:il compromesso deve essere stipulato per iscritto, altrimenti è nullo. Laseconda, invece: il lodo non può essere impugnato se la parte non eccepiscenella prima difesa utile l’incompetenza degli arbitri.

A ben vedere, e qui si risolve uno dei nodi principali della questione presain esame, lungi dal discorrere della conclusione del patto compromissorio,l’art. 817, comma 2, c.p.c., sembra fissare una semplice preclusione proces-suale. Nulla di più. Dire che il compromesso è concluso per la mancataeccezione nella prima difesa utile appare un’illazione contrastante con iltenore letterale della disposizione presa in esame.

L’appello — che è comunemente fatto — a una certa libertà di forme inmateria di arbitrato, dovrebbe così cadere dinanzi al dato positivo: per laconclusione del compromesso è richiesta la forma scritta. Il divieto di eccepirela nullità del lodo, là dove ricorrano le condizioni richieste dall’art. 817,comma 2, c.p.c., non si traduce in validità del patto compromissorio. Taledivieto, in altre parole, non dimensiona la portata del precetto in forza delquale il legislatore chiede che il compromesso sia concluso a pena di nullitàper iscritto, ponendosi piuttosto d’ostacolo all’impugnazione per invaliditàdella convenzione d’arbitrato disciplinata dall’art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c.. È

(22) Sui comportamenti non manifestativi A. FALZEA, Manifestazione (Teoria generale),in Enc. dir., XXV, Milano, 1978, 443.

(23) Si veda l’art. 817 c.p.c., comma 1, a mente del quale è attribuita agli arbitri ladecisione sulla validità, sul contenuto o sull’ampiezza della convenzione d’arbitrato. In parti-colare il soggetto che per secondo procede alla nomina dell’arbitro potrebbe farlo al sol fine divederne dichiarata l’incompetenza. Né sembra si possa dire che in un caso siffatto la partedovrebbe inserire una riserva espressa nell’atto di nomina, essendo sufficiente l’eccezioned’incompetenza alla prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri ex art. 817, c. 2, c.p.c..Quest’ultima disposizione, dunque, rileva come elemento che, componendo la cornice dicircostanze nella quale il fatto va valutato, esclude la concludenza dello scambio delle nomine.Cfr. V. SCALISI, Manifestazione, cit., 510, il quale nota: « L’interprete deve individuare ilsignificato desumendolo dalla integrazione del comportamento nella più vasta cornice dicircostanze fattuali e personali in connessione con esso. Queste ultime determinano in definitivail significato da attribuire al comportamento.. ».

(24) Sull’attributo di specialità della norma si veda N. IRTI, L’età della decodificazione,Milano, 1999, 53 e ss. L’A. afferma: « secondo gli schemi ipotetici del nostro linguaggio, unanorma si riduce a ‘se A, allora B’, e l’altra [quella speciale] a ‘se A + a, allora B + b’. Ladifferenza specifica è data da un elemento dell’ipotesi di fatto (‘a’) e da un elemento degli effetti(‘b’). Gli elementi comuni alle due norme (‘A’ e ‘B’) permettono di isolare le altre, e di stabiliretra di esse il rapporto di genere a specie. Si tratta di uno svolgimento logico, che richiede insiemeidentità e differenza, continuità e rottura. Senza gli elementi comuni, le due norme nonpotrebbero né fungere da termini della comparazione né ricevere i predicati della generalità edella specialità » (p. 55).

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bensì rispetto a quest’ultima norma che si può compiere un giudizio dicomparazione, ed affermare che la non impugnabilità per nullità del lodo,quando non si sia tempestivamente rilevata l’inesistenza-invalidità-inefficaciadella convenzione arbitrale, è norma eccezionale (25).

Fuorviante sembra anche il confronto che talvolta si avanza con l’ordi-namento tedesco. Ivi, il § 1031 del ZPO prevede che il vizio di forma del pattocompromissorio è sanato (“geheilt”) quando il convenuto si costituisce al-l’udienza arbitrale (26). Dunque, il legislatore tedesco non si limita a prevedereuna preclusione processuale — l’impossibilità d’impugnare il lodo —, ma vaoltre, riconducendo alla costituzione un effetto sostanziale: la validità delpatto compromissorio fin dal momento in cui è stato concluso (27).

Cade acconcio qui il riferimento alla sentenza dalla quale questo scrittotrae spunto (Cass. 14 maggio 2014, n. 10463), ove il caso è risolto applicandol’art. 15, comma 3, D.M. dell’Agricoltura, 1 luglio 2002, n. 743, a mente delquale: « in difetto di preventiva accettazione espressa della clausola compro-missoria da parte di AGEA, la nomina dell’arbitro da parte di AGEA, equivalead accettazione della stessa ». Per poco riflettere, la disposizione regolamen-tare produce un effetto sostanziale ben diverso dalla preclusione che risultadall’art. 817, comma 2, c.p.c.. Sicché, sarebbe stato forse più opportuno che laSuprema Corte avesse rilevato il contrasto tra il Decreto e il requisito di formascritta richiesto per la validità del compromesso dall’art. 807 c.p.c..

Sia consentita una notazione a più ampio raggio. La tesi che si sostiene inqueste pagine sembra confermata anche dal dato positivo. Al di là delladisposizione che disciplina il requisito di forma del compromesso, che, se-guendo l’orientamento qui sottoposto a esame critico, verrebbe di fattoignorata, v’è che il legislatore, in altra norma, per ottenere l’exequatur dellodo, richiede quali formalità necessarie, oltre al deposito del lodo stesso, ildeposito dell’atto contenente la convenzione d’arbitrato (28). Il tenore lette-

(25) L’art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c., disponendo che l’impugnazione per nullità èammessa « se la convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’art. 817, terzocomma », e ponendo così esplicitamente la relazione tra norme, evita all’interprete di dovernerintracciare l’elemento ad esse comune. All’esito del giudizio di comparazione, ci si avvede cheesse stanno in un rapporto di regola-eccezione. Alla fattispecie ‘se A, allora B’ della normaregolare, si affianca quella ‘se A + a, allora c +d’; ove quest’ultima non dispone ulteriori effettirispetto alla prima, ma dispone altri effetti. Si vedano ancora le preziose notazioni di N. IRTI, op.ult. cit., 57.

(26) Così il § 1031, comma 6, ZPO: « Der Mangel der Form wird durch die Einlassung aufdie schiedsgerichtliche Verhandlung zur Hauptsache geheilt ». Sul § 1031 del ZPO si vedano irilievi di R. CARLEO, La circolazione della clausola compromissoria, Torino, 1998, 5, n. 4.

(27) J. MÜNCH, in Münchener Kommentar zur Zivilprozessordnung, 3 ed., v. 3, sub § 1031,München, 2008, 163, « Die Heilung hat dabei rückwirkende Kraft. Die Schiedsvereinbarung giltex tunc als formgetreu vereinbart ». Lo stesso A. rileva trattarsi di una norma specialerelativamente al requisito di forma richiesto per il patto compromissorio (p. 162). Cfr. anche P.SCHLOSSER, in Stein, Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, 22 ed., v. 9, sub § 1031,Tubingen, 2002, 430, il quale pure osserva che ad essere sanato è l’originario patto compromis-sorio (« geheilt wird die ursprünglich abgeschlossene Schiedsvereinbarung »).

(28) L’art. 825, c. 1, c.p.c. dispone: « La parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio

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rale della disposizione, ove è reso palese che il patto compromissorio deverisultare da un atto, sarebbe superato accedendo alla teoria dei comporta-menti concludenti. Inoltre, davanti a un dato letterale così preciso, parrebbeardito pensare che il tribunale dichiari esecutivo il lodo, mercé il depositodelle nude nomine d’arbitri.

4. Recupero del formalismo con riguardo alla conclusione del compromesso.

Escluso che in materia di arbitrato vi sia un addentellato normativo inforza del quale il patto compromissorio possa dirsi concluso per la sussistenzadi fatti concludenti, e osservato che gli effetti della norma di cui all’art. 817,comma 2, c.p.c. si dispiegano su di un piano processuale, rimane non scalfitoil principio in forza del quale la conclusione del compromesso va fatta periscritto sotto pena di nullità. Sembra possibile così andare oltre.

Non più il problema di capire quali forme può assumere il compromesso,bensì quello di comprendere a quali condizioni la forma scritta può dirsirispettata per il compromesso.

Potrebbe dirsi rispettato il requisito di forma nel caso in cui risultasse neirispettivi atti di nomina, oltre a una determinazione minima dell’oggetto delcontendere (29), un patto compromissorio?

Hanno, in altre parole, le nomine d’arbitri un’importanza in quanto attinei quali è contenuta la scelta compromissoria? Si passa qui dal di fuori degliatti al dentro gli atti. Se è consentito far propri i risultati della linguistica,l’osservazione non cade più sulla significazione dei segnali (è “segnale” loscambio delle nomine), volgendosi, piuttosto, alla significazione dei segni checompongono la dichiarazione (o, se si vuole, dei “simboli”) (30).

Al riguardo si offre un’utile osservazione: lo scambio delle proposte di

della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo in originale, o in copia conforme,insieme con l’atto contenente la convenzione di arbitrato, in originale o in copia conforme, nellacancelleria del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Il tribunale, accertata laregolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto atrascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione o annotazionela sentenza avente il medesimo contenuto ».

(29) Non sarebbe infatti possibile una nomina degli arbitri (a cui faccia séguito unaaccettazione degli stessi) là dove la controversia sia nondum nata, cfr. Cfr. T. CARNACINI,Arbitrato rituale, in Noviss. Dig. it., Torino, 1959, 889: « gli arbitri, quando accettano l’incaricoportando così l’ultima pietra al sorgere del procedimento, lo fanno sapendo già su che cosa sonochiamati a decidere, salvo i successivi allargamenti del quid disputatum che siano concordatidalle parti ed accettati, secondo noi, dagli arbitri ». Nel senso che la res in iudicium deducta vietila possibilità di estendere il giudizio, già S. SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano,1931, 24.

(30) Sembra, anche tenuto conto delle indicazioni che vengono dai linguisti, più oppor-tuno parlare di segno e non di simbolo. Così G. BENEDETTI, La funzione partecipativa, in Il dirittocomune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1991, 107.Diversamente G. GIAMPICCOLO, Note sul comportamento concludente, cit., 781. L’illustre A.distingue: « il simbolo evoca l’immagine ideale del fatto significato [..]; il segnale ne fornisce unindizio [..] »; cfr. anche V. SCALISI, Manifestazione, cit., 509.

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nomina d’arbitri avviene il più delle volte inter absentes, le parti non dialo-gano, ma, chiuse in imperscrutabili e separati contesti, scambiano atti. Da quila condotta formativa dell’accordo non potrebbe che esprimersi nelle modalitàe sequenze dello schema legale tipico: una proposta e una accettazione che icontraenti reciprocamente s’indirizzano, attraverso lo scambio di separati do-cumenti (31).

Ma quando una parte consegna il documento che contiene la nominad’arbitro sta anche rivolgendo all’altra parte una proposta o accettazione utilea formare un nuovo accordo?

A questo interrogativo sembra potersi offrire una risposta procedendo auna distinzione.

Si può dare, ed è una prima ipotesi, la circostanza in cui nell’atto vi sia lamera nomina d’arbitro (accompagnata, s’intende, alla determinazione dell’og-getto del contendere). Si tratterà, in questo caso, al più di inferire dai segniscritti che la compongono la conclusione di un negozio implicito (32). Èopportuno al riguardo chiedersi se sia rispettato il requisito di forma di unnegozio non dichiarato, quando la forma sia rivestita dal negozio dal quale sene deduce l’esistenza. Sembrerebbe, tuttavia, che i segni scritti potrebberolasciar inferire l’esistenza di un precedente negozio se — e in quanto —segnali (33). Ma i segnali, per loro natura, non evocano una forma scritta, anzi,conducono al suo superamento: ciò che rappresentano trascende la forma

(31) Non pare si possa giungere alla conclusione di un compromesso con uno deiprocedimenti di formazione del contratto disciplinati dagli artt. 1327 e 1333 c.c.. Con riferimentoal primo procedimento può dirsi, come è stato notato, che la proposta di stipulare uncompromesso non è di per sé in grado di generare l’attesa, nel proponente, di esecuzione dellaprestazione; cfr. M. CONFORTINI, La clausola compromissoria, in Arbitrato. Profili di dirittosostanziale e di diritto processuale, a cura di G. Alpa e V. Vigoriti, Torino, 2013, 687. Adescludere l’applicazione del procedimento di formazione del contratto di cui all’art. 1333 c.c.,invece, v’è la considerazione che risulta davvero difficile configurare il compromesso come uncontratto con obbligazioni a carico del solo proponente. Sul punto si rinvia ad A. D’ANGELO, inTrattato del contratto, v. I, diretto da V. Roppo, Milano, 2006, 18.

(32) Ora, è bene chiarire, questa ipotesi differisce da quella presa in considerazione neiprecedenti paragrafi. Non si punta l’osservazione sulla scambio degli atti che contengono lenomine d’arbitri prescindendo, in buona parte, dal loro contenuto effettivo. Si entra negli attie, in particolare, si vagliano le dichiarazioni, e si pone problema di comprendere se, in forza diesse, possa predicarsi l’esistenza implicita del patto compromissorio. Su ciò che è implicito nelparlato si sofferma, da ultimo, R. SACCO, Il diritto muto. Neuroscienze, conoscenza tacita, valoricondivisi, Bologna, 2015, spec. 59.

La questione va tenuta distinta anche da quella dell’interpretazione giuridica (ex artt.1362, ss., c.c.): a ben vedere qui non si tratta di dare un significato alle parole ma si tratta dicapire cosa le parole presuppongono. Parimenti il problema non pare coincidere neanche conquello che riguarda l’interpretazione integrativa ex artt. 1374 e 1375 c.c., acutamente preso inconsiderazione da G. CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, il quale,al riguardo, conclude che « non si può configurare un problema di rapporti tra forma solenne einterpretazione integrativa, nel senso, voglio dire, di una limitazione della seconda a causa dellaprima » (p. 210).

(33) I segni non avrebbero più valenza in quanto destinati a far sapere direttamente, cfr.G. BENEDETTI, La funzione partecipativa, cit., 120.

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scritta (34). Se quanto detto trova condivisione, l’accordo compromissorio nonsarebbe predicabile movendo dal riscontro del fondersi di due dichiarazioniche lo avrebbero soltanto quale presupposto implicito. In siffatta prospettiva,va notato, proprio l’accordo rimarrebbe privo di quel vestimentum (la formascritta) necessario a farlo ritenere validamente concluso ex art. 807 c.p.c. (35).

Altra ipotesi sarebbe quella nella quale i documenti, che contenessero lerispettive nomine d’arbitri, menzionassero esplicitamente l’intento di compro-mettere la lite (36). In questo caso, vien presto da dire, essi recherebbero duedistinte dichiarazioni: oltre a quelle volte alla costituzione del collegio, sisommerebbero, con precedenza logica, quelle volte a compromettere la lite.Verrebbe da notare che, in una prospettiva siffatta, il compromesso si con-cluderebbe regolarmente, ma sarebbe erroneamente riduttivo continuare aparlare di atti di nomina d’arbitri. Vero, piuttosto, che i documenti scambiaticonterrebbero tanto l’atto di nomina d’arbitro, quanto l’atto col quale sipropone/accetta di compromettere la lite.

Per paradossale che possa sembrare, proprio la sentenza che per prima haenunciato il principio in forza del quale può dirsi validamente concluso uncompromesso con lo scambio di nomine d’arbitri (Cass. civ., 22 febbraio 2000,n. 1989, cit.), invero, ha posto attenzione ai documenti contenenti le nominestesse, così affermando in un passaggio che segue l’analisi degli atti: « non dimera designazione di arbitri si tratta, quindi, ma di esplicita manifestazione divolontà contrattuale volta alla stipulazione del patto compromissorio ». Perché,poi, anziché applicare la logica del caso concreto, si è enucleato un principiopiù ampio, sarebbe destinato a rimanere un mistero. Non fosse che, dallasentenza stessa, sembra evincersi che la volontà compromissoria nella vicendaoggetto di giudizio non era affatto così pacificamente dichiarata. E, allora,quando la Suprema Corte ha detto che nel caso specifico non di mera nominad’arbitri si trattava, probabilmente altro non ha fatto che mostrare un brividoproblematico dinanzi alla massima che andava fermando.

(34) G. BENEDETTI, op. ult. cit., 125, il quale nota che i fatti si trovano in un’altradimensione rispetto alle parole.

(35) U. BRECCIA, in Trattato del contratto, v. I, diretto da V. Roppo, Milano, 2006, 673, ilquale nota che la forma, quando richiesta ad substantiam, deve rivestire le manifestazioni diconsenso, ossia l’accordo. Qui, dunque, anche l’insanabile antinomia tra fatto concludente perdesumere la conclusione di un contratto e requisito di forma richiesto per la validità delcontratto. Cfr. in giurisprudenza, ex multis, Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 2009, n. 22616, in Mass.Foro it., 2009, 1311; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2008, n. 17550, in Mass. Foro it., 2008, 978; Cass.civ., sez. III, 12 aprile 2006, n. 8621, in Mass. Foro it., 2006, 693.

(36) La questione, in questo caso, si sposterebbe su un piano interpretativo dellerispettive dichiarazioni. Data la polisemia del testo, l’interprete la risolve cercando la comuneintenzione delle parti ex artt. 1362, ss., c.c.. Ma la comune intenzione delle parti non può farandare l’interprete oltre il senso reso palese dalle parole. Con specifico riguardo alla clausolacompromissoria, l’argomento è ripreso da M. CONFORTINI, Clausola compromissoria: regole“per” decidere e regole “del” decidere, in Obbl. cont., 2011, 567, il quale nota: « la comuneintenzione, lungi dal costituire il fine dell’attività di interpretazione del contratto ne è (neces-sario) strumento ».

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Un’indagine statistica sull’impugnazione del lodo arbitralenazionale

LAURA BARISON

1. Introduzione.

Le peculiarità dell’arbitrato, quale metodo alternativo di risoluzionedelle dispute, possono essere apprezzate solo alla luce dell’effettività dell’ar-bitrato stesso. Il potere, riconosciuto alle parti, di impugnare il lodo arbitralerappresenta un limite innegabile alla possibilità di rendere il lodo l’effettivarisoluzione finale della controversia.

L’atteggiamento delle Corti d’Appello, competenti ad operare un con-trollo sul lodo rituale, nei confronti dell’impugnazione rappresenta un indi-catore fondamentale nel delineare, a livello nazionale e a livello distrettuale,il rapporto tra il sistema giurisdizionale italiano e il sistema arbitrale.

L’analisi oggettiva di significativi casi di impugnazione di lodo arbitralecostituisce il principio di un’indagine statistica da cui trarre indicatori apprez-zabili sopra l’impugnazione del lodo rituale.

II. I dati a livello nazionale (1).

L’attività svolta dalle Corti d’Appello italiane, considerate nella lorototalità, costituisce fondamento imprescindibile di un’indagine statistica fina-lizzata a delineare trend anche locali.

In premessa si impone una necessaria riflessione: le difficoltà pratichenell’individuare il numero totale di lodi arbitrali che, annualmente, si rendonoper la risoluzione delle controversie non può essere taciuta. Ciò nonostante, laricerca empirica svolta si presenta quale attendibile tratto nel delinearel’approccio delle Corti d’Appello in tema di impugnazione di lodo a livellonazionale.

(1) Dati estratti dal sistema DataWarehouse della Giustizia Civile (DWGC), Ministerodella Giustizia - Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi -Direzione Generale di Statistica.

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I dati aggregati per l’intero territorio nazionale, limitatamente al periodotemporale 2010-2014, evidenziano, in riferimento a ciascun anno considerato:1. il numero di impugnazioni iscritte;2. il numero di impugnazioni definite;3. il numero di impugnazioni pendenti;4. la durata media, calcolata in giorni, del procedimento impugnatorio.

Secondo i dati raccolti, mediamente, per anno:1. vengono impugnati 432 lodi nazionali;2. vengono definite 431 impugnazioni;3. risultano pendenti 1861 procedimenti di impugnazione;4. la durata media del procedimento di impugnazione è di 1577 giorni.

Anno2010

Anno2011

Anno2012

Anno2013

Anno2014

Medianazio-nale

Impugnazioniiscritte

475 447 372 450 414 432

Impugnazionidefinite

347 450 431 512 415 431

Impugnazionipendenti

1931 1934 1872 1828 1739 1861

Durata mediain giorni

1487 1484 1596 1684 1634 1577

In sintesi, l’impatto delle impugnazioni di lodo sull’amministrazione dellaGiustizia risulta essere minimo specialmente considerando che, in base allaRelazione del Primo Presidente relativa all’anno 2014, il numero di procedi-menti complessivamente iscritti presso le Corti d’Appello è pari a 128.000 (2).

III. I dati raccolti.

i. I criteri di analisi.Questa indagine statistica sull’impugnazione del lodo individua i suoi

pilastri nel dato statistico rilevato a livello nazionale (ma) in combinazionecon il dato empirico appreso direttamente da quattro Corti d’Appello: Bre-scia, Genova, Milano e Torino.

I procedimenti di impugnazione rilevanti, decisi dalle Corti d’Appelloselezionate, sono stati individuati in applicazione di due criteri, l’uno dicarattere temporale e l’altro di carattere sostanziale. Sono stati, così, selezio-nati i procedimenti di impugnazione iscritti presso le quattro Corti d’Appellonell’arco temporale 2007-1° semestre 2014 e decisi con sentenza di accogli-mento, rigetto o inammissibilità ai sensi della disciplina introdotta con il

(2) Giorgio Santacroce, Corte Suprema di Cassazione, Relazione sull’amministrazionedella giustizia nell’anno 2014, pag. 48.

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D.Lgs. 40/06. L’applicazione di tali criteri ha condotto all’individuazione di 99casi rilevanti: di questi, 9 risultano decisi dalla Corte d’Appello di Brescia, 27dalla Corte d’Appello di Genova, 47 dalla Corte d’Appello di Milano e 16dalla Corte d’Appello di Torino.

ii. Le decisioni di accoglimento.Il grado di accoglimento dell’impugnazione è, così, risultato pari al 4%.

In soli 4 casi la Corte d’Appello competente ha ritenuto meritevole diaccoglimento l’impugnazione proposta e si è trattato di decisioni adottatesoltanto dalle Corti di Genova e di Torino.

In relazione ai due casi di dichiarazioni di nullità del lodo adottate dallaCorte d’Appello di Genova, sono stati dichiarati fondati i vizi denunciati,rispettivamente, ai sensi del numero 2 e del numero 5 dell’art. 829.1 c.p.c. (conspecifico riferimento alla mancanza del requisito indicato dal numero 5dell’art. 823 c.p.c.). Diversamente, i due casi di accoglimento registrati aTorino hanno trovato fondamento nei vizi delineati dai numeri 1 e 4 dell’art.829.1 c.p.c..

Impugnazioni oggetto di studio Impugnazioni accolteCorte d’Appello di Brescia 9 0Corte d’Appello di Genova 27 2Corte d’Appello di Milano 47 0Corte d’Appello di Torino 16 2

iii. L’arbitrato ad hoc e l’arbitrato amministrato.Tramite i dati raccolti è stato possibile evidenziare la contrapposizione tra

l’impugnazione di un lodo derivante da un procedimento arbitrale ad hoc el’impugnazione di un lodo derivante da un procedimento amministrato.

Solo 8 delle 99 impugnazioni selezionate riguardano l’impugnazione di unlodo amministrato: in 1 caso risulta coinvolta la Camera Arbitrale di Bergamo,in 1 caso la Camera Arbitrale di La Spezia, in 4 casi la Camera Arbitrale diMilano e in 2 casi la Camera Arbitrale del Piemonte.

In relazione alla Camera Arbitrale di Bergamo, la percentuale di impu-gnazione del lodo derivante da un procedimento da questa amministrato èpari al 4% mentre tale percentuale sale al 20% per quanto riguarda la CameraArbitrale di La Spezia. In relazione all’attività svolta dalla Camera Arbitraledi Milano e dalla Camera Arbitrale del Piemonte è stato registrato rispetti-vamente nel periodo 2008-2012 un aumento del numero di procedimentiamministrati. A tale aumento è, tuttavia, corrisposta una diminuzione dellapercentuale di lodi oggetto di impugnazione: per quanto riguarda la CameraArbitrale di Milano si è passati da una percentuale del 2,8% all’1,8%; inrelazione all’attività svolta dalla Camera Arbitrale del Piemonte dal 3,7% al2,6%. 2 di questi 8 procedimenti si sono conclusi con l’accoglimento dell’im-pugnazione proposta.

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Impugnazioni dilodo amministrato

Camera Arbitralecoinvolta

Impugnazioni ac-colte di lodo am-ministrato

Corte d’Appello di Brescia 1 (su 9 casianalizzati)

Camera Arbitraledi Bergamo

0

Corte d’Appello di Genova 1 (su 27 casianalizzati)

Camera Arbitraledi La Spezia

1

Corte d’Appello di Milano 4 (su 47 casianalizzati)

Camera Arbitraledi Milano

0

Corte d’Appello di Torino 2 (su 16 casianalizzati)

Camera Arbitraledel Piemonte

1

iv. La sospensione dell’efficacia e dell’esecutorietà del lodo.I casi selezionati sono stati, altresì, analizzati in considerazione della

richiesta di parte di sospensione dell’efficacia e dell’esecutorietà del lodo, exart. 830 c.p.c..

In 15 casi i soggetti coinvolti nel procedimento impugnatorio hannopresentato, alla relativa Corte d’Appello, tale richiesta. Scendendo nel detta-glio, in nessun caso la domanda è stata inoltrata alla Corte d’Appello diBrescia; la richiesta di sospensione è stata invece presentata in 6 casi dinanzila Corte d’Appello di Genova; in 4 casi dinanzi la Corte d’Appello di Milanoed in 5 casi dinanzi la Corte d’Appello di Torino. Solo 4 delle 15 richieste disospensione presentate sono state accolte dalla rispettiva Corte d’Appello; 3di queste sono state adottate dalla Corte d’Appello di Genova e 1 dalla Corted’Appello di Milano.

Del tutto rilevante la decisione assunta, in ultima sede, dalla Corted’Appello nei casi di accoglimento della richiesta di sospensione presentata:solo in 1 caso all’accoglimento della richiesta di sospensione ha fatto seguitola dichiarazione di nullità del lodo.

Richieste di so-spensione ex art.830 c.p.c. presen-tate

Richieste di so-spensione ex art.830 c.p.c. accolte

Lodi sospesi exart. 830 c.p.c. e di-chiarati nulli

Corte d’Appello di Brescia 0 (su 9 casianalizzati)

0 0

Corte d’Appello di Genova 6 (su 27 casianalizzati)

3 1

Corte d’Appello di Milano 4 (su 47 casianalizzati)

1 0

Corte d’Appello di Torino 5 (su 16 casianalizzati)

0 0

v. La durata media dei procedimenti di impugnazione.In relazione ai procedimenti selezionati, è stata anche considerata la

durata media dell’impugnazione del lodo; di seguito i dati relativi al periodo2010-1° semestre 2014.

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Durata del procedi-mento espressa ingiorni

Distretto diBrescia

Distretto diGenova

Distretto diMilano

Distretto diTorino

Medianazionale

Anno 2010 n. d. 990 1260 863 1487

Anno 2011 n. d. 1092 977 570 1484

Anno 2012 1410 1035 1142 698 1596

Anno 2013 1788 1320 1278 600 1684

1° semestre 2014 1060 1230 n. d. 930 n. d.

Durata media 1419 1133 1164 732 1563

I dati raccolti risultano sintomatici di una chiara efficienza che caratte-rizza l’attività delle Corti d’Appello selezionate: presso dette Corti, la duratamedia dei procedimenti risulta inferiore rispetto alla durata media registrataa livello nazionale. Tale constatazione conduce necessariamente ad attribuireuna maggiore durata ai procedimenti di impugnazione decisi dalle altre Cortid’Appello italiane; in questa prospettiva, in ragione della sua centralità pernumero di impugnazioni decise, l’incidenza del risultato della Corte d’Appellodi Roma potrebbe intuitivamente riuscire fondamentale.

IV. Considerazioni conclusive.

i. Le Corti d’Appello espressione del fenomeno nazionale.Ancorché temporalmente e geograficamente limitati, i dati raccolti, fo-

tografando l’attività svolta dalle quattro Corti d’Appello selezionate, risultanoadeguatamente rappresentativi di quello che è il panorama nazionale. Larilevanza dei dati si apprezza quale sintomatica delle dinamiche che coinvol-gono più in generale l’impugnazione del lodo arbitrale poiché affonda nel-l’assoluta importanza delle sedi considerate.

In sostanza, qui è stato esaminato il 23% dei procedimenti di impugna-zione di lodo arbitrale nazionale mediamente decisi a livello nazionale (3);pertanto, la capacità rappresentativa del fenomeno nazionale risulta quanti-tativamente, oltre che qualitativamente, giustificata. Specificamente, l’attivitàsvolta dalla Corte d’Appello di Milano ricopre un ruolo preminente: taleCorte definisce l’11% (4) dei procedimenti che annualmente, a livello nazio-nale, giungono a definizione. La percentuale scende al 2% (5) per la Corted’Appello di Brescia (unica di quelle censite a stare sotto la media distributiva

(3) Percentuale calcolata rapportando le 431 impugnazioni mediamente definite a livellonazionale ai 99 casi oggetto di studio diretto.

(4) 47 delle 431 impugnazioni definite mediamente per anno a livello nazionale.(5) 9 delle 431 impugnazioni definite mediamente per anno a livello nazionale.

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che risale dai 26 distretti nazionali sui quali va spalmato l’ammontare delleimpugnazioni per anno); al 6,3% (6) per la Corte d’Appello di Genova e al3,7% (7) per la Corte d’Appello di Torino.

ii. Il favor nei confronti del sistema arbitrale.Le caratteristiche del rapporto tra il sistema giurisdizionale italiano e il

sistema arbitrale, possono essere delineate in ragione dell’effettivo esercizioda parte delle Corti d’Appello del potere di dichiarare nullo il lodo, ammini-strato e non, e di sospenderne l’efficacia e l’esecutorietà nelle more delprocedimento.

Il favor nei confronti del sistema arbitrale non può essere negato, cosìcome la stabilità del lodo, intesa quale capacità del lodo di sopravvivere alcontrollo effettuato da parte delle Corti d’Appello, è più facilmente indivi-duabile — e quasi definibile quale caratteristica strutturale del lodo stesso —laddove la decisione arbitrale venga adottata a seguito di un procedimentoamministrato. L’etero-direzione garantisce una maggiore stabilità del lodo eun maggiore grado di accettazione del medesimo. La più bassa probabilità diimpugnazione trova, forse, una razionale motivazione nel controllo che anchesul lodo, più o meno formalizzato che sia, viene effettuato da parte della stessaCamera Arbitrale. Tale controllo, infatti, è svolto, in via di prassi, per quantoriguarda la Camera Arbitrale di La Spezia e la Camera Arbitrale del Pie-monte; in via formale, secondo le disposizioni regolamentari della CameraArbitrale di Bergamo (art. 21 del Regolamento Arbitrale in vigore dal 4Luglio 2007) e della Camera Arbitrale di Milano (art. 34 del RegolamentoArbitrale in vigore dal 1° Gennaio 2004, art. 30 Regolamento Arbitrale invigore dal 1° Gennaio 2010).

iii. La stabilità del lodo in termini di mancata sospensione ex art. 830c.p.c..

Anche l’esercizio controllato, da parte della Corte d’Appello adita, delpotere di sospendere l’efficacia e l’esecutorietà del lodo rafforza la capacitàdella decisione arbitrale di porsi quale risoluzione effettivamente finale dellacontroversia. Un’analisi combinata dei dati relativi alla durata del procedi-mento di impugnazione e alla dichiarazione di sospensione dell’efficacia edell’esecutorietà del lodo, in particolare, sottolinea come il giudice ordinarioitaliano si ponga l’obiettivo di adottare una decisione sull’impugnazione conrigore e ricercata cautela. Infatti, associando una facile dichiarazione disospensione dell’efficacia ed esecutorietà del lodo a una dilatata durata delprocedimento impugnatorio, il numero di impugnazioni di lodo potrebbecrescere in modo ingiustificato. E tale situazione rappresenterebbe una circo-stanza del tutto favorevole nei confronti del soggetto appellante: l’impugnante

(6) 27 delle 431 impugnazioni definite mediamente per anno a livello nazionale.(7) 16 delle 431 impugnazioni definite mediamente per anno a livello nazionale.

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beneficerebbe degli effetti di una facile sospensione dell’efficacia ed esecuto-rietà del lodo per un lungo periodo di tempo. Invece, solo nel 26,7% dei casila richiesta di sospensione dell’efficacia ed esecutorietà del lodo risulta esserestata accolta: è questo il meccanismo fondamentale che agisce da inibitoredella possibile inflazione di procedimenti di impugnazione di lodi rituali.

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Le nuove IBA Guidelines on Conflicts of Interest in Interna-tional Arbitration.

Si pubblicano qui di seguito le Guidelines IBA sul conflitto di interessinell’arbitrato internazionale, nella nuova versione adottata con risoluzionedell’IBA Council del 23 ottobre 2014, sulla base dei lavori di una nutrita edautorevole commissione di studio (la prima e precedente versione risaliva al2004).

Introduction

1. Arbitrators and party representatives are often unsure about the scopeof their disclosure obligations. The growth of international business, includinglarger corporate groups and international law firms, has generated moredisclosures and resulted in increased complexity in the analysis of disclosureand conflict of interest issues. Parties have more opportunities, to use chal-lengers of arbitrators to delay arbitrations, or to deny the opposing party thearbitrator of its choice. Disclosure of any relationship, no matter how minor orserious, may lead to unwarranted or frivolous challengers. At the same time,it is important that more information be made available to the parties, so asto protect awards against challengers based upon alleged failures to disclose,and to promote a level playing field among parties and among counselengaged in international arbitration.

2. Parties, arbitrators, institutions and courts face complex decisionsabout the information that arbitrators should disclose and the standards toapply to disclosure. In addition, institutions and courts face difficult decisionswhen an objection or a challenge is made after a disclosure. There is a tensionbetween, on the one hand, the parties’ right to disclosure of circumstances thatmay call into question an arbitrator’s impartiality or independence in order toprotect the parties’ right to a fair hearing, and, on the other hand, the need toavoid unnecessary challenges against arbitrators in order to protect theparties’ ability to select arbitrators of their choosing.

3. It is in the interest of the international arbitration community thatarbitration proceedings are not hindered by ill-founded challenges against

DOCUMENTI E NOTIZIE

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arbitrators and that the legitimacy of the process is not affected by uncertaintyand a lack of uniformity in the applicable standards for disclosures, objectionsand challenges. The 2004 Guidelines reflected the view that the standardsexisting at the time lacked sufficient clarity and uniformity in their application.The Guiderlines, therefore, set forth some ‘General Standards and Explana-tory Notes on the Standards’. Moreover, in order to promote greater consis-tency and to avoid unnecessary challengers and arbitrator withdrawals andremovals, the Guiderlines list specific situations indicating whether theywarrant disclosure or disqualification of an arbitrator. Such lists, designated‘Red’, ‘Orange’ and ‘Green’ (the ‘Applications Lists’), have been updatedand appear at the end of these revised Guiderlines.

4. The Guidelines reflect the understanding of the IBA ArbitrationCommittee as to the best current international practice, firmly rooted in theprinciples expressed in the General Standards below. The General Standardsand the Application Lists are based upon statutes and case law in a cross-section of jurisdictions, and upon the judgement and experience of practitio-ners involved in international arbitration. In reviewing the 2004 Guidelinesthe IBA Arbitration Committee updated its analysis of the laws and practicesin a number of jurisdictions. The Guidelines seek to balance the variousinterests of parties, representatives, arbitrators and arbitration institutions, allof whom have a responsibility for ensuring the integrity, reputation andefficiency of international arbitration. Both the 2004 Working Group and theSubcommittee in 2012/2014 have sought and considered the views of leadingarbitration institutions, corporate counsel and other persons involved ininternational arbitration through public consultations at IBA annual meetings,and at meetings with arbitrators and practitioners. The comments receivedwere reviewed in detail and many were adopted. The IBA ArbitrationCommittee is gratefull for the serious consideration given to its proposals byso many institutions and individuals.

5. The Guidelines apply to international commercial arbitration andinvestment arbitration, whether the representation of the parties is carried outby lawyers or non-lawyers, and irrespective of whether or not non-legalprofessionals serve as arbitrators.

6. These Guidelines are not legal provisions and do not override anyapplicable national law or arbitral rules chosen by the parties. However, it ishoped that, as was the for the 2004 Guidelines and other sets of rules andguidelines of the IBA Arbitration Committee, the revised Guidelines will findbroad acceptance within the international arbitration community, and thatthey will assist parties, practitioners, arbitrators, institutions and courts indealing with these important questions of impartiality and independence. TheIBA Arbitration Committee trusts that the Guidelines will be applied withrobust common sense and without unduly formalistic interpretation.

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7. The Application Lists cover many of the varied situations that com-monly arise in practice, but they do not purport to be exhaustive, nor couldthey be. Nevertheless, the IBA Arbitration Committee is confident that theApplication Lists provide concrete guidance that is useful in applying theGeneral Standards. The IBA Arbitration Committee will continue to studythe actual use of the Guidelines with a view to furthering their improvement.

8. In 1987, the IBA published Rules of Ethics for International Arbitra-tors. Those Rules cover more topics than these Guidelines, and they remain ineffect as to subjects that are not discussed in the Guidelines. The Guidelinessupersede the Rules of Ethics as to the matters treated here.

PartI:GeneralStandarsRegardingImpartiality,IndependenceandDisclosure

(1) General Principle

Every arbitrator shall be impartial and independent of the parties at thetime of accepting an appointment to serve and shall remain so until the finalaward has been rendered or the proceedings have otherwise finally terminated.

Explanation to General Standard 1:

A fundamental principle underlying these Guidelines is that each arbi-trator must be impartial and independent of the parties at the time he or sheaccepts an appointment to act as arbitrator, and must remain so during theentire course of the arbitration proceeding, including the time period for thecorrection or interpretation of a final award under the relevant rules, assumingsuch time period is known or readily ascertainable.

The question has arisen as to whether this obligation should extend to theperiod during which the award may be challenged before the relevant courts.The decision taken is that this obligation should not extend in this manner,unless the final award may be referred back to the original Arbitral Tribunalunder the relevant applicable law or relevant institutional rules. Thus, thearbitrator’s obligation in this regard ends when the Arbitral Tribunal hasrendered the final award, and any correction or interpretation as may bepermitted under the relevant rules has been issued, or the time for seeking thesame has elapsed, the proceedings have been finally terminated (for example,because of a settlement), or the arbitrator otherwise no longer has jurisdiction.If, after setting aside or other proceedings, the dispute is referred back to thesame Arbitral Tribunal, a fresh round of disclosure and review of potentialconflicts of interests may be necessary.

(2) Conflicts of Interest

(a) An arbitrator shall decline to accept an appointment or, if the

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arbitration has already been commenced, refuse to continue to act as anarbitrator, if he or she has any doubt as to his or her ability to be impartial orindependent.

(b) The same principle applies if facts or circumstances exist, or havearisen since the appointment, which, from the point of view of a reasonablethird person having knowledge of the relevant, facts and circumstances, wouldgive rise to justifiable doubts as to the arbitrator’s impartiality or indepen-dence, unless the parties have accepted the arbitrator in accordance with therequirements set out in General Standard 4.

(c) Doubts are justifiable if a reasonable third person, having knowledgeof the relevant facts and circumstances, would reach the conclusion that thereis a likelihood that the arbitrator may be influenced by factors other than themerits of the case as presented by the parties in reaching his or her decision.

(d) Justifiable doubts necessarily exist as to the arbitrator’s impartiality orindependence in any of the situations described in the Non-Waivable RedList.

Esplanation to General Standard 2:

(a) If the arbitrator has doubts as to his or her ability to be impartial andindependent, the arbitrator must decline the appointment. This standardshould apply regardless of the stage of the proceedings. This is a basicprinciple that is spelled out in these Guidelines in order to avoid confusionand to foster confidence in the arbitral process.

(b) In order for standards to be applied as consistently as possible, thetest for disqualification is an objective one. The wording ‘impartiality orindependence’ derives from the widely adopted Article 12 of the UnitedNations Commission on International Trade Law(UNCITRAL) Model Law,and the use of an appearance test based on justifiable doubts as to theimpartiality or independence of the arbitrator, as provided in Article 12 (2) ofthe UNCITRAL Model Law, is to be applied objectively (a ‘reasonable thirdperson test’). Again, as described in the Explanation to General Standard3(e), this standard applies regardless of the stage of the proceedings.

(c) Laws and rules that rely on the standard of justifiable doubts often donot define that standard. This General Standard is intended to provide somecontext for making this determination.

(d) The Non-Waivable Red List describes circumstances that necessarilyraise justifiable doubts as to the arbitrator’s impartiality or independence. Forexample, because no one is allowed to be his or her own judge, there cannotbe identity between an arbitrator and a party. The parties, therefore, cannotwaive the conflict of interest arising in such a situation.

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(3) Disclosure by the Arbitrator

(a) If facts or circumstances exist that may, in the eyes of the parties, giverise to doubts as to the arbitrator’s impartiality or independence, the arbitra-tor shall disclose such facts or circumstances to the parties, the arbitrationinstitution or other appointing authority (if any, and if so required by theapplicable institutional rules) and the co-arbitrators, if any, prior to acceptinghis or her appointment or, if thereafter, as soon as he or she learns of them.

(b) An advance declaration or waiver in relation to possible conflicts ofinterest arising from facts and circumstances that may arise in the future doesnot discharge the arbitrator’s ongoing duty of disclosure under GeneralStandard 3 (a).

(c) It follows from General Standards 1 and 2 (a) that an arbitrator whohas made a disclosure considers himself or herself to be impartial andindependent of the parties, despite the disclosed facts, and, therefore, capableof performing his or her duties as arbitrator. Otherwise, he or she would havedeclined the nomination or appointment at the outset, or resigned.

(d) Any doubt as to whether an arbitrator should disclose certain facts orcircumstances should be resolved in favour of disclosure.

(e) When considering whether facts or circumstances exist that should bedisclosed, the arbitrator shall not take into account whether the arbitration isat the beginning or at a later stage.

Explanation to General Standard 3:

(a) The arbitrator’s duty to disclose under General Standard 3(a) rests onthe principle that the parties have an interest in being fully informed of anyfacts or circumstances that may be relevant in their view. Accordingly,General Standard 3(d) provides that any doubt as to whether certain facts orcircumstances should be disclosed should be resolved in favour of disclosure.However, situations that, such as those set out in the Green List, could neverlead to disqualification under the objective test set out in General Standard 2,need not be disclosed. As reflected in General Standard 3(c), a disclosure doesnot imply that the disclosed facts are such as to disqualify the arbitrator underGeneral Standard 2. The duty of disclosure under General Standard 3(a) isongoing in nature.

(b) The IBA Arbitration Committee has considered the increasing use byprospective arbitrators of declarations in respect of facts or circumstances thatmay arise in the future, and the possible conflicts of interest that may result,sometimes referred to as ‘advance waivers’. Such declarations do not dis-charge the arbitrator’s ongoing duty of disclosure under General Standard3(a). The Guidelines, however, do not otherwise take a position as to the

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validity and effect of advance declarations or waivers, because the validity andeffect of any advance declaration or waiver must be assessed in view of thespecific text of the advance declaration or waiver, the particular circumstancesat hand and the applicable law.

(c) A disclosure does not imply the existence of a conflict of interest. Anarbitrator who has made a disclosure to the parties considers himself or herselfto be impartial and independent of the parties, despite the disclosed facts, orelse he or she would have declined the nomination, or resigned. An arbitratormaking a disclosure thus feels capable of performing his or her duties. It is thepurpose of disclosure to allow the parties to judge whether they agree with theevaluation of the arbitrator and, if they so wish, to explore the situationfurther. It is hoped that the promulgation of this General Standard willeliminate the misconception that disclosure itself implies doubts sufficient todisqualify the arbitrator, or even creates a presumption in favour of disquali-fication.

Instead, any challenge should only be successful if an objective test, as setforth in General Standard 2 above, Is met. Under Comment 5 of the PracticalApplication of the General Standards, a failure to disclose certain facts andcircumstances that may, in the eyes of the parties, give rise to doubts as to thearbitrator’s impartiality or independence, does not necessarily mean that aconflict of interest exists, or that a disqualification should ensue.

(d) In determining which facts should be disclosed, an arbitrator shouldtake into account all circumstances known to him or her. If the arbitrator findsthat he or she should make a disclosure, but that professional secrecy rules orother rules of practice or professional conduct prevent such disclosure, he orshe should not accept the appointment, or should resign.

(e) Disclosure or disqualification (as set out in General Standards 2 and3) should not depend on the particular stage of the arbitration. In order todetermine whether the arbitrator should disclose, decline the appointment orrefuse to continue to act, the facts and circumstances alone are relevant, notthe current stage of the proceedings, or the consequences of the withdrawal.As a practical matter, arbitration institutions may make a distinction depend-ing on the stage of the arbitration. Courts may likewise apply differentstandards. Nevertheless, no distinction is made by these Guidelines dependingon the stage of the arbitral proceedings. While there are practical concerns, ifan arbitrator must withdraw after the arbitration has commenced, a distinctionbased on the stage of the arbitration would be inconsistent with the GeneralStandards.

(4) Waiver by the Parties

(a) If, within 30 days after the receipt of any disclosure by the arbitrator,

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or after a party otherwise learns of facts or circumstances that could constitutea potential conflict of interest for an arbitrator, a party does not raise anexpress objection with regard to that arbitrator, subject to paragraphs (b) and(c) of this General Standard, the party is deemed to have waived any potentialconflict of interest in respect of the arbitrator based on such facts or circum-stances and may not raise any objection based on such facts or circumstancesat a later stage.

(b) However, if facts or circumstances exist as described in the Non-Waivable Red List, any waiver by a party (including any declaration oradvance waiver, such as that contemplated in General Standard 3 (b), or anyagreement by the parties to have such a person serve as arbitrator, shall beregarded as invalid.

(c) A person should not serve as an arbitrator when a conflict of interest,such as those exemplified in the Waivable Red List, exists. Nevertheless, sucha person may accept appointment as arbitrator, or continue to act as anarbitrator, if the following conditions are met:

(i) all parties, all arbitrators and the arbitration institution, or otherappointing authority (if any), have full knowledge of the conflict of interest;and

(ii) all parties expressly agree that such a person may serve as arbitra-tor, despite the conflict of interest.

(d) An arbitrator may assist the parties in reaching a settlement of thedispute, through conciliation, mediation or otherwise, at any stage of theproceedings. However, before doing so, the arbitrator should receive anexpress agreement by the parties that acting in such a manner shall notdisqualify the arbitrator from continuing to serve as arbitrator. Such expressagreement shall be considered to be an effective waiver of any potentialconflict of interest that may arise from the arbitrator’s participation in such aprocess, or from information that the arbitrator may learn in the process. Ifthe assistance by the arbitrator does not lead to the final settlement of thecase, the parties remain bound by their waiver. However, consistent withGeneral Standard 2(a) and notwithstanding such agreement, the arbitratorshall resign if, as a consequence of his or her involvement in the settlementprocess, the arbitrator develops doubts as to his or her ability to remainimpartial or independent in the future course of the arbitration.

Explanation to General Standard 4:

(a) Under General Standard 4(a), a party is deemed to have waived anypotential conflict of interest, if such party has not raised an objection in respectof such conflict of interest within 30 days. This time limit should run from thedate on which the party learns of the relevant facts or circumstances, includingthrough the disclosure process.

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(b) General Standard 4 (b) serves to exclude from the scope of GeneralStandard 4(a) the facts and circumstances described in the Non-Waivable RedList. Some arbitrators make declarations that seek waivers from the partieswith respect to facts or circumstances that may arise in the future.

Irrespective of any such waiver sought by the arbitrator, as provided inGeneral Standard 3 (b), facts and circumstances arising in the course of thearbitration should be disclosed to the parties by virtue of the arbitrator’songoing duty of disclosure.

(c) Notwithstanding a serious conflict of interest, such as those that aredescribed by way of example in the Waivable Red List, the parties may wishto engage such a person as an arbitrator. Here, party autonomy and the desireto have only impartial and independent arbitrators must be balanced. Personwith a serious conflict of interest, such as those that are described by way ofexample in the Waivable Red List, may serve as arbitrators only if the partiesmake fully informed, explicit waivers.

(d) The concept of the Arbitral Tribunal assisting the parties in reachinga settlement of their dispute in the course of the arbitration proceedings iswell-established in some jurisdictions, but not in others. Informed consent bythe parties to such a process prior to its beginning should be regarded as aneffective waiver of a potential conflict of interest. Certain jurisdictions mayrequire such consent to be in writing and signed by the parties. Subject to anyrequirements of applicable law, express consent may be sufficient and may begiven at a hearing and reflected in the minutes or transcript of the proceeding.In addition, in order to avoid parties using an arbitrator as mediator as ameans of disqualifying the arbitrator, the General Standard makes clear thatthe waiver should remain effective, if the mediation is unsuccessful. In givingtheir express consent, the parties should realise the consequences of thearbitrator assisting them in a settlement process, including the risk of theresignation of the arbitrator.

(5) Scope

(a) These Guidelines apply equally to tribunal chairs, sole arbitrators andco-arbitrators, howsoever appointed.

(b) Arbitral or administrative secretaries and assistants, to an individualarbitrator or the Arbitral Tribunal, are bound by the same duty of indepen-dence and impartiality as arbitrators, and it is the responsibility of the ArbitralTribunal to ensure that such duty is respected at all stages of the arbitration.

Explanation to General Standard 5:

(a) Because each member of an Arbitral Tribunal has an obligation to be

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impartial and independent, the General Standards do not distinguish betweensole arbitrators, tribunal chairs, party-appointed arbitrators or arbitratorsappointed by an institution.

(b) Some arbitration institutions require arbitral or administrative secre-taries and assistants to sign a declaration of independence and impartiality.Whether or not such a requirement exists, arbitral or administrative secretar-ies and assistants to the Arbitral Tribunal are bound by the same duty ofindependence and impartiality (including the duty of disclosure) as arbitra-tors, and it is the responsibility of the Arbitral Tribunal to ensure that suchduty is respected at all stages of the arbitration. Furthermore, this duty appliesto arbitral or administrative secretaries and assistants to either the ArbitralTribunal or individual members of the Arbitral Tribunal.

(6) Relationships

(a) The arbitrator is in principle considered to bear the identity of his orher law firm, but when considering the relevance of facts or circumstances todetermine whether a potential conflict of interest exists, or whether disclosureshould be made, the activities of an arbitrator’s law firm, if any, and therelationship of the arbitrator with the law firm, should be considered in eachindividual case. The fact that the activities of the arbitrator’s firm involve oneof the parties shall not necessarily constitute a source of such conflict, or areason for disclosure. Similarly, if one of the parties is a member of a groupwith which the arbitrator’s firm has a relationship, such fact should beconsidered in each individual case, but shall not necessarily constitute by itselfa source of a conflict of interest, or a reason for disclosure.

(b) If one of the parties is a legal entity, any legal or physical personhaving a controlling influence on the legal entity, or a direct economic interestin, or a duty to indemnify a party for, the award to be rendered in thearbitration, may be considered to bear the identity of such party.

Explanation to General Standard 6:

(a) The growing size of law firms should be taken into account as part oftoday’s reality in international arbitration. There is a need to balance theinterests of a party to appoint the arbitrator of its choice, who may be apartner at a large law firm, and the importance of maintaining confidence inthe impartiality and independence of international arbitrators. The arbitratormust, in principle, be considered to bear the identity of his or her law firm, butthe activities of the arbitrator’s firm should not automatically create a conflictof interest. The relevance of the activities of the arbitrator’s firm, such as thenature, timing and scope of the work by the law firm, and the relationship ofthe arbitrator with the law firm, should be considered in each case. General

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Standard 6 (a) uses the term ‘involve’ rather than ‘acting for’ because therelevant connections with a party may include activities other than represen-tation on a legal matter. Although barristers’ chambers should not be equatedwith law firms for the purposes of conflicts, and no general standard isproffered for barristers’ chambers, disclosure may be warranted in view of therelationships among barristers, parties or counsel. When a party to an arbi-tration is a member of a group of companies, special questions regardingconflicts of interest arise. Because individual corporate structure arrange-ments vary widely, a catch-all rule is not appropriate. Instead, the particularcircumstances of an affiliation with another entity within the same group ofcompanies, and the relationship of that entity with the arbitrator’s law firm,should be considered in each individual case.

(b) When a party in international arbitration is a legal entity, other legaland physical persons may have a controlling influence on this legal entity, ora direct economic interest in, or a duty to indemnify a party for, the award tobe rendered in the arbitration. Each situation should be assessed individually,and General Standard 6 (b) clarifies that such legal persons and individualsmay be considered effectively to be that party. Third-party funders andinsurers in relation to the dispute may have a direct economic interest in theaward, and as such may be considered to be the equivalent of the party. Forthese purposes, the terms ‘third-party funder’ and ‘insurer’ refer to any personor entity that is contributing funds, or other material support, to the prosecu-tion or defence of the case and that has a direct economic interest in, or a dutyto indemnify a party for, the award to be rendered in the arbitration.

(7) Duty of the Parties and the Arbitrator

(a) A party shall inform an arbitrator, the Arbitral Tribunal, the otherparties and the arbitration institution or other appointing authority (if any) ofany relationship, direct or indirect, between the arbitrator and the party (oranother company of the same group of companies, or an individual having acontrolling incluence on the party in the arbitration), or between the arbitra-tor and any person or entity with a direct economic interest in, or a duty toindemnifiy a party for, the award to be rendered in the arbitration. The partyshall do so its own initiative at the earliest opportunity.

(b) A party shall inform an arbitrator, the Arbitral Tribunal, the otherparties and the arbitration institution or other appointing authority (if any) ofthe identity of its counsel appearing in the arbitration, as well as of anyrelationship, including membership of the same barristers’ chambers, betweenits counsel and the arbitrator. The party shall do so on its own initiative at theearliest opportunity, and upon any change in its counsel team.

(c) In order to comply with General Standard 7 (a), a party shall performreasonable enquiries and provide any relevant information available to it.

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(d) An arbitrator is under a duty to make reasonable enquiries to identifyconflict of interest, as well as any facts or circumstances that may reasonablygive rise to doubts as to his or her impartiality or independence.

Failure to disclose a conflict is not excused by lack of knowledge, if thearbitrator does not perform such reasonable enquiries.

Explanation to General Standard 7:

(a) The parties are required to disclose any relationship with the arbitra-tor. Disclosure of such relationships should reduce the risk of an unmeritori-ous challenge of an arbitrator’s impartiality or independence based on infor-mation learned after the appointment. The parties’ duty of disclosure of anyrelationship, direct or indirect, between the arbitrator and the party (oranother company of the same group of companies, or an individual having acontrolling influence on the party in the arbitration) has been extended torelationships with persons or entities having a direct economic interest in theaward to be rendered in the arbitration, such as an entity providing funding forthe arbitration, or having a duty to indemnify a party for the award.

(b) Counsel appearing in the arbitration, namely the persons involved inthe representation of the parties in the arbitration, must be identified by theparties at the earliest opportunity. A party’s duty to disclose the identity ofcounsel appearing in the arbitration extends to all members of that party’scounsel team and arises from the outset of the proceedings.

(c) In order to satisfy their duty of disclosure, the parties are required toinvestigate any relevant information that is reasonably available to them. Inaddition, any party to an arbitration is required, at the outset and on anongoing basis during the entirety of the proceedings, to make a reasonableeffort to ascertain and to disclose available information that, applying thegeneral standard, might affect the arbitrator’s impartiality or independence.

(d) In order to satisfy their duty of disclosure under the Guidelines,arbitrators required to investigate any relevant information that is reasonablyavailable to them.

Part II: Pratical Application of the General Standards

1. If the Guidelines are to have an important practical influence, theyshould address situations that are likely to occur in today’s arbitration practiceand should provide specific guidance to arbitrators, parties, institutions andcourts as to which situations do or do not constitute conflicts of interest, orshould or should not be disclosed. For this purpose the Guidelines categorisesituations that may occur in the following Application Lists. These lists cannotcover every situation. In all cases, the General Standards should control theoutcome.

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2. The Red List consists of two parts: ‘a Non-Waivable Red List’ (seeGeneral Standards 2 (d) and 4(b); and ‘a Waivable Red List’ (see GeneralStandard 4 (c). These lists are non-exhaustive and detail specific situationsthat, depending on the facts of a given case, give rise to justifiable doubts asto the arbitrator’s impartiality and independence. That is, in these circum-stances, an objective conflict of interest exists from the point of view of areasonable third person having knowledge of the relevant facts and circum-stances (see General Standard 2(b). The Non-Waivable Red List includessituations deriving from the overriding principle that no person can be his orher own judge. Therefore, acceptance of such a situation cannot cure theconflict. The Waivable Red List covers situations that are serious but not assevere. Because of their seriousness, unlike circumstances described in theOrange List, these situations should be considered waivable, but only if andwhen the parties, being aware of the conflict of interest situation, expresslystate their willingness to have such a person act as arbitrator, as set forth inGeneral Standard 4 (c).

3. The Orange List is a non-exhaustive list of specific situations that,depending on the facts of a given case, may, in the eyes of the parties, give riseto doubts as to the arbitrator’s impartiality or independence. The Orange Listthus reflects situations that would fall under General Standard 3 (a), with theconsequence that the arbitrator has a duty to disclose such situations. In allthese situations, the parties are deemed to have accepted the arbitrator if,after disclosure, no timely objection is made, as established in GeneralStandard 4 (a).

4. Disclosure does not imply the existence of a conflict of interest; norshould it by itself result either in a disqualification of the arbitrator, or in apresumption regarding disqualification. The purpose of the disclosure is toinform the parties of a situation that they may wish to explore further in orderto determine whether objectively — that is, from the point of view of areasonable third person having knozledge of the relevant facts and circum-stances — there are justifiable doubts as to the arbitrator’s impartiality orindependence. If the conclusion is that there are no justifiable doubts, thearbitrator can act. Apart from the situations covered by the Non-WaivableRed Lit, he or she can also act if there is no timely objection by the parties or,in situations covered by the Waivable by the parties in accordance withGeneral Standard 4 (c) If a party challenges the arbitrator, he or she cannevertheless act, if the authority that rules on the challenge decides that thechallenge does not meet the objective test for disqualification.

5. A later challenge based on the fact that an arbitrator did not disclosesuch facts or circumstances should not result automatically in non-appoint-ment, later disqualification or a successful challenge to any award. Nondisclo-sure cannot by itself make an arbitrator partial or lacking independence: onlythe facts or circumstances that he or she failed to disclose can do so.

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6. Situations not listed in the Orange List or falling outside the time limitsused in some of the Orange List situations are generally not subject todisclosure. However, an arbitrator needs to assess on a case-by-case basiswhether a given situation, even though not mentioned in the Orange List, isnevertheless such as to give rise to justifiable doubts as to his or her impar-tiality or independence. Because the Orange List is a non-exhaustive list ofexamples, there may be situations not mentioned, which depending on thecircumstances, may need to be disclosed by an arbitrator. Such may be thecase, for example, in the event of repeat past appointments by the same partyor the same counsel beyond the three-year period provided for in the OrangeList, or when an arbitrator concurrently acts as counsel in an unrelated case inwhich similar issues of law are raised. Likewise, an appointment made by thesame party or the same counsel appearing before an arbitrator, while the casein ongoing, may also have to be disclosed, depending on the circumstances.While the Guidelines do not require disclosure of the fact that an arbitratorconcurrently serves, or has in the past served, on the same Arbitral Tribunalwith another member of the tribunal, or with one of the counsel in the currentproceedings, an arbitrator should assess on a case-by-case basis whether thefact of having frequently served as counsel with, or as an arbitrator on,Arbitral Tribunals with another member of the tribunal may create a per-ceived imbalance within the tribunal. If the conclusion is ‘yes’, the arbitratorshould consider a disclosure.

7. The Green List is a non-exhaustive list of specific situations where noappearance and no actual conflict of interest exists from an objective point ofview. Thus, the arbitrator has no duty to disclose situations falling within theGreen List. As stated in the Explanation to General Standard 3 (a) thereshould be a limit to disclosure, based on reasonableness; in some situations, anobjective test should prevail over the purely subjective test of ‘the eyes’ of theparties.

8. The borderline between the categories that comprise the Lists can bethin. It can be debated whether a certain situation should be on one Listinstead of another. Also, the Lists contain, for various situations, generalterms such as ‘significant’ and ‘relevant’. The Lists reflect internationalprinciples and best practices to the extent possible. Further definition of thenorms, which are to be interpreted reasonably in light of the facts andcircumstances in each case, would be counterproductive.

1. Non-Waivable Red List

1.1 There is an identity between a party and the arbitrator, or thearbitrator is a legal representative or employee of an entity that is a party inthe arbitration.

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1.2 The arbitrator is a manager, director or member of the supervisoryboard, or has a controlling influence on one of the parties or an entity that hasa direct economic interest in the award to be rendered in the arbitration.

1.3 The arbitrator has a significant financial or personal interest in one ofthe parties, or the outcome of the case.

1.4 The arbitrator or his or her firm regularly advises the party, or anaffiliate of the party, and the arbitrator or his or her firm derives significantfinancial income therefrom.

2. Waivable Red List

2.1 Relationship of the arbitrator to the dispute

2.1.1 The arbitrator has given legal advice, or provided an expert opinion,on the dispute to a party or an affiliate of one of the parties.

2.1.2 The arbitrator had a prior involvement in the dispute.

2.2. Arbitrator’s direct or indirect interest in the dispute

2.2.1 The arbitrator holds shares, either directly or indirectly, in one ofthe parties, or an affiliate of one of the parties, this party or an affiliate beingprivately held.

2.2.2 A close family member (1) of the arbitrator has a significant financialinterest in the outcome of the dispute.

2.2.3 The arbitrator, or a close family member of the arbitrator, has aclose relationship with a non-party who may be liable to recourse on the partof the unsuccessful party in the dispute.

2.3 Arbitrator’s relationship with the parties or counsel

2.3.1 The arbitrator currently represents or advises one of the parties, oran affiliate of one of the parties.

2.3.2 The arbitrator currently represents or advises the lawyer or law firmacting as counsel for one of the parties.

2.3.3 The arbitrator is a lawyer in the same law firm as the counsel to oneof the parties.

(1) Throughout the Application Lists, the term ‘close family member’ refers to a: spouse,sibling, child, parent or life partner, in addition to any other family member with whom a closerelationship exists.

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2.3.4 The arbitrator is a manager, director or member of the supervisoryboard, or has a controlling influence in an affiliate (2) of one of the parties, ifthe affiliate is directly involved in the matters in dispute in the arbitration.

2.3.5 The arbitrator’s law firm had a previous but terminated involvementin the case without the arbitrator being involved himself or herself.

2.3.6 The arbitrator’s law firm currently has a significant commercialrelationship with one of the parties, or an affiliate of one of the parties.

2.3.7 The arbitrator regularly advises one of the parties, or an affiliate ofone of the parties, but neither the arbitrator nor his or her firm derives asignificant financial income therefrom.

2.3.8 The arbitrator has a close family relationship with one of the parties,or with a manager, director or member of the supervisory board, or anyperson having a controlling influence in one of the parties, or an affiliate ofone of the parties, or with a counsel representing a party.

2.3.9 A close family member of the arbitrator has a significant financial orpersonal interest in one of the parties, or an affiliate of one of the parties.

3. Orange List

3.1 Previous services for one of the parties or other involvement in the case

3.1.1 The arbitrator has, within the past three years, served as counsel forone of the parties, or an affiliate of one of the parties, or has previouslyadvised or been consulted by the party, or an affiliate of the party, making theappointment in an unrelated matter, but the arbitrator and the party, or theaffiliate of the party, have no ongoing relationship..

3.1.2 The arbitrator has, within the past three years, served as counselagainst one of the parties, or an affiliate of one of the parties, in an unrelatedmatter.

3.1.3 The arbitrator has, within the past three years, been appointed asarbitrator on two or more occasions by one of the parties, or an affiliate of oneof the parties (3).

(2) Throughout the Application Lists, the term ‘affiliate’ encompasses all companies ina group of companies, including the parent company.

(3) It may be the practice in certain types of arbitration, such as maritime, sports orcommodities arbitration, to draw arbitrators from a smaller or specialized pool of individuals.If in such fields it is the custom and practice for parties to frequently appoint the same arbitratorin different cases, no disclosure of this fact is required, where all parties in the arbitration shouldbe familiar with such custom and practice.

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3.1.4 The arbitrator’s law firm has, within the past three years, acted foror against one of the parties, or an affiliate of one of the parties, in anunrelated matter without the involvement of the arbitrator.

3.1.5 The arbitrator currently serves, or has served within the past threeyears, as arbitrator in another arbitration involving one of the parties, or anaffiliate of one of the parties.

3.2 Current services for one of the parties

3.2.1 The arbitrator’s law firm is currently rendering services to one of theparties, or to an affiliate of one of the parties, without creating a significantcommercial relationship for the law firm and without the involvement of thearbitrator.

3.2.2 A law firm or other legal organization that shares significant fees orother revenues with the arbitrator’s law firm renders services to one of theparties, or an affiliate of one of the parties, before the Arbitral Tribunal.

3.2.3 The arbitrator or his or her firm represents a party, or an affiliate ofone of the parties to the arbitration, on a regular basis, but such representationdoes not concern the current dispute.

3.3 Relationship between an arbitrator and another arbitrator or counsel

3.3.1 The arbitrator and another arbitrator are lawyers in the same law firm.

3.3.2 The arbitrator and another arbitrator, or the counsel for one of theparties, are members of the same barrister’s chambers.

3.3.3 The arbitrator was , within the past three years, a partner of, orotherwise affiliated with, another arbitrator or any of the counsel in thearbitration.

3.3.4 A lawyer in the arbitrator’s law firm is an arbitrator in anotherdispute involving the same party of parties, or an affiliate of one of the parties.

3.3.5 A close family member of the arbitrator is a partner or employee ofthe law firm representing one of the parties, but is not assisting with the dispute.

3.3.6 A close personal friendship exists between an arbitrator and acounsel of a party.

3.3.7 Enmity exists between an arbitrator and counsel appearing in thearbitration.

3.3.8 The arbitrator has, within the past three years, been appointed onmore than three occasions by the same counsel, or the same law firm.

3.3.9 The arbitrator and another arbitrator, or counsel for one of theparties in the arbitration, currently act or have acted together within the pastthree years as cocounsel.

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3.4 Relationship between arbitrator and party and others involved in thearbitration

3.4.1 The arbitrator’s law firm is currently acting adversely to one of theparties, or an affiliate of one of the parties.

3.4.2 The arbitrator has been associated with a party, or an affiliate of oneof the parties, in a professional capacity, such as a former employee or partner.

3.4.3 A close personal friendship exists between an arbitrator and amanager or director or a member of the supervisory board of: a party; anentity that has a direct economic interest in the award to be rendered in thearbitration; or any person having a controlling influence, such as a controllingshareholder interest, on one of the parties or an affiliate of one of the partiesor a witness or expert.

3.4.4 Enmity exists between an arbitrator and a manager or director or amember of the supervisory board of: a party; an entity that has a directeconomic interest in the award; or any person having a controlling influencein one of the parties or an affiliate of one of the parties or a witness or expert.

3.4.5 If the arbitrator is a former judge, he or she has, within the pastthree years, heard a significant case involving one of the parties, or an affiliateof one of the parties.

3.5. Other circumstances

3.5.1 The arbitrator holds shares, either directly or indirectly, that by reasonof number or denomination constitute a material holding in one of the parties,or an affiliate of one of the parties, this party or affiliate being publicly listed.

3.5.2 The arbitrator has publicly advocated a position on the case,whether in a published paper, or speech, or otherwise.

3.5.3 The arbitrator holds a position with the appointing authority withrespect to the dispute.

3.5.4 The arbitrator is a manager, director or member of the supervisoryboard, or has a controlling influence on an affiliate of one of the parties, wherethe affiliate is not directly involved in the matters in dispute in the arbitration.

4. Green List

4.1 Previously expressed legal opinions

4.1.1 The arbitrator has previously expressed a legal opinion (such as ina law review article or public lecture) concerning an issue that also arises inthe arbitration (but this opinion is not focused on the case).

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4.2 Current services for one of the parties

4.2.1 A firm, in association or in alliance with the arbitrator’s law firm, butthat does not share significant fees or other revenues with the arbitrator’s lawfirm, renders services to one of the parties, or an affiliate of one of the parties,in an unrelated matter.

4.3 Contacts with another arbitrator, or with counsel for one of the parties

4.3.1 The arbitrator has a relationship with another arbitrator, or with thecounsel for one of the parties, through membership in the same professionalassociation, or social or charitable organization, or through a social medianetwork.

4.3.2 The arbitrator and counsel for one of the parties have previouslyserved together as arbitrators.

4.3.3. The arbitrator teaches in the same faculty or school as anotherarbitrator or counsel to one of the parties, or serves as an officer of aprofessional association or social or charitable organization with anotherarbitrator or counsel for one or the parties.

4.3.4 The arbitrator was a speaker, moderator or organizer in one or moreconferences, or participated in seminars or working parties of a professional,social or charitable organization, with another arbitrator or counsel to theparties.

4.4 Contacts between the arbitrator and one of the parties.

4.4.1 The arbitrator has had an initial contact with a party, or an affiliateof a party (or their counsel) prior to appointment, if this contact is limited tothe arbitrator’s availability and qualifications to serve, or to the names ofpossible candidates for a chairperson, and did not address the merits orprocedural aspects of the dispute, other than to provide the arbitrator with abasic understanding of the case.

4.4.2 The arbitrator holds an insignificant amount of shares in one of theparties, or an affiliate of one of the parties, which is publicly listed.

4.4.3 The arbitrator and a manager, director or member of the supervi-sory board, or any person having a controlling influence on one of the parties,or an affiliate of one of the parties, have worked together as joint experts, orin another professional capacity, including as arbitrators in the same case.

4.4.4 The arbitrator has a relationship with one of the parties or itsaffiliates through a social media network.

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